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ANNO XLII N. 3-4/2007 Poste Italiane sped. in A.P. - Art. 2 comma 20/e legge 662/96 Aut n. DCO/DC-CS/220/2003 valida dal 29 maggio 2003 Direttore responsabile GIUSEPPE CATERINI giornalista Segretario di redazione Ettore Merletti Selezione scritti, grafica e impaginazione Mario Caterini giornalista Comitato di corrispondenza Leonardo Ferraro Giovan Battista Galati Anselmo Papaleo Massimiliano Provenzano Antonio Sirianni
• Direzione Redazione Amministrazione COSENZA Via Alberto Serra, 42/d - Tel. 0984-393646/47
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SOMMARIO EDITORIALE 3 - Giornalisti e politici molto spesso non sanno quello che dicono e tantomeno quello che fanno, di Giuseppe Caterini ARTE E CULTURA 6 - Due calabresi nella Roma mitica della “dolce vita”: Vincenzo Talarico e Attilio Bossio, di Giulio Palange 12 - La cattedrale di S. Maria di Anglona, di Giuseppe Roma 16 - La parabola dei consorzi agrari, di Mario De Filippis 18 - Dall’America alla Calabria, le peripezie di un seme, di Giorgio Boatti 19 - Le mie memorie inedite, di Giuseppe Cordasco ASTERISCHI 20 - Lo specchio di Lucrezia, opera prima di Marcello Barberio (Ursini Edizioni, Catanzaro 2007) 21 - Consensi al Dizionario della Calabria di Gustavo Valente, edito dal Centro Studi Geo-Metra - Il “Dizionario della Calabria” di Gustavo Valente, di Ernesto Corigliano ATTIVITÀ DI CATEGORIA Dal Comitato Regionale Geometri di Calabria 22 - Università della Calabria i laureati in Scienze Geo-Topo-Cartografiche, Estimative, Territoriali ed Edilizie, Seduta del 24 gennaio, 24 aprile, 24 luglio e 23 ottobre 2007 22 - Corso di laurea in Scienze Geo-Topo-Cartografiche, Estimative, Territoriali ed Edilizie Immatricolazione A.A. 2007-2008 nell’Università della Calabria Dai Collegi di Calabria Catanzaro 23 - Iniziative e riunioni; 23 - Aggiornamento Albo 23 - Esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2007 - Elenco degli abilitati Cosenza 25 - Corso di Aggiornamento Professionale - XXXI edizione 25 - Confermata la rappresentanza in consiglio alle circoscrizioni del Pollino-Castrovillari e Media Valle Crati-Acri 26 - Ispezione nei cantieri edili 26 - Comunicazioni della presidenza 27 - Seminario di Aggiornamento Professionale 28 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - Le prove scrittografiche 29 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2007 - Elenco degli abilitati 29 - Aggiornamento Albo Professionale e Registro Praticanti 30 - Un grande amico ci ha lasciato ... Crotone 31 - Aggiornamento Albo Professionale e Registro Praticanti 31 - Seminario di Aggiornamento Professionale “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, (D.P.C.M. 12 dicembre 2005 e D.Lvo 157/2006) 32 - Corso di aggiornamento per praticanti “Responsabilità civili e penali dei geometri liberiprofessionisti” 32 - Sottoscrizione protocollo di intesa per costituzione centro elaborazione bandi (CEB) 33 - Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di geometra - sessione 2007 - Elenco degli abilitati Vibo Valentia 34 - Iniziative e riunioni 35 - Aggiornamento Albo e Registro Praticanti CATASTO E TOPOGRAFIA 36 - La progettazione del rilievo, di Vincenzo Ragone 38 - L’accatastamento dei fabbricati rurali, di Antonio Grembiale 40 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 7 del 15 giugno 2007. Accertamento dei fabbricati che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità e di quelli mai dichiarati in catasto. 48 - Agenzia del Territorio: Determinazione 13 agosto 2007. Aggiornamento degli oneri dovuti perla redazione d’ufficio degli atti di aggiornamento catastali, da porre a carico dei soggetti inadempienti. 49 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 10 del 22 giugno 2007. Competenze professionali degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati – Decisione del Consiglio di Stato n. 2204/2007. 49 - Agenzia del Territorio: Circolare n. 14 del 22 novembre 2007. Chiarimenti in materia di dichiarazioni di immobili ricompresi nella categoria D/1. Le centrali eoliche. 52 - Norme di natura catastale, estratto regolamento D.P.R. 23 marzo 1998 n. 138, di Luciano Bassi
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REGOLE DI COLLABORAZIOE CRITERI GEERALI 1) La rivista persegue lo scopo di allargare l'informazione tecnica nella regione. Si rivolge particolarmente ai geometri, ai tecnici, agli enti, agli uffici, alle organizzazioni e agli operatori del settore. 2) Per il tipo di utenza a cui la rivista si rivolge, i testi dovranno essere scritti in modo chiaro, comprensibile e stringato. Se la direzione ritenesse il testo non idoneo per la forma, può modificarlo dandone comunicazione all'autore. 3) Gli scritti, ovviamente originali, non devono superare le dieci cartelle al computer, comprese le illustrazioni, (piena pagina, corpo 10) e dovranno pervenire entro la fine dei mesi di marzo, giugno e novembre per una eventuale pubblicazione nel numero successivo. Pezzi più lunghi dovranno essere concordati con la Direzione della rivista. Tutti i testi e il materiale iconografico dovranno essere inviati in copia cartacea e floppy-disk al Direttore responsabile (via A. Serra n. 42/D - 87100 Cosenza) e non saranno retribuiti né restituiti. 4) Le bozze date agli autori per la correzione dovranno essere restituite entro 3 giorni dalla consegna; in mancanza, la direzione potrà procedere alla pubblicazione, secondo la propria impostazione. 5) A ciascun autore saranno date in omaggio 2 copie del numero della rivista col suo scritto. La restituzione del materiale fotografico avverrà entro 30 giorni dalla pubblicazione, solo se ne verrà fatta dall'autore esplicita richiesta. La segreteria di redazione non risponde di eventuali deterioramenti o smarrimenti. CRITERI REDAZIOALI Titoli e testi a) I titoli devono essere chiari e i più brevi possibili. La direzione, si riserva il diritto di modificarli a secondo le esigenze redazionali. b) I testi devono essere digitati in modo chiaro per un massimo di 10 cartelle, possono essere suddivisi in capitoli, e dovranno essere definitivi: non si apporteranno correzioni non previste dall'originale. c) Le parole singole in lingua straniera presenti nel testo vanno scritte in corsivo. d) Le citazioni di più righe si riportano in corpo minore rientrando di due spazi rispetto ai inargini del testo. e) Le note si collocano a fine testo. In esse i nomi degli autori si scrivono in maiuseoletto, i titoli delle opere e degli articoli in corsivo. Basta riportare il solo luogo di edizione, seguito dalla data e dagli eventuali numeri di pagina, senza l'indicazione dell'editore. In mancanza della data o dell'anno di pubblicazione riportare le sigle s.d. oppure sa. f) Le opere collettive si riportano soltanto con il titolo del volume aggiungendo l'eventuale nome del curatore preceduto dalla dicitura: a cura di non usando la sigla AA.VV. g) I titoli degli Atti dei convegni e delle Enciclopedie nonché degli articoli e dei saggi pubblicati in riviste vanno indicati in corsivo, il nome della rivista va posto tra virgolette riportando anche mese e anno, volume e numero del fascicolo, con eventuale modificazione di Nuova Serie. Tra il titolo dell'articolo e la sede della pubblicazione (anche nel caso di Atti di convegni ed Enciolepedie) porre la dicitura: in. h) Le collane di testi e le opere di consultazione devono essere riportate secondo le abbreviazioni in uso impiegando il corsivo. i) Il riferimento a fondi archivistici va riportato, nella prima citazione o in un apposito elenco delle abbreviazioni, con sigla affiancata dal significato per esteso, es.: ASCs=Archivio di Stato di Cosenza. 1) Nelle recensioni, prima del testo, indicare nell'ordine nome e cognome dell'autore per esteso, titolo completo del volume recensito, luogo di edizione, editore, anno di edizione, numero delle pagine, prezzo. Tabelle e Illustrazioni a) Le tabelle, ridotte al numero essenziale, dovranno essere separate dal testo e correttamente numerate. b) Le illustrazioni (fotografie in bianco e nero e diapositive a colori) non dovranno essere inserite nel testo, ma su fogli a parte e dovranno essere numerate e accompagnate dalle relative didascalie. c) I grafici citati nel testo con il termine «figura», dovranno essere molto chiari e numerati in modo progressivo con le relative didascalie (separate dal testo e recanti il numero di riferimenti) di facile ed immediata comprensione. d) l'inserimento delle illustrazioni, delle tabelle e dei grafici nel testo, sarà curato dalla direzione che si riserva il diritto di adeguarlo alle esigenze di impaginazione. La direzione ____________ La direzione de la Stadia chiede alla cortesia di tutti i lettori l'invio di foto e cartoline illustrate a colori di scorci panoramici, bellezze naturali e beni storici, artistici o architettonici del Sud Italia, da pubblicare, previa selezione, in copertina. La collaborazione qualificata e gratuita a la Stadia, segnatamente degli iscritti all'Albo, al Registro dei praticanti e all'Elenco speciale nonché di tecnici, studiosi e specialisti è richiesta, gradita e sollecitata Un giornale si fa non solo con l'impegno costante di pochi volontari, ma anche con l'apporto valido e serio di molti.
