Quaderni del Punto Giovani
7 Punto Scuola dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi.
INDICE
Premessa
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Punto Scuola dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi. Documento conclusivo della ricerca Nedo Baracani Dipartimento Studi Sociali dell’Università degli Studi di Firenze
A CURA DI ANNALISA BRACCO COMITATO DI REDAZIONE NEDO BARACANI ANNALISA BRACCO GIANFRANCO CASCIANO VALERIO DUCCI PIERO FOROSETTI SEGRETERIA DI REDAZIONE CATERINA AGOSTINI FAUSTO DE SANTIS
COMITATO SCIENTIFICO LIANA ANDREINI NEDO BARACANI CORRADO BOGLIOLO ANNALISA BRACCO GIANFRANCO CASCIANO METELLA DEI VALERIO DUCCI GIOVANNA FAENZI PIERO FOROSETTI BONA GALLI PARENTI MARA LEONCINI ALBERTO L’ABATE PATRIZIA MERINGOLO UGO ROMUALDI COMUNE APERTO ANNO N° XIV 2 GENNAIO 2000 DIRETTORE RESPONSABILE: ENZO RISSO ORGANIZZAZIONE: MARTA CAVINI COPERTINA, GRAFICA ED IMPAGINAZIONE: HOMOGRAPHICUS STAMPA: TIPOGRAFIA COMUNALE REDAZIONE E SEGRETERIA: PUNTO GIOVANI, VIA DELLA COLONNA, 51 - 50123 FIRENZE TEL. 2347329 - 2340220 FAX 2638353 E-MAIL:
[email protected] http: www.comune.firenze.it/servizi_pubblici/giovani/puntogio/punto_g.hm
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Brochure Convegno “Punto Scuola: dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi”
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Punto Scuola: Il perché di un progetto Annalisa Bracco - Coordinatore Punto Giovani
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Quali giovani a Firenze nel III Millennio: punti di contatto tra due ricerche Alberto L’Abate Dipartimento Studi Sociali dell’Università degli Studi di Firenze
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Nella scuola e dopo: la centralità del lavoro Nedo Baracani Dipartimento Studi Sociali dell’Università degli Studi di Firenze
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Interventi dei Presidi delle Scuole A. Papini - Preside ITI-IPIA “Leonardo da Vinci” A. Soresi - Preside Corsi Serali Comunali G. Pentangelo - Preside IPSS “Elsa Morante” Esposto Al Ministero del lavoro sulla situazione dei Professionali
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Formazione e orientamento: il ruolo della Provincia Mirna Migliorini Assessore al Lavoro, Formazione Professionale e Politiche Sociali Provincia di Firenze
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Servizi Sociali: ascoltare e agire Lamberto Tozzi Direttore Direzione 18 - Comune di Firenze
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Conclusioni Daniela Lastri Assessore Pubblica Istruzione e Politiche Giovanili - Comune di Firenze
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Corso di formazione Progetto “Giovani Insieme”
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Relazione del Dipartimento Studi Sociali dell’Università di Firenze Alberto L’Abate
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Relazione del Procuratore Capo presso il Tribunale per i Minorenni Aldo Nesticò
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Relazione dell’Ufficio di Servizio Sociale Minorile Lorena Loffredi
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Progetto Arcobaleno Centro di Pronta Accoglienza Mercede Centro Residenziale Gianburrasca Centro Sociale Il Pozzo
pag. 111 pag. 113 pag. 115 pag. 117
Relazione di un volontario del progetto
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Relazione sull’attività di formazione nell’ambito del progetto Lorenzo Porta
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Interventi, comunicazioni, note Aggiornamento Centro di Documentazione Nazionale su Infanzia e Adolescenza Dott.ssa Antonella Schena
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PREMESSA I giovani che affrontano oggi la scuola secondaria e gli studi universitari si interrogano su che cosa effettivamente li attenda: decisioni orientate allo studio, al lavoro o a qualunque loro combinazione, si scontrano con trasformazioni continue, dagli esiti incerti, inserite in una ideologia che considera il singolo individuo dipendente dalle esigenze dell’economia, dell’efficienza e della razionalizzazione. Altri predicano l’integrazione tra competenze generali e competenze specifiche professionali prospettando una vita adulta continuamente impegnata nel ridefinirsi per adattarsi alle richieste della società e del mercato. In ogni caso, sembra sottratta al singolo la possibilità di assumere decisioni autonome di lungo periodo, da cui l’immagine di giovani molto legati al presente, pragmatici, che considerano sempre revocabili le loro scelte. Per una gran parte di giovani già oggi studio e lavoro convivono e in prospettiva la durata degli studi (università compresa) si accorcerà e sarà quindi anticipata la loro entrata nel lavoro, con prevalenza di rapporti flessibili: “il lavoro flessibile, scrive il Censis1, ha finito per configurarsi come un sistema complementare e non alternativo a quello standard e, in quanto tale, è risultato essere sinonimo di precarietà più che di opportunità”. Queste tendenze sono facilmente osservabili per chiunque, così come è osservabile la domanda di autonomia delle persone, in particolare dei giovani. Siamo davanti a tendenze contraddittorie. Come direbbe A. Touraine, “da un lato abbiamo la trasformazione dell’individuo in soggetto, cioè in inventore della propria individualità, costruita attraverso le esperienze vissute; dall’altro un ordine sociale che può essere compreso sia come un sistema che ha come unico principio la propria integrazione, (…), sia come dominio imposto dai detentori di tutte le forme di capitale”2. Se scegliamo la prima prospettiva, dobbiamo necessariamente privilegiare l’impegno al rafforzamento della fiducia e dell’autostima, in modo non acritico e volontaristico, ma sulla base della conoscenza dei processi nei quali i giovani sono inseriti e dei quali hanno, di solito, più una percezione sintetica che una visione realistica. E questo vale sia per coloro che percorrono con successo, sia pure con ritardi, un cammino di formazione e di inserimento nel lavoro, sia per coloro (e se ne occupa la seconda parte di questo numero dei Quaderni) che sono colpiti da emarginazione e devianza e verso i quali si adottano strategie contraddittorie (forse è inevitabile che sia così) di repressione e di integrazione. Nello stesso scritto, Touraine (p. 147) oppone l’educazione-socializzazione all’educazione-individuazione, intendendo con quest’ultima il rafforzamento “della capacità di ciascuno di resistere ai pericoli dell’esclusione e di prendere iniziative” (p. 148)3. Questo numero dei Quaderni vuole promuovere una migliore conoscenza di questa realtà prospettando un impegno di medio-lungo periodo degli studenti e dei loro insegnanti nel seguire gli 1 CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese, Milano, Angeli, 1999, p. 186. Le indicazioni del rapporto Censis sono particolarmente importanti poiché “fotografano” una condizione femminile che risulta assai chiaramente dall’indagine presentata nella prima parte di questo numero dei Quaderni. 2 A. Touraine, “Contro il sistema”, “Micromega”, 1999, n. 4, p. 145. 3 In modo provocatorio, Touraine nota che il compito della scuola non è più quello di preparare i ragazzi a diventare cittadini nel senso tradizionale che questo termine aveva, e che corrispondeva alla fase storica in cui erano preminenti i legami di appartenenza ad una nazione, che pure è stata una fase storica importantissima; oggi il compito dovrebbe essere quello di costruire un individuo autonomo, consapevole delle proprie appartenenze (con le loro caratterizzazioni storiche e i doveri che comportano) e dei diritti politici, sociali e culturali di cui è portatore; “questo “individualismo” liberatore e non consumatore è la controparte necessaria del controllo sempre più serrato microfisico (per dirla con Michel Foucautl), che i potenti esercitano su tutta la popolazione, in misura di gran lunga superiore alla repressione aperta e violenta” (p. 149). Touraine ricorda l’inchiesta realizzata in Francia su un vastissimo campione di liceali (tre milioni), fra i quali emergevano due temi che erano assenti, in quanto tali, dai questionari; l’autonomia e la comunicazione, intesa come scambio personale. Il lavoro che si propone alle scuole dà molta rilevanza allo scambio personale, in quanto è una comunicazione liberamente accettata nella quale insegnanti e studenti discutono di prospettive, di esperienze che altri stanno facendo o hanno fatto, della possibilità di compiere o no certe scelte di studio o di lavoro.
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esiti dello studio e del lavoro. Come arriviamo a prendere delle decisioni che riguardano il nostro futuro di studio e di lavoro? Chi ha fatto che cosa, come e con quali risultati dopo la scuola superiore? Quali sono le esperienze di coloro che si sono inseriti nel lavoro? E chi ha scelto l’università che esperienza ha fatto? Come ci stiamo orientando per le decisioni che dobbiamo prendere già nel corso dell’ultimo periodo della scuola superiore? E coloro che attualmente sono alla scuola media, a che tipo di scuola superiore vanno incontro? Come affrontare insieme questa trasformazione? Come rafforzare nei giovani la capacità di resistere ai pericoli dell’esclusione e di prendere iniziative? Come orientare l’azione formativa, nelle condizioni di un’esclusione già sperimentata e socialmente sanzionata in modo da sviluppare una coscienza civica basata sulla sensazione che quello che ciascuno cerca di costruire abbia un senso, combattendo quell’atteggiamento secondo il quale, come ci viene ricordato nella testimonianza di A. L’Abate, “è inutile muoversi, tanto decidono tutto loro…”? È un po’ questo il senso della ricerca che apre questo fascicolo, resa possibile dalla collaborazione tra il Comune, il Punto Giovani, il Dipartimento di Studi Sociali, l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “L. Da Vinci”, i Corsi Serali Comunali e l’Istituto Professionale Elsa Morante per i Servizi Sociali “E. Morante”. Come tutte queste ricerche, anche quella che viene qui presentata esplora solo alcuni aspetti, ma introduce la domanda se quanto è stato fatto in maniera ampia non possa essere proseguito in ogni singola scuola, mettendo a frutto questa esperienza. Resta da capire se negli studenti, negli insegnanti e nelle istituzioni (quelle che hanno dato vita al Punto Giovani e l’Università) c’è la volontà di fare ogni sforzo per seguire le scelte dei giovani e l’esito delle loro decisioni di studio e di lavoro, anche rafforzando i legami tra chi è ancora a scuola e chi in quella scuola ha passato vari anni maturando esperienze di studio, di esperienze pratiche e di contatto col lavoro, di relazioni con insegnanti e compagni. Queste istituzioni rischiano di apparire ai giovani soltanto come rappresentanti di un ordine sociale, nel momento in cui non si fanno carico di domande assolutamente legittime (si pensi alla questione del riconoscimento sollevata dall’Istituto Professionale per i Servizi Sociali), sembrano non potere o non volere affrontare questioni come quelle del lavoro (soprattutto quello più debole, quello nero) e della comunicazione, e quindi non sembrano in grado di contribuire alla costruzione dell’autonomia personale. Le stesse domande emergono nei contributi dedicati all’area penale, dove il problema della costruzione dell’autonomia personale si scontra sovente con l’assenza di quelle risorse, soprattutto per gli adolescenti e giovani immigrati, che permettono a qualcuno, soprattutto agli italiani, di rientrare nell’ambiente familiare laddove per altri, e in particolare per gli stranieri, si aprono le porte del carcere. Eppure, anche in questo caso il problema è quello di rafforzare le capacità della persona di prendere decisioni, di perseguire obbiettivi ragionevoli, aiutata in questo da persone competenti e dall’appoggio delle istituzioni. Non è certamente secondario l’apporto di associazioni e di centri che realizzano in concreto azioni di accoglienza, formazione, sostegno. Anche in questo caso è di grande importanza la conoscenza degli esiti, sia per chi opera in questi progetti, sia per i giovani che ne sono coinvolti, perché anche qui la comunicazione e lo scambio personali, sia con gli operatori che con altri giovani assumono grande rilevanza. Sempre di più si cerca di studiare la società per processi, sviluppando ricerche di tipo longitudinale che permettano di capire in quante e quali modalità si verifichi il passaggio da una situazione all’altra, dal benessere alla marginalità all’esclusione, ma anche da situazioni di deprivazione verso il benessere attivando tutte le risorse, prime fra tutte quelle della persona che vive tale processo. L’invito è dunque a considerare questi contributi come strettamente legati tra loro, in quanto il processo formativo teso alla costruzione dell’autonomia riguarda tanto le scuole quanto le altre attività destinate a gruppi particolarmente sfavoriti. Come ci ricorda A. Nesticò, istituti come quello della messa alla prova rendono possibili proprio quegli interventi che tendono a valorizzare i “segnali” che provengono dagli adolescenti e dai giovani, quei segnali che indicano la volontà di costruire una propria autonomia, sempre col rischio, che dobbiamo accettare, che questo tentativo o non dia il risultato auspicato o lo dia solo dopo numerosi altri sforzi. Il Comitato di Redazione
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PROSECUZIONE DEGLI STUDI E TRANSIZIONE AL LAVORO: PREVISIONI, ASPETTATIVE, ESPERIENZE, DOMANDE. UNA RICERCA-INTERVENTO IN TRE SCUOLE FIORENTINE. Istituto Professionale per i Servizi Sociali “E. Morante” Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “L. da Vinci” Corsi Serali Comunali (Nedo Baracani - Tiziana Mola - Università di Firenze)
1. PREMESSA: UNA RICERCA-INTERVENTO. Il progetto Punto Scuola: dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi è stato attivo con un servizio di sportello come proiezione del Punto Giovani presso l’Istituto Superiore per i Servizi Sociali Elsa Morante, e i Corsi Serali Comunali a partire dall’anno scolastico 1998-994: il lavoro, oltre che come servizio di sportello si è svolto anche nelle classi. Una prima valutazione dell’accoglienza ottenuta da questo servizio e l’analisi delle domande degli studenti forniscono delle indicazioni per impostare in modo sistematico delle attività di orientamento e consulenza in collaborazione con le scuole. A partire da questa attività è stata impostata la ricerca-intervento di cui si dà conto in queste pagine, e che ha coinvolto anche l’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato (IPIA). Sono state quindi interessate tre scuole, con una situazione assai diversificata: l’IPIA, prevalentemente maschile, opera su una gamma molto vasta di indirizzi, apre sbocchi professionali in varie direzioni, sia di lavoro dipendente che di attività autonome, con una popolazione studentesca proveniente da un ampio bacino di utenza. Insieme all’ITI e ai Corsi serali Comunali costituisce una vera e propria città, con centinaia di insegnanti, tremila studenti, laboratori, officine e impianti di vario genere: questa complessa organizzazione fa capo all’Amministrazione Comunale e costituisce un importante patrimonio per il sistema formativo della città e dei territori vicini. L’Istituto Professionale per i Servizi Sociali Elsa Morante, con i suoi corsi del mattino cui si aggiungono quelli serali, presenta una situazione completamente diversa, prevalentemente femminile, orientata alla formazione di tecnici dei servizi sociali, quindi con un “mercato” più difficile per i diplomati, in parte pubblico o del terzo settore, e dunque con le difficoltà che a tutti sono ben note. Presso l’E. Morante sono stati attivi tre indirizzi, per Tecnici dei Servizi Sociali, per Assistente di Comunità Infantile e per Operatori Turistici; questi ultimi due si sono esauriti con il 1997. I problemi di inserimento nel lavoro delle ragazze sono al centro di un lungo dibattito i cui echi torneranno anche nella presente relazione. Negli incontri con gli insegnanti è stata ribadita con forza la gravità di una situazione che vede un mercato del lavoro sociale crescere molto rapidamente in questi ultimi anni, con un forte sviluppo del terzo settore, a fronte di un debole o assente riconoscimento delle diverse figure professionali formate in scuole che sperimentavano la formazione di nuovi profili professionali rispetto ai quali esistevano competenze sia dello stato, sia delle regioni. La rivendicazione di decisioni politiche come strumento per tutelare delle professionalità (e degli interessi) è la strada tradizionalmente seguita dai gruppi professionali: oggi, però, questa strada presenta molte incognite, 4 Va ricordato che questo servizio ha coinvolto anche l’Istituto Tecnico Industriale (ITI): di questa parte del lavoro non si tiene conto nel presente rapporto.
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da cui una situazione di grande difficoltà sia nel periodo della formazione, sia in quello, assai delicato, della transizione al lavoro. La sottolineatura di questa situazione è stata fatta dagli insegnanti anche per ricordare che tutte le informazioni raccolte vanno analizzate dentro questo quadro incerto e contraddittorio, che è proprio di questa scuola e risulta invece assente nell’IPIA e molto attenuato nei Corsi Serali Comunali. Come vedremo più avanti, la valorizzazione dei titoli di studio è una richiesta forte di tutti gli studenti, ma deve essere letta in modo specifico a seconda della situazione delle diverse scuole. Gli studenti dei Corsi serali, in tutte e due le scuole, rappresentano un segmento particolare, che accoglie indirizzi diversi, persone di età e con situazioni differenti; lo sbocco verso gli studi universitari a livello di diploma o di laurea costituisce un’opportunità meno praticata e non priva di difficoltà. Queste prime annotazioni rendono evidente la varietà di domande che si possono trovare tra questi allievi, e quindi le ragioni dell’interesse a consolidarne la conoscenza per rendere più efficace l’azione della scuola. Le risposte dei giovani suggeriscono di concentrare l’impegno in direzione del sistema di relazioni scuola-lavoro, costruendo delle collaborazioni e delle sinergie con altri soggetti che si occupano di questi problemi, sia dal punto di vista formativo (università, formazione professionale, IFTS), sia dal punto di vista dell’inserimento nel lavoro (i costituendi Centri per l’impiego e tutte quelle iniziative che si occupano del rapporto tra la domanda e l’offerta di lavoro). Anticipando le conclusioni cui perverremo, sembra che la domanda degli allievi sia forte in direzione di un sostegno per la propria ricerca verso il lavoro, soprattutto da parte di coloro che non hanno già punti di riferimento. Lo stesso può dirsi per chi si orienta a proseguire gli studi, ricordando però due questioni: la prima è che la prosecuzione degli studi è stata raccolta tanto in terza quanto in quinta, quindi con diversi bisogni di orientamento, di sostegno, di analisi longitudinale; la seconda è che, per ovvie ragioni, l’orientamento alla prosecuzione degli studi assume significati particolari per coloro che frequentano i corsi serali. Infine, le trasformazioni cui vanno incontro gli studi universitari rendono quanto mai utile un lavoro di riflessione sugli esiti di questi allievi, in relazione alle diverse modalità di orientamento che potranno essere realizzate. In questa sede non ci occupiamo della questione dell’abbandono scolastico, quello che viene eufemisticamente sempre più spesso definito come “dispersione scolastica” che sappiamo costituire un fenomeno di grande rilievo. Sappiamo cioè che ci stiamo occupando di ragazzi che hanno superato gli scogli sui quali molti si fermano, uscendo poi dalla scuola. Il Rapporto sui minori della Regione Toscana, nella sua edizione 1998 riporta i dati che sono noti: le ripetenze e gli abbandoni hanno una dimensione enorme, aumentano col progredire degli ordini di scuola e, al loro interno procedono inversamente con progredire degli studi (massima negli anni iniziali e minima negli anni finali) e, infine, colpiscono in primo luogo gli Istituti Tecnici (9.2% di ripetenze ogni anno), i Professionali (8.1% per anno), i Licei Artistici e gli Istituti d’arte (7.2% per anno), i Magistrali (5.6% per anno), per ridursi al 3.8% su base annua nei Licei. Gli studenti di cui ci occupiamo sono o al terzo o al quinto anno, ed avranno sperimentato in molti una o più ripetenze. Noi non entreremo in questo problema, ma lo ricordiamo per la sua rilevanza. Richiamiamo però il fatto che per la prima volta nel nostro paese si interviene su scuola, formazione e lavoro con un intento di collegamento tra questi sistemi; l’autonomia scolastica, la ridefinizione dei cicli, un nuovo assetto degli studi universitari, l’introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro, la generalizzazione di contatti ed esperienze in ambienti di lavoro si svilupperanno con tutte le opportunità e le incognite del caso. Da qui un bisogno di conoscere, di tenere sotto controllo, di impostare esperienze formative per gli insegnanti, di infittire la trama delle relazioni sociali.
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Sul piano dei prossimi passi di lavoro, questa ricerca-intervento, dovrà incidere sul rapporto scuole superiori/università, nella discussione che si potrà fare con le quarte classi (le terze di oggi) in vista della eventuale preiscrizione all’università o degli orientamenti per il lavoro, nella ricostruzione di biografie di studenti degli anni scorsi (per cogliere scelte di studio e/o di lavoro, ritardi e abbandoni, cambiamenti di percorso ecc.). Si pensa infatti che le scuole siano in condizione, dopo questo primo intervento e con una consulenza limitata, di impostare e condurre annualmente una o più forme di verifica dei percorsi universitari dei propri diplomati, di recupero di notizie sulla situazione di gruppi di ex allievi degli anni un po’ più lontani, di sondaggio su gruppi di classi per cogliere, nel tempo, l’esistenza e la praticabilità di progetti di studio e di lavoro. La prosecuzione, in forma autonoma, sempre in collaborazione con il Punto Giovani e con le sue attività di sportello, sarà possibile solo se le scuole metteranno queste attività nel loro progetto educativo e se sapranno coinvolgere soggetti diversi. Non è che non vi siano contatti tra giovani che hanno frequentato queste scuole: ne abbiamo avuto qualche indicazione anche nel corso della rilevazione. Quello che sembra mancare è un’azione sistematica inquadrata nel programma di orientamento e di valutazione dell’attività e degli esiti. Considerando gli indirizzi che caratterizzano la scuola superiore e l’università, questo tipo di analisi si presenta quanto mai necessario, così come lo è un insieme di relazioni stabili con il sistema informativo dell’università. I risultati che ci si attendono dalla realizzazione del progetto possono essere sintetizzati in azioni che vedono protagoniste le singole scuole, con le loro particolarità, sia pure secondo una logica unificante: soltanto in presenza di questi esiti il nostro lavoro diventerebbe effettivamente una ricerca-intervento. • Impostare, sperimentare e stabilizzare un flusso di informazioni tra l’Università di Firenze e le scuole secondarie superiori interessate, con la prospettiva della sua estensione, allo scopo di mettere le scuole stesse nelle condizioni, anno per anno, di conoscere gli esiti universitari dei loro studenti, e ciò sia a fini di orientamento per gli studenti in corso, sia per avere un “ritorno” sugli esiti dell’insegnamento. Questo legame è già stato sperimentato anche su Prato, e funziona su richiesta delle scuole che vogliono seguire lo sviluppo degli studi universitari dei loro diplomati. Senza entrare qui nei dettagli di questa operazione, si richiama solo l’utilità di poter conoscere, negli anni successivi al diploma, il tasso di passaggio all’università, il livello degli abbandoni ai vari anni, la durata effettiva degli studi. Questo può essere fatto ricevendo ogni anno l’elenco complessivo degli universitari provenienti da quella determinata scuola, con l’indicazione del corso di laurea e dell’anno di iscrizione. Se questa operazione si abbina ad un lavoro di ricognizione su gruppi di studenti diplomati per studiarne decisioni, orientamenti e difficoltà, non mancherà un esito di ritorno sul lavoro didattico e sulle attività di orientamento. • Impostare e realizzare, nelle singole scuole e con le risorse delle scuole, una ricerca fra gli studenti in corso per sondare le loro prospettive, i loro progetti di studio e professionali, sempre con lo scopo di consolidare e migliorare le attività di orientamento scolastico e lavorativo. • Impostare e realizzare, nelle singole scuole e con le risorse delle scuole, una ricerca sugli esiti dei propri studenti verso il lavoro e verso gli studi, da concretizzarsi mediante interviste telefoniche che raggiungano gli studenti diplomatisi negli ultimi anni (con una “profondità” temporale da definire), e ciò a fini di orientamento sia scolastico che di lavoro5. 5 A questo si aggiungeva lo studio di un gruppo di studenti universitari ormai alla fine dei loro studi per ricostruire il loro percorso formativo, avendo a disposizione, mediante una precedente ricerca, notizie sui loro orientamenti nel periodo in cui frequentavano le classi centrali della scuola superiore (secondo, terzo e quarto anno nel periodo 1992-94). Su quest’ultimo lavoro, realizzato mediante ampie interviste, un resoconto sarà possibile in un tempo un po’ più dilazionato. Al momento della stesura di questo rapporto, le interviste realizzate (in numero di 57) sono oggetto di un lavoro di gruppo da parte degli intervistatori per giungere ad una stesura a più mani che costituisca un po’ una narrazione di percorsi di studio e di lavoro. La dimensione longitudinale assume una rilevanza sempre maggiore, mano a mano che si rendono più diversificati e flessibili i percorsi di studio ed i nessi tra studio e lavoro, sia durante la scuola e l’università, sia durante il lavoro (formazione, ripresa di studi formali ecc.).
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Le informazioni sin qui raccolte, relative a studenti e diplomati, provengono da due lavori di tipo diverso, anche se possono apparire al lettore come due capitoli di un unico racconto. La differenza degli strumenti utilizzati, e cioè il questionario strutturato per gli studenti e l’intervista telefonica per i diplomati, rende diversa la relazione con questi giovani che, fra l’altro, stavano vivendo fasi della loro vita abbastanza lontane per età ed esperienze di studio e di lavoro. Far riempire un questionario a studenti di una classe, e dunque nello stesso momento, con la presenza dell’insegnante e delle persone incaricate dell’operazione, è cosa assai diversa che stabilire un contatto telefonico con una persona che si trova nella sua abitazione e che ha ricevuto una previa comunicazione e può decidere se accettare o no l’intervista, se dare o no un’informazione. La prospettiva in cui si muove uno studente del terzo anno è assai diversa da quella di chi sta per sostenere la maturità o da quella di chi ha fatto la maturità da oltre due anni ed è inserito stabilmente in un’attività lavorativa. Raramente avviene che in una classe di studenti adolescenti o giovani venga rifiutata la collaborazione per la compilazione di un questionario, anche quando venga detto chiaramente che ciascuno può decidere liberamente; molto diversa la situazione di chi, avvertito per tempo, ha a disposizione molte strategie per rispondere, non rispondere, dare maggiore o minore disponibilità. Il fatto che questo lavoro sia stato accolto bene sia nelle classi sia da chi è stato contattato telefonicamente non modifica la questione: anzi, proprio la positiva accoglienza che hanno ottenuto le interviste telefoniche, come un segno di preoccupazione e di interesse per quanto stava avvenendo dopo il conseguimento del diploma, non può essere assunta come un dato scontato, poiché un’indagine di questo tipo ha bisogno poi di consolidare un legame, di far vedere che chi promuove questa iniziativa sa far seguire informazioni e comportamenti coerenti con le finalità dichiarate. Per questa ragione, l’auspicata prosecuzione del lavoro va assunta come un impegno rilevante, fatto sì di raccolta ed analisi delle informazioni, ma anche di capacità di ascolto, di volontà di comunicazione, di disponibilità a cambiare aspetti di una organizzazione, di volontà delle istituzioni di prendere delle decisioni.
2. GLI STUDENTI. 2.1 Introduzione. La lettura complessiva delle informazioni raccolte evidenzia la maggiore importanza della rilevazione sui diplomati, e ciò per varie ragioni, tra le quali se ne sottolineano alcune: 1. le vicende successive al diploma di maturità contengono percorsi tipici di studio e di lavoro sui quali si orientano gli studenti di oggi; 2. l’attività lavorativa, che assume così grande importanza dopo il diploma, è già presente durante la scuola superiore e, in una misura che non possiamo qui definire con precisione, presenta delle continuità di esperienza, stante il fatto che il nesso scuola lavoro è in gran parte affidato a reti primarie, con differenze di rilievo fra le tre scuole; 3. le domande che gli studenti sembrano rivolgere tanto alle scuole quanto all’amministrazione locale riguardano proprio l’impegno sul versante del lavoro, sia per infittire le relazioni durante gli studi, sia per intervenire direttamente nel creare occasioni; 4. i percorsi lavorativi e di studio dei diplomati presi in esame divergono in maniera significativa, e quindi gli interventi che si possono immaginare devono fondarsi sulla conoscenza degli esiti, per evitare di impostare azioni di orientamento generiche a fronte di problemi di inserimento specifici;
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5. le scuole considerate presentano diversità molto rilevanti, che emergono proprio nel passaggio dalla scuola al lavoro. Va qui segnalata la circostanza che l’Istituto Professionale del Comune di Firenze si trova oggi, nella trasformazione dell’obbligo scolastico e degli inserimenti nel mercato del lavoro, in una condizione particolare, in qualche modo di vantaggio, in quanto le tendenze dell’istruzione e dei suoi legami con il mondo del lavoro permettono di valorizzare la ormai lunga esperienza di cui tanto l’ITI che l’IPIA hanno fatto. È significativo che vari insegnanti, singoli o a piccoli gruppi, abbiano per loro iniziativa analizzato gruppi di studenti nel loro inserimento professionale dopo il diploma, al punto che il lavoro svolto in questa ricerca non è altro che la sistematizzazione di qualcosa che è già presente, al fine di rendere questa analisi un dato permanente; 6. le possibilità di intervento per favorire l’inserimento nel lavoro e per sviluppare anche un’azione di tutela si presentano più favorevoli nel caso dell’IPIA, nel senso che è possibile pensare di sviluppare un’attenzione ed una responsabilizzazione delle aziende e dei professionisti che ricorrono al lavoro di questi giovani; 7. dal punto di vista dell’ingresso negli studi universitari, la situazione sembra essere simile, in quanto si tratta di un fenomeno minoritario del quale però si conosce troppo poco dal punto di vista degli abbandoni, dello sviluppo degli studi, della combinazione studio-lavoro.
2.2. Gli studenti. La rilevazione nelle terze classi 6 ha riguardato 273 studenti, di cui 214 dei corsi del mattino e 59 dei corsi serali, distribuiti fra 165 ragazzi e 108 ragazze. La prevalenza dei maschi è dovuta alla rilevanza degli studenti del professionale, tradizionalmente a maggioranza maschile; quella nelle quinte classi ha riguardato 253 studenti, di cui 123 ragazzi e 110 ragazze. In complesso, si tratta dunque di un gruppo di 526 allievi con all’interno una quota di quasi 200 persone con età più alta della media. L’insieme delle informazioni è riportato nella tabella 2.1., con la precisazione che, essendo la dimensione delle tre scuole molto diversa, altrettanto diverso è il peso che ciascun gruppo ha rispetto alla scuola di appartenenza. Va ricordato che non stiamo lavorando su un campione, ma su un universo individuato in base agli scopi operativi della ricerca-intervento.
Tab. n. 2.1. Studenti per scuola e per sesso. CLASSI 3 Matt. 3 Ser. 5 Matt. N.D. 5 Ser. N.D. TOT.
M 3 3 -
6
MORANTE F Tot 61 64 10 13 49 49
120
126
M 130
IPIA F 20
75
11
205
31
Tot 150
M
SERALI F Tot
29
17
46
48
50
77
67
98 1 145
86 19
255
TOT. 214 59 154 19 98 1 526
6 Nei corsi serali c’è il fenomeno della terza-quarta e della quarta quinta. In qualche modo, questa situazione complica anche la misura dell’età, anche se riguardando i serali, non agisce su una base omogenea.
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La tabella mostra come nella rilevazione delle classi il gruppo più grosso sia quello dell’IPIA, mentre, come si vedrà, nelle interviste telefoniche il gruppo più grosso è quello dei diplomati dell’E. Morante. Nelle scuole serali, che raccolgono, com’è ovvio, la maggioranza delle persone con età più alta (fino ad un caso di 60 anni) ci troviamo di fronte scelte più definite, legate a particolari biografie e a particolari progetti. L’acquisizione delle condizioni di istruzione per intraprendere un lavoro o per migliorare quello che si sta facendo rappresenta una motivazione forte, che si caratterizza per uomini e donne, per età diverse e per diverse condizioni familiari. I corsi serali costituiscono un gruppo di persone in cui le biografie personali possono avere una rilevanza fondamentale per dare risposte adeguate ed efficaci. Quanto agli altri studenti, sono note le differenze della situazione rispetto al lavoro, più facile da trovare per l’IPIA e più difficile per i tecnici dei servizi sociali, per ragioni in parte “storiche” (problemi delle professioni sociali, più deboli rispetto ad altre), in parte contingenti (il problema del nesso titolo di studio - lavoro per i tecnici dei servizi sociali). La prevalenza di maschi e femmine riflette quanto già detto in generale a proposito delle tre scuole.
• la ricerca parte dall’esperienza dello sportello informativo gestito dal Punto Giovani; • l’obbiettivo è arrivare a raccogliere informazioni sistematicamente ogni anno da parte delle scuole; • la ricerca si svolge con più strumenti (questionari e interviste ai diplomati); • queste informazioni servono per favorire l’orientamento e l’inserimento lavorativo; 3. la rilevazione è stata realizzata nel periodo 24/3/99-30/4/99. Ci sono stati soltanto due rifiuti. I questionari sono stati consegnati a 255 studenti dell’IPIA (su 301, pari all’85%); a 126 studenti dell’Elsa Morante (su 154 pari all’82%); a 145 studenti dei Corsi Serali Comunali (sui 220 effettivamente frequentanti, pari al 66%). Effettuate la codifica e la registrazione si è proceduto ad una elaborazione centrata sulle finalità della ricerca per aprire una discussione nelle scuole con gli insegnanti e, nei prossimi mesi, con le quarte classi.
2.4. La provenienza territoriale. 2.3 La procedura di lavoro. La definizione della procedura di lavoro è avvenuta dopo una serie di incontri preliminari del gruppo di ricerca, composto da membri del Punto Giovani, insegnanti delle scuole coinvolte e rilevatori. L’organizzazione del lavoro (definizione degli strumenti di rilevazione e delle procedure di rilevazione) è risultata assai complessa ed onerosa dovendo definire strumenti di rilevazione che fossero adatti a situazioni tra loro molto diversificate; le rilevazioni sono state effettuate sulle terze e quinte classi della mattina e serali. È stato necessario individuare quattro diverse formulazioni dello stesso questionario: alcune domande sono state proposte con la medesima forma e le medesime modalità di risposta, altre sono state modificate considerando le diverse caratteristiche dei soggetti a cui erano indirizzate. Il questionario è strutturato in diverse aree: 1. Orientamenti, intenzioni ed interessi dopo il conseguimento del diploma (maturità o qualifica); 2. Richieste ed esigenze informative (e non solo) rivolte al Comune ed alla scuola; 3. Informazioni sullo studente (provenienza territoriale, provenienza sociale, attività svolte, lavoro e interessi per il tempo libero, valutazioni sull’esperienza scolastica, conoscenza dei servizi per i giovani dislocati sul territorio. Una volta effettuata la stesura del questionario, questo è stato inviato agli insegnanti delle scuole coinvolte per avere consigli, indicazioni sulla forma e sul contenuto, osservazioni critiche. In futuro, se ciascuna scuola si occuperà dei propri studenti, potrà definire una struttura e degli item specifici per le proprie esigenze conoscitive e per la propria realtà. Dopo la definizione degli strumenti si sono sviluppate tre fasi del lavoro: 1. fase preliminare alla rilevazione ha preso avvio con la preparazione del materiale necessario alla somministrazione per tutte le classi di tutte le scuole; la distribuzione del materiale ai rilevatori, con i relativi compiti (registrazione assenti, rifiuti, modalità di consegna e di chiarimenti, ritiro del questionario); 2. la somministrazione del questionario è avvenuta durante un’ora di lezione; la prima parte del tempo è stata dedicata alla consegna del questionario ed alla sua compilazione, sulla base di alcune indicazioni generali. La seconda parte dell’ora è stata invece dedicata alla presentazione della ricerca al cui interno si collocava la rilevazione, con lo scopo di chiarire che:
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Le tre scuole presentano un ampio bacino di utenza: tanto nelle terze classi quanto nelle quinte, la maggioranza degli studenti non risiede in città. Infatti, il 61% degli studenti dei due gruppi proviene dalla provincia di Firenze (52.5% delle terze e 46.7% delle quinte, prevalentemente dai comuni limitrofi) e, in percentuale minore, da Prato (6.2% e 8.2%) o da altre provincie della Toscana. Nella prospettiva dell’attivazione delle scuole sui problemi di analisi della domanda e di orientamento, l’area di residenza diventa rilevante sia per la differenziazione delle situazioni (si pensi alle diversità tra i comuni della cintura fiorentina o di Prato), sia per la necessità di conoscere, direttamente e tramite gli studenti, l’insieme delle opportunità di cui i giovani possono usufruire nel loro luogo di residenza. Allo stesso modo, l’attivazione di canali di informazione e di orientamento richiederebbe relazioni con più soggetti (ad esempio servizi di informazione sul lavoro, centri per l’impiego, agenzie formative, opportunità di stage e tirocini, agenzie per il lavoro interinale e quant’altro). La conoscenza delle reti sociali mediante le quali la maggioranza delle persone trovano o cambiano lavoro diventa essenziale nelle varie situazioni, configurandosi, ad esempio, Prato come un distretto industriale, diversamente dai comuni della cintura fiorentina, che presentano importanti differenziazioni tra loro. Si pensi soltanto, a mo’ di esempio, all’interesse che si sta sviluppando attorno alla realtà sociale della cosiddetta “piana”, quel territorio cioè alle porte di Firenze, compreso tra i comuni di Sesti Fiorentino, Calenzano e Campi Bisenzio, per quanto attiene alle trasformazioni delle attività produttive, fenomeno che non può non influire sullo studio e sul lavoro dei giovani, sui loro progetti, sulle loro scelte di studio. In fin dei conti, loro sono i principali testimoni e, per molti versi, protagonisti e/o vittime di queste trasformazioni. La conoscenza degli itinerari dei diplomati degli scorsi anni è ugualmente importante, sia pure in modo diverso per i tre tipi di scuola; nel caso del professionale vi sono certamente reti attive da molto tempo, che sono conosciute dalla scuola e dagli studenti, e sulle quali non dovrebbero esserci difficoltà particolari, salvo rileggerle nel quadro mutato di accesso al lavoro, di formazione continua, di sviluppo della propria professionalità mediante sistemi di crediti. Diverso il caso dell’E. Morante, dove invece queste reti potrebbero rivelarsi molto più deboli, e dove quindi un lavoro di orientamento basato sulla conoscenza delle vicende degli scorsi anni potrebbe rivelarsi determinante. Nella discussione con gli insegnanti, però, si è molto puntata l’attenzione sulla debolezza strutturale di questo segmento del mercato del lavoro, individuando sia questioni di genere (svantaggio delle donne), sia questioni organiz-
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zative ed economico-finanziarie (ad esempio l’insieme delle relazioni tra terzo settore e amministrazioni locali in presenza di un mercato privato ancora troppo limitato). Per quanto riguarda i corsi serali, pesa certamente di più il progetto individuale, e la frequenza alla scuola, con il relativo titolo conseguito, ha senza dubbio un valore più polarizzato verso la dimensione strumentale o espressiva, nel senso che si fa perché ci è utile o soprattutto perché ci interessa, per poter sviluppare la formazione personale. È ipotizzabile che in qualche caso il titolo sia soltanto un mezzo formale, da acquisire per far fronte alla richiesta di un titolo di scuola superiore, dopo di che la persona si orienta verso le sue preferenze (magari pagando un prezzo in termini di difficoltà). Per il momento, dunque, la provenienza territoriale ci fornisce solo una fotografia della situazione attuale, ma, se il lavoro proseguirà nel tempo, potrebbe essere di grande interesse verificare come le trasformazioni del territorio influiscano sulle scelte degli studenti, che appaiono fortemente coinvolti nel lavoro già durante gli studi. Anche la comparazione tra aree con caratteristiche e velocità di trasformazioni diverse potrebbe fornire delle indicazioni interessanti sulle opportunità e difficoltà di inserimento.
2.5. La rilevanza del lavoro durante gli studi. L’analisi delle attività lavorative svolte nell’ultimo anno ci fornisce un quadro, atteso certo, ma ugualmente interessante. Fra le classi terze solo uno studente su tre non ha svolto alcuna attività lavorativa, mentre un terzo ha svolto un lavoro regolare, prevalentemente a tempo pieno (ci sono i serali), e assai più di un terzo attività saltuarie (35.4%) o limitatamente ai momenti liberi dallo studio (22.4%). Fra gli studenti delle quinte classi la percentuale del lavoro regolare raggiunge il 40% (26.9% regolarmente a tempo pieno e 13.3% a tempo parziale), mentre il lavoro saltuario o nei momenti liberi è presente in misura rilevante (35.4%), mostrando un solo studente su quattro che non ha svolto alcuna attività lavorativa. È evidente che la conoscenza più approfondita di queste attività di lavoro è rilevante per molti aspetti. Innanzitutto vi è l’analisi del rapporto tra famiglia, reti sociali primarie e lavoro; in secondo luogo vi è la necessità di conoscere quali siano effettivamente le condizioni di lavoro, atteso che è noto come in questa fascia di età si condensino forme di lavoro irregolare e al nero; in terzo luogo vi sono problemi di tutela da esercitare in termini di salute, di sicurezza; infine, si pone la questione del rapporto tra queste attività di lavoro e la formazione. Certamente, fra queste attività vi sono quelle di tipo puramente strumentale (un lavoro qualsiasi per aumentare la propria indipendenza economica, ma anche per far fronte alle piccole spese personali senza gravare sul bilancio familiare); ma vi sono anche attività connesse con le competenze che vengono maturando, il che richiederebbe l’applicazione dei nuovi strumenti di gestione del lavoro che sono oggi disponibili e che permetterebbero, fra l’altro, di trasformare un’esperienza di lavoro sommersa in un credito per la propria formazione. L’azione delle scuole, congiuntamente a quella di servizi come il Punto Giovani e dei centri per l’impiego, potrebbe facilitare l’emergere un fenomeno sommerso attribuendogli, dunque, non solo un valore economico, ma anche un valore formativo. Questo tipo di impegno potrebbe correggere anche il giudizio che gli studenti danno della loro esperienza scolastica, un giudizio che vede fra le terze prevalere la soddisfazione (soddisfatti: 49.2%; molto soddisfatti 7.6%), mentre fra le quinte vede prevalere l’insoddisfazione (delusi 15.3%; insoddisfatti 39.8%). Difficile dire se un crescente impegno delle scuole sul fronte dei contatti con il lavoro e della creazione di opportunità di esperienza correggerebbe questa situazione; può essere considerato proba-
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bile se si pensa ad uno studente che veda l’impegno della scuola passare, nel tempo, dall’accentuazione dell’acquisizione di competenze a quello dell’applicazione e della sperimentazione di sé e delle competenze acquisite in percorsi di studio e di lavoro. Come si vedrà a proposito delle interviste sui diplomati, la possibilità di favorire incontri tra studenti in corso ed ex studenti, potrebbe rappresentare l’altra faccia di questo cambiamento della scuola, con una crescita del senso di appartenenza. Vengono in mente le parole di L. Gallino a proposito del lavoro, contro le facili tesi della caduta di importanza del lavoro stesso in questa fine di secolo7. Anche in seguito al complesso di norme che derivano dalla legge 196/97 (il cosiddetto “pacchetto Treu”), si deve pensare ad esperienze di lavoro fortemente connesse con la formazione, secondo quanto è già avvenuto in molti paesi, come la Danimarca, la Germania o i Paesi Bassi, dove la combinazione di studio e lavoro nell’età fra 16 e 19 anni interessa una percentuale dei giovani tra un terzo e i due terzi. In assenza di questi strumenti, è facile comprendere come l’area del lavoro irregolare assuma dimensioni patologiche come quelle del nostro paese8. Prima di concludere su questo punto, è necessario ricordare che gli studenti dell’IPIA rappresentano il gruppo più grosso e che quindi la presenza del lavoro è da collegarsi con le caratteristiche della formazione che questi ragazzi stanno facendo; d’altra parte, la prevalenza dell’opzione lavoro dopo il diploma si fonda, presumibilmente, proprio su queste esperienze condotte già all’interno del percorso scolastico. Verrebbe da dire che la realtà sociale anticipa quello che la scuola sta avviandosi a fare in tema di collegamento tra studio e lavoro, e questo non da oggi, soprattutto in scuole come l’IPIA.
2.6. Partecipazione sociale. Molti di questi giovani presentano un tasso di partecipazione ad attività sociali, culturali, di volontariato e di attività sportiva che va analizzato molto attentamente, perché rilevante per la comunicazione nella scuola. Data per scontata la prevalenza della partecipazione ad attività sportive, che riguarda il 60% delle quinte e il 65.1% delle terze con una leggera prevalenza di quelle regolari su quelle saltuarie, non può non destare interesse il fatto che fra gli studenti delle terze vi siano 25 persone (10.3%) che fanno attività politica in modo regolare o saltuario, e vi siano anche 27 persone (11.2%), alle quali piacerebbe impegnarsi in attività politiche; fra le quinte la situazione è simile, con la differenza che diminuiscono coloro che fanno attività politica regolarmente o saltuariamente (8.2%), ma aumentano significativamente coloro ai quali piacerebbe questo tipo di impegno (16.4%). Il fatto che i tre quarti, in tutti e due i gruppi, affermi che non è interessato e non pensa di occuparsene non deve stupire. Stupirebbe il contrario nella situazione in cui viviamo. Importante è domandarsi in che
7 “Guai a pensare che l’occupazione sia un mero fatto economico. Un lavoro, il lavoro, non è soltanto un mezzo di sussistenza. Ad onta di quanto si scrive sul deperimento della forma lavoro, invenzione transitoria della rivoluzione industriale - e bisogna avere un angolo visivo alquanto ristretto per scriverlo, all’epoca in cui almeno un altro miliardo di uomini sta correndo a vestire i panni del salariato capitalistico - il lavoro rimane, ed è destinato a rimanere per generazioni, un fattore primario di integrazione sociale. È il filo più robusto tra quelli che compongono il legame invisibile ma vitale che tiene insieme individui, comunità e società. Situa in un fecondo rapporto dialettico l’individuo con se stesso e con il mondo. Purché il lavoro abbia certe caratteristiche: come l’essere ragionevolmente stabile, dignitosamente retribuito, discretamente interessante, e svolto in condizioni compatibili con i diritti della persona alla salute, alla sicurezza e al rispetto. Oltre alla disoccupazione, anche la precarietà come modello di lavoro e la malaoccupazione, ivi incluso il lavoro sommerso, sono la negazione di tali caratteristiche. Per questo motivo, l’una e l’altra sono minacce gravi per l’integrazione sociale. Cfr. L. Gallino, Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione. Torino, Einaudi, 1998, p. XIX - XX. 8 CENSIS, 31 Rapporto sulla situazione sociale del paese, 1997, Milano, Angeli, p. 140 e ss.
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modo si possa offrire a coloro che avrebbero desiderio di impegnarsi, spazi ed opportunità che facilitino il tradursi di questo desiderio in una possibilità concreta corrispondente alle attese (che andrebbero conosciute!). Il prospetto per età è riportato nella tabella n. 2.2.
Tab. n. 2.2. Partecipazione politica: pratica, interessamento, disinteresse, per età. ETÀ ANNI 16 - 20 21 - 24 25 - 29 30 e + TOT.
MORANTE Reg. salt.
6
1 7
IPIA
SERALI
Mi piacerebbe
Non interessa
Reg. salt.
Mi piacerebbe
Non interessa
12
86 5 1 4 96
19 1
26
179 6 1
1 13
20
26
186
Reg. salt.
6 10 16
TOT.
Mi piacerebbe
Non interessa
6 8 12 20
9 27 18 23 77
337 51 28 51 467
Missing: E. Morante: 10; IPIA: 23; CSC: 26.
L’età ha il suo peso, com’è logico attendersi, con i suoi cicli di impegno, di allontanamento, con i suoi contenuti diversi per fasce di età. Ci stiamo infatti muovendo in una popolazione scolastica in cui, come si vede, l’età corrisponde solo parzialmente alle classi frequentate. Queste risposte non riguardano qualcosa di statico, ma in continuo movimento tra coloro che nel tempo, si avvicinano o si allontanano dalla politica. C’è poi la questione di che cosa significhi impegnarsi politicamente. Se si facesse un’indagine approfondita, si scoprirebbero varie interpretazioni dell’impegno politico, caratteristiche dei diversi orientamenti culturali che attraversano questi gruppi di giovani. Nel questionario si erano inserite queste domande perché, come si vede dalle risposte, c’è un capitale di energie che dovrebbero trovare sostegno e riconoscimento per quello che rappresentano e non per incanalarle forzatamente verso questa o quella forma organizzativa. Che questa conoscenza possa essere importante per le scuole, anche nel passare degli anni, sembra fuori di dubbio: in quanto specifico problema esulava dalle finalità del presente lavoro. Ancora più interessante la dimensione del volontariato. Fra le terze il 21.2% lo pratica regolarmente o saltuariamente, e ben il 52.9% dichiara di non praticarlo anche se gli piacerebbe; la percentuale di chi non è interessato scende al 25%. Fra gli studenti delle quinte il 22% lo pratica regolarmente o saltuariamente, e piacerebbe al 55%, mentre coloro che non sono interessati scendono al 22%. Si tenga conto dell’eterogeneità di questo gruppo di giovani, dal punto di vista dell’età (comprendono anche i serali), delle aree di residenza, degli indirizzi di studio, che vanno dai tecnici dei servizi sociali ai tecnici di elettronica o di elettromeccanica ai dirigenti di comunità. Sulla questione dell’impegno volontario tornano le questioni della sua valorizzazione in termini di formazione. È possibile, oggi, che giovani che stanno formandosi in un certo percorso di professionalizzazione, svolgano attività volontarie a favore della comunità ottenendone un riconoscimento di competenze acquisite, a condizione che l’esperienza di volontariato sia progettata, seguita, valutata. Su questo punto confluiscono la crescita della cittadinanza attiva, la formazione professionale, la maturazione di valori morali; forse abbiamo davanti importanti occasioni che non riusciamo a cogliere perché ci sono degli stereotipi che ci impediscono la valorizzazione dell’intelligenza, delle aspirazioni, della vitalità di questi giovani. Anche per questa dimensione possiamo osservare un prospetto di sintesi ordinato per età.
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Tab. n. 2.3. Attività di volontariato: pratica, interessamento, disinteresse, per età. ETÀ ANNI 16 - 20 21 - 24 25 - 29 30 e + TOT.
MORANTE Reg. salt.
