Anno XXXVIII n. 2 Marzo-Aprile 2015
EDITORIALE 02 La vita? Dove batte forte il cuore di Luigi Peccarisi
LA VOCE DELL’ASL 04 Chirurgia pediatrica, comincia una nuova era di Giovanni Gorgoni
FOCUS: CUORE E DINTORNI 08 Un sottile bisogno di... cardiologia di M. Costantini, G. De Rinaldis
10 Ipertensione arteriosa polmonare, un «nemico» da rispettare
RIVISTA UFFICIALE DELL’ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI ED ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA DI LECCE
Marzo/Aprile 2015 ANNO XXXVIII Direzione e Redazione c/o Ordine dei Medici - Via N. Sauro, 31 Lecce www.ordinemedicilecce.it -
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di Carlo D’Agostino
12 Trattamento dell’insufficienza mitralica mediante valvuloplastica percutanea con MitraClip di Mario Previtali
14 Interventi coronarici percutanei complessi di Dionigi Fischetti
16 RMN coronarica, le immagini del futuro di Anna Grazia D’Agostino
18 Dieta mediterranea, baluardo contro le malattie di Maria Annunziata Carluccio
20 Moderni aspetti della prevenzione cardiovascolare di M. M. Ciccone, R. Ruggeri
Direttore Responsabile Luigi Peccarisi Comitato di Redazione e Comitato Scientifico Tutti i componenti il Consiglio Direttivo, la Commissione per gli iscritti all’albo degli Odontoiatri e il Collegio dei Revisori dei Conti
22 Dissezione aortica di tipo A, ci pensa «Lupiae» di Giampiero Esposito
ROTTA SULLA REGIONE 30 Un Consiglio superiore della Sanità per la Puglia di Michele Emiliano
32 Basta con gli uomini attaccati alle poltrone del potere di Francesco Schittulli
34 Un nuovo modello di Sanità pubblica Hanno collaborato a questo numero G. Gorgoni, M. Costantini, G. De Rinaldis, C. D’Agostino, M. Previtali, D. Fischetti, A. G. D’Agostino, M. A. Carluccio, M.M. Ciccone, R. Ruggeri, G. Esposito, M. Emiliano, F. Schittulli, A. Laricchia, A. P. Bortone, M. Aromolo, F. Marti, R. Piccinonno, G. Di Rienzo, E. Buongiorno, L. Lanzolla, P. Ingrosso, G. Lobreglio, M. Renis, N. Dello Prete, G. Pellerano Pubblicità Altograf - Tel. 0833.502319 Le opere a corredo di questo numero sono di VALENTINO MARRA
di Antonella Laricchia
37 Dieci anni disastrosi, serve una nuova governance di Adriana Poli Bortone
ODONTOIATRI 40 Percorso del paziente difficile nel trattamento ospedaliero in narcosi di M. Aromolo, F. Marti, R. Piccinonno
LA PAROLA AI COLLEGHI 42 Chirurgia del tumore polmonare al 1° stadio, Lecce da record di Gaetano Di Rienzo
44 Il rene, un amico da proteggere di Erasmo Buongiorno
46 Ospedale di Comunità, nuova frontiera dell’assistenza di L. Lanzolla, P. Ingrosso
52 Sindrome di Hughes, in laboratorio a «caccia» di indizi di G. Lobreglio, M. Renis
NORME E DINTORNI 54 Il consenso informato e la responsabilità del medico di Nino Dello Prete
OPINIONI A CONFRONTO 56 L’inquinamento ambientale? E’ «figlio» dell’inosservanza della norme di Giuseppe Pellerano
Stampa: ALTOGRAF - Casarano (Le) Aut. Trib. Lecce N. 3262
LETTERE AL DIRETTORE 58 La prima terapia utile? Il sorriso del medico 60 Ho trovato umanità e professionalità
EDITORIALE
di LUIGI PECCARISI
La vita? Dove batte forte il cuore GLI SCIENZIATI LO HANNO STUDIATO E I POETI LO HANNO ESALTATO. E’ LUI IL «CARBURANTE» DELL’UMANA PASSIONE
egli anni della scuola elementare ci commuovevamo durante la lettura in classe del libro “Cuore” di Edmondo de Amicis; eravamo pervasi da spirito di amicizia, amore per la Patria, rispetto per autorità e genitori, eroismo, carità e sopportazione delle disavventure della vita. Tutti uniti da quel cuore, come ai tempi dell’Unità d’Italia. Eravamo attratti dai racconti che provenivano da varie parti della Penisola e rafforzavano il senso dell’Unità del Regno. Il cuore al centro della vita per la vita, organo essenziale per spingere e distribuire energia e, nel contempo, per dare un senso, nell’immaginario collettivo, all’esistenza. Ti amo con tutto il cuore, sei nel mio cuore, affidati al cuore, sei senza cuore, sono espressioni comuni che riconoscono alla piccola pompa il ruolo essenziale nella condotta morale dell’individuo. Identificato con la vita stessa, in grado di caratterizzare amori e sogni ma anche i mali che attanagliano il mondo, le ingiustizie, le guerre. Nell’Antico Testamento sentimenti di paura, gioia, odio, affanno, ira, amore, coraggio sono da imputare al cuore, identificato con l’essere umano. Nel cuore Dio ha impresso la sua legge morale, la consapevolezza di noi stessi; può essere saggio e intelligente, puro,onesto, integro. Quando corrotto dal peccato, concepisce
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Organo essenziale per distribuire energia e per dare un senso, nell’immaginario collettivo, all’assistenza
progetti malvagi che richiedono purificazione e rigenerazione prima della ricongiunzione con Dio. Organo propulsore dell’intero apparato circolatorio, da sempre il cuore è stato considerato il centro della vita spirituale e affettiva dell’uomo, sede della coscienza che risponde a una legge morale. Nel cuore sono riposti anche anfratti
Nel cuore sono segregati risentimenti e rimozioni pronti a riaffiorare e condizionare il destino dell’uomo
in cui sono segregati risentimenti e rimozioni pronti a riaffiorare e condizionare il destino dell’uomo. Così la letteratura immagina l’inconscio che può dominare l’esistenza quando “la bestia nel cuore” (di Cristina Comencini) sconvolge la vita di una donna che vive un incubo che la mette in contatto con una parte di se che non conosce e le sconvolge la vita. “Il lato oscuro del cuore” (di Corrado Augias) nasconde ciò che non possiamo governare ma che è necessario conoscere per comprendere se stessi e affrontare meglio la vita Il cuore è anche il maggiore ispiratore nelle scelte. Spesso le decisioni razionali non sono sempre le più giuste. Bisogna lasciarsi trasportare dai sentimenti, ascoltando la voce interiore che proviene dall’intimo. E’ il testamento che nonna Olga, descrivendo le sensazioni che hanno cambiato la sua vita, oramai all’epilogo, lascia alla nipote adolescente: “Va dove ti porta il cuore” (Capolavoro di Susanna Tamaro). Le innumerevoli funzioni e trasfigurazioni nella letteratura ci portano anche alla scoperta del “cuore di ferro”, come lo descrive Alfredo Colitto quando Mondino, medico che ha necessità di sezionare cadaveri per capirne l’anatomia umana e sviluppare nuove tecniche chirurgiche, scopre nel petto di un uomo, vittima di un efferato omicidio, il cuore trasformato in un blocco di ferro. Siamo nella Bologna del 1311 ai tempi di Umberto da Rimini feroce accusatore dei Templari. “Cuore inquieto” è il romanzo d’esordio di Valeria Manzo, incentrato sul coraggio delle donne protese a confrontare sogni, delusioni, ricordi, speranze, amori trascorsi in un inesorabile incedere del tempo. Si riappropriano della speranza e
della sicurezza in se stesse per continuare a credere nella vita, dopo aver liberato il proprio cuore dalla paura e dal dolore. A noi piace essere prede della sindrome di Stendhal, che il nostro cuore alimenta, quando tachicardia, vertigini, confusione e allucinazioni ci avvolgono dinanzi al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, che ci rendono eredi di testimonianze di un glorioso passato. Così quel cuore, organo muscolare cavo, motore dell’apparato circolatorio, propulsore del sangue e della linfa, del peso di 250 – 300 grammi, ispiratore di una grande Università, quella “del Sacro Cuore”, nel nostro petto pulsa emanando
forza e umanità nella lotta alle malattie che richiedono sempre nuovo impegno per essere vinte. Il cuore apre alla medicina narrativa volta al recupero della storia del paziente che, accanto al sapere scientifico richiede un rapporto umano per la gestione degli stati di sofferenza. E’ opportuno un approccio diverso per superare la visione dell’evidenza, propria della scienza, e dare valore al vissuto dei singoli pazienti ora in preda alla tristezza, alla solitudine, allo sconforto, al dolore. La medicina narrativa deve favorire un incontro quotidiano fra medico e malato, fra esseri umani ma, soprattutto, un incontro di cuori.
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LA VOCE DELLA ASL
d i G I O VA N N I G O R G O N I
Chirurgia pediatrica, comincia una nuova era CON UNA LETTERA, IL DIRETTORE GENERALE GIOVANNI GORGONI PRESENTA AI MEDICI IL NUOVO PRIMARIO CARLO ROSSI
Gentili medici, come forse già noto, dal 1 marzo l’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Pediatrica dell’ospedale di Casarano ha un nuovo primario, il dr. Carlo Rossi. La sua formazione e la sua
Proviene dall’Università di Chieti ed ha una casistica di oltre 5500 interventi. Oltre a guidare l’Unità operativa complessa dell’ospedale Ferrari di Casarano, opererà anche al Vito Fazzi di Lecce esperienza, viene dalla scuola dell’Università di Chieti dove è professore a contratto di “Tecnica operatoria e chirurgia pediatrica” ed ha al suo attivo 5523 interventi chirurgici -casistica fino al dicembre 2011-, hanno già consentito di effettuare a Lecce un intervento su un neonato per una malformazione congenita ano-rettale. L’intervento chirurgico, cui seguono altri già in programma, è stato eseguito presso l’ospedale Vito Fazzi dall’equipe dell’ospedale di Casarano ed è testimonianza che l’integrazione e la
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sinergia tra operatori di diverse strutture aziendali è possibile e porta ad ottimi risultati. L’obiettivo condiviso è quello di elevare gli standard qualitativi ed avvicinare i servizi della ASL ai Cittadini. In questa ottica, dal 1 aprile l’equipe di chirurghi pediatri dell’ospedale “Ferrari” di Casarano amplia la propria attività ambulatoriale aprendo un ambulatorio specialistico divisionale anche presso l’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce. Le agende sono già aperte per le prenotazioni; l’ambulatorio si effettua il mercoledì pomeriggio nei locali della Terapia Intensiva Neonatale, al IV piano dell’ospedale. Siamo certi che questa informazione possa tornare utile a Voi tutti e possa rendere più agevole l’accesso alle cure di Chirurgia Pediatrica ai nostri piccoli assistiti, limitando anche le migrazioni delle famiglie fuori dal Salento. Grati per la collaborazione, porgiamo i nostri saluti. Giovanni Gorgoni Direttore Generale Sonia Giausa Dirigente Comunicazione
LE OPERE DI
VALENTINO MARRA Valentino Marra, pittore e scultore salentino (nasce nel 1956) si diploma Maestro d’Arte presso l’Istituto Statale “Gioacchino Toma” e frequenta poi l’Accademia di Belle Arti di Lecce. È presente con le sue opere nelle più importanti fiere d’arte contemporanea nazionali ed internazionali. In questo scenario di vita di corsa Marra afferma l’esigenza di riscattare uno spazio indispensabile, di sospensione che, senza annullarla, metta però tra parentesi la realtà, per riflettere su: esigenze e felicità, memorie e oblio, fondatezza e inconsistenza, costrizione e libertà, passato e futuro. Lo fa optando per una pittura lenta e meticolosa. Una pittura fatta a modo degli antichi per successive sottili velature di colore ma sgargiante come nella migliore tradizione pop.
QUEGLI SGUARDI INCANTATI CHE RIFLETTO IL MONDO Le facce e i dipinti dedicati a Marilyn Monroe oggi sono in numerose collezioni private e nelle gallerie più prestigiose; l’immagine femminile continua ad avere un posto speciale nella riflessione di Marra, che percorre il tempo e lo spazio in tutte le direzioni, per individuare i suoi modelli e appropriarsi della loro effige mostrandoci l’anima. Ha esposto le sue opere in qualificate mostre personali in diverse città italiane e straniere dal 1980 in poi. Nella sua ultima personale del 6 Dicembre 2014 a Orta San Giulio con grande successo è stato presentato il libro “Dreams on Canvas” una monografia con circa 100 opere dell’artista pugliese prodotta e distribuita in tutto il mondo da Silvana Editoriale, a cura di Francesca Franco direttore della fondazione Alighieri Boetti e assistente dal 2008 di Bonito Oliva. La critica Francesca Franco ha definito Marra un perpetuo trafelato presente che percorre il tempo e lo spazio mostrandoci l’istante “Questo”. Ultima mostra personale dell’artista è a Monte Carlo - Incoming Proget Ptè de Monaco, Aprile-Luglio 2015. Il tema dell’immagine femminile é ricorrente nella pittura di Marra, quasi egli avvertisse in essa il coagularsi di un’identità propria, complementare rispetto a quella maschile della veglia e della coscienza. Le opere pubblicate in questo numero di Salento Medico esaltano il talento dell’artista salentino.
FOCUS: CUORE E DINTORNI
d i M . C O S TA N T I N I
di G. DE RINALDIS
Un sottile bisogno di... cardiologia LO STUDIO DEL CUORE AFFASCINA, E LA SCIENZA HA DATO IL MEGLIO DI SE GARANTENDO RISULTATI ECCEZIONALI L’avvento delle Unità coronariche e di nuove terapie ha quasi azzerato la mortalità ospedaliera
o studio del cuore come macchina, e la cura delle malattie del cuore è uno dei terreni scientifici ove l’ingegno umano ha dato le migliori prove di se stesso. Nel breve volgere di pochi decenni sono cresciute in modo impressionante le nostre conoscenze, i nostri mezzi diagnostici, le nostre capacità di curare, nei modi più disparati, questo strumento di vita. Sino a poco più di quarant’anni fa l’infarto miocardico acuto era una malattia che, oltre a mietere innumerevoli vittime in fase pre-ospedaliera, veniva curata in modo sostanzialmente passivo nelle corsie mediche degli ospedali, accettandone in modo ineluttabile il gravoso carico di mortalità, allora attorno al 30%. Il semplice avvento delle Unità Coronariche
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(oggi UTIC) , introducendo la possibilità di defibrillare, ha abbattuto in modo sorprendente la mortalità ospedaliera di tale malattia, ma la cardiologia non si è fermata a quello. Al giorno d’oggi l’infarto è una malattia curabile in modo attivo, con mezzi farmacologici ma soprattutto non farmacologici sorprendenti (PTCA primaria) , che ne hanno ridotto in modo impressionante la mortalità ospedaliera, oggi attorno al 4%. Esiste ancora in tale ambito il grosso problema della mortalità pre-ospedaliera e del ritardo evitabile, che tocca tematiche educative e organizzative, vera sfida della medicina di oggi. Trent’anni fa molte aritmie erano un rebus che affascinava una schiera di eletti specialisti nel settore, i quali le studiavano nei loro laboratori senza tuttavia disporre di sbocchi terapeutici veramente validi. Oggi il cardiologo dispone di mezzi portentosi per curare i disturbi del ritmo , talora in modo definitivo: farmaci, cateteri, apparecchiature di mappaggio e navigazione intracavitaria, dispositivi impiantabili… Lo scompenso cardiaco acuto e cronico è oggi curabile in modo efficace con semplici farmaci e con mezzi non farmacologici il cui impatto sulla quantità e sulla qualità della vita è validato scientificamente in modo rigoroso, mentre all’orizzonte fa capolino un sogno: il cuore artificiale e la rigenerazione di tessuto miocardico. Solo pochi anni fa nessuno avrebbe immaginato che molte malattie cardiache hanno una base genetica, trovano ragion d’essere in una alterazione di particolari siti del DNA che codificano la sintesi di proteine che, per esempio, sovrintendono al funzionamento dei canali ionici alla base del funzionamento elettrico della cellula cardiaca e che questo, ancorchè non si accompagni ad alcuna alterazione della struttura del cuore, mette comunque in pericolo la vita di chi ne è portatore. A volte invece, una alterazione genetica si traduce in una alterazione della struttura del sarcomero, dando luogo a cardiomiopatie di genere diversissimo, ora più facilmente riconoscibili sul piano dello studio diagnostico, grazie a nuove tecniche di imaging, tra le quali è oramai affermata la risonanza magnetica nucleare del cuore. Alcuni luoghi comuni inveterati della cardiologia danno il passo ad acquisizioni nuove, che cambiano completamente lo scenario del sapere. L’associazione tra infarto e malattia delle coronarie non è più un assioma: in circa il 10% dei casi, tale associazione non esiste: si pensi alla dissecazione di una coronaria come causa di
FOCUS: CUORE E DINTORNI
Ridurre la mortalità pre-ospedaliera ed il ritardo evitabile rappresenta la vera sfida della medicina di oggi
infarto, una condizione per fortuna rara, ma pericolosissima, che può colpire soprattutto donne giovani in fase di puerperio o soggetti dediti ad uso di cocaina. Altre condizioni patologiche vengono descritte, che provocano infarti o che ne simulano l’esistenza creando difficoltà diagnostiche e terapeutiche non trascurabili (si pensi alla miocardite acuta a verosimile eziologia virale, tipica di soggetti maschi giovani, non rara a quanto pare nel nostro territorio, oramai conosciuta come sindrome di Galatina! ). La corrispondenza , prima ritenuta fondamentale, tra scompenso cardiaco e ridotta funzione di pompa non è più un dogma: in molti casi lo scompenso colpisce persone che hanno una normale contrattilità. Potremmo continuare con i progressi nei congeniti, nell’ipertensione polmonare, nella diagnosi e terapia dell’embolia polmonare , nella possibilità di trattare i vizi valvolari mediante procedure interventistiche non chirurgiche… La cardiologia non è un libro già scritto, ma un libro che si scrive giorno per giorno e non solo nelle segreterie delle società scientifiche o nei corridoi e aule delle Università….Questo libro lo si scrive giorno per giorno anche a letto del paziente, lottando ogni giorno per scovare una diagnosi, capire, trovare la soluzione terapeutica migliore... Questo fucus cardiologico vuole solo gettare un sasso nello stagno dell’aggiornamento cardiologico, introdurre ad un metodo, fornire più dubbi che certezze, i quali siano da stimolo per un aggiornamento che richiede ben altre letture e studi . Buona lettura dunque, e buona cardiologia a tutti!
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
Struttura Complessa Cardiologia-UTIC Ospedale Di Venere - Bari
di CARLO D’AGOSTINO
Ipertensione arteriosa polmonare, un «nemico» da rispettare OGNI ANNO SI REGISTRANO DAI 5 AI 15 CASI DI IAP PER OGNI MILIONE DI ABITANTI
L’
Ipertensione Arteriosa Polmonare (IAP) rappresenta una rara affezione patologica del Circolo Polmonare presente sia in forma idiopatica e familiare, sia correlata ad alcune patologie con coinvolgimento più o meno sistemico. In realtà il fenomeno emodinamico di elevazione della pressione nel circolo polmonare (ipertensione polmonare) è presente in un numero considerevole di condizioni patologiche. Dal punto di vista epidemiologico l’Ipertensione Polmonare è rilevabile in circa l’80% dei casi in conseguenza di patologie del cuore sinistro: Valvulopatie mitraliche e/o aortiche, disfunzione sistolica e/o diastolica. Nel 10% dei casi è invece secondaria a patologia polmonare, prevalentemente interstiziopatie e broncopneumopatie croniche. Vi sono poi forme secondarie a malattia tromboembolica polmonare ed altre legate a condizioni cliniche di estrema rarità (disordini metabolici con tesaurismosi, sarcoidosi ecc.) Quella che viene definita Ipertensione Arteriosa Polmonare (IAP), è una condizione rara, rappresenta circa il 5% di tutte le forme di aumento di pressione nel piccolo circolo ed ha una prevalenza nella popolazione generale di 5-15 casi per milione di abitanti. Queste forme riconoscono meccanismi fisiopatologici del tutto differenti con modificazioni istopatologiche peculiari a carico delle pareti delle arterie ed arteriole polmonari, condizionate essenzialmente da meccanismi fisiopatologici coinvolgenti l’endotelio che alterano i fenomeni di vasocostrizione/vasodilatazione e proliferazione cellulare. Nella IAP il risultato finale condiziona, l’aumento della pressione arteriosa polmonare pre-capillare con incremento delle resistenze polmonari e conseguente deterioramento della funzione ventricolare destra e riduzione della Gittata Cardiaca.
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Screening e passi diagnostici per identificare le più comuni cause di ipertensione polmonare e stabilire il gruppo nosologico di appartenenza La classificazione oggi accolta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, e riportata nelle “Linee Guida per la diagnosi ed il trattamento dell’Ipertensione Polmonare” della Società Europea di Cardiologia è la seguente. (tabella1)
Tabella 1
Tabella 2
La classificazione sarà parzialmente revisionata nelle prossime linee guida alla luce di nuove evidenze scientifiche, soprattutto riguardanti l’Ipertensione Polmonare associata alle malattie emolitiche che sembra avere un quadro clinico ed un decorso meno severo delle altre forme. Le forme di Ipertensione Polmonare classificate nei gruppi dal 2 al 5 appartengono a condizioni che trovano la giustificazione fisiopatologica ed il trattamento nella correzione, della patologia di base. Le forme del gruppo 1 sono invece quelle che devono essere inquadrate dopo un processo diagnostico talora complesso come Ipertensione Arteriosa Polmonare. Le forme del gruppo 1 se pur apparentemente eterogenee sono caratterizzate da alterazioni istopatologiche tipiche di questa condizione: proliferazione dell’endotelio con ispessimento dell’intima arteriosa ed arteriolare; ispessimento della tonaca media con incremento della muscolare e lesioni plessiformi. Il meccanismo fisiopatologico alla base è rappresentato da una disfunzione dell’endotelio del circolo
FOCUS: CUORE E DINTORNI
La maggiore conoscenza della malattia e la capacità di individuare la patologia nella fase iniziale sta facendo la differenza rispetto al passato polmonare con alterazione dei meccanismi di vasodilatazione/vasocostrizione ed esaltazione dei fenomeni proliferativi. Il riconoscimento di alcuni percorsi metabolici quali l’incremento della produzione di endotelina, la ridotta produzione e risposta vascolare all’Ossido Nitrico (NO), la ridotta azione delle Prostacicline (Prostaglandina I2) hanno permesso di identificare anche dei targets terapeutici. L’identificazione della IAP prevede un processo di screening e di passi diagnostici intesi ad identificare le più comuni cause di ipertensione polmonare e stabilire il gruppo nosologico di appartenenza. (v.tabella 2) La storia naturale dell’IAP è estremamente sfavorevole. I dati epidemiologici più vecchi, quello del registro francese degli anni 1981-1987, mostravano un’aspettativa di vita mediana dei pazienti affetti da forme idiopatiche di IAP dal momento della diagnosi di 2,8 anni. La sopravvivenza dei pazienti a 3 anni è di circa il 48% ed a 5 anni del 34%. Probabilità di sopravvivenza che è inferiore al 20% a 2 anni nelle forme diagnosticate tardivamente o già con compromissione funzionale rilevante. La disponibilità di nuove terapia sta fortunatamente cambiando questo drammatico scenario. Oggi sono stati individuati e sono correntemente utilizzati farmaci che agiscono sui differenti punti di attacco: quelli noti da più lungo tempo e tuttora più efficaci sono i prostanoidi, somministrabili per via endovensa o sottocutanea continua o per via inalatoria; gli inibitori dell’endotelina, gli inibitori della fosfodiesterasi e gli stimolanti della Guanil Ciclasi, assumibili per os. Ciò che realmente sta creando la differenza rispetto al passato è però la maggiore conoscenza della malattia e la capacità di individuare la patologia nella fase iniziale onde intervenire il più precocemente possibile. Trattandosi di una malattia rara i pazienti con patologia manifesta o sospetta devono essere seguiti in un percorso eventualmente strutturato in una rete assistenziale in cui centri esperti possano garantire il corretto inquadramento diagnostico e le più opportune terapie, rendendosi disponibili per un follow up molto serrato che consenta l’individuazione della eventuale e quasi inevitabile evoluzione della malattia e le opportune modifiche nella strategia terapeutica.