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54 - Agenzia del Territorio, Servizi telematici, di Giuseppe di Gennaro 59 - Banche dati ipocatastali on line per chiunque, di Franco Guazzone 65 - Evoluzione delle procedure di aggiornamento geometrico del catasto terreni, di Salvatore Sandro Viscomi 69 - Accatastamento entro tre mesi dalla pubblicazione della lista, di Franco Guazzone COMPETEZE E PROFESSIOE 70 - Il Tar su competenze di geometri e ingegneri 70 - Attenzione ai fabbricati fronteggianti le strade, di Corrado Sforza Fogliani 71 - Interessi legali sul saldo delle parcelle CODOMIIO 72 - L’obbligo di versare l’indennità di sopraelevazione, di Ettore Ditta 74 - La «mini-altezza» fa la mansarda, di Augusto Orla 75 - Distanze minime anche per i tubi. Norme civili. Fabbricati adiacenti, di Luana Tagliolini 75 - Uso della cosa comune: l’installazione di antenne sul tetto, di Ivan Meo 78 - da “Le parti comuni in condominio” L’uso, la ripartizione delle spese, gli orientamenti giurisprudenziali, di Ettore Ditta 78 - Nozione di condominio negli edifici 81 - Le singole parti comuni 87 - Diritti dei partecipanti sulle cose comuni 91 - I tipi di spesa previsti dalla normativa 94 - Casistica delle spese EDILIZIA E URBAISTICA 100- Reati edilizi in ambito paesaggistico senza sconti, di Diego Foderini 102- Classificazione degli interventi con le singole definizioni 105- Soppalchi interni e titoli abilitativi, di icola D’Angelo FISCO 107- L’Agenzia del Territorio di Cosenza condannata per colpa grave con pagamento di danni e spese al ricorrente per errata variazione di intestazione catastale 110- Catasto a redditi e catasto a valori, di Riccardo Roscelli e Marco Simonotti 113- La fiscalità dei fabbricati in agricoltura, di Guido Molineris 121- La notifica degli atti catastali e i termini di impugnazione, di Franco Guazzone 124- Definiti i criteri di determinazione del valore “normale” dei fabbricati, di Franco Guazzone 126- Agenzia delle Entrate: Provvedimento 27 luglio 2007. Disposizioni in materia di individuazione dei criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati di cui all’articolo 1, comma 307 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007). G. U. n. 182 del 7 agosto 2007 129- Agenzia delle Entrate: Riconoscimento della ruralità delle costruzioni - Risoluzione del 22.5.2007 n. 111 130- Agenzia del Territorio: Circolare n. 12 dell’8 novembre 2007 133- Agenzia delle Entrate: Circolare n. 13 del 20 novembre 2007. Cancelazione di ipoteche Profili interpretativi ORMATIVA TECICA 136- Enfiteusi: normativa di riferimento, di Pietro Romano 139- Legge 3 Agosto 2007, n. 123: Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia 145- Espropriazione: illegittima l’indennità troppo lontana da valori di mercato 146- DPCM del 14 giugno 2007. Decentramento delle funzioni catastali ai comuni, ai sensi dell’articolo 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 151- Legge Regionale 21 agosto 2007, n. 18: Norme in materia di usi civici (BUR n. 15 del 16 agosto 2007, supplemento straordinario n. 5 del 29 agosto 2007) SICUREZZA SUL LAVORO 156- Quando l’ispettore dell’azienda sanitaria provinciale (ex A.S.L.) arriva in cantiere, di Salvatore, Maddalena e Francesco Esposito 159- Esposizione ad agenti cancerogeni: registri e cartelle sanitarie, di Pietro Gremigni 162- Sistemi anticaduta. Dispositivi e sistemi per la salvaguardia nei cantieri. Norme e dettagli, di Elena Lucchi TECICA DELLE COSTRUZIOI 165- Ampliare e potenziare i depuratori o ridurre le portate da trattare?, di Giuseppe Raso e Angela Raso 169- Attestato energetico degli edifici in generale e degli appartamenti. Cosiddetta Patente o Certificato, di Luciano Bassi 170- Lettera a “la Stadia” 170- La normativa antisismica da applicare nei lavori pubblici, di Diego Foderini 172- Incentivi per gli impianti fotovoltaici, di Dino de Paolis 177- Il rame nell’edilizia a basso consumo energetico, di Vincenzo Loconsolo 180- Edificio unifamiliare in muratura armata, di icola Canal 183- Particolari costruttivi, fissaggio degli elementi lignei di copertura, di icola Canal 184- Solai di interpiano. Norme e dettagli, di Jacopo Gaspari e Elena Giacomello 187- I pavimenti radianti, cosa sono e come si realizzano, di Vincenzo Gieri 194- Proteggere i muri. Classificazione per funzioni e modalità applicative: da quelli tradizionali ai più innovativi, termoisolanti e aeranti, di Elena Lucchi 199- L’isolamento termico dell’edificio per ridurre i consumi 202- Contenere la terra, di Elena Lucchi
QUESTO NUMERO DE LA STADIA VIENE INVIATO, A RICHESTA, ANCHE AI GEOMETRI ISCRITTI AL COLLEGIO DI POTENZA
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GIORNALISTI E POLITICI MOLTO SPESSO NON SANNO QUELLO CHE DICONO E TANTOMENO QUELLO CHE FANNO Chi scrive è anche giornalista pubblicista ormai da quasi trent’anni, ma per amore della verità non può fare a meno qui di ricordare ciò che nel corso del tempo tanti letterati hanno scritto di questo bel mestiere che, ahimè, spesso però ha sempre più delle gravi degenerazioni: Vittorio Alfieri (Epigrammi): “Dare e tôr quel che non s’ha/è una nuova abilità./Chi dà fama?/i giornalisti/ Chi diffama?/ i giornalisti./Chi s’infama?/i giornalisti./Ma chi sfama/ i giornalisti?/ Gli oziosi, ignoranti, invidi,tristi”. Honoré de Balzac (Le illusioni perdute): “Quei bordelli del pensiero che si chiamano giornali”. E ancora“Il giornalismo è un inferno, un abisso d’iniquità, di menzogne, di tradimenti, che non si può traversare e dal quale non si può uscire puri a meno di essere protetti, come Dante, dal divino alloro di Virgilio”. Arnold Bennett (Il Titolo): “I giornalisti dicono una cosa che sanno che non è vera, nella speranza che se continueranno a dirla abbastanza a lungo sarà vera”. Otto von Bismarck: La stampa non è l’opinione pubblica”. Cesare Cantù (Attenzione): “Peste della patria è il giornalismo che accetta le notizie senza vagliarle, quando pur non le inventa”. Vincenzo Gioberti (Il rinnovamento civile d’Italia):”La moltitudine dei giornali è la letteratura e la tirannide degli ignoranti”. Karl Kraus (Detti e contraddetti): “I giornali hanno con la vita all’incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica”. Lev Tolstoj (Guerra e pace):” L’arma più potente dell’ignoranza: la diffusione di materiale stampato”. Dei politicanti invece è opportuno qui ricordare ciò che tra gli altri hanno scritto rispettivamente: William Shakespeare nell’Amleto: “uno politicante […] uno che sarebbe capace di circonvenire anche Dio”; Georg Bernard Shaw su Il maggiore Barbara: “on sa niente e crede di sapere tutto. Questo fa chiaramente prevedere una carriera politica” e Luigi Einaudi in Prediche inutili: ”La maggior parte delle parole comunemente adoperate sono soprattutto notabili per la mancanza di contenuto”. “Ma non c’è obbligo di essere intelligenti” ha detto Leo Longanesi. Questo è ciò che tanti italiani, e purtroppo molto spesso non a torto, pensano di giornalisti, politici e politicanti. Perciò solo per dovere di rappresentanza scriviamo questo pezzo a proposito dell’ultima ingiuria pubblica a mezzo stampa ricevuta dalla categoria in occasione del Convegno di Assisi del Fondo Italiano per l’Ambiente su la Repubblica dell’11 novembre scorso con uno scritto dal titolo «VILLETTE, ABUSI, CAPAOI – STOP ALL’ITALIA DEI GEOMETRI - R UTELLI AL FAI PIÙ ARCHITETTI PER SALVARE IL PAESAGGIO ». Ecco il testo integrale: «Dal nostro inviato Paola Coppola - ASSISI - “BASTA CO L’ITALIA DEI GEOMETRI”. Basta con lo sviluppo senza una “regia”. Se la cementificazione in Italia avanza non è solo colpa dell’aumento del valore degli immobili e della necessità dei comuni di fare cassa, ma anche il risultato di errori commessi nel passato. Della mancanza di una progettazione di lungo respiro. Dal convegno di Assisi organizzato dal Fai, il Fondo per l’ambiente italiano. Sos ambiente: aggiornarsi per intervenire, il ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli ha puntato il dito contro «la fragilità della pianificazione e la scarsa qualità della progettazione affidata in passato a geometri piuttosto che ad architetti e urbanisti». Fattori che hanno portato a uno sviluppo anarchico del paesaggio, come nel caso delle centinaie di villette a schiera della Sardegna. E Rutelli ha promesso il «pugno di ferro » contro chi danneggia il territorio. La qualità del paesaggio deve essere un valore «comprometterla è la più grave minaccia al nostro patrimonio e alle nostre attività culturali», ha detto il ministro. Ma al convegno, che ha riunito le delegazioni del Fai di tutta Italia per fare un quadro delle politiche in atto e degli strumenti disponibili, il ministro ha anche dovuto accogliere l’appello allo Stato a essere presente negli interventi di tutela che viene da regioni ed enti locali. Come quello dato da Luca Rinaldi, soprintendente per i Beni architettonici e per il paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova, che dice:«on ci si può più fidare della pianificazione urbanistica regionale. Soprattutto nelle regioni che sono a forte speculazione edilizia; come la Lombardia: tocca allo Stato
