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ANNO LIII - N. 115
mercoledi', 29 aprile 2015
SPECIALE PESCA L'Economia e la politica della pesca nel mondo
L'UE METTE IN GUARDIA LA TAILANDIA SUL PROBLEMA DELLA PESCA ILLEGALE 21 aprile 2015 - L'Unione Europea ha reso noto che procedera' a vietare i prodotti ittici provenienti dalla Tailandia, se il paese asiatico non effettuera' controlli piu' severi sulla pesca illegale, rimuovendo, al tempo stesso, un'analoga minaccia nei confronti delle Filippine e della Corea del Sud. Alla Tailandia sono stati concessi sei mesi per ripulire il proprio settore ittico, o unirsi alla vicina Cambogia, oggi l'unico paese del sudest asiatico sulla lista nera europea. Stando ai dati delle Nazioni Unite, la Tailandia e' il terzo maggior esportatore mondiale di prodotti ittici, dietro la Cina e la Norvegia. E il 15% delle sue esportazioni ittiche sono dirette verso l'Unione Europea. Martedi', Bruxelles ha dichiarato di aver "denunciato le mancanze del paese per quanto riguarda i sistemi di monitoraggio, controllo e, laddove necessario, sanzioni, delle sue aziende ittiche, e ha concluso sottolineando come la Tailandia non stia facendo abbastanza". Per evitare l'implementazione di un divieto, nel giro dei prossimi sei mesi, Bangkok dovra' "implementare uno specifico piano d'azione", volto a eliminare il problema della pesca illegale dalle sue acque, ha spiegato l'Unione Europea. "Il provvedimento di oggi costituisce un avvertimento, che noi definiamo come un cartellino giallo… Per il momento, non vi saranno sanzioni commerciali di alcun tipo", ha dichiarato Karmenu Vella, commissario europeo per l'Ambiente, gli Affari Marittimi, e la Pesca. Dall'altro lato, le Filippine e la Corea del Sud "hanno adottato un'azione responsabile, modificando i loro rispettivi sistemi giuridici, e passando a un approccio proattivo nei confronti della pesca illegale", ha reso noto Vella. Nel 2010, l'Unione Europea ha lanciato un giro di vite contro la pesca illegale, costringendo i paesi a rafforzare il monitoraggio e il controllo dei loro settori ittici, se non vogliono trovarsi fuori dal lucrativo mercato europeo. La pesca illegale costituisce il 15% di tutte le catture globali, valutate in 20 miliardi di dollari l'anno, secondo l'UE. Martedi', il ministro degli esteri tailandese ha reagito, insistendo affinche' l'Unione Europea "rimuova, quanto prima, il cartellino giallo". Il ministro ha detto di essere "profondamente deluso per la decisione dell'Unione Europea", e di considerare un "fattore di forte scoraggiamento" il fatto che non siano stati tenuti in debita considerazione gli sforzi del governo tesi a migliorare le pratiche ittiche. Sempre martedi', Chatchai Sarikulya, ministro del Commercio della Tailandia, ha sottolineato come un comitato di lavoro presieduto dal primo ministro Prayuth Chan-ocha fosse gia' stato istituito in previsione dell'avvertimento dell'Unione Europea. Il presidente della Thai Frozen Foods Association, Poj Aramwattananont, ha dichiarato di essere
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fiducioso che, nel giro dei prossimi sei mesi, la Tailandia sapra' adottare i provvedimenti necessari per evitare il divieto europeo. Lo scorso anno, il settore ittico tailandese ha venduto 319 milioni di dollari di prodotti ittici all'Unione Europea, secondo il Ministero del Commercio della Tailandia. L'approvazione dell'Unione Europea costituisce fonte di grande sollievo per Manila, il cui obiettivo e' quello di incrementare le esportazioni dirette verso l'Europa, ha detto il Dipartimento del Commercio e dell'Industria delle Filippine. L'Europa costituisce un mercato chiave per le Filippine, che nel 2013, hanno venduto 230 milioni di dollari di prodotti ittici all'UE, circa un sesto di tutte le loro esportazioni, stando agli ultimi dati diffusi dal governo. Nelle Filippine, la maggior parte della pesca illegale viene praticata dalle grandi imbarcazioni commerciali che invadono le acque riservate ai piccoli pescatori vicino alla costa, depauperando gli stock ittici locali, secondo il Dipartimento all'Agricoltura. Le pratiche illegali, come la pesca con la dinamite e il cianuro continuano a persistere in molte aree. Alla fine dello scorso anno, in risposta alle forti