20 2 1 2 25
Mi piacerebbe
IPIA
Non interessa
67 2 1 3 73
Reg. salt.
Mi cerebbe
SERALI Non interessa
16 1
37 1
109 2 1
75 4
17
38
112
79
Reg. salt.
2 8 9 18 37
Mi cerebbe
7 23 14 25 69
TOT. Non interessa
1 7 6 4 18
334 50 32 52 468
Missing: E. Morante: 11; IPIA: 26; CSC: 21.
Si osservi soprattutto la seconda colonna, quella della disponibilità, pensando alle ragioni per cui non trova realizzazione; può trattarsi dell’organizzazione di vita quotidiana o di altre ragioni familiari o personali, ma potrebbe anche trattarsi di una difficoltà a trovare modalità per esprimere questo tipo di disponibilità. Solo andando a fondo in questa analisi e proseguendola nel tempo si sarà nelle condizioni di interpretare correttamente questo atteggiamento e, soprattutto il suo mutare secondo le generazioni, gli eventi, i mutamenti culturali. Non è necessario, per questa come per altra variabili, impostare analisi a tappeto di tipo standardizzato: quando si abbia presente il problema e si manifesti capacità di ascolto, le relazioni quotidiane daranno già molte risposte che non sarà difficile poi sistematizzare. Sono note, ad esempio, le riflessioni che stanno maturando all’interno di alcune grandi associazioni di volontariato, dove i responsabili si interrogano sulle ragioni per cui molti giovani si avvicinano e fanno un’esperienza, che però non riesce in molti casi ad avere continuità; di certo vi sono fattori connessi con l’età giovanile e con la facilità con cui si entra in un’esperienza o ci se ne allontana. Tuttavia l’interrogativo è se esistano delle variabili nell’associazione che producono questo comportamento, o nell’insufficienza del coinvolgimento, o nella rigidità dell’organizzazione o nell’incapacità di rispondere ad una domanda di senso che non trova in quel contesto linguaggi adatti. Lo stesso tipo di interrogativo si pone a proposito di quei giovani che limitano il loro impegno nell’associazione alla realizzazione di servizi o prestazioni (ad esempio il servizio di ambulanza), senza lasciarsi coinvolgere più di tanto sugli altri aspetti della vita associativa. Quanto accennato a proposito delle associazioni di volontariato vale, a maggior ragione per le istituzioni locali, con le quali il rapporto appare quasi inesistente. Una riflessione analoga deve essere fatta per le attività culturali-ricreative. Fra le terze si dichiarano impegnati regolarmente o saltuariamente poco meno del 30%, mentre a poco meno del 34% “piacerebbe” farlo; più di un terzo invece non ci si impegnano né desidererebbero farlo. Fra le quinte scende la percentuale dei disinteressati (28%), e oltre il 34% ha degli impegni in queste attività, mentre sarebbero interessati ben il 37%. Anche in questo caso si osservi il prospetto. Tab. n. 2.4. Attività ricreative e culturali: pratica, interessamento, disinteresse, per età. ETÀ ANNI 16 - 20 21 - 24 25 - 29 30 e + TOT.
MORANTE Reg. salt.
41 1 1 4 47
Mi piacerebbe
48 2 1 2 53
IPIA
Non interessa
Reg. salt.
Mi cerebbe
SERALI Non interessa
21 2
54 2 1
58 2
109 3
23
57
60
112
Reg. salt.
3 15 12 22 52
Mi cerebbe
5 17 11 21 54
TOT. Non interessa
1 7 4 5 17
340 51 30 54 475
Missing: E. Morante: 9; IPIA: 26; CSC: 22.
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C’è da domandarsi che cosa possano fare le scuole, con un supporto istituzionale e con un incremento della comunicazione con l’ambiente sociale, per rispondere a questa che è una domanda di possibilità di esperienza. Che cosa significa, infatti, che un ragazzo che studia e, in moltissimi casi, già lavora, che è spesso impegnato in attività sportive, desidererebbe fare qualcosa nel campo della politica, del volontariato, delle attività ricreativo-culturali? È possibile considerare questa domanda sotto il punto di vista di un bisogno di formazione (oltre che di informazione) e di un bisogno di sperimentare qualcosa che si osserva nella vita dei coetanei e degli adulti, ma per la quale non si hanno opportunità, sostegni, riconoscimenti, informazioni? Quali situazioni possono unire questo desiderio di svolgere certe attività con uno sviluppo di capacità anche per il lavoro? Che cosa offre il mercato del lavoro in campo ricreativo-culturale, nelle attività del terzo settore, nelle attività sportive che possano costituire occasioni di lavoro, sia pure di un lavoro concepito come una parte dell’attività lavorativa complessiva? Ci sono già delle esperienze di creazione di una occupabilità che si basano su aspirazioni, competenze, progetti di giovani: per far questo è, probabilmente, necessario che anche gli insegnanti progettino momenti di informazione, di formazione e di comunicazione, sia per essere più attrezzati nel riconoscere le esigenze, sia per essere all’altezza di comunicare senza dipendenza con l’ambiente sociale. Da questo punto di vista, l’impostazione del progetto tiene forse conto in modo insufficiente del ruolo degli insegnanti, quasi che vi fossero strutture che possono fornire qualcosa agli studenti a prescindere dall’impegno complessivo della scuola (e non solo di piccoli gruppi di insegnanti). Forse, l’analizzare a fondo queste aspirazioni dei giovani, il formarli perché siano in grado di esplicitare in progetti ciò che sentono corrispondere a delle loro aspettative o a loro desideri di esperienza, potrebbe essere uno dei punti forti della prosecuzione di questa analisi nel tempo in tutte le scuole, tenendo presente che alcune aspirazioni possono trovare, e troveranno, attuazione dopo la conclusione degli studi, e il contatto con gli ex-studenti potrebbe essere di grande importanza. Ciò che oggi è affidato esclusivamente a reti familiari e amicali potrebbe trovare nelle scuole quel sostegno istituzionale che oggi viene solo da quegli enti locali o da quelle associazioni che eventualmente siano impegnate in questa direzione. Forse questa lettura pecca di ottimismo, nel senso che vuole mettere in rilievo delle potenzialità, forse al di là di ciò che in futuro potrebbe essere riscontrato: ma questo fa parte del considerare gli studenti come naturalmente innovatori (nel senso della ricerca di un nuovo per sé e per gli altri) e non soltanto come un problema, che pure c’è, come è naturale che sia, trattandosi della socializzazione di una nuova generazione, e dunque di un problema che si ripresenta e si ripresenterà continuamente per ogni società fino a che continueranno a nascere bambini. Per quanto importante sia la provenienza sociale per i problemi di cui ci stiamo occupando, non è stata analizzata fondo nel nostro questionario, se non per il titolo di studio dei genitori: tuttavia, guardando l’istruzione dei genitori, la struttura delle famiglie e l’insieme delle entrate da lavoro e da pensione, ci si può fare l’immagine di una provenienza sociale non particolarmente favorita. Guardando le famiglie9, non può non colpire il dato relativo all’istruzione dei genitori; per le classi terze il 21% dei padri e il 18.6% delle madri ha la licenza elementare, cosa che deve essere sottolineata in una popolazione di genitori relativamente giovani (soltanto 11 padri e 9 madri hanno una laurea); per le quinte classi i genitori con la licenza elementare sono ancora di più e raggiungono 9 Le informazioni sulla famiglia erano contenute in un’unica griglia nella quale si chiedeva agli studenti di indicare le persone con cuiconvivevano, specificandone, il sesso, l’età, il legame familiare, il titolo di studio, l’attività svolta. In questo modo è stato possibile raccogliere anche delle informazioni sul numero dei redditi, da lavoro e da pensione, che caratterizzano queste famiglie. Si tenga presente che non si è scelto di dare a queste informazioni una strutturazione definita, per la necessità di contenere le operazioni di rilevazione. Si tratta di qualcosa che nel tempo potrà essere messo molto meglio a fuoco se le scuole proseguiranno nel lavoro, sì da comprendere il peso che le variabili di contesto possono avere su singole situazioni, su gruppi specifici di studenti, sul variare di queste circostante nel tempo di vita delle stesse persone e nel fluire delle generazioni nelle scuole.
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il 30.9% fra i padri e il 25.9% fra le madri10. Le famiglie in cui vivono corrispondono alle caratteristiche generali della popolazione, con oltre l’80% di convivenze in famiglie nucleari, anche se la percentuale delle situazioni con due o più figli supera largamente le situazioni di figli unici11.
2.7. La centralità del lavoro nelle scelte post-qualifica e post-diploma. Questi ragazzi e le loro famiglie appaiono, dunque, in maggioranza, come persone e gruppi che si danno molto da fare, che uniscono varie attività. Sarebbe quanto mai interessante il raffronto con scuole di tipo diverso, per verificare se e come queste variabili abbiano ancora una capacità esplicativa delle diverse condizioni sociali. Si deve infine tener conto che negli anni recenti sembra essere diminuito il valore dell’istruzione come variabile indicativa della posizione sociale, mentre ha assunto più valore la variabile delle risorse finanziarie; fra il capitale culturale e quello finanziario, che tradizionalmente indicavano la provenienza sociale, sembra dunque prevalere quest’ultimo. Resta il fatto che l’azione di queste variabili dovrebbe essere studiata nel tempo, per verificare se e come col passare degli anni il capitale culturale e quello finanziario della famiglia manifestino la loro rilevanza. Queste considerazioni possono essere importanti, qualora le scuole decidano di proseguire nel tempo questo tipo di indagine, poiché le relazioni tra la scuola e le famiglie sono certamente influenzate dal loro luogo di residenza, dal livello di istruzione dei genitori, dalle condizioni economiche. Probabilmente, le scuole hanno già una conoscenza, almeno informale, di questa situazione, ma sicuramente va affinata per comprendere anche le scelte che questi studenti hanno intenzione di compiere una volta terminato il ciclo di studi della qualifica o del diploma. A proposito di queste scelte, è necessario precisare che devono essere suddivise tra studenti del mattino e studenti dei corsi serali, e ciò per il fatto che nelle terze e nelle quinte serali ci sono in realtà studenti che fanno due anni in uno; per questa ragione i dati verranno richiamati separatamente. La questione delle scelte del dopo diploma di qualifica e del dopo maturità costituiscono una delle ragioni principali di questa rilevazione e rimarranno, in una eventuale prosecuzione da parte delle scuole, uno dei temi principali, da arricchire con la discussione dei risultati insieme agli studenti. In questa sede si ricorda innanzitutto che le risposte fornite dagli studenti presentano una forte diminuzione nei corsi serali delle terze classi (21 su 59), mentre coprono la quasi totalità nei corsi del mattino per le terze e, per le quinte classi, sia per i corsi del mattino che per quelli serali. Fatta questa precisazione, si può osservare come in tutte le classi l’area dell’incertezza sia relativamente contenuta: alla richiesta su che cosa lo studente avrebbe fatto dopo il diploma di qualifica o dopo la maturità, solo una minoranza degli studenti del mattino ha risposto “non so” (27 su 204 per le terze, 23 su 150 per le quinte). Diversa la situazione per le serali: nelle quinte l’area dell’incertezza riguarda 27 studenti su 95 e 4 dei 21 che hanno risposto nelle terze. Se nelle terze classi prevale l’orientamento allo studio (44.6%), nelle quinte prevale l’orientamento al lavoro (56.7%). È importante ricordare che l’orientamento allo studio e al lavoro assume connotati diversi: in terza
10 Una disaggregazione per aree di residenza potrebbe qui dare qualche ulteriore indicazione. Questo tipo di analisi non viene fatta in questa sede, anche perché non vi sono caratteristiche di rappresentatività. 11 Fra gli studenti delle terze classi le famiglie con due o più figli sono il 64%; fra le quinte il 60.1%. Il dato è sottostimato per la presenza di studenti di età elevata nei corsi serali. Le notizie richieste sui membri della famiglia (intesa come convivenza) comprendevano anche l’indicazione di che cosa ciascuno dei membri facesse (studente, lavoratore, pensionato, casalinga ecc.). Le finalità per le quali era stata posta questa domanda non erano certo quelle di compiere un’analisi dei redditi. È tuttavia possibile registrare le “entrate” riferite a ciascun membro della famiglia, così come dichiarate dagli studenti. Possiamo notare che una famiglia su quattro risulta monoreddito (24.4%), mentre il 67.5% ha due o tre redditi (l’8.1% ha quattro redditi o più). Nell’eventuale proseguimento del lavoro queste notizie potrebbero dare risultati interessanti, ancorché non assunte per la totalità degli studenti.
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proseguire negli studi significa frequentare il biennio; in quinta significa iscriversi all’università. Per tutti il lavoro resta centrale, o come scelta prioritaria o come scelta combinata con lo studio, secondo due modalità; la prima è quella dello studente lavoratore o del lavoratore studente; la seconda è quella, per le terze, della prosecuzione degli studi in attesa che capiti una buona occasione di lavoro. La tendenza è ancora più marcata tra i 95 su 99 delle quinte dei corsi serali: infatti, un quarto manterrà il lavoro attuale (25), 9 andranno comunque a lavorare, 3 proseguiranno con l’università, 17 proseguiranno con l’università ma lavorando, 14 lavoreranno iscrivendosi all’università; 27, infine, non hanno ancora un orientamento preciso. Per quanto possa apparire scontato in scuole come queste, il forte orientamento al lavoro richiede che ogni energia venga mobilitata per far sì che per queste scelte si possa contare sulle informazioni, sui contatti e sulle esperienze necessarie. Ciò è tanto più importante nella prospettiva che vede da un lato i nuovi centri per l’impiego, con l’avvio delle modalità di lavoro “flessibile”; dall’altro la nuova organizzazione degli studi universitari e della formazione superiore tecnica gestita dalle Regioni (insieme a scuole superiori, agenzie formative ed università) su finanziamenti europei, nazionali e regionali, con un sistema di crediti che renderà tra loro comunicanti questi due sistemi. In questa prospettiva, non solo le esperienze di tirocinio potranno servire per l’inserimento nel lavoro, ma si creeranno le condizioni per riprendere, in qualunque momento, il proprio curriculum formativo, lungo un itinerario che resterà sempre aperto all’accumulazione di esperienze di studio e di lavoro. Si tratta di un cambiamento di grande importanza, che interessa in modo particolare quelle scuole nelle quali è forte l’orientamento al lavoro e dove quindi, di conseguenza, altrettanto forte deve essere l’impegno per conoscere bisogni formativi, aspettative, progetti. Per queste ragioni la struttura dei servizi che si occuperanno di questi problemi dovrà essere strettamente integrata: per le scuole davvero una scommessa importante e, più che altre volte, densa di prospettive e di valore, proprio per il fatto che la scelta del lavoro non sarà più una scelta irreversibile. Questo è uno dei motivi per cui i legami con gli ex studenti acquisteranno un particolare significato (si può pensare ad una sorta di impegno che i giovani si assumono verso i loro compagni adolescenti e che stanno facendo il loro stesso percorso, fornendo esperienza, informazioni, una sorta di “tutorato”, se vogliamo usare questo termine come metafora). Dalle risposte degli studenti, tanto delle terze quanto delle quinte, i contatti con coloro che hanno già terminato la scuola sono prevalentemente occasionali (51% per le quinte e 47% per le terze); uno su quattro si incontra spesso con quelli che hanno terminato la scuola. Se si considera che il bacino di utenza di queste scuole, soprattutto dell’IPIA e dei serali è assai ampio, è plausibile pensare ad una qualche difficoltà nei contatti, ma probabilmente si tratta di qualcosa di più, di legami che solo parzialmente si conservano. Si tenga presente che nelle previsioni degli studenti, sia di terza che di quinta, è poco rilevante l’orientamento a seguire corsi di formazione: pensano di farlo meno di un quinto degli studenti delle terze classi e un terzo di quelli di quinta. Ricordando che sui 214 studenti delle terze del mattino 91 hanno espresso un orientamento per la prosecuzione degli studi, dei restanti 123, 39 “hanno già un’idea” di dove andranno a lavorare”; 11 lavoreranno nell’azienda di famiglia, 23 lavoreranno “in un’azienda dove hanno già lavorato”; “aspetteranno una buona occasione” magari iscrivendosi “provvisoriamente” al quarto anno (49) o cercheranno un lavoro corrispondente al loro titolo di studio (64). Da sottolineare il numero di quelli che hanno già lavorato in aziende che poi li assumeranno; è un fenomeno noto, già osservato in passato, che non manca di porre problemi. Di passaggio, va rilevata l’importanza, oggi, di una formazione sui problemi della salute e della sicurezza sul lavoro, anche in seguito all’entrata in vigore delle normative europee. Nei luoghi di lavoro è un diritto dei lavoratori ricevere quelle informazioni e quella formazione che sono indispensabili per l’osservanza delle regole per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della propria salute; a questo diritto corrisponde l’obbligo del rispetto di quelle norme, potendo oggi anche il lavoratore
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essere considerato responsabile per il verificarsi di incidenti o infortuni dovuti all’inosservanza di norme di sicurezza su questioni che gli siano state comunicate in modo adeguato. La struttura delle previsioni per il lavoro non varia molto nelle quinte. Gli studenti delle serali che lavorano manterranno in buona parte, come abbiamo già osservato, il loro lavoro, almeno come prima opzione, e solo tre dichiarano che si dedicheranno allo studio senza alcuna combinazione col lavoro. Anche per gli studenti di quinta, sia del mattino che dei corsi serali, si ripropone la situazione di aziende già individuate o nelle quali si è già lavorato, così come si sta attenti alle buone occasioni e si cerca di far corrispondere il lavoro al titolo di studio conseguito. Tra gli studenti di quinta dei corsi del mattino troviamo l’area di incertezza maggiore, il che è comprensibile per almeno due ragioni: la prima è che l’alternativa con il proseguimento degli studi per una laurea o un diploma universitario esiste ed ha un suo peso; la seconda è legata all’adempimento degli obblighi militari: quasi un terzo pensa che prima di tutto farà il servizio militare o civile, il che ci chiarisce anche il nesso col lavoro, dal momento che è più difficile avere una prospettiva di lavoro se ancora non si è fatto il servizio militare. Tanto nelle terze quanto nelle quinte, la preferenza va ad un lavoro nel settore privato, possibilmente autonomo, con un orario a tempo pieno. Si veda il prospetto. Tab. n. 2.5. Preferenze per alcune caratteristiche del lavoro. CARATTERISTICHE DEL LAVORO ORARIO A tempo pieno A tempo parziale Lavori temporanei Altro TOTALE SETTORE DI LAVORO Pubblico Privato Cooperativo TOTALE RAPPORTO DI LAVORO Dipendente Autonomo TOTALE PREFERENZE PER LAVORO Generico Educativo Socio-sanitario Tecnico Amministrativo Commerciale Arte - spettacolo Sicurezza Imprenditoriale Scelte multiple Altro TOTALE
CLASSI TERZE N. %
CLASSI QUINTE N. %
TOTALE N.
175 77 9 8 269
65.1 28.6 3.3 3.0 100.0
176 55 5 4 240
73.3 22.9 2.1 1.7 100.0
351 132 14 12 509
91 129 37 257
35.4 50.2 14.4 100.0
80 116 42 238
33.6 48.7 17.6 100.0
171 245 79 495
114 144 258
44.2 55.8 100.0
112 129 241
46.5 53.5 100.0
226 273 499
11 30 32 77
5.9 16.0 17.0 41.0
14 4 3 7 3 7 188
7.4 2.1 1.6 3.7 1.6 3.7 100.0
23 19 44 47 4 10 8 4 11 6 2 178
12.9 10.7 24.7 26.4 2.2 5.6 4.5 2.2 6.2 3.4 1.1 100.0
34 49 76 124 4 24 12 7 18 9 9 366
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Qualcuno potrebbe osservare che il modello del lavoro percepito è abbastanza “tradizionale”: il lavoro a cui si pensa è un lavoro che si ha in mente ben definito, del quale spesso si è già fatta esperienza, alla quale si pensa di dedicare l’intero orario di lavoro. Tale percezione nasce probabilmente nell’esperienza della famiglia e della vita quotidiana, dove la modalità prevalente è ancora quella del lavoro a tempo pieno, e dove ancora il lavoro si trova per lo più mediante l’attivazione delle reti primarie, familiari, amicali, di conoscenza, e dove le modalità nuove di lavoro di cui oggi molto si parla sono viste come sintomo di precarietà. Sarà interessante poter discutere con i ragazzi delle terze, oggi in quarta, di queste risposte, delle esperienze di lavoro fatte, di quanto essi leghino il lavoro già sperimentato e quello futuro alla loro personale identità, del significato di relazione che essi attribuiscono al lavoro, al di là della sua valenza economica. Sarà interessante verificare se e in che modo i cambiamenti in atto siano stati percepiti e se e in che modo essi pensino ad una molteplicità di esperienze di lavoro e all’alternanza studio-lavoro. Quest’anno potremo fare questa discussione solo con le attuali quarte, dal momento che le quinte sono uscite dalle scuole. Ma nell’ipotesi di lavoro che abbiamo formulato con le scuole, le quinte non si perderebbero più perché verrebbero seguite, in tutto o in maniera campionaria, per un certo tempo dopo il diploma; le terze verrebbero sostituite dalle quarte, in modo da non creare interruzione nell’analisi dell’evoluzione delle scelte e degli inserimenti nello studio e nel lavoro. Come si è già detto, una proficua collaborazione con l’università permetterebbe di avere un’idea precisa anche dello sviluppo degli studi. Per concludere su questo punto ci restano da esaminare una serie di informazioni che si erano raccolte a proposito delle domande rivolte alla scuola e al comune; si voleva verificare su che cosa, eventualmente, si concentrasse di più l’attenzione degli studenti. Ci sembra importante segnalare qui solo alcuni elementi che si considerano particolarmente significativi.
2.8. Le domande alle scuole e al Comune e l’azione del Punto Giovani Nella fase preparatoria di questa indagine si era discusso sulle attività che il Punto Giovani aveva iniziato a svolgere presso l’Elsa Morante (corsi del mattino e serali) e presso l’Istituto Tecnico Industriale (che insieme all’IPIA e ai Corsi Serali costituisce il grande complesso che fa capo al Comune di Firenze). Accanto a queste attività di carattere informativo, c’era poi l’aspetto dell’accoglimento di problemi e domande che venivano dagli studenti. In questa relazione non vengono riportate informazioni sull’attività all’ITI, in quanto nessuna rilevazione è stata condotta su quelle classi. Per quanto riguarda invece i Corsi Serali e l’Elsa Morante, in un primo momento è stato attivato un servizio di sportello una volta la settimana per due ore che forniva, a richiesta e in certe ore della settimana, informazioni di vario tipo concernenti lo sviluppo degli studi universitari, la conoscenza e l’utilizzo di certi servizi, le opportunità di carattere culturale e del tempo libero, un’informazione concernente il servizio militare e civile, le possibilità di svolgere esperienze di volontariato. Per gli studenti delle quinte del mattino presso l’Elsa Morante, l’intervento ha assunto quasi subito la forma di incontri di classe, centrato sull’orientamento e la ricerca del lavoro, che lasciava però ampio spazio alla richiesta di informazioni di vario tipo da parte degli allievi. La maggior parte dell’attività di sportello si è concentrata all’Elsa Morante nelle classi del mattino e nei Corsi Serali Comunali, mentre si è interrotta per le classi pomeridiane all’Elsa Morante, a causa di una frequenza minore e più incerta.
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Prima di passare all’analisi delle domande degli studenti così come emergono dai questionari, è utile riportare alcune informazioni che vengono dal Punto Giovani stesso, relative all’utilizzo del servizio di sportello da parte degli studenti. Vediamo innanzitutto la dimensione quantitativa, per passare poi all’analisi del tipo di domande. Tab. n. 2.6. Studenti che si sono rivolti al servizio del Punto Giovani (a.s. 98/99). SCUOLE
RAGAZZI N 2 13 159 174
E. MORANTE - MATTINO E. MORANTE - SERALE CORSI SERALI COMUNALI TOTALE
RAGAZZE N % 77 97.5 22 63.6 181 53.7 280 61.7
% 2.5 36.4 46.2 38.3
TOTALE N % 79 100 35 100 340 100 454 100
Fonte PUNTO GIOVANI. Nota: nelle classi del mattino l’intervento di sportello è stato sostituito da incontri con le classi. Nelle classi serali l’intervento è stato attivo solo per il primo periodo. Nei Corsi Serali Comunali l’intervento si è sviluppato per tutto l’anno scolastico.
Come si è detto, le domande riguardavano vari argomenti, lasciando poi libertà agli studenti di porre questioni di loro interesse. Un quadro di sintesi delle domande con la relativa frequenza è riportato nella tabella n. 2.7. Tab. n. 2.7. Tipo di informazione richiesta dagli studenti. TIPO DI INFORMAZIONI RICHIESTE
Lavoro Scuola/università Servizi sul territorio Tempo libero Servizio militare/civile Attività di volontariato
SERALI COMUNALI N %
58 183 4 83 5 7 340
16.6 55.3 1.3 23.1 1.5 2.2 100.0
MORANTE MATTINO N %
MORANTE SERALE N %
35 10 7 21
44.3 12.7 9.0 26.6
14 6 3 9
40.0 17.1 8.6 25.7
6 79
7.6 100.0
3 35
8.6 100.0
TOTALE N
107 199 14 113 5 16 454
%
23.6 43.9 3.0 24.9 1.1 3.5 100.0
Fonte: PUNTO GIOVANI.
Osservando questi dati si ha un quadro dell’affluenza e delle domande nel momento in cui un servizio pubblico avvia un’attività: il contenuto e le caratteristiche delle domande mutano a seconda del tipo di relazione. Infatti, in un’attività di sportello, la persona va in quanto singolo a porre una questione, che magari, poi, per il ripetersi di quella domanda, può sfociare in qualche azione collettiva. Nel caso delle classi quinte del mattino, la situazione è diversa, in quanto i problemi vengono posti all’intero gruppo classe, e la domanda è al tempo stesso una questione per il gruppo: la discussione che ne può seguire porta, oltre che alla formulazione di nuove domande, ad un processo di comunicazione. Nel questionario vi era una domanda sui servizi in funzione nel territorio di residenza, ricordando che solo la metà di questi ragazzi è residente a Firenze. A proposito della conoscenza di questi servizi, può essere interessante osservare i risultati suddivisi per fasce di età, evidenziando così le evidenti differenze di conoscenza tra le diverse fasce di età. Si osservi la tabella.
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Tab. n. 2.8. Conoscenza dell’Informagiovani e dell’Infolavoro attivi nel comune di residenza. Dati complessivi per le terze e le quinte classi per fasce di età. ETÀ
INFORMAGIOVANI NON LO CONOSCE LO CONOSCE N
16 - 20 21 - 24 25 - 29 30 e oltre TOT.
144 24 23 30 221 (44.83)
%
N
65.2 10.8 10.4 13.6
210 28 11 23 272 100.0 (55.17)
%
INFOLAVORO LO CONOSCE NON LO CONOSCE N
77.2 10.3 4.0 8.5
79 19 12 19 129 100.0 (26.38)
%
N
61.3 14.7 9.3 14.7
272 33 22 33 360 100.0 (73.62)
%
75.5 9.2 6.1 9.2 100.0
Missing: Informagiovani, 33; Infolavoro, 37.
L’Informagiovani è proporzionalmente più conosciuto con il crescere dell’età, mentre per l’Infolavoro, quelli che non lo conoscono sono la maggioranza in tutte le fasce di età. Non ha molto senso disaggregare i gruppi di studenti a seconda dei comuni di residenza, sia per l’esiguità dei gruppi, sia per la non omogeneità del funzionamento dei servizi. La presenza del Punto Giovani e una maggiore accessibilità alle informazioni faranno certamente aumentare la conoscenza che questi ragazzi avranno di tali opportunità di contatto; è una delle ragioni per cui si devono consolidare tutte le reti comunicative possibili: è una delle finalità che sta dietro l’azione sviluppata lo scorso anno e che ha motivato la nostra indagine come primo passo per poi continuare. Vediamo ora gli altri due servizi su cui si sono avute risposte abbastanza generalizzate.
Tab. n. 2.9. Conoscenza del Punto Giovani e dei servizi di Consulenza Adolescenti e Giovani attivi nel comune di residenza. Dati complessivi per le terze e le quinte classi per fasce di età. ETÀ
PUNTOGIOVANI LO CONOSCE N
16 - 20 21 - 24 25 - 29 30 e oltre TOT.
167 30 14 27 238 (48.77)
%
70.1 12.6 5.9 11.3
NON LO CONOSCE N
184 22 18 26 250 100.0 (51.23)
%
73.6 8.8 7.2 10.4
CONSULENZA ADOLESCENTI E GIOVANI LO CONOSCE NON LO CONOSCE N
92 9 2 5 108 100.0 (22.31)
%
85.1 8.3 1.9 4.6
N
256 42 31 47 376 100.0 (77.69)
%
68.1 11.2 8.2 12.5 100.0
Missing: Punto Giovani, 38; Consulenza adolescenti e giovani, 42.
Non è difficile osservare, anche qui, come siano diversi i valori a seconda dell’età; la più alta percentuale di conoscenza per il Punto Giovani è da collegarsi alla presenza nelle scuole di cui prima abbiamo fatto cenno. D’altra parte, il fatto stesso che poniamo la domanda sulla conoscenza di questi servizi, attivi ormai da più di dieci anni, dice della difficoltà di sviluppare dei legami, nella scuola come nell’ambiente sociale e di vita quotidiana. Le domande del questionario su che cosa dovrebbero fare le scuole ed il comune per facilitare la realizzazione di progetti di studio e di lavoro concentrano invece l’atten-
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zione su questioni specifiche; va infatti ricordato che queste domande le abbiamo pensate noi, prima nella fase di discussione preliminare con gli insegnanti e con il comune e poi nella formulazione tecnica. Da questo deriva il fatto che le risposte sono date dagli studenti entro le alternative poste, e l’accorgimento di lasciare le domande aperte attraverso la possibilità di aggiungere risposte a quelle già indicate non è sufficiente per far emergere questioni, esigenze o problemi che, in futuro, attraverso un lavoro sistematico, potrebbero essere meglio conosciute. Difficilmente una domanda diretta fa emergere una necessità o un bisogno, che invece possono venire più facilmente formulati in una relazione, in una discussione in cui si confrontano vari punti di vista, in un contesto in cui vi siano intesa e reciproca fiducia; inoltre, un bisogno o una richiesta si precisano nel tempo ed assumono valenze diverse in momenti di vita successivi. E torniamo così alla questione dell’esigenza di una dimensione longitudinale di analisi che serve non solo per cogliere le variazioni nel tempo, ma anche per affinare gli strumenti di rilevazione. Le domande, quindi non potevano essere che generali, con lo scopo di ricavare da queste prime risposte delle indicazioni per formulare in modo più preciso i problemi: venivano sottoposte agli studenti delle azioni sulle quali si chiedeva di pronunciarsi indicando quanto ritenessero l’una o l’altra utile o importante. Non è difficile immaginare, sulla base di quanto sin qui detto, che la centralità del lavoro emerge con forza anche in queste risposte e che la struttura delle indicazioni è pressoché identica per le terze e per le quinte. Vediamo innanzitutto quali indicazioni emergono nei confronti delle scuole. Alla domanda su che cosa debbano fare le scuole la realizzazione dei progetti di studio e di lavoro, le risposte presentano la struttura riportata in tabella, con la precisazione che si è presa in considerazione la risposta “molto importante”.
Tab. n. 2.10. Azioni delle scuole ritenute molto importanti da parte degli studenti per facilitare la realizzazione dei loro progetti di studio e di lavoro. Classi terze e quinte. TIPI DI AZIONE
Creare più contatti scuola lavoro Realizzare tirocini/stage Fare più orientamento ottenere più impegno dagli insegnanti Aumentare i servizi di consulenza ed informazione Dare borse di studio
CLASSI TERZE
234 228 189 147 142 149
90.7 89.4 74.1 59.0 57.3 58.9
CLASSI QUINTE
223 213 188 176 180 159
91.0 89.5 78.0 73.0 74.3 66.2
Appare in queste richieste un’identica struttura anche se con differenze, lievi ma significative tra terze e quinte, soprattutto a proposito della domanda di impegno per gli insegnanti. La centralità del lavoro è presente nelle due principali richieste, e cioè quella di creare più contatti tra scuola e lavoro (in generale) e di organizzare tirocini e stage. La prospettiva dei centri per l’impiego, l’infittirsi dei possibili legami tra scuola e lavoro, la possibilità, anche, di trasformare in momenti di tirocinio rapporti di lavoro informali o illegali aprono delle prospettive che vanno colte con molta attenzione critica, ma anche senza rifiuti ideologici. Sulla scorta delle indicazioni dei rapporti europei, si potrebbe leggere la domanda di questi studenti come una domanda di occupabilità. La questione veniva posta anche nei confronti del Comune, ma la formulazione della domanda è risultata in parte errata, poiché è rimasta una risposta che valeva solo per l’IPIA e
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per i Corsi Serali Comunali: si tratta della risposta relativa alla valorizzazione del lavoro degli insegnanti che sono dipendenti dell’Amministrazione Comunale, risposta che è rimasta anche nella versione del questionario destinata all’Elsa Morante, che invece è una scuola statale. Anche la risposta relativa all’essere “presente nella scuola” è probabilmente viziata dal differente rapporto tra le diverse scuole e il Comune. Pur con queste difficoltà, possiamo ricavare delle indicazioni dalle risposte degli studenti.
Tab. n. 2.11. Azioni del Comune ritenute molto importanti da parte degli studenti per facilitare la realizzazione dei loro progetti di studio e di lavoro. TIPI DI AZIONI
E. MORANTE N
Assumere più giovani, anche con lavori temporanei 117 Essere più presente nella scuola 74 Valorizzare il lavoro degli insegnanti 49 Valorizzare i titoli di studio che la scuola conferisce 21 Altro 10
IPIA
SERALI C.
TOTALE
%
N
%
N
%
N
%
95.1 65.5
210 127
83.7 3.4
113 70
4.3 6.0
40 271
83.6 1.5
0.2
75
30.9
79
61.7
203
38.5
99.2 7.9
202 9
2.8 3.5
110 10
6.6 6.9
33 29
2.3 5.5
Creare occupazione, anche temporanea con un elevato valore formativo, e valorizzare i titoli di studio che le scuole conferiscono sono le due azioni verso cui si orienta la maggiore richiesta. Forse, nella formulazione della domanda non doveva essere utilizzato il termine “assumere”: resta il fatto che le istituzioni locali non possono essere estranee alla creazione di occupazione; creare delle opportunità temporanee e valorizzare i titoli di studio arricchendo la proposta formativa significa migliorare le condizioni di occupabilità, che sembrano essere sempre più legate alle competenze e all’aver fatto delle esperienze. Creare occupazione può significare anche varare progetti in collaborazione con le parti sociali, cosa che le istituzioni locali, e le Regioni in modo particolare, hanno certamente tra le loro competenze. La richiesta di assunzione anche temporanea è presente in misura diversa nelle differenti scuole. È alta anche all’IPIA, dove le previsioni dei ragazzi segnalano il settore privato come naturale sbocco di lavoro. In futuro, se le scuole svilupperanno in modo sistematico questo tipo di indagine, potrebbero essere meglio precisate queste domande e dalla comunicazione con questi studenti emergerebbero sicuramente delle idee su cui esercitare un sostegno istituzionale significativo. È curioso che la valorizzazione del lavoro degli insegnanti sia richiesta in modo minore proprio all’IPIA, dove gli insegnanti sono dipendenti comunali: ma, al cambiare dell’età, la percentuale di questa richiesta sale di molto, come si vede nei Corsi Serali Comunali, quasi che la maggiore maturità di questi studenti segnali l’importanza del lavoro che gli insegnanti fanno, in un sistema di relazioni che è certamente diverso da quello delle scuole del mattino. Infine, per concludere su questo punto, si segnala la necessità di assumere queste risposte come dei primi orientamenti per definire meglio delle strategie per accrescere le opportunità di inserimento nel lavoro, collegando aspetti di promozione, di tutela, di arricchimento delle attività formative, di costruzione di legami con l’ambiente sociale, di investimento diretto di risorse finanziarie e di lavoro di persone.
2.9. Le prospettive di studio. Secondo la prassi corrente, sia gli allievi delle quinte del mattino che quelli delle serali sono stati interessati alla preiscrizione all’università. Di come questo sia avvenuto, con quale livello di informazione e di discussione, con quali contatti con strutture universitarie o con personale di orientamento, con quale coinvolgimento degli insegnanti non sappiamo nulla che possa permetterci una qualche considerazione. Ci limitiamo quindi a riportare le risposte che sono state date alle specifiche domande sul questionario. Ricordando che gli studenti di quinta sono 154 nelle classi del mattino (105 del Professionale e 49 dell’E. Morante) e 99 nelle classi serali, la preiscrizione all’università è stata fatta da 47 persone delle classi del mattino e da 4 persone delle classi serali. Com’è noto, la preiscrizione non vincola lo studente ad iscriversi obbligatoriamente a quel corso di laurea o di diploma che ha indicato all’inizio del quinto anno di scuola superiore. Per il momento non abbiamo riscontri né a livello locale né a livello nazionale che ci dicano quanti studenti si iscrivano effettivamente a quel corso che avevano indicato; giocano variabili come l’esistenza di numeri chiusi con test di accesso, i processi di autoselezione caratterizzati da forte incertezza (interpretabili con modelli che accentuano la costrizione, la progettualità personale o il comportamento “da consumatore”), l’osservazione di studenti che tentano varie strade, tra loro diverse, ma che ad essi appaiono, evidentemente, tutte percorribili. Per queste ragioni, le informazioni relative alla preiscrizione hanno il valore che hanno, ma saranno molto utili alle scuole che vorranno studiare, nel tempo, la corrispondenza tra scelte annunciate e scelte effettuate, indagando anche le ragioni per le quali tali scelte vengono mantenute e poi mutate, mutate fino dall’inizio degli studi universitari o mantenute fino al conseguimento della laurea o del diploma. Se l’esperimento che abbiamo avviato, relativo ad un collegamento permanente tra università e scuole superiori avrà successo, sarà possibile per ogni scuola superiore verificare nel tempo quale sia il legame effettivo tra scelte iniziali ed esiti successivi. Questo è tanto più importante in un sistema come il nostro, dove gli abbandoni sono elevatissimi, e dove quindi è importante conoscere quali segnali indichino una buona probabilità che uno studente porti in fondo quel corso di laurea o di diploma. Le preiscrizioni delle quinte del mattino vedono un grosso gruppo per odontoiatria, in considerazione che esiste un indirizzo specifico per odontotecnici. In generale, però, il settore sanitario è fortemente rappresentato, il che si collega con l’indirizzo di Tecnico dei Servizi Sociali, presente all’E. Morante: infatti, oltre alle 10 opzioni per odontoiatria, che provengono dall’IPIA, ben 22 si collocano nell’ambito sanitario. Il prospetto generale è riportato nella tabella.
Tab. n. 2.12. Scelte per la preiscrizione all’università (classi quinte). STUDI UNIVERSITARI MEDICINA OSTETRICIA (D.U.) SCUOLA INFERMIERI (D.U.) LOGOPEDISTA (D.U.) FISIOTERAPISTA (D.U.) TERAPISTA (D.U.) SERVIZIO SOCIALE (D.U.) ODONTOIATRIA
MATTINO N. 2 6 6 3 2 1 2 10
SERALE N. 1
1
TOTALE N. 2 7 6 3 3 1 2 10 Continua +
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PSICOLOGIA IGIENISTADENTALE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE ISEF (D.U.) DAMS GIURISPRUDENZA INGEGNERIA MECCANICA INGEGNERIA NAVALE CHIMICA STUDI UNIVERSITARI GENERICO TOTALE SCELTE UNIVERSITARIE NESSUNA SCELTA TOTALE
3 1 3 2 1 1 1 1 1 1 47 103 150
1
1 4 91 95
3 1 4 2 1 1 1 1 1 2 51 194 245
Si tratta di studenti che presentano un’età molto variegata per la presenza dei corsi serali (oltre che per effetto delle ripetenze - fra gli studenti delle quinte classi, oltre un terzo ha un’età compresa tra 20 e 25 anni; fra le classi terze, uno studente su quattro ha 18 anni e poco meno del 15% ha un’età compresa tra 19 e 24 anni) e per i quali è già possibile verificare se si siano effettivamente iscritti all’università e a quali corsi di laurea o di diploma. A richiesta delle scuole superiori, infatti, l’università può fornire gli elenchi degli iscritti, con l’indicazione del corso a cui sono iscritti e dell’anno di iscrizione. Come si vedrà a proposito degli ex studenti, una parte non trascurabile si perde fino dai primi anni. È un fenomeno noto, che però va conosciuto, da parte delle scuole, non solo come un dato generale riferito all’intero sistema, ma come un’informazione essenziale riferita alla propria scuola, sia per un lavoro di orientamento, sia per una valutazione degli esiti del lavoro didattico e formativo. Già da ora, conoscendo le effettive preiscrizioni e potendo verificare, attraverso l’Università di Firenze, chi si sia iscritto nell’Ateneo della nostra città, si avrebbe un primo quadro relativo alla effettiva iscrizione da parte di chi aveva fatto la preiscrizione, all’iscrizione da parte di chi nel novembre 1998 non aveva fatto la preiscrizione, oltre alla conferma o meno della scelta prevista. Per concludere su questo punto, osserveremo che solo il 38.8% dei giovani diplomandi ha fatto la preiscrizione; una verifica dell’iscrizione avvenuta ci direbbe qualcosa di più preciso del rapporto tra il tasso di passaggio all’università di queste tre scuole rispetto alla media nazionale, che è stata, nel 1997, del 49.8% dei diplomati, come segnala il Rapporto sull’Italia dell’ISTAT, edizione 1999, p. 70. A partire da questa base, comprensibilmente inferiore (ma siamo anche nell’Italia Centrale, che ha i tassi di scolarizzazione tra i più alti), si devono poi scontare gli abbandoni dell’università. Quanto più problematico si presenta questo accesso, tanto maggiore dovrebbe essere l’impegno per sostenerlo; uno dei modi è seguirlo anno per anno, analizzandone la fenomenologia, le ragioni, le possibilità di modificarlo.
2.10. Una proposta per proseguire. La proposta che le scuole proseguano nell’analisi sistematica dei loro studenti trova giustificazione nei mutamenti che stanno avvenendo nel sistema formativo, partendo dalla riorganizzazione dei cicli scolastici per arrivare agli studi universitari e alla formazione professionale, tanto iniziale che continua. Anche il lavoro sta subendo cambiamenti molto importanti, soprattutto per il rapido mutare delle variabili che tradizionalmente l’hanno definito (tempi, contenuti, continuità,
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valore identitario); per i giovani questo significa che hanno di fronte una prospettiva molto diversa rispetto a quella delle generazioni oggi adulte o anziane. Come si è visto, le attese sono ancora rivolte ad un lavoro con caratteristiche di stabilità e durata, ed è possibile che, passato un periodo di intensa trasformazione, si assista al consolidarsi di nuove forme di stabilità del lavoro, pur nella mutevolezza dei contenuti e dei tempi. Storicamente questo è già avvenuto. In questo processo che andrà avanti per molti anni, le nuove generazioni sono sottoposte ad una incertezza particolarmente pesante, per cui i sistemi formativi, in tutte le loro tipologie, vengono anch’essi posti sotto tensione. Proseguire nell’analisi risponde dunque ad esigenze dei sistemi e a domande dei soggetti. Questi ultimi domandano occasioni di contatto, di esperienza, di inserimento nel percorso scolastico di conoscenze sul lavoro, di legami tra la scuola e le organizzazioni produttive e di servizio, di sostegno delle istituzioni. Quanto alle persone che vivono ed operano nelle scuole intese come organizzazioni, si avverte una crescente attenzione verso l’analisi costante del proprio lavoro e dei suoi esiti. Proseguire significa dunque, per i problemi che qui sono stati affrontati, analizzare sistematicamente le attese ed i progetti degli studenti nel corso dei loro studi, far sì che possano compiere delle esperienze di legame col lavoro significative, conservando di tutto questo una memoria che permetta di comprendere gli esiti successivi in modo longitudinale, tanto per i singoli quanto per i gruppi, le classi le diverse leve di studenti. Non è necessario pensare ad una sorta di megasistema informativo: bisognerebbe piuttosto pensare alla costruzione di una memoria fatta di poche informazioni per tutti gli studenti, di analisi approfondite su gruppi mirati, di nessi ben funzionanti con altri sistemi (primi fra tutti quello dell’università e il costituendo sistema informativo del lavoro), il tutto realizzato con il coinvolgimento degli studenti stessi e, per alcuni aspetti, come parte costitutiva del programma generale di attività didattica e di ricerca. Si tratta, in qualche modo, di adottare il metodo dell’inchiesta, utilizzando gli strumenti più idonei per i problemi che si vogliono affrontare, ricordando che la dimensione da perseguire è quella longitudinale applicata sia agli andamenti generali di gruppi di giovani o di intere scuole, sia alle biografie individuali mediante le quali si acquisisce tanto la conoscenza analitica di singoli percorsi, quanto la capacità di costruire tipologie da approfondire nel tempo. Raccogliere biografie di studenti dentro e dopo la scuola, costruire un flusso di informazioni che possano essere successivamente verificate, monitorare le esperienze di legame tra scuola e lavoro è oggi possibile. In sintesi, si tratta di rafforzare legami tra persone dentro le organizzazioni e tra queste e l’ambiente sociale, modificando quegli atteggiamenti che hanno reso la comunicazione difficile. Permarranno disparità di mezzi e di potere tra le nostre scuole e l’ambiente esterno, che si sono tradotte nel tempo in una diffidenza non immotivata; tuttavia, i cambiamenti in corso costringono ad accrescere i legami e, con questo, a tentare di rafforzare la posizione dei sistemi scolastici e formativi. La partecipazione attiva di insegnanti e studenti a questo lavoro lo integrerebbe di più nell’attività scolastica e migliorerebbe il buon clima che già c’è stato nei primi incontri iniziali; in secondo luogo non si limiterebbe a portare delle informazioni, ma contribuirebbe a produrle, aumentando quindi il grado di fiducia; in terzo luogo, la partecipazione al lavoro sugli studenti e i diplomati costituirebbe una risposta alle richieste che più sopra abbiamo viste formulate nei confronti della scuola. Diventare una presenza di legame, capace di collegare istituzioni diverse (com’è per statuto il Punto Giovani), raggiungere un’alta capacità di ascolto e di risposta, essere punto di riferimento per la realizzazione di un programma di analisi degli esiti della formazione scolastica in termini di studio e di lavoro, definire in accordo con le scuole nuovi ambiti di informazione, tenendo conto che la domanda degli studenti si orienta più verso la ricerca di opportunità di collegamento col lavoro che non verso la gestione del proprio tempo libero; tutto questo può produrre quella situazione positiva che si cercava di delineare.
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3. LE INTERVISTE AI DIPLOMATI DEGLI ANNI 1996, 1997 E 1998. 3.1. Finalità generali. All’indagine fra gli studenti delle terze e delle quinte, di cui si è parlato nelle pagine precedenti, si è aggiunta quella fra gli ex studenti diplomatisi negli anni 1996, 1997, 1998. Come vedremo, il quadro che ne esce è assai interessante e variamente giudicabile: prima di entrare nella descrizione delle informazioni raccolte, è utile richiamare le finalità specifiche di questa parte della ricerca e le condizioni in cui si è sviluppata la realizzazione di questa parte del lavoro. Da questo punto di vista, a nessuno sfugge l’utilità della conoscenza, da parte delle scuole, degli esiti lavorativi e di studio che caratterizzano l’esperienza degli ex studenti, e ciò a fini di orientamento per gli studenti in corso, di programmazione dell’insegnamento sulla base di richieste ed indicazioni che emergano, di valutazione degli esiti in tema di prosecuzione degli studi. Conoscere queste tendenze è importante per la scuola che può, se vuole, mantenere dei contatti con i suoi ex studenti senza utilizzare per questo grandi risorse, inserendo, semmai, questo lavoro nella normale attività di studio e di orientamento. Si potrebbe dire che, in qualche misura, si tratta solo di organizzare ciò che già avviene informalmente: basta infatti parlare con gli insegnanti per sapere che essi hanno notizie di molti dei loro ex studenti, così come avviene tra gli studenti, attraverso le loro reti familiari e amicali; in questo senso, il lavoro che si propone come uno degli sviluppi di questa indagine, consiste in gran parte nel valorizzare le persone, le loro esperienze, il potenziale informativo che queste esperienze contengono, arrivando, gradualmente, a seguire nel tempo l’evolversi della vita formativa e lavorativa degli studenti. Le recenti tendenze di avvicinamento tra scuola e lavoro costituiscono, insieme all’autonomia scolastica, delle opportunità da sfruttare. È infatti la prima volta che nella nostra storia nazionale le questioni della scuola vengono affrontate contemporaneamente a quelle del lavoro in una prospettiva di comunicazione e di maggiore flessibilità, tanto delle esperienze formative quanto degli ingressi nel lavoro; per questa ragione insegnanti, studenti, famiglie, centri per l’orientamento e l’impiego devono mutare mentalità, non per adeguarsi meccanicamente alle esigenze del lavoro e della produzione, rischio che certamente esiste, quanto per poter valutare come realizzare la combinazione di competenze trasversali con competenze specifiche orientate alla professione. Quanto alle condizioni in cui questa indagine è stata realizzata, esse sono solo in parte riproducibili nelle scuole: il nostro lavoro è stato, infatti, organizzato in modo concentrato nel tempo e nello spazio, con un gruppo di lavoro ad hoc, mentre la prosecuzione da parte delle scuole richiederebbe la saggezza e la capacità di inserire la raccolta delle informazioni nel corso dell’anno, in momenti opportuni, utilizzando non soltanto l’intervista telefonica, ma anche altre modalità di raccolta di informazioni. L’efficacia della ricerca con finalità operative si nutre molto di immaginazione e di creatività: se l’obbiettivo che si vuole perseguire è chiaro, non vi saranno difficoltà a far dialogare persone diverse, ad utilizzare informazioni pervenute con modalità diverse, a coinvolgere persone che ora non immaginiamo neppure che possano dare contributi rilevanti. La differenza è tra un gruppo esterno, strutturato, che ricerca un’efficacia ed un’efficienza immediate di un lavoro rigidamente programmato, e un insieme di persone che condividono dei bisogni di conoscenza e degli obbiettivi formativi, le quali si organizzano in modo flessibile con un orizzonte temporale lungo, dove l’efficacia e l’efficienza non stanno soltanto nell’ampiezza dell’informazione raccolta, ma anche nella profondità della conoscenza e nella sua condivisione.