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
Struttura Complessa Cardiologia Policlinico Universitario S. Matteo - Pavia
d i M A R I O P R E V I TA L I
Trattamento dell’insufficienza mitralica mediante valvuloplastica percutanea con MitraClip UNA «MOLLETTA» CON DUE BRACCI CHE CATTURANO I LEMBI MITRACILI RIPRISTINANDO LA COOPTAZIONE SISTOLICA DEI LEMBI STESSI
La riduzione del rigurgito mitralico conseguente all’impianto viene valutata con l’eco transesofageo ei paesi sviluppati l’insufficienza mitralica è dopo la stenosi aortica il secondo più frequente vizio valvolare che richiede un intervento chirurgico di correzione. Attualmente l’eziologia più frequente è quella degenerativa, seguita da quella ischemica, mentre l’eziologia reumatica è già da alcuni decenni in riduzione. Accanto all’insufficienza mitralica organica, legata a patologie di origine dege-nerativa, reumatica o endocarditica dell’apparato valvolare mitralico, sta diventando di sempre più frequente osservazione l’insufficienza mitralica funzionale, secondaria alla dilatazione ed al rimodel-lamento del ventricolo sinistro associato alla cardiomiopatia postinfartuale o primitiva, in assenza di alterazioni organiche della valvola mitralica: in tale forma, l’insufficienza mitralica è causata dall’incompleta coaptazione dei lembi valvolari, secondaria sia al tethering (stiramento) dei lembi prodotto dalla dilatazione del ventricolo che alla dilatazione dell’anello valvolare mitralico. L’insufficienza mitralica severa e sintomatica è associata ad una prognosi a medio-lungo termine sfavorevole e costituisce indicazione all’intervento chirurgico, che può essere di tipo conservativo mediante plastica mitralica o di tipo sostitutivo mediante protesi meccanica o biologica. In una percentuale
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significativa di pazienti l’intervento chirurgico è però controindicato o a rischio molto elevato per l’età avanzata, la presenza di importanti comorbidità quali insufficienza renale o respiratoria o , soprattutto nelle forme funzionali, la severa depressione della funzione ventricolare sinistra. In tali casi , l’alternativa all’intervento chirurgico può essere costituito dalla valvuloplastica mitralica per via percutanea, in quanto tale metodica è meno invasiva rispetto alla chirurgia tradi-zionale e riduce significativamente il rischio operatorio. Fra le diverse tecniche di correzione percutanea proposte ed attualmente in fase preliminare di applicazione clinica, quella che ha ottenuto la maggior diffusione ed i migliori risultati è la valvuloplastica mediante MitraClip. La MitraClip può essere paragonata ad una “molletta” costituita da 2 bracci che catturano i lembi mitralici ripristinando o migliorando la coaptazione sistolica dei lembi e riducendo il rigurgito mitra-lico. La clip è montata sulla punta di un catetere i cui movimenti all’interno delle cavità cardiache sono controllati dall’operatore mediante un braccio robotico e che viene introdotto per via venosa retrograda percutanea e posizionato in atrio sinistro attraverso la puntura del setto interatriale. Sotto monitoraggio ecocardiografico transesofageo e radioscopico la clip viene fatta passare dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro dove i 2 bracci della clip vengono aperti, posizionati in modo da ottenere la cattura dei lembi mitralici e quindi richiusi intrappolando i lembi e creando quindi un doppio orifizio mitralico. La riduzione del rigurgito mitralico conseguente all’impianto viene valutata coll’eco transesofageo e se il risultato è considerato soddisfacente (definito come una riduzione del rigurgito di almeno 2 gradi su una scala di 4) la clip viene rilasciata ed il catetere-guida ritirato. In caso di risultato subottimale, può essere impiantata una seconda ed in casi rarissimi una terza clip. L’impianto di MitraClip è stato inizialmente utilizzato nei pazienti con insufficienza mitralica degene-rativa e successivamente esteso ai pazienti con insufficienza mitralica di tipo funzionale ad alto rischio chirurgico o inoperabili. A livello mondiale la procedura è stata effettuata in alcune migliaia di pazienti e sta quindi uscendo dalla fase di sperimentazione clinica. Nei centri più esperti l’impianto è coronato da successo acuto con riduzione significativa dell’insufficienza mitralica e senza compli-canze maggiori in più del 90% dei casi. Gli studi pubblicati dimostrano
FOCUS: CUORE E DINTORNI
L’impianto di MitraClip è riservato a pazienti altamente selezionati e richiede la continua collaborazione tra cardiologi clinici e interventisti, cardiochirurghi e anestesisti
il mantenimento del risultato acuto a distanza in più del 80% dei casi, un miglioramento significativo dei sintomi e della qualità di vita ad un anno di distanza in circa 3/4 dei pazienti ed una riduzione della dilatazione ventricolare sinistra, mentre la durata del follow-up è ancora troppo breve per valutare se la procedura migliora anche la sopravvivenza a distanza. Allo stato attuale, l’impianto di MitraClip va riservato a pazienti altamente selezionati e richiede la continua collaborazione fra cardiologi clinici ed interventisti, cardiochirurghi ed anestesisti all’interno di un “Heart Team” per ottenere i risultati migliori.
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
di DIONIGI FISCHETTI
Struttura Complessa Cardiologia Interventistica Ospedale Vito Fazzi - Lecce
Interventi coronarici percutanei complessi RISULTATI ECCEZIONALI GRAZIE ALLO SVILUPPO DELLA CARDIOLOGIA INTERVENTISTICA
U
n sistema complesso per uno scienziato è un sistema non riducibile alla semplice sommatoria degli elementi che lo compongono. Secondo l’epistemologo francese Morin “nei sistemi complessi l’imprevedibilità e il paradosso sono sempre presenti ed alcune cose rimarranno sconosciute o imponderabili”. Una procedura medica è tanto più complessa quanto più parametri sono necessari per la sua descrizione, maggiore è la sua complessità maggiori sono le incertezze relative al suo successo. Nel campo della cardiologia interventistica le variabili sono relative alle condizioni cliniche del paziente (es. età, comorbilità, presentazione clinica), al quadro coronarografico (tortuosità, calcificazioni, vasi piccoli, malattia diffusa, occlusioni croniche), alla tecnologia utilizzata ed in ultimo ma non meno importante, relative alla esperienza ed alle qualità dell’ equipe di sala operatoria. Quando circa vent’anni fa ho cominciato ad appassionarmi al mondo della cardiologia interventistica, il modo di operare e la tipologia di materiali erano completamente differenti. I pazienti ottuagenari non venivano trattati (oggi siamo arrivati a fare PTCA a pz di 90 e 100 aa), mentre I pazienti mutivasali, con patologia del tronco comune o con occlusioni croniche erano di pertinenza esclusivamente chirurgica Cosa invece oggi consideriamo così complesso da non poter essere trattato in un laboratorio di cardiologia interventistica? Estremizzando il discorso fino ad essere provocatorio potrei serenamente affermare che tutte le lesioni coronariche dovrebbero essere trattate con angioplastica, con buona pace dei colleghi cariochirurghi! Tuttavia nella realtà clinica una fetta di pz beneficia ancora della rivascolarizzazione chirurgic. E’ anche vero, però, (esperienza quotidiana) che i pz a più alto rischio per i cardiochirurghi vengano giudicati spesso non operabili e siano trattati con procedure percutanee. Ma quali sono oggi realmente i casi più complessi? Innanzitutto sono i pz con severe patologie associate
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Ormai si eseguono PTCA complesse anche su pazienti che hanno superato i 90 ed anche i cento anni (instabilità emodinamica, sanguinamenti recenti, agitazione psicomotoria, pz dializzati con severe calcificazioni diffuse, pz con problemi sugli accessi vascolari, pz neoplastici), nei quali una ponderata (tranne in caso di urgenze) discussione collegiale prima di affrontare la procedura è essenziale.
PAZIENTI CON INFARTO MIOCARDICO ACUTO CON ST SOPRASLIVELLATO (STEMI) La mortalità nello STEMI è clamorosamente diminuita sia grazie ad avanzamenti farmacologici (trombolitici, antiggreganti, anticoagulanti), che grazie all’angioplastica primaria ed in particolare all’introduzione della rete per l’infarto, un modello organizzativo nel trattamento incentrato sulla diagnosi precoce e sulla riduzione del tempo preospedaliero. (1 bibl)
IL TRATTAMENTO DELLE LESIONI CALCIFICHE Un tempo la presenza di lesioni non o mal dilatabili con palloni da angioplastica era motivo di “failure” della procedura. Attualmente abbiamo sia la possibilità di riconoscere precocemente lesioni “ad alto rischio”, grazie alla ecografia (ICUS) o alla tomografia a coerenza ottica (OCT) intracoronarica, che di trattarle con palloni molto più resistenti di prima (espandibili fino a pressioni di 30-40 atm) o con dei veri e propri microtrapani chiamati rotablator. Questi ultimi sono delle frese di diametro di 1.25 mm fino a 2.5 mm che ruotano a circa 200.000 giri/min.
LA PATOLOGIA DEL TRONCO COMUNE Il tronco comune rappresenta l’origine della coronaria sinistra la cui malattia è gravata da una mortalità molto elevata. Per anni, pertanto, è stata una indicazione alla cardiochirurgia. Tuttavia l’introduzione di stent di ultima generazione ricoperti da farmaci antiproliferativi e l’uso dell’ICUS e dell’OCT ci ha permesso di rendere i risultati dell’angioplastica simili se non superiori, in alcuni casi, a quelli della cardiochirurgia. (2 bibl)
LE OCCLUSIONI CRONICHE L’ultimo punto che vorrei affrontare è il trattamento delle occlusioni coronariche croniche, argomento a me molto caro perché al momento il centro di Lecce rappresenta un riferimento regionale ed uno dei pochi in tutto il meridione. Da un punto di vista tecnico le occlusioni croniche sono le lesioni più ardue
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Le lesioni più ardue da affrontare dal punto di vista tecnico sono le occlusioni croniche
da affrontare. La tecnologia è in continua e tumultuosa evoluzione e se fino a 10 aa fa il tasso di successo era inferiore al 50-60% adesso si avvicina al 100% (anche se rimangono procedure lunghe e costose). (3 bibl) Concludendo si può affermare che le procedure complesse di ieri sono quelle semplici di oggi, cio’ che una volta giudicavamo proibitivo è diventato routine. Ci rimane solo la scelta più difficile: decidere quando fermarci.
BIBLIOGRAFIA 1. Management of Acute Myocardial Infarction in patients presenting with ST-segment elevation, European Heart Journal (2012) 33, 2569–2619 2. Morice MC, Serruys PW, Kappetein AP, et al. Outcomes in patients with de novo left main disease treated with either percutaneous coronary intervention using paclitaxel-eluting stents or coronary artery bypass graft treatment in the Synergy Between Percutaneous Coronary Intervention With TAXUS and Cardiac Surgery (SYNTAX) trial. Circulation. 2010;121:2645- 2653. Park SJ, Kim YH, Park DW, et al. Randomized trial of stents versus bypass surgery for left main coronary artery disease. N Engl J Med. 2011;364:1718-1727 3. Sianos G., Werner G.S., Galassi A.R., Recanalisation of chronic total coronary occlusions: 2012 consensus document from the EuroCTO club. EuroIntervention. 2012;8:139-145.
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di ANNA GRAZIA D’AGOSTINO
Struttura Complessa Radiodiagnostica Ospedale Perrino - Brindisi
RMN coronarica, le immagini del futuro IL CUORE «PASSATO AL SETACCIO» IN MANIERA COMPLETA E PER NULLA INVASIVA
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ell’ultimo decennio imponente è stata l’evoluzione tecnologica che ha permesso nuove applicazioni cliniche, l’accurata esplorazione di tutte le regioni anatomiche compreso il cuore, ed una migliore gestione dei pazienti. Il cuore ha rappresentato per anni l’organo più difficile da visualizzare con tecniche radiologiche quali la risonanza magnetica (RM) e la tomografia computerizzata (TC) ed è stato sempre studiato con tecniche di imaging quali l’ecocardiografia, la scintigrafia
Oggi è possibile una dettagliata analisi della funzione regionale e globale del miocardio miocardica e la coronarografia. Lo sviluppo di magneti più potenti con gradienti più rapidi e performanti, con bobine e sequenze dedicate hanno reso possibile oggi la valutazione completa del cuore dando la possibilità di studiarne, in maniera non invasiva, la morfologia, la funzione e la fisiopatologia in modo preciso ed affidabile. Tra le attuali applicazioni, l’imaging di risonanza magnetica cardiaca (RMC) ha sviluppato con accuratezza una dettagliata analisi della funzione regionale e globale del miocardio. La valutazione della funzionalità cardiaca si basa sulla quantificazione volumetrica reale calcolata su più piani, non utilizzando quindi le ipotesi geometriche che sono alla base della tecnica di imaging di singoli piani come nell’ecocardiografia. Si può così studiare la funzionalità cardiaca valutando la singola segmentazione regionale attraverso la stima della movimento parietale mediante sequenze di cineRM, cioè acquisizione di immagini in movimento ad elevata definizione, su più piani (asse corto verticale, asse lungo orizzontale, quattro camere) ed eseguire l’analisi quantitativa attraverso l’ispessimento parietale sistolico regionale assoluto o percentuale. Mediante software dedicato si può ottenere, per entrambi i ventricoli, il volume telediastolico, telesistolico, la frazione di eiezione e l’indice cardiaco. La RMC può inoltre essere utilizzata come tecnica complementare al Doppler per l’analisi della funzione diastolica, misurando velocità e flusso transtricuspidalico, transmitralico, transpolmonare e transaortico, ed è quindi validata anche come indicatore semiquantitativo
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
Mediante software dedicato si possono ottenere il volume telediastolico, la frazione di eizione e l’indice cardiaco dei due ventricoli della severità di condizioni patologiche valvolari (stenosiinsufficienza) attraverso la definizione del jet rigurgitante e la quantificazione del volume rigurgitante. L’alta riproducibilità delle misurazioni derivate fanno della RMC una tecnica ideale per il follow-up longitudinale dei pazienti e la sua riproducibilità ha portato a divenire la RMC lo standard di riferimento rispetto ad altre tecniche. Altro grande capitolo di largo interesse è lo studio della vitalità miocardica, permettendo di distinguere, nell’infarto miocardico acuto, il miocardio “stordito” dal miocardio necrotico e quindi di inviare correttamente il paziente alla rivascolarizzazione; permette inoltre di valutare nell’infarto cronico l’assottigliamento parietale, la perdita di tessuto muscolare e la sostituzione con tessuto cicatriziale che correla con l’assenza di recupero contrattile. Importante ruolo della RMC è nella valutazione dell’ischemia e della perfusione miocardica, attraverso uno studio quantitativo e semiquantitativo della stima del flusso miocardico, a riposo e sotto stress farmacologico. La RMC rappresenta la tecnica preferita per lo studio delle cardiomiopatie non ischemiche, quali le cardiomiopatie ipertrofica, dilatativa, idiopatica restrittiva, e nelle cardiomiopatie specifiche quali per esempio quelle secondarie ad amiloidosi e sarcoidosi, così come nello studio della cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e nello studio del miocardio non compatto del ventricolo sinistro. La RMC è divenuta inoltre la tecnica gold standard non invasiva per lo studio della patologia pericardica, sia di natura congenita (come le cisti dell’angolo cardio-frenico, diverticolo pericardico e difetto paricardico congenito), sia da condizioni patologiche acquisite come la pericardite acuta, associata o meno a versamento pericardico, tamponamento pericardico non altrimenti sospettato, pericardite costrittiva.
BIBLIOGRAFIA 1. A.H. Goenka, S.D. Flamm: Cardiac Magnetic Resonance Imaging for the Investigation of Cardiovascular Disorders. Part 1: Current Applications. Tex Heart Inst J 2014; 41 (1): 7-20. 2. “Risonanza Magnetica Cardiaca” - F. De Cobelli, L. Natale – Springer-Verlag, 2010
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d i M A R I A A N N U N Z I ATA C A R L U C C I O
Istituto di Fisiologia Clinica Sezione di Lecce, CNR
Dieta mediterranea, baluardo contro le malattie LE BASI SCIENTIFICHE DI UNA «ABITUDINE» ALIMENTARE MOLTO SALUTARE
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a dieta mediterranea è universalmente riconosciuta quale pietra miliare della prevenzione delle malattie croniche, delle malattie vascolari e neurodegenerative nonchè di molti tumori e per il mantenimento di uno stato di benessere (1). Col termine “dieta mediterranea”, ci riferiamo ad un profilo dietetico comunemente disponibile negli anni ‘60 nelle regioni del bacino del Mediterraneo quando le conseguenze della seconda guerra mondiale erano state superate e non vi era ancora l’avvento dell’era dei fast-food. Dal punto di vista della composizione in macronutrienti, la quota dei carboidrati, soprattutto complessi, era del 60% dell’energia totale della dieta, dei lipidi del 25-30%, costituiti principalmente da acidi grassi monoinsaturi e poliinsaturi della serie n-3, con un rapporto tra poliinsaturi n-6/n-3 di 2:1, con pochissimi grassi saturi, e delle proteine del 10-15% soprattutto di origine vegetale, rispecchiando appieno le attuali raccomandazioni in macronutrienti per una dieta equilibrata e sana. Il pattern tipico di alimenti consumati comprendeva: cereali soprattutto integrali, ricchi di carboidrati complessi e fibre, frutta e ortaggi di stagione, legumi e frutta secca, moderato consumo di pesce e un consumo limitato di carne rossa. A questo si deve aggiungere il consumo moderato e con i pasti di vino rosso e l’attività fisica costante, svolta all’aperto e soprattutto il fattore unificante di tutti i pattern dietetici mediterranei costituito dal consumo di olio di oliva, la principale fonte di grasso nella dieta mediterranea, ricchissimo di due componenti biologicamente attive e presenti in adeguato rapporto: l’acido oleico, un acido grasso monoinsaturo, e i composti fitochimici di natura polifenolica dotati di importanti proprietà biologiche non solo antiossidanti ma anche anti-infiammatorie ed anti-aterosclerotiche. Il concetto di prevenzione delle malattie cronico-degenerative con la dieta mediterranea è emerso a partire dagli anni ’50 a seguito dei risultati del Seven Countries Study che riportavano un più basso tasso di mortalità per malattie cardiovascolari e per
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Pietra miliare nella prevenzione delle malattie croniche, vascolari e neuro vegetative, di alcuni tumori e nel trattamento di un soddisfacente stato di benessere tutte le cause nelle popolazioni del bacino del Mediterraneo, rispetto al Nord Europa e agli Stati Uniti, con la dieta mediterranea come possibile fattore causale alla base di questa associazione. Da allora una serie di trial clinici randomizzati e grandi studi epidemiologici hanno chiaramente dimostrato che la dieta mediterranea tradizionale si associa, in maniera significativa e spesso superiore ai moderni approcci farmacologici, alla prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari su base aterosclerotica, ad una più bassa incidenza di malattie metaboliche (diabete di tipo 2 e sindrome metabolica), di cancro e di malattie neurodegenerative (1). La prima evidenza clinica a supporto del beneficio cardiovascolare della dieta mediterranea è stata fornita dal Lyon Diet Heart Study, un trial clinico in cui furono reclutati soggetti che avevano già avuto un evento infartuale e che erano divisi in due gruppi, un gruppo controllo che seguiva una dieta “prudente” nota come American Heart Association Step I, e un gruppo sperimentale che seguiva specifiche raccomandazioni dietetiche sulla base della tradizionale dieta mediterranea arricchita in acido alpha-linolenico, il precursore degli acidi grassi poliinsaturi n3. Dopo soli 27 mesi, si osservò una riduzione degli eventi coronarici e delle morti cardiache del 70%, effetto che persistette
dopo un follow-up di 46 mesi e che supera di gran lunga quello ottenuta dopo trattamento farmacologico con le statine, ampiamente utilizzate nella pratica clinica contro l’ipercolesterolemia. Le evidenze scientifiche del pattern dietetico mediterraneo quale strumento ottimale per la prevenzione delle malattie vascolari e promozione della salute proseguono negli anni duemila con gli studi della Trichopolou (2) in Grecia e dello studio PREDIMED, “Prevención con dieta mediterranea” (3) in Spagna. Analizzando un campione della coorte greca dell’EPIC (Studio prospettico europeo sul cancro e nutrizione ), Trichopolou e collaboratori ha rilevato che, dopo 44 mesi di follow-up, una aumentata aderenza alla dieta mediterranea, e precisamente un incremento di due punti del Med-Diet Score, è associata ad una riduzione del 25 per cento della mortalità totale. Il rapporto diventa più forte con l’età, riflettendo una aumentata esposizione cumulativa a fattori alimentari. Gli studi osservazionali sono stati confermati da successivi studi di intervento nutrizionale come quelli dello studio PREDIMED, in Spagna. PREDIMED è uno studio multicentrico, randomizzato di prevenzione primaria, in cui 7500 pazienti asintomatici ad alto rischio cardiovascolare sono stati assegnati in modo casuale a tre gruppi di intervento: due gruppi sono stati invitati a seguire una dieta mediterranea integrata con l’olio di oliva vergine (1 L / settimana) o con frutta secca (30 g / die), e un terzo gruppo ha ricevuto raccomandazioni per ridurre tutti i tipi di grassi secondo le linee guida dell’American Heart Association. L’outcome principale dello studio era un aggregato di eventi cardiovascolari (morte cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, o ictus non fatale). Dopo appena 3 mesi, erano evidenti in entrambi i gruppi di intervento del PREDIMED cambiamenti positivi nei principali fattori di rischio cardiovascolare (lipidi plasmatici, glicemia e pressione arteriosa), così come le concentrazioni plasmatiche di biomarkers infiammatori (interleuchina-6, VCAM-1 e ICAM-1). Risultati analoghi erano confermati a un anno, evidenziando una regressione dell’aterosclerosi carotidea, valutata come spessore intima-media, in aggiunta alla riduzione dei biomarker surrogati di aterosclerosi. Benchè il ruolo protettivo è ascritto alla dieta mediterranea nel suo complesso, studi clinici e sperimentali hanno sottolineato il ruolo protettivo svolto da specifici componenti della dieta mediterranea, come l’olio di oliva, il pesce, il vino rosso, con i loro principali costituenti bioattivi quali gli antiossidanti vitaminici e polifenolici, l’acido oleico e gli acidi grassi della serie n-3 che
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L’utilizzo della dieta mediterranea ha ridotto del 70 per cento gli eventi coronarici e le morti cardiache
sono stati identificati come possibili nutraceutici (nutrienti ad azione farmacologica), essendo in grado di modulare le alterazioni fisiopatologiche alla base delle malattie cronico-degenerative (46). La comprensione delle proprietà salutistiche dei nutraceutici della tradizionale dieta mediterranea e dei loro meccanismi di azione ha permesso di delineare una “dieta mediterranea” perfino “più salutare” caratterizzata da alimenti tipici della piramide alimentare mediterranea che preservino non solo i macronutrienti ma anche i micronutrienti come gli acidi grassi omega-3 ed i polifenoli risultati essere efficaci non solo nel ridurre i fattori di rischio cardiovascolare ma anche l’infiammazione alla base della malattia vascolare ateroscletotica e delle malattie cronicodegenerative.