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intervenire per proteggere il paesaggio». Questo è stato chiesto per l’Abbazia benedettina di Maguzzano, in provincia di Brescia, che sorge su un centinaio di ettari di terreno e rappresenta uno dei pochi luoghi incontaminati sulle rive del Garda. Lo scorso anno nella stessa zona era stata bloccata la costruzione di ville di lusso intorno al Castello a Moniga del Garda. Per proteggere il paesaggio si deve «stimolare l’uso della consapevolezza e tornare al fascino delle regole» ha suggerito nel suo intervento Giulia Maia Mozzoni Crespi, presidente del Fai. Esempio positivo è quello della Sardegna che dal settembre 2006 ha un piano paesaggistico e che ha aumentato il trasferimento di fondi agli enti locali del 43% “per contenere la speculazione sugli introiti dell’Ici e degli oneri di urbanizzazione” dice l’assessore regionale Gian Valerio Sanna. Eppure i problemi non sono solo causati dall’economia del mattone, perché se questa fa crescere il cemento anche altri fattori continuano a “deturpare” il nostro paese. elle aree urbanizzate – racconta Costanza Pratesi, responsabile dell’ufficio studi del Fai – assistiamo alla crescita di “nebulose di edificazione diffusa”, per cui le città si irradiano nelle campagne senza un disegno, ma in quelle meno urbanizzate sale il numero dei capannoni uso industriale. el 2005 in Italia ne sono stati costruiti 7044, 826 solo in Veneto. E ancora lo sfregio delle coste e l’abusivismo edilizio “che continua a essere una piaga”. Precisa Fulco Pratesi, fondatore del Wwf: “Delle 331 mila abitazioni costruite in Italia nel 2006, 30 mila erano abusive». A parte il titolo e la dichiarazione del signor Francesco Rutelli, detto per le sue fattezze Cicciobello, chi legge l’intero articolo – contrariamente a quanto è riportato detto da Rutelli nelle prime frasi – si rende subito conto che i geometri hanno ben poca responsabilità dell’attuale situazione edilizia del nostro Paese. Realtà confermata dall’intervista ad un paesaggista di fama europea riportata sotto il suddetto articolo, intervista di cui è opportuno riportare integralmente titolo e testo: «ADREAS KIPPAR, PAESAGGISTA. O È SOLO COLPA DEI GEOMETRI – UOVI PROGETTI E PIÙ COCORSI COSÌ SI TORA ALL’ESTETICA”. Assisi - «Dio salvi i geometri, la colpa non è tutta loro. È piuttosto l’insieme della società che è stata latitante, che non ha affrontato un discorso sullo sviluppo di qualità del paesaggio». Andreas Kippar, architetto paesaggista tedesco che vive in Italia da oltre vent’anni ed è direttore di Land Srl, una società di Milano, avverte: «L’Italia è stata a lungo indifferente e distratta ed è proprio dalla distrazione che nasce il pericolo più grave: la banalizzazione della progettazione»./ Che cosa è mancato in Italia?/ «Se manca un committente valido anche l’architetto più qualificato non si esprimerà al meglio. Ora in Italia si torna a parlare di estetica del paesaggio ma questo discorso è stato ignorato a lungo e quanto alla progettazione è mancata quella formazione interdisciplinare che invece ha caratterizzato paesi come Francia e Spagna»./Come si può rimediare agli errori commessi?/«Con una riprogettazione che tenga conto dell’urbanistica del paesaggio: facendo interventi progettati a partire dalla specificità delle zone, come le cave o le coste che hanno criticità diverse. Bisogna tenere conto che le regioni, dal Carso alla Brianza fino alla Sardegna, sono pronte ad attuare interventi di qualità. Spetta all’Italia usare quella “buona pratica” della progettazione che ha sperimentato prima del dopoguerra. E per recuperarla serve una regia che sia al tempo stesso nazionale e regionale, servono programmi pluriennali e dei concorsi per selezionale i progetti più adatti e le personalità più qualificate.(p.c.)». E questa telenovela per ora finisce con la missiva riparatrice e di rettifica che l’on. Rutelli doverosamente ha fatto pervenire alla categoria e che di seguito riportiamo: “ Roma, 15 novembre 2007. Caro Presidente, non penso che i rappresentanti di una professione seria, concreta e affidabile come i geometri possano abboccare a qualche titolo di giornale. Quei titoli sono certamente l’indizio di un pregiudizio verso la vostra categoria, e non vanno sottovalutati. Ma certo non si può risolvere il problema prendendo a pretesto una parola, mal riportata, di Rutelli. Poiché quella parola era parte di un discorso credo, assolutamente corretto. Certamente critico verso molte responsabilità degli ultimi decenni: della politica, delle istituzioni locali, regionali e statali, della cultura italiana, di categorie professionali che non hanno fatto una battaglia etica, né strategica, per la qualità della progettazione nella trasformazione del territorio. Ho spiegato pubblicamente che la mia esperienza di collaborazione con i geometri e le loro rappresentanze è stata ottima, non solo nei sette anni di Sindaco di Roma; che ho stima nei vostri confronti sul piano tecnico-professionale. Ad Assisi ho espresso critiche assai aspre – vivaddio, in Italia le critiche possono essere rivolte non solo verso i politici – ad esempio nei confronti del bilancio professionale degli architetti e urbanisti italiani negli ultimi decenni. Questo non è stato ripreso dai giornali, così come le valutazioni polemiche sulla professione di avvocato che oggi in Italia è assolutamente dominante rispetto alla realizzazione di opere pubbliche e piani urbanistici:
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è ormai la litigiosità in sede giurisdizionale che condiziona il rapporto tra amministrazioni pubbliche e progettisti, tra committenti e realizzatori. Con queste righe,dunque, esprimo il mio rammarico sincero per la cattiva presentazione che è stata data da alcuni giornali del mio discorso di Assisi – attenzione: non dalle Agenzie di stampa, che hanno riferito correttamente, senza neppure citare la parola “geometri”- e mi permetto di suggerire di dirigere le attenzioni della vostra categoria su obiettivi appropriati; di correggere pazientemente un atteggiamento della stampa non amichevole; di concorrere attraverso le vostre professionalità a migliorare le politiche di programmazione del territorio. Sarò lieto d’incontrare una vostra delegazione, se lo riterrete utile, nella mia qualità di vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le Attività Culturali, per ascoltare suggerimenti e proposte rivolte al Governo da parte della vostra categoria. Così, da questo spiacevole episodio, potremo ricavare qualche risultato positivo. Cordialmente, Francesco Rutelli». Ma il danno maggiore per i geometri d’Italia, ingiustamente denigrati umiliati e offesi, è già fatto per chi ha letto il giornale. Per mia formazione ideologica e poi per abitudine leggo, dalla loro fondazione, L’Espresso e la Repubblica. Invero, come tanti altri sempre più infastidito dalla crescente faziosità, dalla pubblicità invadente oltre misura, dal taglio sempre più aggressivo, spesso fazioso e scarsamente obiettivo che i due giornali vanno assumendo. Chili di carta che si fa fatica anche a portarli in mano di cui sicuramente se ne legge solo qualche pagina. Ecco perché molti italiani, soprattutto quelli che lavorano e sudano il pane che mangiano, stanno lontano dalla carta stampata. E tutto sommato non hanno tanto torto e non si possono biasimare. E se tra questi ci sono anche i geometri, che, contrariamente a politici e giornalisti, lottano tutti i giorni pesantemente per la pagnotta che si può dir loro? Possiamo rassicurarli che la nostra committenza, da sempre soddisfatta dalle nostre prestazioni, nonostante tutto, continua e continuerà a servirsi di noi e ad apprezzare la nostra professionalità impipandosi di ciò che scrivono e dicono avventatamente i giornali, di cui si infischiano altamente. Ma veramente qualcuno pensa con un maldestro articolo su un giornale di poter comprimere e mortificare l’attività professionale svolta da oltre 80 anni da più di 100 mila liberi professionisti e circa 400 mila impiegati, importante componente tecnica presente su tutto il territorio, apprezzata e richiesta dall’intera collettività nazionale? Qui vogliamo esprimere solo una vibrata contestazione e una forte protesta per l’accaduto e basta. Perché siamo certi che neanche un cane crede che siano i geometri, maestri di geometria, estimo, territorio, con competenze in edilizia limitate solo alle modeste costruzioni, possono essere stati i principali deturpatori del paesaggio italiano. E ingegneri e architetti, progettisti e direttori dei lavori delle grandi opere: palazzoni, centri residenziali e direzionali, cardine di tante grandi speculazioni edilizie, dove stavano? E amministratori e burocrati e uffici che hanno concesso e concedono autorizzazioni, concessioni e permessi spesso oggetto di inchieste, condanne per concussioni, corruzioni e tangenti varie, dove li mettiamo? È vero che come in ogni categoria ci sono anche geometri che hanno peccati sulla coscienza. Ma siamo certi però che sono molti di più gli ingegneri, gli architetti e quant’altri si occupano di edilizia che hanno ben più gravi colpe e responsabilità e malefatte da piangere. È possibile che i geometri che da sempre hanno cogestito solo parte dell’edilizia minore, e anche questa, unitamente a ingegneri, architetti, agronomi, periti edili e periti agrari, che come le cavallette dove passano fanno tabula rasa, sono quelli da additare al pubblico ludibrio? Allora, colleghi, non diamo alcun peso alle asinerie, altrimenti dette cacchionerie, castronaggini, grullerie, insulsaggini, minchionaggini, scioccherie, e in dialetto cosentino sbafungiate, di giornalisti e politicanti, che tanto non legge, non ascolta e tantomeno crede più nessuno. Il miglior disprezzo è la noncuranza! giuseppe caterini