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Fatte queste due precisazioni, resta soltanto da sottolineare il buon clima in cui queste comunicazioni si sono sviluppate: come si vedrà, in qualche caso le informazioni sono state date da familiari, e va particolarmente notato l’atteggiamento dei genitori, che hanno accolto positivamente questo interesse della scuola per le vicende dei loro figli. Lo stesso si può dire dei giovani, il che ci dice che l’unico ostacolo che abbiamo davanti è quello di decidere quando e come avviare un processo di comunicazione: se lo metteremo in moto, esso stesso produrrà una sua dinamica nella direzione che auspichiamo fornendoci nuove indicazioni. Infine, non si deve dimenticare che abbiamo intervistato dei diplomati, il che vuol dire che un processo di selezione è arrivato in fondo, e che quindi la nostra indagine non ci dice nulla di coloro che si sono persi per strada; non dobbiamo, cioè, generalizzare all’intera classe di età ciò che è caratteristico di un gruppo di giovani che ha compiuto interamente il ciclo scolastico fino alle soglie dell’università. Non generalizzare mai sulla base di pochi dati è una delle regole elementari della ricerca sociale: tuttavia, il lavoro longitudinale consolida acquisizioni successive, permette di verificare con le persone il significato che gli eventi hanno per loro, di confrontare eventi simili in tempi diversi ecc.
3.2. La procedura di lavoro. La procedura di lavoro prevedeva che ad ognuno dei diplomati degli anni 1996, 1997 e 1998 (in modo generalizzato per l’Elsa Morante e in modo più limitato per l’IPIA e per i Corsi Serali Comunali), venisse inviata una lettera in cui si annunciava l’intervista, specificando le finalità e il tipo di informazioni che si volevano raccogliere, la durata massima dell’intervista stessa, gli orari in cui le interviste sarebbero state svolte. Le lettere inviate sono state 641; quelle riconsegnate dalla Posta per destinatario sconosciuto sono state pochissime (è comprensibile per il fatto che c’erano degli indirizzi di tre o quattro anni fa, cosa che non succederebbe in futuro, se non in misura piccolissima). In vari casi, anche in presenza di lettere inesitate o perché non arrivate o perché i destinatari non si trovavano a quell’indirizzo in quel momento, o perché in famiglia ci si è dimenticati di segnalare, è stato possibile realizzare l’intervista attraverso la società dei telefoni o chiedendo ad altre persone. Non sono mancate situazioni in cui l’avviso dell’imminente telefonata era stato ricevuto da amici o conoscenti a cui la comunicazione era stata consegnata sollecitamente. Di tutto questo insieme di persone, 502 hanno rilasciato l’intervista, 32 l’hanno rifiutata, 86 sono risultati assenti ai tre tentativi, e 21 irrintracciabili, nel senso che non è stato possibile avere il numero telefonico (non sempre la combinazione del cognome e dell’indirizzo porta alla persona giusta, non essendo la maggioranza degli intervistati intestatari di abbonamento). Sono stati indicati come assenti coloro che non sono stati rintracciabili a tre tentativi fatti in giorni diversi nell’arco della quattro settimane di lavoro: non è stato possibile parlare né con loro, né con persone del loro nucleo familiare (in senso lato). Il gruppo degli intervistatori ha lavorato nelle ore serali, cercando di parlare con gli interessati o, quando ciò non fosse stato possibile (ad esempio a causa del servizio militare o di un ricovero ospedaliero o altro), con i genitori per acquisire almeno parte delle informazioni previste. Durante l’intervista venivano annotate le diverse notizie sulla scheda e si teneva nota di qualche elemento segnalato dall’intervistato. Prima dell’intervista, l’intervistatore rivedeva le informazioni già in nostro possesso (scuola frequentata, indirizzo di studi), in modo da rendere più comprensibili le risposte. Subito dopo l‘intervista, se ve ne era la necessità, l’intervistatore annotava sulla scheda eventuali elementi rilevanti che esulassero dalle domande previste nella traccia. Le interviste sono state realizzate da un
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gruppo di 12 persone nelle ore serali e in maniera continuativa: tutto il lavoro di raccolta delle informazioni si è svolto nell’arco di quattro settimane, dopo di che ha preso avvio la fase della codifica e registrazione dei dati raccolti L’esperienza del colloquio con questi giovani è stata molto positiva, anche perché gli intervistatori erano, salvo un caso, persone che non avevano alcuna difficoltà, per motivi anagrafici e di esperienza di studi, a comprendere i messaggi che venivano da questi diplomati. L’intervista veniva realizzata sulla base di una traccia che conteneva già, per l’intervistatore, alcune notizie, più a meno complete: oltre all’indirizzo, alla scuola di appartenenza, alla classe e indirizzo di cui il diplomato aveva fatto parte, era noto, in qualche caso, anche il voto di maturità. In futuro, se le scuole procederanno in questa riflessione sugli esiti del loro lavoro formativo, potranno contare anche sulle informazioni che saranno loro pervenute dall’università, così da sapere, ad esempio, chi sia iscritto e a quali corsi (col nuovo sistema di titoli universitari e con l’attivazione dei corsi IFTS gestiti dalle Regioni, dal Ministero del Lavoro e dal Fondo Sociale Europeo, il quadro si complicherà, ma sarà comunque possibile ricostruire insiemi attendibili di informazioni; d’altra parte, il lavoro longitudinale non dovrebbe andare oltre i tre-quattro anni). È dunque un legame che si tratta di coltivare, perché può produrre conoscenze e comunicazioni importanti. Il fatto che l’intervista fosse realizzata da persone coetanee degli intervistati ha creato, semmai, il problema del contenimento di alcune “narrazioni”. Anche questo è un aspetto formativo che sarebbe importante considerare nella prosecuzione dell’esperienza. Il prospetto generale è riportato nella tabella. Tab. n. 3.1. Interviste effettuate, rifiutate, non realizzate per irreperibilità INTERVISTA EFFETTUATA RIFIUTATA ASSENTE IRRINTRACCIABILE TOTALE
V.A. 502 32 86 21 641
% 78.3 5.0 13.4 3.3 100.0
Come si vede, il livello di risposta è stato molto alto, nonostante che per i diplomati del 1996 e del 1997 il tempo trascorso fosse ormai considerevole.
3.3. Alcune caratteristiche generali: sesso, età, indirizzi di studio. Il gruppo complessivo vede una forte prevalenza di ragazze, 448 su 637, pari al 70.3%12. La composizione generale del gruppo è riportata in tabella. Tab. n. 3.2. Composizione per sesso e per scuole. SCUOLA
MASCHI V.A. % ELSA MORANTE 7 2 IPIA 132 86 CORSI SERALI COMUNALI 49 48 TOTALE 187 29.4 12
32
FEMMINE V.A. % 379 98 21 14 51 50 448 70.3
NON DISP. V.A. %
2 2
2 0.3
TOTALE V.A. % 386 100 153 100 102 100 641 100
Il rapporto si rovescia fra i diplomati dell’IPIA, dove i maschi (131) rappresentano l’86% in quella scuola, su un totale di 152 studenti.
L’età degli intervistati deve essere considerata separatamente per i Corsi serali e per le altre due scuole, a causa degli studenti di età elevata che ritroviamo nei serali. Resta però il fatto che l’osservazione dell’età fa emergere il ritardo scolastico, che in questo tipo di scuole è particolarmente elevato. S ricordi che l’età è calcolata al 1999, e cioè la tabella riporta l’età al momento dell’intervista, per cui ogni valutazione deve essere fatta tenendo conto dei diversi scarti tra l’anno di diploma e il momento dell’intervista.
Tab. n. 3.3. Composizione dei diplomati per età, calcolata al 1999 SCUOLA/ANNO DI DIPLOMA IPIA 96 IPIA 97 IPIA 98 totale MORANTE 96 MORANTE 97 MORANTE 98 totale CSC 97 CSC 98 totale TOTALE
fino a 20
21
22
23
24-29
30 e oltre
totale
18 6 3 27 38 11 3 52 2 1 3 82
8 3 4 15 22 4 2 28 15 18 33 76
1
50 48 55 153 111 153 122 386 33 40 73 612
23 23
27 14 41
2 72 74
79 34 113
23 12 10 45 51 57 10 118
1 1 98
1 1 155
1 1 164
1 2
1 1 16 18 34 37
Solo per l’Elsa Morante sono stati presi in considerazione tutti i diplomati dei tre anni, 1996, 1997, 1998. Per quanto riguarda l’IPIA è stato preso in considerazione il 50% dei diplomati dei tre anni; per i corsi serali il 50% dei diplomati del 1997 e il 1998. Questa scelta è stata fatta principalmente per tre ragioni. La prima è che ai fini di questo lavoro non era strettamente necessario coprire l’intero gruppo dei diplomati: del resto, anche le scuole potrebbero, a ragion veduta, decidere di seguire particolari gruppi, oppure seguire in modo diverso gruppi diversi di studenti. La seconda ragione è che la situazione dell’Elsa Morante era considerata la più difficile, e quindi la più importante ai fini dell’inserimento lavorativo, e quindi, dovendo operare una scelta, si è deciso di considerare l’insieme di quei diplomati. La terza ragione, connessa alla seconda, è che i diplomati dell’IPIA, secondo la testimonianza di varie persone della scuola, hanno delle possibilità di lavoro migliori e, per quanto concerne i corsi serali, vi erano maggiori difficoltà di reperimento delle persone. Quest’ultima difficoltà si attenua o scompare soltanto se si svolge un lavoro sistematico, anno per anno, per un certo periodo. È però evidente che l’interesse a seguire lo sviluppo degli studi o del lavoro di persone già adulte è diverso sia rispetto a studenti “in regola”, sia agli studenti dei corsi serali di età più bassa. Come si vedrà dai risultati, non tutte queste considerazioni sembrano confermate: le singole scuole, se proseguiranno nel lavoro, avranno la possibilità di aggiustare il tiro a seconda delle scelte che considereranno più importanti sia a fini di orientamento, sia a fini di conoscenza dei percorsi di lavoro e di studio dei loro diplomati. Ciò sarà tanto più importante nella nuova architettura degli studi uni-
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versitari, anche in considerazione dell’ampia gamma di diplomi che vengono rilasciati, come appare in tabella.
Tab. n. 3.4. Diplomati per indirizzo di studi. INDIRIZZI PER SCUOLA CORSI SERALI COMUNALI a.c.i. dirigenti geometri linguistico ragioneria scientifico IPIA odo t.d.i.e. t.i.c. t.i.e.e. t.i.g. t.i.m. tome ELSA MORANTE a.c.i. o.t. t.s.s. totale
N. 102 24 14 23 17 23 1 153 61 18 9 25 18 19 3 386 205 70 111 641
% 100.0 23.5 13.7 22.5 16.7 22.5 1.0 100.0 39.9 11.8 5.9 16.3 11.8 12.4 2.0 100.0 53.1 18.1 28.8 100.0
Il voto conseguito nell’esame di maturità non veniva menzionato nel corso dell’intervista: i dati sono stati forniti dalle scuole e sono incompleti solo per alcuni casi. Con questa precisazione, possiamo dare uno sguardo alle votazioni conseguite nei tre anni a cui i diplomi si riferiscono (1996, 1997, 1998), che presentano una media di 45.28, con quasi un terzo dei voti concentrati fra 36 e 41 (30.9%), e solo il 14.4% collocati fra 54 e 60. È curioso osservare che i cinque voti tradizionali, dal 6 al 10 (36, 42, 48, 54, e 60) rappresentano il 30.8% di tutte le votazioni: è curioso che l’insieme dei voti dispari copra solo il 29.3% (cabale per puro divertimento!). Il voto di maturità non è importante in se stesso, quanto per ciò che significa per lo studente e per l’uso che se ne può fare in termini di predittore di successo scolastico. Com’è noto, la scelta precoce, il voto di maturità e la provenienza dai licei vengono considerati come predittori di successo negli studi universitari. In ogni caso, e sia detto una volta per tutte, il voto di maturità viene qui assunto come puro elemento descrittivo: non si tratta di una variabile personale, quanto di una circostanza che può essersi verificata per mille ragioni, indipendenti dal valore o dalla preparazione della persona. Inoltre, sappiamo che la situazione delle tre scuole è diversa, per cui è impossibile escludere l’influenza di variabili intervenienti che rendono solo parzialmente paragonabili gli esiti del percorso scolastico. Pur con tutte queste cautele, una riflessione su questi risultati può essere utile per più di una finalità, ora che la scuola superiore si sta trasformando.
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Tab. n. 3.5. Voto di maturità per scuole e in complesso. VOTO 36 37 38 39 40 41 36-41 42 43 44 45 46 47 42-47 48 49 50 51 52 53 48-53 54 55 56 57 58 59 60 54-60 n. disp. TOTALE 386
MORANTE 24 14 18 17 16 10 99 (25.6) 27 18 23 21 21 9 119 (30.8) 23 9 25 12 16 6 91 (23.6) 14 8 12 7 12
IPIA 15 7 11 8 10 1 52 (34.0) 14 4 8 9 11 1 47 (30.7) 14 2 4 4 7 1 32 (20.9) 8 1 6
CORSI SER. 17 6 12 5 5 2 47 (46.1) 14 2 3 2 3
1
1
17 68 (17.6) 7 (1.8) 153
5 21 (13.7) 1 (0.6) 102
24 (23.5) 5 5 1 1 12 (11.8) 1 1
3 (2.9) 16 (15.6) 41
TOT 56 27 41 30 31 13
90 42 11 34 16 24 8 35
% 8.7 4.2 6.4 4.7 4.8 2.1 1 30.9 8.6 3.8 5.3 5.0 5.5 1.5 1 29.6 ì6.5 1.7 5.3 2.5 3.7 1.2 21.0
23 10 18 7 14
3.6 1.5 2.9 1.1 2.0
22 92
3.4 14.4
24 100.0
3.7
98 55 24 34 32 35 10
La questione del voto diventa per noi importante qualora si individuasse una relazione con gli eventi successivi al diploma. In generale, gli intervistatori hanno avvertito un disagio, talvolta velato, ma spesso dichiarato nel corso delle interviste telefoniche. Sapendo di parlare con studenti universitari, a volte loro coetanei, i giovani intervistati non hanno nascosto le difficoltà, che pure convivono con decisioni o scelte di studio e di lavoro che non si giudicano negativamente, ma che non corrispondono alle attese o alla percezione delle proprie capacità. Tali difficoltà possono assumere connotazioni diverse a seconda della provenienza scolastica, ma non impediscono di cogliere nel lavoro anche degli aspetti positivi, soprattutto
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sul piano delle relazioni interpersonali con i colleghi o con i datori di lavoro, cosa che è stata da molto tempo osservata anche fra gli apprendisti. Non va però dimenticato che in molti dei lavori svolti soprattutto dalle ragazze, queste relazioni sono assai limitate, dal momento che attività come quella di baby sitter o di assistenza a persone fatta singolarmente o di commesse in piccoli negozi (familiari e non) non producono legami lavorativi particolarmente ampi. In ogni caso, questo aspetto positivo, pur importante, diventa secondario se permangono l’insoddisfazione per la retribuzione, per l’orario di lavoro, per il tipo di lavoro che si fa. Inoltre, la più alta quota di lavoro nero che compare tra queste ragazze rimanda alle considerazioni di L. Gallino che riportavamo in precedenza: mancano qui alcune o tutte quelle caratteristiche che rendono un lavoro, il lavoro, un filo solido di integrazione sociale. Accanto a queste difficoltà ci sono molti casi di ex studenti (sicuramente un buon numero dell’IPIA) che sembra riescano a trovare un lavoro più soddisfacente, mentre coloro che provengono dai Corsi Serali Comunali, che spesso avevano già una posizione lavorativa, sembrano perseguire un disegno di consolidamento, avanzamento o miglioramento. Per questi ultimi, il confronto tra le motivazioni della scelta dei corsi serali e la posizione lavorativa (cultura personale, miglioramento del lavoro, avanzamento di carriera, maggiore specializzazione) conferma che siamo di fronte ad una situazione diversa, caratteristica di persone in età più alta, non di rado con impegni familiari e con alle spalle vissuti lavorativi più o meno lunghi, dei quali, peraltro, non si è parlato nel corso delle interviste. La prosecuzione degli studi dopo il diploma, considerata nel complesso degli intervistati, riguarda in totale 115 giovani, e sembra far emergere un quadro positivo, sia in termini di avanzamento, sia in termini di soddisfazione e realizzazione. La scheda che abbiamo adottato nell’intervista telefonica era necessariamente sintetica, e quindi le informazioni vanno valutate con attenzione. Pur prendendo atto che ben 109 studenti si dichiarano complessivamente soddisfatti, che 65 si dichiarano in pari con gli esami e 98 si considerano realizzati, dobbiamo guardare più da vicino che cosa ciò possa significare. Innanzitutto, se osserviamo la dinamica nel tempo, rileviamo che il numero dei diplomati che continua a studiare si assottiglia nel tempo; in altri termini, il numero dei diplomati che prosegue negli studi diminuisce col passare degli anni. Quelli che si sono diplomati nel 1996 sono in numero proporzionalmente inferiore a quelli diplomatisi nel 1997, inferiori proporzionalmente, a loro volta, a quelli che si sono iscritti all’università nel 1998, subito dopo l’acquisizione del diploma. Possiamo quindi dire che una buona parte di questi giovani abbandona entro breve gli studi universitari, cosa che non può sorprendere, considerando il fatto che tutte le ricerche condotte nel tempo danno un 20%, su scala nazionale, di giovani che abbandonano gli studi universitari entro il primo anno, spesso senza aver sostenuto neppure un esame (si tratta, com’è noto, dei cosiddetti “studenti benefattori”, in quanto pagano inizialmente le tasse senza ricevere nulla in cambio). La situazione è aggravata dal fatto che tutte le ricerche sui laureati mostrano una bassa probabilità dei giovani provenienti dalle scuole professionali di giungere alla conclusione degli studi universitari, tanto che la provenienza dai licei, il voto di maturità, insieme alla scelta precoce di un particolare percorso universitario hanno costituito fino ad oggi, come si diceva, alcuni fra i principali indicatori utilizzati per predire il successo negli studi universitari. Naturalmente, abbandonare gli studi può significare molte cose, prima tra le quali aver trovato un lavoro soddisfacente e in linea con gli studi fatti; può anche voler dire semplicemente che ci si era iscritti per rinviare il servizio militare o che ci si era iscritti in attesa di cogliere qualche altra opportunità, oppure che si abbandona per un anno o due e poi, magari, si riprendono gli studi. Insomma, questa situazione va letta con molta attenzione, consapevoli della molteplicità delle scelte che ogni soggetto può compiere secondo una sua
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“razionalità”. Resta il fatto che i drop-out universitari colpiscono fortemente questi gruppi di giovani, con un dispendio di risorse umane ed economiche di rilievo. Le trasformazioni che si annunciano negli studi universitari e i nuovi strumenti di gestione del mercato del lavoro e delle esperienze di formazione aprono per queste scuole delle prospettive da assumere con grandissima attenzione. Tornando alla prosecuzione degli studi, se le scuole decideranno, come noi ci auguriamo, di proseguire nel lavoro avviato, si dovrà porre attenzione alla dinamica degli abbandoni universitari. Nella nostra intervista telefonica ci siamo limitati a registrare la situazione al momento dell’intervista (studio, lavoro/studio, lavoro, disoccupazione, ricerca di lavoro); inoltre, l’informazione sulla dinamica degli studi successivi al diploma è assai più facile e produttiva se è la scuola stessa, che conosce i suoi studenti, a rilevare la situazione e la sua evoluzione. Infine, le nostre interviste telefoniche sono uno spaccato in un momento preciso, mentre il lavoro delle scuole avverrebbe nel tempo, anno dopo anno, con un effetto longitudinale e cumulativo che rende assai più produttive le informazioni raccolte. Infine, le interviste telefoniche sono state fatte sugli ultimi tre anni (in toto per l’Elsa Morante e in misura minore per le altre due scuole), mentre in futuro le scuole potrebbero utilizzare strumenti diversi nel tempo (ad esempio un’intervista mirata a certi gruppi di studenti o la richiesta di informazioni differenziata nel tempo, o la raccolta di biografie o qualunque altro accorgimento che renda le informazioni finalizzate ed efficaci); la rilevazione delle preiscrizioni, il legame col sistema informativo dell’università e la verifica, anche campionaria, ma diretta con le persone, andrebbero a costituire un flusso importante di informazioni, che si rivelerebbero certamente utili anche nel rapporto con i nuovi Centri per l’impiego che stanno per sostituire i vecchi Uffici di collocamento. Tornando ai nostri diplomati che si sono iscritti all’università, bisogna osservare che la regolarità negli studi assume un valore diverso col passaggio da un anno a quello successivo; assume, cioè, una valenza positiva nel tempo. Questa osservazione suggerisce che si debba porre particolare attenzione agli anni successivi. Poiché le interviste sono state realizzate nell’ultima settimana di maggio e nella prima di giugno di quest’anno, la “regolarità” degli studenti iscritti al primo anno può essere facilmente sostenuta, essendo la prima sessione di esami ancora da iniziare o, tutt’al più, essendovi stata un’unica sessione semestrale a febbraio. Si può dunque pensare che il giudizio positivo dei giovani sia influenzato da quel grosso gruppo che risulta iscritto al primo anno. E infatti, se si guarda l’andamento nel tempo, si osserva il progressivo assottigliarsi di coloro che rimangono iscritti all’università. Avendo a mente queste considerazioni, possiamo ora passare all’analisi della situazione separatamente per ciascuna delle tre scuole; questa operazione è necessaria per la differenza che caratterizza i percorsi di studio e di lavoro dopo il diploma. Infatti, l’IPIA si caratterizza come scuola prevalentemente maschile, l’unica, tra le tre considerate, con una cospicua quota di maschi che non lavorano, ma stanno svolgendo o sono in procinto di svolgere il servizio militare o civile (anche questo cambierà in futuro!). Sono, complessivamente, studenti con voti medio-bassi e di età di poco superiore alla media alla conclusione degli studi superiori. La situazione del servizio militare o civile può essere letta in diversi modi: un servizio da svolgere prima di cercare lavoro, rimuovendo così un ostacolo all’ingresso o al mantenimento di un lavoro; scelta conseguente a tentativi di inserimento nel lavoro o ad una prima esperienza di disoccupazione; scelta programmata in presenza di una possibilità concreta di lavoro, e dunque già inserita in un preciso disegno temporale. Nel corso delle interviste non sono mancate situazioni in cui il giovane raccontava delle telefonate ricevute con la specifica richiesta relativa agli obblighi militari e l’invito a richiamare l’azienda non appena concluso il servizio militare stesso.
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I diplomati dei Corsi Serali Comunali sono un gruppo con età decisamente superiore alla media, com’era atteso, e sono prevalentemente dei lavoratori o lavoratori-studenti. L’Istituto Tecnico per i Servizi Sociali “E. Morante” si caratterizza invece per una decisa prevalenza femminile, facile da comprendere ove si pensi alla tradizione da cui questa scuola proviene. Si tratta di ragazze che si diplomano in tempi normali, con voti complessivamente mediamente più alti rispetto alle altre due scuole, e che successivamente lavorano in maniera precaria oppure, spesso, sono disoccupate. In questa vicenda può essere rintracciata una questione di genere, nel senso che, al di là della situazione del mercato del lavoro e delle competenze che più facilmente o più difficilmente sono in esso collocabili, essere donna comporta delle difficoltà aggiuntive: di certo, le diplomate dell’Elsa Morante costituiscono una quota debole del mercato del lavoro. Come vedremo subito dopo, le scelte delle diplomate dell’Elsa Morante si sono concentrate in due corsi di laurea, quello di Psicologia e di Scienze dell’educazione. Non abbiamo indicazioni relative ad eventuali insuccessi nell’ammissione a questi ultimi corsi di diploma, ma possiamo pensare all’affluenza a Psicologia e a Scienze dell’educazione anche come esito dell’assenza di numero chiuso (da un paio d’anni anche a Psicologia), per cui si prospetta la necessità di verificare gli esiti, cosa che la scuola potrà fare in futuro. Se infatti, ad una massiccia iscrizione iniziale facesse riscontro un altrettanto massiccio abbandono, mentre invece la quota più ristretta che accede ai diplomi specifici (servizio sociale e area socio-sanitaria in genere) presentasse tassi di successo molto più alti, allora non potremmo non concludere che l’iscrizione ai due corsi di laurea a numero aperto contiene delle scelte da verificare. Nello stesso tempo occorrerebbe verificare, cosa che le scuole conoscono benissimo, se la modifica di ordinamenti universitari introduca degli elementi di ostacolo all’accesso a questo o a quel corso di diploma. Questa situazione pone dunque delle domande tanto alla scuola quanto all’università. Alle scuole richiede di verificare gli esiti nel tempo e alle facoltà richiede di interrogarsi su che cosa comporti la presenza di un numero elevato di studenti che entrano in una condizione di forte incertezza personale, e quanto questo debba influire sul lavoro didattico e di ricerca. Sappiamo bene, per essercene occupati in altre sedi, che il percorso successivo è micidiale. Per citare solo due dati, ricorderemo che fra i cento studenti di Scienze dell’educazione che presentavano, nel 1996, il più alto grado di regolarità alla fine del quarto anno di Scienze dell’Educazione, rilevato per gli iscritti nell’anno accademico 1992-93, i licei rappresentavano la metà degli iscritti (contro il 23% del momento dell’iscrizione), a fianco del tradizionale diploma magistrale che copriva quasi per intero l’altra metà. In altre parole, fra gli studenti con più alta regolarità, quelli provenienti dai professionali erano quasi assenti. Il secondo dato si riferisce agli studenti di Psicologia del quarto anno nell’anno accademico 1995-96, quelli in regola con gli sbarramenti (anche se non in pari con gli esami): fra i 65 che avevano questo grado elevato di regolarità, la metà provenivano dai licei scientifici ed avevano avuto alla maturità un voto compreso tra 53 e 60. Scuola e università dovrebbero lavorare su questi problemi, certamente non illudendosi di risolverli agevolmente, dal momento che decisioni importanti non sono in loro potere, ma almeno per tentare di arginare quel disagio e quelle difficoltà di cui questi studenti sono portatori, e non limitandosi semplicemente ad essere strumenti di una selezione che, purtroppo, ha molti aspetti di cecità e di iniquità sociale. Questa situazione pone delle domande anche alle istituzioni locali, mano a mano che le competenze in materia di formazione e di mercato del lavoro si fanno più consistenti. Fra i nostri diplomati, nel complesso, proseguono gli studi (studenti e studenti lavoratori o lavoratori studenti) coloro che hanno ottenuto alti voti alla maturità (tra 48 e 60), indipendentemente dalla scuola di provenienza; vivono questa esperienza in modo positivo, con
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una certa insoddisfazione per i rapporti con i docenti universitari e per le prospettive di lavoro, insoddisfazione che è più marcata negli studenti con i voti di maturità più alti, fatto, quest’ultimo, che viene qui segnalato senza alcuna pretesa di generalizzazione, essendo pochi gli studenti universitari in complesso e ancora meno quelli con voti tra 56 e 60. Ma vediamo più da vicino la situazione scuola per scuola, dopo aver dato uno sguardo alla tabella riassuntiva che si riferisce alla situazione dichiarata al momento dell’intervista e ricordando che le interviste effettuate sono state 502 su un totale di 641 diplomati presi in considerazione all’inizio del lavoro. Le risposte valide a questa domanda sono state 509, come appare nella tabella che presenta i dati generali e, al solito, quelli disaggregati per scuola (si ricordi che alcune informazioni venivano date da persone della famiglia in assenza dell’interessato).
3.4. Studio, lavoro, disoccupazione Tab. n. 3.6. Situazione attuale dichiarata dai diplomati intervistati (base: 509). ATTIVITÀ
MORANTE V.A. %
IPIA V.A. %
SERALI V.A. %
TOT
STUDENTE STUDENTE LAVORATORE LAVORATORE STUDENTE LAVORATORE DISOCCUPATO SERVIZIO MILITARE O CIVILE TOTALE
47 20 6 205 37
15.0 6.4 1.6 65.3 11.8
26 5
21.8 4.2
315
100.0
63 7 18 119
52.9 5.9 5.1 100.0
2 4 4 60 3 3 75
75 14.8 29 5.7 10 1.8 328 64.6 47 9.3 20 3.9 509 100.0
2.7 5.3 5.3 80.0 4.0 4.0 100.0
%
3.4.1. Istituto Tecnico per i Servizi Sociali “E. Morante”. Come è stato detto, per l’“E. Morante” si sono presi in considerazione tutte le diplomate negli anni 1996, 1997 e 1998 che sono state, lo ricordiamo, 111 nel 1996, 153 nel 1997 e 122 nel 1998, per un totale di 386. Alla domanda che cosa fai oggi, 47 diplomate dell’Elsa Morante hanno risposto che studiano: soltanto 7 si sono diplomate nel 1996, mentre 17 hanno conseguito il diploma nel 1997 e 23 nel 1998, evidenziando quel fenomeno di assottigliamento che rivela l’abbandono universitario e condiziona la risposta circa l’essere o meno in regola con gli studi. Tra queste diplomate iscritte all’università o comunque ad un corso di studi post secondario, 7 hanno ottenuto alla maturità una votazione tra 36 e 41, 13 tra 42 e 47, 12 tra 48 e 53, 15 tra 54 e 60; come si vede, un terzo esatto ha ottenuto voti molto alti. Oltre le 47 ragazze che studiano, c’è un altro gruppo impegnato sia nello studio che nel lavoro; si tratta di studentesse che lavorano e che si sono prevalentemente diplomate nel 1996 (3 contro le 5 del 1997 e le 8 del 1998). In questo gruppo è ancora più evidente la quota dei voti alti alla maturità: 10 su 26 hanno infatti ottenuto una votazione che sta tra 54 e 60. Lavorano in mansioni impiegatizie, commerciali, educative e assistenziali. Il grosso delle diplomate, ben 205, lavorano, con una punta fra le diplomate del 1997. I risultati della maturità si collocano ad un livello medio-basso, considerando che oltre il 63% ha ottenuto un voto fra 36 e 47, e solo il
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13% (25) ha ottenuto un voto tra 54 e 60. Analizzando il lavoro di queste diplomate emergono le qualifiche operaie non qualificate, le mansioni esecutive nel commercio e nei servizi alle persone. Il quadro generale di queste attività sarà riportato più avanti utilizzando la classificazione ISTAT. Il livello di soddisfazione si abbassa rispetto ai gruppi precedenti e solo in un terzo si sente realizzato nel lavoro. Le ragazze che si sono dichiarate disoccupate al momento dell’intervista sono risultate 37 di cui 6 fra le diplomate del 1996, 15 fra quelle del 1997 e 16 fra quelle del 1998.
3.4.2. Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “L. Da Vinci”. Nel richiamare i dati relativi ai diplomati dell’IPIA, va tenuto presente che in questa scuola, in accordo con gli insegnanti, si è deciso di intervistare la metà dei diplomati dei rispettivi anni, e ciò perché sapevamo già, all’inizio dell’indagine, che questa scuola presentava problemi minori e diversi. Inoltre, abbiamo notizia di insegnanti che già avevano avviato un lavoro di questo tipo, il che fa pensare ad una maggiore facilità di impostazione di una ricerca longitudinale sugli esiti degli studenti di questa scuola verso l’università, il lavoro, altre esperienze formative. Di queste esperienze si dovrà tener conto molto attentamente nell’impostare la prosecuzione del lavoro. Dei 153 diplomati nei tre anni, 34 non hanno risposto alle interviste, per cui le risposte si riferiscono a 119 giovani. Fra questi troviamo il gruppo degli studenti, in numero di 26, anche qui ripartiti secondo la stessa logica: 9 fra i diplomati del 1996, 7 fra quelli del 1997 e 10 fra quelli del 1998. Il voto di maturità, in questi studenti, presenta una maggioranza di voti medio-alti (7 studenti con voti tra 48 e 53 e ben 9 studenti con voti tra 54 e 60), con un elevato livello di soddisfazione per gli studi e con una maggioranza non in regola con gli esami (15). Gli studenti lavoratori sono soltanto 5, di cui 4 diplomati nel 1996; il loro voto di maturità si colloca in 3 casi nella fascia intermedia (3 fra 48 e 53), presentano un livello di soddisfazione più basso e in tre casi non sono in regola con gli esami. Svolgono tutti lavori diversi, il che fa pensare ad un lavoro da studenti, non necessariamente legato alla propria formazione, dichiarandosi soddisfatti del loro lavoro (4 su 5). Il gruppo più grosso, tra i diplomati dell’IPIA, è quello dei lavoratori, in numero di 63, 24 dei quali appartenenti alla leva 1996, 21 a quella del 1997 e 18 a quella del 1998. I voti di maturità di questi ragazzi sono stati bassi: un terzo ha avuto un voto tra 36 e 41, quasi la metà tra 42 e 47, 9 tra 48 e 53 e solo 6 tra 54 e 60. Dal punto di vista del lavoro, il gruppo più grosso è quello degli operai, con 25 casi, pari al 40%, seguiti dai tecnici con 17 casi, pari al 27.4%. Se prendiamo il gruppo operaio nelle sue diverse accezioni - operaio (25), operaio non qualificato (4), operaio specializzato (6) e apprendista (1) -, questo gruppo comprende la metà di tutti quelli che lavorano (36). Non mancano le attività nei servizi commerciali (5) e i lavori esecutivi (1). Questa situazione contribuisce a spiegare come, accanto ad un livello di soddisfazione abbastanza ampio (62%), troviamo un basso senso di realizzazione nel lavoro (49%). Fra coloro che non lavorano troviamo 25 giovani, 18 dei quali sono impegnati nel servizio militare o civile e 7 risultano disoccupati in senso stretto. Fra questi, nessuno ha ottenuto un voto di maturità compreso tra 54 e 60, con una forte prevalenza dei voti tra 36 e 41 (16), per quanto anche da parte di questi ragazzi si manifesti una soddisfazione elevatissima (100%) per gli studi fatti con, però, un senso di realizzazione dimezzato (50%). Sembra ritornare quel meccanismo per cui la soddisfazione del lavoro è affidata più alla dimensione
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relazionale che alle caratteristiche del lavoro stesso. Nella ricerca del lavoro, che sta dentro un periodo di disoccupazione variegato, con un solo caso oltre l’anno, prevale quella per un’attività che sia corrispondente agli studi fatti. Proprio certi elevati livelli di soddisfazione sollevano molti problemi di interpretazione delle risposte.
3.4.3. Corsi Serali Comunali. Introducendo qualche informazione analoga sui diplomati dei Corsi Serali Comunali, è necessario innanzitutto dire che in questo caso abbiamo preso i diplomati degli ultimi due anni, e ciò su indicazione della scuola, in ragione di trasformazioni che vi sono state. Nei due anni considerati, i diplomati sono stati in complesso 102, di cui 47 nel 1997 e 55 nel 1998, divisi a metà tra maschi e femmine. Di 86 di questi diplomati conosciamo il voto di maturità, con solo 3 casi di votazione tra 54 e 60 e una buona maggioranza (47, pari al 55%) fra 36 e 41). Con 27 di questi diplomati non è stato possibile realizzare l’intervista. Dei restanti 79, solo 2 hanno proseguito gli studi dopo il diploma conseguito nel 1998, il che spiega che si dichiarino in regola con gli esami, sulla base del ragionamento fatto poc’anzi. Coloro che lavorano e studiano sono 8, iscritti nel 1997 (3) e nel 1998 (5), con una prevalenza del voto di maturità basso (5 tra 36 e 41); sono soddisfatti dei loro studi, fanno lavori nel campo commerciale, educativo e delle mansioni esecutive, ricavandone più soddisfazione che senso di realizzazione. Com’era lecito attendersi, la grande maggioranza lavora, in quanto si tratta di corsi serali. Questi 60 diplomati hanno conseguito il diploma nel 1997 (28) e nel 1998 (32), ottenendo votazioni basse (32 fra 36 e 41), con mansioni lavorative per un terzo legate al lavoro operaio e per un quinto al lavoro nel commercio. La soddisfazione per il lavoro appare nella maggioranza delle persone, mentre il senso di realizzazione nel lavoro non raggiunge la metà. Dei cinque disoccupati che appaiono in questo gruppo, due lo sono da più di un anno. Dopo questo quadro delle tre scuole interessate alla rilevazione, possiamo passare ad esaminare più da vicino il lavoro svolto e gli studi seguiti. Non è sempre facile classificare con precisione le risposte, soprattutto quelle attinenti il lavoro: abbiamo cercato di adottare una modalità di presentazione che parte dal quadro generale per fornire poi qualche dettaglio per le singole scuole. Cominciamo dunque la nostra analisi dagli studi intrapresi dopo il diploma. Ci sono vari aspetti da considerare. Innanzitutto, la tabella presenta tipi di studio diversi, e non solo quelli universitari. Nella riorganizzazione dei dati abbiamo posto provvisoriamente quelli non universitari sotto la categoria altro. Non sappiamo nulla della eventuale corrispondenza tra le scelte effettuate dalle quinte lo scorso anno (il primo dell’applicazione della preiscrizione all’università) e quelle risultanti dalle interviste; non si tratta soltanto della corrispondenza tra eventuali previsioni di corsi di laurea o di diploma e le effettive iscrizioni, ma anche della scelta studio/lavoro. Se le scuole procederanno nel lavoro, avranno anche questo elemento, non trascurabile, in quanto indica l’eventuale precocità della scelta di proseguire gli studi, e se sì, in quale direzione. La prosecuzione del lavoro sarà di grande aiuto nel momento della transizione al nuovo sistema degli studi universitari (laurea triennale, dottorato, specializzazione), perché permetterà di seguire le vicende post-diploma fino dall’inizio. Allo stesso modo, non sappiamo nulla delle attività di orientamento svolte; a guardare certe iscrizioni sembrerebbe assai limitata. Sappiamo, peraltro, che esiste una buona probabilità che gli studenti, soprat-
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tutto nei licei, seguano le indicazioni che vengono segnalate al momento della valutazione finale in occasione del diploma. Tab. n. 3.7. Studi intrapresi e frequentati dopo il diploma (base: 118) STUDI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE PSICOLOGIA ODONTOIATRIA D.U. INFERMIERI MEDICINA LETTERE E FILOSOFIA D.U. FISIOTERAPIA GIURISPRUDENZA LINGUE E LETT. STRANIERE FARMACIA INGEGNERIA SCIENZE POLITICHE ISEF CHIMICA SC. BIOLOGICHE SCIENZE NATURALI IGIENISTA DENTALE D.U FARMACEUTICO INFORMATICA REL. INDUSTRIALI STORIA DELL’ARTE ALTRO TOTALE
MORANTE V.A. % 26 14
35.1 18.9
7 2 3 3 2 3 1
9.5 2.7 4.1 4.1 2.7 4.1 1.4
1
1.4
1 11 74
1.4 14.8 100.0
IPIA V.A.
%
1 1 7
3.1 3.1 21.9
3
9.4
1 2
3.1 6.3
2 3 1 1 2 1 1 1 1 1
6.3 9.4 3.1 3.1 6.3 3.1 3.1 3.1 3.1 3.1
4 32
12.5 100.0
CORSI SERALI V.A. % 4
33.3
2
16.7
1
8.3
1
8.3
1
8.3
4 12
12.5 100.0
TOTALE V.A.% % 30 15 7 7 5 5 4 4 4 3 3 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 19 118
25.4 12.7 5.9 5.9 4.2 4.2 3.4 3.4 3.4 2.5 2.5 1.7 1.7 1.7 0.8 0.8 0-8 0.8 0.8 0.8 0.8 0.8 100.0
stata tentata. Eppure una parte di questi ragazzi andrà a lavorare nello stesso tipo di organizzazione, sia pure con posizioni e ruoli diversi. Possiamo ora prendere in considerazione il lavoro: si tratta di un insieme di informazioni difficile da padroneggiare, a causa della loro multiformità, a conferma di quanto quotidianamente si legge e si discute a proposito del lavoro dei giovani, del loro realismo, della loro capacità di adattamento. Dei nostri 502 intervistati, 355 hanno dichiarato di lavorare, ed hanno fornito anche indicazioni sui lavori che hanno fatto nel periodo che è seguito al diploma. Il primo elemento da prendere in considerazione riguarda il momento in cui il diplomato ha iniziato a lavorare: è un dato importante perché non solo rivela la dimensione temporale della disoccupazione, ma pone il problema della relazione tra scuola frequentata e disoccupazione. Il fatto che la maggioranza dei diplomati dell’IPIA abbia trovato subito lavoro è facilmente comprensibile, anche in considerazione delle precoci esperienze lavorative che caratterizzano questi giovani. Il dato più preoccupante è quello dell’esperienza della disoccupazione che interessa oltre la metà delle diplomate dell’Elsa Morante. Si tratta di 120 ragazze che sono state disoccupate per poco più della la metà sei mesi, per un terzo un anno e, in 15 casi, due anni o più. Essere ragazze costituisce una difficoltà, per cui la disoccupazione femminile deve costituire un riferimento importante per ogni politica del lavoro. Certamente influisce la particolare situazione della scuola in questione, ma un lavoro di ampio respiro mostrerebbe che il fenomeno è generalizzato, aggravato dal fatto che le donne mostrano, mediamente, un processo di scolarizzazione più regolare e con risultati migliori. Come si è visto nella tabella 3.7., l’Elsa Morante presenta contemporaneamente un tasso di passaggio all’università più basso rispetto all’IPIA (23% contro il 26%), il che aggrava la situazione tra chi ha maggiori probabilità di lavoro e allo stesso tempo presenta un livello più alto di prosecuzione degli studi. Si veda la tabella seguente, relativa al momento in cui i giovani hanno trovato lavoro.
Tab. 3.8. Quando il diplomato ha trovato lavoro (base: 350). QUANDO HA TROVATO LAVORO
La scuola è in grado di verificare (e informalmente lo sa anche se non fa verifiche organizzate) se le indicazioni date al momento della maturità vengono seguite o meno. Del resto è nota l’influenza delle indicazioni nel corso degli studi. Indagini condotte sul successo negli studi secondari superiori mettendo a confronto l’indicazione della scuola media con le scelte effettivamente fatte da studenti e famiglie, hanno mostrato un tasso elevato di insuccesso a fronte di scelte difformi da quelle indicate dalla scuola media di provenienza. Difficile dire se e in che misura questo fenomeno si ripeta nella scuola superiore al momento del passaggio all’università. Sarebbe anche interessante, cosa che a noi è sconosciuta ma non agli insegnanti, sapere se qualche docente ha inserito nel suo lavoro didattico qualche elemento specifico di informazione su qualcuno dei percorsi formativi dopo il diploma, o se vi siano stati, nella scuola, casi emblematici di scelte di studio particolarmente influenzate dalla personalità e dal lavoro di alcuni docenti. Non è sconosciuto il fatto che parti rilevanti di una classe scelgano quegli studi nei quali hanno avuto da un insegnante con particolare autorevolezza, delle informazioni o un contatto particolarmente significativo. Un’ultima annotazione potrebbe riguardare la rilevanza dell’area sanitaria in scuole così diverse come l’IPIA e l’Elsa Morante; difficile pensare che una qualche integrazione sia
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MORANTE V.A. % HA TROVATO SUBITO LAVORO 109 47.4 È STATO DISOCCUPATO 120 52.2 AVEVA INIZIATO PRIMA DEL DIPLOMA 1 0.4 TOTALE 230 100.0
IPIA V.A. % 51 63.8 29 36.2 80
100.0
SERALI V.A. % 23 57.5 9 22.5 8 20.0 40 100.0
TOTALE V.A % 184 52.5 158 45.0 9 2.5 350 100.0
Ricordiamo che i diplomati intervistati si riferiscono a tre anni (1996, ‘97 e ‘98) per l’E. Morante (il 100% dei diplomati) e l’IPIA (il 50% dei diplomati) e a soli due anni per i Corsi serali (il 50% dei diplomati); sottolineiamo anche il fatto che gli studenti dei corsi serali andrebbero analizzati a parte, dal momento che il lavoro è strutturalmente legato allo studio e che esiste spesso un legame tra corsi serali e sviluppo di un percorso lavorativo in maniera assai più forte che non negli studenti più giovani, sia quando è motivato da una ripresa degli studi dopo una fase di interruzione o, se vogliamo usare il termine corrente, di “dispersione”, sia quando nasce da una precisa strategia di acquisizione di credenziali per il miglioramento della condizione lavorativa, sia, infine, quanto è motivato prevalentemente sul piano della crescita professionale (si tratta quasi sempre di una sintesi personale di que-
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sti elementi). Osservando la situazione più in dettaglio, procederemo alla classificazione dei lavori dichiarati dai diplomati seguendo i grandi gruppi ISTAT, e riporteremo poi una loro descrizione analitica. Scopo di questa operazione è mostrare dove i lavori si concentrano, scontando, com’è inevitabile, la rigidità di tale classificazione, sia a fronte dell’evolversi di certe attività, sia rispetto ad una molteplicità di mansioni che caratterizzano i lavori, tanto per la giovane età dei lavoratori, quanto per l’evoluzione dei lavori stessi. Tuttavia, come si potrà osservare, sono rari i casi di lavori che inquadrino elementi evidenti di innovazione. Sembra quasi che le attività di questi giovani si collochino, nella quasi totalità, nei lavori tradizionali. Al termine dell’analisi del lavoro (anche in termini di relazioni sociali, di soddisfazione e di progetti), si delineeranno due fra i possibili orientamenti di politica sociale del lavoro giovanile: il primo rimanda alla realtà del lavoro nero, che emergerà sia nelle dichiarazioni dei ragazzi che nelle motivazioni dei cambiamenti di lavoro; il secondo riflette sulla possibilità di far emergere lo stesso lavoro nero valutando le esperienze (quelle almeno che lo consentono in una linea di sviluppo professionale, scientifico e culturale) come momento formativo e, come tale, ufficializzabile nel percorso di crescita e di qualificazione personale, trasformandolo, dunque, attraverso la costruzione di nuove relazioni con i soggetti economici che a questo tipo di lavoro ricorrono. Per il momento, vediamo l’insieme dei lavori dichiarati e da quanto tempo questi giovani li svolgono.
Tab. n. 3.9. Quadro sintetico dei lavori dichiarati al momento dell’intervista, classificati secondo i grandi gruppi ISTAT 1991 (base: 355). LAVORI SECONDO LA CLASSIFICAZIONE ISTAT V.A. 1. Legislatori, dirigenti e imprenditori 2. Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione 2 3. Professioni intermedie (tecnici) 38 4. Professioni esecutive relative all’amministrazione e alla gestione 50 5. Professioni relative alle vendite ed ai servizi per le famiglie 172 6. Artigiani, operai specializzati ed agricoltori 31 7. Conduttori di impianti, operatori di macchinari fissi e mobili e operai di montaggio industriale 22 8. Personale non qualificato 25 9. Forze armate 1 10. Altri non classificabili e apprendisti 14 TOTALE 355
% 0.6 10.7 14.1 48.5 8.7 6.2 7.0 0.3 3.9 100.0
Come si vede, il grande gruppo 5 si avvicina al 50% dei lavori dichiarati e riflette la prevalenza delle diplomate dell’Elsa Morante. Qualcuno, indicando il lavoro svolto, ha dichiarato di essere apprendista, ma non è chiaro se si tratti di un effettivo contratto di apprendistato. La registrazione del lavoro svolto è stata fatta, in qualche caso, senza approfondire meglio di che lavoro si trattasse: il recupero dei giornali alluvionati alla Biblioteca Nazionale è un lavoro difficile da classificare, potendo essere altamente qualificato o puramente esecutivo. Lo stesso si può dire per qualche altra dichiarazione (due per tutte: faccio un po’ di tutto; al mattino per tribunali e il pomeriggio assistenza clienti…) Si tratta comunque di un numero ristretto di casi che non influenzano il nostro ragionamento.
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Lo stesso discorso vale per il lavoro nero, che ha certamente una dimensione rilevante. Infine, la dichiarazione del lavoro che si svolge, raccolta mediante un’intervista telefonica condotta da estranei non è certo il modo migliore per capire l’itinerario che la persona può aver compiuto; diversa sarebbe la situazione se la scuola stessa facesse, in maniera più o meno ampia, questo lavoro, potendo avvalersi di riscontri di cui nessun rilevatore esterno potrà mai disporre, primo fra tutti il curriculum dello studente e la conoscenza del retroterra familiare e sociale. Forse una partita importante si apre su questo punto, nel senso che le politiche del lavoro richiedono non solo che la scuola se ne occupi come futuro di chi oggi studia, ma anche come esperienza successiva a quella scolastica. D’altra parte, l’avvicinamento della scuola al lavoro e viceversa richiederà una conoscenza sempre maggiore delle modalità con cui il lavoro si inserisce, più o meno precocemente, nella vita dello studente e del diplomato (o studente universitario). Se andiamo a vedere più da vicino che cosa contenga questo gruppo di lavori, otteniamo il quadro seguente.