pressioni esercitate dall'Europa, il Congresso delle Filippine ha approvato un nuovo codice della pesca che impone dure sanzioni per questo tipo di attivita'. La minaccia di un divieto dell'Unione Europea contro le Filippine, espressa per la prima volta a giugno dello scorso anno, significava che Manila avrebbe potuto non trarre vantaggio dal suo recente accesso al Generalized Scheme of Preferences Plus, o GSP+ dell'UE – un programma commerciale che ha eliminato dazi doganali su migliaia di prodotti filippini importati nei 28 stati membri, ivi compreso il pesce – quando, a fine dicembre, il paese e' stato ammesso. Il governo delle Filippine ha spiegato che l'entrata nel programma e' destinata a creare migliaia di nuovi posti di lavoro, soprattutto nei settori ittico e manifatturiero. La Century Pacific Food Inc., il maggior produttore filippino di cibi in scatola, ha espresso il proprio sollievo per il fatto che il divieto minacciato non potra' piu' materializzarsi. "La flessibilita' per vendere in Europa, insieme al GSP+, costituisce un fattore positivo per noi, e per tutto il settore", ha dichiarato Teddy Kho, vice presidente del comparto aziendale che si occupa delle esportazioni di tonno. Finora, l'Unione Europea ha messo al bando i prodotti provenienti dalla Guinea e dallo Sri Lanka, come anche dalla Cambogia, paesi che non hanno tenuto in debita considerazione gli avvertimenti concernenti le loro pratiche ittiche. [Trefor Moss, quotidiano – a cura di agra press] CONSIGLIO UE: RAGGIUNTO ACCORDO SUL PIANO DI GESTIONE DEGLI STOCK ITTICI NEL MAR BALTICO 20 aprile 2015 – Gli Stati membri dell'Ue hanno raggiunto un accordo di principio sulle quote di cattura nel Mar Baltico. Il Ministro dell'Agricoltura lettone Janis Duklavs, che ha presieduto l'incontro, ha accolto con entusiasmo la decisione (…). Per l'adozione definitiva occorrera' pero' aspettare l'approvazione dell'Europarlamento. Proprio su questo punto importanti nazioni a vocazione marittima hanno sollevato delle critiche. Secondo i diplomatici europei, Francia e Spagna temono infatti che il Parlamento europeo possa influire pesantemente sulla fissazione dei futuri limiti di cattura anche in altre regioni. Il Parlamento non dovrebbe avere voce in capitolo perche' le quote annuali vengono decise dagli stati su proposta della stessa Commissione Ue. Il Ministro dell'Agricoltura Christian Schmidt (Csu) giudica positivamente la decisione: "Sono state poste le basi per continuare ad assicurare una prospettiva alla pesca sostenibile, anche alla pesca locale che abbiamo noi nel Mar Baltico". In questo modo si assicura pianificazione e prevedibilita'.
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Accanto al piano di gestione pluriennale degli stock ittici [del Mar Baltico], un altro punto all'ordine del giorno durante la riunione e' stata la preparazione al Forum delle Nazioni Unite sulle foreste che si terra' a maggio [dal 4 al 15 a New York]. [quotidiano – a cura di agra press (i)] TONNO ROSSO: "LA DOMANDA DI MERCATO RIMANE IMPORTANTE" 7 aprile 2015 – (…) Il tonno rosso nel Mediterraneo (…) seriamente minacciato di estinzione una decina di anni fa, e' oggi salvo grazie alla regolamentazione sulla pesca. Ma si puo' essere tranquilli per il suo futuro? Jean-Marc Fromentin, specialista in ecologia marina e alieutica all'Ifremer (Istituto francese di ricerca per l'esplorazione sostenibile del mare, NdT), fa il punto della situazione (…). Qual e' la situazione del tonno rosso nel Mediterraneo oggi? Siamo usciti da una situazione critica. La tendenza e' stata particolarmente preoccupante fino alla fine degli anni 2000 a causa del sovrasfruttamento. La crisi si e' prolungata per una buona decina di anni: non vi erano controlli sulle catture e i prelievi erano troppo elevati. Crisi che ha poi raggiunto il culmine nel 2009-2010, quando e' stata depositata una domanda di iscrizione del tonno rosso alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites). Grazie al coinvolgimento dell'opinione pubblica da parte delle ONG e ai rapporti scientifici allarmanti, il piano di ricostituzione della popolazione di tonno rosso e' stato rafforzato e ha permesso l'inversione della tendenza e l'arresto del pericoloso calo della biomassa. Dal 2012, si registra un aumento