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DUE CALABRESI NELLA ROMA MITICA DELLA “DOLCE VITA”: VINCENZO TALARICO E ATTILIO BOSSIO di Giulio Palange
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ertamente Vincenzo Talarico e Attilio Bossio non meridionali costretti a sacrificare talento e capacità e sogni si sono mai incontrati lungo le strade della Roma degli sull’altare d’una cultura “borghese” che solo nelle professioanni ’50-’70, e, se pure si sono incontrati, il loro è sta- nalità trova il suo spazio vitale e, quindi, il suo-proprio ruoto il classico sfiorarsi occasionale, e lo), e mandato per i relativi studi nella tutto finisce lì, di chi non ha niente in capitale, Vincenzo Talarico deraglia comune se non la “calabresità” – che, subito dal volere paterno per darsi al pure, è tutto –, di chi, pur vivendo sotgiornalismo, nel quale esordisce nel to lo stesso cielo e pur coltivando 1932, per poi scrivere per varie testate sogni illuminati dalle luci di scena, ha nazionali. Fra l’altro, a volte mimetiz“giri” e milieux diversi, e che, pur frezandosi, ma non troppo visto che, al quentando, per dire, la via Veneto del tempo, cose del genere sono, in virtù tempo, stanno seduti, uno, ai tavolini dell’opra dell’o.v.r.a., come il segreto del Café de Paris con “divi/e” e “firdi Pulcinella, a volte mimetizzandosi, me” e i fuochi d’artificio d’una consi diceva, dietro lo pseudonimo di versazione quanto mai brillante, Mercutio, e a volte firmandosi papalel’altro, almeno in un certo periodo delpapale – il tutto come gli gira e non la sua avventura romana, su una panper opportunità o convenienza, che china a riempirsi gli occhi dei divi holson vocaboli sconosciuti al suo dizioliwoodiani del momento magari insenario –, è autore di articoli satirici sulguiti dai paparazzi fra cui – anche lui l’amore tra Mussolini e la Petacci, personaggio passato alla storia del meritandosi dal duce l’appellativo di costume italiano – il reggino Rino «ignobile libellista»; perciò è ricercato Barillaro. Eppure, ognuno dei due, a dai fascisti per essersi macchiato di suo modo e in certo senso, fa da protalesa maestà, anzi “ducità”, e deve Vincenzo Talarico, ritratto da Bruno Caruso gonista nel film di quella stessa Roma rimaner nascosto fin quando la città che, pur accerchiata dall’oleografia, non viene liberata. non diventerà mai cartolina illustrata, ché troppo varia è la Nel dopoguerra, e per come ricorda pure, e fra i tanti altri, sua umanità e troppo irripetibili gli umori che la percorrono e Eugenio Scalfari in La sera andavamo in via Veneto – e, più troppo singolari gli spunti di vario genere che offre e … recentemente Giovanni Russo in Con Flaiano e Fellini a via E, allora, è il caso di parlarne lasciando percorrere ad Veneto –, egli si ritrova a vivere in diretta quella stagione delognuno di loro i suoi-propri passi, e chissà che a leggerne non la cultura e del costume italiani diventata proverbiale per vengano fuori “naturalmente” le possibili somiglianze e coin- come ha finito per radicarsi in profondità nell’immaginario cidenze e, in definitiva, incontri avvenuti solo virtualmente. collettivo, anche in virtù di film e libri e commedie, stagione *** consumatasi fra i caffè di piazza del Popolo e di via Veneto, Vincenzo Talarico (per inciso: la Fondazione “Vincenzo trattorie popolari come quella di Cesaretto in via della Croce, Padula” recentemente e meritoriamente gli ha dedicato un Cinecittà con la sua varia umanità e stelle e stelline e scenari succoso e gustoso volume a cura di Antonio Panzarella e San- di cartapesta, la redazione de “Il mondo” di Pannunzio, ed tino Salerno) nasce ad Acri nel 1909, e, certo, c’entra nella altri luoghi topici di quella Roma lieve ma non fru-fru, e che, sua natura diciamo sui generis l’aria che respira sin d’appena pur affollata di malelingue, cialtroni, invidiosi, arrampicatori nato, l’aria del luogo che è aria d’intelligenza acuta, spregiu- d’ogni risma e sorta, rimane comunque la Roma di Ercole dicata, spesso stramba e sempre, comunque, priva dell’im- Patti, Giancarlo Fusco, Vitaliano Brancati, Leo Longanesi, pronta gregaria della specie, forse per via d’una secolare Mino Maccari, Sandro De Feo, Steno, Ennio Flaiano, Giovanautarchia culturale che non s’ammalora mai in isolamento. ni Russo, Marino Mazzacurati, Alberto Savinio ..., e, sul marNon per nulla la tradizione orale, con la sua fisiologica neces- ciapiede opposto, quello più engagè, Alberto Moravia, Pier sità di esorcizzare la disturbante diversità riconducendola in Paolo Pasolini, Elsa Morante, Laura Betti, ed i più giovani un modo o nell’altro nell’alveo del normale, tramanda che Enzo Siciliano ed Alberto Arbasino …; stagione che, non a “l’acritanu ha lu vizzàrru pilu”, cioè l’acritano ha natura biz- caso, fra i tanti meriti ha anche quello di togliere la parrucca, zarra. il cerone e l’aureola beatificante al far cultura, di bonificarlo, Avviato dal padre alla giurisprudenza perché diventi avvo- anche se solo per lo spazio d’un mattino, dalla puzza sotto il cato (ed è l’amaro e frustrante destino di chissà quanti giovani naso per aprirlo alla battuta irridente, lungo la traccia già a
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intellettuali; Otto settembre. Letterati in suo tempo segnata dal Palazzeschi dell’“e fuga), scrive di cinema, ma è, soprattutto, lasciatemi divertire”, e dal Petrolini – temuto e incondizionabile critico teatrale, altro romano immenso –, del “non ci tenil quale, peraltro, rivendica scientificani e non ci tesi mai”, e che, in certa misumente il diritto d’addormentarsi a teatro, ra, è anche definitiva archiviazione del teorizzando il dovere dei commedianti di tronfio, aulico, supponente grigiore del tener desto il pubblico, sicché, sempre far cultura del e nel ventennio. alla luce d’una tal teoria, il sonno è, di Sì, probabilmente è stata proprio la per se stesso, un giudizio critico. Una fisiologica reazione a venti anni di cultusera, ad esempio, quando alcuni spettatori ra imparruccata, imbellettata e in orbace insistono nel voler zittire un dormiente che, non appena se ne creano le condizioche russa rumorosamente, egli, Vincenzo ni, fa convergere entro i confini dei colli Talarico, sbotta «E lasciate riposare in fatali di Roma un superconcentrato di pace questo galantuomo: il vero nemico è antiretorica, la quale, non più contenibile, lassù», con ciò indicando il palcoscenico si manifesta in mille forme, da quella trasu cui stanno recitando – si fa per dire – sognata di Fellini, a quella mordace di alcuni pessimi commedianti. E un’altra Flaiano, a quella “toscanaccia” di Maccavolta, estenuato dagli attori del Living ri ... Corrado Alvaro e Vincenzo Talarico Theatre che da un quarto d’ora son lì, zitti E per tutti i suddetti – oggi indiscutie immobili, ad attendere il mistero della bili “monumenti” – egli, Talarico, è solo «Vincenzino» e stop, senza bisogno d’aggiungere altro, anche concentrazione, egli si apre in un plateale, rumoroso sbadiperché di altro da aggiungere, almeno sul piano personale, glio, si gira su un fianco per raggomitolarsi nelle braccia di non ce n’è, ché lui, da buon meridionale che ritiene di non Morfeo, e se ne esce, ad alta voce, con un «Tu l’hai voluto, doversi grattare le croste in pubblico, è, in materia, d’una Julian Beck!». Poi l’attività di sceneggiatore, da solo o in collaborazione, discrezione a prova di pettegolo e petulante venticello romano, e alcuni amici pur stretti ignorano addirittura se sia sposa- di film più e meno popolari, molti dei quali entrati di diritto to o meno, se abbia una casa sua o viva in pensione e dome- nella storia del cinema non solo italiano e che, comunque, gli consentono d’esser di casa a Cinecittà e di frequentare in sticherie del genere. Proverbiali, invece, nel giro, il suo gusto per la conversa- diretta, e