Tab. n. 3.10. Lavori dichiarati dai diplomati e classificabili nel grande gruppo 5 dell’ISTAT (Professioni relative alle vendite ed ai servizi per le famiglie). Area del commercio e della ristorazione: Commessa/o 41 Barista 15 Cameriere/a 12 Cuoco/a-aiuto cuoco/a 2 Addetta mensa aziendale 1 Promozione e vendita polizze assicurative 2 Area dell’educazione-istruzione: Educatrice nido 9 Animatore/trice educatore/trice 3 Educatore/trice 2 Operatore/trice del doposcuola 1 Area dell’assistenza: Assistenza anziani 9 Assistenza all’handicap 5 Assistenza alle persone 4 Ausiliaria casa di riposo 3 Assist. malati psichiatrici gravi 2 Area dei servizi a persone e famiglie Baby sitter 36 Estetista 2 Altro Vigile del fuoco 1 Totale
85 Esercente negozio videonoleggio Gestione noleggio macchine Cassiera/e Commerciante Telemarketing 19 Allestimento attività ricreative Educatore/trice all’handicap Istruttore di body building 27
(48.9%) 1 1 8 1 1 (10.9%) 2 1 1 (15.5%)
Operatrice turistica Ausiliaria centro handicappati Custode museo e guida Guida itinerari fattorie 42
1 1 1 1 (24.1%)
Parrucchiere/a Baby parking tutor
3 1 1
(0.6%)
174
(100%)
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Possiamo ora vedere anche gli altri grandi gruppi che ci interessano: il 3, quello delle professioni intermedie e i gruppi 4, 6, 7, 8, che rappresentano la fascia esecutiva, quella artigianale e operaia, quella del lavoro operaio specializzato e quella del lavoro non qualificato. Tab. n. 3.11. Lavori dichiarati dai diplomati e classificabili nei grandi gruppi dell’ISTAT n. 3, (Professioni intermedie - tecnici), n. 4, (Professioni esecutive relative all’amministrazione e alla gestione), n. 6, (Artigiani, operai specializzati ed agricoltori), n. 7, (Conduttori di impianti, operatori di macchinari fissi e mobili e operai di montaggio industriale) e n. 8, (Personale non qualificato). GRUPPO 3. (Professioni intermedie - tecnici): 34 infermiere/a 2 segretaria scuola universitaria odontotecnico 8 assistente sociale assistente studio odontoiatrico 4 tecnico di cantiere preparatore protesi dentali 2 direttore di cantiere maestra d’asilo 2 tecnico di impianti elettrici impiegato tecnico geometra 2 progettista di interni tecnico imp. elettrici, telefonici, computer 1 contabile elettricista automazioni industriali 1 disegnatore pignone elettricista programmatore 1 tecnico hardware disegnatore cadcam 1 tecnico di laboratorio GRUPPO 4. (Professioni esecutive relative l’amministrazione e alla gestione): 47 impiegato 11 custode mostra segretaria 16 misura case per il comune magazziniere 7 centro fitness prenotazioni centralinista 3 hostess congressuale segreteria e gestione contabilità 2 scrive bolle accompagnamento ragioniere/a 1 consegna certificati elettorali prende scommesse alle agenzie ippiche 1 GRUPPI 6/7. (Artigiani, operai specializzati ed agricoltori Conduttori di impianti, operatori di macchinari fissi e mobili e operai di montaggio industriale): 51 pellettiere/a 6 riparatore manutentore addetto officina 3 riparatore bancali operaio addetto alle macchine 3 impagliatura sedie conducente autobus 2 riparatore montaggio impianti elettrici 2 riparatore macchine bollatrici operaio 2 riparatore orologi riparatore installatore impianti elettrici 1 cablaggio quadri elettrici pignone riparatore apparecchiature medicali 1 lavora il cristallo assist. tecnico appar. elettromedicali 1 operaio metalmeccanico imbiancatura e ristrutturazione 1 tornitore addetto stampaggio officina 1 legatore libri operatore macchine utensili 1 saldatore manutenzione condizionatori d’aria 1 operaio orafo addetto macchina tagliatrice 1 riparazioni telecom addetto macchina a controllo numerico 1 tipografo montatore componenti elettronici 1 assistenza tecnica riello installatore centralini infostrada 1 conduttore macchine
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(9.6%) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 (13.2%) 1 1 1 1 1 1
(14.3%) 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
addetto fotocomposizione testo addetta avvolgimenti elettrici produzione accessori auto e moto GRUPPO 8. Personale non qualificato: addetto alle pulizie addetto alla produzione confezionamento alimenti pulizia-cassa-cucina (mc donald’s) operaio al mercato ortofrutticolo impacchettatore medicine addetto all’assemblaggio operaia confezionamento sciarpe addetta reparto gastronomia supermarket
1 1 1
produce schede antifurto addetto alle macchine tessili
1 1
23 4 3 2 1 1 1 1 1 1
(6.5%) 1 1 1 1 1 1 1 1
fattorino collaboratrice domestica operatrice ecologica facchinaggio confezionatore addetta alla lavanderia piega le lenzuola in ospedale confezionamento abbigliamento
Questi lavori, e gli altri richiamati nella tabella generale dei gruppi ISTAT, vengono svolti da un tempo variabile tra meno di un mese a vari anni (questo perché tra i diplomati ci sono anche quelli provenienti dai corsi serali che, spesso, continuano il lavoro che già prima facevano). Vediamo dunque il tempo contrattuale di lavoro, il tipo di contratto, l’anzianità nel lavoro e le ore medie settimanali. Queste informazioni ci permetteranno di farci un’idea un po’ più precisa della situazione. Come si vede dalla tabella, il tempo pieno è largamente prevalente, con un massimo dell’89% per i diplomati dell’IPIA e un minimo per quelli dell’Elsa Morante. Può essere utile vedere i lavori che i ragazzi hanno dichiarato secondo le scuole di provenienza: utilizzeremo, come abbiamo sin qui fatto, i grandi gruppi ISTAT per la classificazione, e quindi con quelle incertezze che inevitabilmente ci sono in questi casi, quando si raccoglie una descrizione da una persona e la si classifica successivamente. Un giovane che enfatizza il suo lavoro o che tende a sminuirne i contenuti professionali, può dare origine ad una classificazione diversa. Se le scuole decideranno di proseguire in questo lavoro di verifica delle attività svolte, non sarà difficile mettere a punto dei meccanismi che ci restituiscano con maggiore precisione gli elementi di classificazione. Possiamo iniziare questo approfondimento dall’IPIA, richiamando, come abbiamo visto, i ben sette indirizzi presenti, che vanno dall’odontotecnica all’elettromeccanica alle telecomunicazioni. Si veda il prospetto.
Tab. n. 3.12. IPIA: lavori dei diplomati secondo la classificazione ISTAT. GRANDI GRUPPI ISTAT ODO 2. PROFESSIONI INTELLETTUALI 1 3. TECNICI 12 4.1. IMPIEGATI 1 4.2. IMPIEGATI ESECUTIVI 1 5.1. PROFESSIONI COMMERCIALI 3 5.2. PROFESSIONI NELLE ATTIVITÀ TURISTICHE E ALBERGHIERE 1 6. OPERAI 4 7. OPERAI SPECIALIZZATI 1
TDIE
TIC
TIEE
TIG
TIM TOME
1 3
tot. 1 14 1 2 10
2 3
1 26 6
2
1
4
1
3
11 1
2 1
2
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8. PERSONALE NON QUALIFICATO 1 1 2 4 ALTRI 2 1 3 TOTALE 27 4 3 15 11 6 2 68 Emerge subito l’area del lavoro operaio, più o meno specializzato. Leggendo le descrizioni che i ragazzi ci hanno dato, vi sono certamente delle attività che si possono già classificare con sicurezza, mentre altre andrebbero analizzate più da vicino. Inoltre, bisognerebbe conoscere meglio questi giovani e sapere se il lavoro operaio che hanno dichiarato si svolge in un ambiente che ne permetta lo sviluppo o se invece non possa che costituire una prima esperienza o se, infine, questi lavoratori abbiano già davanti a sé una precisa possibilità di “carriera”, magari secondo un modello che è già presente in famiglia o nelle loro reti di relazioni quotidiane. La diversità degli indirizzi emerge chiaramente se paragoniamo il lavoro dei ragazzi dell’IPIA con quello delle ragazze dell’Elsa Morante, come si vede dalla tabella.
Tab. n. 3.13. IPSS E. Morante: lavori dei diplomati secondo la classificazione ISTAT. GRANDI GRUPPI ISTAT 2.PROFESSIONI INTELLETTUALI 3.2. PROFESSIONI INTERMEDIE NELLE SCIENZE DELLA VITA 3.3. PROFESSIONI INTERMEDIE DI UFFICIO 4.1. IMPIEGATI 4.2. IMPIEGATI ESECUTIVI 5.1. PROFESSIONI COMMERCIALI 5.2. PROFESSIONI NELLE ATTIVITÀ TURISTICHE E ALBERGHIERE 5.3 PROFESSIONI NEI SERVIZI DI ISTRUZIONE 5.4 PROFESSIONI NEI SERVIZI SANITARI CON PARTICOLARI SPECIALIZZAZIONI 6. OPERAI 7. OPERAI SPECIALIZZATI 8. PERSONALE NON QUALIFICATO ALTRI TOTALE
ACI 1 6 3 10 4 33 8 10 25 5 1 12 4 122
OT
TSS 1
9 4 13
3 3 19
2 4 2
13 13 2 2 3 2 61
2 3 39
tot. 1 7 3 22 11 65 8 25 42 9 3 17 9 222
Bisogna ricordare che i tre indirizzi da cui provengono i diplomati intervistati aprono a lavori diversi, e questo si può osservare nella ripartizione delle attività. L’area impiegatizia e quella dei servizi alle persone è la più estesa. La lettura analitica dei lavori riportata nelle tabelle 3.10. e 3.11. ha messo in evidenza come, al di là della classificazione, si nasconda molta precarietà, in parte dovuta a vincoli esterni, di opportunità di lavoro e di condizioni subite, in parte a scelte soggettive, una distinzione che si intuisce, ma sulla quale poco possiamo dire partendo dai dati raccolti. Se passiamo ai diplomati dei Corsi Serali Comunali, emerge un quadro altrettanto articolato. Si veda la tabella n. 3.14.
Tab. n. 3.14. Corsi Serali Comunali: lavori dei diplomati secondo la classificazione ISTAT. GRANDI GRUPPI ISTAT
2. PROFESSIONI INTELLETTUALI 3.1. PROFESSIONI INTERMEDIE IN SCIENZE FISICHE, NATURALI
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ACI
2
DIRIGENTI
2
GEOMETRI LINGUISTICO RAGIONIERI
TOT.
1
2
1
4
3.2. PROFESSIONI INTERMEDIE NELLE SCIENZE DELLA VITA 3.3. PROFESSIONI INTERMEDIE DI UFFICIO 4.1. IMPIEGATI 4.2. IMPIEGATI ESECUTIVI 5.1. PROFESSIONI COMMERCIALI 5.3. PROFESSIONI NEI SERVIZI DI ISTRUZIONE 5.4. PROFESSIONI NEI SERVIZI SANITARI CON PARTICOLARI SPECIALIZZAZIONI 6. OPERAI 7. OPERAI SPECIALIZZATI 8. PERSONALE NON QUALIFICATO 9. FORZE ARMATE ALTRI TOTALE
6
1 6
1 3
1 1
2 1 1
2
1 3 1
5 1
1
2 4
1 6 3 3 1
2 1 1
2
10
1 20
1 15
9
1 18
7 7 7 8 14 3 1 10 2 4 1 2 72
Nella tabella è possibile vedere le quote di lavoratori che sono inseriti nel lavoro secondo le loro competenze, ma la dispersione è ampia, anche se si concentra prevalentemente in due aree, quella operaia e quella impiegatizia. Per concludere questi riferimenti alla collocazione dei diplomati delle tre scuole, si deve sottolineare ancora una volta l’importanza che la conoscenza diretta degli insegnanti può offrire alla comprensione di come si sviluppino questi percorsi di lavoro, e l’altrettanta rilevanza di un’azione di raccolta di resoconti personali. Pensando agli incontri che il Punto Giovani ha realizzato nell’anno scolastico trascorso, è facile ipotizzare che quelli siano anche i momenti in cui, in accordo con gli insegnanti, si lanciano idee per raccogliere esperienza di ragazzi che si sono diplomati e che sono già inseriti nel lavoro, al di là di certe caratteristiche che sono più agevoli da cogliere e sulle quali esistevano specifiche domande nelle nostre interviste, come ad esempio il tipo di contratto, l’orario, il settore di lavoro. Esamineremo prima questi aspetti, per passare poi al grado di soddisfazione dichiarato, altro elemento sul quale la nostra lettura è certamente limitata, e che potrebbe essere bene integrata con le conoscenze di cui gli insegnanti e gli allievi dispongono. Vediamo innanzitutto alcune caratteristiche del lavoro, così come le hanno dichiarate gli intervistati.
Tab. n. 3.15. Lavoro a tempo pieno o parziale (base: 355). TEMPO DEL LAVORO TEMPO PIENO PART-TIME DIPENDE DAI LAVORI TOTALE
MORANTE 135 61.4 77 35.0 8 3.6 220 100.0
IPIA 57 89.1 6 9.4 1 1.6 64 100.0
SERALI 56 78.9 13 18.3 2 2.8 71 100.0
TOTALE % 248 69.9 96 27.0 11 3.1 355 100.0
La maggiore presenza del part-time per i diplomati dell’Elsa Morante è comprensibile ricordando i lavori riportati nella tabella che ha analizzato le attività del grande gruppo n. 5, dove compaiono settori in cui il tempo parziale è una delle soluzioni più comuni per far fronte alle ciclicità (giornaliere, settimanali, stagionali, sociali) della domanda. Non possiamo però dimenticare che la formazione che i diplomati hanno ricevuto all’Elsa Morante è
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specificamente orientata al settore socio-sanitario-educativo, e quindi vi saranno sicuramente molte situazioni vissute come transizione verso qualche altro tipo di lavoro. I lavori di servizio alle persone e alle famiglie si prestano però ad orari e a tipi di contratto molto diversificato, così come quelli dell’area commerciale e della ristorazione; per questo, ad una maggiore presenza femminile corrisponde anche una maggiore precarietà del lavoro. Nel campo assistenziale, le nuove forme di precariato sono presenti anche nel terzo settore, sia nelle associazioni che nella cooperative sociali. Sarebbe quanto mai opportuno che queste scuole stabilissero un confronto non occasionale con quelle organizzazioni che operano nel lavoro sociale, e non solo per questioni di “tutela” di chi fa tirocinio o si appresta ad entrare in quel particolare mercato del lavoro, ma per ricercare proprio con quelle organizzazioni delle modalità di sviluppo del lavoro. Dal punto di vista del tipo di organizzazione in cui il lavoro si svolge, in generale è largamente prevalente il settore privato, come si vede dalla tabella.
Tab. n. 3.16. Settore in cui lavorano i diplomati (base: 355). SETTORE PUBBLICO PRIVATO AZIENDA FAMILIARE COOPERATIVA ALTRO TOTALE
MORANTE 18 9.6 113 60.4 31 16.6 23 12.3 2 1.1 187 100.0
3 52 8 4
IPIA 4.5 77.6 11.9 6.0
67 100.0
SERALI 17 23.9 34 47.9 7 9.9 10 14.1 3 4.2 71 100.0
TOTALE 38 199 46 37 5 355
% 11.7 61.2 14.2 11.4 1.5 100.0
Solo poco più di un diplomato su cinque svolge un lavoro con un contratto a tempo indeterminato, con una punta massima del 45.5% fra i diplomati dei corsi serali, com’era logico attendersi data la differenza di età. Resta tuttavia il fatto che l’area del lavoro nero, senza contratto, è assai estesa, superando, sia pure di poco, il 20%. Questo elemento rappresenta una vera sfida e un tema forte di politica sociale per i giovani. Vediamo i dati delle tre scuole.
Tab. n. 3.17. Tipo di contratto di lavoro (base: 348). TIPO DI CONTRATTO FORMAZIONE-LAVORO APPRENDISTATO PROFESSIONALE TEMPO INDETERMINATO TEMPO DETERMINATO STAGE-TIROCINIO LAVORO NERO SENZA CONTRATTO ALTRO TOTALE
MORANTE 12 5.6 49 22.6 7 3.2 40 18.5 47 21.9 1 0.5 23 10.6 35 16.2 2 0.9 216 100.0
IPIA 14 21.1 24 36.4 4 6.1 10 15.2 7 10.6 4.5 6.1
SERALI 2 3.0 2 3.0 10 15.2 30 45.5 13 19.7 3 4.5 4 6.1 2 3.0
66 100.0
66 100.0
3 4
TOTALE 28 75 21 80 67 4 30 41 2 348
% 8.0 21.5 6.1 23.1 19.3 1.1 8.6 11.8 0.5 100.0
La distinzione tra lavoro nero e lavoro senza contratto può apparire strana: la si è mantenuta perché, per quanto identica per molti aspetti, è apparsa, nelle interviste, diversa
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per tipo di relazione, nel senso che chi dice di lavorare “senza contratto” è una persona che vede la situazione come transitoria verso una qualche definizione della propria posizione lavorativa: chi, invece, qualifica il proprio lavoro come “lavoro nero”, si riferisce ad una situazione (subita, scelta o concordata) che non sembra prevedere sviluppi di nessun genere. Registriamo questa differenza di atteggiamento, che certamente risponde a dei vissuti dei giovani, sulla base del principio per cui dobbiamo assumere come veridico il nostro interlocutore, salvo poi essere capaci di comprendere a quale processo interpretativo quella veridicità debba essere ricondotta. Dobbiamo anche assumere che vi sia nel comportamento di questi giovani una razionalità soggettiva che si tratta, anche qui, di capire attraverso l’affinamento dell’analisi. Pur con queste precisazioni, dalle tabelle sin qui presentate emerge chiaramente il grado di maggiore sofferenza delle ragazze dell’Elsa Morante, i cui problemi di inserimento lavorativo sono noti da tempo e che richiederebbero una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e del terzo settore, essendo l’indirizzo della scuola orientato verso servizi che prevalentemente vengono forniti proprio dal pubblico e, in misura crescente, dal terzo settore. Accanto alla questione del lavoro nero, si pone dunque, in modo selettivo scuola per scuola, la questione della specificità delle difficoltà a cui i diplomati vanno incontro, difficoltà che devono essere tenute in grande considerazione anche nell’analizzare gli sviluppi degli studi, potendosi stabilire una relazione tra difficoltà di inserimento lavorativo e scelta di studi universitari come attesa, ripiego, transizione. La questione del lavoro nero, al di là dei risvolti giuridici ed amministrativi, pone, dalla nostra prospettiva, la necessità di tentare un mutamento culturale in direzione di una responsabilità formativa diffusa. Le leggi, le sanzioni ed i controlli hanno certamente una grande importanza, pur a fronte di un’efficacia modesta, ma non produrranno mai, da soli, quel cambiamento per cui l’imprenditore o il professionista o l’organizzazione che fanno lavorare a nero questi giovani diventano consapevoli che quel comportamento avrà una serie di effetti negativi sull’insieme delle relazioni sociali (sfiducia nelle istituzioni, radicarsi in profondità di modalità del tipo “doppia morale”, cultura del denaro e della competizione senza regole, convinzione che i rapporti sociali funzionano secondo modelli di tipo “darwinistico”, rafforzarsi di modelli d’azione familistico-amorali ecc.); per un altro verso, questo lavoro nero è la negazione più clamorosa di quanto viene predicato sui rapporti tra scuola e lavoro, dove l’avvicinamento progressivo rischia di essere davvero soltanto subordinazione, giustificando tutte le perplessità e le opposizioni che si avvertono nella scuola e fra molti giovani, e che non possono essere ricondotte, semplicisticamente, ad una specie di rifiuto comunicativo della scuola verso il mondo del lavoro. Le scuole sanno questo da sempre, e forse non hanno fiducia nella possibilità per loro di svolgere un ruolo di mutamento, anche perché sanno perfettamente che il lavoro nero è pur sempre un contratto, nel senso che c’è chi lo subisce, ma c’è anche chi lo richiede, magari per poter usufruire di qualche beneficio dello stato sociale. Per questo, poco sopra si accennava ad una sfida, che dovrà essere tanto più dura quanto più il lavoro nero si distanzierà dalle competenze che la scuola ha fatto maturare: accanto alle questioni di principio, infatti, esiste una tollerabilità sociale diversa, nel caso che il lavoro nero, per brevi periodi, sia comunque un apprendimento, una crescita di professionalità, rispetto al lavoro nero che è puro sfruttamento. Forse le scuole sono oggi nelle condizioni di contrattare dei tirocini, di influire sul comportamento delle aziende e delle famiglie, di fare pressione per trasformare una parte almeno del lavoro nero in tirocini, borse di lavoro, apprendistato o altre forme che attribuiscano al datore di lavoro un compito formativo e che inseriscano questa esperienza nel curriculum personale (per lo meno in quelle situazioni in cui il lavoro nero riguarda attività connesse con la preparazione
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ricevuta a scuola). La responsabilità formativa tende oggi a diffondersi nella società, e così come l’informazione arriva tramite vari canali, anche la professionalità e la maturazione delle competenze arrivano da esperienze diverse, nella scuola come nei luoghi di lavoro. È appena il caso di ricordare che il lavoro nero in questa età impedisce anche quei controlli sul rapporto tra lavoro e salute che, comunque, le leggi prescrivono. Possiamo completare questo quadro analizzando la durata settimanale del lavoro e da quanto tempo i nostri diplomati fanno il lavoro che hanno dichiarato nell’intervista. Vedremo, successivamente, che nel corso del tempo che li separa dal conseguimento del diploma, molti hanno fatto diversi lavori, il che ci riporta alla realtà di un quadro in continuo mutamento, che è poi la ragione per cui si pensa ad un impegno sistematico delle scuole per seguire nel tempo i loro diplomati. Per quanto riguarda l’anzianità nel lavoro che hanno dichiarato di svolgere, il quadro è riportato in tabella, con la precisazione che i lavori di più lunga anzianità sono dovuti, come al solito, alla presenza dei diplomati dei corsi serali, con la loro età più alta e con la presenza di un lavoro durante gli studi.
Tab. 3.18. Anzianità lavorativa nel lavoro dichiarato nell’intervista (base: 355) ANZIANITÀ MENO DI UN MESE UN MESE DUE MESI TRE MESI QUATTRO MESI CINQUE MESI SEI MESI DA 7 A 12 MESI DA 13 A 18 MESI DA 19 A 24 MESI DA 25 A 36 MESI OLTRE 36 MESI TOTALE
MORANTE N % 11 5.0 12 5.5 10 4.5 11 5.0 13 5.9 6 2.7 16 7.3 72 32.8 18 8.2 34 15.6 11 5.0 6 2.7 220 100.0
IPIA N 2 2 3
% 3.0 3.0 4.5
4 6.0 2 3.0 6 9.0 30 44.9 5 7.5 8 12.0 4 6.0 1 1.5 67 100.0
SERALI N % 1 1.5 5 7.4 3 4.4 1 1.5 1 1.5 1 1.5 3 4.4 11 16.2 4 5.9 4 5.9 4 5.9 31 45.9 68 100.0
TOTALE 14 19 16 12 18 9 25 113 27 46 19 38 355
% 3.9 5.4 4.5 3.4 5.1 2.5 7.0 31.7 7.6 13.0 5.4 10.7 100.0
La presenza dei diplomati dei corsi serali fa lievitare la percentuale delle anzianità di lavoro più alte, come si è osservato anche a proposito di altre variabili. La misura dell’anzianità di lavoro, in quanto raccolta in un’intervista telefonica, presenta dei valori più alti attorno alle misure convenzionali (6 mesi: 25; 1 anno: 41; 18 mesi: 20; 2 anni: 39; 3 anni: 36, per un totale di 161 casi). Su questi aspetti occorrerà fare un’analisi più approfondita, per verificare il rapporto tra l’anzianità di diploma e l’anzianità del lavoro dichiarato al momento dell’intervista, ricordando che dopo il diploma molte persone hanno fatto vari lavori e che quindi assume un significato diverso la combinazione di una lunga disoccupazione con un breve lavoro precario rispetto ad un lavoro trovato subito dopo il diploma e cambiato più volte, magari in un’attività collegata alle competenze acquisite. Ricostruirlo a posteriori sulla base delle informazioni raccolte nelle interviste non è facile; molto diversa sarebbe la situazione della scuola, qualora disponesse di informazioni raccolte sistematicamente, anche su piccoli gruppi, che potessero
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delineare dei percorsi tipici, anche tenendo conto dell’esperienza scolastica. Questo lavoro permetterebbe di individuare aree e ragioni di disagio e sofferenza, e, di conseguenza, di adottare delle strategie di affrontamento. Tab. 3.19. Ore settimanali di lavoro (base: 327). ORE SETTIMANALI FINO A 19 ORE 20 ORE DA 21 A 29 ORE 30 ORE DA 31 A 39 ORE 40 ORE DA 41 A 50 ORE OLTRE 50 ORE TOTALE
MORANTE N % 24 12.0 25 12.2 14 7.0 13 6.4 24 11.7 89 43.7 14 7.0
N 1 4
IPIA % 1.7 6.9
1 7 39 6
1.7 12.0 67.2 10.3
203 100.0
58 100.0
SERALI N % 3 4.5 5 7.6 5 7.6 5 7.6 14 21.2 30 45.5 3 4.5 1 1.5 66 100.0
TOTALE 28 34 19 19 45 158 23 1 327
% 8.5 10.6 5.7 5.7 13.7 48.6 6.9 0.3 100.0
Come si vede, poco meno di un terzo dei diplomati dell’Elsa Morante lavorano per meno di 30 ore la settimana, contro l’8.6% dell’IPIA e il 12.1% dei Serali; probabilmente si tratta di un segnale di maggiore precarietà di questi lavori, ma anche delle caratteristiche stesse di questi lavori (commercio, ristorazione, assistenza, servizi alle persone). Non sappiamo con che cosa questi lavori a tempo parziale si combinino, se con altri studi (per qualcuno di certo) o con altri lavori di cui i diplomati non hanno parlato nell’intervista o con altre attività. Trattandosi di ragazze che vivono quasi tutte in famiglia, si potrebbe pensare ad una forma di doppia presenza a fronte di genitori che fanno un lavoro a tempo pieno. D’altra parte, non possiamo dire nulla di come sia cambiata la vita di questi giovani nella transizione al lavoro, poiché su questo piano non disponiamo di nessuna informazione. Nel rapporto sugli studenti di terza e di quinta abbiamo visto come la presenza di altre attività oltre lo studio sia rilevante. Solo un lavoro sistematico condotto dalle e con le scuole potrebbe dare una risposta plausibile a questa domanda. La cosa più probabile è che molti continuino alcune della attività precedenti, prima fra tutte quella sportiva. Sarebbe però necessario fare un’indagine più approfondita. Negli orari ridotti, poi, come in quelli molto lunghi, c’è la componente dell’azienda familiare. I diplomati dell’IPIA presentano la quota più alta di lavori a 40 ore settimanali, segno di un rapporto consolidato col lavoro, in qualche modo, di un lavoro più tradizionale nella sua organizzazione. Va rilevato che nella fascia delle 36 ore c’è un gruppo di 12 persone dei corsi serali che, presumibilmente, come i loro colleghi dell’Elsa Morante (9)13, svolgono un lavoro pubblico; un solo caso di 36 ore fra i diplomati dell’IPIA. Fra questi ultimi si registra anche il valore più elevato degli orari tra 40 e 50 ore di lavoro settimanale. Possiamo ora venire all’ultima parte delle informazioni raccolte a proposito del lavoro nel corso dell’intervista telefonica: si tratta della valutazione che i diplomati danno di vari aspetti della loro attività (Tab. n. 3.17.). Queste risposte fanno emergere ancora più chiaramente lo stato di difficoltà dell’Elsa Morante, ma hanno anche elementi in comune su cui varrà la pena di trarre qualche prima conclusione. Osserviamo innanzitutto che la dimensione delle relazioni è positiva, sia con i colleghi che con i datori di lavoro. La soddisfazione diminuisce quando si parla dell’orario di lavoro, anche se una lettura dicotomica darebbe un risultato positivo in tutte
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Non bisogna dimenticare che nel pubblico ci sono anche orari contrattuali superiori alle 36 ore.
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e tre le scuole, con un valore minore, al solito, per l’Elsa Morante. Com’era logico attendersi, un livello ancora minore di soddisfazione lo si rileva a proposito della retribuzione, dove però la lettura dicotomica ci ripropone un grado di soddisfazione elevato, con la punta minima, questa volta, tra i corsi serali, per l’ovvia ragione che si tratta di persone di età elevate e con necessità personali e familiari più forti. L’elemento che si deve rilevare con maggiore attenzione è l’insoddisfazione per la corrispondenza tra titolo di studio e lavoro o, meglio sarebbe dire tra competenze e lavoro. Anche qui, il valore di massima insoddisfazione si registra fra i diplomati dell’Elsa Morante (oltre il 70%), ma le altre due scuole si collocano di poco sopra il 50%. Considerando la differenza che c’è tra queste scuole dal punto di vista del percorso di studio, dei soggetti, delle prospettive di lavoro, non può non stupire questa omogeneità di giudizio negativo, che si può interpretare come una richiesta di chi dice: con le persone mi trovo bene e non mi lamento tanto per l’orario di lavoro o per lo stipendio, ma fammi fare qualcosa che sia più vicino a ciò per il quale mi sono preparato/a. Che si tratti di tecnici dei servizi sociali, odontotecnici, meccanici o dirigenti di comunità, da tutti viene questa richiesta di una maggiore corrispondenza tra percorsi formativi fatti e lavori svolti. Possiamo notare, di passaggio, come la positività delle relazioni interpersonali sia un dato che abbiamo rilevato anche nell’indagine triennale sugli apprendisti, per i quali la figura del datore di lavoro e dei colleghi si sono rivelate figure positive, molte delle quali hanno insegnato un mestiere ed hanno aiutato a superare difficoltà14.
Tab. n. 3.20. Valutazione di alcuni aspetti del proprio attuale lavoro ASPETTI DEL LAVORO Soddisfazione nei rapporti con i colleghi Soddisfazione nei rapporti con il datore di lavoro Soddisfazione per l’orario di lavoro Soddisfazione per la retribuzione Soddisfazione per la corrispondenza tra titolo di studio e lavoro
MORANTE
IPIA
SERALI
molto abbastanza poco
per nulla
molto abbastanza poco
per nulla
molto abbastanza poco
per nulla
105 59.7 112 53.1 97 44.7 58 27.1 28 12.9
5 2.8 10 4.7 11 5.1 20 9.3 123 56.7
42 67.7 35 57.4 27 42.9 11 17.7 23 35.4
1 1.6 3 4.9 3 4.8 1 1.6 17 26.2
36 57.1 35 56.5 31 45.6 10 14.9 22 33.8
4 6.5 2 2.9 7 10.4 25 38.5
58 33.0 78 37.0 59 27.2 94 43.9 37 17.1
8 4.5 11 5.2 50 23.0 42 19.6 29 13.4
17 27.4 17 27.9 28 44.4 36 58.1 9 13.8
2 3.2 6 9.8 5 7.9 14 22.6 16 24.6
23 36.5 18 29.0 25 36.8 31 46.3 10 15.4
4 6.3 5 8.1 10 4.7 9 8.4 8 12.3
una quota rilevante di diplomati lavorano nel pubblico, in aziende familiari o in cooperativa (37.5% per l’Elsa Morante, 22.4% per l’IPIA e addirittura quasi il 48% per i Serali), ci troviamo di fronte a situazioni molto differenziate. La prevalenza del privato per l’IPIA è comprensibile, così come è facile immaginare che sia diverso il tipo di lavoro in cooperativa tra l’Elsa Morante e l’IPIA, la responsabilità degli adulti che introducono al lavoro questi giovani è evidente, ed è evidente che la rispondenza tra studio e lavoro dipende anche da come il lavoro viene organizzato nelle diverse situazioni. Il pubblico e il terzo settore potrebbero e dovrebbero essere le realtà più attente a questi problemi, allo sviluppo della formazione in modo che vi sia sempre maggiore corrispondenza tra competenze e lavoro svolto. Possiamo concludere su questo punto che le risposte dei diplomati fanno giustizia di molte dicerie sul rapporto tra i giovani e il lavoro; chiedono di fare ciò che corrisponde alla loro formazione, e in cambio sembrano accettare condizioni di lavoro non certo favorevoli in termini di orario e di stipendio. Con riguardo alla valutazione di alcuni aspetti del lavoro, vediamo infine due giudizi sintetici di soddisfazione e di autorealizzazione del lavoro.
Tab. n. 3.21. Soddisfazione per il lavoro (base: 361).
SÌ PIÙ SÌ CHE NO PIÙ NO CHE SÌ NO TOTALE
MORANTE N % 115 51.7 43 19.4 37 16.7 27 12.2 222 100.0
IPIA N 42 11 10 4 61
% 62.7 16.4 14.9 6.0 100.0
SERALI N % 44 61.1 13 18.1 7 9.7 8 11.1 72 100.0
TOTALE N % 201 55.7 67 18.6 54 14.9 39 10.8 361 100.0
Anche in questo caso le risposte dei diplomati dell’Elsa Morante sono indicative di uno stato di maggiore “sofferenza”, con un giudizio negativo che si avvicina al 29%, contro il 20.9% e il 20.8% delle altre due scuole. In modo speculare si comporta il dato sulla maggiore soddisfazione. È interessante osservare come, a proposito del lavoro come autorealizzazione, i valori positivi siano assai più bassi, sia considerando le risposte separatamente, sia in maniera complessiva dicotomica: per un diplomato, un lavoro che non corrisponde allo studio può dare soddisfazione, ma molto meno autorealizzazione.
Tab. n. 3.22. Autorealizzazione nel lavoro. È evidente che ci saranno delle situazioni lavorative in cui non è possibile agire per far corrispondere l’attività lavorativa alle competenze possedute, ma non è detto che sia per forza così. Probabilmente ci sono anche situazioni in cui il lavoro che viene svolto subisce delle limitazioni nella responsabilità, nell’autonomia, nella possibilità di dimostrare quello che si vale, nella dimensione di formazione che ogni inserimento nel lavoro dovrebbe avere, nella possibilità di sviluppare esperienze formative ulteriori. E qui il problema si differenzia per le scuole che abbiamo preso in considerazione. Se si riflette sul fatto che, come si è visto nella tabella n. 3.13.,
14 Ricordiamo questa ricerca, che si è svolta nel triennio 1991-94, perché di quel gruppo di giovani facevano parte anche studenti di scuola superiore, coetanei degli apprendisti, e che ora sono alla fine degli studi universitari: questi studenti di cui conosciamo le opzioni e le previsioni fin da quando erano in seconda superiore, sono oggi oggetto di un’altra ricerca, nella quale, mediante delle interviste, si cerca di ricostruire il percorso che hanno fatto nella conclusione della scuola superiore e durante gli anni universitari, oggi che sono ormai proiettati a dopo la laurea.
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AUTOREALIZZAZIONE SÌ PIÙ SÌ CHE NO PIÙ NO CHE SÌ NO TOTALE
MORANTE N. % 67 31.3 39 18.2 32 15.0 76 35.5 214 100.0
IPIA N. 31 14 7 9 61
% 50.9 23.0 11.5 14.8 100.0
SERALI N. % 31 46.3 16 23.9 8 11.9 12 17.9 67 100.0
TOTALE N. % 129 55.7 69 18.6 47 14.9 97 10.8 342 100.0
Più della metà dei diplomati dell’IPIA e dei corsi serali non sono interessati a cambiare lavoro, che però scendono ad un terzo fra i diplomati dell’Elsa Morante, secondo una tendenza che ormai ci è consueta. Poco meno dei diplomati dell’Elsa Morante, però, stanno cercando un
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lavoro diverso, anche se una parte di loro “senza fretta”; dunque, sono meno numerosi coloro che non pensano di cambiare lavoro, più numerosi quelli che lo cercano e, il che è peggio, più numerosi anche quelli che dicono di non riuscire a trovare un lavoro diverso. Diversa la situazione nelle altre due scuole. Fra i diplomati dell’IPIA poco meno del 60% non pensa di cambiare lavoro, forse perché, anche se quello che fanno oggi non li soddisfa o non risponde pienamente alla loro preparazione, è comunque su quella strada; inoltre, coloro che cercano un lavoro diverso, lo fanno prevalentemente “senza fretta”, il che può essere interpretato in molti modi, ma certamente come una ricerca che sviluppa ciò che già si è cominciato a fare. Anche fra i diplomati dei corsi serali più della metà non pensano di cambiare lavoro, anche se fra gli altri, vi è una quota rilevante che sta cercando un lavoro diverso. Anche qui le motivazioni sono diverse, ma possiamo immaginare una ricerca di lavoro che valorizzi gli studi che si sono fatti lavorando, con sacrificio. Un quadro di sintesi è riportato nella tabella.
delle regole condivise. Speriamo, con questa prima lettura, di aver fornito un quadro utile alle scuole, nel senso che, per quanto siamo convinti che le linee generali della situazione fossero note a tutti coloro che vivono ed operano nell’insegnamento con un buon livello di motivazione e di professionalità, crediamo di avere apportato tre elementi non trascurabili: il primo riguarda una certa sistematizzazione di conoscenze che ciascuno possiede in parte e per la sua esperienza, favorendo così quella conoscenza condivisa che è alla base di un lavoro scientifico; il secondo riguarda la comparazione tra scuola diverse, che permette di cogliere analogie, differenze e specificità; il terzo, che si collega alla definizione che abbiamo dato di questo lavoro come ricerca-intervento, consiste nella prospettiva di trasformare questa prima esperienza in un lavoro continuativo, gradualmente più esteso e approfondito, che si rende necessario per affrontare la fase di mutamento che sta toccando profondamente la scuola, l’università e l’insieme delle relazioni tra studio, lavoro e formazione.
Tab. n. 3.23. Propensione a cambiare lavoro. PROPENSIONE Non mi interessa cambiare lavoro Mi interessa e lo sto cercando Lo sto cercando, ma senza fretta Lo sto cercando, ma non riesco a trovarlo TOTALE
MORANTE V.A. %
IPIA V.A.
%
SERALI V.A. %
TOTALE V.A %
67
31.8
36
57.1
36
56.3
139
41.1
60
28.4
5
7.9
11
17.2
6
22.5
62
29.4
20
31.7
5
23.4
7
28.7
22 211
10.4 100.0
2 63
3.2 100.0
2 64
3.1 100.0
26 338
7.7 100.0
Sulla base di queste risposte e rifacendoci alla tabella di classificazione dei lavori dei diplomati, si potrebbero fare delle ipotesi su chi siano i giovani che intendono o non intendono cambiare lavoro, sapendo che sempre di più il lavoro si cambia, oltre che per scelta, per vicende che non dipendono da noi e che influenzano pesantemente il mercato del lavoro. È probabile che, di nuovo, emerga la questione della corrispondenza tra studi e lavoro, anche se vi saranno combinazioni di più variabili. Si potrebbe arrivare ad individuare chi sono coloro che sono più o meno fiduciosi, desiderano o meno cambiare lavoro, pensano di abbinarlo alla formazione ecc. Quest’ultima tabella non fa che confermare quanto siamo venuti osservando nel corso di questa seconda parte del rapporto. Certamente, la condizione di chi non intende cambiare lavoro o lo sta cercando “senza fretta” è assai diversa da chi già lo sta cercando attivamente e, soprattutto, da chi lo sta cercando senza riuscirci. Che il 60% dei diplomati sia interessato a cambiare lavoro e lo stia cercando con maggiore o minore urgenza e difficoltà, pone la questione del sostegno che può essere dato, sia da servizi pubblici in fase di trasformazione, sia da servizi privati che saranno sempre più presenti sul mercato del lavoro, sia da proposte formative che creino quella occupabilità per quel tipo particolare di lavoro verso cui i giovani si sentono orientati: in questo senso vorremmo concludere con il richiamo all’espressione “creare dei legami”, come richiamo alla necessità di un sostegno delle istituzioni, il cui fine fondamentale è appunto quello di garantire quei legami sociali che producono integrazione e consentono agli individui e ai gruppi sociali di perseguire i loro obbiettivi secondo
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3.5. Qualche proposta per proseguire. Come nel caso degli studenti, anche per i diplomati si pone per le scuole il problema di seguire gli esiti lavorativi e di studio dei giovani che hanno superato l’esame di maturità, ben sapendo che la situazione diventerà più complessa con la realizzazione dell’obbligo fino a 18 anni, con una maggiore interazione tra scuola e lavoro e con la modifica degli studi universitari. Si pone dunque l’esigenza di studiare, nei modi e nei tempi opportuni, gli esiti del dopo scuola superiore. Parlare di “modi opportuni” significa che ogni scuola deve tener conto delle sue specificità: le caratteristiche e la provenienza dei propri studenti, la presenza e numerosità di indirizzi di studio, le esperienze di stage condotte durante la scuola superiore, la frequenza, numerosità e durata dei corsi di laurea e di diploma prescelti, la dimensione del fenomeno dei lavoratori studenti e del ritardo e/o abbandono, sono variabili che possono consigliare modalità diverse di individuazione dei gruppi di giovani da tenere in considerazione. Si può, per esempio, ritenere che dopo i primi sei mesi si acquisisca un’informazione di base relativa allo studio e al lavoro; a un anno di distanza, coloro che si sono inseriti nel lavoro in attività collegate con la formazione avuta nella scuola, possono essere “abbandonati”, salvo fare qualche indagine su piccoli gruppi a distanza maggiore di tempo. Per coloro che frequentano l’università, potendo disporre annualmente degli elenchi degli iscritti con i relativi corsi di laurea e di diploma (e conoscendo il contenuto delle preiscrizioni), potrebbe essere interessante studiare piccoli gruppi o, invece, contattare quelli che hanno abbandonato. Insomma, ogni scuola può decidere una sua strategia, considerando quali siano i problemi principali e quali possano essere le ricadute in termini di orientamento e di indirizzo. È importante, ad esempio, che si sappia quanti studenti arrivino alla laurea in un corso che viene scelto da molti studenti di una determinata scuola; se infatti la percentuale di abbandono è molto alta, è necessario conoscerne le cause ed è bene che coloro che si apprestano a fare quella scelta sappiano degli esiti dei colleghi che li hanno preceduti, fermo restando che questo tipo di analisi può fornire indicazioni sul programma di lavoro da seguire. Per prendere tre dei nostri dati, è importante sapere se i 10 odontotecnici che hanno indicato il corso di laurea in odontoiatria entreranno effettivamente, così come sapere quanti di quelli che entrano si laureeranno e quale sarà la durata effettiva degli studi (dal momento che è facile immaginare una qualche combinazione di studio e di lavoro). Questo tipo di indagine può essere fatto con strumenti diversi a seconda degli obbiettivi e della numerosità dei gruppi che si vogliono analizzare. Questionari inviati a
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domicilio, interviste individuali realizzate telefonicamente previo avviso da parte della scuola, interviste di gruppo presso la scuola, redazione di autobiografie relative a certi periodi di vita e di lavoro, organizzazione di momenti di incontro presso la scuola, sia per discutere con i colleghi più giovani, sia per mantenere vivo il legame con la scuola, occasione nella quale può risultare semplice la compilazione di un questionario; si tratta di modalità organizzative e di tecniche diverse, tutte utilizzabili e combinabili, ma sempre iscrivibili in una strategia longitudinale. In questa prospettiva l’attivazione dei ragazzi degli ultimi anni non dovrebbe essere difficile. Ogni scuola costruirebbe così di sé un’immagine più definita e valorizzerebbe i legami tra gruppi diversi. Una fonte che diventerà importante è il Sistema Informativo del Lavoro, previsto nella riorganizzazione del collocamento e nell’attivazione dei Centri per l’Impiego; così come si attiva il legame con l’università, si deve attivare il legame con gli strumenti di regolazione del mercato del lavoro, ivi comprese le agenzie per il lavoro interinale e tutte quelle organizzazioni che sono e saranno abilitate all’intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro. Come effetto secondario, ma non meno importante, un lavoro di questo genere crea e rafforza legami con l’università, ora che ci muoviamo nella prospettiva dell’accorciamento di un anno della scuola superiore e dell’attivazione delle nuove lauree, anch’esse di tre anni. Condurre questo tipo di indagine in modo sistematico è anche uno strumento di verifica che la riforma della scuola superiore e degli studi universitari non si risolva semplicemente con il cacciar fuori i giovani a 21 anni, accorciando gli studi e tagliando così quel fenomeno tutto italiano dei fuori corso di lunga durata: insomma, un messaggio ai giovani che devono far presto, costare di meno, lavorare di più e alle condizioni che il mercato del lavoro flessibile impone. Sarebbe una sconfitta devastante per la scuola. Le scuole che decidessero di attivare questo studio sui loro ex allievi hanno necessità di sostegno, almeno in tutta una prima fase di lavoro, poniamo per almeno quattro o cinque anni: tuttavia è ragionevole pensare che una volta impostato, questo programma possa essere sviluppato senza grossi problemi. Su questo punto dovremo tornarci, in altra sede, una volta che si sia consolidata qualche decisione. Per il momento, e per chiudere queste note, vorremmo segnalare l’utilità di tener presente un quadro generale di ricerca, sia sul versante nazionale sia su quello locale, facendo circolare fra insegnanti e studenti pubblicazioni, documenti, ricerche. Per quanto riguarda il quadro generale, sono di grande utilità le analisi dell’ISTAT, disponibili in varie versioni, quelle del Censis, sia nella versione del rapporto annuale sulla situazione sociale del paese, sia in quella di specifiche indagini, quelle, infine, dell’Isfol, dedicate in maniera specifica all’analisi dell’evoluzione del sistema formativo e di istruzione nel suo collegamento col lavoro. Fra le ricerche più recenti possiamo segnalare il lavoro La condizione giovanile in Toscana, a cura di Carlo Buzzi, promosso dalla Regione Toscana ed edito da Giunti. Questa indagine applica, su un campione di 1000 giovani toscani, gli strumenti utilizzati per la stesura del rapporto Iard, che esce ogni quattro anni dal 1983, e che quindi ha cumulato una serie di dati e di conoscenze, ora focalizzate sui giovani della nostra regione. La popolazione giovanile studiata arriva ad un’età più elevata di quella che a noi interessa, ma le considerazioni e le analisi che vengono proposte sono di notevole interesse, così come di notevole interesse è la struttura del questionario, utilizzabile come orientamento per la costruzione sia di questionari, sia di tracce di intervista e di colloquio. Trattandosi di un lavoro i cui strumenti di rilevazione si sono consolidati nell’arco di un ventennio, costituisce certamente un punto di riferimento. È molto importante, rispetto a queste indagini, cogliere le specificità delle scuole e dei loro contesti sociali e di relazione con l’ambiente, per cogliere differenze, tendenze, specificità. Indichiamo due punti a mo’ di esempio (una discussione ampia avrebbe bisogno di ben
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altro spazio e di ben altri approfondimenti), uno generale e uno particolare. Quello generale riguarda una riflessione sulle tendenze che lo Iard rileva, in Toscana come in Italia a proposito dei giovani; quello particolare riguarda la partecipazione e l’impegno sociale. Le tendenze vengono così indicate nella ricerca Iard (p. 12-13): • “la proiezione nel presente: in un mondo incerto, caratterizzato da rapidi ritmi di trasformazione, il futuro appare per molti versi sempre più difficile da prevedere; emergono così orientamenti al pragmatismo che privilegiano obbiettivi a medi o breve termine e, nel contempo, diventa sempre più difficile prefigurare un percorso preciso per il proprio futuro personale; • la caduta dei modelli forti di riferimento forti: oggi le grandi ideologie religiose o politiche, che proponevano letture e interpretazioni totalizzanti della realtà sociale e personale sembrano essere tramontate. Si sono, in altre parole, incrinate le basi tradizionali su cui poggiava la sfera etica socialmente condivisa; i sistemi di valore si sono, per così dire, relativizzati e frammentati, mentre negli ultimi anni si è accresciuta la crisi della credibilità istituzionale; • l’imporsi di canali di doppia moralità: i giovani oggi appaiono molto più integrati all’interno della famiglia e della scuola di quanto succedeva nel passato, gli spunti della conflittualità si sono senza dubbio stemperati; tale integrazione implica una assunzione da parte del giovane di valori e norme di comportamento che, tuttavia, assumono validità solo all’interno degli ambiti di pertinenza: al di fuori di essi il giovane è in grado di aderire - senza apparente contraddittorietà - ad altri sistemi di valori; si spiegano così l’assunzione di atteggiamenti e la manifestazione di condotte fortemente disomogenee a seconda dell’ambito esperienziale e del momento contingente; • la diffusione dell’accettabilità del rischio: la tradizionale valenza negativa nella cultura italiana del concetto di “rischio” si è recentemente trasformata; da disvalore, il rischio ha assunto anche una connotazione positiva quando si associa alla capacità dell’individuo di assumerlo come necessaria componente del successo personale. Questa sorta di rivalutazione del rischio ha però portato molti giovani a non operare una netta distinzione tra valenze positive e valenze negative del concetto; si assiste così a una estensione di comportamenti rischiosi e pericolosi; • la reversibilità delle scelte: l’accettazione consapevole del rischio può essere giustificabile solo in presenza di un secondo assunto esistenziale: ogni comportamento e ogni scelta vengono considerati revocabili; nulla deve apparire irreversibile in una società incerta e contraddittoria; da una parte si possono così accettare rischi e pericoli, perché visti in chiave contingente e temporanea, dall’altra si evitano tutte le decisioni che sottendono scelte di vita definitive; • la rinuncia all’assunzione di responsabilità: proiezione nel presente, relatività ideale, reversibilità delle scelte inducono il giovane individuo a evitare di assumersi responsabilità importanti; sotto questa luce può essere interpretate la crescente difficoltà dei giovani nei processi di transizione ai ruoli adulti; • la sfiducia nell’altro: nella progressiva sfiducia delle nuove generazioni nei confronti dell’altro il prossimo è percepito come una minaccia piuttosto che come una risorsa; la tendenza è dunque quella di rinchiudersi nel proprio intorno sociale, unica fonte di sicurezza. Così famiglia e gruppo dei pari diventano canali di riferimento esclusivi, mentre tutto ciò che è esterno - apparato istituzionale compreso - è visto con diffidenza.” Queste tendenze sono colte su un’ampia fascia di età, tra quindici e ventinove anni, e forniscono, come sempre in questi casi, delle linee di interpretazione che vanno poi calate nei singoli contesti. Nel nostro caso, trattandosi di ragazzi delle classi finali della scuola superiore e di diplomati nei primi anni post-diploma, queste tendenze devono essere analizzate in modo
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particolare, anche se l’età di questi giovani va ben oltre, in molti casi, quella prevista in uno sviluppo di studi regolare. Ove poi si tenga conto degli iscritti ai corsi serali (si vedano a questo proposito le osservazioni della preside in questo stesso fascicolo), ci troveremmo di fronte ad una situazione ancora diversa. Questo potrebbe essere oggetto di momenti di formazione per gli insegnanti, per affinare le capacità di cogliere elementi e dinamiche di disagio, per attirare l’attenzione dei giovani sulle caratteristiche delle loro scelte, verificando con loro il senso di quel pragmatismo che rischia di essere colto con una connotazione negativa, laddove è una risposta razionale alla difficoltà di disegnare progetti di lungo periodo. La scuola stessa, potremmo dire, vive oggi “nel presente”, nel momento in cui la sua organizzazione viene ridefinita, diviene incerta la sua funzione verso il lavoro o verso attività che sono nelle attese dei giovani, ha difficoltà a stare al passo con lo sviluppo delle conoscenze, mette di fronte ragazzi che padroneggiano linguaggi tecnici ed informatici e molti insegnanti che in questo incontrano grosse difficoltà (come ha mostrato A. Cavalli nella sua ricerca Insegnare oggi). La situazione degli insegnanti si avvicina dunque a quella dei loro studenti; anch’essi, non essendo più “quelli che sanno”, ma adulti consapevoli del mutare rapido delle conoscenze, devono fare i conti con la difficoltà di progetti di lungo periodo. Quanti adulti e quanti insegnanti “vivono nel presente”, esattamente come questi giovani? Questa riflessione potrebbe essere fatta anche a proposito della altre tendenze indicate nella ricerca Iard. Che dire infatti della reversibilità delle scelte in un sistema che ormai ti dice da ragazzo che non puoi e non devi pensare di fare sempre lo stesso lavoro, che devi essere disponibile a rivedere continuamente il tuo programma a spostarti sul territorio, a riprendere sempre la tua formazione? E che dire della doppia moralità? A volte si ha la sensazione che in questa ricerca gli adulti abbiano tratto dalle risposte dei giovani il proprio identikit di adulti non più in grado di spingere lo sguardo molto avanti nel tempo, magari all’arco di tutta una vita. E la dinamica della famiglia sta lì a dimostrare la reversibilità delle scelte. Sarebbe davvero curioso che le nuove generazioni si mostrassero radicalmente diverse dagli adulti. Venendo al secondo dei punti che avevamo indicato, quello più particolare centrato sulla partecipazione sociale, possiamo innanzitutto rilevare che le ultime due tendenze indicate più sopra (rinuncia all’assunzione di responsabilità e la sfiducia nell’altro), connesse con la caduta dei modelli di riferimento forti non possono non influire sull’entità e le modalità della partecipazione sociale e politica, intesa anche come impegno volontario su problemi di rilevanza collettiva. Inoltre, le diverse attività che comportano l’associarsi sono tra loro assai differenti, e andrebbero forse studiate singolarmente, poiché il processo di adesione, le azioni compiute, la durata dell’appartenenza, l’ambito delle relazioni sociali che le caratterizzano, le finalità che si pongono ne fanno delle esperienze che, forse, indebitamente, vengono di solito messe tutte insieme. Nel nostro lavoro questa dimensione riguarda soltanto gli studenti delle terze e delle quinte classi, perché questo tipo di informazione non era stata inserita nell’intervista telefonica realizzata con i diplomati; pur con questa limitazione, vogliamo sottolineare la risposta “mi piacerebbe farlo”, riferita sia all’impegno politico, sia all’impegno sociale. La domanda è: se più della metà esprime interesse per un’attività di impegno sociale volontario e se un 10% è politicamente impegnato, accanto ad un altro 11% che esprime interesse per questa esperienza, quali opportunità vengono offerte per il dispiegarsi di queste energie e disponibilità? Quali sono gli ostacoli che impediscono a questa disponibilità di trovare una via di realizzazione? Una prima risposta viene dalla stessa ricerca Iard, quando si osserva che la tendenza alla partecipazione è correlata con l’appartenenza sociale, nel senso che una base economica, culturale e relazionale migliore permette alle persone di esprimersi di più anche a livello di partecipazione sociale; questo vale certamente per quelle attività, come la pratica sportiva, su cui con-
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vergono molteplici interessi, attivi fino dalla scuola elementare, quegli interessi che rendono sovente la vita dei ragazzi un mosaico di difficile composizione nei tempi dell’organizzazione quotidiana della famiglia. Ma l’interesse e l’impegno sui problemi collettivi, politici, sociali o culturali che siano, è espressione di una crescita e di una individuazione maggiore, e sarebbe molto importante capire le ragioni per cui un interesse non trova le possibilità di esprimersi. Certo, le organizzazioni politiche che conosciamo non riescono a favorire l’espressione dell’impegno di adolescenti e giovani; le associazioni di volontariato vedono una forte presenza giovanile, ma, anche una certa transitorietà, segno che questa pratica non trova la possibilità di esprimersi in tutte le sue dimensioni, da quella più pratica (affrontare dei problemi) a quella dell’appartenenza e della condivisione, a quella della partecipazione alle decisioni. La scuola è certamente uno dei luoghi in cui questa riflessione può essere sviluppata, riflettendo sulla natura e le caratteristiche di quella che molti chiamano la società civile. Si sono toccati solo due punti in questa parte conclusiva per attirare l’attenzione sia sul legame tra ricerche generali e livello locale, sia sulla necessità di un dialogo con le nuove generazioni che non parta da ciò che “a loro manca”, ma da ciò che vogliono esprimere. Se le scuole svilupperanno questo tipo di indagini, emergeranno sicuramente delle dinamiche di esclusione sociale, in una combinazione di eventi e di situazioni personali; una bocciatura che si combina con difficoltà familiari (materiali o relazionali), con esperienze di lavoro e di vita negative, dando come esito una progressiva marginalizzazione. Abbiamo osservato all’inizio della seconda parte che stavamo intervistando un gruppo di giovani che, in ogni caso, aveva completato i suoi studi superiori, e che quindi aveva superato un processo di selezione che, come si sa, colpisce già nella scuola media e, soprattutto nei primi anni della scuola secondaria. Basti pensare all’esperienza di quelle ancora piccole quote di ragazzi immigrati che tentano l’avventura della scuola superiore. E tuttavia vicende di esclusione sociale si verificano in tutte le fasi di vita: se, dunque, il lavoro delle scuole ha come prima finalità quella di ricostruire il percorso della persona nel suo ingresso nel lavoro o nello studio-lavoro, inevitabilmente ci si dovrà confrontare anche con vicende di esclusione sociale. In questo le scuole daranno anche un contributo alla comprensione delle circostanze e delle dinamiche di esclusione che colpiscono quote di giovani alla fine dei loro studi secondari o nel periodo dell’università e/o del primo inserimento nel lavoro.