BIBLIOGRAFIA 1. Sofi F, Cesari F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Adherence to Mediterranean diet and health status: meta-analysis. BMJ 2008;337:a1344. 2. Trichopoulou A, Costacou T, Bamia C, Trichopoulos D. Adherence to a Mediterranean diet and survival in a Greek population. N Engl J Med. 2003; 348(26): 2599-608. 3. Estruch R, Martinez-Gonzalez MA, Corella D, Salas-Salvado J, Ruiz-Gutierrez V, Covas MI, et al. Effects of a Mediterraneanstyle diet on cardiovascular risk factors: a randomized trial. Ann Intern Med. 2006; 145(1): 1-11. 4. Carluccio MA, Massaro M, Scoditti E, De Caterina R. Vasculoprotective potential of olive oil components. Mol Nutr Food Res 2007;51:1225-1234. 5. Massaro M, Scoditti E, Carluccio MA, De Caterina R. Basic mechanisms behind the effects of n-3 fatty acids on cardiovascular disease. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids 2008;79(3-5):10915. 6. Scoditti E, Calabriso N, Massaro M, Pellegrino M, Storelli C, Martines G, et al. Mediterranean diet polyphenols reduce inflammatory angiogenesis through MMP-9 and COX-2 inhibition in human vascular endothelial cells: A potentially protective mechanism in atherosclerotic vascular disease and cancer. Arch Biochem Biophys 2012;527:81-89. 1.
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d i M A R C O M ATTEO C ICCONE R O BERTA R U G G ER I
E
Istituto di Cardiologia Università degli Studi - Ospedale Policlinico - Bari
Moderni aspetti della prevenzione cardiovascolare RIDURRE L’INCIDENZA DELLE MCV PUNTANDO SU MODIFICHE DELLO STILE DI VITA E AMBIENTALI CHE RIGUARDANO L’INTERA POPOLAZIONE
L
a creazione di una rete per la prevenzione e la riabilitazione cardiovascolare si basa sul razionale di reversibilità del rischio cardiovascolare che comporta la possibilità, attraverso una riduzione dei fattori di rischio maggiori, di ottenere una sensibile riduzione degli eventi cardiovascolari o il verificarsi di eventi meno gravi. La prevenzione cardiovascolare si basa su strategie che hanno come obiettivo quello di ridurre l’incidenza delle MCV attraverso modifiche dello stile di vita e ambientali che riguardano l’intera popolazione. Questo tipo di prevenzione mira alla correzione di fattori di rischio modificabili che affondano le loro radici negli usi e costumi della società nonchè nelle abitudini del singolo (es.dieta, vita sedentaria, fumo di sigaretta). Alcuni di questi fattori di rischio tra cui una dieta ricca di grassi saturi che può comportare un rialzo dei livelli colesterolemici nel quadro di una dislipidemia possono essere corretti anche attraverso misure preventive farmacologiche. Tuttavia, nessuna di queste ultime si è dimostrata da sola in grado di ridurre significativamente il rischio di eventi cardiovascolari quanto l’adozione di uno stile di vita “sano” che si avvale di una dieta equilibrata e di regolare attività fisica rigorosamente aerobia. Di qui il motivo della particolare attenzione alla modifica degli stili di vita. Per “stile di vita” si intende generalmente l’adozione di pratiche comportamentali che si basano su modelli di comportamento consolidati nel tempo a seguito di una loro progressiva interiorizzazione durante la fase dello sviluppo infantile-adolescenziale e che derivano dall’interazione tra fattori genetici e ambientali; gli stessi sono mantenuti e talora persino incoraggiati dal contesto sociale in età adulta. Si possono infatti notare differenze comportamentali considerevoli sia tra individui diversi che mettendo a paragone gruppi sociali differenti. Il
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Incidere sui fattori di rischio privilegiando una dieta equilibrata e mettendo al bando vita sedentaria e fumo di sigaretta motivo di una generalizzata scarsa attitudine ad assumere uno stile di vita “sano” risiede nella difficoltà a modificare alcuni dei fattori suddetti che, al pari di eventuali consigli confusi forniti dal personale sanitario, incidono negativamente sulla spinta al cambiamento. Ci si propone lo scopo di migliorare l’aderenza del paziente a strategie di prevenzione secondaria attraverso un approccio multimodale raccomandato in particolar modo in soggetti ad alto rischio di eventi CV a causa della concomitante presenza in anamnesi di molteplici fattori di rischio sinergizzanti e in pazienti con MCV clinicamente manifesta. A tal proposito gli operatori sanitari devono a loro volta adottare strategie al fine di ottimizzare la comunicazione con il paziente per migliorare la compliance nei confronti del piano preventivo. La quinta task forse dell’ESC e di altre società sulla prevenzione delle MCV nel 2012 ha emanato i “dieci punti strategici” per migliorare il counseling comportamentale: 1. Instaurare un’alleanza terapeutica. 2. Fornire raccomandazioni a tutti i soggetti a rischio o con malattia cardiovascolare clinicamente manifesta. 3. Aiutare a comprendere il rapporto esistente tra comportamento e salute.
4. Aiutare ad analizzare le proprie resistenze alle modifiche del comportamento. 5. Ottenere l’impegno da parte dell’assistito a modificare il suo comportamento. 6. Coinvolgere l’assistito nell’identificazione e selezione dei fattori di rischio da modificare. 7. Adottare strategie combinate che prevedano un rafforzamento della capacità dell’assistito di cambiare. 8. Definire un programma per modificare lo stile di vita. 9. Coinvolgere altro personale sanitario quando possibile. 10. Mostrare i progressi mediante contatti di follow-up. Tra i punti suddetti il nono è quello che apre la strada alla nuova frontiera della prevenzione delle MCV basata sul tentativo di integrare al meglio le conoscenze e le competenze specifiche di tante figure professionali sanitarie quali medici ma anche infermieri, psicologi, nutrizionisti ed esperti in riabilitazione cardiovascolare e medicina dello sport. L’obiettivo rimane quello di attuare interventi comportamentali e multimodali finalizzati a contribuire e ottimizzare le strategie di prevenzione. Una prospettiva interessante é quella della creazione del ruolo di infermiere con competenze specifiche per la prevenzione cardiovascolare o di quello impegnato nella gestione del paziente con patologia cardiovascolare cronica. Queste figure, pur considerando l’attuale carenza numerica e la difficile reperibilità, dovrebbero essere presenti in tutti i livelli di assistenza, nelle strutture ospedaliere, negli ambulatori dedicati (es.ambulatori dello scompenso cardiaco) e nei Distretti territoriali per l’assistenza domiciliare. L’infermiere con formazione specifica, in stretta collaborazione con il medico, dovrebbe adoperarsi nell’ottemperamento di mansioni finalizzate al miglioramento della gestione della patologia con ampio spazio dedicato alla relativa prevenzione tra cui: educazione alla salute dei pazienti e dei familiari (counselling), misura di parametri semplici (glicemia, peso, pressione) per la monitorizzazione del paziente, educazione all’autogestione del diuretico e autoanalisi degli stessi parametri, la gestione di tecniche di telesorveglianza domiciliare con possibile monitoraggio dei parametri vitali. Inoltre potrebbe fungere da ponte nella auspicabile integrazione tra i vari attori operanti nel territorio: medici della struttura ospedaliera, medici ambulatoriali e MMG per contribuire a garantire e mantenere attiva la continuità assistenziale.
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Promuovere la formazione di infermieri con competenze specifiche per la prevenzione cardiovascolare o impegnati nella gestione del paziente con patologia cardiovascolare cronica Le proposte in merito all’argomento che potrebbero rappresentare importanti elementi di novità sono due e riguardano: 1) la creazione di presidi infermieristici di Distretto, quali strutture ambulatoriali a gestione completamente infermieristica, dedicate soprattutto alle patologie croniche, con eventuali compiti di collegamento tra MMG e strutture specialistiche 2) la presenza di unità infermieristiche presso le forme associative dei MMG, con le stesse mansioni dedicate alla gestione delle patologie croniche. Alcune evidenze indicano il ruolo favorevole di interventi estesi e prolungati che hanno dimostrato di tradursi in migliori risultati a lungo termine in relazione a “comportamenti preventivi”. Quale migliore figura dell’infermiere, dato il suo contatto stretto e spesso prolungato con il paziente può accertarsi che abbia compreso le raccomandazioni a lui rivolte dal medico e al contempo delle possibilità che ha lo stesso paziente di metterle in atto. I pazienti con patologie croniche sono spesso bisognosi di un costante e incalzante incoraggiamento ad adottare e/o mantenere modifiche dello stile di vita. In ultimo, la particolare attenzione alle strategie preventive e alla creazione di team medico-infermieristici dedicati al paziente cronico si basa sull’assunto che l’aggettivo “cronico” non è sinonimo di “senza speranze” o “terminale” ma piuttosto di paziente che necessita di attenzioni costanti nel tempo perché affetto nella fattispecie da patologia cardiovascolare destinata a persistere nel tempo e a rischio di riacutizzazioni con eventuale progressione di malattia.
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d i G I A MP I ER O E SP O S ITO
Cardiochirurgia Istituto Humanitas, Bergamo
Dissezione aortica di tipo A, ci pensa «Lupiae» UNA «RIPARAZIONE IBRIDA» MADE IN SALENTO DAI RISULTATI ECCEZIONALI
INTRODUZIONE Nella dissezione aortica di tipo A, patologia gravata da alta mortalità anche nei centri di maggiore esperienza, lo scopo dell’intervento tradizionale è quello di cercare di chiudere la lacerazione intimale principale sull’aorta ascendente per ripristinare il flusso del sangue nel vero lume, evitando o trattando alcune complicanze altrimenti letali come il tamponamento cardiaco, la dissezione coronarica, e l’insufficienza aortica acuta. Negli ultimi 20 anni i risultati sia precoci che a distanza della “classica” riparazione chirurgica con sostituzione dell’aorta ascendente, adottata nella maggioranza dei centri cardiochirurgici mondiali, si sono dimostrati non soddisfacenti. È stato dimostrato da numerosi studi internazionali che il destino del falso lume residuo dopo un intervento tradizionale di sostituzione della sola aorta ascendente in una dissezione aortica di tipo A, è sicuramente sfavorevole a causa della persistenza di ulteriori lacerazioni intimali non escluse dalla procedura chirurgica con conseguente pervietà del falso lume, compressione del vero lume e rischio aumentato di progressiva dilatazione aneurismatica, con conseguente necessità di re-intervento e una sopravvivenza a lungo termine peggiore (3-26). Questa considerazione ha portato alcuni “Aortic Center” ad adottare un approccio più aggressivo, sostituendo anche l’arco aortico soprattutto nelle dissezioni cosiddette estese, qualora cioè la lacerazione intimale venisse identificata nell’arco aortico e nella aorta toracica discendene. Nel 2005 il gruppo diretto dal dott. Esposito ha sviluppato una riparazione “ibrida” per la dissezione aortica “estesa”, la cosiddetta tecnica Lupiae, che consiste di un primo step chirurgico di sostituzione dell’aorta ascendente e dell’arco con re-routing dei vasi del collo (tronco arterioso anonimo, a. carotide sx e a. succlavia sx.) creando una “landing zone” ottimale che permette, in un secondo step endovascolare a distanza di 30 gg (effettuato
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La tecnica, adottata in tutto il mondo, è stata sviluppata dal gruppo diretto dal dottore Esposito. Ridotti notevolmente sia la mortalità che eventi ischemici o lesioni midollari in anestesia locale con puntura percutanea dell’arteria femorale comune), di posizionare un’ endoprotesi che porta ad escludere le residue lacerazioni intimali che riforniscono il falso lume. I risultati a breve e medio-termine della tecnica Lupiae in pazienti con dissezione aotica di tipo A sono già noti, mostrando Team di cardiochirurgia
Figura 1: Rappresentazione schematica della tecnica Lupiae. A: aorta nativa con dissezione aortica acuta di tipo A. B: l’aorta ascendente e l’arco aortico vengono sostituiti. I vasi del collo vengono reimpiantati sulla aorta ascendente prossimale col fine di creare una zona di atterraggio per il successivo approccio endovascolare. C: la lacerazione intimale residua in aorta discendente viene esclusa impiantando uno o più stent-graft endovascolari con atterraggio prossimale nella protesi Lupiae.
una bassa mortalità ospedaliera e ancora più bassi eventi ischemici (stroke) o lesioni midollari. In questo articolo ci concentriamo sui risultati a lungo termine raggiunti con questa metodica.
MATERIALI E METODI Dall’Ottobre 2003 all’Ottobre 2013, 89 pazienti affetti da dissezione aortica di tipo A sono stati sottoposti ad intervento chirurgico con la tecnica Lupiae. I criteri di esclusione per questa procedura sono stati l’arrivo in sala operatoria in arresto cardiaco o la presenza di severi danni neurologici pre-operatori. I pazienti erano tutti affetti da dissezione aortica tipo A estesa almeno sino alla porzione media dell’aorta discendente. Tutti i pazienti sono stati sottoposti alla sostituzione dell’aorta ascendente e dell’arco aortico con il rerouting di due (tronco arterioso anonimo e arteria carotide comune sinistra) o di tutti
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Nei pazienti destinati all’intervento, la sintomatologia più frequente era rappresentata dal dolore: toracico, addominale e toracico-dorsale i tre vasi epiaortici (comprendendo cioè anche l’arteria succlavia sinistra). Allo scopo di eseguire una ricostruzione fisiologica dei Tronchi Epiaortici e di ottenere una adeguata landing-zone per il successivo step endoprotesico, nel Marzo 2006 la Vascutek Terumo (Scotland, UK), ha prodotto su specifico disegno del Dr. Esposito un protesi multibranca dedicata a questa tipologia di interventi. La scelta di una configurazione protesica con il ramo principale simile al naturale “tronco bovino”, orientato verticalmente tra la vena Cava superiore e l’aorta ascendente, ha lo scopo di ridurre lo spazio altrimenti occupato dalle 3 singole branche sul graft principale (tipico delle protesi multi branca finora disponibili in commercio), incrementando lo spazio per la landing zone e riducendo la probabilita’ di compressione sulle branche stesse una volta chiuso il torace. Sul corpo principale della protesi sono inoltre presenti due markers radio-opachi indispensabili per un corretto posizionamento dell’endoprotesi nel secondo stadio. L’estensione della resezione è stata progressivamente ridotta, passando dall’idea di resecare il più possibile l’arco aortico all’idea di resecare l’aorta acendente prossimale, reimpiantare i vasi del collo e creare una landing zone in dacron di almeno 4 cm. L’anastomosi distale tra protesi vascolare e l’aorta nativa viene effettuata tra l’arteria carotide comune sinistra e l’arteria succlavia sinistra. Nei pazienti in cui l’arteria succlavia sinistra non poteva essere raggiunta (a causa di particolari condizioni anatomiche) il vaso veniva lasciato originare dall’arco nativo e successivamente veniva eseguito un by-pass carotido-succlavio immediatamente prima della procedura endovascolare.
LA VALUTAZIONE TAC I pazienti trattati con questa tecnica chirurgica venivano sottoposti ad Angio-TC Toraco-Addominale con m.d.c. dopo circa 1 settimana per valutare la presenza un falso lume cosiddetto “ instabile “ allorquando fossero presenti almeno 2 di questi 3 segni radiologici: 1) parziale trombosi del falso lume residuo 2) presenza di un falso lume > 22 mm, che prevale sul vero e 3) una dilatazione dell’aorta ascendente > 46 mm. I pazienti con queste caratteristiche radiologiche venivano sottoposti a procedura endovascolare. I pazienti con un falso lume non dominante, totalmente
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Sono stati studiati 80 pazienti, 53 dei quali, pari al 66 per cento, sono stati visitati regolarmente in ambulatorio trombizzato e un’aorta discendente con diametro inferiore a 46 mm venivano considerati “guariti” e veniva programmato un follow-up annuale. I pazienti che presentavano 1 dei 3 fattori di rischio radiologici sopraelencati, venivano considerati più stabili e ripetevano una TAC entro 6 mesi: in caso di falso lume ancora pervio o parzialmente trombizzato o se il diametro dell’aorta discendente risultava in progressivo aumento, rispetto alla TAC precedente, venivano sottoposti a procedura endovascolare. In caso contrario i pazienti venivano sottoposti a follow-up annuale. (fig.2).
STADIO ENDOVASCOLARE I pazienti candidati al secondo stadio endovascolare venivano trattati con impianto di uno o più stent-graft autoespandibili (Medtronic Vailant, Santa Rosa, CA USA; Jotec E-Vita, Hechingen, Germania) per via percutanea trans-femorale in anestesia loco-regionale. Il primo stent endovascolare veniva posizionato prossimalmente nell’aorta toracica dissecata utilizzando come zona di atterraggio “sicura” la protesi vascolare Lupiae identificata dai markers radio-opachi. Il posizionamento di un ulteriore stent-graft dipendeva dalla presenza di ulteriori lacerazioni intimali in aorta toracica discendente. Una Angio-TC toraco-addominale con m.d.c veniva ripetuta a distanza di 4 settimane dall’impianto per valutare la trombizzazione del falso lume residuo e la presenza di eventuali endoleaks (punti di debolezza dell’impianto endoprotesico sulla parete aortica nativa).
FOLLOW-UP Il follow-up dei pazienti trattati e’ stato di 46 ± 35 mesi. Sono stati studiati 80 pazienti dei quali 53 (66%) sono stati visitati regolarmente in ambulatorio. Per i rimanenti, i dati di sopravvivenza e di re-intervento sono stati ottenuti mediante contatto telefonico con i pazienti o con il loro medico curante. La completezza del follow-up e’ stata del 100%.
ANALISI STATISTICA Le variabili continue sono state presentate con la media ± deviazione standard. Variabili categoriali sono state presentate come numero e percentuale. Per calcolare la probabilità di
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Figura 2: gestione post-operatoria del falso lume residuo in pazienti sottoposti a riparazione per dissezione aortica con la tecnica Lupiae.
sopravvivenza è stata utilizzata la curva di Kaplan e Meir. Per il calcolo della sopravvivenza è stato calcolato con Stat-Wiew 5.0
RISULTATI Le caratteristiche pre-operatorie dei pazienti sono state raggruppate nella tabella n. 1. La sintomatologia più frequente era il dolore toracico, il dolore addominale o il dolore toracico dorsale, mentre eventi cardio-vascolari preoperatori sono stati diagnosticati in 13 pazienti (14,6 %). Solo un paziente era affetto da S. di Marfan. Nel 79,7 % dei pazienti, il flap di dissezione era esteso fino all’aorta addominale. I dati intraoperatori sono riassunti nella tabella n. 2. Dei 21 pazienti in cui era presente un rigurgito aortico di grado severo severo, 11 sono stati sottoposti a sostituzione della radice aortica con tecnica Bentall-De Bono (con protesi biologica) e 10 sono stati trattati con una procedura di “valve sparing”. La lacerazione intimale prossimale è stata più frequentemente localizzata a livello dell’aorta ascendente (62 pazienti pari al 69.6%). L’arteria succlavia sinistra è stata reimpiantata intraoperativamente nel 42% dei casi. Otto pazienti sono deceduti dopo l’intervento cardochirurgico (8,9%). Un paziente è deceduto intraoperatoriamente per rottura dell’aorta toracica discendente. Due pazienti sono morti per
Pazienti Età Maschio Diabetici BPCO Insufficienza renale cronica Toracico, dolore alla schiena o addominali Tamponamento cardiaco CVA Preoperatoria Reinterventi
89 71 ± 9.1 69 (77,5%) 13 (14,6%) 15 (16,8%) 8 (8,9%) 81 (91.0%) 32 (35,9%) 13 (14,6%) 5 (5.6%)
Reperti TC Estensione distale del lembo: Mid Discendente Distale Descending Aorta addominale
8 (8,9%) 10 (11,2%) 71 (79,7%)
Risultati Ecocardio trans toracico: Lieve o moderato AR Grave AR La frazione di eiezione (%)
68 (76,4%) 21 (26,6%) 48.6 ± 12.2
AR = Rigurgito aortico, CVA = accidenti cerebrovascolari, COPD = malattia polmonare ostruttiva cronica
Tabella 2: proceduer intra-operatorie Pazienti
89
Procedure prossimali Isolato AV risospensione AV risospensione + NCS sostituzione Sostituzione della radice aortica Valvola sparing sostituzione della radice
3 (14,6%) 11 (12,3%) 10 (11,3%)
LSA rerouting
38 (42%)
Posizione di lacerazione intimale Aorta ascendente Arco aortico Aorta discendente
18 (20.2%) 6 (62,9%) 15 (16,9%)
tempo CPB - Con isolato AVR (min) - Con la chirurgia radicale (min)
112 ± 19 184 ± 12
Tempo di cross-clamp - Con isolato AVR (min) - Con la chirurgia radicale (min)
51 ± 12 103 ± 15
Arresto circolatorio distale (min)
28 ± 7
55 (61,8%)
AV = valvola aortica. AVR = sostituzione della valvola aortica. CBP = cardiopolmonare bypass. NCS = seno non coronarico. LSA = arteria succlavia sinistra.