non stando alla finestra, tutto il firmamento di celluzione brillante, la sua capacità affabulatoria, la sua ironia loide – dalle stelle più lucente a quelle non brillanti di luce sferzante che, specie quando si tratta d’inventare e affibbiare propria a quelle già spente prim’ancora d’accendersi – coi soprannomi e definizioni, lascia segni a sangue e, a suon di suoi quotidiani riti tipo la cena in qualche locale “tipico” con calembours, contende la benemerenza della “dissacrazione cantante incorporato, il digestivo al Doney o al Rosati e cose dei miti” a Marino Mazzacurati, Ennio Flaiano e ad Alfredo del genere: È caduta una donna (1941); Il fanciullo del West Mezio; e, ad esempio, il pittore Domenico Bartoli, alto quanto (1943); Dove sta Zazà (1947); Undici uomini e un pallone una spanna o poco più, è da lui ribattezzato “il supercorto- (1948); Il brigante Musolino (1950); Il diavolo in convento maggiore”; Renato Guttuso “la picassata alla siciliana”; Vin- (1950); Dov’è la libertà (1952), Amori di mezzo secolo, Anni cenzo Cardarelli, impalandranato e incappellato d’inverno e facili, Gran varietà (tutti del 1953); Accadde al commissariad’estate perchè, a dir suo, ognor sofferente, “il più grande to, Miseria e nobiltà, Pane, amore e gelosia, Cento anni di amore (1954); Totò cerca pace poeta morente”; Alberto Savinio, (1956); Il bigamo, Pane amore e... ineffabile nei suoi silenzi ed eter(1955); Genitori in blue jeans, Il namente col basco calcato in testa, Moralista (1959); Anni ruggenti “il brutto addormentato nel (1961); Io, io, io... e gli altri basco”; un pittore di cui si tace il (1965). nome pei suoi particolari gusti Segnato da un viso particolare, sessuali è “il latrin lover” ed un da faina (ha pure un occhio strabialtro della stessa pezza è co), e tanto deragliato da far con“l’incantatore di sergenti”; e via correnza e invidia a quello del lungo una tal linea! E, si badi, tutprincipe De Curtis, dotato d’una ti questi citati non son pincopalligestualità legnosa e tracimante, e ni qualsiasi, ma autori che occud’un eloquio aulicamente polveropano diverse pagine nelle storie so, dopo aver esordito come gagletterarie e artistiche italiane. man in film e spettacoli di MacaAutore di libri fortunati (con rio, negli anni ’50 e ’60 appare in molta verve ma sempre senza molte commedie, diventando un prendersi troppo sul serio: Vita caratterista di sicura efficacia e di romanzata di mio nonno; Pasquiindiscutibile riconoscibilità: fra le no insanguinato; Mussolini in sue tante interpretazioni senz’altro pantofole; Claretta, fiore del mio Vincenzo Talarico e Silvana Pampanini memorabili quella dell’avvocato giardino; Le escursioni degli
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In “Un giorno in pretura”
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Con Romolo Valli e Leo Wollemborj in “Guglielmo il dentone”
enfatico, classico “paglietta”, ne Il vigile, Un giorno in pretu*** ra, Dov’è la libertà (in cui Totò gli stacca un orecchio a morLa sua storia sarebbe piaciuta a Frank Capra, il regista si), dell’onorevole Borgiani in Un americano a Roma (dove holliwoodiano segnato, in vecchiaia, da una visione ottimistiAlberto Sordi riduce a «monnezza» il suo sussiego), del fun- ca della vita e che racconta di personaggi i quali attraversano zionario Rai irriducibile di fronte alla eccessiva dentatura di il fuoco ed il ghiaccio dell’esistere senza mai smarrire la cifra Alberto Sordi in Guglielmo il dentone, episodio de I mostri. E della loro umanità, e senza mai svendersi. in tutti, indistintamente, quel che traspare in filigrana non è Eppure nasce nessuno Attilio Bossio, classe 1924, figlio di certo la bravura interpretativa, che, a dire la santa verità, non ciabattino che per far studiare i figli si trasferisce da Lago e è poi tanta, ma l’ironia, il gusto di divertirsi e divertire, da Mendicino a Cosenza, aprendo casa e bottega in Piazza l’intelligenza lieve ma non leggera, che, in definitiva, nell’in- Riforma, in un unico locale diviso da un tramezzo, davanti il sieme compongono la cifra di tanti “intellettuali” in una deschetto, dietro camera da letto, da pranzo e servizi. determinata, irripetibile epoca della storia nazionale; intelletAttilio, per come ha deciso il padre, ha l’avvenire già tuali, peraltro, non certo a libro paga di botteghe, bottegoni e scritto: maestro elementare, il massimo per uno col suo backbotteghini, ma non per ciò meno attenti alla realtà di stracci e ground familiare, riscatto sociale e, specie, uno stipendio miserie che li circonda, non foss’altro che per poterli ripro- sicuro sotto il cuscino ogni santo ventisette del mese; perciò durre, in chiave efficacemente grottesca, sullo schermo, sul frequenta le scuole magistrali, però con la testa ad altro, al tavolato del palcoscenico, sulle pagine dei loro libri… cinema, di cui abbondantemente si nutre nella Sala don Inoltre, per la televisione, scrive a quattro mani con Ugo Bosco; perché gli han detto che rassomiglia sputato a LeonarPirro il romanzo sceneggiato Luisa Sanfedo Cortese, icona del divismo dongiovanlice, e appare, in un gustoso cameo che è nistico di casa nostra, telefoni bianchi e allusiva satira di certi vezzi della imparnon; peraltro, in quei tempi di opulenza ruccata società letteraria, nel Circolo retorica, in cui i sogni debbono essere Pickwick, da Ugo Gregoretti ricavato dal solo “imperiali” se no sono niente, basta romanzo di Dickens; mentre per la radio il sogno personale per salvare dalla fatale scrive, fra l’altro, lo sceneggiato Lo scialqualunquità, e se, ad esempio, uno ti dice le di Lady Hamilton. “sei tal e quale Meazza”, ti vedi già a San Infine, fra le carte di Ennio Flaiano, la Siro a fare camionate di goal fra gli osanvedova di questi rinviene, fra tanti inediti na d’una folla in delirio. Invece, a lui han del marito, un dattiloscritto assai liso, detto, per l’appunto, che rassomiglia a costellato di correzioni a mano e di patacLeonardo Cortese e, perciò, il suo sogno che, e il cui frontespizio recita La giornata è di celluloide. Intanto, quasi per caso si del poeta, farsa di Vitaliano Brancati e scopre anche cantante, con una voce non Vincenzo Talarico e che ha come persosostenuta ma assai intonata e gradevole, e naggio principale, sotto mentite ma traspacomincia a guadagnare qualche centesirenti spoglie, il poeta Vincenzo Cardarelli. mo cantando di qua e di là, ma sempre La “comare secca” gli fa la sorpresa entro i confini del contado, a matrimoni, nel 1972, mentre è a Fiuggi più per stare feste patronali, veglioni..., con orchestrisempre nel “giro” che per farsi le cure, e ne locali, il più delle volte assemblate per se lo porta via senza manco dargli il teml’occasione. E si fa anche tanti estimatori, Attilio Bossio negli anni ruggenti po d’ultima, dissacrante battuta. specie nella buona borghesia cosentina, i
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Con Claudio Villa ed Edmond Purdom
quali lo vogliono alle loro feste, ché quella sua voce calda, intimistica, da night se i night fossero stati già inventati, fa tanto chic; estimatori che nell’immediato dopoguerra – temperie di piccole e grandi speranze e illusioni e, dopo tanto grigiore, ognuno il suo futuro tutto a colori ce l’ha lì, a portata di mano – considerano un peccato che egli si perda a Cosenza e che ha diritto a giocarsi le sue carte: fanno una colletta fra gli abituali frequentatori del bar Taormina su Corso Mazzini, tòpos d’una certa Cosenza più indolente e cazzeggiante che vitaiola, e gli mettono in mano una cifra bastante a pagarsi il biglietto fino a Roma – caput mundi e, quindi, anche caput cinematografica e caput canora! – ed a soggiornarvi per qualche tempo. Solo che, giovinotto che non ha mai messo il naso fuori di casa – tutt’al più è arrivato fino in Sila per cantare a qualche festa dell’albero – una volta sceso a Stazione Termini, il 13 gennaio 1947, un po’ per paura di perdersi per le strade della capitale, secondo lui grande quanto tutto un universo, un po’ per l’angoscia di rimaner stritolato dai tentacoli della città gaudente e spregiudicata che fa le prove generali della “dolce vita”, e un po’ per la consapevolezza improvvisa e rapente di non possedere nessuna chiave o parola d’ordine atta a far almeno socchiudere porte e portoni del mondo dello spettacolo, per oltre un mese non è capace di mettere un piedi fuori, letteralmente, dal perimetro concluso e concentrazionario della stessa stazione, vivendo da barbone fra i barboni. Finché l’angelo salvatore non arriva nei panni d’un compaesano, peraltro cognato d’un suo buon conoscente che ha una sartoria militare in piazza Campanella a Cosenza, il quale, intuitene le difficoltà, se lo porta a casa, lo ripulisce, gli mette a disposizione un letto e un pasto caldo finché non trovi lavoro. E comincia, così, per lui una serie di giri oziosi – chè, per giunta, è un timido e non trova coraggio di proporsi – lungo una Roma ove, appunto alba di “dolce vita”, ogni caffè e ristorante e trattoria ha la sua orchestrina con relativo cantante per attirare e allietare le notti bianche di turisti e gaudenti e stelle e stelline d’ogni colore…; giri, peraltro, a passi lenti e strascinati, ché ha le scarpe bucate e si vergogna di far vedere i calzini che gli escono di fuori. Poi una sera, ormai senza più un soldo, incapace di profittare oltre dell’ospitalità del com-