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Comune di Firenze Assessorato Pubblica Istruzione
PUNTO SCUOLA: DAI SERVIZI AI GIOVANI, DAI GIOVANI AI SERVIZI 15 Dicembre 1999 Palazzo Vecchio - Salone de’ Dugento Firenze In collaborazione con: Università degli Studi di Firenze Dipartimento Studi Sociali Segreteria organizzativa: Assessorato Pubblica Istruzione e Politiche Giovanili Punto Giovani
Punto Giovani via della Colonna, 51 50122 Firenze Tel. 055 2347329/2340220 - Fax 055 2638353 http: www.comune.firenze.it/servizi_pubblici/giovani/puntogio/punto_g.htm
Ministero di Grazia e Giustizia, Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Azienda Sanitaria 10, Istituto degli Innocenti
PUNTO SCUOLA: DAI SERVIZI AI GIOVANI, DAI GIOVANI AI SERVIZI
15 Dicembre 1999 Palazzo Vecchio - Salone de’ Dugento Firenze Apertura del convegno ore 9:00
Daniela Lastri Assessore alla Pubblica Istruzione e Politiche Giovanili Comune di Firenze Pubblica Amministrazione e giovani: prospettive future
ore 9:30
Annalisa Bracco Coordinatore del Punto Giovani Punto Scuola: il perché di un progetto
ore 9:45
Alberto L’Abate Università degli Studi di Firenze Dipartimento Studi Sociali Quali giovani a Firenze nel III millennio: punti di contatto tra due ricerche
ore 10:15
Nedo Baracani Università degli Studi di Firenze Dipartimento Studi Sociali Nella scuola e dopo: la centralità del lavoro
ore 10:45 ore 11:00
Coffee BreacK organizzato dal Centro di Formazione Professionale del Comune di Firenze Interventi delle Scuole coinvolte nella ricerca: Andrea Papini - Preside I.T.I. “Leonardo da Vinci” Alba Soresi - Preside Corsi Serali Comunali Gerardina Pentangelo - Preside I..P.S.S.
SCHEDA DI RICHIESTA ISCRIZIONE
“E. Morante” ore 11:45
Mirna Migliorini Assessore al Lavoro, Formazione Professionale e Politiche Sociali Provincia di Firenze Formazione ed orientamento: il ruolo della Provincia
ore 12:15
Lamberto Tozzi Direttore Direzione 18 Comune di Firenze Servizi Sociali: ascoltare e agire
ore 12:45
Dibattito
ore 13:15
Conclusioni
Nome .......................................................................... Cognome .................................................................... Qualifica ..................................................................... Indirizzo ......................................................................
PUNTO SCUOLA: DAI SERVIZI AI GIOVANI, DAI GIOVANI AI SERVIZI
15 Dicembre 1999 Palazzo Vecchio - Salone de’ Dugento Firenze
Città .................................... Cap............... Prov ........ Tel. - Fax ..................................................................... E-mail .........................................................................
La partecipazione al convegno è gratuita. Ai fini organizzativi è consigliata la preiscrizione, che deve essere inviata al Punto Giovani entro e non oltre il 7 Dicembre 1999 ai numeri: fax 055 - 2638353 - telefono 055 - 2347329 - Email:
[email protected]
PUNTO SCUOLA: IL PERCHÉ DI UN PROGETTO Intervento del Coordinatore del Punto Giovani
Dott.ssa A. Bracco
Durante lo scorso anno scolastico è stato avviato il progetto sperimentale Punto Scuola che, grazie alla collaborazione degli insegnanti e degli studenti (indispensabile non solo nella fase iniziale, ma anche in corso d’opera), ha costituito le basi per la ricerca oggi presentata e per la futura attività di sportello informativo all’interno delle scuole. Le motivazioni che ci hanno indotto a predisporre tale progetto nascono dall’analisi del flusso di utenti che nel corso dell’anno si rivolgono alla sede del Punto Giovani in via della Colonna per avere informazioni e consulenze di vario tipo. L’oscillazione delle presenze è infatti strettamente collegata al calendario scolastico per cui la maggior affluenza si verifica in estate e durante le vacanze natalizie o pasquali. Da qui è nata l’esigenza di trasferire in alcune scuole l’attività di consulenza e informazione che normalmente viene svolta in sede. È stato cioè spostato l’operatore del PG in alcune sedi scolastiche dove maggiormente appariva opportuno intervenire per meglio seguire le richieste dei ragazzi. Previo accordo con i presidi e dopo aver elaborato con gli insegnanti il progetto nelle varie modalità operative, sono stati attivati tre diversi sportelli informativi presso l’I.P.S.S. E. Morante, i Corsi Serali Comunali, l’I.T.I. L. da Vinci. All’I.P.S.S. E.Morante lo sportello è stato inizialmente collocato in un corridoio dove i ragazzi potevano fermarsi durante l’intervallo. In seguito, data la brevità del tempo a disposizione e il normale caos che c’è in ogni scuola al momento dell’intervallo, si è preferito spostare il primo intervento all’interno di alcune classi, dove le ragazze potevano meglio conoscere le potenzialità del progetto, lavorando anche su temi specifici quali l’elaborazione del proprio curriculum ed un primo approccio al mondo del lavoro. Dopo questi primi incontri è risultato più facile per l’operatore essere ricercato e contattato direttamente dai ragazzi sia nella scuola stessa che nella sede di via della Colonna. Ai Corsi Serali Comunali c’è stata una maggior facilità di contatto fin dall’inizio, determinata ovviamente dalla diversa età degli studenti che hanno subito colto l’opportunità offerta loro usufruendo in gran numero dello sportello, formulando quesiti specifici e cercando un canale privilegiato per poter avere informazioni o materiale difficilmente reperibili, a causa della loro evidente mancanza di tempo libero. In questa scuola inoltre si sono avute molte richieste relative non solo ai servizi socio - sanitari e agli uffici pubblici, ma anche numerosi quesiti riguardanti l’Università (dalla richiesta di aiuto per le preiscrizioni alla guida delle varie Facoltà). Al di là delle diverse caratteristiche delle scuole prese in esame, si è riscontrato come elemento comune a tutte la totale disinformazione dei giovani riguardo ai servizi a loro rivolti. È apparso evidente quindi che il primo obiettivo che doveva porsi il progetto Punto Scuola fosse quello di facilitare al massimo la diffusione di informazioni relative a tutto quello che i giovani possono trovare sul territorio negli ambiti sanitario, sociale e dell’orientamento lavorativo, scolastico, universitario. Si è inoltre ritenuto opportuno dare una lettura chiara e visibile della rete dei servizi per i giovani e, per renderli più facilmente fruibili, localizzarli graficamente sul territorio fiorentino mediante una mappa dei servizi che rendesse più facile individuare “il dove e che cosa c’è”. Al tempo stesso era evidente come esistesse una totale disinformazione su servizi, progetti, opportunità e quant’altro era stato progettato per i giovani. Cercando di capire il perché di questa carenza informativa, abbiamo evitato di scaricare
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tout court la responsabilità sui giovani, alla ricerca di un facile alibi basato sul generico disinteresse della fascia giovanile verso la società. Ci è sembrato più corretto prendere in considerazione la possibilità che siano gli adulti a perdere di vista i bisogni e le richieste dei giovani, attivando nuovi progetti o mantenendone aperti altri al fine di impegnare finanziamenti pubblici da cui trarre un prestigio personale. La possibilità di avvalerci di questo osservatorio privilegiato all’interno delle scuole, anche se fluido e difficilmente inquadrabile in schemi rigidi, ci ha permesso di iniziare un importante lavoro, non ancora terminato, di analisi e raccolta di indicazioni. Questo spiega il titolo “dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi”, indicante al tempo stesso il lavoro in progressione e l’obiettivo finale. L’originario progetto si è sviluppato seguendo un percorso che è partito dal decentramento dello sportello informativo, si è soffermato sulla riflessione intorno all’efficacia dei servizi e infine si è interrogato su cosa succede dopo la scuola mediante una ricerca commissionata al Dipartimento Studi Sociali dell’Università di Firenze sulla prosecuzione degli studi e la transizione al lavoro. Per fare ciò è stato costituito un gruppo di lavoro formato dal personale del Punto Giovani, dagli insegnanti delle tre scuole coinvolte nell’intervento e dal Dipartimento con il prof. Baracani e i suoi collaboratori. Ciascuna rappresentanza del gruppo ha formulato le proprie proposte sulla base delle esperienze personali e del ruolo che rivestiva. Sono state così stabilite le basi della ricerca che si è poi sviluppata attraverso il questionario somministrato agli studenti di alcune classi e le interviste telefoniche rivolte ad ex-studenti delle tre scuole. I dati raccolti saranno presentati ampiamente dal prof. Baracani;x è importante sottolineare qui un altro aspetto significativo che questa iniziativa ha fatto emergere. Il lavoro nelle scuole ha evidenziato problemi, incongruenze, mostruosità burocratiche fra Enti Pubblici e Scuola Pubblica, che non solo non dialogano fra loro, ma sembrano farsi guerra a vicenda (sempre sulla testa dei ragazzi e delle loro famiglie). Il Punto Giovani, in quanto servizio pubblico, ha il compito di verificare periodicamente la propria validità rimodulando le proprie funzioni anche in relazione alle diverse problematiche che provengono dal mondo della scuola.
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QUALI GIOVANI A FIRENZE NEL III MILLENNIO: PUNTI DI CONTATTO TRA DUE RICERCHE Intervento del Prof. Alberto L’Abate Dipartimento Studi Sociali dell’Università degli Studi di Firenze
La nostra è una ricerca parallela a quella che viene presentata oggi; ho letto con interesse la relazione ed ho visto che ci sono una serie di punti di convergenza ed anche di integrazione rispetto alla nostra che vorrei sottolineare. Il primo punto di contatto è il fatto che in tutte e due le ricerche l’Istituto Professionale per i Servizi Sociali “Elsa Morante” è un po’ un perno fondamentale: per la nostra ricerca è addirittura il perno senza il quale la ricerca stessa non avrebbe senso perché si tratta di una ricerca fatta dai giovani sui giovani; appunto degli studenti dell’Istituto su citato su loro stessi e sui loro compagni di altre scuole fiorentine. Questo è l’obiettivo che ci siamo posti, ed è con grande gioia che abbiamo trovato nei giovani una risposta estremamente valida a questa proposta di essere non solo oggetto, ma anche soggetto della ricerca stessa. L’altro punto di contatto è, come ha detto anche il dr. Tozzi, il fatto che entrambe sono ricerche-intervento: il noto metodologo Galtung afferma che la ricerca non finisce con un documento di carta, ma solo quando si è modificata la realtà nel senso desiderato. Lo stesso vale per la nostra ricerca-intervento: cerca di modificare la realtà dando ai bisogni ed alle esigenze non soddisfatte che emergono nei giovani delle possibili realizzazioni. In questo senso un punto fondamentale è la continua verifica “in itinere”, per vedere la congruenza tra gli obiettivi proposti e le modalità di raggiungimento. Il terzo punto di contatto è il fatto che i giovani sono oggetto ma anche soggetto della ricerca. Entrambe le ricerche considerano una fascia simile di età. Una leggera differenza della nostra su quella presentata oggi è il fatto che non potevamo lasciare fuori il gran numero di studenti che in realtà non vengono nelle scuole secondarie superiori. Per questa ragione abbiamo previsto un campione non rappresentativo ma comprendente comunque un certo numero di giovani cosiddetti “drop out”, che hanno cioè abbandonato gli studi prima di arrivare alle scuole medie superiori. Se la ricerca presentata stamattina vede anche coloro che hanno finito la scuola secondaria e sono andati a lavorare subito, noi cerchiamo di cogliere anche quei soggetti che ne sono usciti prima. Questo sarà anzi un punto fondamentale perché nelle nostre ricerche precedenti abbiamo visto che quando i giovani studiano nelle scuole medie superiori il quadro che viene fuori è abbastanza omogeneo rispetto a certi valori, a certi comportamenti ed a certi problemi.I veri ignoti che dobbiamo capire fino in fondo, sono invece i giovani che hanno interrotto il percorso scolastico in tempi precedenti e che hanno problematiche e punti di vista molto diversi. Alcune differenze tra le due ricerche riguardano gli strumenti: almeno nella parte della relazione consegnata stamattina, quelli utilizzati dal collega Baracani e dai suoi collaboratori sono principalmente due: i questionari strutturati per gli studenti e le interviste telefoniche per i diplomati (per vedere il percorso successivo al diploma). Noi invece abbiamo messo al centro della nostra ricerca l’autobiografia stessa, cioè lo sforzo del giovane di fare e di elaborare una sua autobiografia che lo riporti a prendere coscienza dei punti di svolta della sua vita, dei punti di contatto e dei condizionamenti che hanno pesato sul suo percorso, che lo hanno portato in una direzione o nell’altra. Naturalmente l’autobiografia è un lavoro che richiede molto tempo:
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va lavorato il terreno per poter essere disponibili a farla, c’è tutto un lavoro di preparazione notevole, e dunque c’è una diversità anche nei numeri. Mentre nella ricerca presentata oggi sono stati contattati oltre 1000 giovani, noi alla fine del nostro percorso arriveremo ad averne dai 130 ai 150 (questo dipenderà dal numero esatto delle classi o di gruppi extrascolastici che andremo a contattare), è quindi un numero decisamente più ridotto, però la nostra esperienza è che questa mancanza di dati quantitativi viene compensata dal livello della profondità che si raggiunge attraverso il metodo dell’autobiografia. Questa almeno è la nostra speranza. Anche gli obiettivi sono leggermente diversi: mentre per la ricerca del mio collega Baracani e collaboratori, è quello di favorire l’orientamento e l’inserimento lavorativo dei giovani, di riuscire a dar vita ad un sistema integrato di connessione continua tra la scuola l’università e le strutture per il lavoro dei giovani (quindi porre come problema questo ascolto continuo e la necessità di un superamento di questo distacco di cui parlavano il dr. Tozzi e la dr.ssa Bracco); il nostro obiettivo, forse anche più ambizioso, è quello di tentare di rendere i giovani protagonisti e non spettatori del loro futuro. Il titolo di un libro di qualche anno fa che riporta i risultati di una ricerca sui giovani delle scuole romane si intitola appunto “Protagonisti o spettatori?”. I risultati indicavano che molto spesso i giovani si sentivano impotenti, solo spettatori di quanto succedeva loro intorno: la nostra ricerca è focalizzata ad una formazione dei giovani che li porti all’ “empowerment”, alla crescita del proprio potere personale, alla presa di coscienza che il giovane vale, che è importante, che deve e può essere protagonista della sua storia e che questa, con loro impegno, può cambiare. Al convegno dell’U.N.I.C.E.F., nell’anniversario della firma della Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Infanzia, svoltosi recentemente a Firenze, nella commissione di lavoro cui ho partecipato, è stata presentata l’esperienza di giovani che in certi paesi si sono attivati talmente da riuscire addirittura a trasformare la politica estera del loro paese, cercando di stimolare una politica di pace. Quindi è importante la presa di coscienza del proprio valore, del proprio peso, delle proprie scelte, dei propri desideri nel prendere decisioni da parte dei giovani. Per questo abbiamo scelto l’autobiografia come strumento di presa di coscienza di sé e come stimolo ad approfondire il proprio ruolo nel miglioramento della società. Quest’idea è emersa dalle nostre ricerche precedenti: sono circa 20 anni che facciamo ricerche sui giovani, in particolare sui giovani e la pace, non solo a Firenze, ma anche a Ferrara, Lecco, Bologna (abbiamo avuto un campione rappresentativo anche a livello nazionale), e da esse è venuto fuori un certo livello di alienazione, cioè la sensazione in molti di loro di essere delle pedine agite dall’alto, di non poter fare niente per cambiare le cose. Dalle nostre ricerche è emerso che questa sensazione, che abbiamo definito di alienazione,è piuttosto diffusa trai giovani intervistati. Ma è emerso anche il fatto che una società democratica, come la nostra, non può sopravvivere con un alto livello di alienazione specie dei suoi giovani, perché la democrazia ha bisogno di persone attive, coscienti, che si danno da fare. È emersa quindi la necessità di trovare degli strumenti per superare tale alienazione. Da questo abbiamo tratto la suggestione del processo maieutico, sul quale ha lavorato molto Danilo Dolci, con cui ho collaborato (morto circa due anni fa, conosciuto a livello internazionale, ed al quale è stata data una laurea in honorem in pedagogia da una delle Università italiane). Egli ha portato avanti un lavoro molto interessante, “Dal trasmettere al comunicare”, su una pedagogia che non trasmetta nozioni dall’alto ma che stimoli e crei un rapporto di comunicazione con gli allievi. Il processo maieutico, sorto inizialmente con Socrate, consiste nel cercare di tirare fuori dai giovani, e dagli adulti, tutte le loro qualità potenziali che molte volte invece non vengono valorizzate, e a volte addirittura depresse. Ho l’esperienza di un mio figlio che in una scuola veniva considerato un deficiente, ed in un’altra, con principi e metodi diversi ha svolto
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benissimo i suoi compiti, anzi è stato considerato tra i migliori in certe qualità. Il processo maieutico di Dolci si sviluppa su tre fasi: La prima fase è l’autoanalisi personale e di gruppo. L’autobiografia è un momento di autoanalisi personale che diventa però di gruppo, collettiva, quando la si confronta con i compagni, con i ragazzi delle altre scuole e con i drop-out, coloro cioè che sono usciti dal percorso scolastico. La seconda fase è l’analisi dei condizionamenti che hanno influenzato, in positivo ed in negativo, il percorso, lo sviluppo della personalità, le proprie aspirazioni, che cosa in questo senso ha rappresentato un aiuto o un ostacolo. La terza fase è l’individuazione e la progettazione di iniziative, percorsi, azioni, per ridurre il peso dei condizionamenti negativi e stimolare invece i condizionamenti positivi. Da questo punto di vista l’auspicio è che la nostra ricerca possa servire a questo. Anche la ricerca che viene presentata oggi è estremamente utile proprio per sviluppare la seconda e la terza fase: presenta infatti una indicazione molto precisa su certi condizionamenti e sui percorsi per superarli. Dunque tale ricerca sarà fondamentale per aiutarci a passare dalla prima alla seconda ed infine alla terza fase, e per completare il nostro lavoro. Forse proprio perché hanno utilizzato strumenti differenti e si sono proposti obiettivi diversi le due ricerche si integrano nell’obiettivo comune di avere dei giovani attivi e promotori di una vita sociale più valida.
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NELLA SCUOLA E DOPO: LA CENTRALITÀ DEL LAVORO Intervento del Prof. Nedo Baracani Dipartimento Studi Sociali Università degli Studi di Firenze
Non insisterò molto sulla relazione che ognuno ha in cartella; quello che invece mi interessa è sollecitare negli studenti sia di quinta che di terza un impegno: quello, se le scuole lo decideranno, a lavorare per capire meglio che cosa succede durante la scuola e soprattutto dopo. Vi invito con i vostri insegnanti a dare un’occhiata a questo rapporto, perché è la storia di terze e quinte classi come voi e vostri colleghi che dicono cosa pensano di fare. Dentro ci sono il lavoro, le possibilità per il futuro ed anche problemi: credo che questo possa essere oggetto di discussione con i vostri insegnanti. Mi preme innanzitutto chiarire quali sono i risultati che io mi aspetto da questo lavoro: non sono infatti in grado di dire se queste cose poi ci saranno oppure no. Il primo risultato che mi aspetto è che si crei un rapporto continuo e forte tra l’Università e le scuole superiori: siete già grandi per essere interessati a ciò che sta succedendo, sapete che i cicli scolastici vengono rivisti (si taglia un anno alla scuola media e si taglia un anno all’Università) e gli studenti che verranno dopo di voi a ventuno anni usciranno laureati. È finita l’epoca in cui si sta all’Università fino a venticinque, ventisei, ventisette anni: tra un po’ di tempo a ventuno anni gli studenti avranno concluso. Sta cambiando tutto: il modo di entrare nel lavoro, il sistema scolastico… e su questo bisogna creare nuovi legami. Allora il primo risultato che mi aspetto è che tutte le scuole superiori della nostra città che lo desiderino, possano avere, all’inizio di ogni anno scolastico, la situazione dei propri ex-studenti iscritti all’Università (dove sono, se hanno cambiato corso di studi, a che punto sono, come stanno andando le cose). E qui inserisco una prima informazione: le ragazze dell’Elsa Morante che sono iscritte ora all’Università sono: sette diplomate nel 1996, poche di più diplomate nel 1997 e ventitre diplomate nel 1998. Questo ci dice che mano a mano che si va indietro nel tempo gli studenti si assottigliano, abbandonano, e noi dobbiamo cominciare a pensare alla questione dell’abbandono non più soltanto come riguardante la scuola media e la scuola superiore, ma tutto il sistema insieme. Dobbiamo unire questo sistema formativo: questo è il primo risultato che mi aspetto. Abbiamo già fatto delle prove in questo senso con l’Università; la cosa si può fare ed io credo che sia importante che ogni scuola superiore all’inizio di ogni anno esamini la situazione dei propri ex-studenti. Tempo fa alla radio hanno dato la notizia di un Preside che un giorno ha deciso di andare a vedere quanti dei suoi studenti che si erano diplomati si erano poi laureati, ed ha scoperto con orrore che non se ne era laureato nessuno. Andando a controllare questo si capisce anche che cosa dobbiamo cambiare. Il secondo risultato che mi aspetto riguarda il lavoro e in quest’ultimo due obiettivi sono fondamentali: Il primo riguarda il lavoro nero. Dei cinquecentonove diplomati che abbiamo intervistato, uno su cinque fa il lavoro nero; questi fenomeni sociali oggi si possono combattere con degli strumenti nuovi rispetto al passato, perché non dimentichiamo che il lavoro nero è spesso frutto di un accordo tra chi lo fa e chi lo richiede. Oggi possiamo cercare di trasformare queste esperienze di lavoro in qualcosa di diverso: la scuola ed il lavoro si sono avvicinati con tutti i rischi che questo comporta, ma io mi aspetto un impegno su questo punto, perché non credo sia accettabile che un giovane su cinque lavori in queste condizioni. E aggiungo tra parentesi che mi aspetto anche un maggior impegno sui controlli relativi alla salute e alla sicurezza di questi ragazzi. Mi domando per
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esempio se non sia possibile aprire una trattativa tra le categorie produttive, gli studi professionali, le istituzioni locali, e trovare delle modalità di inserimento nel lavoro che non siano senza nessuna definizione. Credo che questo sia possibile e qualcuno questa iniziativa deve prenderla: le scuole sono uno dei soggetti, gli enti locali sono un altro di questi soggetti, le categorie produttive stesse possono prendere tale iniziativa. Sempre sulla questione del lavoro, l’Elsa Morante rappresenta un caso molto particolare: trovate nella relazione l’elenco delle occupazioni dichiarate dai diplomati. Alle pagine 36, 37, 38, troviamo il numero di persone che fanno determinati lavori: si tratta di attività attuate durante la scuola e magari dopo, in un primo periodo prima di entrare al lavoro. Ma sulla questione dell’Elsa Morante ci sono dei problemi particolari che vanno affrontati: innanzitutto una questione di genere, soprattutto femminile (un segmento debole), poi c’è la questione dei rapporti di lavoro che si instaurano con il terzo settore, in particolare con la cooperazione sociale, ed infine la situazione di forte debolezza del lavoro. Io mi aspetto un’iniziativa su questo. Pochi fra voi accedono agli studi universitari: in generale credo sarebbe auspicabile che un numero sempre maggiore di persone potesse avere una formazione alta, ma dalle tre scuole che abbiamo esaminato l’accesso all’Università è basso. Basta pensare che tra 245 studenti solo un piccolo gruppo (51 ragazzi) ha fatto la preiscrizione all’Università: se consideriamo la media nazionale per la quale su 100 diplomati di scuola superiore 49 si iscrivono all’Università, qui siamo sotto il 30%. Questo sottolinea il fatto che gli studenti di queste scuole appartengono ad una parte della società meno favorita e quindi, se attribuiamo un valore importante alla prosecuzione degli studi, questo è un problema da affrontare. Mi aspetto che da questo lavoro derivino delle azioni: • La prima è quella, che ho detto all’inizio, di stabilire un rapporto diretto, informativo con l’Università anche a fini di orientamento. • La seconda è che le scuole decidano, secondo modalità che loro riterranno praticabili, di seguire quello che succede ai propri studenti. Quando sono stati chiamati gli ex-studenti diplomati a casa, l’accoglienza a questa iniziativa è stata molto buona; questo significa che l’interessamento da parte della scuola per quello che succede dopo è vissuto positivamente dalle persone; questo lavoro di contatto con i vostri ex-colleghi dovreste farlo voi, all’interno della vostra normale attività. Non sono cose impossibili: si possono fare per gruppi selezionati, in tanti modi, però questi legami vanno ricostruiti. La scuola deve decidere di conoscere sistematicamente quello che avviene ai propri studenti; poi mi aspetto azioni in cui la scuola e le istituzioni locali debbano impegnarsi, in particolare nella questione del lavoro. Costruire dunque legami nuovi tra scuola, istituzioni, categorie produttive, cooperative sociali, studi professionali, per uscire da questa situazione in cui, tra i nostri ex-studenti, un diplomato su cinque lavora senza contratto o fa lavoro nero (la distinzione tra queste due etichette non è molto chiara: noi l’abbiamo interpretata come se chi dice che lavora senza contratto stia parlando di qualcosa di transitorio in attesa che si definisca, mentre chi dice esplicitamente che fa lavoro nero vuol dire che non ha nessuna altra aspettativa). Questi sono gli impegni che derivano dalle informazioni che abbiamo raccolto: secondo noi esistono le condizioni per poterli realizzare, e sono questi impegni che possono permettere ad un lavoro d’indagine di avere un senso. Parlando con gli insegnanti abbiamo visto che molti sono già a conoscenza di tante cose, però ognuno le conosce singolarmente (ognuno parla dei propri studenti ed ex-studenti): bisogna invece far diventare questo un fatto collettivo, pubblico, che sia oggetto di discussione e possa essere oggetto di intervento e di programmazione. Concludendo richiamo il vostro impegno: probabilmente a qualcuno di voi sarà chiesto l’anno prossimo di attivarsi per costruire e mantenere legami tra la scuola e l’esterno attraverso i vostri colleghi. Se vi sarà chiesto, sappiate che questo è un contributo importante.
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ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE “Leonardo da Vinci” Via del Terzolle, 91 Firenze Intervento del Preside Andrea Papini
Il mio intervento non vuole essere simile a quelli che mi hanno preceduto; vorrei invece approfittare di questa importante occasione che ci è stata offerta per dare il contributo che sostanzialmente ci è stato chiesto, un contributo cioè di risposta e riflessione a quelle sollecitazioni che ci riguardano direttamente e che il Prof. Baracani ha molto chiaramente espresso. Ovviamente questo tipo di riflessione molto sintetica e le risposte che cercherò di dare si riferiscono al vissuto della nostra realtà, all’esperienza che da tempo viene svolta nel campo dell’istruzione professionale, quindi agli aspetti che riguardano direttamente l’Istituto Leonardo da Vinci. Alcuni elementi di riflessione sono per noi particolarmente significativi perché, a mio parere, rappresentano degli elementi di controtendenza rispetto ad un quadro che generalmente si fa dell’istruzione professionale media superiore. Questa controtendenza va tuttavia verificata ed analizzata anche rispetto a dei fattori che integrano i dati e le valutazioni che dalla ricerca sono emersi. Una importante controtendenza è data dal fatto che un’elevatissima percentuale dei qualificati e dei diplomati del nostro Istituto trova rapidamente lavoro. Questo è un elemento che contrasta (a livello nazionale certamente) a livello anche regionale rispetto a punti percentuali significativi: siamo ben al di sopra di quelle che sono indicate come medie regionali di occupazione. Nello stesso tempo anche la rapidità con cui questa occupazione viene raggiunta è elemento significativo e non lo si ritrova dappertutto. Se questo è un elemento importante e favorevole al lavoro che nella scuola si fa, deve però essere interpretato alla luce di un altro fattore che è tipico del nostro Istituto e di quasi tutti gli Istituti Professionali, e cioè l’elevato livello di abbandono. Quest’ultimo è un aspetto preoccupante perché verificare che al termine del triennio poco più della metà degli allievi iscritti all’inizio raggiungono il diploma, significa riconoscere che ci sono degli elementi di disagio che controbilanciano in parte questa facilità di occupazione o di sbocco professionale. Per integrare ulteriormente questa riflessione c’è da dire che, anche sulla base di una precedente ricerca svolta negli anni passati, a cura del Distretto Scolastico n° 13, nei confronti del nostro Istituto, è necessario valutare che tipo di giustificazione o finalità ha avuto l’abbandono da parte di molti dei nostri allievi. Se ci riferiamo alla suddetta ricerca, troviamo che ancora un’elevata percentuale (ben oltre il 50%) dei ragazzi che hanno lasciato prematuramente il nostro Istituto lo ha fatto perché ha cercato e trovato lavoro. Dunque la causa principale dell’abbandono è il lavoro: tale fatto significativo mi sembra ben evidenziato nella ricerca, che pone al centro l’opzione lavoro (questo anche in relazione alle considerazioni che il Prof. Baracani faceva sulla bassa affluenza in ambito universitario dei nostri ragazzi). Tornando però all’elemento complessivo di ricerca occupazionale, e quindi alla possibilità di collocamento sul mercato del lavoro, proprio nell’ambito di coloro che abbandonano prematuramente, dobbiamo sottolineare un altro fatto emergente da queste ulteriori riflessioni che sui nostri ragazzi sono state fatte, cioè che, sia pur facilmente occupato, il ragazzo che esce dalla scuola ha una posizione sul mercato del lavoro molto debole, occupa ruoli professionali sottoutilizzati e non corrispondenti alla qualifica che potrebbe ottenere; nello stesso tempo è costretto ad una routine di passaggio continuo e di non stabilità del lavoro, che è altrettanto significativa per sottolinearne la debolezza sul mercato.
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La riflessione che emerge da questa valutazione sia pure sommaria di alcuni elementi numerici è di carattere strategico: una delle risposte che vorrei dare alle sollecitazioni che faceva il Prof. Baracani è il mettere in evidenza la necessità della integrazione sempre più profonda tra la scuola e la formazione, tra l’istruzione e la formazione professionale, perché solo in questo modo è possibile eliminare quell’automatismo che rende la figura professionale che esce dal canale dell’istruzione particolarmente debole e non corrispondente alle esigenze dei giovani. A questo proposito faccio riferimento ad un dato che emerge dalla ricerca sulla insoddisfazione del ruolo assunto nell’ambito lavorativo da parte di coloro che pur hanno avuto la fortuna di trovare rapidamente lavoro. Questa insoddisfazione è il segnale che non vi è una corretta integrazione, una giusta interrelazione tra il canale formativo ed il canale dell’istruzione. Tutto questo perché, anche in riferimento a quello che il Prof. Baracani diceva sulla situazione notevolmente evolutiva in cui si trova oggi l’istruzione superiore, dobbiamo tener conto che nei prossimi anni dovremo assicurare l’obbligo formativo fino ai 18 anni. Questo modifica radicalmente il quadro di riferimento in cui si sono collocate queste percentuali perché dover assicurare l’obbligo formativo fino ai 18 anni implica che davvero vi sia una possibilità di scambio tra le esperienze scolastiche e le esperienze nel campo della formazione professionale e viceversa, così da formare - elemento nuovo da costruire - una programmazione comune del quadro complessivo nell’ambito dell’obbligo dell’istruzione e della formazione. Per essere chiari, non è più pensabile che siano programmati separatamente i corsi o gli sbocchi legati alla formazione professionale e quelli invece assicurati dalla scuola media superiore: deve esserci sempre più un’integrazione tra questi due aspetti. Una risposta in questo senso viene anche da quella giusta sottolineatura del lavoro nero, non assicurato da un contratto preciso: fino ai 18 anni la formazione è elemento necessario per assicurare l’ingresso nel mondo del lavoro e questo nei fatti, piuttosto che nelle intenzioni, limita i margini di utilizzazione della manodopera con basso profilo a lavoro nero. Spesso le buone intenzioni, se non appoggiate a delle operazioni strumentali, a dei caratteri oggettivi in cui collocare le diverse decisioni, sicuramente non riescono ad ottenere i risultati. Credo che la necessità di assicurare certificazioni alle esperienze lavorative, frutto della programmazione corretta della formazione professionale, obblighi il mercato del lavoro a seguire delle strade più corrette nei confronti di coloro che vi operano. Una ulteriore considerazione mi è stata sollecitata dal riferimento che è stato fatto ai problemi della sicurezza: anche nella nostra scuola abbiamo considerato questo aspetto come molto importante e tutto da approfondire, poiché è un tema che per molto tempo, fino ad oggi, è stato lasciato ai margini e semmai subìto con l’applicazione di norme che erano quasi elemento di burocrazia. Nel nostro caso, a partire dall’esigenza di far apprezzare ai ragazzi che stanno a scuola anche l’attività lavorativa attraverso stage in azienda, abbiamo affrontato in termini non burocratici ma di contenuto l’aspetto della sicurezza e della prevenzione del rischio e, cogliendo tale occasione, siamo usciti dalla logica dell’accettazione di normative impositive ed abbiamo invece cercato di sfruttare quell’occasione per ribaltare verso le imprese e le aziende l’esigenza, che all’interno della scuola doveva esserci, di una formazione o di una informazione sulla prevenzione del rischio. Su questa strada stiamo cercando di andare avanti sfruttando la disponibilità di alcuni insegnanti impegnati in questo settore per affrontare il problema nodale della sicurezza del lavoro, proprio alla base del quale c’è la percezione del rischio. Su quest’ultima c’è sicuramente da lavorare molto perché possa trasferirsi nell’ambito del mondo del lavoro. Un’altra considerazione che mi ha meravigliato fortemente è l’analisi sui bisogni sociali dei nostri ragazzi. Avevo un documento sull’analisi della popolazione giovanile della Toscana
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estremamente sconfortante: dava infatti dei bassissimi valori percentuali nell’impegno dei ragazzi verso l’attività politica, l’attività di volontariato sociale…, mantenendo invece livelli molto elevati per quanto riguarda l’impegno nelle attività sportive… Emerge da questa ricerca, e spero che sia confermato da ulteriori approfondimenti, che invece ragazzi e ragazze intervistati e contattati hanno mostrato un impegno diretto in percentuali ben più alte rispetto a quelle presentate nel suddetto documento riassuntivo dei giovani in Toscana. Ma, addirittura ancora più importante, il fatto di essere ben disposti a lavorare anche se non direttamente o immediatamente in ambito sociale o politico. Questa credo che sia un’ulteriore controtendenza che deve essere sottoposta ad un approfondimento: ci dovrà essere una ragione per cui questo gruppo esaminato da questi segnali molto positivi che differiscono da altri che invece danno un quadro di riferimento peggiore. Sono sicuramente disponibile a proseguire, insieme all’Amministrazione Comunale e all’Università, questo tipo di rapporto perché sono convinto che avere a disposizione un quadro sempre più ricco e sempre più approfondito in termini quantitativi oltre che qualitativi della situazione giovanile è elemento essenziale perché la scuola possa adempiere al suo compito.
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CORSI SERALI COMUNALI c/o Istituto Tecnico Industriale “Leonardo da Vinci” Via del Terzolle, 91 Firenze Intervento della Preside Alba Soresi
Il lavoro che oggi viene presentato offre degli spunti interessanti per la conoscenza di alcune problematiche di un campione di quell’universo giovanile che per molti, talvolta anche per soggetti istituzionali importanti, appare misterioso. Certo, misterioso non può essere per chi lavora nella scuola e vede come in questo momento confluiscano e si manifestino in modo forse più evidente che altrove tendenze, comportamenti, aspirazioni, disagi. In questo senso davvero chi lavora nella scuola dovrebbe essere considerato e motivato ad essere sempre di più una sorta di antenna, di sensore, se non altro dell’atmosfera di questo particolare settore della nostra società, al di là del pressappochismo delle tante (troppe!) inchieste giornalistiche sui giovani ed anche, va detto, dell’astrattezza e dello schematismo con cui si impostano azioni e programmi che hanno i giovani come oggetto. L’asse fondamentale su cui questo lavoro si basa è quello di acquisire elementi di conoscenza sulle vicende successive alla scuola, nella direzione della prosecuzione degli studi e/o in quella dell’inserimento in un’attività lavorativa. Sullo sfondo notiamo spunti che sottolineano la diversità sostanziale dei Corsi Serali Comunali rispetto alle altre due scuole oggetto di questo studio. A questo proposito colgo l’occasione per annunciare che è in fase di stampa un lavoro di indagine specifico su un campione di 450 iscritti ai Corsi Serali, che spero al più presto di poter presentare, magari in una giornata di studio cui, fin da ora, invito tutti i presenti. A questo rimando per un riscontro quantitativo di questa diversità, sulla quale voglio invece, oggi, portare il mio contributo a livello di spunti qualitativi, quelli cioè che più difficilmente possono emergere da un indagine statistica. La diversità delle studentesse e degli studenti dei Corsi Serali non è solo quella, per così dire, strutturale, dell’appartenenza prevalente ad una fascia di età tra i 19 ed i 28 anni o al fatto che la stragrande maggioranza (82,6%) è occupata. Soprattutto è qualitativamente diversa la motivazione dell’iscrizione a scuola e sono quindi diverse le aspirazioni ed i progetti di vita, ma, direi, è diverso, sostanzialmente diverso, il rapporto con l’istituzione scolastica, la rete di relazioni interpersonali in cui i nostri studenti sono inseriti e quella di cui si fanno soggetti e promotori nel corso della loro frequenza nella nostra scuola. Insomma la differenza fondamentale, più volte accennata nel testo, è quella tra comportamenti ed aspirazioni di giovani e di giovani adulti, così definibili non solo in base a parametri anagrafici, ma, appunto, in base ad una loro diversa collocazione sociale i cui indicatori non sono esclusivamente quelli del reddito o dell’occupazione, ma, per fare un solo esempio quelli relativi ai rapporti con la famiglia di origine, con tutto ciò che questo ha comportato in termini di fluidità o meno nel percorso scolastico e comporta, oggi, in termini di progettualità e di modo di rapportarsi col problema della propria formazione. Ecco, mi preme molto sottolineare questa tematica della diversità degli studenti dei Corsi Serali Comunali, soprattutto in un momento in cui questa esperienza è continuamente e fortemente messa in discussione.
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Nella scuola che cambia, nell’ambito dei vari progetti di riforma, c’è infatti un’idea che circola: quella cioè di un’istruzione degli adulti vista quasi esclusivamente come formazione professionale. Il tema è, evidentemente, importantissimo e non è questa la sede per affrontarlo compiutamente. Credo tuttavia che questo assunto, soprattutto quando è preso come una sorta di postulato, sia discutibile. L’orientarsi della formazione per gli adulti in questo senso esclusivo non dà una risposta esaustiva alle esigenze proteiformi di un mercato del lavoro globalizzato, in cui i tempi del cambiamento sia tecnologico che organizzativo sono rapidissimi e gestibili, nei fatti (ma attenzione! In termini di addestramento e non di formazione) esclusivamente dalle stesse aziende. Credo, al contrario che una formazione personale integrale metta in grado di affrontare ed apprendere, magari con un “di più” di senso critico, i cambiamenti. (Es. l’Olivetti ha manager laureati in lettere, grandi aziende richiedono laureati in filosofia, l’attuale presidente della Repubblica Ciampi è arrivato al vertice di Bankitalia con una laurea in lettere classiche). Al di là di questo, ciò che disturba è il fatto che l’esistenza dei Corsi Serali Comunali sia considerata, con un po’ di supponenza, una sorta di epifenomeno che, uscendo da questo schema (formazione adulti= formazione professionale) è fuori dalla realtà o è una sorta di illegittimo doppio di ciò che nel sistema scolastico offre, o dovrebbe offrire, la scuola di stato. Bene, io affermo che, nella piena disponibilità al cambiamento di questa struttura, i Corsi Serali Comunali il loro ruolo e la loro legittimità se la siano conquistata sul campo, con i loro oltre 600 iscritti all’anno e con i loro 6000 diplomati dell’ultimo decennio, ma soprattutto con il tipo di risposte che hanno saputo dare valorizzando un enorme capitale umano marginalizzato da esperienze scolastiche negative e dai meccanismi a queste in gran parte riferibili. Credo che uno dei valori forti dei Corsi Serali Comunali sia proprio il valore aggiunto della costruzione di una rete di aggregazione tra giovani e adulti, spesso occupati in attività lavorative non in grado, o non più in grado, di produrre legami sociali ampi e forti e la cui collocazione, rispetto ai rapporti sociali, è spesso solo quella di consumatori, magari di consumatori subalterni. Vorrei citare, a riprova di questo due soli esempi: tra il 1991 ed il 1992 Staino e Ferlito girarono un film documentario montando molte ore di interviste a studentesse e studenti dei Corsi Serali Comunali, centrate sulle loro storie di vita e sulla loro esperienza di lavoratori studenti. In alcune di queste l’esordio è particolarmente significativo, poiché il racconto dell’intervistato inizia col dire non che egli è iscritto ai Corsi Serali da uno o due o più anni, ma che egli fa parte dei Corsi Serali. Negli stessi anni, a fronte di un pesante tentativo messo in atto per chiudere questa esperienza, i nostri studenti usarono come slogan delle loro manifestazioni e come dicitura su oltre cinquemila cartoline che inviarono al Sindaco le parole ”Non costruite un muro davanti al nostro futuro”. Lascio a voi le considerazioni su questi piccoli esempi. Voglio solo dire che la dimensione sociale dell’appartenenza, la dimensione esistenziale del futuro sono segni di un benessere personale e sociale che, credo, non può essere dato per scontato ed a cui noi, come Corsi Serali Comunali, siamo orgogliosi di aver dato un contributo. Bene, ritengo, con queste riflessioni, di aver offerto, per ciò che riguarda i Corsi Serali Comunali, l’approfondimento o meglio alcune rapide indicazioni di sviluppo degli spunti presenti nel lavoro di cui oggi discutiamo, il cui merito è, tra l’altro, proprio quello di presentarsi come work in progress dal punto di vista conoscitivo e, dal punto di vista propositivo, come primo gradino nella costruzione di un tessuto di relazioni istituzionali e interpersonali in grado di offrire ad un vasto settore di “non pubblico” preziose informazioni sulle occasioni che, come Corsi Serali Comunali, intendiamo continuare ad offrire ed a migliorare.