La Angio-TC toraco-addominale effettuata dopo tre mesi dall’intervento ha dimostrato che dieci pazienti erano completamente guariti
FOCUS: CUORE E DINTORNI
Tabella 1: caratteristiche pre-operatorie
insufficienza cardiaca, uno di questi nonostante l’impianto di un’assistenza ventricolare destra. Quattro morirono per insufficienza multi-organo ed un decesso è stato causato da una grave sepsi. Il 7,8% dei pazienti furono sottoposti a revisione chirurgica per sanguinamento. Non si sono verificati stroke post-operatori o danni spinali con paraplegia/paraparesi, ma tre pazienti hanno avuto un TIA. Tre pazienti furono sottoposti ad una procedura endovascolare in regime di urgenza per malperfusione d’organo acuta. Uno di questi morì per ischemia intestinale nonostante la procedura endovascolare. La angio-TC toraco-addominale con m.d.c. effettuata dopo circa 3 mesi dall’intervento chirurgico, ha mostrato in 10 pazienti che il falso lume si era completamente trombizzato e che il diametro dell’ aorta toracica discendente era inferiore a 46 mm. Questi pazienti sono stati considerati tecnicamente “ guariti “. Gli atri 65 pazienti presentavano almeno 2 fattori di rischio per una evoluzione negativa della residua aorta toraco-addominale dissecata e pertanto sono stati sottoposti a successiva procedura endovascolare. L’intervallo tra l’ intervento cardiochirurgico e la procedura endovascolare è stato di 3,3 ± 2,1 mesi. In 27 pazienti venne effettuato un by-pass carotido-succlavio prima della procedura endovascolare, dal momento che l’arteria succlavia sinistra non era stata reimpiantata intraoperatoriamente per problemi di accesso alla arteria stessa. Il numero medio di stent posizionati per paziente e’ stato di 1,6 ± 1. I risultati delle procedure endovascolari sono presentati nella Tabella n. 3. Un paziente è deceduto al termine della procedura endovascolare per ischemia viscerale acuta. La completa trombosi del falso lume è stata raggiunta in 59 pazienti su 64 (92,1%). La curva di sopravvivenza per la popolazione, compresi i pazienti con falso lume trattato con procedura endovascolare è descritta nella Figura 3. Il follow-up a 1, 4, 8 e 10 anni mostra un sopravvivenza rispettivamente del 98,8% ± 1,2 %, 98,8% ± 1,2 %, 93,7 ± 5 % e 62, 5 % ± 18,4 %. Dal momento che la popolazione a rischio oltre gli 8 anni è stata meno del 10 % di quella iniziale, i risultati oltre questo punto erano meno affidabili e la curva presentava una deflessione a questo livello. Nel gruppo dei pazienti con un falso lume guarito dopo riparazione per dissezione aortica ( 16 pazienti) nessun decesso si e’ verificato durante il follow-up. Nel gruppo dei pazienti sottoposti a impianto endoprotesico dopo riparazione per dissezione, la sopravvivenza
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
La terapia chirurgica della dissezione aortica estesa rimane tutt’oggi un importante challeng per il cardiochirurgo a 1, 4, 8 e 10 anni è stata rispettivamente del 98,4 % ± 1,7 %, 98,4 ± 1,7 %, 92,3 ± 7,7 % e 46,1 ± 23,3 %. Il tasso di re-intervento è stato dell’ 1,25 %: un paziente del gruppo riparazione per dissezione + procedura endovascolare ha necessitato di revisione chirurgica.
DISCUSSIONE La terapia chirurgica della dissezione aortica estesa (tipo A secondo Stanford), nonostante i progressi sia di tipo diagnostico che chirurgico ed anestesiologico rimane a tutt’ oggi un importante challeng per il cardiochirurgo, soprattutto per l’ evoluzione in senso negativo della residua aorta dissecata non trattata chirurgicamente con destino negativo del falso lume in arco aortico e aorta toraco-addominale. Dal 1994 ad oggi molti studi hanno valutato appunto il destino del falso lume residuo post intervento per dissezione aortica (3-26). La presenza di pervietà o parziale trombosi del falso lume è stato il più considerevole fattore di rischio, associato a un più rapido tasso di dilatazione aortica e di formazione di un nuovo aneurisma come dimostrati in 15 studi (3-6, 11, 14, 16-18, 2025). In 8 studi si e’ dimostrato un più alto tasso di re intervento dopo chirurgia limitata all’ aorta ascendente (3, 7, 10, 11, 13, 22, 24, 26) mentre in 6 studi si e’ evidenziata una peggiore
Figura 3: sopravvivenza a dieci anni di tutta la coorte (80 pazienti). 64 pazienti sono stati sottoposti a riparazione per dissezione aortica + impianto endovascolare; 16 pazienti sono stati sottoposti alla sola riparazione chirurgica.
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Tabella 3: risultati TEVAR Pazienti Procedura d’urgenza Procedura elettiva Mortalità ospedaliera Ictus, TIA, Paraplegia, Paraparesi AKI Endoleak tipo I Endoleak di tipo II trombosi falso lume
65 3 (4,6%) 62 (95.4) 1 (1,5%) 0 0 1 (1,5%) 4 (6,3%) 59 (92,1%)
AKI = danno renale acuto. TIA = incidente cerebrovascolare
sopravvivenza a lungo termine (11, 13, 17, 18, 23, 26). La persistenza della lacerazione intimale distale non resecata è stata invece recentemente introdotto come fattore di rischio, descritto per la prima volta nel 2007 (16). Il riscontro di questo importante concetto, che e’ legato a nuovi approcci terapeutici possibili, e’ dovuto all’ imaging ad alta risoluzione, ed è associato allo sviluppo di un nuovo aneurisma o a un più rapido tasso di crescita aortica in 2 studi (4, 5) e un più alto tasso di re-intervento in altri 2 studi (7, 16). Interpretando con cautela tutte queste evidenze, che provengono da studi di natura retrospettiva, possiamo probabilmente concludere che i pazienti con dissezione aortica che si estende all’ aorta toraco-addominale, una riparazione che coinvolge solo l’ aorta ascendente o l’ arco è sicura e di successo nel breve termine ma a lungo termine i risultati di questo approccio sono quantomeno meno prevedibili e di solito poco rassicuranti: solo il diametro basale dell’ aorta discendente e qualche volta la presenza di lacerazioni intimali distali possono essere individuati pre-operatoriamente, mentre la trombosi del falso lume non può essere predetta. La mortalità associata ad un re-intervento chirurgico sulla porzione prossimale dell’ aorta discendente è riportata essere del 12% in centri specializzati nella chirurgia aortica (28), ma noi siamo convinti che nel mondo reale e in particolare in quei pazienti con un falso lume residuo evoluti in complessi aneurismi toraco-addominali, una delle più frequenti opzioni di trattamento resta quella della terapia medica palliativa, in attesa di una evoluzione mortale della patologia. Il debranching aortico è diventato una opzione comune per gli aneurismi cronici o per le dissezioni croniche ma non ancora per le dissezioni acute (29). La nostra serie di pazienti dissecati trattati con tecnica Lupiae è quella con casistica più vasta e con follow-up più lungo rispetto alle altre serie riportate in letteratura. In questa descrizione presentiamo i risultati a 10 anni, includendo anche l’ esperienza iniziale con la tecnica Lupiae svolta dal 2003 al 2006 usando protesi vascolari custom-made. Nonostante l’ uso di differenti protesi e variabili tecniche
chirurgiche, tutti i pazienti hanno avuto una sostituzione dell’ arco e il rerouting dei vasi del collo prossimalmente all’ aorta ascendente, creando una landing zone prossimale in dacron dove era possibile effettuare con sicurezza un approccio endovascolare successivo. Abbiamo sviluppato un protocollo di follow-up strutturato per gestire questi pazienti: essi venivano classificati come guariti o a rischio di sviluppare una ritardata dilatazione dell’ aorta. Tra gli 80 pazienti seguiti al follow-up, si è verificata la completa trombosi del falso lume spontanea dopo la riparazione dell’ aorta dissecata in 16 (20%) ed è stata indotta dall’ impianto di endoprotesi in altri 59 pazienti (73,7%). Il tasso di reintervento a 10 anni con questo approccio è stato dell’ 1,25%. La sopravvivenza a 8 anni e’ stata del 100% nei paziente guariti spontaneamente dopo solo trattamento chirurgico, mentre è stata del 92,3 ± 7,7% per quelli operati per riparazione chirurgica associata a trattamento endoprotesico. Questo studio ha alcune limitazioni: uno è la mancanza di una sufficiente misura TAC durante il follow-up con il fine di comparare le misure di accrescimento dell’ aorta discendente nei vari sottogruppi. Un altro è l’ impostazione retrospettiva e la mancanza di un gruppo controllo di grandi dimensioni sottoposti a sostituzione dell’ arco convenzionale. Comunque, al momento nessuno studio randomizzato è stato mai effettuato sul confronto di trattamenti diversi per dissezione aortica. In conclusione, il più importante messaggio che deriva dalla nostra esperienza con la tecnica Lupiae in pazienti con dissezione aortica è che il rerouting dei vasi del collo a livello dell’ aorta prossimale e la creazione di una landing zone in dacron a livello del tratto prossimale dell’ arco aortico permette un maggior controllo sul destino del falso lume prevenendo e trattando tempestivamente e con una procedura a basso rischio lo sviluppo di una dilatazione aneurismatica della residua aorta toracoaddominale dissecata. Noi crediamo che nell’ era attuale e indipendentemente da qualsiasi dettaglio di procedura specifico della tecnica Lupiae, ogni chirurgo che interviene su un’ aorta dissecata si debba preparare alla sostituzione dell’ arco reimpiantando separatamente i vasi del collo, prendendo in seria considerazione l’ effettuazione del loro rerouting a livello dell’ aorta ascendente prossimale trasformando cosi un out-come imprevedibile in uno positivamente prevedibile.
FOCUS: CUORE E DINTORNI
Sviluppato un protocollo di follow-up strutturato per gestire questi pazienti che venivano classificati come guariti o a rischio di sviluppare una ritardata dilatazione dell’aorta BIBLIOGRAFIA 1) Kim JB, Chung CH, Moon DH, Ha GJ, Lee TY, Jung SH et al. Total arch repair versus hemiarch repair in the management of acute DeBakey type I aortic dissection. Eur J Cardiothorac Surg 2011;40:881–7 2) Easo J, Weigang E, Hölzl PP, Horst M, Hoffmann I, Blettner M, et al. Influence of operative strategy for the aortic arch in DeBakey type I aortic dissection: analysis of the German Registry for Acute Aortic Dissection Type A. J Thorac Cardiovasc Surg. 2012;144:61723 3) Tsai MT, Wu HY, Roan JN, Tsai YS, Hsieh PC, Yang YJ, et al. Effect of false lumen partial thrombosis on repaired acute type A aortic dissection. J Thorac Cardiovasc Surg. 2014 Feb 12. pii: S00225223(14)00159-7. doi: 10.1016/j.jtcvs.2014.02.003. 4) Kim YS, Kim JH, Kim JB, Yang DH, Kang JW, Hwang SK, et al. Influence of radiologically evident residual intimal tear on expansion of descending aorta following surgery for acute type I aortic dissection. Korean J Thorac Cardiovasc Surg. 2014; 47: 6- 12. 5) Unosawa S, Hata M, Niino T, Shimura K, Shiono M.Prognosis of patients undergoing emergency surgery for type A acute aortic dissection without exclusion of the intimal tear. J Thorac Cardiovasc Surg. 2013; 146: 67-71. 6) Larsen M, Bartnes K, Tsai TT, Eagle KA, Evangelista A, Nienaber CA, et al. Extent of preoperative false lumen thrombosis does not influence long-term survival in patients with acute type a aortic dissection. J Am Heart Assoc. 2013; 2: e000112. 7) Krähenbühl E, Maksimovic S, Sodeck G, Reineke D, Schoenhoff F, Schmidli J, et al.What makes the difference between the natural course of a remaining type B dissection after type A repair and a primary type B aortic dissection? Eur J Cardiothorac Surg. 2012;41:e110-5 8) Kim JB, Lee CH, Lee TY, Jung SH, Choo SJ, Lee JW, et al. Descending aortic aneurysmal changes following surgery for acute DeBakey type I aortic dissection. Eur J Cardiothorac Surg. 2012;42:8516 9) Evangelista A, Salas A, Ribera A, Ferreira-González I, Cuellar H, Pineda V, et al. Longterm outcome of aortic dissection with patent false lumen: predictive role of entry tear size and location. Circulation. 2012; 125: 3133-41. 10) Concistrè G, Casali G, Santaniello E, Montalto A, Fiorani B, Dell’Aquila A, et al. Reoperation after surgical correction of acute type A aortic dissection: risk factor analysis. Ann Thorac Surg. 2012; 93: 450-5. 11) Song SW, Chang BC, Cho BK, Yi G, Youn YN, Lee S, et al. Effects of partial thrombosis on distal aorta after repair of acute DeBakey type I aortic dissection. J Thorac Cardiovasc Surg. 2010;139:841-7. 12) Park KH, Lim C, Choi JH, Chung E, Choi SI, Chun EJ, et
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FOCUS: CUORE E DINTORNI
Nessuno studio randomizzato è stato mai effettuato sul confronto di trattamenti diversi per dissezione aortica
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ROTTA SULLA REGIONE
di MICHELE EMILIANO
Un Consiglio superiore della Sanità per la Puglia SARÀ FONDAMENTALE LA COLLABORAZIONE DI UN ORGANISMO AUTONOMO, ESTRANEO ALLA POLITICA E RAPPRESENTATIVO DI TUTTI GLI ADDETTI AI LAVORI
C
andidarsi alla guida della regione Puglia significa in primo luogo farsi carico del compito di governare la sua sanità. Per me le politiche per la salute non sono un concetto astratto, ho sufficiente esperienza per sapere che dietro ogni singola azione, investimento, scelta, taglio in materia sanitaria c’é una diretta ricaduta sulla vita delle persone. Così come sono consapevole che la qualità dell’aria, l’inquinamento, gli stili di vita, incidano in maniera decisiva sulla salute e sulla vita dei cittadini. Sul rilancio della sanità pugliese, purtroppo ancora oggi fanalino di coda delle classifiche nazionali, si gioca la vera partita del prossimo presidente della regione. Io ho le idee molto chiare in proposito, per rendere la macchina amministrativa slegata da condizionamenti ed efficiente bisogna liberarla dalla cattiva politica, dalle spartizioni partitiche, dalle influenze che hanno lo scopo di favorire interessi personali e non il bene comune. Bisogna soprattutto liberare i bravi medici e i bravi manager dai mediocri politici che tentano di avere consenso attraverso di loro. Mi chiedo, e stiamo lavorando su questo, se i poteri di nomina dei direttori generali non possano essere esercitati dai presidenti delle Regioni su indicazione di un organo collegiale, anche di natura elettiva, che rappresenti tutto il mondo della sanità: il personale, gli accademici, il mondo delle professioni, anche i pazienti. Immagino l’istituzione di un Consiglio superiore della sanità regionale che si occupi di selezionare curricula e indicare al presidente della Regione i nomi dei direttori generali, oltre che indicare, seguire
e controllare le carriere di tutti. Non che questo eviti gli errori, ma vi immaginate se il procuratore di Bari o di Roma fosse scelto dai politici? Oggi nella Sanità accade qualcosa di simile. Il Consiglio superiore della Sanità, senza costi aggiuntivi per la regione, dovrà scegliere i migliori medici per le loro competenze e non per le tessere di partito. Un organismo autonomo, senza compensi e senza carrozzoni, che individui direttori generali, sanitari e amministrativi, ma anche i primari, in modo che non siano i politici a scegliere in base all’appartenenza, ma solo addetti ai lavori in base al merito. Il potere politico deve dare gli indirizzi generali, stanziare le risorse necessarie, effettuare i controlli a garanzia del corretto funzionamento dell’amministrazione. Oggi invece viviamo ancora il paradosso che se un cittadino si sente male, prima di chiamare il suo medico quasi certamente cercherà il consigliere o il politico di turno col retropensiero che solo così potrà ricevere un buon trattamento. Stessa anomalia sono quei politicanti da strapazzo che, solo per aver un po’ di voti, pretendono di decidere il nome di un direttore generale delle Asl. Quando qualcuno è un medico in gamba, non dovrà andare più da un Presidente di Regione o da un consigliere regionale per farsi promuovere, ma presenterà semplicemente il suo curriculum. C’è una lunga battaglia culturale e di emancipazione dai vecchi luoghi comuni da avviare. E qualcuno la deve pur cominciare. Questa è anche la ragione per la quale ho deciso di metterci la faccia su questa sfida, annunciando che, in caso di vittoria
Non dovranno più essere i politici a determinare le scelte dei direttori generali, sanitari e amministrativi, primari. L’unico elemento discriminante dovrà essere il merito
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delle elezioni, terrò per me la delega alla sanità. Tenere la delega alla sanità non è un gesto di potere ma un gesto di servizio. Non si può avere paura di mettere la faccia sulla sanità. Io sono Michele Emiliano e mi assumo la responsabilità di milioni di persone che hanno il diritto di essere curati con rispetto dei loro diritti e nella maniera migliore possibile. Come ho detto, il complesso del sistema pugliese ancora non funziona, non siamo riusciti in questi anni a tirare su la prua di questo aereo. Tutti i giornali hanno riportato il dato che siamo i penultimi in Italia nei servizi, nella velocità e nell’eccellenza. Non sono matto, non farò tutto da solo: rinforzerò l’ARES l’Agenzia regionale sanitaria della Puglia mettendoci i migliori giovani per farmi aiutare. C’è un altro aspetto che a me interessa molto promuovere ed è un nuovo metodo di governo fondato sulla partecipazione. Già in questa campagna elettorale stiamo costruendo dal basso il nostro programma, tornando ad ascoltare i cittadini pugliesi, ricominciando a studiare la Puglia, a conoscerla nel profondo, coinvolgendo chi la regione la vive. Le Sagre del programma sono sei grandi appuntamenti, uno per provincia, durante i quali migliaia di persone partecipano alla stesura del programma portando le loro idee, proposte, visioni. Cittadini, partiti, movimenti, mondo dell’impresa, associazionismo, amministratori, mondo delle professioni, stanno ragionando e costruendo insieme a me le risposte per i problemi e le domande dei territori. E’ l’inizio di un cammino entusiasmante, che si ispira alla democrazia partecipativa e che vogliamo continuare con coerenza, anche negli anni a venire, se andremo al governo della regione. Per questo se vinceremo, faremo approvare subito una legge regionale sulla partecipazione che consentirà ad esempio, ogni anno di controllare lo stato di attuazione del programma. Ma non solo. La volontà popolare deve contare ed orientare le scelte della politica. I cittadini non sono sudditi, ma soggetti attivi del
ROTTA SULLA REGIONE
Il mio sarà un governo fondato sulla collaborazione e nella Sanità ci metterò la faccia conservando per me la delega
governo. In un momento di crisi della politica e di trionfo dell’antipolitica vogliamo organizzare degli spazi permanenti di dibattito in cui i cittadini possano esprimere il loro parere su determinate questioni. Ed è ovvio che la sanità rappresenta il cuore delle scelte. La possibilità di mantenere a livello istituzionale una consultazione permanente con i territori può essere davvero una formula rivoluzionare per innovare il settore.
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ROTTA SULLA REGIONE
di FRANCESCO SCHITTULLI
Basta con gli uomini attaccati alle poltrone del potere CHI HA MAL GOVERNATO PER DIECI ANNI DEVE FARSI DA PARTE. MI CANDIDO PER UN SOLO MANDATO
L
a Puglia ha bisogno di discontinuità e di uomini che non siano attaccati alle poltrone del potere. La politica non è un lavoro ma è prendersi cura dei bisogni della persona, della collettività. Il mio progetto è sicuramente alternativo a chi desidera candidarsi all’ennesimo quinquennio. Se sarò eletto presidente della Regione Puglia infatti farò soltanto un mandato. Sono convinto che tutti debbano dare il proprio contributo per migliorare il proprio Paese, ma senza che questo diventi un mestiere. La mia idea di “rottamazione” è nei fatti e non uno “slogan”, perché come dice lo stesso premier Matteo Renzi “dopo dieci anni di esperienza bisogna lasciare la politica”. Il centro destra pugliese ha una grande sfida davanti: ribaltare dieci anni di contraddizioni, con radicale cambiamento e profonda discontinuità. La Puglia in questi dieci anni è rimasta indietro su molti fronti. Non serve elencare problematiche che sono agli occhi di tutti o disegnare un excursus di ciò che non funziona. Mi limito ad osservare solo la cronaca di questi ultimi giorni. Ci sono ad esempio tre date che inchiodano la Regione Puglia a precise responsabilità e che la rendono colpevole di tre immani catastrofi pugliesi: il 6 settembre e il 26 settembre 2014 e in ultimo il 3 marzo 2015. Il 6 settembre le meravigliose marine di Rodi Garganico e Peschici venivano devastate da un alluvione a causa della mancata pulizia dei canali per far defluire le acque piovane che arrivano
dalla Foresta Umbra. Un disastro che fece registrare due vittime e milioni di danni alle strutture ricettive e alle campagne, oltre che alle infrastrutture. Il 26 settembre, ancora, il Ministero dell’Agricoltura emanò un decreto d’urgenza con il quale si obbligava la Regione a mettere in atto una serie di misure per contenere il contagio della Xylella, che da oltre quattro anni sta lentamente divorando il simbolo della nostra Puglia, l’ulivo. Il 3 marzo, infine, è diventata Legge il Decreto Ilva. La Regione completamente commissariata sulla vertenza più importante inerente il piano ambientale-occupazionaleindustriale-sanitario della Puglia. Un totale fallimento delle Politiche regionali che sta producendo effetti nefasti su tutti i fronti: produzione bloccata, ambiente malato, un popolo di cassintegrati e un indotto di disoccupati. Peggio di così non si poteva fare! Per l’alluvione del Gargano sono stati versati solo adesso i tanto attesi 10.500.000 euro assegnati dal Governo con lo stato di emergenza, mentre ora c’è l’ennesima emergenza e come sempre toccherà agli operatori locali rimboccarsi di nuovo le maniche per riparare ai danni prodotti per riaprire le strutture turistiche. E quando si predisporrà un operativo piano per la messa in sicurezza? Ma anche il Sud della nostra Puglia vive giornate di fibrillazione. Si inizia da Oria con l’eradicazione dei primi ulivi ammalati (nella zona cuscinetto) e la Regione è stata commissariata
Dissesto geologico, Ilva e Xilella: tre disastri di cui qualcuno dovrebbe dare conto ai cittadini pugliesi. Chi poteva prevenire non è stato capace di farlo
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proprio per la sua incapacità di gestire la situazione. Dissesto idrogeologico, Ilva e Xylella stanno devastando quanto di più bello noi abbiamo: il nostro meraviglioso territorio terra/mare che sono fonte di Turismo e Agricoltura. E’ ora che i responsabili abbiano un nome, così come lo hanno tutti coloro che sotto le luci dei riflettori e dei media fanno passerelle sulle zone del disastro dal Nord al Sud della Puglia, per poi nulla fare nella concretezza dei fatti. E cosa dire invece di ciò che rappresenta il vero e proprio cancro del nostro territorio, ovvero della Sanità? Non sono mie personali annotazioni ma condanne che arrivano dall’alto, dal Ministero della Salute. La Puglia è la penultima Regione per le prestazioni sanitarie in base a coefficienti obiettivi, i LEA (Livelli Essenziali Assistenziali). Da anni ormai i pugliesi hanno una delle Sanità peggiori d’Italia sul piano della prevenzione, sull’assistenza agli anziani (quella domiciliare è praticamente sconosciuta), sugli ospedali (per ricoveri inappropriati), sull’emergenza (per la poca efficienza del servizio 118). Di contro i pugliesi hanno la più costosa delle Sanità, fra ticket, super ticket, lista d’attesa, e così via. La “bocciatura”, senza se e senza ma, nel triennio 20112013, accertata obiettivamente, si è registrata quando l’Assessorato è stato nelle mani di esponenti del Pd. Allora mi chiedo: come può essere credibile il candidato Presidente alla Regione per la sinistra, segretario regionale proprio del Pd, quando sostiene di voler rivoluzionare l’attuale pessimo sistema sanitario del quale lui è il primo responsabile politico? Lo stesso che ha vinto le primarie proprio per essere stato avvantaggiato dall’essere il segretario regionale del Pd. Ora non può prendere in giro i pugliesi, marcando distanze da quello che fanno i suoi consiglieri e assessori regionali Lui è il segretario regionale dal 2007 a tutt’oggi ed è il primo responsabile della pessima politica regionale che ha prodotto dieci anni di disastri! E poi, come sono stati gestiti i fondi dell’unione europea? Sono anni ed anni che viviamo dei cosiddetti “progetti sponda”, pur di raggiungere il tetto di spesa fissato dalla UE. Progetti sponda che oltre a rappresentare sul piano qualitativo una delle peggiori produzioni delle pubbliche amministrazioni, denota un atteggiamento d’incapacità di allestire interventi significati con ricadute concrete, per i relativi finanziamenti.