Arte e Cultura paesano e l’unica soluzione sarebbe tornarsene nel caldo e protettivo grembo della famiglia, a Cosenza, da cui solo qualche mese prima se n’è scappato nascondendo il suo sogno nella tasca interna del liso cappotto, per di più deludendo anche gli estimatori che, sempre indugianti e cazzeggianti davanti al Taormina come se non si siano mai mossi, da lui s’aspettano chissà che, prende il coraggio ad otto mani e si offre al proprietario del Caffè Berardo in Piazza Colonna, sotto la Galleria: provino seduta stante e – dice lui – “sarà stato per la fame, sarà stato per la disperazione”, gli “esce” un “Viernu” irripetibile, che incanta i presenti e convince gli orchestrali, fra i quali un batterista che di cognome fa Moricone, e coi i quali spesso suona un trombettista che di cognome fa pure Moricone, e sono, rispettivamente zio e padre del grande Ennio, il quale, ragazzino tutto preso dalla musica, spesso s’accompagna ai congiunti. Insomma, in qualche modo è fatta e comincia per lui la lunga vita alla rovescia (lavorare di notte e dormire di giorno), racimolando sempre un bel po’ di grana in mance e con puntuali extra, 700 lire a serata, all’Ambra Jovinelli (tempio dell’avanspettacolo ultrapopolare nonché plebea fossa dei leoni per artisti in crisi d’astinenza alimentare, dove in platea si sta con l’ombrello aperto, ché il meno che possa capitare è che si mettano ad orinare dal loggione; e a lui, Attilio Bossio, una sera, mentre canta, gli arriva in testa una cicca accesa e i capelli si mettono a fumare fra le risate generali; e non a caso il direttore è un ex pugile peso massimo, tal Peide, che, quando gli spettatori superano il livello di guardia, ne abbranca un mazzo e li scaraventa per strada), indirizzatovi da un trombone d’attore ormai in disarmo – tal e quale quello felliniano ne “I vitelloni” –, chè quel mondo è tutto un giro e una volta che ci hai messo piede diventi anello d’una catena di conoscenze e relazioni e solidarietà e frustrazioni. Così egli si fa le prime comparsate a Cinecittà, insieme ad uno che si porta sempre appresso la chitarra e col quale, nei tempi morti dell’attesa, intona qualche canzone, e che si chiama Domenico Modugno; da buon figlio affezionato e riconoscente manda i primi soldini a casa; si crea un suo repertorio (su suggerimento di Vittorio De Sica, che una sera, al caffè, lo sente e lo apprezza, si rivolge ad un vecchietto in Piazza Colonna per farsi “scrivere” le canzoni allora in voga, specie quelle napoletane, per le quali i turisti stranieri sbavano di goduria); per sopperire alla non eccessiva consistenza della voce, nascosto dietro una colonna dell’Hotel Bernini si studia Ernesto Murolo che canta
Nel film “I cinque dell’Adamello”
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sulla terrazza dello stesso hotel gli dà, e dopo avergli chiesto se e che ha i suoi stessi problemi ha mai fatto un provino alla di voce ma con ben altri risulRai, e saputo che il risultato tati, finché capisce che, al pari era stato il consiglio di darsi dello stesso Murolo, deve gioall’agricoltura, rabbuiandosi carsi tutto sulla nettezza della gli passa il suo biglietto da pronunzia. E punta alla Rai, visita, dicendogli di rivolgersi allora in via del Babbuino, ed a lui in caso di bisogno. Il tizio ove ogni lunedì ci sono audiè, nientedimeno, Sergio Pugliezioni per tutti; solo che viene se, direttore generale proprio scartato, giusto per della Rai, il quale, quando Atti“l’impotenza” della voce. Ma lio gli si rivolge, lo fa entrare lui, capa tosta di calabrese e nel tris d’assi canori della non è luogo comune, si riprecostituenda orchestra radiofosenta e si ripresenta ancora, nica di Gino Filippini, insieme ogni lunedì puntuale come la a Claudio Villa e a Donatella morte, e ogni volta la commisBianconi. Ed è per lui la defisione lo boccia dicendogli “ma nitiva affermazione come cannon hai in Calabria un pezzo di tante, ché al tempo la radio è il Attilio Bossio con il suo complesso terreno da coltivare?!”. Finché mito attorno al quale si ritrova non arriva una serata speciale – tutto il Paese, ed il quotidiano intanto è passato a cantare al ristorante “Belsito”, dal pome- tormentone “… suona l’orchestra di Gino Filippini, cantano riggio fino alle 20-21, e dalle 21 alle 4 del mattino al “Faro” Claudio Villa, Donatella Bianconi e Attilio Bossio …”, fa il che è ritrovo frequentato da “pezzi grossi” e divi, specie quel- suo bell’effetto – l’impegno radiofonico dura ben otto anni –, li americani che a Cinecittà girano i “film-pepli”, cioè e fa nulla che in Rai siano tirati all’osso, il guadagno è d’altro ambientati nell’antichità più e meno classica –: prima genere: difatti, arrivano subito le prime incisioni discografil’ambasciatore di Grecia e famiglia, seduti ad un tavolo, gli che, – in esclusiva per la Vis-Radio, mica una casetta discochiedono, mettendogli in mano una diecimila lire grande grafica da quattro soldi! –, gli ingaggi polposi, le serate d’un quanto un lenzuolo, di cantare per loro una canzone della loro certo tono, anche se lui non rinuncia all’impegno nottambulo patria lontana; però lui non ne sa e, allora, chiede permesso presso “Il faro” e presso altri locali alla moda. Solo che anche per una diecina di minuti, va nelle cucine, telefona al collega quando naviga col vento in poppa, rimane, in un ambiente in Roberto Valli che canta all’Osteria dell’Orso e che nell’am- cui ognuno non solo non ti regala niente ma aspetta che tu gli biente è considerato un poliglotta, e gli chiede di accennargli volti le spalle per saltarti addosso, rimane il provinciale oneil motivo d’una canzone greca e di dettargli le parole secondo sto e pulito che non sgomita, non si dà da fare e accetta quel pronunzia; dopodichè, e dopo aver concertato il motivo con che gli offrono le occasioni senza chiedere niente di più: irril’orchestrina – al cui pianoforte siede tuale in un mondo fatto di rituali e di un tal Armando Trovajoli – attacca a procedure non scritte ma inderogabicantare provocando subito sonore, li, non ha un agente, non profitta oltre contagiose, montanti risate nella lo stretto indispensabile delle amicifamiglia dell’ambasciatore, il quale zie pure influenti che si fa, non si sa ambasciatore, mettendogli ogni volta vendere. Intanto Roma è diventata la in mano diecimila lire, gli chiede per sfolgorante passerella del mondo e sette volte il bis, puntualmente sganaun’aura quasi magica aleggia sulla sciandosi insieme al resto della famicittà: sfila in Via Veneto il demi-monglia; e quando lui, nonostante le de fra paparazzi e scazzottate, Fellini ottanta mila lire addobbate – una vera e Flaiano perlustrano in milleccento fortuna! – che consiglierebbero grata le strade alla ricerca di “tipi” da prudenza, si fa coraggio e chiede il riprodurre nei loro film, ai tavolini perché di tutto quel ridere, sua ecceldei caffè in Piazza del Popolo fior di lenza, asciugandosi le lacrime, gli intellettuali tolgono la parrucca al far dice: ”lei nemmeno ha idea di quali e cultura con una battuta dissacrante, quante parolacce greche abbia detto un calembour, un aforisma. cantando”. Hai capito che infame il E per Attilio Bossio suona anche collega poliglotta?! Qualche minuto l’ora del cinema; sì, a parte le tante dopo, comunque, Attilio intona “Scacomparsate, e a parte la presenze in linatella”, fresca-fresca quasi di giortanti “film-pedalini” (girati alla meno nata, al termine della quale due signopeggio e in fretta e furia per essere ri seduti ad un tavolo lo chiamano: destinati ai mercati di bocca buona uno gli mette in mano la miseria di dell’Est) c’è già stata per lui qualche Una pagina del Radiocorriere - Tv mille lire, l’altro manco le mille lire particina; ad esempio, una sera, men-