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ISTITUTO TECNICO GINORI CONTI via del Ghirlandaio 52, 50100 Firenze Intervento della Preside G. Pentangelo
L’Istituto Elsa Morante ha accolto con molto favore, fin dall’a.s. 98/99, il Progetto Punto Scuola offerto dal Punto Giovani del Comune di Firenze, sia come contributo formativo nelle attività di Terza area, sia come supporto prezioso per impostare l’attività di orientamento. È una collaborazione che, muovendosi nel sistema di relazioni scuola - lavoro, contribuisce senz’altro a rendere più efficace l’azione della scuola per la parte che le compete, ma soprattutto potrà essere una prima risposta non generica alle richieste di sostegno per la ricerca verso il proprio lavoro che gli allievi e le allieve di tutte e tre le scuole hanno fortemente espresso. Perché è la centralità del lavoro a dominare nelle scelte post-qualifica e postdiploma, con una carica di aspettative che mobilita energie e impegno. È dunque su questo delicato versante che soggetti pubblici e privati devono rimuovere ostacoli e trovare sinergie positive per dare possibilità concrete, e non mere parole, alla richiesta di occupazione dei giovani. Il loro disagio, oggetto di tante analisi in convegni e seminari ufficiali, si nutre anche dell’umiliazione e della frustrazione che le istituzioni producono. A questo rischio reale sono esposti gli studenti e le studentesse dell’Elsa Morante e tutti i loro coetanei degli Istituti Professionali per i Servizi Sociali, poiché è proprio sul terreno dell’inserimento nel lavoro che i dati di questa ricerca ne mettono in luce tutta la problematicità. E non certamente per una loro scarsa o scadente preparazione (vedi i risultati di tutto rispetto degli esami di maturità professionale) o perché i bisogni e le emergenze del sociale si stiano esaurendo, ma per una serie di nodi istituzionali, a tutt’oggi non sciolti, che accompagnano la nascita di questi Istituti Statali. Le conseguenze sul piano della motivazione, dei progetti di lavoro e di vita, di fiducia nelle istituzioni cominciano ad essere pesanti e deleterie. Il nodo fondamentale è senz’altro costituito dal fatto che le figure professionali degli O.S.S. (Operatori dei servizi sociali) e dei T.S.S. (Tecnici dei servizi sociali) formate in questi Istituti dopo tre anni di studi, i primi, e dopo cinque anni, i secondi, non sono presenti nel settore dei servizi sociali e quindi il titolo corrispettivo, pur valido, in quanto titolo statale a tutti gli effetti riconosciuti dalla legge, non è spendibile per l’inserimento lavorativo. I diplomati non possono nemmeno concorrere ai posti di lavoro O.S.A. (operatore socio assistenziale) formati dai corsi regionali di 600 ore, ai quali si può accedere dopo aver conseguito il diploma di terza media, nonostante che le loro competenze negli stessi settori siano acquisite con 3 o 5 anni di studio. Se vogliono lavorare in questo settore, possono farlo come Addetti di Base, figura professionale per cui è sufficiente la sola licenza media. È dunque facilmente immaginabile la delusione. Se non si tiene conto di questa situazione in cui collocare e leggere tutte le informazioni e i dati raccolti, i risultati rischiano di essere tragicamente fuorvianti e di aggravare il disorientamento e il disagio. Nella Riforma degli Istituti Professionali Statali del ’94 questi corsi hanno sostituito i corsi A.I. (Assistenza all’Infanzia) e A.C.I. (Assistenza di Comunità Infantili).
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Dovevano rispondere all’esigenza di formare figure professionali intermedie e con funzioni diverse da quelle assistenziali e sanitarie per meglio far fronte alle richieste e ai nuovi bisogni del contesto sociale, rispetto ai quali il Servizio Sociale, impegnato in prima persona, si trovava costretto a mutare concezione del servizio, logiche operative e cultura professionale dei propri operatori. La novità di questi corsi non fu solo di accogliere l’esigenza di una formazione diversa per chi lavora nel sociale, ma di concepire questa formazione come formazione integrata, affidata cioè allo Stato e alle Regioni, secondo le proprie vocazioni istituzionali: allo Stato la Formazione Generale, alla Regione la Formazione Professionale. Non in conflitto, dunque, ma in collaborazione per meglio rispondere alle esigenze del territorio. Si veda a questo proposito l’Intesa Generale siglata il 16/02/1994 fra Ministero della P.I. e Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Dal ’94, il cammino verso la collaborazione è stato problematico e difficile. Solo da un anno, dopo una serie infinita di incontri a livello Regionale e Provinciale, la Regione si è impegnata, in via transitoria, a dare il suo assenso alle attività di terza area (cioè quelle professionalizzanti) per cui, previo superamento di un esame, gli studenti e le studentesse del quinto anno possono prendere la qualifica regionale di Animatore di comunità o di Operatore socio culturale o di Operatore alle marginalità sociali, solo parzialmente affini al T.S.S., che permette loro di accedere al mercato del lavoro, ma con scarsissime possibilità di reale assunzione. A fronte della pesantezza del corso di studi e di formazione (ci si avvicina molto spesso alle 40 ore settimanali) dell’impegno e delle energie profuse, i risultati sono veramente sconfortanti. La complessa e flessibile professionalità del T.S.S. non trova spazio di collaborazione, mentre cresce sul territorio, nel variegato mondo del lavoro di cura e dei servizi socio-assistenziali, la domanda di personale con questa preparazione a cui fa riferimento anche l’ultima Legge Regionale Toscana n°72 (…… valorizzare la preparazione mirata a relazioni funzionali…) e il Decreto di delega al governo sul riordino del Sistema Sanitario Integrato. D’altra parte il più alto dibattito intorno alla riforma della Legge sulla Formazione Professionale, evidenzia il rapporto stretto tra qualità del servizio, qualità professionale e alta scolarità. Ciò sembra andare nella direzione di scoraggiare, nel mercato del lavoro, professionalità acquisite in percorsi brevi, frammentari e superficiali, per privilegiare professionalità alte e più organicamente articolate. L’occasione della ricerca ci pone, dunque, di fronte ad uno spreco non indolore di risorse finanziarie e umane, che la scuola deve ascoltare e farsene portavoce per aprire non solo una riflessione su questi temi, ma per verificare fin d’ora l’impegno che le istituzioni ed i loro rappresentanti possono assumersi nei confronti di questi giovani e del loro futuro. Vorrei ricordare che un paese che si dica civile deve considerare prioritario l’investimento sulle giovani generazioni, perché esse costituiscono una parte grande della sua ricchezza e della sua possibilità e qualità di sviluppo.
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ISTITUTO TECNICO STATALE “GINORI CONTI” Presentazione delle azioni organizzate per ottenere il riconoscimento del titolo di Operatore e Tecnico dei Servizi Sociali prof.ssa Raimonda Ugolini
Nel mese di Aprile dello scorso anno, durante la manifestazione “ Giovani alla Leopolda” organizzata dal Comune di Firenze, l’Istituto Elsa Morante ha promosso una tavola rotonda sul tema dell’inserimento delle nuove figure professionali in campo sociale. Per l’occasione sono stati invitati: l’Onorevole Valdo Spini, la prof. Giusti docente della Scuola di Servizio Sociale, i rappresentanti dell’Istituto Datini di Prato e dell’Istituto Einaudi di Pistoia che, hanno istituito entrambe corsi di Operatore e Tecnico dei servizi sociali (O.S.S. e T.S.S.), insieme agli assessori dei relativi Comuni, delle rispettive Provincie ed ai responsabili della formazione professionale della Regione Toscana. In questa occasione è stato inviato l’esposto che segue al Ministero del Lavoro ed a tutti i politici in indirizzo. A seguito dell’incontro anche le scuole di Prato e Pistoia si sono attivate con iniziative concrete indirizzate alla risoluzione definitiva del problema. Ad oggi sono stati fatti i seguenti passi: • Coordinamento di tutti gli Istituti Professionali per i Servizi Sociali della Regione Toscana che vede riuniti oltre all’Einaudi di Pistoia, al Datini di Prato e all’Elsa Morante anche il Civitali di Lucca, il Chino Chini di Borgo S.Lorenzo, il Severini di Cortona e il Pacinotti di Fivizzano (Massa); • Richiesta di parere legale all’Avvocatura Distrettuale dello Stato relativamente all’equiparazione della qualifica O.S.S. (Operatore dei Servizi Sociali) alla qualifica regionale di Addetto all’Assistenza di Base (ADB); • Convegno presso il Salone de’ Dugento al termine del quale l’assessore alla Pubblica Istruzione Daniela Lastri si è impegnata formalmente a risolvere il problema dell’inserimento nel mondo del lavoro delle figure professionali di O.S.S. e T.S.S.; • Incontro con l’Onorevole Bracco, membro della Commissione Pubblica Istruzione della Camera dei Deputati e con l’Onorevole Innocenti, membro della Commissione del Lavoro della Camera dei Deputati per definire la collocazione dei profili professionali suddetti; • Incontro con l’assessore Paolo Benesperi, responsabile della Formazione Professionale della Regione Toscana e con l’assessore Simone Siliani, responsabile delle Politiche Giovanili, durante il quale la Regione si è impegnata ad esporre il problema in sede di conferenza Stato-Regione e di valutare la possibilità di inserire sul Bollettino Regionale Toscano i titoli O.S.S. e T.S.S. all’interno del regolamento attuativo della Legge Regionale 22, relativamente al settore socio - educativo. • Per il settore socio-assistenziale è stato concordato un nuovo incontro che dovrà tenersi nel mese di Marzo per definire una volta per tutte la destinazione delle due figure professionali sul territorio.
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ESPOSTO AL MINISTERO DEL LAVORO SULLA SITUAZIONE DEI PROFESSIONALI Al Ministro del Lavoro On. Antonio Bassolino Al Ministro Pubblica Istruzione On. Luigi Berlinguer Alla Ministra degli Affari Sociali On. Livia Turco Alla Ministra delle Pari Opportunità On. Laura Balbo Alla Ministra della Sanità On. Rosy Bindi e p.c. all’On. Valdo Spini all’Assessore Regionale alla Sanità Martini all’Assessore Regionale alla Formazione Professionale e Istruzione all’Assessore Regionale alle Politiche Sociali Simone Siliani al Presidente della Provincia di Firenze Michele Gesualdi (con delega alla formazione professionale) all’Assessore Provinciale alle Politiche Sociali Vittorio Lampronti all’Assessore Provinciale alla Pubblica Istruzione Piero Certosi all’Assessore Comunale alla Sanità e Politiche Sociali Marco Geddes da Filicaia al Direttore della Direzione 18 del Comune di Firenze Lamberto Tozzi OGGETTO: Riconoscimento delle figure professionali, Operatori dei Servizi Sociali e Tecnici dei Servizi Sociali, formate presso gli Istituti Prof. Statali per i Servizi Sociali, in particolare presso l’Istituto “Elsa Morante” di Firenze nei bandi di concorso per qualifiche di I° e II° livello nelle strutture socio - assistenziali e per assunzioni dirette tramite Ufficio Collocamento. PREMESSO CHE Nell’anno scolastico 1988/89, il M.P.I., direzione professionale, istituiva, come sperimentazione assistita, il Progetto 92 avviando in via sperimentale la riforma dell’istruzione professionale, triennio più eventuale biennio, per rispondere meglio alle esigenze di riqualificazione sia della formazione generale culturale, che di quella professionale degli/le studenti su standard Europei. Il D.M. 119 del 24. 04. 92 indicò programmi e orari di insegnamento dell’area comune, dell’area di indirizzo e dell’area di approfondimento. Con applicazioni graduali, all’inizio lasciate alle decisioni autonome dei singoli collegi dei docenti, il progetto andava a regime nel 1995/1996, almeno per la struttura del nuovo triennio, costituito da un biennio di formazione generale e da un monoennio professionalizzante. Al di là delle materie culturali comuni a tutti gli Istituti di istruzione secondaria, ogni Istituto Professionale si caratterizzava per gli indirizzi professionali specifici definiti dal Ministero.
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Gli Istituti Professionali per Assistente all’Infanzia si trasformarono così in Istituti Prof. per i Servizi Sociali, con rilascio di qualifica di O.S.S. (operatori dei servizi sociali) al termine del triennio. Questa nuova figura di operatore sociale, con funzioni diverse da quelle tradizionali sanitarie e assistenziali, è preparata attraverso una formazione teorica e tecnico- pratica e nell’ambito dei servizi socio-educativi, ad interagire con i soggetti che operano nello stesso contesto (medico, infermiere, ass. sociale, ass. domiciliare, educatore professionale, volontari ecc.). Con circolare ministeriale n. 135 del 91, furono istituiti in via sperimentale i nuovi bienni post-qualifica che, sempre con applicazione graduale, andavano a regime in successione alle nuove qualifiche. Tali corsi post-qualifica venivano individuati in parallelo alla possibilità di scegliere dopo il triennio tra l’accesso al biennio terminale degli Istituti Tecnici, previo esame, e l’accesso a corsi di formazione regionale; tentavano quindi di mediare il conflitto di competenza che si era creato tra Stato e Regione riguardo all’Istruzione Professionale attribuita per dettato costituzionale (art. 117C) alle Regioni. In particolare si indicavano due opzioni: 1 - biennio terminale integrato, organizzato in collaborazione tra Stato e Regione 2 - biennio terminale surrogatorio, organizzato dallo Stato in ambito delle singole scuole, in attesa che la Regione si attivasse nella parte di sua competenza. Allegata alla circolare n. 135/91 venne presentata un’ampia articolazione degli obiettivi del biennio integrato, visto come risposta di superamento del gap tra Sapere e Saper fare, attraverso un miglior utilizzo delle opportunità offerte dalla scuola e quelle insite nella formazione professionale, correlate alle mutevoli esigenze occupazionali locali. La figura del T.S.S. che viene formata nel biennio (professionalità di secondo livello), è capace di inserirsi in modo autonomo in strutture operanti sul territorio, di recepire le nuove istanze emergenti dal sociale, di ricercare soluzioni, di programmare interventi mirati in ordine alle esigenze fondamentali della vita quotidiana in un’ottica non più assistenzialistica, ma come progetto di recupero della qualità di vita. Il che implica capacità di relazione funzionale con l’utenza e con gli altri operatori dello stesso contesto. Con D.M. del 15. 04. 94 venivano istituiti i programmi e gli orari di insegnamento nei corsi suddetti, con un curricolo strutturato in un biennio caratterizzato da due pacchetti formativi, l’uno di competenza scolastica e l’altro di competenza regionale. In particolare in sede scolastica, vengono così organizzate due aree: 1° - area delle discipline comuni di formazione umanistico scientifica 2° - area delle discipline di indirizzo per un totale di 900 ore annue. Di competenza regionale rimane la 3° area di professionalizzazione per un totale di 300/450 ore annuali. Il tutto a seguito di una intesa generale del 16. 02. 1994 siglata tra M.P.I. e conferenza dei Presidenti delle Regioni “per la conclusione di accordi Regionali e Provinciali in materia di integrazione dei sistemi formativi, con particolare riguardo anche al riconoscimento della valenza professionale dei curricoli integrati” come viene espressamente richiamato nella premessa al decreto suddetto. La Regione Toscana il 31. 08. 94 con legge n. 70 assunse la nuova disciplina in materia di formazione professionale. All’art. 7 (rapporti con l’organizzazione scolastica e l’Università) si dice espressamente che “la Regione e le Provincie promuovono e attuano la collaborazione, il reciproco coordinamento delle attività e idonee forme di integrazione operativa con l’ordinamento scolastico statale e l’Università, mediante intese, accordi anche di programma e convenzioni rivolti ad elevare la qualità dell’offerta formativa del sistema pubblico allargato nella regione”.
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A tal fine al comma 3 si dice che in particolare “possono essere programmati e realizzati…” (pag.6). Alla fine del biennio viene rilasciato un diploma di maturità professionale valido per l’iscrizione all’Università e per partecipare a bandi di concorso statali per i quali sia richiesto un diploma di scuola secondaria superiore. Al di là però delle promesse e delle intese, la verità dei fatti denuncia che per quasi tutti gli /le studenti diplomati nei professionali della Provincia di Firenze ed in particolare per quanti/e in possesso del diploma di Tecnico per i Servizi Sociali (T.S.S.) è stato oggi impossibile: 1. Trovare presso l’Ufficio di Collocamento figure professionali corrispondenti al titolo di studio acquisito 2. Concorrere a posti di lavoro banditi da Enti e Strutture socio-sanitarie-assistenziali, per accedere a mansioni che avrebbero potuto ricoprire con piena capacità professionale, poiché il loro titolo di studio (sia diploma di qualifica O.S.S. che maturità T.S.S.) non figura tra quelli riconosciuti per formulare la stessa domanda di partecipazione. Dopo una serie infinita di incontri a livello Regionale e Provinciale, per tentare di trovare idonea soluzione al problema, sembra ora che qualcosa possa cambiare a seguito della delibera Regionale del 20. 07. 98 n.°836, in cui la Regione si impegna in via transitoria a dare il proprio assenso alle attività di terza area (cioè quella professionalizzante), previo superamento di specifico esamino da sostenere prima della maturità. Questo solo per le attuali quinte dell’anno scolastico in corso, escludendo gli studenti e le studentesse già diplomate nei due anni precedenti e creando quindi una situazione di ingiustificata disparità. Anche per questa soluzione rimane comunque del tutto oscura la spendibilità del titolo così acquisito in quanto, seppure sia stata dichiarata la disponibilità ad arrivare a forme di equipollenza con alcune figure professionali formate direttamente dalla Regione o da Centri Privati in concessione, la complessa e flessibile professionalità del T.S.S. non trova proprio spazio di collocazione. Il tutto mentre cresce sul territorio la domanda di personale con questa preparazione nel variegato mondo del lavoro di cura e di servizi socio-assistenziali, di cui anche alla ultima Legge Regionale Toscana n.° 72 del 1997… (valorizzare la preparazione mirata a relazioni funzionali ) e al decreto di delega al Governo sul riordino del sistema sanitario integrato. Sfugge al buon senso comune il perché di tanto spreco di risorse finanziarie e soprattutto umane, fonte anche di umiliazione e frustrazione di cui si nutre il disagio giovanile, oggetto peraltro di tante analisi in convegni e seminari ufficiali. Non è in questa sede che vorremmo affrontare, del resto, l’indagine più oculata di eventuali interessi di parte che hanno contribuito a mantenere irrisolta l’intera questione, vero è che anche a parità di risultati, la scuola pubblica spende di meno. Di fatto rileviamo che sul mercato del lavoro si tende a privilegiare professionalità acquisite in percorsi brevi, frammentari e superficiali, oppure, peggio, a mortificare alte competenze assistenziali acquisite in 3 o 5 anni di studio, in mansioni inerenti a qualifiche di base acquisibili con titoli di studio di terza media più un corso di 600 ore (vedi curricolo e accesso ai corsi OSA), mentre il più alto dibattito intorno alla riforma della legge sulla formazione professionale, mette in evidenza il rapporto stretto tra qualità del servizio, qualità professionale e alta scolarità. Ciò sottende alla stessa riforma dei cicli del M.P.I. con relativo innalzamento dell’obbligo fino a livelli Europei (vedi allegato documento finale della commissione di Studio ad hoc preposta pubblicato in CISEM 15/16/17/18 - 1996).
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Aggiungasi ancora che sul territorio nazionale alcune Regioni si stanno già muovendo per dare attuazione all’intesa richiamata in premessa, contribuendo in tal modo a costruire una situazione di evidente disparità nelle opportunità di lavoro fornite a studenti con medesima qualifica o maturità professionale, ma di diversa appartenenza regionale (vedi documento dell’Assessore alle Politiche Sociali Emilia Romagna del 18.02.97 )
FORMAZIONE ED ORIENTAMENTO: IL RUOLO DELLA PROVINCIA Intervento dell’Assessore al Lavoro, Formazione Professionale e Politiche Sociali della Provincia di Firenze Dott.ssa Mirna Migliorini
TUTTO CIÒ PREMESSO Individuato nel Ministero del Lavoro l’ultima interlocuzione possibile, atteso che lo stesso dispone le figure professionali da inserire nel prontuario apposito in uso presso gli Uffici di Collocamento, valga il presente esposto come richiesta formale di intervento sanatorio di una situazione non più prorogabile, con il riconoscimento pieno del titolo di studio di qualifica professionale di Operatore dei Servizi Sociali e di Maturità di Tecnico dei Servizi Sociali in una figura professionale specifica da inserire in strutture socio-assistenziali, che per competenze e preparazione può a buon merito collocarsi tra l’addetto di base e l’assistente sociale o altre figure di formazione universitaria come viene definita nei documenti del Ministero della P.I.. Agli altri riferimenti in indirizzo si chiede altresì di attivarsi a sostegno della richiesta e a ricercare altrettanto idonee soluzioni al problema, per quanto di loro competenza, prima che il tutto diventi oggetto di contenzioso giudiziale con ulteriori aggravi di spesa per i singoli soggetti interessati e per l’intera collettività. La Commissione per il Riconoscimento del Titolo Professionale. Firenze, 20 maggio 1999
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Una ricerca che offre elementi interessanti, sicuramente utili per poter meglio programmare come Amministrazione Provinciale i nostri prossimi interventi nel campo della formazione e del rapporto con la scuola. Parlerò sempre meno di formazione professionale, ritengo che sia più corretto e più adeguato ai compiti che abbiamo davanti (scuola e istituzioni) parlare piuttosto di politiche attive del lavoro, intendendo che la formazione professionale è uno degli strumenti che le amministrazioni pubbliche devono attivare, insieme ad altri, per creare reale occupazione. Intendo dire che negli anni passati (non per carenza di alcuno, ma perché questo era il sistema) era molto più facile organizzare all’inizio di ogni anno una serie di corsi di formazione per tutta una serie di tipologie di professioni, senza misurare il tipo di attività che si andava a programmare con i reali bisogni del territorio. Questo determinava, oltre ad uno spreco di risorse (come ci diceva poco fa la Preside dell’Elsa Morante), il fatto che non si creava occupazione: tutto il sistema deve essere invece orientato a dare una risposta positiva rispetto ai bisogni economici e produttivi del territorio e quindi a creare reale occupazione. Io intenderò parlare, ma anche applicare e lavorare sul tema più vasto delle politiche attive del lavoro: politica attiva del lavoro è orientamento. L’orientamento è un elemento del sistema delle politiche attive del lavoro; noi dovremo investire molto come Amministrazione Provinciale su questo versante, nel quale troviamo subito una prima saldatura rispetto al mondo della scuola ed al mondo produttivo delle imprese. Quindi forti sono i cambiamenti che noi dobbiamo attraversare: io ne indico tre come elementi che stanno mutando molto anche per il ruolo dell’Amministrazione Provinciale che su questo campo del lavoro, dell’occupazione sta assumendo un ruolo centrale e di prima linea. Il primo elemento che ci induce ad un cambiamento è un elemento di reciprocità, cioè il “sommovimento” che sta attraversando in questi ultimi anni tutto il mondo della pubblica istruzione: il mondo della scuola è alla fine di un processo e diventerà in qualche modo irriconoscibile rispetto a quando siamo partiti; quel mondo della scuola che si catalogava come un mondo chiuso, a sé stante, separato da ciò che la società produceva (anche di innovazione) oggi è completamente aperto. Mi sembra un grande sforzo che il mondo della scuola, a partire dai suoi insegnanti e dagli studenti, sta assumendo: è proprio una rivoluzione culturale. Questo processo probabilmente si concluderà, per quello che è dato capire oggi, con la riforma dei cicli scolastici. Basterebbe citare l’innalzamento dell’obbligo scolastico ai 15 anni, l’obbligo formativo ai 18 anni, i problemi dell’educazione permanente, poi la riforma dei cicli (e probabilmente gli operatori della scuola ne potrebbero aggiungere molti altri) insieme all’istituto dell’autonomia, che è il cardine principale, per mostrare come il mondo della scuola stia cambiando completamente. Cambia al suo interno, ma soprattutto nel rapporto con il mondo esterno. Il secondo elemento di forte cambiamento che ci induce davvero ad una modifica profonda del nostro modo di lavorare (quindi rimettendo profondamente in discussione anche il modo di lavorare e il ruolo dell’Amministrazione Provinciale) è quello della riforma del collocamento. Quest’ultima dice semplicemente che non è più il Ministro del Lavoro che ha la delega, le competenze, le responsabilità sul collocamento, ma che queste competenze vanno tutte alla Regione; poi la Regione ha fatto una legge (la legge 469 del ’97 Legge dello Stato e la L52 del ’98 Legge Regionale)
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che delega alla Provincia la competenza del collocamento, ma non solo questo, tutto l’insieme dei servizi per l’impiego. Naturalmente noi manteniamo il collocamento così come lo conosciamo (nella parte burocratico-amministrativa: iscrizione alle liste, cancellazione, modifica, ecc…), ma insieme a questo la legge dice che la Provincia diventa titolare di tutte le politiche del lavoro e di servizi per l’impiego, il che significa che noi stiamo mutando anche come collocazione geografica e aspetto d’immagine: rispetto al primo aspetto, gli uffici del collocamento, li faremo quanto più possibile decentrati sul territorio, in modo che rappresentino un punto di rapporto facile con la cittadinanza, siano essi giovani che vanno ad iscriversi, siano essi gli inoccupati e gli espulsi dalla produzione, in modo che ci sia questo rapporto stretto; rispetto al secondo aspetto dell’immagine, e della sostanza, in queste stesse sedi non faremo soltanto l’iscrizione, la cancellazione, la modifica, ma cominceremo a dare i servizi che sono l’informazione, l’orientamento professionale (funzione importantissima che stiamo scoprendo e sulla quale stiamo costruendo delle professionalità), il curriculum (molto spesso i ragazzi che vengono all’Infolavoro, che è già un primo nucleo del futuro sistema, non sanno nemmeno come si fa un curriculum di lavoro, come ci si rapporta ad un’azienda, quali cose devono essere messe in luce, rispetto ad altre che non servono), il bilancio di competenze, il che significa capire che cosa la persona che hai di fronte sa fare, ciò per la quale ha studiato o si è formata professionalmente, ciò che ha in animo di fare, quale può essere la sua vocazione nel mondo del lavoro, ed infine il rapporto con le aziende (perché spesso nemmeno le aziende sanno che cosa vogliono, vengono ai nostri uffici dicendo genericamente che hanno bisogno di una figura per fare un determinato lavoro, non sapendo quale sia il tipo di bagaglio professionale necessario), quindi orientamento anche sulle imprese. In definitiva, con molta semplicità, si tratta dell’incontro tra la domanda e l’offerta, costruire cioè per la prima volta nel nostro Paese un vero mercato del lavoro, in cui si confrontano, si incontrano, si incrociano le domande di chi cerca lavoro e la domanda di chi cerca, invece un lavoratore. Questo è l’insieme di quelle che chiamiamo le politiche attive del lavoro, poi ce ne sono altre, alcune le stiamo scoprendo e mettendo a regime ora con queste nuove competenze che ci sono arrivate. Andiamo a costruire un vero e proprio sistema dove la formazione professionale tradizionalmente intesa rimane una parte importante ma non esclusiva. In questo senso affermo che come cambia la scuola tradizionale cambia anche la formazione professionale tradizionale: dovrà esserci molto più rapporto di collaborazione non soltanto fisica ma anche proprio di progettazione tra i centri di formazione professionale (anche il Comune ha le sue sedi formative) e gli istituti professionali, così come diceva la Preside dell’Elsa Morante. Anche su questo dobbiamo maggiormente intrecciare le nostre competenze e conoscenze, finalizzate all’obiettivo di costruire anche professionalità nuove: si stanno costruendo nuovi profili professionali perché il mondo del lavoro, il mondo sociale richiedono nuove professionalità che noi dobbiamo progettare, costruire, mettere a regime, codificare e mettere sul mercato del lavoro. Il terzo elemento forte che cambia molto il quadro, oltre alla scuola e alle politiche del lavoro che mutano, è quello di come cambia l’Europa: il Fondo Sociale Europeo (fondo attraverso il quale la Comunità Europea finanzia nei paesi membri i processi di formazione e di avviamento al lavoro) con l’agenda 2000, quindi nel sessennio 2000-2006, dà, per quello che siamo in grado di capire oggi, orientamenti ed una filosofia molto diversi nella modalità da quelli del sessennio passato che si sta chiudendo; anche l’Unione Europea ci dice che i corsi, le attività per il lavoro, le politiche attive, devono essere quanto più articolate richiede il mercato e finalizzate con chiarezza alle occasioni, alle opportunità di lavoro vero. Anche qui si afferma: “Non più corsi routinari, vanno bene quelli per i quali c’è richiesta di mercato, per il resto sono necessari innovazione e confronto con le realtà produttive territoriali”.
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Su questi tre elementi dobbiamo collaborare amministrazione, scuola, agenzie formative e mondo imprenditoriale per costruire un nuovo sistema di politiche per il lavoro. Abbiamo anche un altro problema di fronte a noi: siamo in un territorio sicuramente privilegiato rispetto ad altri del nostro paese, ma dove (e di questo dobbiamo avere piena consapevolezza) le forze imprenditoriali se per un verso sono dotate di creatività, fantasia, capacità di innovazione (le piccole e medie imprese sono la nervatura economica e produttiva del nostro territorio) e flessibilità, per l’altro molto spesso richiedono più facilmente qualifiche medio-basse e non medio-alte. Questo è un punto importante non soltanto per la scolarità che si alza (per i livelli di competenza e conoscenza che portano ad aspirare a lavori medio-alti) ma è anche un problema strutturale del mondo economico e produttivo: bassa professionalità vuol dire infatti comunque una qualità non adeguata a stare in un mercato sempre più globalizzato dove noi non competiamo per i bassi salari, per la scarsa attenzione ai problemi della sicurezza nel mondo del lavoro, con i paesi del Terzo e Quarto Mondo, che ovviamente hanno un costo del lavoro infinitamente più basso (auguriamoci che anch’essi riescano a conquistare un po’ per volta garanzie sociali più importanti), ma competiamo in virtù della nostra capacità di creare qualità, innovazione, e di individuare nicchie di mercato nei bisogni alle persone, al territorio, all’ambiente, al mondo produttivo, che altri non hanno, ma per fare questo ci vuole una professionalità medio-alta. Dovremo quindi aprire un confronto molto serrato anche con il mondo imprenditoriale: come Amministrazione Provinciale siamo parte di un tavolo tripartito dove sono presenti le Amministrazioni locali, il mondo imprenditoriale e le organizzazioni sindacali e ad esso daremo questo tipo di orientamento. Lavorerò in questi anni su tale versante avendo presenti due aspetti fondamentali: uno è il mondo della scuola, dove ci sono professionalità, capacità, inventiva, progettualità alta; l’altro aspetto su cui dovremo lavorare è quello del formare queste professionalità medio - alte, che sono in rapporto alle nuove tecnologie, ma non solo. Sono d’accordo con quanto affermava prima la prof.ssa Soresi e cioè che c’è tutto un mondo della formazione più umanistica che dobbiamo tener presente perché è un bagaglio e una ricchezza di ciascuno di noi e quindi patrimonio collettivo. Credo che dobbiamo riuscire a dare, come contenuto profondo dello studio e poi anche del lavoro, un sentimento di gratuità nel sapere: dobbiamo imparare ad amare e a perseguire un sapere gratuito che può sembrare non finalizzato ad un bisogno immediato (studio perché trovo lavoro) ma che rappresenta una ricchezza fondamentale che ci accompagna. Lavorando su questo terreno, riusciremo, in un mondo che cambia fortemente, a “tutelare” ciò che oggi non sappiamo tutelare: 1) - le fasce del disagio (ne abbiamo anche nella nostra che è sicuramente una realtà fortunata da molti punti di vista) che devono essere considerate per inserimento scolastico, sociale, lavorativo. Con l’Assessore Lastri già lavoriamo su questo per quanto riguarda l’immigrazione: dovremo portare avanti questi progetti; 2) - un mondo che cambia, che si articola sempre più in una moltitudine di lavori (il sociologo A. Cornero diceva già anni fa in modo profetico: “Non potremo più parlare di un mondo di posti di lavoro ma di un universo di lavori” ) richiede molta flessibilità ed una capacità continua di professionalizzarsi e di aggiornarsi (l’altro capitolo dell’educazione e della formazione permanente). Dobbiamo riuscire con un processo di educazione - formazione continua a dare forza anche al lavoro episodico e flessibile perché “flessibilità ” non necessariamente fa rima con “precarietà”. Potrebbe fare anche rima - e questa è la scommessa - con “opportunità”, ma le opportunità vanno costruite, sostenute: dobbiamo costruire una rete di collaborazione solidale tra istituzioni, mondo della scuola e mondo imprenditoriale che rovesci la flessibilità in opportunità. La sfida dei prossimi anni, come Azienda Italia e come Enti Locali, la giocheremo proprio sul terreno della formazione, della cultura alta e diffusa, che ci farà essere protagonisti nel tempo della globalizzazione.
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SERVIZI SOCIALI: ASCOLTARE ED AGIRE Dott. Lamberto Tozzi Direttore Direzione 18 - Comune di Firenze
Quando iniziammo a ragionare su questa iniziativa qualche tempo fa, l’idea è partita dalla considerazione (ogni tanto fatta da chi è in contatto con i giovani) che i ragazzi, al di là di alcune esperienze del tutto personali (per esempio di chi come me lavora nei servizi sociali) sono, per chi non ha un rapporto di lavoro costante con loro, sostanzialmente un mondo sconosciuto, non nei rapporti personali ma nei rapporti collettivi. In fondo noi interveniamo a ridurre i danni che nella società le scelte singole di ognuno fanno rispetto alla propria vita e alla vita collettiva; quindi interveniamo con i Servizi Sociali sulle tossicodipendenze, sull’alcoolismo, sull’abbandono scolastico, sui livelli di povertà (a questo proposito Firenze non è un’isola felice: è una città ricca ma ha delle sacche di povertà estese e profonde). Si pensò allora per sistematizzare (non è certo questa la soluzione al fatto che la società nel suo complesso conosce poco il mondo giovanile, salvo chi su queste cose vive ogni giorno ) di fare un lavoro, che è questo che comincia a concretizzarsi adesso. Si è parlato appunto di una ricerca intervento proprio perché non vuole essere e non sarà soltanto una esercitazione intellettuale dell’Università e di qualcuno che ci girerà intorno per farne una bella pubblicazione che pur ci sarà, ma tenterà di riuscire ad avere un rapporto diretto con il mondo della scuola, con il mondo del lavoro, con i giovani ed i ragazzi, avere delle idee, dei suggerimenti, delle riflessioni che ci portino a modificare il nostro modo di lavorare ed i servizi fin dove sarà possibile. Poi nel corso di questi mesi, con il dibattito di stamattina ed i ragionamenti che ci saranno, dovremo capire meglio dove possiamo aggiustare e che cosa sarà necessario fare. Questo lavoro fatto dovrà essere analizzato e digerito affinché non rimanga una mera esercitazione di tipo intellettuale. Spero poi che molte cose si svilupperanno continuando a portare avanti queste occasioni non solo ai fini di studio ma anche ai fini di rapporto tra giovani, adulti, scuola, servizi…Sarebbe interessante anche far diffondere quelle che sono le riflessioni dirette dei ragazzi, che sono state e saranno fatte in un modo che un patrimonio venga messo a disposizione anche in termini più diretti da parte di chi lo ha fatto. Da una prima lettura di questo documento e da un po’ di discorsi fatti, per quello che mi riguarda, certamente vi è una necessità (riferendosi allo sbocco lavorativo, del quale spesso si è parlato con l’Elsa Morante) di riuscire a sfondare queste barriere normative che non impediscono ma certamente rallentano l’utilizzo effettivo in un settore che è in sviluppo e nel quale abbiamo bisogno di professionalità che servono proprio negli interventi che tra l’altro quelli dell’Elsa Morante conoscono proprio per il fatto di svolgere tirocini. Stamani fortunatamente cominciamo a metterci insieme come Istituzioni su vari versanti: la Provincia ha un nuovo ed importantissimo ruolo sul Collocamento (il nuovo sistema dell’informazione sul lavoro e della collocazione che pian piano sta crescendo permetterà di tenere conto anche dei percorsi professionalizzanti che ci sono sul territorio fiorentino). Il dibattito in questi ultimi anni ai fini del lavoro ci vede molto vicini come Servizi Sociali perché la discussione sulla tipologia dei rapporti di lavoro (pensiamo per esempio al precariato oggi indicato come sistema di flessibilità) ci mostra da una parte maggiori occasioni lavorative, ma dall’altra un mondo giovanile e del lavoro che si è profondamente modificato, perché sappiamo che oggi i lavori si trovano avendo di fronte periodi predeterminati (esiste sempre meno il posto di lavoro per cui si entra in una ditta e se ne esce al momento del pensionamento; in Italia questo sta arrivando solo ora, ma nel mondo occidentale stiamo andando verso interventi lavorativi che sappiamo con preci-
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sione quando finiscono). Allora la città, la struttura della società, ha bisogno di adeguarsi a questo per non provocare poi quegli scompensi che spesso vediamo. Io ho un’ottica un po’ condizionata dal mio lavoro: vedo un’ottica di problemi e penso, soprattutto nel campo giovanile, alle questioni delle droghe leggere (il dibattito di questi giorni è intenso su questo) e dell’alcool, che massacrano grandemente i ragazzi. Questo tipo di ricerche, di iniziative, devono quindi essere sostenute e sviluppate. Non voglio proseguire oltre perché mi manca un po’ di ascolto di stamattina, al di là di una lettura del documento che è nella cartellina. Siamo comunque in stretto contatto con i gruppi che stanno costruendo questa iniziativa e ci dovranno essere ulteriori appuntamenti più ravvicinati e più operativi, proprio per dare conclusioni non solo di una nostra aumentata conoscenza, di un nostro aumentato livello culturale in questo campo, ma anche di una possibilità di operatività, in modo che ognuno nel suo pezzetto metta a disposizione della società e dei ragazzi il necessario.
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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E GIOVANI: PROSPETTIVE FUTURE Intervento della dott.ssa Daniela Lastri Assessore alla Pubblica Istruzione e Politiche Giovanili Comune di Firenze
Questo convegno è una esperienza che ci consente di poter programmare i futuri incontri. Credo che le cose che stamattina sono state presentate, da un lato la ricerca intervento che ci dà la possibilità di riflettere su vari aspetti del problema, dall’altro gli interventi che sono stati fatti rispetto alla condizione in cui i giovani si trovano nel loro percorso scolastico - con particolare riferimento alla situazione dell’ ”Elsa Morante”, ma anche dell’ “I.T.I.” - rappresentano l’inizio di una discussione su questi temi. Questa mattinata di confronto dà alle istituzioni l’opportunità, attraverso la ricerca intervento (ciò che abbiamo acquisito dai dati e dalle relazioni all’interno di questi tre ambiti scolastici) di aprire un lavoro permanente per mezzo dell’esperienza del Punto Giovani, facendo in modo che questo lavoro prosegua sulle questioni che nell’ultima parte della mattinata sono state poste dai vari interventi, anche creando una sorta di tavolo che rimanga permanente rispetto a questi temi del rapporto tra istruzione, formazione e lavoro magari con una particolare attenzione alle scuole professionali “Elsa Morante”, “Leonardo da Vinci” e all’esperienza dei Corsi Serali. Sono state poste varie questioni: Innanzitutto il problema del riconoscimento degli indirizzi, il fatto cioè che non si può fare una scuola senza che poi venga riconosciuto quel percorso scolastico perché così tutti coloro che hanno autorizzato tale indirizzo si sono assunti la responsabilità di mandare a casa delle persone prima che inizino qualsiasi esperienza: anche nel momento in cui stanno formandosi, sappiamo già che queste persone non riusciranno a trovare lavoro. Si tratta di una cosa incredibile, bisognerà porre fine a questa vicenda del riconoscimento degli indirizzi per quanto riguarda l’ ”Elsa Morante”: qui c’è un problema di rapporto tra le istituzioni, si tratta di chiarire con le istituzioni preposte ad intervenire sulla questione del riconoscimento. Una di queste è il Ministero, l’altro sicuramente la Regione Toscana e dunque bisognerà, attraverso queste realtà istituzionali, intervenire perché si possa giungere ad una soluzione su questa scuola che, oltretutto, ha preso il via dieci anni fa e che per il percorso formativo su cui prepara le ragazze ed i ragazzi che la frequentano, rappresenta una risorsa importante per il futuro delle nostre città e della nostra società, poiché i Servizi Sociali sono attività che saranno sicuramente incrementate. Altro problema che è stato sollevato è quello della cooperazione, del mondo che sta lavorando con gli Enti Locali, rispetto a tutta una serie di servizi che vanno da quelli educativi a quelli sociali. Quale garanzia c’è per le persone che sono impiegate presso le cooperative o comunque in associazioni che lavorano in questi ambiti? Questo è un problema che ci dobbiamo porre poiché in alcuni casi viene garantito il personale qualificato, che ha fatto un percorso professionale di un certo livello (che quindi è equiparabile a quello che chiede l’Ente locale per ciò che riguarda l’intervento su questi servizi), però ci sono alcune cooperative che queste garanzie non le danno. Quindi bisognerà che ci sia anche un intervento più forte da parte dell’Ente locale per controllare la gestione dei servizi, e per garantire la professionalità di chi poi andrà a gestire questo tipo di servizi. L’altra questione è l’orientamento. Credo che, con la Provincia e con le stesse scuole, bisognerà attivare un serio lavoro poiché non possiamo continuare a mandare allo sbando molti
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giovanissimi che non sanno quali indirizzi prendere per il loro futuro. È necessario fare un serio lavoro per aiutare i ragazzi a capire i loro bisogni e le attitudini e per indirizzarli rispetto ad un progetto individuale che, anche se giovanissimi, possono avere rispetto al proprio futuro. Finora questo non è stato fatto e noi abbiamo scuole piene di persone che abbandonano perché sono insoddisfatte del percorso scelto. Nel momento in cui stiamo rivedendo l’assetto scolastico, integrandolo con la formazione e il lavoro, non possiamo rimanere irremovibili rispetto alle questioni dell’orientamento: questo deve essere uno dei lavori principali che gli Enti Locali dovranno portare avanti insieme a tutte le istituzioni scolastiche. Per fare questo c’è bisogno di un forte impegno di risorse umane, c’è bisogno dell’Università e di tutti coloro che possono dare un contributo. È emersa anche la questione delle pari opportunità: sono profondamente convinta che non possiamo continuare ad avere scuole che sono caratterizzate dall’essere scuole maschili e scuole che invece si caratterizzano in senso femminile. Non si capisce per quale motivo su questioni come la tecnologia e la meccanica anche le donne non possano essere orientate, ed è per questo che la politica dell’orientamento è fondamentale: la preparazione fin dalle elementari è importante, non dobbiamo aspettare i 13/14 anni, ma andare sull’ultimo percorso delle elementari per cominciare ad orientare. Occorre modificare l’immagine delle scuole prettamente femminili per allargare la frequenza anche ai ragazzi maschi, in modo che possano essere più consapevoli di che cosa significa fare un lavoro di cura, perché quest’ultimo è un lavoro prettamente femminile, che purtroppo si è sempre orientato in senso femminile e, anche se è un bel lavoro, spesso è diventato una forma di costrizione. Credo per questo che si debba fare una battaglia: come abbiamo fatto per i corsi sulle pari opportunità per quanto riguarda l’I.T.I. “Leonardo da Vinci” sulla Tecnologia è donna, dovremmo fare I Servizi Sociali sono uomo. Non possiamo continuare ad avere questa diversificazione e questo orientamento culturale che crea sacche di opportunità lavorative orientate a seconda del sesso. Rispetto al titolo del progetto “dai servizi ai giovani, dai giovani ai servizi” credo che sulla questione degli interventi sui giovani da parte degli Enti locali ci sia stata una grande confusione: primo perché gli Enti locali hanno affrontato questo tema dei servizi per i giovani in modo particolarmente competente circa un decennio fa, poi c’è stato un periodo di assoluta negazione di questo tipo di intervento. Oggi lo si sta recuperando grazie alle opportunità fornite dai Quartieri e dall’Amministrazione Comunale: dentro il Comune ci sono tante opportunità che vengono date, ma tutte quante offrono lo stesso servizio: pensiamo ad esempio all’informazione, non possiamo avere tre punti che danno informazione sulle stesse cose. Dovremo trasformare questi interventi. Bisognerà lavorare non solo sul territorio, ma lavorare dal territorio verso le scuole: è necessario far conoscere ai giovani delle scuole quello che fanno gli Enti locali, quindi le Amministrazioni, sia Comunale che Provinciale, per i giovani attraverso delle bacheche o dei punti di informazione che si fanno dentro le scuole e che mettono in evidenza quello che i Comuni o la Provincia fanno, sviluppando un rapporto forte tra territorio e scuola. C’è bisogno da parte dell’Ente Locale di fare un po’ di ordine: nella ricerca - intervento si chiedevano informazioni sulla conoscenza dei servizi per i giovani (Punto Giovani, Informagiovani, Infolavoro) e c’era un certo disorientamento tra i ragazzi poiché la maggioranza non li conosce e chi conosce si chiede il perché di tutti questi servizi simili tra loro. C’è bisogno da parte dell’Ente locale, del Comune in questo caso, di rimettere ordine in quest’ambito. Come diceva Annalisa Bracco, all’inizio del suo intervento, credo che dobbiamo seriamente analizzare ciò che funziona e ciò che non funziona degli interventi offerti ai giovani nella nostra città. I giovani si creano opportunità per conto proprio, attraverso i loro canali di pre-
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ferenza e le loro relazioni, senza aspettare che le organizzi il Comune. Quello che quest’ultimo può fare è organizzare la presenza giovanile attraverso l’associazionismo, i gruppi di interesse, mettendo a disposizione tutta una serie di opportunità relativamente ad es. alla multimedialità, alla radio, ad una mediateca. C’è bisogno che le attività si costruiscano anche con il consenso dei giovani, altrimenti diventano attività imposte che non hanno nessuna partecipazione. Ci sono poi iniziative che sono particolarmente significative perché si fanno proprio attraverso la partecipazione giovanile. L’altro aspetto, su cui Baracani si è particolarmente soffermato, è quello del rapporto con l’Università, che rappresenta uno dei nodi più importanti: la ricerca mette in evidenza alcuni indirizzi presi dai giovani sia per quanto riguarda le prospettive di lavoro che per quanto concerne i percorsi universitari. Rispetto a ciò è necessario fare un punto forte con l’Università perché è vero che bisogna essere più flessibili all’interno della scuola, però bisogna cambiare molto reciprocamente anche all’interno dell’Università: bisognerà fare in modo che in questo percorso che abbiamo deciso di portare avanti insieme, la prospettiva dell’Università abbia un ruolo importante perché comunque non abbiamo bisogno di avere parcheggi autorizzati, ma di persone che sempre più si formano bene, riescono ad essere inserite nel mondo del lavoro che può essere flessibile (non presentando più le rigidità del passato), ma nel quale ci devono essere delle competenze, che si acquisiscono con una formazione fatta bene (che può essere più breve o più lunga, ma comunque di qualità). In questo senso abbiamo bisogno di un forte lavoro integrato tra le istituzioni locali, l’Università e la scuola per poter procedere in questo percorso insieme. Ci sono altre opportunità che l’Assessore Migliorini enunciava: pensiamo per esempio al Fondo Sociale Europeo, che è una delle opportunità più importanti per i giovani, per creare opportunità di inserimento nel lavoro e di reinserimento per chi non è riuscito ad inserirsi in un primo momento della propria vita. Il F.S.E. deve vedere tutte quante le istituzioni locali particolarmente attente a intervenire, attraverso progetti di formazione da esso finanziabili, operando in modo che questa funzione abbia un immediato riscontro nell’inserimento lavorativo. Il Comune di Firenze infatti, adesso, attraverso il F.S.E., ha potuto inserire un gruppo di persone che hanno seguito una formazione di educatore musicale all’interno dei propri servizi: si tratta di un esempio concreto di come questo strumento possa essere utilizzato nella concretezza di un intervento. Ritengo che l’incontro di questa mattina sia stato davvero interessante e che da esso possa nascere anche un lavoro comune sulle questioni che abbiamo discusso. Credo che possiamo essere contenti di poter procedere insieme in questo percorso che ci vede riflettere e progettare sui temi dell’istruzione, della formazione e del lavoro.
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CORSO DI FORMAZIONE ’99 volontari area penale
Prima settimana
Venerdì 05/11 (16.00-19.00) • • • •
Daniela Lastri - Assessore alla Pubblica Istruzione Annalisa Bracco - (Coordinatore del Punto Giovani) Sergio Moretti - Direttore C.G.M. Aldo Nesticò - Procuratore Capo c/o Tribunale per i Minorenni
Sabato 6/11 (09.00-12.00) Visita alle strutture del Ministero di Grazia e Giustizia presenti sul territorio
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Seconda settimana
Dipartimento Studi Sociali Prof. Alberto L’Abate
Venerdì 12/11 (16.00-19.00) • Loffredi Lorena - U.S.S.M. • Responsabili delle Strutture:
P. Marinai - Mercede e Don Zeno B. Camaiani - Arcobaleno A. Borsi - Gianburrasca A. Santoro - Il Pozzo • Spazio Dibattito
Sabato 13/11 (9.00-12.00) Visita alle Strutture coinvolte nel progetto
Terza settimana Venerdì 19/11(16.00-19.00 • • • •
LA CITTADINANZA ATTIVA
Lamberto Tozzi - Direttore Direzione 18 Presentazione di Alberto L’Abate - Dipartimento Studi Sociali Intervento dei volontari già impegnati nel Progetto Insieme Lorenzo Porta
Introduzione sulla relazione d’aiuto Inizio del laboratorio sulla comunicazione Sabato 20/11 (9.00-12.00)
Cercherò di rispondere al quesito su cosa possa significare essere cittadini attivi, ed al ruolo che questa cittadinanza ha all’interno dei nostri sistemi democratici. La risposta a queste domande la cercherò nelle ricerche fatte da noi o da altri che hanno affrontato lo stesso argomento. La prima ricerca rilevante su questo tema è quella di Verba e Almond1, due sociologi, uno italoamericano e l’altro americano, che hanno fatto varie indagini su diversi paesi del mondo (tra cui anche l’Italia) per cercare di capire le basi culturali della democrazia. Uno degli elementi principali emerso da questa ricerca comparata era che la democrazia aveva come uno degli elementi fondamentali quella che gli autori hanno definito “competenza civica”, in altre parole sulla coscienza del cittadino che il suo ruolo, ed il suo voto, servano realmente a modificare od a mantenere la realtà che lo circonda. Senza questa coscienza la democrazia non regge o funziona male. Altre ricerche hanno cercato di cogliere le differenze tra le persone impegnate e quelle non impegnate. La Fiske2 ha studiato le persone impegnate nel lavoro contro la guerra, interrogando sul problema della guerra nucleare sia loro sia altre persone non impegnate. Un altro autore3 ha studiato, comparandole con altre non attive, le persone impegnate nelle attività per la trasformazione sociale, e cioè quelle che lottavano con la nonviolenza4 per rendere la società nordamericana meno emarginante attraverso un riconoscimento dei diritti umani e civili delle persone di colore. Da queste ricerche su campioni di persone impegnate e non impegnate è venuto fuori che il tratto distintivo tra i due gruppi era appunto quello che questi autori hanno definito il senso d’efficacia politica, qualcosa di abbastanza simile alla competenza civica, in altre parole la sensazione che la propria azione possa servire a qualcosa. Gli impegnati erano coscienti dell’importanza dell’azione personale, mentre le persone non impegnate credevano che questa non portasse a nulla, non servisse. Arriviamo quindi alle ricerche sui giovani e la pace che portiamo avanti da oltre dieci anni, non solo a Firenze, ma anche a Lecco, Ferrara e Bologna, e grazie ad alcune domande riprese da un questionario fatto dalla Salesiana di Roma sui giovani e la pace5, arrivando ad avere un campione di circa cinquemila giovani di moltissime aree d’Italia. Da queste ricerche è emerso che c’è una grossa diffusione tra i giovani di tutte le parti d’Italia di un atteggiamento che può essere considerato opposto al senso di competenza o d’efficacia, e che abbiamo definito d’alienazione, la convinzione in pratica che non serve a nulla darsi da fare,
• Lorenzo Porta
Laboratorio sulla comunicazione
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1 Si vedano Almond G., Verba S., The civic culture: political attitudes and democracy in five nations, Princeton University Press, 1963; Almond G. Verba S., a cura di, The civic culture revisited, Boston, Little, Brown and Co., 1980. 2 Fiske S.T., “People’s reaction to nuclear war”, in, American Psychologist, 42, 1987, 207-217; si veda anche la relazione presentata da questa studiosa al Convegno di Roma sul rischio nucleare, e pubblicato in Ponzo E., Tanucci G., a cura di, La guerra nucleare: rappresentazioni sociali di un rischio, Milano, Angeli, 1992. 3 Hare P., “The nonviolent alternative: research strategy and preliminary findings”, in Short J., Wolfang M., a cura di, Collective Violence, Chicago, Aldine, 1972. 4 Usualmente “nonviolenza” si scrive staccato o con una lineetta tra i due termini. Noi preferiamo la dizione Capitiniana di un’unica parola attaccata per sottolineare il fatto che è un concetto positivo e non negativo, e cioè non la negazione della violenza ma il suo superamento. Di Capitini si veda, Le tecniche della nonviolenza, ripubblicato in Milano, da Linea d’Ombra Ed., 1989. Lo stesso concetto era stato sottolineato da Gandhi che aveva coniato la parola “Satyagraha”, e cioè “lotta con la forza dell’amore e della verità”. 5 Mion R., Per un futuro di pace, Roma, LAS, 1986.