ROTTA SULLA REGIONE
Al centro del mio progetto ci sono la Sanità, l’occupazione, i servizi, i giovani, la ricerca, il ruolo centrale, costituzionale, della Regione La Regione non deve stare a guardare, come ha fatto sino ad oggi. Deve predisporsi, nell’immediato, a dare corpo alla programmazione europea 2014-2020. All’interno di essa ci può, anzi ci deve essere tutto lo spazio possibile per mettere in cantiere interventi significativi, concreti, dai quali possano scaturire numerose opportunità per nuovi posti di lavoro. Mi riferisco ai temi, agli obiettivi, alle azioni ed ai risultati che il programma chiaramente definisce. E, allora? Dobbiamo presentare progetti per abbassare l’attuale tasso di disoccupazione tra i 20 e i 64 anni, per investire il 3% del prodotto interno lordo in ricerca e sviluppo, per sostenere le piccole e medie imprese, per ridurre l’abbandono scolastico, per incentivare la meritocrazia nei giovani, per abbattere il numero delle persone a rischio povertà. Il mio modello di Regione punta ad abbattere i muri tra istituzioni, enti locali e cittadino. Non basterà approvare una legge, bisogna essere realisti: o riusciamo a costruire una condivisione con i soggetti che operano nel territorio e per il territorio, o sarà difficile realizzare qualsiasi risultato. Niente governance barocca, nessuna forma di centralismo regionale e riordino delle funzioni provinciali sul territorio regionale, a seguito della contestatissima riforma delle Province che la Regione non riesce ancora a governare. Sarà il caso di riscoprire il “ruolo originario”, costituzionale della Regione che, come ente di legislazione, programmazione, direzione e controllo, delega ai comuni l’esercizio e la gestione di funzioni amministrative, tali da intercettare i bisogni di una comunità sempre più interessata territorialmente a fruire di servizi al passo con i tempi. Potrebbe essere quella del 20152020, una legislatura di svolta e di rifondazione dell’Istituzione regionale.
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d i A NTONELLA L ARICCHIA
Un nuovo modello di Sanità pubblica CI SI È CONCENTRATI SU MAI COMPLETATI PIANI DI RIORDINO SENZA RIUSCIRE A RISOLVERE I PROBLEMI CHE SONO RIMASTI SEMPRE GLI STESSI
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l programma elettorale del M5S per la sanità pugliese propone un nuovo modello di sanità pubblica che risolva alla radice i problemi che ogni cittadino affronta per godere del proprio diritto costituzionale di tutela della salute. Negli ultimi decenni il focus delle amministrazioni è stato puntato quasi esclusivamente ed ossessivamente ad obiettivi di carattere finanziario perdendo completamente di vista la loro missione principale. Ci si è concentrati su mai completati Piani di Riordino Sanitari, costruendo, ristrutturando e demolendo in un folle monta e smonta continuo che ha lasciato solo macerie sia dal punto di vista gestionale che da quello amministrativo e delle risorse umane e professionali. I problemi sono però rimasti gli stessi, quando non peggiorati. Non era d’altronde possibile aspettarsi altro da scelte fatte senza alcuna pianificazione basata su dati scientifici ed attuata con metodi e finalità che solo le inchieste giudiziarie ancora oggi in corso, forse, riusciranno un giorno a spiegare. Non c’è in realtà nulla di strabiliante o eccezionale in ciò che il Movimento5Stelle propone, la semplicità è sempre amica della trasparenza e per questo malvista da chi amministra in cattiva fede. Spesso si tratta semplicemente di applicare leggi già esistenti ed in vigore, ma oggi ignorate da un sistema in se malato. Il progetto del Movimento 5 Stelle per la sanità in Puglia si articola su 5 punti: Cittadini protagonisti, Sanità a km. 0, Trasparenza ed efficienza, Prevenzione, Sostenibilità economica.
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Al centro del progetto salute va posto il cittadino garantendo a tutti prevenzione, cura e assistenza
1. CITTADINI PROTAGONISTI
Il sistema sanitario deve essere costruito intorno alle esigenze di salvaguardia della salute, ponendo l’interesse del Cittadino al centro e collocandogli intorno quanto sia necessario a garantirgli prevenzione, cura ed assistenza. Il cittadino deve quindi costituire il baricentro del sistema sanitario intorno al quale ruotano tutti gli interessi e tutte le professioni in relazione con lo stesso (medici, infermieri, tecnici, ecc.).
2. SANITÀ Km. 0 Ristrutturare la logistica sanitaria mediante l’implementazione di: Case della salute/Poliambulatori territoriali, Ospedali di comunità, Distribuzione domiciliare dei farmaci, Riforma dei Piani Sociali di Zona, Avvio e potenziamento di tutti i tipi di assistenza domiciliare.
A. Case della Salute/Poliambulatorio territoriale In ogni paese o quartiere o ambito territoriale che risulti coerente con i parametri prescelti si dovrebbero individuare e mettere a disposizione strutture adeguate ad ospitare in un unico plesso o unica area gli ambulatori dei medici di medicina generale, gli studi dei medici specialisti territoriali eventualmente presenti, il servizio di guardia medica (se esistente in loco) e la postazione 118 (se esistente in loco). La Casa della Salute può essere operativa (a secondo dei servizi presenti) 12 o 24 ore al giorno ed ha sicuramente il compito di diventare un punto di riferimento territoriale sanitario in grado di fare da filtro per i codici bianchi
e verdi di Pronto Soccorso. I siti devono essere individuati prevalentemente fra edifici o aree pubbliche in disuso dopo averle opportunamente recuperate e ristrutturate.
B. Ospedali di Comunità L’Ospedale di Comunità costituisce un’innovativa modalità assistenziale di tipo intermedio. Risponde alla necessità di affrontare nel modo più appropriato ed efficace quei problemi di salute usualmente risolvibili a domicilio ma che, in particolari pazienti, in condizioni di particolare fragilità sociale e sanitaria (pazienti molto anziani o soli affetti da più malattie che si scompensano facilmente, ecc.) richiedano di essere assistiti in un ambiente sanitario protetto. Qualora il classico ricovero ospedaliero in un reparto di medicina fosse valutato quale sovradosato rispetto allo stato clinico del paziente, pur bisognoso di assistenza ma non comunque in condizioni di acuzie, il medico curante potrebbe ricorrere all’Ospedale di Comunità.
C. Organizzazione della distribuzione domiciliare dei farmaci Su richiesta, avvalendosi di una rete sinergica tra ASL, personale delle Poste, Farmacie, comune/quartiere, coinvolgendo il Volontariato e l’Associazionismo.
D. Riforma dei piani sociali di zona Devolvere le competenze regionali e degli uffici di piano, direttamente ai comuni e non ai distretti. Sarà cura dei comuni realizzare la progettazione partecipata ed indire gare e bandi autonomamente. Alla regione spetta invece la decisione di una maggiore erogazione di risorse per le aree particolarmente in difficoltà.
E. Avvio e potenziamento di tutti i tipi di assistenza domiciliare (ADI, SAD, ecc) Prima di inserire una persona in comunità (anziani, pazienti psichiatrici e minori) viene introdotta l’obbligatorietà di valutare la possibilità di affidamento in famiglie o presso gli stessi parenti, con il supporto dell’home maker a domicilio, assistenza specialistica integrata domiciliare. La regione sosterrà tali famiglie con maggiori risorse da destinare agli assegni d’accompagnamento ed ai Voucher-Buono universale per i servizi alla persona e alla famiglia.
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Una rimodulazione delle carriere degli operatori sanitari potrà garantire una maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi 3. TRASPARENZA, EFFICIENZA ED INNOVAZIONE L’attuale concezione della filiera assistenziale e del rapporto della stessa con i cittadini necessita di una rimodulazione complessiva che passi attraverso: A. Formazione universitaria specialistica decentrata in collaborazione UU.SS. ASL B. Rimodulazione delle carriere degli operatori sanitari C. Potenziamento ed ampliamento dell’assistenza sanitaria riabilitativa D. Potenziamento dei centri di Pronto Soccorso ed inquadramento professionale della figura del soccorritore E. Maggiore attenzione nelle problematiche dell’universo femminile F. Sperimentazione ospedali per intensità di cure G. Informatizzazione del sistema nel suo complesso H. Promozione della filosofia dell’evidence based ed incentivazione della ricerca con la collaborazione del polo universitario I. Istituzione dell’ispettorato regionale “adozioni Nazionali ed Internazionali” J. Implementazione delle attività di controllo regionale in materia di affido minori
A. Formazione universitaria specialistica decentrata in collaborazione UU.SS. ASL Con sistemi di valutazione della qualità dell’insegnamento, anche da parte degli studenti, al fine di favorire un’entrata efficace ed efficiente dei giovani medici nel mondo del lavoro, contrastando così la declassificazione del sistema pubblico a favore di quello privato.
B. Rimodulazione delle carriere degli operatori sanitari Anche questo punto rappresenta un fattore critico dell’efficienza della “filiera sanità”. In un Sistema Sanitario efficiente è inevitabile immaginare una graduazione strutturale a diversa intensità di cura, laddove la competente periferica affronti in prima istanza la gran massa delle patologie con funzioni di filtro, di indirizzo e, successivamente, di monitoraggio delle stesse. All’interno di questo cerchio ideale è da immaginarsi un progressivo incremento dei livelli di intensità di cura fino a
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Non servono nuovi ospedali ed altre colate di cemento. Vanno privilegiate la lotta alla corruzione e la tutela del territorio giungere, ipoteticamente, agli ospedali ad alta intensità. I livelli di stress, di impegno fisico, di necessità di aggiornamento in tali settori del sistema, se sono facilmente sostenibili durante i primi anni della carriera di un operatore, diventano inevitabilmente eccessivamente onerosi nella curva finale della vita lavorativa dello stesso. Contemporaneamente, il periodo trascorso nelle strutture a maggiore impegno professionale ed operativo induce il crearsi di un patrimonio professionale e di esperienza inestimabile e che potrebbe essere messo a frutto anche quando le energie fisiche dell’operatore si trovassero in fase calante. È utile pertanto immaginare dei percorsi che favoriscano la migrazione volontaria senza penalizzazione economica delle professionalità dai sistemi a maggiore impegno operativo verso le strutture territoriali a minore intensità. Tale modello potrebbe essere esteso a qualunque campo dell’assistenza sanitaria, immaginando in tal modo una graduale migrazione dei medici più anziani verso il territorio e sostituzione, nelle strutture ospedaliere per acuti, con giovani medici specialisti sicuramente più dinamici, aggiornati sulle tecniche più recenti e più adatti a sopportare i livelli di stress che una struttura ad alta intensità di cura può determinare.
C. Potenziamento dei centri di Pronto Soccorso ed inquadramento professionale della figura del soccorritore Qualsiasi pronto soccorso deve essere in grado di trattare ogni paziente stabilizzandolo, destinandolo all’eventuale reparto dell’ospedale provinciale e trasportandolo rapidamente con apposite ambulanze. Ogni Pronto Soccorso deve essere dotato di aree di osservazione, con personale dedicato.
D. Maggiore attenzione nelle problematiche dell’universo femminile Introduzione del Codice Rosa: percorso diagnosticoterapeutico-assistenziale per tutte le vittime di violenze). In realtà si tratta di potenziare l’intero sistema di prevenzione cura e monitoraggio delle patologie della donna e di tutte le vittime di violenza, iniziando ad attuare, ad esempio, la legge recentemente approvata in Regione in relazione al problema dell’endometriosi.
E. Sperimentazione ospedali per intensità di cure Introduzione, come avvenuto in altre regioni ed in via
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sperimentale, di questa modalità gestionale ed organizzativa dell’assistenza ospedaliera.
4. PREVENZIONE La sanità pubblica, deve prendersi cura con appropriatezza dei cittadini “malati” ma deve operare anche nei confronti dei cittadini “sani” con misure atte a prevenire o limitare il rischio che questi si ammalino. Questo concetto si deve esplicare promuovendo la messa in atto di prevenzioni primarie ambientali, informative ed educative finalizzate a migliorare nel loro insieme la qualità della salute e quindi la qualità della vita degli stessi cittadini. In particolare, mediante: – l’immediata introduzione del Registro Tumori su tutto il territorio regionale; – prevenzione primaria (eliminazione/riduzione rischi ambientali); – un’informazione puntuale, trasparente e comprensibile; – sensibilizzazione ai corretti stili di vita ed al monitoraggio delle caratteristiche dell’ambiente.
5. LOTTA ALLA CORRUZIONE/SOSTENIBILITA’ ECONOMICA Cronache processuali ci raccontano che dietro la costruzione di nuovi ospedali si creano reti di malaffare e corruzione. Non ci servono cattedrali nel deserto, non vogliamo ulteriore cemento, non ambiamo ad altre superstrade di collegamento: vogliamo semplicemente efficienza, competenza, trasparenza. Emblematico il caso di Taranto dove disponendo di due ospedali se ne vuole costruire un terzo. I finanziamenti regionali per la costruzione di nuovi ospedali devono essere prevalentemente destinati per l’ammodernamento ed implementazione dell’efficienza di quelli già in uso nonché per l’attivazione di una rete efficiente di collegamento tra gli ospedali.
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d i A D R I A N A P O L I B O RTO N E
Dieci anni disastrosi, serve una nuova governance REGIONE BOCCIATA DAL MINISTERO DELLA SALUTE. DOVREMO LAVORARE SODO PER RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO
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essuna polemica, ma quali siano oggi l’adeguatezza quantitativa, la tempestività di risposta e la qualità del sistema sanitario pugliese è sotto gli occhi di tutti: non ha bisogno né di esposizione né di commenti. Basta guardare il “punteggio di rendimento” che annualmente viene assegnato dal Ministero della salute ad ogni Regione italiana: la Puglia risulta penultima per l’efficienza dei servizi socio – sanitari! Era già penultima nel 2011 e nel 2013, terzultima nel 2012: questo il risultato oggettivo della “rivoluzione del sistema sanitario” su cui si basò la vittoria di Vendola nel 2005. Un risultato negativo a causa della scarsa qualità delle prestazioni garantite secondo i LEA: assistenza sanitaria collettiva (prevenzione sanità veterinaria, vaccinazioni, medicine legali); assistenza ospedaliera (pronto soccorso, day hospital e dei surgery, riabilitazione e strutture per lunga degenza); assistenza distrettuale (servizi sanitari e sociosanitari, strutture residenziali e semiresidenziali). Nonostante le belle parole e le fantasmagoriche promesse la sanità pugliese, nel suo complesso non soddisfa minimamente le esigenze dei cittadini.
dall’accreditamento delle prestazioni. Indicazioni ormai datate da 10 anni rispetto alle quali la Regione Puglia è decisamente arretrata. Solo dopo numerose diffide del Ministero circa un mese addietro (11/3/2015) la Regione Puglia ha istituito i Presidi Territoriali di Assistenza attraverso una pseudo - riforma che non risolve il pur annoso problema; in primo luogo perché contesta con le direttive della Commissione Nazionale sui LEA tendenti a prevedere delle strutture dotate di vari livelli assistenziali, sia da evitare il trasferimento dei pazienti da una struttura all’altra. Una finta deospedalizzazione, una disattenzione verso le recenti strutture private sorte in tutta la regione con cofinanziamenti sui fondi FAS; una inquietante assenza di programmazione e pianificazione in merito al reale fabbisogno dei posti letto per persone non autosufficienti: tutte negatività che connotano la mancanza di interventi efficaci sul territorio pugliese.
Il primo obiettivo da porsi è quello dell’eccellenza che si ottiene con un serio e codificato controllo dell’appropriatezza delle prestazioni
La Commissione Nazionale del Ministro della salute ha dato delle indicazioni in merito alle prestazioni residenziali e semiresidenziali con riferimento alla tutela delle esigenze della Persona. Sicché il vecchio modello di accreditamento della struttura deve essere più efficacemente sostituito
Il primo obiettivo da porsi è quello della eccellenza, che si persegue: con un serio e codificato controllo di appropriatezza delle prestazioni, da basare su criteri di efficienza sia di carattere sanitario sia di carattere amministrativo, oltre che di rispetto rigoroso della legge e della legalità; – con l’individuazione dei costi standard, esito di una valutazione scientifica, non improvvisata o disomogenea per aree territoriali; – con la spinta verso il miglioramento continuo della qualità
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In una organizzazione moderna della Sanità, i medici di famiglia rappresentano una risorsa di fondamentale importanza degli erogatori: pubblici e privati, senza alcun pregiudizio e superando le discriminazioni che hanno riguardato, in tempi recenti, strutture di valore come la ‘Casa Sollievo della sofferenza’ di S. Giovanni Rotondo o il ‘card. Panico’ di Tricase; – col contributo della ricerca scientifica, per rendere sistematica la verifica delle prestazioni, utilizzando strumenti già sperimentati in altre Regioni; – con la trasparenza dei risultati, che permetta al cittadino la possibilità di scegliere consapevolmente; – con la collaborazione senza soluzione di continuità fra sistema sanitario e sistema dei servizi sociali, evitando che le carenze dei secondi gravino sul primo; – con un unico centro di pagamento delle differenti prestazioni, a tutela della tempestività degli adempimenti a carico della Regione e della omogeneità delle singole voci di spesa.
Bisogna rivedere la struttura di governance nella sanità. al cui interno ognuno deve svolgere fino in fondo il proprio ruolo, senza sconfinamenti e senza surroghe. Occorre razionalizzare la corposa normativa regionale in materia sanitaria con un testo unico. Poiché la materia organizzativa (assegnata in via esclusiva alle regioni) acquista, nella letteratura scientifica più recente, dignità di strumento di garanzia dei livelli essenziali di assistenza, in tale complesso livello di responsabilità va inquadrato il meccanismo di nomina dei direttori generali: metodo rigoroso di selezione, che premi qualità e competenza; un robusto filtro di verifica della loro azione, che renda quest’ultima coerente col sistema. Una verifica basata su criteri oggettivi, preventivamente determinati, riscontrabili, non condizionabile da vicinanze politiche, dai quali possa desumersi in misura tendenzialmente oggettiva il grado di responsabilità dei direttori nel raggiungimento//non raggiungimento dei risultati. Tendenziale oggettività vuol dire sia modificare la norma regionale che affida alla Agenzia Regionale Sanitaria il compito di predisporre le istruttorie tecniche per le verifiche dei Direttori Generali sia, al tempo stesso, predisporre griglie di valutazione condivise in sede di Conferenza Stato-Regioni: ciò allo scopo di vincere l’“auto-referenzialità” regionale, col confronto con un “set” di criteri di rilievo nazionale. La garanzia di autonomia a fronte della efficacia del meccanismo di verifica consentirà ai direttori generali di nominare, a loro volta, in piena autonomia i direttori sanitari ed amministrativi e, a cascata, di esercitare un forte impulso sull’operato della dirigenza aziendale. Adeguare il sistema sanitario al recente decreto legge Balduzzi. La riorganizzazione della assistenza primaria è necessaria per affermare un nuovo rapporto tra cittadini e sistema sanitario, come previsto sin dal decreto Balduzzi che affronta il nodo essenziale della “prima linea” un contatto che se non trova risposte efficaci produce l’intasamento dei servizi di pronto soccorso. Si impone di realizzare un coordinamento operativo tra i vari attori del sistema (medici e pediatri di famiglia, specialisti ambulatoriali, medici di guardia medica, sistema territoriale del 118), affinchè il cittadino possa disporre 24 ore su 24 di un
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ROTTA SULLA REGIONE
Sviluppare forme di associazionismo atte a garantire assistenza primaria per 24 ore su 24
sistema di accoglienza, presa in carico e cura, che non scarichi sul sistema ospedaliero bisogni primari. In questo tipo di organizzazione, i medici di famiglia, rappresentano una risorsa di fondamentale importanza. Il primo passo è quindi l’avvio di una nuova stagione di raccordo serio e concreto sul territorio pugliese con la medicina di famiglia, che ne valorizzi il ruolo e che persegua l’obiettivo di sviluppare le forme di associazione fra gli stessi medici, atte a garantire assistenza primaria per 24 ore su 24. Pubblico, privato e famiglie. Altro impegno mancato è stato la garanzia di una maggiore libertà di scelta attraverso un allargamento del “mercato” degli erogatori, perché si è invece di fatto limitata la possibilità degli erogatori di essere scelti dai cittadini in virtù di “tetti” di spesa rigidi e insuperabili (a pena di sanzioni). Anche nel perseguimento dell’obiettivo di una più efficace tutela della salute, la Regione deve porre al centro la famiglia: la sofferenza intra-familiare (sia essa di tipo fisico, psicologico, sociale, affettivo) costituisce un fattore epidemiologico di morbilità e devianza. Questo non vuol dire ovviamente “medicalizzare” il benessere familiare; significa dare un forte impulso organizzativo e funzionale per i Consultori Familiari, che devono diventare avamposto sociale contro il disagio infra familiare, nei quali possano trovare ascolto i bisogni del bambino, dell’adolescente, del giovane, della donna nei suoi vari stati evolutivi psico-biologici, dei figli, delle coppie, dei genitori, degli anziani. Infine, ma non di scarsa rilevanza, l’abbattimento delle liste d’attesa ( che doveva essere il fiore all’occhiello della “cura” Vendola!) delle prestazioni strumentali ( per es.: dopler, mammografie, RMN) e l’eliminazione della piaga che annualmente si abbatte sugli assisti per il rinnovo dell’esenzione ticket legato al reddito: una operazione che genera panico soprattutto fra anziani e disoccupati e caos e ressa presso gli uffici preposti. Insomma occorre recuperare 10 anni di colpevole disattenzione (per essere benevolenti) o di scellerata gestione della sanità pugliese che ha generato danni ai cittadini non solo sotto il profilo strettamente sanitario, ma anche sotto il profilo fiscale attraverso un aumento smisurato della formazione.