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Ma gli anni son passati anche per il giovinotto fuggito da tre cantava da “Alfredo in Trastevere” l’ha chiamato al tavolo Totò: “Hai ’na bella vocella. Io sto girando un film dove è Cosenza in un’ormai lontana notte d’inverno; ed anche i gusti della gente e dei tempi sono ormai altri: previsto uno che canta una serenata. una sera, nel ’72, durante una esibizione Chi doveva far la parte non è arrivato con la moglie e col suo complesso a Tor da Milano. La vuoi fare tu?”. E come, Pignatara, un giovane gli fa: “A nonné, no?! Il film era “Fifa e arena”. Poi ce fai un disco di vita?”. Quel “nonnetClaudio Villa l’ha voluto accanto in to” lo mette in crisi, non in sé e per sé, “Serenata amara” e in “Primo applauma perché lui lo decifra come un segnale so”; quindi una parte più sostanziosa in che, in fondo, è un sopravvissuto, che “Non scappo, fuggo”, con Alighiero qualcosa sta cambiando irrimediabilNoschese; ma le sue vere, sostanziali mente e bisogna correre ai ripari, creanoccasioni arrivano quando il regista di dosi un’alternativa, anche considerando “Serenata amara” si ricorda di lui e, che ha le mani bucate e non ha mai mesanche per cavalcare la sua notorietà so nulla sotto il mattone: pur continuanradiofonica, gli affida la parte di protado a proporre, per altri nove anni, un suo gonista ne “I cinque dell’Adamello”, e spettacolo multilingue alla Taverna di co-protagonista, accanto ad un divo Ulpia ai Fori Imperiali e in cui investe, del tempo quale Ettore Manni, in con buon successo, tutta l’esperienza “Agguato sul mare”; film, questi, e gli accumulata in circa trent’anni di baccaaltri, certo non passati alla storia del gliamenti, mette su la pizzeria Piccola cinema, ma nemmeno destinati ai sacCalabria (e quando chiede sostegno al chetti a perdere della spazzatura, non padre per poter affrontare le spese di foss’altro perché in perfetta linea col allestimento e di avviamento, si sente sentir popolare del tempo, tant’è che rispondere: “Non ci son problemi, ti ho fanno parecchia cassetta. messo da parte tutti i soldi che ci hai Al ritorno da una tourné a Tunisi, mandato. Sapevo che prima o poi ti poi, conosce una cantante di belle spesarebbero serviti.”). E quando proprio ranze, Fernanda Catini, con la quale da Attilio Bossio oggi non ce la fa a resistere oltre nel caos ed i quel momento fa coppia fissa (il loro primo impegno in comune è una festa paesana in un centro fumi acidi d’una Roma che non è più la sua, se ne ritorna a della Sila cosentina ed alla quale lei si presenta in decolletè, e respirare l’aria di mezza collina della sua Mendicino, in una quando lui, dato il freddo, la copre con uno scialle, arriva da casa “sua” dagli orizzonti franchi, accanto alla madre quasi cenun vecchio nel pubblico “E nua, mo, chi vidimu?!”, e lui, di tenaria, senza rimpianti e senza recriminazioni, però continuanrimando, “Vidìte ’e mamme e ri suoru vostre”; al che do a rivendicare il primato dell’esperienza sulla scienza: “La l’interlocutore capisce che il “famoso cantante della radio madre del mio mestiere è la strada. Difatti non ho frequentato venuto da Roma” è, in effetti, un calabrese, per di più con la accademie, non ho avuto maestri, ho fatto sì e no le scuole zirra, e s’ammuta, accontentandosi delle sole canzoni) e con magistrali ed ho letto poco e niente anche perché non ne ho avuto il tempo, ché la notte ho lavorato e il giorno ho dormito. Ma la quale finisce per sposarsi. Poi, nel ’60, mentre è impegnato a cantare alle piscine del mi ha insegnato appunto la strada e il rubare a quelli che erano Foro Italico, fra bella gente in sdraio che consuma un drink più bravi di me tutto quel che sapevano fare”. E una tal conce(fra cui il sarto Schubert che vuole essere ogni volta accolto zione in certo senso “laica” è appesa sui muri della sua casa: là al canto di “Donna, tutto si fa per te”) si ricorda di lui il vec- dove t’aspetteresti un mausoleo di se stesso, solo una locandina chio compagno di comparsate a Cinecittà, Domenico Modu- e un paio di fotografie di scena, e nemmeno tanto in vista. Ma pur a ottantatré anni suonati e cantati e recitati, gli rimagno, che, per i festeggiamenti del centenario dell’Unità d’Italia, sta mettendo in scena il “Rinaldo in campo” di Gari- ne un sogno ancora: mettere in scena il suo testo autobiografico nei e Giovannini, e che gli affida la parte del cantastorie, parte “Il barbone”. E qualche tempo fa c’è quasi riuscito, anche se che lui ricopre in tutt’e tre le edizioni della commedia musi- con una compagnia amatoriale; solo che, purtroppo per lui, le cale; com’è presente, altresì, anche nella successiva comme- due ragazze che avrebbero dovuto interpretare due prostitute, dia musicale di Modugno, quella “Tommaso d’Amalfi”, diret- hanno rinunciato con la stessa-identica motivazione: “Mammà ta da Eduardo, che lo stesso Modugno, sull’onda del successo non vuole che io faccia quella parte”. Verrebbe da suggerigli la strepitoso di “Rinaldo in campo”, ritiene di potersi ulterior- pubblicazione dell’inserzione “A.A.A. cercansi ragazze dispomente e tranquillamente permettere e che, invece, si rivela un ste a far le prostitute”, ma non sarebbe piaciuto a Frank Capra. mezzo fiasco.
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LA CATTEDRALE DI S. MARIA DI ANGLONA di Giuseppe Roma 1. La struttura architettonica La Cattedrale di S. Maria di Anglona1 si eleva solitaria su di un colle che s’innalza a m 263 s.l.m., nel punto più stretto dello spartiacque che divide l’Agri dal Sinni2. Da Policoro, importante centro costiero della Provincia di Matera, si imbocca la strada per Tursi e su di un piccolo pianoro su cui sorge, si intravvede il singolare monumento (fig. 1).
Fig. 2. Cattedrale di S. Maria di Anglona: interno.
Fig. 1. Cattedrale di S. Maria di Anglona.
La costruzione che oggi si osserva, presenta uno schema a pianta basilicale a tre navate, divise da pilastri rettangolari reggenti archi di separazione, che sono a tutto sesto nel lato destro della navata centrale e a sesto ogivale nel sinistro (fig. 2). A occidente un portale con motivo decotativo a zig zag, avente sul lato esterno un archivolto molto abraso, decorato da motivi di volti umani e bestiali, è sormontato da cinque formelle in pietra calcarea, di differenti dimensioni, che recano scolpiti rispettivamente i simboli dei quattro evangelisti e l’Agnus Dei (fig. 3). L’esterno della parte absidale denota un notevole gusto cromatico derivante dall’impiego di materiale lapideo e cotto, mentre la decorazione con archetti pensili su lesene, rombi e dentelli, svela una derivazione da motivi pugliesi3. La facciata è affiancata da due torri di cui una, quella sul lato destro che in altezza uguaglia la facciata, è rimasta incompiuta o è rovinata a seguito di qualche evento.
Numerosi sono stati gli studiosi che si sono occupati della struttura architettonica della cattedrale di S. Maria di Anglona, non sempre concordando sulle vicende costruttive e sulla datazione. Il Lenormant la fa risalire all’XI secolo 4 . Dello stesso parere sono il Cappelli5 e lo Zampino6, mentre il Bértaux7, l’Arslan8 e il Venditti9, l’assegnano al XIII secolo. Due Archeologi inglesi i Whitehouse, che negli anni ’60 del secolo scorso hanno condotto campagne di scavo sul colle di Anglona, datano la cattedrale al XII secolo10. Corrado Bozzoni, in un suo studio sull’architettura di età normanna in Italia meridionale, sostiene che l’edificio dall’XI al XIII secolo subì diversi rifacimenti. Fig. 3. Cattedrale di S. Maria di Anglona: L’archivolto del portico. portale di accesso
1 Anglona fu fondata sulle rovine dell’antica Pandosia, di cui si parla nelle Tavole di Eraclea. Il nome le deriverebbe, secondo il Racioppi, dalla parola agnone derivante da lagno, canale. 2 I due fiumi sono citati dalle fonti antiche: il Sinni, l’antico Siris, è menzionato da Licofrone (v. 982), da Strabone (IV,264) e si trova nella Tabula Peutingeriana oltre che essere citatio dall’Anonimo Ravennate (IV, 31). Nasce a nord del monte Papa e raggiunge il mare Ionio dopo un percorso di circa 100 Km. 3 C. BOZZONI, Calabria normanna, Roma 1974, p. 200. 4 F. LENORMANT, La Grande Grecia, Chiaravalle Centrale, I, 1976, p. 181. 5 B. CAPPELLI, Aspetti e problemi dell’arte in Basilicata, in “A.S.C.L.”, 1962, pp. 292-293. 6 M. ZAMPINO, Chiese rupestri, in “Tuttitalia”, XX, p. 425. 7 Il Bértaux, che in collaborazione con M. Vittorio di Cicco, aveva tracciato la pianta della cattedrale di Anglona, omettendo la torre campanaria del lato destro della facciata, il transetto e aggiungendo una campata alle navate: É. BÉRTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, Paris 1904, p. 522. 8 W. ARSLAN, Relazione di una missione artistica in Basilicata, in A.M.S.M.G., 1926-27, Roma 1928, p. 323. 9 A. VENDITTI, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli 1962, p 1026. 10 “The only standing building of the medieval settlement is the twelfth-century cathedral of S, Maria”: D. e R. WHITEHOUSE, Excavations at Anglona, “Papers of the British school at Rome”, V, XXXVII, London 1969, pp. 34-75.
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n. 3-4/2007 potrebbe risalire, sempre se sarebbero del XIII secolo11. A mio avviso, in questo edificio, l’elemento che di gran lunga offre un fondamentale tema di riflessione è costituito dalle due torri che fiancheggiano la facciata della cattedrale (figg. 3bis e 4). È questo un elemento che si riscontra in ben quattro edifici della Sicilia normanna12: Mazara del Vallo, la cattedrale di Catania, i duomi di Cefalù e Monreale.
Fig. 3bis. Cattedrale di S. Maria di Anglona: ipotesi pianta della I fase.