abbastanza forte della biomassa del tonno rosso, tutti gli indicatori sono verdi. Per cui adesso si e' tranquilli per quanto riguarda il tonno rosso? Non si e' mai tranquilli. La domanda di mercato rimane importante, il suo valore commerciale e' ancora molto elevato e nonostante il piano di diminuzione della sovraccapacita' di pesca, questa continua ad essere ancora potenzialmente molto importante. I controlli sono sempre necessari. Se si allentassero, si ritornerebbe alla situazione precedente. Quali misure hanno permesso la ricostituzione della popolazione di tonno rosso? Il ruolo piu' importante lo hanno avuto i controlli e il calo delle quote di pesca. Dal 2010, la quota e' stata divisa per tre, si e' passati da 30.000 a 13.000 tonnellate l'anno circa. La pesca illegale e' anch'essa diminuita, seppure ancora praticata. Abbiamo anche aumentato la taglia minima dei pesci pescati e imbarcato osservatori indipendenti sui pescherecci. I controlli a terra degli sbarchi e la creazione di un registro di catture hanno rafforzato il dispositivo. E' un esempio da seguire per altre specie? L'importanza della storia del tonno rosso risiede nella sua capacita' di dimostrare che quando si possiede la volonta' politica di contrastare una sovrappesca, e' possibile farlo. Anche se esistono problematiche politiche complesse, poiche' sono coinvolti molti paesi. Dobbiamo riconoscere alle ONG di essersi mobilitate enormemente e di aver toccato la sensibilita' dell'opinione pubblica che ha pesato sulle autorita'. [Audrey Chauvet, portale – a cura di agra press (gin)] LE BARCHE DA PESCA SPAGNOLE TORNANO IN MAROCCO CON MOLTI DUBBI 7 aprile 2015 – Le barche da pesca sono tornate in Marocco, dove dal 1 aprile si puo' pescare dopo la fine del fermo biologico decretato dal paese nordafricano. Solo tre delle 20 imbarcazioni autorizzate hanno utilizzato la loro licenza in un eccesso di diffidenza mostrato dalla flotta peschereccia andalusa verso questo accordo. L'ultimo obbligo di montare su ogni nave una stazione di comunicazione marittima ha ostacolato l'intenzione di rinnovare i permessi da parte di alcuni armatori. Tuttavia, questa alternativa e' fondamentale per fare spazio nel golfo di Cadice, pieno di barche e in attesa della decisione del governo su come distribuire la quota di pesca delle sardine di quest'anno.
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La flotta da pesca e' tornata questo lunedi' in Marocco dopo aver atteso la fine della Settimana Santa, anche se in realta' avrebbe potuto fare ritorno a partire dall'inizio del mese. Il paese nordafricano aveva fissato due mesi di fermo biologico con scadenza il 1 aprile. Delle 20 imbarcazioni autorizzate nel porto di Barbate (Cadice) solo tre ha deciso di usare la loro licenza. (...) Il bacino di pesca si trova in una buona condizione, con pesce in abbondanza, in particolare alici, e di buone dimensioni, dopo due mesi di fermo. Ma la preoccupazione del settore non diminuisce. La stragrande maggioranza non ha ancora rinnovato le licenze perche' ritiene che i costi inseriti nel viaggio, come l'obbligo di acquistare una nuova stazione di comunicazione radio, non garantisce la redditivita' di questi viaggi, piu' produttivi ma anche piu' costosi. "Le licenze sono costose, anche il carburante e' caro e, se in piu' c'e' l'obbligo di acquistare una stazione radio, i conti non tornano," si lamenta Tomas Pacheco, presidente della Associazione delle imprese di pesca di Barbate. Anche i pescatori di Huelva vogliono che l'accordo con il Marocco funzioni bene, anche se la maggior parte delle licenze spetta ai colleghi di Barbate. E' "utile", ha detto Mariano Garcia, vicepresidente della Federazione andalusa dei pescatori, perche' "si tolgono navi dal golfo di Cadice e c'e' piu' quota (di pesca) da dividere per le diverse specie." Particolarmente controversa e' la sardina. Ieri in una riunione con il governo, il settore andaluso ha sostenuto che la ripartizione delle quote venga fissata per il 70% su base storica e che il restante 30% sia distribuito in modo proporzionale. Ma questa misura non convince tutti, per cui il ministero dell'agricoltura esita a prendere una posizione definitiva, per non danneggiare alcuni e beneficiare altri in piena precampagna elettorale. L'incertezza