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ROTTA SULLA REGIONE
di RICCARDO ROSSI
L’obiettivo? Una Sanità Pubblica di Qualità AL PRIMO POSTO LA PREVENZIONE E LA TUTELA DELLA SALUTE DEI CITTADINI SIA SUL TERRITORIO CHE DURANTE IL RICOVERO IN OSPEDALE
L
a prevenzione e la tutela della salute dei cittadini sono alla base della missione del SSN. Al cittadino, in qualunque parte del territorio pugliese si trovi, sia sul territorio che nelle strutture ospedaliere, deve poter essere garantita l’equità di accesso alle cure; il paziente deve essere guidato dall’inizio alla fine del proprio percorso di cura e deve essere esaustivamente informato sulla propria malattia, sui trattamenti e sulle eventuali alternative esistenti. Le equipe sanitarie devono interagire tra loro e con il paziente al solo fine di assicurare qualità e appropriatezza delle prestazioni, senza dimenticare la riabilitazione dei pazienti, specie quelli fragili (come gli anziani), passaggio fondamentale per il raggiungimento del risultato finale. I tagli del governo centrale mettono a serio rischio il rispetto dei LEA; per non dover costantemente aumentare i ticket o diminuire i sevizi, bisogna avviare una riorganizzazione del SSR che non esegua tagli orizzontali selvaggi, ma che individui i meccanismi di sperpero, salvaguardi i lavoratori e soprattutto garantisca il diritto alla salute dei cittadini. L’esempio lampante di questa riduzione delle prestazioni, è stato, nello scorso inverno, il blocco dei ricoveri ordinari nei reparti chirurgici, per sopperire la mancanza di posti letto nelle medicine, specie per gli anziani. Quindi, prima si sono eliminati gli ospedali per il piano di rientro, poi si sono bloccati i ricoveri programmati per mancanza di posti letto; e questo naturalmente solo negli ospedali pubblici; i privati hanno continuato a fare tranquillamente la loro programmazione, con evidenti vantaggi gestionali. Il costante invecchiamento della popolazione e il conseguente
aumento delle patologie croniche, impone scelte obbligate che integrino in maniera più stretta il territorio, che si occuperà delle cronicità, con i presidi ospedalieri tesi sempre più al trattamento degli acuti. A tal fine, di fondamentale importanza è la riorganizzazione delle cure primarie che, adeguatamente sostenute e integrate, dovranno necessariamente garantire il loro funzionamento 24 ore al giorno e dovranno impegnarsi anche in servizi ad alta integrazione sociale per le categorie più fragili (anziani, portatori di handicap e bambini, senza scordare i pazienti psichiatrici e quelli delle dipendenze). Grazie anche alle possibilità offerte dalla tecnologia, la rete assistenziale territoriale, come già asseriva il Dott Camboa (lungimirante responsabile del distretto di Maglie di qualche anno fa), si occuperà di gestire in toto i pazienti cronici, prevedendo percorsi completi di analisi e trattamento (day hospital) 2 / 3 volte l’anno, così da contenere al massimo episodi acuti improvvisi che richiederebbero il trasporto presso strutture ospedaliere. Grande spazio si dovrà dare alle attività di Day surgery/one day surgery che permettono di abbattere le liste d’attesa e i costi. A proposito di liste d’attesa, la cui gestione dovrebbe essere a carico delle direzioni sanitarie, crediamo che debba essere uno dei parametri da valutare, a giusto carico di lavoro, per l’assegnazione degli incentivi annuali. Sempre in quest’ottica sarà utile istituire il budget di reparto sia per contenere i costi e sia per evitare, stante la mancanza di fondi, che vengano tagliati farmaci e/o dispositivi necessari alle terapie e alla sicurezza dei pazienti.
Le equipe sanitarie devono interagire tra loro e con il paziente al solo fine di assicurare qualità e appropriatezza delle prestazioni
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Questa organizzazione, cosi come già previsto dalla istituzione dei centri di terapia del dolore, dovrà prevedere vari centri periferici o Spoke, non necessariamente corrispondenti ai distretti, che faranno capo all’ospedale di zona che avrà funzione di Hub. In questa riorganizzazione, potrà trovare spazio anche l’accreditamento privato che non potrà interessarsi solo di attività ad alta remunerazione, ma dovrà intervenire organicamente in tutti i campi necessari al raggiungimento degli obiettivi di assistenza territoriale. Riteniamo infine che buona parte dei problemi della nostra sanità derivino dalle carenze relative di personale e dalla sua cattiva gestione. Per esempio i Pronto Soccorso, che sono il biglietto di presentazione di ogni struttura, hanno grandi carenze di personale e, nonostante l’estate alle porte, non è previsto nessun loro piano di potenziamento; questo produrrà attese ancora più prolungate, violazione della privacy e pericolosità clinico-gestionale dei pazienti. Riteniamo che avviando tra gli organismi competenti, una contrattazione decentrata e una riorganizzazione del lavoro, si potrà ottenere una flessibilità lavorativa necessaria in una prima fase, a compensare le carenze di personale; in un secondo tempo, rispettando i tetti di spesa, si potrà pensare a nuove assunzioni, sanando anche situazioni di precariato più che decennali.
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ROTTA SULLA REGIONE
Buona parte dei problemi della nostra sanità derivano dalle carenze di personale e dalla sua cattiva gestione
ODONTOIATRIA * Medico Odontoiatra convenzionato c/o Amb. di Odontostomatologia O.C.“Vito Fazzi” ** Dir. I Livello Amb. di Odontostomatologia O.C. “Vito Fazzi” *** Dir. I Livello Amb. di Odontostomatologia O.C. “Vito Fazzi” socio S.I.O.H.
di M. AROMOLO*
F. MARTI**
R. PICCINONNO***
Percorso del paziente difficile nel trattamento ospedaliero in narcosi AL VITO FAZZI UNA PARTICOLARE ATTENZIONE AI SOGGETTI NON COLLABORANTI O A RISCHIO PER PATOLOGIE O INTOLLERANZA A FARMACI
I
l reparto di Odontoiatria e chirurgia Max-Facciale sino al 2005 e l’ambulatorio di odontostomatologia afferente all’U.O. di Chirurgia Generale, a tutt’oggi, ha, come compito istituzionale, tra gli altri, il trattamento in narcosi di pazienti “difficili” per
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patologie del cavo orale. Si intendono, con tale termine, estensivamente, pazienti non collaboranti o a rischio per patologie psico-motorie, d’organo o per intolleranza a farmaci, o pazienti pedatrici che richiedano un trattamento terapeutico in anestesia generale. Vengono eseguite, per questo motivo, due sedute operatorie mensili svolte nel gruppo Operatorio diretto dal Responsabile del Servizio di Anestesia e Rianimazione, per un totale di circa 80 pazienti trattati per anno. Il paziente segue un percorso preoperatorio codificato nel tempo che richiede una prima visita specialistica Odontostomatologica con valutazione del futuro trattamento terapeutico e la relativa urgenza. Spesso, non è possibile effettuare una corretta diagnosi per la mancata collaborazione, per cui l’anamnesi patologica remota e prossima viene raccolta indirettamente su notizie dei familiari o del medico di base, dove possibile. Il paziente viene poi inserito in una lista d’attesa che tiene conto dell’urgenza per essere sottoposto, successivamente, ad un intervento di terapia odontoiatrica o di chirurgia orale. Dopo l’inserimento in lista, il paziente, in prossimità della data presunta dell’intervento, viene sottoposto al riscontro di esami ematochimici, strumentali, clinici; se positivi, viene dato il nulla osta per l’anestesia generale. Per ogni seduta non vengono trattati più di quattro pazienti, per la difficoltà, esposta precedentemene, di effettuare in sede di prima visita una diagnosi completa e un seguente piano di trattamento. Il giorno prima dell’intervento, il paziente viene ospedalizzato nel Reparto di ORL con l’assistenza notturna di parenti dove richiesto, visitato dal medico Anestesista per l’ultimo
ODONTOIATRIA
Vengono eseguite due sedute operatorie mensili per un totale di circa 80 pazienti trattati ogni anno nulla osta e trattato chirurgicamente il giorno seguente, per essere dimesso nella giornata successiva all’intervento. Non è possibile trattare tali pazienti in regime di day-surgery perchè prevista, per tali patologie, l’obbligatorietà del ricovero ordinario, con un cospicuo impegno di risorse nelle successive fasi del percorso dalla prima visita alla dimissione; il valore sociale delle prestazione, comunque, dovrebbe giustificare tale impegno.
Ricordo del Dott. Antonio Fumarola Il 10 febbraio 2015 si è spento il Dott. Antonio Fumarola, Primario della Divisione di Chirurgia Plastica dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce dal 1981 al 1991, anno del suo pensionamento. Il Dott. Fumarola è nostro padre. Parlare di lui come del Dott. Fumarola non ci risulta difficile o forzato, perché per noi la figura di padre non è mai stata del tutto separata dalla figura del medico chirurgo plastico. Per noi lui era il papà chirurgo di cui essere orgogliose e fiere! Mano rapida e precisa, mente brillante e creativa, nostro padre ci rendeva spesso partecipi della propria attività professionale; con la passione e l’entusiasmo di chi ama il proprio lavoro, ci parlava degli interventi che realizzava, ci descriveva le procedure chirurgiche che di volta in volta adottava, o ci raccontava degli strumenti chirurgici che lui stesso progettava per ottenere sempre migliori risultati. Un intervento in particolare ci impressionava ed inorgogliva al tempo stesso, la ricostruzione di una porzione del tendine di Achille in un quattordicenne, un ragazzino come eravamo noi allora, nel lontano 1985. Oggi, per onorare la memoria di nostro padre, ne ricordiamo in particolare il merito di aver fondato a Lecce la Divisione di Chirurgia Plastica, traguardo raggiunto dopo aver percorso con determinazione quello che lui stesso, in una dedica alla sua piccola Claudia appassionata di scienze, aveva definito come “un duro, difficile, aspro, ma orgoglioso cammino”. Alessandra e Claudia Fumarola
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d i G A E TA N O D I R I E N Z O
Direttore UOC Chirurgia Toracica Vito Fazzi Lecce
Chirurgia del tumore polmonare al 1° stadio, Lecce da record LA CHIRURGIA TORACICA DEL «VITO FAZZI» SECONDA IN ITALIA E UNICA IN PUGLIA AD ESEGUIRE INTERVENTI DI RESEZIONE POLMONARE IN CHIRURGIA MINI-INVASIVA Oltre alla attività di chirurgia toracica routinaria e di alta specializzazione (quale la chirurgia della trachea), questa U.O.C. si sta particolarmente distinguendo a livello nazionale per gli interventi di lobectomia polmonare per tumore polmonare al I° stadio (patologia in costante incremento negli ultimi anni) con trattamento mini-invasivo, cioè senza aprire il torace con il divaricatore costale. Attraverso due piccole incisioni, senza utilizzare il divaricatore costale che si usa in chirurgia a cielo aperto tradizionale, si inseriscono l’ottica e gli strumenti necessari per condurre l’intervento. Viene eseguito, dal punto di vista della chirurgia oncologica, lo stesso tipo di intervento che eseguiamo a cielo aperto: cioè una lobectomia con linfadenectomia mediastinica. Questa tecnica – più complessa rispetto a quella tradizionale a cielo aperto - comporta un minore dolore post-operatorio per il Paziente, un ridotto uso di farmaci analgesici, una più rapida ripresa funzionale e una riduzione della degenza ospedaliera post-operatoria. Nell’allegato è riportato un documento del VATS (acronimo di Video Assisted Thoracic Surgery) GROUP (Gruppo Nazionale cui partecipano tutte le Chirurgia Toraciche Italiane; ha attivato dall’inizio del 2014 un data-base che raccoglie tutti i dati di VATS Lobectomy eseguite in Italia). Nel 2014 abbiamo inserito in totale 988 interventi, numero ragguardevole in campo internazionale. Come si evince nell’allegato, la Chirurgia Toracica del Fazzi è la 2^ in Italia, unica in Puglia, con due sole strutture nell’intero Sud (tra l’altro ai primi due posti) nella TOP TEN, precedendo strutture di grande tradizione storica e di prestigio contemporaneo, quali la Chirurgia Toracica Universitaria di Padova, lo IEO di Milano e il Policlinico Universitario di Milano.
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Chirurghi toracici provenienti da tutta Italia giunti a Lecce per approfondire questa tecnica innovativa Nel 2014 abbiamo organizzato due Corsi di VATS LOBECTOMY (live surgery), cui hanno partecipato una quarantina di chirurghi toracici da tutta Italia e per il prossimo 21 e 22 Maggio stiamo organizzando il 3rd LECCE VATS LOBECTOMY COURSE. Tutti i Corsi si tengono con il patrocinio della SICT (Società Italiana di Chirurgia Toracica) e rappresentano una vetrina di prestigio per la ASL Lecce.
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Direttore UOC di Nefrologia, Dialisi, Trapianto Ospedale V. Fazzi Lecce Consigliere Nazionale della Società Italiana di Nefrologia
di ERASMO BUONGIORNO
Il rene, un amico da proteggere IL REPENTINO CAMBIAMENTO DI STILE DI VITA STA PROVOCANDO SERI PROBLEMI AD UN ORGANISMO CHE HA DIFFICOLTÀ AD ADATTARSI ALLE TROPPE SOLLECITAZIONI
L
e malattie renali sono molto più comuni di quanto si possa immaginare e in Italia quasi una persona ogni 10 ha una riduzione anche lieve-moderata della funzionalità renale e il 5% ha una riduzione più severa spesso senza saperlo. Infatti le malattie renali il più delle volte decorrono in modo subdolo, senza sintomi evidenti. Questa condizione oltre al rischio di progressione della malattia renale fino all’uremia terminale che rende necessario il ricorso alla dialisi e se possibile al trapianto renale, determina comunque un aumento di più di 10 volte del rischio cardiovascolare, cioè della possibilità di avere un infarto miocardico o ictus cerebri prima ancora che si aggravi l’insufficienza renale. Per avere un’idea della dimensione del problema, dobbiamo osservare che su scala mondiale la popolazione aumenta dell’1,1% anno (7,1 miliardi nel 2013) mentre i pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale aumentano del 6% circa all’anno. Ovviamente questo solo nei paesi con un PIL pro capite maggiore di 15.000 $ anno, mentre negli altri paesi la soluzione c’è solo per le persone molto ricche. Che fare? La prevenzione primaria, prima che la malattia abbia luogo, consiste nel seguire stili di vita che riducono di molto il rischio malattia; ma se la malattia si è ormai instaurata, la diagnosi precoce permette di accedere a cure tanto più efficaci quanto più precoci. Questa è la prevenzione secondaria che si realizza utilizzando semplici mezzi diagnostici: l’esame delle urine, la misurazione della pressione arteriosa, la valutazione della glicemia. Ma perché tutto questo? E’ una storia iniziata tra i 4,4 e i 2,7 miliardi di anni fa quando sulla Terra compariva l’acqua e nascevano le prime forme di vita: chiamiamo L.U.C.A. il last universal common ancestor l’antenato comune più recente da cui si sarebbero differenziate attraverso un lungo e drammatico
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Le malattie renali sono in continuo aumento soprattutto nei paesi più ricchi e spesso decorrono in modo subdolo, senza sintomi evidenti processo evolutivo tutte le attuali forme viventi. In questo processo una tappa fondamentale è stata la conquista del controllo dell’acqua che confinata all’interno di membrane cellulari forma quel “mare interno”, che fornisce alle cellule un ambiente costante, la cui stabilità è indispensabile per la vita. E il rene, dalle sue strutture arcaiche fino al mirabile laboratorio attuale, è l’organo che ha consentito ciò. Quindi le funzioni del rene sono quelle di assicurare la costanza della composizione e del volume dell’acqua corporea mantenendo il bilancio idro-elettrolitico ed acido-base e regolando l’eliminazione dei prodotti del metabolismo contenenti azoto; a questa funzione si affianca la produzione di alcuni ormoni. Per fare ciò i reni, due piccoli organi di 12x6x3cm ciascuno, posti profondamente in regione lombare, hanno una complessa struttura vascolare formata da circa 160 Km di vasi sanguigni nei quali scorrono 1,2 litri di sangue al minuto pari a 1.800 litri al giorno da cui vengono filtrati 180 litri al giorno di pre-urina che diventerà quel volume di urina finale di 1-1,5 litri giornalieri dopo un processo metabolico che consuma grandi quantità di energia e che recupera l’acqua e i soluti indispensabili al mantenimento del bilancio mentre lascia andar via il superfluo. Nella storia della evoluzione dell’uomo, all’interno dell’Ordine
dei Primati e dalla Famiglia degli Ominidi, il Genere Homo emerge dagli abissi del tempo profondo circa 3,5 milioni di anni fa in Africa australe e orientale e da qui in successive ondate colonizza tutto il globo vivendo come cacciatore e raccoglitore fino alla transizione del neolitico circa 10.000 anni a.C., quando gradualmente diviene allevatore e cacciatore garantendosi apporti alimentari meno aleatori. La pressione selettiva di milioni di anni in condizioni di estrema carenza di acqua, sali, sostanze nutritive avrebbe selezionato una costellazione di geni cosiddetti THIRSTY “assetati” e di geni THRIFTY “parsimoniosi” capaci di assicurare la sopravvivenza della specie: i primi, formidabili risparmiatori di acqua e sali in condizioni di carenza, nelle condizioni attuali di apporto libero incondizionato, diventano dannosi perché favoriscono la ritenzione idro-sodica e diventano causa di ipertensione arteriosa; i secondi risparmiatori di energia, fondamentali per la sopravvivenza in tempi di carestia, sono, oggi che l’ accesso agli alimenti è continuo ed eccessivo con associata diffusa sedentarietà, la causa di obesità e di diabete. Sono queste le patologie più diffuse (ipertensione e obesitàdiabete), che hanno nel rene ed in tutto l’apparato cardiovascolare un bersaglio elettivo, un tempo appannaggio dei ricchi e oggi a diffusione planetaria con la maggiore quota di crescita nei paesi a più rapido tasso di sviluppo come Cina, India, America latina. Questo è il rovescio della medaglia del progresso scientifico e tecnologico che ha determinato una transizione epidemiologica cioè ha mutato la incidenza e prevalenza delle malattie con una drastica riduzione della mortalità da malattie infettive ed uno spettacolare aumento della aspettativa di vita ma nel contempo ha favorito l’emergere delle patologie neoplastiche e degenerative ed in particolare le malattie cardiovascolo-renali: le malattie croniche non infettive, secondo l’OMS rappresentano oggi oltre il 60% delle cause di morte del genere umano. Per enfatizzare questo concetto immaginiamo che i 3,5 milioni di anni di vita dell’uomo sulla terra siano un solo anno e in proporzione i 12.000 anni di civiltà rappresentano solo 24 ore e gli ultimi 60 anni solo 7 minuti. Poiché in tutto questo tempo la selezione naturale ha favorito l’evoluzione delle funzioni cognitive superiori e poco quella delle strutture somatiche, la nostra Sottospecie di Homo Sapiens Sapiens, punto attuale della evoluzione è ancora dotata di una struttura biologica
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La prevenzione consiste nel seguire comportamenti adeguati e nell’eseguire periodicamente esami delle urine, misurazione della pressione arteriosa e della glicemia formatasi nei tempi lunghi della preistoria quando prevaleva la carenza alimentare di acqua, sali, calorie, proteine, grassi ed è poco adatta ad affrontare l’attuale apporto alimentare calorico e idro-salino sovrabbondante e continuo con la scarsa attività fisica della cosiddetta società del benessere per la transizione dei modi di produzione. Qual è il messaggio da portare a casa? Ricordare come siamo fatti e immaginarci come i nostri antenati che mangiavano la carne anche fino a sazietà ma una volta ogni tanto, consumavano molti alimenti vegetali, poco sale, camminavano molto per catturare le prede e raccogliere i frutti e talvolta dovevano correre per sfuggire agli aggressori e non avevano a disposizione tanti sistemi di risparmio energetico come noi (automezzi, ascensori, riscaldamento, mezzi di comunicazione); perciò cercando di adeguare la nostra alimentazione alla nostra struttura biologica sicuramente i nostri organi lavoreranno meno e potranno durare di più accompagnandoci per tutta la vita in pieno benessere. Se compariranno poi dolori articolari ed altri limiti dell’età ricordiamoci che è un privilegio dell’uomo della seconda metà del novecento avere una aspettativa di vita di circa 80 anni, mai goduto in forma così diffusa dai nostri antenati. Il progresso scientifico e tecnologico e l’avanzamento della conoscenza ci consegnano poi una ricetta semplice per una buona salute: tenere sotto controllo la pressione arteriosa e controllare periodicamente l’esame urine standard cercando di mantenere il controllo del peso corporeo nei limiti della norma e infine sorridere alla vita quando si può. Questo messaggio può aiutare a scoprire chi siamo e dove andiamo e per ridurre il peso globale di malattie invalidanti sensibilizzando la popolazione del mondo sulla necessità del controllo periodico della pressione arteriosa e dell’esame delle urine, anche in assenza di sintomi o di disturbi, è stata ideata nel 2005 la Giornata Mondiale del Rene (secondo giovedì di marzo di ogni anno) che quest’anno abbiamo celebrato il 12 marzo. La consapevolezza che dobbiamo acquisire è che il progresso scientifico e tecnologico che ha mutato così radicalmente il mondo attorno a noi nel bene e nel male, ci fornisce anche una serie di conoscenze che ci guidano nella prevenzione primaria, e ci insegnano come fare anche una efficace prevenzione secondaria, rallentando o arrestando la progressione delle malattie renali croniche in modo molto efficace e con mezzi semplici e poco costosi, che possono essere impiegati anche in contesti di scarse risorse per i sistemi sanitari.