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essere attivi, tanto, come hanno detto alcuni giovani: “…è inutile muoversi, decidono tutto loro…”. C’è in molti di loro la sensazione che ogni decisione parta dall’alto e che le persone comuni non contino nulla. È un sentimento molto diffuso anche tra le persone di una certa età, ma che pone dei problemi particolari alla società quando esso è molto diffuso tra i giovani che dovranno essere i principali attori della società del futuro. Quest’andamento, infatti, suscita un certo pessimismo sul futuro della nostra democrazia perché un senso dell’alienazione forte tra i giovani contrasta con la necessità di un’ampia partecipazione al voto ed all’andamento delle cose pubbliche che sono un connotato fondamentale di un paese che si definisce e vuole essere democratico. Ci sono però due elementi positivi, che emergono dalla nostra ricerca: 1. La differenza generazionale che è emersa in modo chiarissimo, soprattutto nel nostro Paese. La nuova generazione è molto più cosciente dell’importanza della pace, ed è molto più attiva su questi temi. I livelli d’attività non sono elevatissimi, ma si attestano sul 25% circa6; la generazione precedente aveva livelli del 15-12%7. Sostanzialmente il gap generazionale dei giovani d’oggi per quanto riguarda i problemi della pace, rispetto ai loro genitori, è molto elevato, a tutto vantaggio dei giovani. 2. L’altro elemento positivo che emerge dalle nostre ricerche è la distinzione tra alienazione oggettiva e alienazione soggettiva. I giovani si sentono alienati, ma non soggettivamente: sentono di vivere in una società che dà poco spazio a loro e li trascura, ma sono interessati a uscire fuori di questa situazione8. Sembra che si rendano anche conto che il vero centro del potere è addirittura al di fuori della politica di un singolo paese (Banca Mondiale, Fondo Monetario). Questa ricerca fu fatta l’anno prima della nascita del movimento studentesco che è stato definito della “Pantera”. Al momento della nostra ricerca tutti affermavano che il movimento studentesco non esisteva più, invece l’anno dopo esplose con virulenza la “Pantera” che portò all’occupazione di moltissime Facoltà d’Italia ed interruppe i lavori normali delle Facoltà per quasi tutto un anno accademico. Tutti gli studenti, ma in particolare quelli dell’Università di Firenze, erano interessati alla nonviolenza ed hanno chiesto l’organizzazione di vari training di formazione alla nonviolenza in molte facoltà9. L’entusiasmo degli studenti fiorentini si è spinto fino al punto di offrirsi di ospitare in questa città l’assemblea nazionale della Pantera impostandola sui principi nonviolenti dell’organizzazione dei gruppi d’affinità e dei loro portavoce10. Questa è stata l’esperienza di base più importante in Italia, durata quasi un mese, in cui le persone presenti avevano il ruolo di portavoce e non di delegati; quindi ogni decisione doveva essere presa dagli studenti delle singole Facoltà italiane riuniti in assemblea che poi trasmettevano via fax le loro decisioni ai loro portavoce presenti all’assemblea nazionale. È stata sicuramente un’importante esperienza, che ha visto un elevatissima partecipazione studentesca per modificare l’Università, per avere un ruolo nella società. Purtroppo
6 Si veda la relazione da me presentata al Congresso dell’ Associazione di Sociologia Umanista (Washington, DC, 1-5 Novembre 1989): “L’immagine di pace di giovani studenti italiani”, la cui traduzione italiana è in corso di stampa nel mio, Giovani e Pace: contributi della ricerca sociale all’educazione alla pace ed alla convivenza tra i popoli, Torino, Edizioni PANGEA. 7 Sani G., “The political culture in Italy: continuity and change”, in Almond G., Verba S., a cura di, The civic culture revisited, citato. 8 La distinzione tra queste due forme di alienazione è stata fatta, per la prima volta, da Olsen M., in “Two categories of political alienation”, Social Forces, 1969, 47, pp. 288-299. Sull’argomento si veda anche Izzo D., a cura di, Alienazione e Sociologia, Milano, Angeli Edit., 1973. Sui risultati delle nostre ricerche si veda il libro, in corso di pubblicazione, citato alla nota n° 6 ed anche Baracani N., Porta L., a cura di, Il pregiudizio antisemitico. Una ricerca intervento nella scuola, Milano, Angeli, 1999. 9 Sull’attività di formazione alla nonviolenza degli studenti della Pantera si veda il mio “La mia esperienza con la Pantera”, in Euli E., Soriga A., Sechi P.G., a cura di, Reti di formazione alla nonviolenza: viaggi in training (1992-1998), Torino, Pangea Ediz., 1999, pp. 193-202. 10 Sull’importanza, nella nonviolenza, dei gruppi di affinità e del metodo decisionale del consenso, compreso, in questo, l’uso dei portavoce, si vedano: L’Abate A., a cura di, Addestramento alla nonviolenza: introduzione teorico-pratica ai metodi; Torino, Satyagraha Editr., 1985; oppure AA.VV., Percorsi di formazione alla nonviolenza: viaggi in training (1983-1991), Torino, Pangea Ediz.., II ediz, 1996.
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il movimento non ha avuto successo, oltre a causa di contrasti interni agli studenti stessi con molte delle altre Università italiane che non accettavano la nonviolenza e preferivano metodi di lotta più tradizionali, ma anche probabilmente perché si è posto un obiettivo troppo forte per un movimento studentesco (far cadere il governo). Questo tra l’altro era in completo contrasto con le indicazioni che emergevano dal nostro lavoro di formazione alla nonviolenza degli studenti delle varie facoltà fiorentine che partiva di solito dalla proiezione e discussione di un audiovisivo sulle lotte degli studenti di Piazza Tien an Men in Cina11 (che avevamo realizzato negli Stati Uniti d’America intervistando i principali leader di quel movimento – fuggiti negli USA - ed alcuni dei più importanti studiosi che avevano analizzato quell’esperienza, e raccogliendo varie centinaia di foto su quegli avvenimenti) finite tragicamente con l’uccisione di molti di loro. Da quest’analisi e da queste discussioni emergeva chiaramente che l’errore principale degli studenti cinesi era stato quello di allargare progressivamente l’obiettivo della loro lotta (dalla democratizzazione della vita dell’Università a quella di tutto il paese) senza essersi prima assicurati l’allargamento della loro base d’appoggio, in particolare tra gli operai delle fabbriche. Da qui emergeva chiaramente il suggerimento che se s’imposta una lotta nonviolenta con un obiettivo, va mantenuto quello, senza mai allargarlo se non dopo averlo raggiunto, ed aver costruito in modo valido alleanze con altre forze politiche e sociali interessate ad un allargamento dell’obiettivo originale, cosa che non si è fatto nemmeno in Italia ed ha portato al fallimento del movimento su citato. Ma questo ha dimostrato la scarsa formazione degli studenti in generale (non di quelli di Firenze) ai metodi di trasformazione nonviolenta della società ma non la loro alienazione. Tornando alle nostre ricerche, quali altri elementi, oltre a quest’esperienza, sono emersi a conferma che non c’era tra gli studenti quest’alienazione soggettiva? Nel questionario da noi somministrato ai moltissimi studenti intervistati c’erano alcune domande per sapere cosa era stato realizzato nelle scuole nel campo dell’educazione alla pace e cosa loro avrebbero voluto si facesse. Dalle risposte è emerso che non volevano lezioni cattedratiche, o solo proiezioni di film, o assemblee, che erano le attività che di solito avevano sperimentato. Invece richiedevano ricerche vere e proprie, o l’organizzazione di mostre sulla pace, oppure attività teatrali, e cioè un tipo d’attività che ha il pregio di non servire soltanto ai ragazzi stessi che le svolgevano, ma come punto di partenza per un’informazione e formazione anche ai loro genitori ed agli altri allievi ed insegnanti. È importante che la pace non rimanga legata solo al nostro interno, ma che si elaborino strategie per comunicare agli altri. Tra le risposte ai nostri questionari che ci hanno più colpiti e che vanno in questa direzione ci sono state l’indicazione dell’informazione come uno degli elementi fondamentali per l’educazione alla pace, e della mancanza d’informazione come una delle principali cause di non partecipazione alle iniziative sulla pace sia da parte loro sia delle altre persone. Abbiamo verificato, infatti, che i livelli d’informazione oggettiva (sulla base della conoscenza d’alcuni dati di fondo come le spese militari o gli equilibri strategici) erano molto scarsi, tuttavia le persone più informate erano le più impegnate, erano quelle che ricercavano attivamente le informazioni ed erano anche quelle più interessate alla nonviolenza. Questi dati emergevano da una scala di nonviolenza elaborata per la ricerca. Un altro dato che viene fuori è che le ragazze hanno un livello d’adesione alla nonviolenza e di rifiuto della violenza più elevato dei ragazzi. Secondo alcuni autori questo è naturale, altri invece hanno messo in dubbio quest’impostazione naturistica, sostenendo che le domande fatte sono troppo astratte. Secondo questi studiosi parlando ad un elevato livello d’astrazione si ottengono dati diversi rispetto a quando si parla in modo concreto: essi sostengono, infatti, che se alle donne 11
Si veda l’audiovisivo da me curato, Nonviolenza in Cina, edito dal CANS di Verona.
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si fosse chiesto, ad es. “se fosse in pericolo la vita di tuo figlio, saresti contraria all’uso della violenza”, le differenze tra maschi e femmine si annullerebbero12. Per verificare quest’ipotesi nelle ricerche successive abbiamo introdotto una domanda di questo genere: dai risultati avuti risulta che pur diminuendo la distanza tra i due sessi, ugualmente le donne risultano più interessate e molto più legate alla nonviolenza. Infine vorrei illustrare i dati di un’altra nostra ricerca che porta elementi sia positivi sia negativi. Questa ricerca è stata condotta sulle scuole medie superiori di Firenze, però c’era anche un campione di controllo d’Empoli e un’altra ricerca (con le stesse domande) era stata fatta l’anno precedente a Castelfiorentino. Dividendo il campione secondo quattro categorie: impegnati, alienati, scettici e tiepidi, è venuto fuori che gli impegnati, cioè quelli convinti che la pace richieda non solo un impegno episodico (noi avevamo definito la pace come “scelta di vita”), sono il 24% del totale. Non è il gruppo più folto, ma è comunque un gruppo molto superiore a quello degli alienati, cioè quelli convinti che non serve a nulla muoversi, che sono solo il 16%. Da questo punto di vista ci sarebbe una situazione abbastanza positiva. I punti interrogativi emergono nel fatto che i gruppi più numerosi non sono gli impegnati, e neppure gli alienati, ma i tiepidi e gli scettici. I tiepidi sono giovani che sono favorevoli all’impegno, ma non del tutto convinti del fatto che il loro impegno serva a qualcosa, che risultano essere il 33% del campione di studenti intervistato. Gli scettici, più favorevoli al disimpegno e più vicini agli alienati, sono invece il 26%. Se andiamo a vedere la consistenza dei due gruppi interni, quella che in altre situazioni ho definito la zavorra, costituita da quelle persone su cui pesa molto qualsiasi potere e che il controllo dei mezzi di comunicazione può portare facilmente da una parte o dall’altra, abbiamo il 59%. Questo significa che la maggioranza dei giovani è in una posizione né alienata, né impegnata, ma in una specie di limbo. Nell’elaborare le strategie per i training sulla nonviolenza il nostro criterio è stato quello di non prendere né gli alienati, né gli scettici come centro dell’attività d’educazione alla pace, ma di concentrare invece tale lavoro per rinforzare ed allargare il gruppo degli impegnati soprattutto sul gruppo dei tiepidi, che è più vicino, più pronto, ma non ancora conquistato. Concludendo credo che l’impegno personale sia importante per superare questo stato di alienazione e per estendere anche ad altri queste convinzioni. Naturalmente quest’impegno deve essere cosciente, non deve assumere tutto come oro colato, ma portare fuori idee, esporre dubbi e far presenti le cose che non funzionano. La cittadinanza attiva implica tutto questo, infatti, la “partecipazione dipendente”, e cioè il partecipare dicendo sempre “sì, sì, bene”, non serve a nulla, anzi è deleterio. La partecipazione per essere realmente valida ai fini di un miglioramento della società deve essere critica.
12 Questa tesi è sostenuta da due psichiatri nord-americani Zur O.Morrison A., “Gender and War: reaxamining attitudes”, Amer. J. Orthopsychiat., 59, 4, Oct. 1989, pp. 528-533. I risultati delle nostre ricerche per verificare questa ipotesi sono riportati nel saggio “Una indagine sui giovani e pace prima e dopo la guerra del Golfo”, in, Giovani e pace, citato.
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INTERVENTO DEL DOTT. ALDO NESTICÒ PROCURATORE CAPO PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE
Con il DPR 616 del 1977 c’è stata una divisione di competenze tra il Ministero di Grazia e Giustizia e le Amministrazioni locali. Al MGG spettano gli interventi assistenziali di trattamento per i minori inseriti nelle strutture ministeriali e altri tipi di intervento che sono di competenza degli organi della Giustizia Minorile, cioè quelli concernenti la competenza penale. La competenza amministrativo-rieducativa e la competenza civile spettano agli Enti Locali. Cos’è la competenza civile? Riguarda i casi di adulti che non rispettano il diritto dei minori a crescere in maniera adeguata. Questi sono tutti i casi in cui il Tribunale dei minorenni interviene con un provvedimento che è graduato a seconda del tipo di trascuratezza e che può arrivare anche alla dichiarazione di decadenza della potestà nei casi in cui i genitori trascurino completamente il minore. Prima di arrivare a questo si procede con interventi limitativi: la sospensione, l’allontanamento del minore dal nucleo familiare, se lo stare nel nucleo rappresenta un fattore di rischio, l’affidamento ai servizi perché integrino e controllino il rapporto educativo. La competenza amministrativa o rieducativa riguarda invece i casi in cui i minori hanno commesso atti non previsti dalla legge come reati o atti che denotano, come recita la vecchia dizione, irregolarità nella condotta e nel carattere, che esprimono un disagio, ad esempio le fughe da casa, le violenze domestiche, gli abbandoni scolastici o situazioni simili. In tali casi è previsto che l’organo della giustizia minorile, il Tribunale per i Minorenni, intervenga convocando i genitori e i ragazzi, imponendo delle prescrizioni, stabilendo un affidamento alle strutture educative, insomma attuando interventi rieducativi. Dal 1977 solo il campo penale è rimasto di competenza ministeriale, di contro interventi di assistenza, rieducativi e di tutela sono passati alle Amministrazioni locali. Passando alla competenza penale si deve rilevare che l’ultima grossa riforma del 1988 ha rimodellato completamente il processo penale minorile, sancendo che il minore che commette una violazione del codice penale non deve essere trattato come un adulto (accertamento del reato e applicazione della sanzione). Il comportamento del minore denota sempre un disagio, una sofferenza, una difficoltà nel crescere, che non va solo giudicato e represso, poiché esso rappresenta un sintomo di una situazione che prima di tutto va conosciuta. Come si può conoscere la situazione espressa da un ragazzo che ruba, che picchia? Attraverso l’intervento di persone che hanno una professionalità diversa da quella del giudice. Si realizza quindi un’integrazione fra i provvedimenti del giudice e l’attività che avviene nel territorio. Il giudice prima di applicare la legge ha bisogno di conoscere la realtà sociale, ambientale, familiare e si affida quindi, dà degli incarichi, a questi organismi che dipendono dai Servizi del Comune, della Provincia e della Regione. In questo contesto si mettono in atto provvedimenti derivanti da una comunione di saperi: il giudice sulla base delle conoscenze che ha della realtà del ragazzo ha la possibilità (perché il legislatore con questa ultima legge glielo consente) di intervenire su questa situazione non solo sul piano normale (reato, prova, pena), ma applicando una serie di ulteriori misure che sono specificatamente previste per il giovane che commette un reato e sono delle misure assolutamente innovative nel panorama giudiziario. Per esempio con la legge 448 del 1988 è ammessa la possibilità della messa alla prova, una misura che per gli adulti non esiste. La messa alla prova prevede che, a prescindere dalla gravità del reato, quando dall’azione di conoscenza della realtà personale ne emergano gli elementi, sia data al ragazzo una chance per dimostrare che può uscire da questa fase negativa della sua vita in maniera credibile. Nel caso in cui l’assistente sociale si accorga che ci sono dei limiti individuali per cui sono necessari l’assistenza e l’opera di uno specialista,
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viene attivata l’opera del neuropsichiatra infantile o di altri specialisti. Il Servizio Sociale propone al giudice una messa alla prova, cioè una serie di prescrizioni precise di vita per un certo periodo di tempo, degli impegni che l’imputato si assume, con il sostegno e il controllo dei Servizi stessi. Messa alla prova significa quindi: tu hai commesso un reato e io ti dico che per 6 mesi ti devi impegnare a seguire un corso, ad andare a lavorare, a fare opere di solidarietà. È un intervento che va individualizzato a seconda del soggetto perché non ci sono degli schemi fissi. Il ragazzo si impegna in questa cosa e si rinvia il processo: si attua una sospensione per messa alla prova. Alla fine del periodo di messa alla prova c’è una relazione dei Servizi Sociali sull’andamento e l’esito della stessa. L’esito positivo ha l’effetto di dichiarare estinto il reato. È il massimo che si possa ottenere: per la legge e per la collettività se un ragazzo riesce a dimostrare, con il proprio comportamento e con i dovuti controlli, di aver superato quel momento di crisi, il reato è cancellato. È un risultato importante raggiungibile soltanto grazie al lavoro dei Servizi Sociali ministeriali e territoriali, delle scuole e dei datori di lavoro che si impegnano a seguire il minore. Rispetto a cinquanta, sessanta anni fa c’è stato un cambiamento radicale di orientamento: la legge che ha fondato il Tribunale e la Procura dei minorenni è del 1934. Nonostante fosse una legge all’avanguardia rispetto alle altre proposte d’Europa, all’epoca la tendenza era quella di considerare il ragazzo una mela marcia, che va tolta dalla società e messa in un altro posto, in carcere o nella struttura esistente allora che era l’istituto di correzione. L’obiettivo era quello di impedire che contagiasse gli altri, così il problema era risolto. È chiaro invece che era risolto solo il problema della società, era soltanto un modo per tranquillizzare le coscienze. Da questa concezione siamo passati alla concezione opposta, il reato è sì espressione di un disagio individuale, ma nasce da un contesto sociale, ambientale, di quartiere, di periferia, di comunità. La stessa comunità se ne prende carico, attraverso il suo impegno, con i servizi e con i volontari, in modo tale da riuscire a riassorbire questo disagio e a ricreare una pacificazione sociale. È una concezione diversa, importantissima, e rispetto alla quale s’impone l’instaurarsi di un accordo, di un’armonia operativa tra i giudici e i servizi che in passato non sempre c’era. Si è imposto anche ai Giudici, che tendevano a chiudersi all’interno della propria corporazione, una maggiore umiltà e un atteggiamento di maggiore rispetto verso un altro tipo di professionalità diversa da quella tecnico-giuridica. Questo non significa creare una commistione di competenze, un Giudice è un Giudice, non un operatore sociale. Il Giudice è garante e promotore di un processo di recupero rispetto al quale la comunità fa la sua parte (una parte importantissima). Il Giudice per i minorenni è nato con la legge del 1934, con una veste peculiare, per questo si può definire una legge illuminata. L’organo giudicante, il Tribunale per i minorenni, era già allora composto da due Giudici togati, i Magistrati, e da due esperti (necessariamente un uomo e una donna: anche il riferimento alla coppia era significativo) nelle materie di neuropsichiatria infantile, pedagogia, sociologia, materie attinenti alle scienze umane. La legge è nata così perché già allora il legislatore capì che quello per i minorenni era un Giudice particolare, in quanto particolari erano i soggetti con cui doveva confrontarsi e le situazioni da affrontare. Un altro esempio di sensibilità del legislatore rispetto alla particolarità delle condotte dei minori è stata l’introduzione (sempre con la legge del 1988) di un’altra possibilità di fuga dal circuito penale, in tutti quei casi in cui il fatto commesso dal ragazzo è tale da non doversi procedere per irrilevanza sociale del fatto. I comportamenti messi in atto da gran parte dei ragazzi di 15/16 anni in momenti non patologici, ma fisiologici del crescere, che tuttavia realizzano l’episodio reato (ad esempio atti di vandalismo commessi dopo una festa tra amici) e che per il codice dovrebbero essere puniti, possono essere valutati come irrilevanti socialmente. L’articolo 635 del codice penale recita “Chiunque commette danneggiamento… deve essere punito con una pena da… a” anni di galera. Si cerca di prendere le distanze da questo, se si tratta di un episodio iso-
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lato, commesso in un determinato contesto e di cui il ragazzo si è già pentito, non è necessario far iniziare un processo. È opportuno sottolineare che la valutazione di irrilevanza sociale non è una valutazione giuridica, quindi abbiamo una commistione di sapere giuridico e conoscenza di realtà sociale. Questo è l’aspetto che più caratterizza il nostro lavoro di Magistrati per i minorenni e che lo rende interessante. È un lavoro molto difficile, ma gratificante se si riescono a cogliere gli aspetti di arricchimento personale. Il vostro volontariato si inserisce in questo orientamento della legislazione e nella necessità che la comunità che di fronte a queste situazioni di disagio non dica “Non è un problema mio, pensateci voi del Ministero”. Se nel Quartiere ci sono 20 ragazzi che commettono scippi e furti, non è un problema del Ministero, è un problema della collettività e di conseguenza del Comune e degli altri Enti. Voi entrate quindi in un progetto di aiuto per i minori chiaro e definito. A questo punto è opportuno accennare all’iter penale. La storia in genere comincia in modo drammatico e cioè con l’arresto. Vi sono numerose problematiche connesse all’arresto di un minore e alla sua pericolosità: può essere pregiudizievole per un ragazzo, arrestato magari per una sciocchezza, per un reato minore, ma in flagranza, essere preso e inserito, specialmente la prima volta, nell’ambiente dell’IPM (Istituto penale Minorile). Anche tutta la trafila, le manette, prendere le impronte, … può lasciare un segno grosso. Per questa ragione è stata creata una struttura che non è il carcere, ma una struttura di accoglienza, in cui i ragazzi vengono ospitati in un primo momento. In caso di arresto in flagranza, per la convalida o meno di questo atto e sulla necessità di attendere il processo in carcere o in una situazione di libertà semicontrollata, cioè agli arresti domiciliari, è stato istituito un giudice apposito. Prima la polizia arrestava questi ragazzi, li portava subito all’IPM e li interrogava, anche se, ovviamente, alla presenza di un soggetto garante quale l’avvocato, nominato dall’interessato o dall’ufficio. Ora è stato creato il CPA, centro di prima accoglienza, una struttura in cui i ragazzi vengono inseriti e in cui rimangono per alcuni giorni, 2 o 4 al massimo. Siamo ancora nella fase delle indagini preliminari: si svolge un’udienza, arriva il Giudice per le Indagini Preliminari, arriva il difensore, può arrivare il Pubblico Ministero e scrivere le proprie richieste. Cosa deve decidere il Giudice in questa fase provvisoria? Deve stabilire se la polizia o i carabinieri hanno seguito le norme per l’applicazione dell’arresto, perché l’arresto prevede l’esistenza di certi presupposti. Quindi il Giudice valuta se questo arresto è stato legittimo o meno, una volta fatto questo lo convalida. Il passo successivo è decidere sulla libertà individuale del ragazzo: se è pericoloso, a seconda dei presupposti, deve aspettare il processo in carcere (cioè si applica la misura cautelare della custodia in carcere e il ragazzo viene spostato dal CPA all’IPM). Se invece il Giudice valuta che non ci sia pericolo di recidiva, l’inserimento nel CPA finisce. Ci sono in questo caso una serie di misure, misure cautelari alternative, che rappresentano una peculiarità, in quanto sono previste soltanto per i minori: – misura delle prescrizioni: le prescrizioni possono essere le più varie, andare a scuola o altro, servono a dare al giudice delle garanzie sulla condotta del ragazzo (durata massima: due mesi, rinnovabile); – permanenza in casa: non la si deve confondere con gli arresti domiciliari dell’adulto, il periodo di permanenza in casa varia a seconda del tipo di reato; – collocamento in comunità: avviene quando la situazione in casa è tale per cui non farebbe che acuire il problema e comunque quando occorre un maggior contenimento della condotta del minore. Sostanzialmente il panorama delle misure cautelari è questo qui. Il Ministero della Giustizia è strutturato in Centri. Il territorio italiano è diviso in Distretti Giudiziari, simili alle Regioni, ma non proprio coincidenti (ad esempio la Provincia di Massa fa parte del Distretto di Genova, mentre per il resto la Toscana è tutto Distretto Toscano).
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Il Ministero ha un ufficio centrale apposito per i minori, dal quale dipendono i Centri per la Giustizia Minorile, che equivalgono territorialmente ai Distretti Giudiziari. A tali Centri fanno capo i Servizi Sociali Minorili della Giustizia, gli educatori che lavorano all’interno del CPA e dell’IPM e gli agenti di custodia. Il Servizio Sociale per i minori dell’area penale è costituito da un certo numero di Assistenti Sociali, che hanno il compito di redigere, su incarico del Tribunale, delle relazioni riguardanti i minori indagati o denunciati. L’USSM (Ufficio di Servizio Sociale Minorile) ha il compito non solo di redigere queste relazioni, ma anche, una volta che il ragazzo è stato inserito nell’IPM, di mantenere i contatti tra questo ragazzo e i Servizi Sociali territoriali del luogo da cui proviene. È da notare che i termini di custodia cautelare stabiliti per legge per i minori sono ridotti della metà o di due terzi se trattasi di minore infra sedicenne. In linea di massima è una scelta del legislatore, anche questa importante, di ritenere che la restrizione della libertà per il minore è l’ultimo strumento da adoperare, rispetto ad altri tipi di intervento. Il legislatore ha voluto mantenere il carcere, però lo ha voluto mantenere come ultima spiaggia. Inoltre anche da questo c’è tutta una serie di possibilità di uscita, perché i Servizi Sociali, avendo rapporti con i ragazzi possono indurli a riflettere sulla propria condizione esistenziale. È importante che siano prese delle misure, perché se il ragazzo ha la sensazione dell’impunità, della possibilità di ripetere, perché tanto non gli succede nulla, si ingenera una situazione pericolosissima. Per questo ad un certo punto si impone il carcere. Tuttavia, se dai contatti con il ragazzo emergono dei segnali positivi, i Servizi Sociali li comunicano al Magistrato di Sorveglianza o al Magistrato che sta seguendo il caso (al Magistrato di Sorveglianza se c’è già stata la condanna, o prima al Magistrato che sta istruendo il processo, il PM). In questi casi viene concordato un piano e viene fatta la proposta di revocare la misura cautelare. Tutti i segnali positivi vengono colti per vedere se si può fare un tentativo diverso dalla custodia in carcere. Stando vicino ai ragazzi si può fare un intervento adeguato al tipo di situazione, al tipo di personalità. Il CPA è molto importante, perché è in questa struttura che i ragazzi hanno il primo impatto con la giustizia e quindi è qui che avviene il primo intervento. Un altro aspetto molto importante è che all’interno del CPA avviene il contatto con i genitori. Gli educatori hanno il compito di dare una visione giusta dell’episodio ai genitori. Si incontrano varie categorie di genitori: il genitore offeso nella sua dignità di persona per bene da questa vicenda che va ridimensionato, oppure c’è il genitore che fa da scudo, sostenendo l’innocenza del figlio, il difensore ad oltranza, ecc. … Nell’Istituto Penale i ragazzi vengono inviati quando si ritiene che debbano ripensare a quello che hanno fatto e al perché lo hanno fatto. Molti ragazzi per non distruggere l’immagine che i genitori hanno di loro negano l’evidenza e allora bisogna stare attenti che non elaborino un eccessivo senso di colpa, che può portarli a conclusioni anche drammatiche. Volevo inoltre aggiungere che in IPM su 30 ragazzi, 28 sono stranieri. Nel panorama nazionale la Toscana è un’isola felice sul fronte della delinquenza minorile, per una ragione fondamentale: le condizioni economiche, sociali e culturali sono della massima importanza per un ragazzo. In Toscana abbiamo una minima dispersione scolastica, un tessuto sociale solido, ci sono strutture organizzative della società, strutture di sostegno e di controllo, c’è una buona situazione occupazionale (sì c’è la disoccupazione ma nei limiti, non c’è la situazione disperata che c’è in altre realtà), infine c’è una tradizione culturale importante, una rete di servizi importante, perché ripeto i Giudici possono emanare delle bellissime sentenze, ma se non hanno gli strumenti operativi per il trattamento e la cura dei casi non ottengono nulla in termini di rieducazione e quindi ecco l’importanza di avere, come qui in Toscana, delle strutture a cui il ragazzo può agganciarsi.
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UFFICIO DI SERVIZIO SOCIALE MINORILE Lorena Loffredi
In base al nostro ordinamento giuridico, quando si parla di area penale minorile si intende la particolare situazione in cui viene a trovarsi un ragazzo compreso tra i 14 e i 18 anni nei cui confronti sia stata avviata un’azione penale da parte del Tribunale per i Minorenni e fino a quando l’intera fase processuale non sia conclusa. Fin dai tempi più remoti la necessità di stabilire in termini cronologici il momento in cui l’individuo acquista la capacità di agire (ossia l’idoneità ad esercitare da solo i propri diritti e ad assumere obblighi) e l’imputabilità (la capacità di rendersi conto del valore sociale degli atti che compie e di risponderne penalmente) ha indotto i vari ordinamenti giuridici a tenere in particolare considerazione l’età minore ed a fissare delle scadenze nella vita dei soggetti al di sotto delle quali la responsabilità giuridica fosse da ritenersi esclusa, o limitata, in considerazione della gradualità dello sviluppo psico-fisico. Tale limite ha subito variazioni notevoli nel corso della storia, oltre che da Paese a Paese. Il diritto arcaico faceva coincidere la piena capacità di agire con il raggiungimento della pubertà. Nel V sec. a.C. il diritto romano stabiliva che ai minori dei 25 anni, colpevoli del delitto di furto, fossero comminate pene meno severe che agli adulti. L’età barbarica considerava responsabile penalmente il maggiore degli anni 12 prevedendo la necessità di accertarne la capacità di discernimento. Il diritto della Chiesa stabiliva la non imputabilità prima dei 7 anni per poi presumere una responsabilità relativa graduale fino ai 21 anni. In tutti i casi viene sottolineato che la pena deve essere tanto più mite quanto minore è l’età del soggetto anche se poi nella pratica accadevano cose aberranti ( ancora nel 1833 nella civile Inghilterra veniva condannato a morte un bambino di 9 anni per aver sfondato una vetrina e nel 1899 due bambini di 11 e 13 anni venivano condannati ai lavori forzati per aver danneggiato una porta). Occorrerà aspettare la seconda metà dell’800 perché correnti di pensiero illuminate, sensibili alla condizione dei minori, comincino a sostenere la necessità di creare delle strutture per la rieducazione dei minorenni che tengano conto delle fasi dello sviluppo e seguano criteri diversi da quelli usati per gli adulti. Dalla riflessione su tale specificità scaturì l’esigenza di dare vita ad organismi giudiziari particolari che si occupassero di tutela e contenimento dei minorenni che venivano a trovarsi in situazioni di marginalità: i Tribunali per i Minorenni. Il primo di questi tribunali fu istituito nello stato dell’Illinois (Stati Uniti) nel 1899; seguirono in Europa l’Inghilterra nel 1908, il Belgio e la Francia nel 1912, l’Olanda nel 1921, la Germania nel 1923. In Italia, dopo vari tentativi, i Tribunali per i Minorenni furono istituiti nel 1934 con il R.D. n° 1404. Tale Decreto sanciva che tutte le questioni relative alla cura, tutela e rieducazione dei minori dovessero essere di competenza di tale organo giudiziario e che questo dovesse essere specializzato, ossia avvalersi di personale che avesse una formazione o una esperienza professionale specifica, ed avere una piena autonomia rispetto al tribunale degli adulti. Doveva essere composto non solo da magistrati ma anche da giudici onorari, ossia figure professionali esperte di tematiche legate alla minore età, ai quali veniva riconosciuta la completa parità rispetto ai giudici togati. Il R.D. 1404 stabilì anche che alcuni di questi giudici onorari dovessero essere di sesso femminile. Venivano creati anche uffici di servizio sociale per i minorenni e strutture di accoglienza e contenimento per minori. Di fatto occorrerà aspettare il 1971 per vedere la definizione delle piante organiche specifiche della giustizia minorile.
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L’istituzione dei Tribunali per i Minorenni non risolse di per sé tutti i problemi in quanto la legge stabiliva gli obblighi degli adulti, ma non forniva al minore gli strumenti giuridici per perseguire l’adempimento dei diritti. Questi strumenti scaturiscono dalla crescita culturale e civile degli ordinamenti e sono quindi in continuo divenire. Vale però la pena di ricordarne alcuni approntati successivamente sia in ambito nazionale che internazionale; tra questi la nostra Costituzione che ribadisce l’impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e la protezione dell’infanzia in quanto cittadini in formazione e la “Dichiarazione dei diritti del fanciullo” approvata dall’ONU nel 1959. Nonostante i progressi effettuati, le politiche sociali in favore dei minori hanno continuavano ad essere inadeguate fino a qualche decennio fa. Basti pensare che gli istituti di accoglienza ospitavano negli stessi ambienti sia bambini abbandonati che ragazzi irregolari o condannati senza differenziare adeguatamente gli interventi educativi e di tutela. La logica era quella di separare i soggetti con una storia personale o familiare fuori della “norma”, dalla società sana; di garantire la tranquillità della società piuttosto che la tutela dei minori. Fin dall’origine il Tribunale per i Minorenni ed i Servizi della Giustizia Minorile hanno avuto tre competenze: civile - amministrativa - penale: – la competenza civile consiste nell’insieme degli atti a tutela dei minori (potestà genitoriale, adozione, affidamento,…); – la competenza amministrativa comprende quelle misure ed interventi di carattere rieducativo nei confronti di minori che hanno una condotta irregolare e problematica ma che non hanno denunce penali; – la competenza penale si concretizza con l’attività giuridica e rieducativa rivolta ai minori che hanno commesso reati. Mentre il Tribunale per i Minorenni mantiene tuttora le suddette competenze, dal 1977 i Servizi della Giustizia hanno solo la competenza penale. In quell’anno, infatti, con il DPR 616 che dettava norme sul decentramento amministrativo di alcune funzioni dello Stato agli Enti Locali, le competenze amministrativa e civile passarono ai servizi sociali dell’ente locale. Un tale sostanziale cambiamento significò la presa in carico da parte delle strutture del territorio, di tutte le problematiche dei propri cittadini, favorendo il superamento degli ostacoli ad un reinserimento equilibrato nel tessuto sociale di appartenenza. Una tale divisione di ruoli ha prodotto una maggiore presa in carico delle situazioni problematiche relative ai minorenni, nel suo ambiente di appartenenza con il vantaggio di garantire una continuità degli interventi rieducativi e di sostegno sia al minore che alla famiglia. Il DPR 448/88, ossia il nuovo Codice di Procedura Penale per i minorenni, ha compiuto un ulteriore passo avanti sottolineando l’importanza dell’intervento congiunto dei due servizi Ministeriale e territoriale anche quando i minori sono in area penale. Tale norma ha finalmente colto gli input del mondo scientifico e sociale che riconoscono al minore il diritto ad essere tutelato, anche quando è autore di un reato, proprio per la sua qualità di minore che, con il suo comportamento irregolare esprime un malessere e una richiesta implicita di aiuto, che la società non può ignorare. Le innovazioni della legge mettono in secondo piano la funzione punitiva per sollecitare, in tutte le fasi del procedimento penale, gli interventi educativi e di stimolo delle risorse sociali e soprattutto umane del ragazzo. Il carcere è residuale rispetto alle diverse misure alternative, ritenute più adeguate a favorire il rientro del minore nel contesto sociale. Il DPR 448/88 ha introdotto alcuni istituti innovativi che si sono affiancati alle modifiche già apportate in precedenza. Il più significativo di questi è la sospensione del processo per messa alla prova, ossia al minore, indipendentemente dalla gravità del reato, viene proposto di seguire un programma elaborato dal servizio sociale della giustizia, di solito in collaborazione
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con il servizio sociale del territorio e condiviso dal ragazzo, per un periodo di tempo stabilito dal Tribunale. Il programma viene elaborato tenendo conto delle inclinazioni del minore e delle sue aspirazioni allo scopo di creare un terreno fertile sul quale il ragazzo potrà essere stimolato ad investire, anche quando la prova sarà terminata. I servizi sociali che seguono il minore durante la prova, relazioneranno sull’andamento di questa e, se l’esito sarà positivo, il Tribunale dichiarerà l’estinzione del reato senza che alcuna traccia di esso resti a danneggiare il suo futuro. Un altro elemento caratterizzante del nuovo Codice di P.P. è che il legislatore ha previsto il ricorso alla mediazione con la parte offesa come momento di grande rilevanza per il percorso di responsabilizzazione e di riacquisizione della stima di sé del minore. In realtà siamo ancora molto lontani dal ricorso alla mediazione come prassi d’intervento, ma le città in cui ciò è stato realizzato in via sperimentale, incoraggiano a proseguire su questo terreno. La ricomposizione del conflitto tra imputato e parte offesa produce effetti positivi non solo sulla vittima che vede riconosciuto il danno subito (soprattutto se non di carattere materiale), ma anche sull’imputato che ha modo di rivisitare criticamente il proprio comportamento e, attraverso il perdono della vittima, di ricostruire un’immagine positiva di sé. Poiché i volontari formati con questo corso saranno impegnati a sostegno dei minori dell’area penale, vorrei accennare all’organizzazione dei servizi della giustizia. Il Ministero della Giustizia ha un Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile dal quale dipendono numerosi Centri dislocati nelle maggiori città del Paese. Alcuni centri accorpano più regioni. (Il Centro della Toscana, ad esempio, comprende anche l’Umbria). Da questi Centri dipendono a loro volta l’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM), il Centro di Prima Accoglienza (CPA), l’Istituto Penale per i Minorenni (IPM). Mentre risulta maggiormente definito il ruolo degli operatori del CPA (dove, per i casi in cui è previsto l’arresto, i ragazzi transitano per un massimo di 92 ore in attesa di essere interrogati dal giudice che deciderà se rimetterli in libertà durante lo svolgimento delle indagini o sottoporli a misure cautelari restrittive della libertà personale) e di quelli dell’IPM (che ospita i minori per i quali, dopo il passaggio in CPA, il giudice ha disposto la misura cautelare in carcere, o i minori condannati a scontare una pena detentiva), il lavoro svolto dagli assistenti sociali dell’U.S.S.M. spazia a tutto campo; collabora con il CPA, per fornire le prime informazioni sul minore e individuare un basilare progetto e con l’IPM mantenendo i contatti tra il ragazzo ed il mondo esterno, in vista del suo rientro nell’ambiente di appartenenza; attiva le risorse del territorio, dai servizi sociali locali a tutte quelle agenzie educative significative per il ragazzo (famiglia, scuola, lavoro, comunità, centri diurni, associazioni sportive e culturali, volontariato,…); lavora a stretto contatto con i servizi sociali del territorio per quei minori denunciati, ma mai passati per le strutture detentive. L’assistente sociale effettua un’indagine psicosociale del ragazzo e della sua famiglia, coinvolgendo tutte quelle figure professionali che ritiene opportuno per acquisire una chiara conoscenza del caso, fornisce al Tribunale per i Minorenni gli elementi raccolti per facilitarne le decisioni, elaborare progetti educativi attingendo alle risorse del territorio e stimolando la creatività del ragazzo. Ci sono, comunque, dei casi in cui questa complessa rete di servizi non riesce a farsi carico di minori che mettono in atto comportamenti devianti e soprattutto non è in condizione di offrire risposte sostanziose in termini di aiuto. È il caso dei giovani stranieri irregolari, ossia quelli che raggiungono il nostro Paese senza documenti, senza riferimenti e quindi impossibilitati ad ottenere un regolare permesso di soggiorno. Vivendo nella clandestinità questi minori sono particolarmente esposti al rischio di coinvolgimento in ambienti criminali e quando vengono fermati o arrestati è più facile che per loro si apra la porta del carcere mentre, a parità di reato, per un italiano si privilegia il rientro nell’ambiente familiare.
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Una tale disparità di trattamento nasce dal fatto che, al di là delle affermazioni di principio sulle pari opportunità, un giovane irregolare non appartiene ad alcun territorio, non ha figure adulte di riferimento da coinvolgere in un progetto di sostegno, non ha una residenza dove poterlo reperire né in genere rilascia le vere generalità per cui diventa impossibile individuare le basi sulle quali l’intervento delle istituzioni si fonda. La nostra normativa in fatto di giustizia minorile, nonostante si caratterizzi per l’alto livello di civiltà, si trova, a volte, nella condizione di non poter garantire un equo trattamento anche, di fatto, se la tutela dei minori non è legata alla cittadinanza. È questo uno dei limiti delle istituzioni che, in quanto tali sono strette in competenze definite e formalizzate. Ed è proprio a questo punto che l’impegno di giovani cittadini come voi, consapevoli che le sorti dei singoli emarginati costituiscono la misura del benessere sociale, può essere una risorsa preziosa perché può aiutare a colmare la distanza che spesso i minori in difficoltà avvertono nei confronti delle istituzioni. Voi sarete impegnati con minorenni dell’area penale, ospiti presso comunità di accoglienza o centri diurni, sarete prevalentemente a contatto con ragazzi stranieri provenienti da culture diverse e privi del sostegno delle loro famiglie. Vi troverete a fronteggiare la loro solitudine e la loro sofferenza e potrete essere portati ad un coinvolgimento emotivo totale, umanamente comprensibile. Sarete spinti a farvi carico di questo malessere e a sentirvi responsabili di eventuali fallimenti e magari, in alcune circostanze, incapaci di rispondere alle richieste di aiuto e a volte di complicità che vi potranno essere rivolte. Che fare allora? Una regola potrebbe essere quella di darsi degli obiettivi ragionevoli e raggiungibili partendo dalla chiarezza del vostro compito. Le responsabilità formali lasciatele ai responsabili e agli operatori. La ricchezza del vostro ruolo sta nel fatto che voi avrete la possibilità di instaurare con i ragazzi ospiti delle strutture, un rapporto “da giovane a giovane”, da persona a persona; la vostra responsabilità starà nel rispetto dell’altro, della sua cultura, nell’accettarlo per quello che è, nel dargli fiducia e nell’essere sempre sinceri, mai compiacenti, pretendendo altrettanto. Certo non sarà sempre facile, ma avrete la possibilità di confrontarvi con gli operatori e con i supervisori sempre a vostra disposizione. Voi potete offrire a questi ragazzi degli “esempi” di stili di vita diversi da quelli loro consueti; degli stimoli a cercare modi nuovi di divertirsi, di pensare al futuro, di dare valore alle cose, di instaurare relazioni umane, di essere giovani insomma. Credo che nessuno di noi è veramente libero di determinare il proprio futuro se non dispone di una gamma di opzioni tra le quali operare una scelta consapevole. Aiutare i ragazzi con i quali entrerete in contatto a prendere consapevolezza delle loro potenzialità ed a guardarsi intorno con maggiore fiducia, significherà aver raggiunto un grossissimo risultato.
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SCUOLA PROGETTO ARCOBALENO Isabella Torreggiani Coordinatore Gruppo Scuola
Il settore Scuola opera all’interno dell’Associazione dal 1989. Fin dall’inizio la sua attività si è sviluppata secondo tre direttrici che evidenziano bisogni molto presenti tra i nostri ospiti italiani e stranieri. La prima è relativa agli Ospiti Italiani dove si è sempre privilegiato un percorso e una programmazione del tutto individualizza, di approfondimento problematico e culturale per individui in disagio, prevalentemente ex tossici o alcolisti che hanno avuto una storia difficile e spesso conflittuale con la scuola. In questi casi si prevede frequentemente il recupero dell’obbligo scolastico con una programmazione specifica. La seconda è legata all’attività didattica di Alfabetizzazione nella lingua italiana, rivolta agli Stranieri Immigrati, che è nata inizialmente sulla base degli ospiti extracomunitari del centro di accoglienza dell’Associazione. La scuola di alfabetizzazione, nel corso degli anni, ha visto uno sviluppo molto ampio degli utenti, raggiungendo il numero di circa 300/350 alunni per anno scolastico. Questo lavoro impegna circa 40 volontari che si susseguono nei cinque giorni della settimana (da lunedì a venerdì) con una suddivisione di gruppi di lavoro (9/10 classi) alquanto articolata con circa 8/12 alunni per classe, suddivise per livelli, tra i quali anche un gruppo per analfabeti in lingua madre. Ci siamo avvalsi anche dell’aiuto di tirocinanti provenienti dalle Facoltà di Scienze dell’Educazione e di Psicologia, nonché dal Punto Giovani del Comune di Firenze, con il quale intratteniamo un legame molto stretto, oltre a tirocinanti della Provincia. L’insegnamento si svolge in una logica di reciprocità e di valorizzazione delle culture d’origine. Inoltre, per le caratteristiche di questo tipo di scuola, che consiste in allievi provenienti da un gran numero di paesi extracomunitari (sono rappresentate oltre 40 nazioni) e in Italia da pochissimo tempo, si è attuata un’intensa opera di ricerca metodologica e di programmazione nonché sperimentazione didattica che ha portato anche alla pubblicazione di un Dizionario Illustrato “L’italiano dalla A alla Z” stampato con l’ausilio del Comune di Firenze. La terza direttrice si è sviluppata in questi ultimi cinque anni dove si è intensificata un’attività didattica rivolta ad Adolescenti Stranieri che sono ospiti (prevalentemente) in centri di accoglienza della Città, e che avendo difficoltà di inserimenti scolastici in strutture più stabili, ci hanno portato ad istituire quattro classi (che impegnano circa 14 volontari) per un recupero della scuola dell’obbligo, dove spesso sono da noi seguiti individualmente con insegnanti delle varie discipline. Negli ultimi anni dai 10 ai 20 ragazzi (per anno scolastico) hanno conseguito diplomi o di 5 elementare o di III media anche con buoni risultati.
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PROGETTO CENTRO MERCEDE
Il Centro Mercede nasce come progetto pilota nell’anno 1987 ad opera dei Padri Mercedari che si convenzionano col Comune di Firenze per la gestione di un servizio di pronta accoglienza per minori. La comunità è aperta 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno nei locali di Via Accursio n.17 in Firenze. • Capienza: Accoglie minori maschi per un numero di 10 posti letto. • Ammissioni: Avvengono con carattere di urgenza su segnalazione dei servizi sociali, delle UU.SS.LL. cittadine, degli Organi giudiziari o delle autorità di Pubblica Sicurezza. • Permanenza: Il periodo di permanenza previsto è di 15 giorni. Qualora emergessero elementi per i quali la dimissione risultasse pregiudizievole per il minore, la permanenza può essere protratta per un massimo di 2 mesi. • Strutturazione del Servizio: In base alla convenzione con il Comune di Firenze vengono prestati i seguenti servizi: – ricezione telefonica delle richieste di intervento, ininterrotta nell’arco della giornata. – prelievo dei minori e accompagnamento al proprio domicilio o nel luogo indicato dalle Pubbliche Autorità all’interno della Provincia di Firenze. – accompagnamento dei minori fino a 14 anni presso le altre strutture della rete di pronta accoglienza. – accoglienza dei minori dai 14 ai 18 anni, per i quali vengono assicurate le prestazioni di trattamento alimentare ( secondo le tabelle dietetiche proposte dal responsabile del servizio di Igiene Pubblica del territorio), attività di socializzazione, animazione, organizzazione del tempo libero, vita di gruppo e rapporti con l’esterno, inserimento in attività di scolarizzazione e/o corsi di avviamento al lavoro, rapporti con la famiglia di origine tramite programmi concordati con il servizio sociale, inserimento temporaneo in laboratori gestiti dai Padri Mercedari.