del governo, secondo il settore, sta causando molti danni perche' i pescatori pescano in modo irresponsabile, catturando tutto il possibile. "Abbiamo bisogno di pescare con la garanzia di un volume che ci dia entrate sufficienti", ha detto Mariano Garcia. [Pedro Espinosa, quotidiano - a cura di agra press (pf)] I PRODUTTORI VIETNAMITI DI PANGASIO OPTANO PER LA TILAPIA 7 aprile 2015 – Il pangasio non e' piu' il principale prodotto delle esportazioni ittiche vietnamite. Tutto cio' si deve alla cattiva pubblicita' nei paesi europei, che ha determinato una forte contrazione delle vendite, e la mancanza di investimenti in Vietnam, che ha visto diversi operatori uscire dal settore. "Oggi i produttori ittici non sono minimamente invogliati ad allevare pangasio", ha dichiarato un esperto del settore. "Probabilmente, quest'anno, finiremo per avere solo 600.000, o al massimo 800.000 tonnellate di pesce raccolto – una quantita' che e' circa la meta', rispetto a cinque anni fa. Gli allevatori di pangasio si stanno, infatti, spostando sempre piu' sulla tilapia". La tilapia viene allevata in casse nei fiumi Hau e Tien, i principali affluenti del fiume Mekong. La tilapia rossa (Orechromis niloticus) e la tilapia nera (Tilapia mossambicus) sono allevate in quantita' quasi uguali, e, come il pangasio, vengono esportate, per lo piu', sotto forma di filetto. Secondo i media locali, nell'ultimo decennio, le esportazioni vietnamite di tilapia hanno registrato una forte crescita, passando da 1,95 milioni di dollari del 2004, a piu' di 32,2 milioni di dollari del 2014. Nel 2014, il Vietnam ha esportato tilapia in piu' di 60 paesi, stando a quanto riportato da fonti ufficiali. Gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato, avendo importato 1.745 tonnellate di pesce, per un valore di 5,24 milioni di dollari, e costituendo circa il 18,2% delle esportazioni, seguiti dalla Spagna, con importazioni per un valore di 3,7 milioni di dollari, e dalla Colombia, che ha acquistato tilapia per un valore di 3,03 milioni di dollari. Tra i 10 maggiori importatori vi sono i Paesi Bassi, il Belgio, la Germania, il Messico, la Gran Bretagna, la Repubblica Ceca e l'Italia.
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L'allevamento di pangasio e' in calo da diversi anni. Tutto cio' si deve alla rigida politica dei prezzi adottata dalle banche vietnamite, in base alla quale gli allevatori si trovano a dover corrispondere tassi di interesse anche del 30%, nel caso in cui chiedono soldi per l'acquisto di mangimi e di avannotti. Pertanto, diverse aziende ittiche private sono state costrette a interrompere la produzione di pangasio destinato a essere lavorato ed esportato. Oggi, il commercio e' dominato da produttori che possiedono delle proprie aziende e sono nelle condizioni di prefinanziare l'investimento. Sfortunatamente, come nel caso del pangasio, in Vietnam, non vi sono fondi a sufficienza per investire nella produzione di tilapia, il che comporta che non vi e' poco pesce perche' il settore possa sfruttare il suo potenziale d'esportazione. Dieci anni fa, il governo vietnamita ha avviato la fase di implementazione di un progetto per lo sviluppo delle esportazioni di tilapia. Tuttavia, la produzione non e' andata come previsto, e non e' riuscita a stare al passo con la domanda interna. Inoltre, la commercializzazione internazionale ha registrato una fase di stagnazione – colpita com'e' dalla carenza di materia prima – e non e' nella posizione per soddisfare o mantenere le richieste provenienti dall'estero. Attualmente, la tilapia si rivolge a un mercato diverso da quello del pangasio – che, oggi, viene venduto solo come prodotto di qualita' inferiore – poiche' i produttori fanno fatica a soddisfare le richieste dei compratori. E' un mercato di nicchia, secondo un osservatore del settore, e di conseguenza, la tilapia vietnamita puo' essere venduta a un prezzo piu' alto, rispetto al pangasio – a circa 4,10 dollari al chilo. Uno dei motivi per cui la tilapia proveniente dal Vietnam sara' subito accettata e' che "la qualita' del pesce, in Vietnam, e' di gran lunga superiore a quella, per esempio, della Cina, che e' il piu' grande fornitore di tilapia". [portale – a cura di agra press]
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