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di G. LOBREGLIO*
di M. RENIS**
*Direttore Medico ** Specializzanda in Biochimica Clinica ASL LECCE, P.O. “VITO FAZZI” U.O. PATOLOGIA CLINICA P.ZZA F. MURATORE 1, 73100 LECCE Direttore: Dr. Giambattista Lobreglio Tel. 0832 661027; Fax 0832 661524; e-mail:
[email protected]
Sindrome di Hughes, in laboratorio a «caccia» di indizi UNA PATOLOGIA AUTOIMMUNE SISTEMICA CARATTERIZZATA DA MANIFESTAZIONI TROMBOTICHE E DA COMPLICANZE OSTETRICHE La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è stata inizialmente descritta nei pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico INTRODUZIONE La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS), nota anche come sindrome di Hughes, è una patologia autoimmune sistemica caratterizzata da manifestazioni trombotiche (arteriose, venose, o del microcircolo) e/o da complicanze ostetriche (aborti ripetuti, perdita fetale in età gestazionale ≥ 10 sg, o nascita pretermine) associate alla presenza nel sangue di anticorpi antifosfolipidi (aPL). I principali aPL sono gli anticorpi anticardiolipina (aCL), gli anti-beta2glicoproteina I (anti-b2GPI) e i lupus anticoagulants (LA) [1]. Questa sindrome è stata inizialmente descritta nei pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico (LES) (forma “secondaria”); successivamente si sono individuati pazienti affetti da APS non associata a connettiviti, definite forme “primarie”. La patologia colpisce prevalentemente soggetti di sesso femminile di età media non ancora definita, anche se l’esordio prevalente si verifica nei soggetti tra 15 e 50 anni [2]. La classificazione di APS si basa sulla presenza contemporanea di criteri clinici e di laboratorio. Essi vengono periodicamente revisionati nell’ambito di un Consensus internazionale; l’ultima
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CRITERI CLINICI 1. Trombosi vascolari Uno o più episodi di trombosi arteriosa, venosa o dei piccoli vasi in qualsiasi organo o tessuto. 2. Patologie gravidiche a) una o più morti non spiegabili di feti morfologicamente normali entro la decima settimana di gestazione; b) una o più nascite premature di neonati morfologicamente normali entro la 34esima settimana di gestazione per: eclampsia, severa pre-eclampsia o insufficienza placentare; c) tre o più aborti spontanei consecutivi non spiegabili prima della decima settimana di gestazione, escludendo anormalità anatomiche e ormonali della madre, nonchè cause cromosomiche materne e paterne.
CRITERI DI LABORATORIO 1. Lupus anticoagulant (LA) presente nel plasma in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di intervallo. 2. Anticorpi aCL di classe IgG e/o IgM a titolo medio o alto (>40 GPL/MPL o >99° percentile), determinati con metodica ELISA standardizzata [4] in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di intervallo. 3. Anticorpi anti-β2GPI di classe IgG e/o IgM a titolo >99° percentile, determinati con metodica ELISA standardizzata [5] in due o più occasioni ad almeno 12 settimane di intervallo. Tabella 1. Criteri di classificazione per la sindrome da anticorpi antifosfolipidi
stesura è avvenuta in occasione dell’XI Congresso Internazionale sugli Anticorpi Antifosfolipidi tenutosi nel 2004 a Sydney ed è stata pubblicata nel 2006.
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE I criteri di classificazione che vengono attualmente utilizzati [3] per definire l’APS sono divisi in criteri clinici e di laboratorio (tabella 1): la classificazione dell’APS richiede la combinazione di almeno un criterio clinico e uno di laboratorio separati da non meno di dodici settimane e non più di 5 anni. Viene indicato un intervallo di tempo di almeno 12 settimane tra due test positivi in quanto non è infrequente trovare una presenza transiente di anticorpi aPL: risulta pertanto estremamente importante la persistenza della positività per i test di laboratorio per non incorrere in falsi positivi. Come si evince dalla tabella, nei criteri di classificazione vengono prese in considerazione solamente le manifestazioni cliniche maggiori, ma non quelle minori e nemmeno altri tipi di anticorpi come IgA aCL, IgA anti b2-GPI, antifosfatidilserina (aPS), antifosfatidiletanolamina (aPE) o antiprotrombina (aPT). Nonostante essi si ritrovino di frequente nei pazienti con APS e la loro associazione con l’APS sia riconosciuta, si ritiene che includerli nei criteri per la diagnosi dell’APS possa ridurre la specificità diagnostica: vanno pertanto considerati come criteri diagnostici indipendenti o “non criteri”, riservando ai casi in cui essi sono presenti in assenza dei criteri classici il termine di “APS probabile”. Vi è crescente evidenza che la presenza contemporanea di più criteri di laboratorio aumenti il rischio trombotico ed
ostetrico; questo viene sottolineato anche dalla raccomandazione, enunciata all’interno dell’ “International consensus statement” di Sydney, di stratificare i pazienti in 2 sottocategorie sulla base della presenza di più (categoria I) o di un solo aPL (categoria II, a sua volta suddivisa in IIa, IIb o IIc se presenti da soli LA, aCL o anti-b2GPI, rispettivamente).
MANIFESTAZIONI CLINICHE E PARAMETRI DI LABORATORIO “NON CRITERIA” Un caleidoscopico pannello di manifestazioni cliniche e anomalie di laboratorio, che tuttavia non rientrano ancora nei criteri di classificazione della malattia, sono stati descritti nei pazienti con APS; per la loro rilevanza sono da ricordare le manifestazioni neurologiche (cefalea, perdita della memoria, alterazioni dell’equilibrio, sclerosi multipla) e psichiatriche, la sindrome posturale tachicardica (POTS), alterazioni valvolari cardiache, le fratture delle ossa metacarpali, la presenza di autoanticorpi contro altri target fosfo-lipo-proteici (protrombina, fosfatidil-serina, annessina V, proteina C coagulativa, complesso vimentina-cardiolipina) e/o di isotipo IgA (Huges, 9th Autoimmunity Congress, Nice 2014).
MECCANISMI PATOGENETICI E’ stato dimostrato che gli aPL sono coinvolti nella patogenesi della trombosi e della perdita fetale, ma con meccanismi che risultano ancora sconosciuti [6]. Nell’ambito degli studi sulla patogenesi delle manifestazioni cliniche dell’APS l’endotelio ha rappresentato negli ultimi anni il campo di maggiore interesse. In condizioni normali l’endotelio vasale ha un ruolo centrale
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La patologia colpisce prevalentemente soggetti di sesso femminile di età media non ancora definita anche se l’esordio prevalente si verifica tra i 15 ed i 50 anni
nella regolazione dell’emostasi. In particolare esso mantiene la fluidità del sangue attraverso numerosi mediatori che agiscono controllando la coagulazione. E’ stato tuttavia dimostrato che alcuni stimoli possono alterare il normale fenotipo delle cellule endoteliali, inducendole così ad agire in senso procoagulante. A tal proposito esistono lavori, ormai sempre più numerosi, che evidenziano il ruolo diretto degli aPL nel promuovere il passaggio delle cellule endoteliali al fenotipo procoagulante. Diversi studi in vitro hanno dimostrato che gli aPL attivano le cellule endoteliali attraverso il rilievo dell’aumentata espressione del fattore tissutale, di molecole di adesione come ICAM-1 (molecola di adesione intercelullare-1), VCAM-1 (molecola di adesione cellulare vascolare-1) e di E- selectina da parte delle cellule endoteliali da vena ombelicale umana (HUVECs) cimentate con gli aPL [7] oppure attraverso l’aumentata aderenza dei monociti alle cellule endoteliali. Un altro tipo di disfunzione endoteliale da aPL è l’alterazione del controllo del tono vasale. In condizioni di normalità le cellule endoteliali rilasciano una serie di fattori che regolano il tono della parete dei vasi; alcuni di essi hanno attività vasocostrittrice come l’endotelina I e il fattore attivante l’endotelio e le piastrine, mentre altri vasodilatatrice come la prostaciclina e l’ossido nitrico. A tal proposito Carreras et al. [8] hanno dimostrato che plasmi positivi per lupus anticoagulants possono bloccare il rilascio della prostaciclina dall’endotelio vasale e di conseguenza alterare l’equilibrio con il trombossano favorendo uno stato di ipercoagulabilità. Altri autori hanno evidenziato nella trombosi indotta dagli aPL un’alterazione dei meccanismi ossidativi ed altri ancora un aumento del peptide dell‘endotelina I. Le complicanze ostetriche dell’APS sono state attribuite a trombosi dei vasi utero-placentari e ad infarto placentare. Infatti aPL policlonali e monoclonali si sono rivelati capaci di legarsi a fattori plasmatici come la beta2-Glicoproteina I (b2-GPI) o l’annessina V a livello della superficie dell’endotelio o del trofoblasto alterando così la funzione di queste cellule e producendo una situazione di trombofilia [9]. Tuttavia nella decidua e nella placenta non sempre viene ritrovata trombosi. E’ stato infatti dimostrato che gli aPL legandosi al trofoblasto possono indurre una disfunzione che ha come conseguenza un deficit della produzione ormonale e un blocco della proliferazione ed invasione da parte del trofoblasto della parete uterina. Inoltre recenti studi hanno evidenziato che il danno fetale da aPL avviene attraverso l’attivazione della cascata complementare.
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TOLL-LIKE RECEPTOR (TLR) Pierangeli et al. suggeriscono che almeno uno dei meccanismi patogenetici degli aPL sia correlato al TLR-4. In particolare il legame del complesso aPL/ b2GPI al TLR-4 determina l’attivazione delle cellule endoteliali mediante traslocazione del fattore di trascrizione nucleare NF-KB e fosforilazione del p38MAPK. Questo porta ad up-regolazione di citochine proinfiammatorie, di molecole di adesione cellulare e del fattore tissutale (TF), analogamente a quanto si verifica in seguito al legame del LPS (lipopolisaccaride batterico) [10].
LA SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI CATASTROFICA È stata inoltre individuata una variante severa dell’APS che si riscontra nell’1% dei pazienti [11] chiamata Sindrome da Antifosfolipidi Catastrofica (CAPS). Essa è caratterizzata da fenomeni tromboembolici a carico di più distretti, con quadro clinico rapidamente ingravescente e gravato da un’elevata mortalità. I criteri diagnostici preliminari per la definizione di CAPS sono stati pubblicati nel 2003 [12] e comprendono: 1) evidenza del coinvolgimento di 3 o più organi, sistemi e/o tessuti; 2) sviluppo delle manifestazioni simultaneamente o in meno di una settimana; 3) conferma istopatologica di occlusione di piccoli vasi in almeno un organo o tessuto; 4) conferma laboratoristica della presenza di anticorpi antifosfolipidi confermata a distanza di almeno 6 settimane). La diagnosi può essere: definita, se sono presenti tutti i 4 criteri; probabile: – se sono presenti tutti i 4 criteri, ma sono coinvolti solo 2 organi, sistemi e/o apparati; – se sono presenti tutti i 4 criteri ma la positività antifosfolipidica non viene confermata a distanza di almeno 6 settimane a causa del decesso del paziente; – se sono presenti i criteri 1, 2 e 4; – se sono presenti i criteri 1, 3 e 4 e si manifesta un terzo evento a più di una settimana, ma a meno di un mese di distanza nonostante l’anticoagulazione. Le caratteristiche cliniche dei pazienti affetti da questa rara
patologia sono raccolte ed analizzate in un Registro Internazionale che elenca oltre 280 casi di CAPS, dall’analisi dei quali è stato possibile dedurre alcune importanti nozioni di utilità diagnostica e prognostica non altrimenti evidenziabili, vista l’impossibilità di sviluppare studi clinici controllati nel caso di una malattia così rara ed acuta. In particolare si sono registrate le seguenti caratteristiche [13]: – caratteristiche dei pazienti: per la maggior parte femmine (F:M=2,4:1), età media 37 ± 14 anni; – fattori precipitanti: la CAPS è frequentemente preceduta da alcune condizioni quali infezioni (21%), neoplasie (7,6 %), interventi chirurgici (7%), sospensione o riduzione del trattamento anticoagulante (7%), farmaci (in particolare estroprogestinici) (5,6%), complicanze ostetriche (5%), riacutizzazioni di LES (3%), traumi (1%). In oltre il 40% dei casi non è però possibile identificare un evento scatenante; – fenomeni tromboembolici: prevalgono le trombosi dei piccoli vasi, prevalentemente renali, cerebrali, polmonari, cardiaci e cutanei; inoltre frequenti sono gli ictus cerebrali e gli infarti miocardici; – mortalità: la mortalità è del 50% circa ed è dovuta principalmente a coinvolgimento cerebrale e cardiaco, infezioni e insufficienza multiorgano.
TRATTAMENTO DELLA SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI Il trattamento dell’APS con complicanze trombotiche prevede la prevenzione secondaria della trombosi generalmente con l’anticoagulazione orale “sine termine”, talora con l’antiaggregazione piastrinica e più raramente con entrambi i trattamenti antitrombotici. In corso di gravidanza l’APS viene generalmente trattata con l’associazione di anticoagulazione a base di eparina e antiaggregazione piastrinica con acido acetilsalicilico a basso dosaggio (75-100 mg/die). Tuttavia questi protocolli non sono sempre sufficienti; in particolare nella gestione dei pazienti con CAPS il trattamento antitrombotico convenzionale deve essere integrato dall’aggiunta di cortisone, farmaci immunosoppressori e trattamento aferetico che consiste nella rimozione dal circolo degli anticorpi patogenetici. Il trattamento convenzionale inoltre non è sufficiente a permettere la conclusione favorevole nel 20-30% delle gravidanze di pazienti con APS con impegno ostetrico. Si tratta di pazienti “ad alto
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La classificazione di APS si basa sulla presenza contemporanea di criteri clinici e di laboratorio periodicamente revisionati nell’ambito di un Consensus internazionale rischio”, caratterizzate da una storia di trombosi e da multipla positività antifosfolipidica. In questi casi a rischio di complicanze sia materne che fetali si rendono necessarie terapie aggiuntive quali quelle di tipo aferetico ed in particolare della plasmaferesi (PF) e dell’immunoadsorbimento (IA) su colonna. Recenti studi e approfondimenti condotti sui meccanisimi fisiopatologici dell’APS, pubblicati su The New England Journal of Medicine (Giannakopoulos et al.; 2013), hanno permesso di ipotizzare possibili nuovi approcci terapeutici, che vanno dall’uso della N-acetil-cisteina come scavenger delle specie reattive dell’ossigeno prodotte in eccesso e responsabili, almeno in parte, dello stato protrombotico della sindrome, alla somministrazione di statine per stimolare l’ossido nitrico endoteliale, al blocco dei recettori 2 dell’apolipoproteina E, all’uso di anticorpi monoclonali per bloccare alcuni fattori del complemento o l’attivazione dei linfociti B, all’inibizione dei TLR-7 con l’idrossiclorochina (vedi figura 1).
INIBIZIONE DELLA VIA MTORC NELLA SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI Sebbene la trombosi sia considerata il cardine della sindrome da anticorpi antifosfolipidi, sono comuni le lesioni vascolari croniche, in particolare nei pazienti con complicanze potenzialmente letali. Nei pazienti che necessitano di trapianto, le lesioni vascolari spesso si ripetono.
Figura 1. Meccanismi fisiopatologici di trombogenesi e siti d’azione di possibili interventi terapeutici
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In conclusione, i risultati hanno indicato che la via mTORC è coinvolta nelle lesioni vascolari associate alla sindrome da anticorpi antifosfolipidi (vedi Figura 2).
ASSOCIAZIONE DI AUTOANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI CON DIFFERENTI SPECIFICITÀ ANTIGENICHE E CORRELAZIONE CON LE MANIFESTAZIONI CLINICHE: STUDIO CLINICO CONDOTTO PRESSO IL P.O. “VITO FAZZI” DI LECCE.
Figura 2. Patogenesi di trombosi e vasculopatia nella sindrome da anticorpi antifosfolipidi
I meccanismi molecolari coinvolti nella vasculopatia della sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono sconosciute, e mancano terapie adeguate. Un recente studio ha utilizzato la doppia colorazione immunoistochimica per valutare l’attivazione della via di mTORC (complesso del target della Rapamicina nei mammiferi) e la natura della proliferazione delle cellule nei vasi dei pazienti con nefropatia da sindrome da anticorpi antifosfolipidi primaria o secondaria e di campioni autoptici di persone che avevano una sindrome da anticorpi antifosfolipidi gravissima [15]. I meccanismi molecolari attraverso i quali gli anticorpi antifosfolipidi modulano la via mTORC sono stati valutati in vitro, e i potenziali inibitori farmacologici sono stati testati in vitro. Infine, è stato studiato l’effetto di Sirolimus (Rapamune) in pazienti con la sindrome da anticorpi antifosfolipidi che avevano subito un trapianto di rene. L’endotelio vascolare dei vasi intrarenali proliferanti dei pazienti con nefropatia da sindrome da anticorpi antifosfolipidi ha mostrato attivazione della via mTORC. Nelle cellule endoteliali vascolari in coltura, gli anticorpi IgG dei pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi hanno stimolato mTORC attraverso la via fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K)-AKT. I pazienti con nefropatia da sindrome da anticorpi antifosfolipidi che hanno richiesto trapianto e ricevevano Sirolimus non hanno avuto recidive di lesioni vascolari e avevano una diminuita proliferazione vascolare alla biopsia rispetto ai pazienti con anticorpi antifosfolipidi che non erano in terapia con Sirolimus. Tra i 10 pazienti trattati con Sirolimus, 7 (70%) hanno subito un trapianto renale funzionante 144 mesi dopo il trapianto contro 3 dei 27 pazienti non-trattati (11%). L’attivazione di mTORC è stata anche riscontrata nei vasi di campioni autoptici di pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi catastrofica.
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La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è caratterizzata dalla presenza simultanea e/o dalla progressiva comparsa nello stesso paziente di autoanticorpi con specificità diretta verso differenti antigeni cellulari rappresentati da fosfolipidi, proteine associate o dalla loro combinazione. L’associazione tra anticorpi antifosfolipidi (aPL), evidenziati dalla positività del test per il Lupus Anticoagulant (LAC) e/o del test per gli anticorpi anticardiolipina (aCL) e/o anti-b2-glicoproteina I (anti-b2GPI) correla maggiormente con eventi trombotici e patologie della gravidanza. Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare la tipologia di anticorpi presenti, eventuali associazioni e correlazioni con le manifestazioni cliniche. Lo studio è stato condotto su 70 pazienti, provenienti dai diversi dipartimenti dell’ospedale, in un periodo di 17 mesi: da Ottobre 2012 a Marzo 2014. L’età media dei soggetti esaminati era di 51 anni (range: da 16 a 85 anni), 25 (35,7%) di sesso maschile e 45 (64,3%) di sesso femminile. Nei campioni di siero la ricerca degli anticorpi aCL e anti-b2GPI è stata eseguita con metodica EIA (DIA MEDIX anti-Cardiolipin IgG/IgM e antib2-Glycoprotein I IgG/IgM), mentre la ricerca qualitativa e la conferma della presenza del LAC su plasma citratato è stata eseguita con il test integrato HemosIL dRVVT Screen e HemosIL dRVVT Confirm (IL), basati sul Tempo di Veleno di Vipera Russel diluito. Dei 70 pazienti esaminati, 27 (38, 6%) erano negativi alla ricerca degli anticorpi aPL e 43 (61,4%) positivi. Di questi ultimi: 19 risultavano positivi solo al LAC e 4 solo ad aCL. 13 presentavano doppia positività, di cui: 8 verso LAC e aCL, 2 verso il LAC e anti-b2GPI e 3 verso aCL e anti-b2GPI. 7 manifestavano positività per tutti i tipi di aPL ricercati. Alla verifica degli esiti clinici tutti i pazienti con tripla positività presentavano eventi trombotici arteriosi e/o venosi (frequenza
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BIBLIOGRAFIA
100%) o perdita fetale ricorrente. Dei 13 soggetti con doppia positività, 7 presentavano eventi tromboembolici o patologie ostetriche (frequenza 53,8%); tra i 19 soggetti con singola positività solo 3 presentavano manifestazioni cliniche (frequenza 15,8%).
RIASSUNTO La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è una condizione complessa dovuta alla associazione tra autoanticorpi che esibiscono un ampio range di specificità antigeniche e di affinità verso varie combinazioni di fosfolipidi, proteine leganti i fosfolipidi o entrambi, ed una condizione di ipercoagulabilità con trombosi vasali e patologie della gravidanza. Recenti acquisizioni sui meccanismi patogenetici responsabili dell’insorgenza ed evoluzione delle numerose manifestazioni cliniche della malattia consentono un approccio personalizzato al trattamento dei pazienti.