PROGETTO EDUCATIVO Il Centro Mercede si configura come un centro di prima accoglienza, quindi, da un punto di vista educativo, si propone tre obiettivi primari: a) Accoglienza (accoglienza abitativa, sostegno affettivo alla persona, chiarificazione sull’iter burocratico ma anche esperienziale che si troverà ad affrontare, rispetto della persona, dei suoi bisogni e delle sue esigenze, in base alle sue caratteristiche e alla sua età; b) Proposte o esperienze formative ( responsabilizzazione del minore attraverso compiti e mansioni quotidiane, integrazione in una vita di tipo comunitario, in gruppo, ove siano rispettati anche gli spazi personali di ognuno, mantenimento di eventuali attività educative, formative o di lavoro, in atto al momento del suo ingresso, programmi di attività individualizzate e di gruppo, attività guidate di pre - formazione lavorativa, attività di sostegno scolastico, discussione di gruppo); b) Osservazione colloqui individuali col minore, osservazione ( libera e attraverso griglie predisposte) del comportamento del minore, sia rispetto alle attività, sia nei confronti di se stesso, del gruppo, degli operatori, eventuale ricostruzione della rete di rapporti di riferimento per il minore, incontri e verifiche tra l’équipe e gli operatori dei servizi territoriali, onde poter delineare un progetto immediato tendente a raccogliere elementi necessari per l’operatività temporanea al fine di indirizzare e sostenere un futuro progetto educativo.
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La metodologia adottata è la seguente: 1) Preminenza della relazione umana. 2) preminenza della discussione di gruppo 3)ottica relazionale nell’analisi delle situazioni e delle problematiche 4) coinvolgimento di tutte le risorse attuabili nella situazione di ogni minore 5) costruzione di un rapporto cui fa da cornice la fiducia e la cooperazione nella ricerca delle soluzioni o nella costruzione di un progetto 6) collaborazione con i servizi territoriali predisposti. Sono parte integrante del progetto: a) la cartella personale b) la formazione del personale c) i rapporti con i servizi territoriali predisposti. Il Centro Mercede si apre all’esterno, alla comunità locale, attraverso continui contatti, con gli enti locali, i servizi sociali o le amministrazioni giudiziarie; ma si apre anche al territorio cittadino, attraverso contatti ed incontri per stimolare o collaborare con enti ed associazioni in grado di rappresentare un’agenzia educativa per i minori accolti. In questo senso sono ricercate e predisposte iniziative di incontro e collaborazione con eventuali comunità straniere o nomadi presenti sul territorio, al fine di creare contatti conoscitivi e di cooperazione, per rispondere alle esigenze di minori provenienti da queste specifiche comunità.
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IL CENTRO DI PRONTA ACCOGLIENZA “GIAN BURRASCA” Augusto Borsi Responsabile educativo del Centro di Pronta Accoglienza Gian Burrasca.
Il Centro di Pronta Accoglienza “Gian Burrasca”, nato nel 1996, è inserito nella Rete di Pronta Accoglienza per minori del Comune di Firenze ed è gestito dal Consorzio ZENIT. Nella struttura di Via Casamorata 15, accoglie fino ad un massimo di 15 minori, di età compresa, se maschi, tra i 5 e i 13 anni, se femmine, tra i 5 e i 17. Inoltre, dispone di due posti per mamme con bambini. Il personale in servizio è composto da: un Responsabile educativo, cinque educatori e un’ausiliaria; ad essi si aggiungono due obiettori e alcuni volontari. Il Centro opera in continuo raccordo con l’intera rete dei Servizi (Servizio Sociale, Scuola, Unità di Psicologia e Neuropsichiatria, ecc.) e del Volontariato. La metodologia di intervento all’interno del Centro Gian Burrasca si attua su due livelli: quello dell’intervento individuale e quello del contesto educativo. A livello individuale, l’estrema differenziazione delle storie personali e dei bisogni dei minori inseriti ha comportato l’attivazione di distinte strategie di intervento da parte degli operatori. È possibile comunque individuare percorsi simili, all’interno di due “tipologie” di minori presi in carico, la prima rappresentata dai minori italiani o stranieri con situazione regolare, la seconda da minori stranieri in stato di abbandono o con una situazione irregolare. La finalità dell’intervento a favore dei minori italiani (o stranieri in situazione regolare) è quella di contribuire, attraverso un’accurata osservazione, alla stesura di un progetto di intervento in grado di superare l’emergenza che ha causato l’inserimento del minore. La seconda categoria di interventi educativi è quella a favore dei numerosi minori stranieri. Una grande parte di essi risultano essere giunti in Italia non accompagnati e privi di stabili riferimenti familiari tali da garantirne, oltre che ai mezzi di sostentamento, la loro tutela, il loro sviluppo e la loro crescita armoniosa. Spesso, a causa di questa loro situazione di debolezza, risultano essere facilmente destinati a trasformarsi in manovalanza per la criminalità, più o meno organizzata, oppure, nei casi peggiori, ad essere vittima di vere e proprie organizzazioni clandestine che li sfruttano. Nei confronti dei minori stranieri non accompagnati l’intervento deve rispondere a due particolari esigenze: garantire che le condizioni di temporaneo soggiorno siano corrispondenti a quanto richiesto dalla Convenzione dei Diritti del Fanciullo (diritti essenziali, culturali, sociali, ecc.) in attesa di definire una soluzione alla situazione di solitudine mediante percorsi ad hoc (rimpatrio assistito, affidamento intrafamiliare o etero familiare o a strutture di tipo tutelare). Contemporaneamente all’intervento individuale, il lavoro dell’équipe degli educatori si concentra anche sul contesto educativo all’interno del quale si svolge l’intervento personalizzato e che può influire in modo significativo sulla situazione del minore accolto. Per svolgere efficacemente il proprio supporto all’azione educativa, il contesto deve essere il risultato armonioso dell’unione di diverse componenti, fra le quali ricordiamo: • le attitudini degli educatori; • la cura dell’ambiente; • la partecipazione dei minori alla vita del Centro, nei limiti determinati dalle possibilità e capacità di ciascuno; • l’organizzazione della giornata e i tempi di vita, all’interno del quale dovranno inserirsi i tempi ed i ritmi di ognuno;
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• l’attenzione alla qualità dell’alimentazione ed al rispetto delle abitudini alimentari, specialmente quelle legate al credo religioso; • l’attenzione alla qualità delle relazioni interne, sia quelle tra équipe educativa e ragazzi, sia quelle tra ragazzi; • l’attenzione alla qualità delle relazioni con l’esterno, attraverso le quali si cerca di coinvolgere lentamente la comunità territoriale (vicinato, volontariato, agenzie educative e formative rete dei servizi) nella “presa in carico” del minore.
Associazione IL MURETTO, cinque anni presente alle Piagge
Durante la recente stesura di un libretto che ripercorre i cinque anni di storia dell’associazione ci siamo accorti che molti dei progetti pensati sin dall’inizio hanno riscontrato negli anni una continua e reale partecipazione dalle persone del quartiere. Questa è una conferma che fa piacere, soprattutto per un gruppo di persone che ha come obiettivo fondamentale quello di costruire delle opportunità necessariamente con il diretto coinvolgimento degli abitanti per farne emergere le potenzialità nascoste ancora inespresse. In questi anni l’associazione ha lavorato a 360º nel quartiere. All’appassionarsi alle vicende dei bambini sempre più lasciati a se stessi si è sommato il desiderio di vedere realizzati “sul serio” i diritti degli stranieri. Ma non solo. Il lungo e spesso sfiancante lavoro con i senza casa, con le persone in difficoltà con la giustizia, con quelle a grave disagio sociale e lavorativo con tutti coloro che si sentono “mangiati” dalla nostra società, ci ha costretto a riflettere anche oltre gli spazi geografici del quartiere. Produrre un giornale come l’Altracittà, che va ad individuare le cause di questo nostro disagio e cerca in qualche modo di proporre delle alternative; organizzare il “Gruppo di Acquisto del Commercio Equo & Solidale” e il “Fondo Etico & Sociale”; stabilire delle connessioni con esperienze nazionali ed internazionali ci ha permesso di capire che non siamo soli, che da qualche parte, spesso meno lontana di quanto sospettiamo, c’è qualcuno che resiste, che fatica, quanto se non più di noi, nel contrastare una routine che ci priva della vitalità connaturata alla nostra esistenza. I progetti attivi in questo momento sono svariati e il poco spazio a disposizione ci permette solo un’esposizione schematica:
Nome Crescere Insieme Girotondo Bricolandia Riciclaggio Oasi del Fiore Fermaglio Giocolandia Villore Inserimenti e affidamenti lavorativi Scuola per adulti Progetto Stranieri Gruppo d’acquisto commercio equo & solidale Emeroteca L’Altracittà - giornale della periferia Varie (concessione residenze, campagne di solidarietà e di protesta, incontri pubblici, organizzazione di momenti di aggregazione, collaborazioni con le ASL, i SerT, le istituzioni locali, progetto Lorenzo, Tenda della Pace, Gruppo Impegno e Azione per la Casa, Fondo etico & sociale, ecc…)
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Destinatari Bambini fra gli 11 e 16 anni Bambini fra gli 6 e 10 anni Ragazzi e adulti Gli abitanti del quartiere Ragazzi del quartiere Giovani disoccupati Bambini e adolescenti Bambini, adolescenti, famiglie Persone in difficoltà Adulti senza la licenza media Stranieri del quartiere Famiglie Ragazzi e adulti Lettori nel quartiere e in città Soprattutto abitanti del quartiere ma non solo
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IL MIO VOLONTARIATO Intervento di un volontario del Punto Giovani
Quando mi arrivò la lettera del Punto Giovani non avevo un’idea precisa di volontariato. Non avevo mai avuto esperienze in questo settore e, fuorché una vaga, non meglio definita, istintiva diffidenza verso alcune associazioni, che mi suggerivano l’idea di “sette” chiuse, rigide e impenetrabili a chi non ne facesse parte, non è che mi fossi mai poste molte domande sull’argomento. Il fatto che catturò subito la mia attenzione, e che mi spinse, vincendo un’innata timidezza, a presentarmi al primo incontro, fu la prospettiva del sostegno scolastico. Così come leggevo dalla lettera, infatti, il Punto Giovani invitava alcuni studenti universitari ad un corso di formazione per preparare gruppi di volontari che avrebbero potuto dare una mano nei compiti a casa a ragazzi delle Medie in difficoltà. Anche se, fra i miei, consueti, mille ripensamenti, temevo, alla fine, di non essere all’altezza, e già mi vedevo davanti a un problema di geometria o a un’espressione con le frazioni senza sapere da che parte cominciare, l’idea di esser d’appoggio a qualche ragazzo, studente fra i banchi ora, come lo sono stato io qualche anno fa, mi affascinava molto. Così, ispirato da tutti questi pensieri, al corso in sé non pensavo; non avevo mai sentito parlare di corsi di formazione e non sapevo proprio cosa aspettarmi. Le premesse, dunque, erano buone ma, forse, i tempi non erano maturi… il mio momento non era arrivato. Infatti, dopo quel primo incontro di presentazione, non continuai. Sapevo che non avrei potuto garantire una presenza seria e continuata agli incontri per problemi di studio; mi sentivo inaffidabile, inadeguato, un po’ intimorito all’idea di parlare davanti al gruppo. Non ero pronto ma, dentro di me, non potevo fare a meno di pensare, con rammarico, ad una bella occasione volata via. Poi, dopo qualche mese, mi telefona un ragazzo del Punto Giovani chiedendomi se fossi ancora disponibile per quel progetto. La gioia per quella seconda, inaspettata opportunità, un contatto più diretto e confidenziale, mi diedero fiducia. Accettai, e, finalmente, l’entusiasmo, vivo anche prima, ma come soffocato da mille dubbi e timori insensati, venne fuori a sostenermi in un’avventura bellissima in cui avevo tutto da scoprire. E ricordo che, all’inizio, fu proprio la curiosità il sentimento prevalente. Curiosità di sperimentare nuove tecniche di approccio, proposte per affrontare, via via, le tematiche degli incontri; curiosità e vivo interesse per la possibilità offertaci di conoscere direttamente certe realtà. Ricordo le visite al Tribunale dei minorenni e ad alcuni centri sociali, i dibattiti con operatori del settore e professori delle scuole, i “role playing” per cementare la coesione del gruppo. Del corso conservo un ricordo stupendo, così come delle varie figure “istituzionali” che, sempre con grande professionalità e partecipazione realmente sentita, hanno poi continuato a “vegliare” sul nostro cammino con incontri periodici, che continuano tuttora, e che, nell’ambito di una formazione permanente, si rivelano provvidenziali nell’arricchirci di sempre nuovi elementi per meglio affrontare le situazioni in cui lavoriamo. Col gruppo si è creata un’intesa molto bella, mi ci sono trovato presto a mio agio. Col tempo c’è stato qualche nuovo arrivo, ma la vivacità nelle relazioni non è venuta mai a mancare. E devo dire che, a ripensarci a distanza, quel corso si rivelò occasione di svolta per molti di noi; una svolta che ha fatto nascere grandi amicizie, che, per alcune ragazze, ha segnato l’in-
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gresso nel mondo del lavoro, e che, per me, ha allargato incredibilmente le conoscenze. Conclusa la serie di incontri si trattava di affidare a ciascuno un caso. All’ultima riunione si poteva dire, orientativamente, dove si preferiva andare: se in una famiglia o presso una struttura. Io ero disposto a iniziare da subito e, a dire il vero, era tale la smania di cominciare che qualunque posto mi sarebbe andato bene, anche se, pensavo che la famiglia sarebbe stato un ambiente più “protetto” e adatto al mio carattere. Fui assegnato ad una struttura e confesso che, fino al giorno prima del fatidico incontro, ero molto spaventato, perché mi vedevo allo sbaraglio in mezzo a tanti ragazzi e non avevo idea di cosa avrei potuto fare per cominciare un rapporto. Fissai due mattine la settimana per le ripetizioni. Era un ragazzo molto difficile, con un carattere piuttosto duro e abbastanza impenetrabile. L’immagine che più si avvicina a rappresentare quei nostri primi incontri, e che mi torna sempre in mente quando inizio una nuova conoscenza, è quella della volpe e del piccolo principe. Ecco ciò che, a distanza di tempo, mi sento di suggerire a chi volesse cominciare un’avventura di questo tipo: “addomesticare” poco a poco il rapporto, creare un’abitudine, una confidenza che nasca dal mettersi a disposizione senza pretendere per forza una risposta immediata: “io sono qui, se tu mi vuoi..”. Un’attenzione e una partecipazione sincere, che non siano mai imposizione violenta; e tutto sempre guidato da un grande rispetto: osservare, cercare di capire, offrire un aiuto. E, così, ci si rende presto conto che non sono tanto le conoscenze matematiche o l’esser stati particolarmente abili a scuola, a scendere in campo nelle “ripetizioni”. È l’esser presenti, lì, puntuali, per lui, l’esser disponibili e pazienti, il saper aspettare. Così si cerca di offrire un esempio vivo di impegno, di responsabilità, un metodo, un ordine e, per il ragazzo, forse, la sensazione di sentirsi seguito, considerato, ben voluto. Naturalmente tutto questo non è facile, né lo fu per me. Ci possono volere dei mesi. La costanza e il desiderio di conoscenza umana, ancora una volta, credo, sono indispensabili. Anche trovare una propria collocazione nella struttura non è cosa immediata. Il mio inizio non fu facile; se guardo indietro mi vedo veramente allo sbaraglio. Spesso mi trovavo solo, incapace di trovare un referente; non perché non ce ne fossero o non fossero disponibili, ma perché, inevitabilmente assorbiti da mille altre occupazioni quotidiane, non avevano modo di anticipare le mie richieste. Io aspettavo, e forse speravo, che fossero loro, operatori e responsabili, ad intuire certe problematiche per indirizzarmi, e, per timidezza e riguardo, non mi facevo avanti. Ma anche questo periodo doveva passare; è servito perché imparassi sul campo, a poco a poco, come meglio destreggiarmi. Col tempo sono diventato più intraprendente. Quando si sono aggiunte le nuove volontarie, forte anche del loro appoggio, sono diventato un po’ il referente della struttura, che ormai conoscevo bene, sollecitando incontri e discussioni. Ed ho scoperto di avere intorno persone valide, che mi hanno dato tanto. Le risorse erano lì, a disposizione, quelle della struttura e quelle dei volontari; bisognava solo cercare un momento di incontro, sempre, senza scoraggiarsi. Valorizzare il percorso svolto e chiarire, con passione, il proprio ruolo, per non correre il rischio che quel patrimonio di forze, idee, energie, entusiasmo del volontario vada in parte sprecato o non sia sfruttato a pieno. E i momenti difficili, che vanno a braccetto con quelli più belli, aiutano a maturare una consapevolezza più solida. Mi vengono in mente un sacco di episodi con B. (così come, più avanti, con gli altri ); forse sono state più le volte che lo trovavo addormentato o intento a qualunque altra, piccola, occupazione pur di non studiare, che quelle in cui si concludeva qualcosa. Fra l’altro io non avevo idea di come propormi per queste ripetizioni, non sapevo cosa fargli fare, ogni mia piccola iniziativa mi sembrava una goccia nell’oceano. Inoltre non potevo sperare di aver trovato
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una volta per tutte un metodo buono; ogni volta si rimetteva tutto in gioco. Le cose andarono meglio quando si fu più prossimi all’esame; feci alcuni incontri con gli insegnanti, cominciai a fargli scrivere brevi ricerche opportunamente “tradotte” in un italiano semplice e corredate da molte illustrazioni. Nel frattempo stava nascendo un ben più complesso rapporto umano. Un pomeriggio gli chiesi quale fosse il suo sogno. Lui mi parlò e, credo, fu quello il momento in cui, per la prima volta, un muro si infranse. Mi chiese se davvero fossi interessato alla sua sorte; mi strinse la mano e mi chiese se, dopo la scuola, l’avrei aiutato a trovare un lavoro. Ma nuove amicizie e confidenze nascevano anche con gli altri ragazzi, e con gli operatori e i responsabili della struttura. Ho avuto la fortuna di incontrare persone davvero speciali e, parlando necessariamente solo di qualcuno, li ricordo tutti. Certo non è mai tutto rose e fori; ad ogni momento bello è legata, come dicevo prima, una difficoltà, piccola o grande: il sentirsi, in fondo, incapaci di aiutare veramente, il vedere che, spesso, tutto il lavoro che si pensa d’aver fatto, pare venir giù un momento, il non riuscire ad “agganciare” i ragazzi, le difficoltà nel trovare, talvolta, momenti di verifica con la struttura, l’aver ampia libertà di manovra, ma nello stesso tempo, esser investiti di certe incombenze e responsabilità…… Non si finisce mai di imparare, né bisogna stancarsi di sollecitare discussioni, revisioni, incontri che facciano il punto della situazione. Se penso all’idea che ho ora di volontariato, a suggerimento a chi è in questo campo o vorrebbe cominciare, non posso fare a meno di sottolineare l’importanza delle risorse umane, uniche, irripetibili in ognuno di noi. Al di là di tante fredde definizioni quel che conta rimane la sostanza autentica di ogni persona, ed è bellissimo che ciascuno di noi, diverso da tutti gli altri, possa mettere le proprie energie, idee, il proprio contributo per realizzare parte di un progetto più grande.
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L’ESPERIENZA DI FORMAZIONE DI UN GRUPPO DI VOLONTARI Dipartimento Studi Sociali dell’Università di Firenze Dott. Lorenzo Porta
All’interno della lunga collaborazione con il “ Punto giovani”, che risale al 1993, quando con il professor L’Abate abbiamo cominciato i laboratori sulla comunicazione, si inserisce il lavoro svolto con i giovani volontari e qualche operatore per alcuni mesi del ‘98 e fino al giugno ‘99. Nella prima fase abbiamo lavorato soprattutto per la creazione di un buon affiatamento del gruppo attraverso l’utilizzo dei metodi attivi e della grande varietà di esercizi, che ci forniscono testi come “Tecnica dell’animazione Sociale” di M. Jelfs, oppure “Percorsi di formazione alla nonviolenza” di E. Euli, A. Soriga e altri, solo per citarne alcuni. Abbiamo proseguito con il lavoro sulla comunicazione, come “competenza” fondamentale della relazione, partendo da noi stessi, dalle nostre esperienze, dalla nostra capacità di “ascolto attivo” per poi giungere a quel tipo particolare di relazione che è la relazione d’aiuto. A partire dalla classica triade contenuto- relazione -contesto abbiamo messo in scena “giochi di ruolo” sui processi decisionali. Ricordo che un partecipante propose il caso della sua scelta universitaria, contrastata in particolare da uno dei genitori. Eravamo tutti impegnati a riflettere sulle osservazioni dei comportamenti verbali e non verbali rappresentati e cercavamo di discernere i diversi approcci comunicativi: aggressivo, passivo ed assertivo. Già nei precedenti incontri avevamo lavorato sull’assertività come affermazione di sé nel rispetto dei diritti altrui, modalità molto vicina all’approccio nonviolento attivo. Questi lavori avevano lo scopo di focalizzare l’importanza del metalinguaggio, cioè la riflessione sul comportamento verbale e non verbale come momento di accrescimento dell’autoconsapevolezza. Emergeva sempre più la tematica del conflitto nella comunicazione e le possibili vie per la sua gestione ed anche per il suo superamento. A questo proposito abbiamo affrontato il fenomeno del pregiudizio sia a livello interpersonale, sia a livello sociale, cercando di individuare quelle categorizzazioni generalizzanti attraverso le quali leggiamo i fenomeni, che ineriscono più a nostri bisogni inconsci di padroneggiare la realtà che ad un vero esame di realtà. Via via che i partecipanti si addentravano nell’attività di volontariato i nostri sforzi si sono indirizzati sul ruolo del volontario alla luce della più recente legislazione, sugli statuti degli enti che utilizzano i volontari. Il nostro percorso intendeva trovare esempi concreti che ci permettessero di individuare percorsi che possano portare ad un incontro proficuo tra volontari ed enti. Siamo partiti da un lavoro sulle motivazioni e le aspettative dei volontari come singoli e come gruppo, quindi abbiamo analizzato gli obiettivi e la filosofia dell’organizzazione degli enti presso cui i volontari operavano. Le motivazioni personali sono state quelle di gran lunga preponderanti, non vi era traccia di motivazioni maturate anche in un contesto di gruppo. Tra le motivazioni personali, la ricerca di risposte a bisogni personali di relazione, di messa a disposizione delle proprie risorse superava quelle più vocazionali di messa in pratica dei propri ideali. Seguivano poi motivazioni di ordine conoscitivo, formativo ed operativo. Quanto alle aspettative si notava una corrispondenza abbastanza netta con le motivazioni in riferimento al livello personale, inoltre emergeva più chiaramente una richiesta sul piano formativo, operativo e conoscitivo.
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A questo punto abbiamo fatto convergere i nostri sforzi sulla conoscenza dello status del volontario per accrescere il livello di consapevolezza del lavoro che si stava svolgendo e trovare tutti i modi possibili per farlo risaltare presso gli operatori e i responsabili degli enti presso cui l’attività veniva svolta. Obiettivo del nostro lavoro non era tanto quello di personalizzare o confinarci entro specifici casi, ma dalla concretezza delle esperienze giungere a chiarire meglio le potenzialità dei volontari sia come singoli, sia come gruppo. Ci siamo soffermati sul fenomeno del volontariato che in Italia ha assunto proporzioni quantitative notevoli (circa cinque milioni e mezzo, dati ‘96). Il 13% della popolazione che va dai 18 ai 74 anni dedica in media più di tre ore la settimana al servizio di volontariato. Il terzo settore cresce fortemente come luogo prescelto per le attività di volontariato. Tra i giovani (15-29 anni) secondo l’inchiesta IARD, “Giovani verso il Duemila” (dati ‘96) vi è una crescita di partecipazione alle associazioni soprattutto sportive, religiose, ricreative, ma anche a quelle studentesche e di impegno sociale e ai collettivi. Le associazioni di carattere religioso e che operano nell’impegno sociale sono in aumento. Per approfondire si veda, A. Bagnasco, L’associazionismo, in P. Ginsborg, “Stato dell’Italia”, Il Saggiatore, 1994. Abbiamo preso spunto da alcuni documenti di corsi di formazione svolti presso l’Università del Volontariato in Lombardia ed abbiamo potuto riflettere su alcuni obiettivi di una pratica qualificante di volontariato, entro cui poi indirizzare le nostre esperienze concrete.
per il coordinamento. Si è ritenuto molto utile inaugurare un quaderno dove annotarsi gli avvenimenti più importanti nel lavoro di sostegno scolastico, che fungesse da passaggio di consegne, al fine di armonizzare gli interventi e di distribuire le conoscenze. Le piccole esperienze dei singoli nell’ambito del sostegno scolastico hanno assunto i contorni di un progetto di lavoro, reso visibile agli occhi degli operatori dell’ente, che in questo modo hanno potuto rivalutare la risorsa dei volontari ed investire più tempo su di essi. Il gruppo è riuscito in qualche modo a fare storia della propria esperienza e ad essere in grado di renderne chiari il metodo ed i contenuti per metterla a disposizione ad altri che potranno continuare. Ora infatti assistiamo ad un parziale ricambio di volontari e stiamo partendo con un nuovo corso di formazione nel quale cerchiamo di far tesoro delle esperienze trascorse per procedere in un lavoro più incisivo e valorizzante.
1) Passare da una visione riparatoria ad una visione liberatoria dell’attività di volontariato. Dall’assistenza e beneficenza al tentativo di aggredire le cause della sofferenza. 2) Saper individuare gli interlocutori a livello istituzionale e sociale per fare emergere i problemi. 3) Sviluppare una “critica propositiva” del volontariato come espresso nella legge regionale 22 del 24/7/’93 (Regione Lombardia). Saper essere di stimolo per il miglioramento della risposta ai bisogni. 4) Essere credibili come volontari. Esplicazione delle proprie potenzialità e risorse. Creazione di relazioni soddisfacenti. Capacità di fornire strumenti alla persona che chiede aiuto. 5) Mettere la persona nelle condizioni di essere l’agente principale del proprio cambiamento (processo di empowerment). I partecipanti hanno fornito molto materiale esperienziale, ma in questa sede intendo ricordare un esempio che poi è diventato paradigmatico ed ha aperto la strada all’elaborazione concreta dei punti sopra citati. Un partecipante, ci ha raccontato come è riuscito a creare una relazione con un giovane albanese, che aiutava nella preparazione all’esame di terza media. Egli attinge dalla letteratura una metafora per descrivere il crearsi di una significatività della relazione: l’episodio della volpe e il piccolo principe nel famoso racconto di Antoine de Saint-Exupéry. Saper essere disponibili senza aspettarsi riscontri immediati e soprattutto fare in modo che il ragazzo senta di essere importante come persona concreta per “l’educatore”, con le sue bellezze e i suoi difetti. Quando il ragazzo ha sentito che il volontario ci teneva “personalmente” al suo progetto di vita un muro si è infranto e la relazione ha avuto il suo punto di svolta. Quel ragazzo non si è più sentito “uno dei cento ragazzi”, ma una persona unica e specifica. Da qui hanno ripreso linfa, in sede di corso di formazione, le riflessioni per dare un adeguato risalto al gruppo dei volontari nell’ente in questione. Sono nate le richieste di dotarsi di strumenti adeguati per far risaltare al meglio il proprio lavoro. Si è sottolineata l’importanza di avere un referente per i volontari tra gli operatori dell’ente, con il quale riservarsi uno spazio
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INTERVENTI, COMUNICAZIONI, NOTE
Rassegna bibliografica sull’adolescenza e i giovani (1999) Si presenta qui di seguito una rassegna bibliografica sui temi dell’adolescenza e dei giovani curata dal Centro di documentazione dell’Istituto degli Innocenti. Le segnalazioni contengono gli articoli e le monografie pervenute nel corso del 1999. Le citazioni sono ordinate secondo la classificazione realizzata dal Centro.
100 INFANZIA, ADOLESCENZA E FAMIGLIA 122 Adolescenti stranieri Emigrazione: sofferenze d’identità / a cura di M.L. Algini e M. Lugones. - Roma: Borla, stampa 1999. - 279 p.; 20 cm. - (Quaderni di psicoterapia infantile; 40). Bibliografia. ISBN 88-263-1316-4 135 Relazioni nella famiglia Ferranti, Marinella Un adolescente in famiglia: come affiancare un figlio e crescere con lui / Marinella Ferranti. - Roma: Armando, c1999. - 127 p.; 24 cm. - (Collana medico-psico-pedagogica). ISBN 88-7144-989-4 Pietropolli Charmet, Gustavo Un nuovo padre. La relazione padre figlio / di Gustavo Pietropolli Charmet. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 7 (genn./febbr. 1999), p. 13-15. Regalia, Camillo Convinzioni di efficacia filiale e prevenzione del rischio in adolescenza / Camillo Regalia, Claudio Barbaranelli, Concetta Pastorelli, Eva Mazzotti. Bibliografia: p. 65-66. In: Età evolutiva. - N. 64 (ott. 1999), p. 60-66. Salerno, Alessandra Il conflitto coniugale in famiglie con figli adolescenti / Alessandra Salerno. Bibliografia: p. 32-33. In: Età evolutiva. - N. 64 (ott. 1999), p. 24-33. Scabini, Eugenia La famiglia lunga del giovane adulto / Eugenia Scabini, Giovanna Rossi. Bibliografia: p. 21. In: La famiglia. - A. 33, 193 (genn./febbr. 1999), p. 11-21. Vegetti Finzi, Silvia L’amore, corpo a corpo: la relazione genitori figli / di Silvia Vegetti Finzi. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 7 (genn./febbr. 1999), p. 16-18. 180 Separazione coniugale Francescato, Donata Gli effetti a lungo termine della separazione familiare: adolescenti e giovani adulti di famiglie separate e unite a confronto / Donata Francescato, Anna Paola Ercolani, Marco Perugini, Flavia Bove. Bibliografia: p. 22-23. In: Età evolutiva. - N. 62 (febbr. 1999), p. 12-23. 200 PSICOLOGIA 201 Attaccamento Attaccamento e funzione riflessiva in adolescenza / Massimo Ammaniti, Renata Tambelli, Giulio Cesare Zavattini, Laura Vismara, Barbara Volpi. Contributo contenuto nel nucleo monotematico: Attaccamento e processi di mentalizzazione / Massimo Ammaniti e Nino Dazzi. - Bibliografia: p. 170-175. In: Psicologia clinica dello sviluppo. - A. 3, n. 1 (apr. 1999), p. 155-175.
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217 Emozioni e sentimenti Perotti, Luisa I colori dell’anima / di Luisa Perotti. In: Famiglia oggi. - A. 22, n. 10 (ott. 1999), p. 74-77. 240 Psicologia dello sviluppo Nicolini, Paola Che pensi di te stesso?: le autopresentazioni degli adolescenti / Paola Nicolini. - Milano: F. Angeli, c1999. - 140 p.; 22 cm. - (Adolescenza, educazione e affetti; 9). ISBN 88-464-1289-3 243 Psicologia sessuale Milana, Giuliana Lisa Nuclei perversi in infanzia e adolescenza. Problemi teorici e clinici / introduzione di Giuliana Lisa Milana. Contributo contenuto nell’inserto: Nuclei perversi in infanzia e adolescenza. Problemi teorici e clinici. Bibliografia: p. 29. In: Richard e Piggle. - Vol. 7, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [18]-29. Morra, Mauro La ragazza che vuole diventare uomo / Mauro Morra. Contenuto nell’inserto: Nuclei perversi in infanzia e adolescenza: problemi teorici e clinici. - Bibliografia: p. 5556. In: Richard e Piggle. - Vol. 7, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [41]-56. Nunziante Cesàro, Adele Identificazione con il padre e identità femminile in adolescenza / Adele Nunziante Cesàro. Bibliografia: p. 360. In: Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. - Vol. 66, n. 3 (magg./giugno 1999), p. 355-360. Saottini, Cristina Molestie sessuali e adolescenza / Cristina Saottini. Bibliografia: p. 52. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [40]-52. Schweizer, Katharina Il rapporto tra padre e figlia al di là e al di qua del complesso di Edipo tra illusione e seduzione / Katharina Schweizer. Bibliografia: p. 38-39. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [27]-39. 243 009 4581 Omosessualità – Sicilia orientale Valastro, Orazio Maria La condizione omosessuale come processo conflittuale di elaborazione dell’identità sessuale: un’analisi del vissuto omosessuale nella Sicilia orientale / [Orazio Maria Valastro]. Il nome dell’A. a p. 71. - Bibliografia: p. 72-73. In: La critica sociologica. - 129 (primavera 1998/1999 [i.e. 1999]) = apr./giugno [1999], p. 63-73. 250 Psicologia sociale Caprara, Gian Vittorio Autoefficacia, percezioni familiari e adattamento psicosiciale in un campione di adolescenti / Gian Vittorio Caprara, Eugenia Scabini, Claudio Barbaranelli, Concetta Pastorelli, Camillo Regalia. Bibliografia: p. 32-33. In: Età evolutiva. - N. 62 (febbr. 1999), p. 25-33. Moro, Alfredo Carlo Il gruppo dei “pari età”: un volto o una maschera / Alfredo Carlo Moro. In: Famiglia oggi. - A. 22, n. 4 (apr. 1999), p. 41-65. 254 Comportamento interpersonale Bonino, Silvia Tra sesso e affetti / Silvia Bonino. Bibliografia: p. 27. In: Psicologia contemporanea. - A. 26, n. 153 (magg./giugno 1999), p. [20]-27.
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Tra volante e ottovolante / Silvia Bonino. Bibliografia: p. 25. In: Psicologia contemporanea. - A. 26, n. 154 (luglio/ag. 1999), p. [18]-25. Cattelino, Elena I comportamenti a rischio in adolescenza: il ruolo delle relazioni con i genitori e con gli amici / Elena Cattelino, Silvia Bonino. Bibliografia: p. 76-78. In: Età evolutiva. - N. 64 (ott. 1999), p. 67-78. Curti, Sergio Il fenomeno del bullismo / di Curti Sergio. Bibliografia: p. 12. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 7 (genn./febbr. 1999), p. 8-12. Di Iullo, Maria Gabriella Descrizione di sé e della propria famiglia: applicazione dell’ACL allo studio delle relazioni familiari rappresentate / Maria Gabriella Di Iullo, Giulio Cesare Zavattini, Flaminia Cordeschi, Paola Pirri. Bibliografia: p. 309-312. In: Psicologia clinica. - A. 3, n. 2 (ag. 1999), p. 285-312. Marta, Elena Comportamento prosociale, relazioni genitori-figli e azione volontaria dei giovani: un’analisi esplorativa / Elena Marta. Bibliografia: p. 87-89. In: Età evolutiva. - N. 64 (ott. 1999), p. 79-89. Menesini, Ersilia L’operatore amico: strategie antibullismo / Ersilia Menesini, Beatrice Benelli. Bibliografia: p. 55. In: Psicologia contemporanea. - N. 153 (magg./giugno 1999), p. [50]-55. Relazioni tra coetanei in età scolare: processi evolutivi e fattori di rischi: una rassegna di studi / Ersilia Menesini. Bibliografia: p. 28-36. In: Psicologia clinica dello sviluppo. - A. 3, n. 1 (apr. 1999), p. 5-36. Rich Harris, Judith Non è colpa dei genitori: la nuova teoria dell’educazione: perché i figli imparano più dai coetanei che dalla famiglia / Judith Rich Harris; introduzione di Steven Pinker. - Milano: Mondadori, c1999. - 503 p.; 23 cm. (Saggi). Trad. di: The Nurture assumption. ISBN 88-04-46156-X 260 Consulenza tecnica d’ufficio Consegnati, Maria Rita Il figlio nel conflitto genitoriale: lettura del Rorschach somministrato a bambini ed adolescenti nella consulenza tecnica d’ufficio. - Milano: F. Angeli, c1999. - 188 p.; 22 cm. - (Serie di psicologia; 151). ISBN 88-464-1399-7 300 SCIENZE SOCIALI, ECONOMIA E AMBIENTE 343 Disagio minorile Baraldi, Claudio Il disagio della società: origini e manifestazioni / Claudio Baraldi. - Milano: F. Angeli, c1999. - 392 p.: ill.; 22 cm. - (Laboratorio sociologico; 29). ISBN 88-464-1487-X Cappellini, Lidia Quale prevenzione per il disagio? / Lidia Cappellini. In: Vivere oggi. - A. 13, n. 4 (magg. 1999), p. [52]-55.
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Gasparini, Marina Il reato come sintomo del disagio evolutivo: trattamento dell’antisocialità ed interazione di ruoli professionali ed istituzionali / Marina Gasparini. Bibliografia: 94-95. In: Politiche sociali e servizi. - A. 1, 1 (genn./giugno 1999), p. [71]-95. Perulli, Lodovico Adolescenti che tentano il suicidio: una ricerca in ospedale: presa in carico o minimizzazione? / Lodovico Perulli, Gianfranco Bolzonella, Luisa Bottega, Luigina Cherubini, Diana Maschietto. Bibliografia: p. 296. In: Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. - Vol. 66, n. 3 (magg./giugno 1999), p. 285-296. Pommereau, Xavier La tentazione estrema / Xavier Pommereau; traduzione di Roberto Salvadori. - Milano: Nuova Pratiche, c1999. - 315 p.; 22 cm. - (Nuovi saggi). Bibliografia: p. 303-309. ISBN 88-7380-630-9 Rigon, Giancarlo Considerazioni eziopatogenetiche e cliniche su un caso di ripetuto tentato suicidio di una adolescente / Giancarlo Rigon, Daniele G. Poggioli, Alessandra Mancaruso. Bibliografia: p. 271-272. In: Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. - Vol. 66, n. 3 (magg./giugno 1999), p. 261-272. Valtancoli, Angela Disadattamento adolescenziale: fattori di rischio psicologici ed ambientali in una prospettiva evolutiva: uno studio empirico / Angela Valtancoli, Andrea Selvi, Adolfo Pazzagli. Relazione tenuta alla 1. Giornata di studio I servizi pubblici per l’adolescenza, Firenze, 1999. - Bibliografia: p. 92-93. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [74]-93. Vespa, Marina Il tentato suicidio nella ragazza adolescente / Marina Vespa, Gianluigi Monniello. Bibliografia: p. 284. In: Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. - Vol. 66, n. 3 (magg./giugno 1999), p. 273-284. 357 Abuso sessuale Dèttore, Davide L’abuso sessuale sui minori: valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili / Davide Dèttore, Carla Fuligni; presentazione del Prof. Giorgio Abraham. - Milano: McGraw-Hill, 1999. - 454 p.; 21 cm. - (Collana di psicologia McGraw-Hill). ISBN 88-386-2720-7 Pacciolla, Aureliano Abuso sessuale: una guida per psicologi, giuristi ed educatori / Aureliano Pacciolla, Italo Ormanni, Annamaria Pacciolla. - Roma: Edizioni Laurus Robuffo, 1999. - 292 p.: ill.; 24 cm. - (Collana Università; U-8). Bibliografia: p. [187]-261. ISBN 88-8087-180-3 362 Delinquenza minorile Cavallo, Melita Ragazzi di strada: voci e testimonianze del carcere minorile / Melita Cavallo. - Torino: Paravia, c1999. - 174 p.; 21 cm. - (Viaggi nella storia del Novecento). Bibliografia: p. 171-174. ISBN 883956151X 376 Lavoro Stanga, Rossana Lavoro e costruzione dell’identità / Rossana Stanga. Bibliografia: p. 92. In: Adultità. - N. 9 (apr. 1999), p. 85-92.
400 DIRITTO E ISTITUZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI 403 Diritto minorile Mazzucchelli, Francesca L’ascolto dell’adolescente da parte del giudice onorario psicologo clinico / di Francesca Mazzucchelli. In: Minori giustizia. - 1998, n. 4, p. 71-77. 490 Giustizia minorile De Leo, Gaetano Trattare con adolescenti devianti: progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile / Gaetano De Leo, Patrizia Patrizi. - Roma: Carocci, c1999. - 197 p.; 22 cm. - (Biblioteca di testi e studi; 97). ISBN 88-430-1359-9 500 AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E POLITICA 547 Politiche per l’infanzia In testa ai miei pensieri…: Conferenza nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza: Firenze, 19/21 novembre 1998: atti della Conferenza. - [Roma]: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali, stampa 1999. - 159 p.; 24 cm. Sul front.: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali; Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza. 580 094 5241 Partecipazione democratica - Comune di Bergamo L’arte di progettare. 1, Città laboratorio dei giovani / a cura dell’Équipe Progetto giovani di Bergamo. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. [23]-49. Biografie giovanili dell’abbandono. Contributo contenuto nell’inserto: L’arte di progettare. 1, Città laboratorio dei giovani / a cura dell’Équipe Progetto giovani di Bergamo. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. 39-43. Castelli, Ferruccio Libere aggregazioni cercasi: percorsi di prossimità con i gruppi spontanei giovanili a Bergamo / Ferruccio Castelli, Renato Magni. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. 50-58. Giovani e città, come ripensare il rapporto: l’esperienza di Bergamo. Contributo contenuto nell’inserto: L’arte di progettare. 1, Città laboratorio dei giovani / a cura dell’Équipe Progetto giovani di Bergamo. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. 25-30. Storia di un puzzle: come una città ha provato a mettere insieme i suoi mille frammenti. Contributo contenuto nell’inserto: L’arte di progettare. 1, Città laboratorio dei giovani / a cura dell’Équipe Progetto giovani di Bergamo. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. 31-38. Verso una città dei progetti educativi: come rilanciare l’esperienza acquisita. Contributo contenuto nell’inserto: L’arte di progettare. 1, Città laboratorio dei giovani / a cura dell’Équipe Progetto giovani di Bergamo. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 133 = 5 (magg. 1999), p. 44-49. 580 094 57511 Partecipazione democratica - Comune di Bari Bari. Assessorato ai diritti civili e sociali Amministratori in erba: l’esperienza dei Consigli dei ragazzi a Bari. - Palo del Colle (Bari): Liantonio editrice, [1999]. - 160 p.; 24 cm. In testa al front.: Comune di Bari, Assessorato ai diritti civili e sociali.
Stea Carboni, Gloria Il diritto all’inserimento lavorativo / di Gloria Stea Carboni. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 9 (magg. 1999), p. 21-[23].
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600 EDUCAZIONE, ISTRUZIONE E SERVIZI EDUCATIVI 610 Educazione Belloni, Laura Il cerchio della sperimentazione educativa / Laura Belloni. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 136 = 10 (ott. 1999), p. 46-51. Brena, Silvia Scuola in ricerca dei giovani e della città: percorsi di ricerca con studenti delle scuole superiori a Bergamo / Silvia Brena, Cristiano Iannitelli, Valter Tarchini. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 136 = 10 (ott. 1999), p. 80-87. Prada, Giorgio Iniziazione, avventura e pratica dell’animazione sociale / Giorgio Prada. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 136 = 10 (ott. 1999), p. 40-45. Viganò, Renata La domanda educativa giovanile / Renata Viganò. In: Adultità. - N. 9 (apr. 1999), p. 63-69. 615 Educazione interculturale Educazione interculturale: ipotesi formative per la diffusione di una cultura antirazzista = Intercultural education: training hypothesis for spreading an antiracist culture. - Firenze: Arci Toscana, [1999?]. - [79] c.; 30 cm. 620 Istruzione scolastica L’ abbandono scolastico: aspetti culturali, cognitivi, affettivi / a cura di Olga Liverta Sempio, Emanuela Confalonieri e Giuseppe Scaratti. - Milano: R. Cortina, 1999. - xviii, 287 p.; 23 cm. - (Psicologia dell’educazione; 6). Bibliografia. ISBN 88-7078-555-6 Martello, Maria La scuola trasforma un limite in risorsa / Maria Martello. In: Scuola e didattica. - A. 44, 18 (1 giugno 1999), p. 13-16. Sequi, Roberto La comunità solidale: la leva giovanile: un’esperienza di cittadinanza attiva contro la dispersione scolastica / Roberto Sequi, Donatella Degani, Leonardo Lombardi, Luigina Angioloni. - Roma: Carocci, 1999. - 151 p.; 22 cm. - (Ricerche. Scienze politiche e sociali; 43). ISBN 88-430-1248-7 680 094 5296 Centri per l’adolescenza - Provincia Nordovest di Pavia Gatti, E. Il centro di aggregazione territoriale della zona ovest di Pavia / a cura di Marco Taddei. Intervista all’Assessore E. Gatti in occasione del Convegno L’età incerta: riflessioni sull’adolescenza, Pavia, [1998?]. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 7 (genn./febbr. 1999), p. 19. 700 SALUTE Oltre il pregiudizio: modelli idee e strumenti nella prevenzione delle dipendenze / a cura di Massimo di Giannantonio, Filippo M. Ferro, Franca Pierdomenico. - Milano: F. Angeli, c1999. - 254 p.; 22 cm. - (Dipendenze: Strumenti/Laboratorio; 3). ISBN 88-464-1366-0 700 094 Prevenzione - Europa Modelli di valutazione della prevenzione primaria in Europa / a cura di Elena Buccoliero, Cristina Sorio, Alberto Tinarelli. - Milano: F. Angeli, c1999. - 203 p.; 22 cm. - (Politiche e servizi sociali; 71). ISBN 88-464-1329-6 700 094 5411 Prevenzione - Comune di Bologna Se mi tingo i capelli di verde è solo perché ne ho voglia: percorsi della notte: un progetto pilota del Comune di Bologna / a cura di Vincenzo Castelli e Pierfrancesco Pacoda. - Roma: Castelvecchi, 1999. - 248 p.; 23 cm. (Contatti; 7). Bibliografia: p. 224-232. ISBN 88-8210-138-X
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720 Alimentazione Bonino, Silvia Il corpo impossibile / Silvia Bonino. Bibliografia: p. 48. In: Psicologia contemporanea. - A. 26, n. 152 (mar./apr. 1999), p. [42]-48. 732 Consumo di droghe Bonino, Silvia L’erba leggera / Silvia Bonino. Bibliografia: p. 48. In: Psicologia contemporanea. - A. 25, n. 151 (genn./febbr. 1999), p. [40]-48. 762 Malattie del sistema nervoso e disturbi mentali Bargagna, Stefania Un’esperienza di consulenza neuropsichiatrica ambulatoriale in un reparto di pediatria: considerazioni cliniche / S. Bargagna, S. Millepiedi, C. Floriani, C. Costagli, F. Massei. Bibliografia: p. 212. In: Minerva pediatrica. - Vol. 51, n. 6 (giugno 1999), p. 205-212. Bringhenti, Franco Il sostegno familiare nell’adolescenza: contributo alla validazione della “perceived social support family (received) scale” / Franco Bringhenti. Relazione tenuta alla 1. Giornata di studio I servizi pubblici per l’adolescenza, Firenze, 1999. - Bibliografia: p. 105-106. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [94]-106. Corpo e mente in adolescenza: contributi clinici ed esperienze psicoanalitiche / a cura di Pietro Bria e Lucio Rinaldi. - Milano: F. Angeli, c1999. - 174 p.; 22 cm. - (Psicoanalisi contemporanea; 2.2). ISBN 88-464-1270-2 Munelli, Maurizio Gruppoanalisi con gli adolescenti / Maurizio Munelli. Bibliografia: p. 31. In: Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale. - Vol. 17, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [22]-31. Muratori, Filippo La relazione psicoterapeutica durante il ricovero ospedaliero: sua importanza per la valutazione prognostica e terapeutica / Filippo Muratori, Sandra Maestro, Raffaella Tancredi. Relazione tenuta alla 1. Giornata di studio I servizi pubblici per l’adolescenza, Firenze, 1999. - Bibliografia: p. 73. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [61]-73. Perret Catipovic, Maja Lo psicodramma psicoanalitico individuale con gli adolescenti / Maja Perret Catipovic. Bibliografia: p. 15. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [2]-15. Psicoanalisi dei bambini e degli adolescenti: spigolature / a cura di F. Borgogno e A. Ferro. - Roma: Borla, stampa 1999. - 301 p.; 20 cm. - (Quaderni di psicoterapia infantile; 39). Bibliografia. ISBN 88-263-1283-4 800 ASSISTENZA SOCIALE E SERVIZI SOCIO-SANITARI 815 Servizi territoriali e comunitari Muscetta, Sergio I servizi pubblici per l’adolescenza: 1999 / [a cura di Sergio Muscetta e Angela Scaffidi]. Il tit. si ricava dalla cop. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [53]-106. Reitano, Francesco Le strutture intermedie / Francesco Reitano. Relazione tenuta alla 1. Giornata di studio I servizi pubblici per l’adolescenza, Firenze, 1999. In: Adolescenza. - Vol. 10, n. 1 (genn./apr. 1999), p. [55]-60.
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816 Informagiovani Civati, Sergio Una nuova domanda di informazione e orientamento: informagiovani: tra rischio di decadimento e possibilità di sviluppo / Sergio Civati. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 134 = 6/7 (giugno/luglio 1999), p. 78-88. Per un modello sociale di informagiovani. [Parte seconda] / Sergio Civati. In: Animazione sociale. - A. 29, 2. ser., n. 135 = 8/9 (ag./sett. 1999), p. 79-89. 900 CULTURA, LETTERATURA, TEMPO LIBERO, STORIA, ETICA, RELIGIONE 924 Televisione Pellai, Alberto Teen television: gli adolescenti davanti e dentro la Tv / Alberto Pellai. - Milano: F. Angeli, c1999. - 205 p.; 22 cm. - (Adolescenza, educazione e affetti; 8). ISBN 88-464-1278-8 955 Lettura I bambini e la lettura: la cultura del libro dall’infanzia all’adolescenza / a cura di Vanna Gherardi e Milena Manini. - Roma: Carocci, c1999. - 222 p.; 22 cm. - (Biblioteca di testi e studi; 103). Bibliografia: p. 215-220. ISBN 88-430-1383-1 955 009 4547 Lettura - Provincia di Ravenna Benati, Nives E se le storie allungassero la vita?: un progetto per adolescenti realizzato dalle sezioni ragazzi delle biblioteche della provincia di Ravenna / di Nives Benati, Maria Cristina Pattuelli, Daniela Simonini, Maria Laura Troncossi. In: Sfoglialibro. - N. 6 (luglio/ag. 1999), p. 20-23. 965 Sport Caenazzo, Valeria Sport e adolescenza / di Valeria Caenazzo. Bibliografia: p. 22. In: Pedagogika.it. - A. 3, n. 7 (genn./febbr. 1999), p. 20-22.
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