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LA PAROLA AI COLLEGHI
di L. LANZOLLA*
di P. INGROSSO**
*Direttore Distretto Socio Sanitario di Campi ** Coordinatore Sanitario
Ospedale di Comunità, nuova frontiera dell’assistenza LA POSITIVA ESPERIENZA DELL’UNITÀ INTERMEDIA DI DEGENZA TERRITORIALE DEL DISTRETTO DI CAMPI DIMOSTRA LA BONTÀ DELLA SCELTA DI PRIVILEGIARE IL TERRITORIO In questo particolare momento determinato dalla chiusura di presidi ospedalieri e U.O. Cliniche in virtù del Piano di Risanamento si pone la necessità che il territorio fornisca sempre più risposte alla crescente domanda di salute che gli viene riservata. Tali risposte possono essere fornite attraverso una razionalizzazione delle risorse ma anche attraverso investimenti rivolti alla logistica ed alle attrezzature ed ancora attraverso modelli innovativi che possono in maniera appropriata soddisfare le nuove emergenti domande di salute. Ci riferiamo alle Strutture Intermedie ed in particolare all’Unità di Degenza Territoriale (Ospedale di Comunità). Questo tipo di struttura accoglie una fascia di pazienti che comprende sia quelli che, a giudizio del MMG non necessitano della complessità del livello assistenziale ospedaliero ma che non possono risolvere il problema clinico a domicilio per la necessità di sorveglianza clinica ed assistenza continua, sia quelli che, esaurito nell’ospedale il percorso diagnostico-terapeutico di elevato valore tecnologico e clinico, necessitano ancora di assistenza e sorveglianza clinica. In questa fascia confluisce anche quella categoria di pazienti che ormai, per ovvie ragioni relative al concorrere di patologia croniche invalidanti, solitudine e povertà, diventa una realtà sempre più difficile da affrontare. Si tratta di pazienti che andando incontro a riacutizzazione o ad un ulteriore aggravamento della loro patologia, per i motivi suddetti, entrano in uno stato di “sofferenza” ben più lacerante, nel loro intimo, della patologia d’organo e, pertanto , richiedono qualcosa in più del ricovero ospedaliero. “Quel qualcosa in più” è il ricovero in una struttura ove si sentano “rassicurati” dalla presenza del Medico Curante,
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Fondamentale la collaborazione con i medici di medicina generale per ridurre i ricoveri impropri ed i disagi per i pazienti e le loro famiglie dalle cure dello stesso e dell’ambiente più “familiare”, una struttura “, dove diventa fondamentale “l’umanizzazione della cura”. E’ evidente che la Struttura esercita in questo modo un filtro per i ricoveri ospedalieri in appropriati. Il modello di Struttura Intermedia Unità di Degenza Territoriale realizzato nel Distretto di Campi Salentina è quello basato sulla Medicina Generale. E’ il MMG il responsabile clinico del paziente che utilizza l’UDT. E’ necessario specificare che tale modello è ovviamente simile ad altri modelli di Ospedali di Comunità non inseriti in Struttura Ospedaliera ma ha una specificità che è costituita dalla presenza di una figura professionale medica, il coordinatore sanitario, che ha la funzione di essere lievito per il TEAM (medico di medicina generale, infermiere professionale, medico specialista ambulatoriale, oss, supporti informali) che prende in carico il paziente. L’accesso nella Struttura avviene su proposta del Medico Curante, Medico Ospedaliero di strutture di ricovero per acuti prima della dimissione o dopo la stabilizzazione della fase acuta della patologia , Medici Specialisti Ambulatoriali. La richiesta di ricovero deve essere corredata del consenso del Medico
LA PAROLA AI COLLEGHI
Un team di professionisti aiuta i malati nel loro percorso terapeutico quando le cure a domicilio non possono essere sufficienti Curante. Questo sarà acquisito dopo l’inoltro al Distretto della richiesta di ricovero da parte del responsabile della struttura di provenienza. Le patologie di ricovero sono rappresentate da: postumi di ictus cerebrale, fratture di femore in fase di riabilitazione, neoplasie in fase terminale, stati di disidratazione, BPCO riacutizzata, sindrome da immobilizzazione (quando sia insorta da poco e sia prevedibile), altre patologie in via di stabilizzazione (cardiovascolari, cerebrovascolari, malattie croniche del fegato...) La tipologia dei pazienti non deve necessitare di ausilii per il mantenimento delle funzioni vitali. Nel percorso della conduzione clinica della patologia del paziente, il Medico Curante viene supportato come già dato dal Coordinatore Sanitario, si avvale della consulenza degli Specialisti del Poliambulatorio, del Laboratorio Analisi e della Radiologia e comunque di altra Unità Operativa della ASL. Per quanto riguarda l’assistenza e sorveglianza clinica, questa viene garantita dal personale infermieristico ed ausiliario. Nella Struttura è presente il PPIT (dalle ore 8 alle ore 20), la Guardia Medica e la postazione del 118. Da precisare che condizione indispensabile per avere diritto all’accesso in struttura è l’essere residente o domiciliato in uno dei comuni del D.S.S. Essere in carico, come assistito, ad uno dei M.M.G. operanti nel Distretto.
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NORME E DINTORNI
di NINO DELLO PREITE
Segretario Generale Tar Puglia Sezione di Lecce
Il consenso informato e la responsabilità del medico E’ OBBLIGATORIO FORNIRE AL PAZIENTE LA PIÙ IDONEA INFORMAZIONE SULLA DIAGNOSI, SULLA PROGNOSI E SULLE EVENTUALI ALTERNATIVE DIAGNOSTICO-TERAPEUTICHE 1. Il tema del consenso informato al trattamento medico ha assunto, soprattutto negli ultimi anni, particolare rilevanza sia sotto il profilo sociale che sotto il profilo giuridico. Come noto, la liceità dell’atto medico o chirurgico dipende, salvi i casi espressamente previsti dalla legge, dall‘acquisizione del consenso del paziente. Le fonti normative che riconoscono il diritto all’autodeterminazione terapeutica sono molteplici: a partire dalla Costituzione (artt. 2, 13 e 32), passando attraverso la Carta dei diritti di Nizza (art. 2, n. 3) e la legge n. 833/1978 (art. 33), per arrivare infine al Codice deontologico dei medici chirurghi e odontoiatri, approvato il 3 ottobre 1998, nel quale si prevede espressamente che: - il medico deve fornire al paziente ‘la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, e sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate’ (art. 30); - il medico non deve intraprendere alcuna attività diagnostica o terapeutica senza il consenso informato del paziente ed è necessaria la forma scritta nell´ipotesi in cui la prestazione da eseguire comporti possibili rischi per l‘integrità fisica del soggetto (art. 32); - il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona (art. 34). 2. Occupandosi del tema della responsabilità civile del medico per violazione del consenso informato, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha enucleato una sorta di ‘decalogo’
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Il consenso deve essere personale, specifico ed effettivo: deve perciò basarsi su informazioni dettagliate e chiare. Non è consentito il consenso presunto, anche nel caso il paziente sia un medico delle regole da seguire nel rapporto medico-paziente, (sentenze n. 20984/2012, n. 438/2008, n. 21748/2007, n. 7027/2001), che di seguito sinteticamente riassumo: a) il consenso deve, anzitutto, essere personale: deve, cioè, provenire dal paziente (salvi i casi di incapacità di intendere e di volere dello stesso); b) il consenso deve essere specifico, esplicito ed effettivo: deve, quindi, basarsi su informazioni dettagliate e chiare, mentre non è consentito il consenso presunto (come nel caso in cui il paziente stesso sia un medico); c) senza il consenso informato, l´intervento del medico è al di fuori dei casi di trattamento sanitario obbligatorio per legge o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito dal punto di vista civile, anche quando sia nell’´interesse del paziente; d) al consenso informato è correlata la facoltà del paziente non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche, eventualmente di rifiutare la terapia e di
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Dal punto di vista penale, pur in assenza del consenso, il trattamento arbitrario non è invece considerato rilevante se il risultato finale è benefico
decidere consapevolmente di interromperla (e ciò in tutte le fasi della vita, anche quella terminale); e) la responsabilità civile del sanitario (e di riflesso della struttura per cui egli agisce) per violazione dell´obbligo del consenso informato discende dalla violazione dell´obbligo di informare il paziente sulle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario; f) non rileva, ai fini della sussistenza dell´illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno; in particolare, il trattamento medico arbitrario può essere fonte di responsabilità civile anche se l´esito è positivo: in tal caso, l´ingiustizia del danno che rileva ai sensi dell´art. 2043 cod. civ. deriva non dalla lesione del diritto alla salute (visto che l´intervento è riuscito), ma dalla lesione del diritto alla autodeterminazione terapeutica; 3. Discorso diverso deve essere fatto per la responsabilità penale.
Infatti, le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 2437/1998) hanno affermato che, pur in assenza del consenso, il trattamento medico arbitrario non è penalmente rilevante se il risultato finale è comunque benefico. Ciò perché il principio di autodeterminazione terapeutica, sopra richiamato, deve essere contemperato con il principio di auto-legittimazione dell‘attività medica, che è un‘attività in radice legittima, in quanto finalizzata alla salvaguardia del bene fondamentale della salute (art. 32 Cost.). Quindi, nel caso di utilità dell’intervento, la condotta del medico, anche in assenza del consenso, non è tipica rispetto al reato di lesioni personali, perché non è configurabile una malattia (incompatibile con l‘esito fausto); inoltre, pur mancando la libera determinazione del paziente, non è integrato neppure il reato di violenza privata, perché tale lesione avviene con modalità diverse da quelle tipizzate nella norma penale.
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OPINIONI A CONFRONTO
di GIUSEPPE PELLERANO
L’inquinamento ambientale? E’ «figlio» dell’inosservanza della norme NON CI SI PREOCCUPA DI FAR RISPETTARE LE REGOLE E COSÌ LE MALATTIE AUMENTANO, SPECIALMENTE NEL SALENTO
L’
inquinamento ambientale è ormai definitivamente indicato come il principale responsabile delle tante patologie in grave aumento ovunque, specialmente, purtroppo, nel nostro Salento. E’ d’obbligo chiedersi come mai, in uno stato di democrazia avanzata come il nostro ed in presenza di una legislazione così attenta alla salubrità di ogni pur minima attività umana, sia possibile scontrarsi con realtà che, di fatto, negano il diritto alla salute dei cittadini. Una contraddizione in termini che esige una attenta analisi. Perché spendere cifre colossali per la pubblica salute, cui si attenta, in realtà, rendendo possibili inquinamenti dannosi alla stessa semplicemente eludendo le leggi in vigore è, a dir poco, pura follia. Quella che eufemisticamente chiamiamo inosservanza della normativa vigente, equamente attribuibile agli imprenditori ed alla Pubblica Amministrazione, in realtà può tradursi in attentato alla pubblica incolumità. L’ILVA di Taranto, la megacentrale a carbone di Cerano, il cementificio COLACEM di Galatina sono le punte di un iceberg che sono alla base dell’inquinamento atmosferico. Un esempio fra tanti: vi è mai capitato di arrivare a Lecce da Brindisi con la tangenziale e scendere dall’uscita Novoli-Villa Convento verso Porto Cesareo, ad un passo dalla città di Lecce? Lì dove erano pascoli e pascoli ora c’è un amplissimo parco fotovoltaico. Scendendo verso Novoli, dopo cento metri a sinistra un mare di pannelli ancora. Poco più avanti si stagliano contro il cielo due pale eoliche di tutto rispetto (inquinamento elettromagnetico), una cava in via di esaurimento ancora in funzione (inquinamento acustico e polveri). Ed ancora detta cava, circondata, letteralmente, da
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E’ un vero attentato alla incolumità dei cittadini. Gravi le responsabilità sia degli imprenditori che della pubblica amministrazione abitazioni vecchie e nuove, un polo urbano confinante con i Rioni Condò, Via Vecchia Carmiano, Materdomini, Masseria Nuova e, dulcis in fundo, fra tanta vita di periferia di una città, che ha ambìto al titolo di Città Capitale della Cultura Europea 2019, un bitumificio (inquinamento da polveri, vapori e fumi petroliferi). Avete letto bene! Bitumificio e cave che sono attività inserite nell’Elenco delle industrie insalubri di cui all’Art. 216 del T.U. delle leggi sanitarie D.M. 5 settembre 1994 (G.U. n. 220 del 20.09.1994, s.o. n. 129) ALLEGATO – Parte I – INDUSTRIE DI PRIMA CLASSE, B) Prodotti e materiali, ai – n. 13 Asfalti e bitumi, scisti bituminosi, conglomerai bituminosi (distillazione, preparazione, lavorazione) – n. 83 Minerali e rocce – macinazione, frantumazione Attività presumibilmente in regola con i permessi comunali e regionali. Questo è solo un esempio, verificabile con una passeggiata in un momento libero, che deve condurci a considerare che non le leggi mancano, ma la volontà degli imprenditori e delle
OPINIONI A CONFRONTO
Si rischia il disastro ambientale. Dove c’erano pascoli ora dominano parchi fotovoltaici e pale eoliche DEL BITUMIFICIO NEMMENO UNA PAROLA! Da questo brutto esempio piccolo piccolo che viene dal nostro Salento si illumina tutto il percorso che il nostro grande Paese deve compiere per un ritrovato rispetto della salute pubblica ed in ultima analisi della VITA!
DEL BITUMIFICIO NEMMENO UNA PAROLA!
amministrazioni di applicarle e farle applicare. I residenti, il Forum Ambiente e Salute, la Comunità Emmanuel, l’ALDA (Agenzie nazionali per le Democrazie Locali con sede a Strasburgo), l’ISBEM (Istituto Scientifico Biomedico Euro mediterraneo di Mesagne), i COHEIRS (Osservatori Civici per la Tutela della salute e dell’Ambiente) hanno inviato a tutte le istituzioni locali competenti sul territorio (Comune, Provincia, Regione, Prefetto, ASL, ARPA, ecc.) lettere regolarmente protocollate (a disposizione di chiunque vorrà leggerle) sollecitandone l’intervento. L’ARPA di Lecce per prima ha risposto dicendo sostanzialmente che i mezzi in dotazione sono solo 1 per Provincia e, al momento, impegnati altrove. Inoltre le risorse, i mezzi ed il personale, sono limitati e riescono a stento a svolgere la routine. Per la tematica relativa alla problematica acustica ed elettromagnetica i rilievi richiesti dai cittadini, a parte la incertezza dei tempi di intervento testé citati, sono a spese del richiedente (sic!). Gli altri Enti rispondono, in sostanza, che il rispetto ed il controllo delle leggi spetta anche ad altri e così via.
Fare business è necessario per l’evoluzione economica del nostro Paese. Ma una nuova etica è necessaria per una società chiamata a sfide mondiali che non possono prescindere dal rispetto della vita. Del resto è anche vero che finché la burocrazia non sarà responsabilizzata personalmen-te nelle decisioni che coinvolgono la incolumità pubblica non potrà esserci salute fra gli olivi! Le legislazioni sia nazionale che regionale relativa agli insediamenti inquinanti, e sono tanti, spesso sono vecchissime e la farragine delle revisioni, circolari ministeriali e regionali spesso ne inficiano la motivazione più profonda. Andrebbe rivisto l’intero settore inserendo come priorità assoluta il rispetto della salute. La scienza medica deve essere fra i padri costituenti di una nuova etica dell’interpretazioni delle leggi.
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LETTERE AL DIRETTORE
La prima terapia utile? Il sorriso del medico QUANDO SI SCOPRE DI AVERE UN CANCRO SI HA BISOGNO DI COMPRENSIONE, NON DI UNA FREDDA COMUNICAZIONE
Caro Direttore, Le scrivo dalla sala d’attesa di un Day Hospital oncologico, per raccontarLe quello che da un mese a questa parte è stato il nostro incubo. Le scrivo “nostro” perché quando viene emessa una sentenza oncologica , lo tsunami che ne consegue sconvolge la vita di chi è malato ma anche di tutte le persone che lo circondano. La nostra è una storia di “cose non viste” da vecchi Dottori in pensione che ancora oggi hanno la presunzione di esercitare con strumenti dell’anteguerra; di Professori che, dietro lauto compenso e senza regolare ricevuta, prescrivono farmaci senza consultare o prescrivere esami clinici e senza visitare i pazienti ma semplicemente secondo una presunta irregolarità intestinale; di diagnosi sbagliate e Dottori irreperibili per giorni. E’ una storia fatta di Dottori insensibili e orgogliosi e , per fortuna, di Medici che ti sorridono e ti aiutano a ritrovare la voglia di vivere. E’ la storia di grandi ospedali “del sud” con attese interminabili per esami e cartelle cliniche e di grandi ospedali “del nord” che definire efficienti sarebbe riduttivo, ed ancora di piccoli centri ‘’del sud’’, come quello da cui Le scrivo, in cui dal primo momento ti senti a casa. Le scrivo questa lettera per denunciare quello che succede in alcuni centri della nostra regione ma soprattutto per elogiare quello che succede in altri, sperando che questa mia esperienza possa servire ad altri per migliorarsi nel proprio lavoro o per vivere in modo più sereno la malattia.
La nostra disavventura comincia con una visita di controllo, un ricovero improvviso ‘’per accertamenti clinici’’ e quattro lunghi giorni senza ricevere alcuna notizia: nessun risultato degli esami clinici, nessuno che si preoccupa di spiegarci quello che sta succedendo. Passano i primi giorni e cerchi di convincerti che in queste cose ci vuole pazienza e infatti un bel giorno qualcuno ti chiede di firmare il consenso per un intervento di cui non sei neanche a conoscenza e poi, magari, si lamenta anche dell’attacco di panico che ne consegue nel paziente. Chiedi, a gran voce, di parlare con i medici e tutto prende un’altra piega: “è cancro! Allo stato avanzato! Inoperabile! Sei mesi se non interveniamo, cinque anni se la malattia si cronicizza! ” E’ un attimo! Una frazione di secondo in cui ti scorre davanti agli occhi tutta la vita. La nostra vita non c’è più, tutto gira intorno alla malattia. Non mi piace chiamarlo cancro: di cancro si muore , da una malattia si guarisce. Vivi i primi giorni su una nuvola, come se dall’alto vedessi scorrere la vita di un altro. Passano i giorni e ti ripeti che non può succedere a te poi realizzi che non hai altre scelte: devi tornare con i piedi per terra, indossare un armatura e prepararti alla battaglia. L’unica immagine che ricordo di quel momento è lo sguardo disperato dei miei familiari, l’unica sensazione è il sangue che mi si gela nelle vene fino a non riuscire ad alzarmi dalla sedia e l’unica frase quella del medico ”mi dispiace , ma scusate, ora c’è
Il malato ha il diritto di essere trattato con umanità e di avere risposte immediate, invece spesso ci si trova di fronte ad un muro di indifferenza
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LETTERE AL DIRETTORE
gente che mi aspetta!” . Cinque minuti per dire ad una famiglia che una parte di loro forse non ci sarà più: cinque minuti! C’era gente che aspettava la prima volta e la seconda la moglie aveva già “buttato la pasta” e non poteva aspettare … Vorresti rispondere a tono ma il disgusto prevale e alla fine, a mezza voce, pronunci solo un “vada a mangiare tranquillo, Dottore!’’ . Dottore si ! Perché ci sono Dottori e Medici : Dottore è chi in modo sterile compila una prescrizione e, senza troppe remore, passa al cliente successivo; Dottore è chi la passione per questa missione non l’ha mai vissuta neanche tra le aule universitarie; chi ti guarda con sufficienza se, prima di mettere piede in reparto, non sei passato in studio per una visita privata e che si infastidisce e ribatte con battute sarcastiche alla ingenua, e credo più che legittima , richiesta di una paziente di avere qualche chiarimento in più e delle visite specialistiche in modo celere. E poi ci sono i Medici: quelli che ti guardano negli occhi, ti sorridono, ti rassicurano e all’occorrenza ti stringono in un abbraccio fisico e psicologico perché sanno che in quel momento è l’unica cosa di cui hai bisogno , più di ogni cura e di ogni medicina. Medico è chi fa questo mestiere con passione, amore verso il paziente. Medico è chi ti ascolta, ti aiuta a capire quale può essere la strada migliore da percorrere anche se tortuosa. Chi non guarda l’orologio ma guarda la paura che hai negli occhi e che, a fine giornata, torna a casa con il portafogli forse un po’ più leggero ma con il cuore colmo dei sorrisi delle persone che ha incontrato.
se ad una richiesta simile la paziente viene colta da attacchi di panico e forti stati d’ansia? Non sono un medico , ma credo che a volte basterebbe un po’ di sano buon senso! E’ possibile chiedere ad un paziente oncologico di aspettare dai 30 ai 40 giorni per avere il risultato di un esame istologico e più di un mese per ottenere dal Cup di riferimento la copia di una cartella clinica sapendo che quei giorni potrebbero essere determinanti per la sua sopravvivenza e cura? E soprattutto: è possibile, nel 2015, sentirsi dire “se conosci qualcuno ti danno tutto subito”??? E chi non conosce nessuno e non ha le possibilità economiche di spostarsi in altri centri più specializzati che fa? Questa lettera, caro Direttore, è un invito a tutti coloro che esercitano la professione medica a riconoscere i propri limiti ed errori, a migliorarsi ogni giorno restando però uomini in terra, ad approcciare i pazienti prima di tutto con un sorriso. Direttore, Le scrivo dalla sala d’attesa del Day Hospital del reparto di oncologia dell’Ospedale Sacro Cuore di Gallipoli: il nostro primo ciclo di chemioterapia è quasi terminato, torneremo a casa con la speranza che questi giorni passino in fretta per tornare a farne un secondo e poi un terzo … e con la soddisfazione di aver trovato nella nostra splendida terra dei medici , a cui affidarsi per la terapia, che ci hanno ascoltato, sorriso e abbracciato guidandoci in questo che sarà un percorso duro ma che abbiamo deciso di affrontare insieme ,un passo alla volta. Questa “piccola” realtà è la dimostrazione del fatto che non servono grandi cose per addolcire un ‘attesa e non servono grandi città e grandi strutture : la vera differenza sono le persone , l’amore per i pazienti, per il proprio lavoro e quel sorriso in più che definirei contagioso. Stiamo combattendo e il nostro esercito cresce di giorno in giorno e si alimenta di amore, affetto, solidarietà e gioia di vivere ogni istante con la consapevolezza che stiamo rubando forza alla malattia e che sarà dura , perché l’avversario è una brutta bestia, ma alla fine noi vinceremo la guerra perché insieme siamo più forti.
Nel day-hospital di Oncologia dell’ospedale di Gallipoli abbiamo trovato la forza per combattere la nostra battaglia
Caro Direttore, non mi fraintenda, ammetto e comprendo l’errore umano di un medico che prima di tutto è una persona e immagino che questo sia uno dei lavori più stressanti sulla faccia della terra , così come immagino che non ci si abitui mai a dare notizie simili ma la mancanza di umanità e di umiltà che ho vissuto in questo periodo mi ha veramente sconvolto. E’ possibile chiedere ad una paziente di firmare il consenso per un intervento oncologico non programmato prima di aver informato la paziente stessa e la famiglia di quella che è la reale situazione clinica? Ed ancora , è possibile infastidirsi
Con stima, una figlia ‘’con la malattia’’.
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LETTERE AL DIRETTORE
Ho trovato umanità e professionalità IL PAPA’ ASSISTITO ALLA PERFEZIONE A SAN CESARIO, E IL FIGLIO MEDICO RINGRAZIA
Ottenuti risultati impensabili grazie all’impegno di medici, infermieri e fisioterapisti. Anche la sistemazione alberghiera risulta eccellente. Complimenti alla direzione generale della Asl di Lecce
Al Direttore del Reparto di Riabilitazione dell’Ospedale di S. Cesario di Lecce e p.c. Al Direttore Generale della ASL-LE Al Direttore Sanitario della ASL-LE
Egr. Dottore Za, Intendo porgerLe sinceri ringraziamenti per l’eccellente trattamento ricevuto nel Suo Reparto da mio padre Minchillo Antonio. Grazie alla grande professionalità ed alla grandissima umanità di medici, infermieri e fisioterapisti, mio padre ha ottenuto risultati impensabili, considerate le condizioni iniziali di ricovero. Ottima, inoltre, è stata la sistemazione dal punto di vista alberghiero (cosa peraltro di non trascurabile importanza). Desidero, infine, complimentarmi con la Direzione Generale della ASL-LE, in quanto tali reparti oltre a rendere alla popolazione un servizio preziosissimo, infondono contemporaneamente una rinnovata fiducia nelle tanto bistrattate Strutture Sanitarie Pubbliche. Rinnovando i ringraziamenti, porgo sinceri cordiali saluti. Dott. Maurizio Minchillo Medico chirurgo Specialista in Diabetologia
60 SALENTO MEDICO 2015