Secondo il Mongiello, l’anomalia degli archi a sesto acuto sul lato sinistro della navata centrale e a tutto sesto sul lato destro, sarebbe indice di un pentimento, in corso d’opera, dei costruttori e questo dimostrerebbe che la costruzione della cattedrale fu iniziata alla fine del XII e terminata nel XIII secolo16. Un attento esame all’interno dell’edificio porta a conclusioni diverse. Intanto si può notare che sei pilastri sorreggenti le arcate del lato sinistro della navata centrale, il primo, il quarto e l’ultimo, hanno capitelli simili a quelli del lato destro. Ma c’è di più. All’interno della prima arcata sinistra vi è la prova che l’edificio originario fosse con arcate a tutto
Fig. 4. Cattedrale di S. Maria di Anglona: le due torri viste da sud-est
Il Krönig sostiene che “le torri sulle facciate delle due costruzioni (Cefalù e Monreale) del XII secolo, che furono con certezza fondazioni regali, devono indubbiamente essere interpretate come segni e simboli di potenza regale. L’analoga disposizione delle torri nei duomi cronologicamente precedenti di Mazara e Catania non contrasta affatto con questa interpretazione: al contrario indica piuttosto già fin da allora l’esistenza di simili aspirazioni13”. Si evidenzia da questo l’importanza che riveste la soluzione architettonica della facciata affiancata da due torri della cattedrale di S. Maria di Anglona, che costituisce l’unico esempio con quest’impianto tipologico in Italia dopo i quattro edifici siciliani. Un attento esame della struttura architettonica della fabbrica, così come oggi si presenta, porta a ipotizzare almeno tre rifacimenti della cattedrale di S. Maria di Anglona. Il primo edificio, probabilmente della fine dell’XI secolo quando Anglona era già un centro rilevante14, doveva offrire una soluzione architettonica a pianta basilicale a tre navi, scompartite da pilastri quadrangolari sorreggenti arcate a tutto sesto su entrambi i lati, priva di transetto e le cui navate erano concluse da un’abside centrale più grande e da due laterali15.
Fig. 5. Cattedrale di S. Maria di Anglona: decorazione originaria della I arcata a sinistra
Fig. 6. Cattedrale di S. Maria di Anglona: facciata della cattedrale
sesto sia nella parte sinistra che destra della navata centrale. Si possono leggere, infatti, i resti della fascia dipinta che bordava in origine un arco a tutto sesto (fig. 5). Altro elemento significativo del lato occidentale della costruzione erano le due torri poste accanto alla facciata, davanti alla quale bisogna ipotizzare la presenza di un atrio con un unico portale d’ingresso. Soluzione questa che si rifà alla forma, considerata particolarmente monumentale e consueta, delle cattedrali siciliane in precedenza citate17. La facciata della cattedrale di Anglona, come negli esempi siciliani, doveva essere in origine arretrata rispetto alle torri. Questa mia ipotesi fu contestata nel Convegno del 199118. Ma una lettura, anche superficiale degli elevati, mostra come in origine le torri fossero avanzate rispetto alla facciata (fig. 6). Comunque una recente prospezione con il georadar, ha dimostrato la fondatezza dell’ipotesi da me prospettata (fig. 7). In un secondo momento, forse per guadagnare spazio, la
11 C. BOZZONI, Calabria… cit., pp. 200-201 n. 97. 12 G. PENSABENE, La Cattedrale normanna di Mazara, in “A.S.S.”, LIII, 1934, pp. 191-217; H. M. SCHWARZ, Die Baukunst Kalabriens und Siziliens im Zeitalter der ormannen, “Romisches Jahrbuch für Kunstgeschichte”, 6, 1942/44 (1946), pp. 43-47; G. DI STEFANO, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1955, pp. 8-9; A. RIZZO MARINO, Campanili e campane della Cattedrale di Mazara, “Trapani”, 7, 1962, pp. 1-12; W. KRÖNIG, Il Duomo di Monreale e l’architettura normanna in Sicilia, Palermo 1965, pp. 143-146; F. BASILE, L’architettura della Sicilia normanna, Catania 1975, p. 8. 13 W. KRÖNIG, il Duomo… cit., p. 177. 14 Alla fine dell’XI secolo, papa Urbano II durante un viaggio dal monastero di S. Maria della Matina a Taranto si fermò “in Anglona civitate cum tam episcopis quam sanctae Romanae ecclesiae cardinalibus sive diaconis…”. Cfr. V. von FALKENHAUSEN, La diocesi di Tursi-Anglona in epoca normanno-sveva. Terra d’incontri tra greci e Latini, in “Atti del Convegno internazionale di Studi (Potenza-Anglona, 13-15 giugno 1991), Galatina 1996, p. 30. 15 Quest’ipotesi è suffragata dalla costatazione che le tre absidi vennero affrescate verso la metà del XII secolo e successivamente, nella prima metà del XIII secolo, a causa di un ampliamento dell’edificio a cui furono aggiunti il transetto e il profondo coro, furono sfondate, non tanto però da cancellare ogni traccia della loro forma originaria e degli affreschi che le decoravano: Cfr. G. ROMA, La chiesa di S. Maria di Anglona presso Tursi e la sua decorazione pittorica, “Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata2, XL, 1986, PP. 75-102. 16 G. MONGIELLO, La chiesa di S. Maria del Casale in Pisticci, “Arte Cristiana”, LXVI, 1978, pp. 322-323. 17 W. KRÖNIG, Il Duomo…, cit., p. 173. 18 M. D’ONOFRIO, Struttura e architettura della cattedrale. Vicende costruttive e caratteri stilistici, in “Atti del Convegno internazionale di Studi…”, cit., pp. 43-52.
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Arte e Cultura parete occidentale fu spostata dall’interno all’esterno delle torri (fig. 8). I frescanti dovettero affrontare difficoltà di ordine tecnico non indifferenti per questo spostamento, non essendo le pareti interne delle due torri allineate con quelle della navata (fig. 9). Quando l’interno della cattedrale fu affrescato, intorno alla metà del XII secolo, l’edificio era
n. 3-4/ 2007 Ma la città per qualche evento particolare non tramandatoci, pochi anni dopo, dovette irrimediabilmente decadere, se nel 1221 viene ricordata come semplice “casale23”. Agli inizi del XIII secolo, solo nelle Valle del Sinni, vengono ricostruite, sui resti di precedenti costruzioni, la Cattedrale di Rapolla, la chiesa di S. Maria del Casale a Pisticci e,
Fig. 7. Cattedrale di S. Maria di Anglona: prospezioni georadar.
ancora privo del transetto e del profondo coro, come dimostrano le absidi sfondate (fig. 10) Le arcate ogivali della navata centrale, la navatella sinistra, il transetto e il coro fanno parte di una successiva ricostruzione. Secondo il Bozzoni questo ampliamento dovette avvenire intorno alla metà del XIII secolo19. Le tre absidi furono sfondate per mettere in comunicazione le navate con la parte presbiteriale20. Questo ampliamento della parte presbiteriale e la ricostruzione del lato sinistro della navata centrale, della navatella dello stesso lato, del presbiterio e del coro(fig. 11), databili alla prima metà del XIII secolo, è Fig. 8. Cattedrale di S. Maria di lecito ipotizzare che si ebbero Anglona: pianta della II fase a seguito di qualche evento calamitoso che dovette compromettere, in parte, le strutture dell’edificio21. Nella seconda metà del XII secolo, infatti, la “città di Anglona” raggiunge l’apice della sua potenza, allorché il suo vescovo viene menzionato nel comitato dei baroni di Montescaglioso per la spedizione in Terra Santa. In quest’occasione il feudo di Anglona mette a disposizione della spedizione crociata ben 6 cavalieri e 40 fanti22.
Fig. 9. Cattedrale di S. Maria di Anglona: ingombro della parete di facciata della I fase.
Fig. 10. Cattedrale di S. Maria di Anglona: absidiola originaria della navatella destra.
un po’ più distante, la Trinità di Venosa24. In Calabria sappiamo che, a causa del disastroso terremoto del 1184, venne ricostruito nella prima metà del XIII secolo il duomo di Cosenza25. Il fervore in campo edilizio, nella prima metà del XIII secolo, è lecito supporre che dovesse derivare dall’urgenza di realizzare un programma di ricostruzione probabilmente dopo un evento calamitoso. A S. Maria di Anglona vengono ricostruite soltanto le parti dell’edificio crollate o irrimediabilmente comproFig. 11. Cattedrale di S. Maria di messe. Così si può spiegare, Anglona: pianta attuale. infatti, la ricostruzione della parte sinistra della navata centrale e l’aggiunta del transetto e del coro. Le arcate ogivali su pilastro le troviamo in altri due edifici non distanti da Anglona: nella cattedrale di Rapolla e a S. Maria del Casale a Pisticci (fig. 12). Anche il transetto e la parte absidale della cattedrale di Anglona e delle due chiese appena citate come pure alcuni edifici calabresi (Patirion di Rossano, S. Maria di Terreti), adottano una soluzione “del tut-
19 C. BOZZONI, Calabria normanna… cit., pp.195-201. 20 Secondo il D’ONOFRIO (Struttura e architettura…, cit., p. 47) le absidi sarebbero state sfondate in età barocca. È un’ipotesi inverosimile che non tiene conto della circostanza che gli affreschi, che comunque non superano il XII secolo, esistevano quando le absidi furono sfondate. 21 Alla fine del XII secolo, come citazione, un disastroso terremoto sconvolse la Valle del Crati e quella del Sinni: “1184. 9. Kal. Iunii terrae motus adeo magnus et terribilis fuit per totam Calabriam. Valle de Crati et Valle de Sinu. Ecclesiae omnes et omnia aedificia muro rum corruerunt…”, in “M.G.H. Scriptorum”, XVIII, Hannoverae 1866, p.313. 22 J. FRAJKIN, Anglona Tursi, in “Dictionnaire d’histoire et de geographie ecclesiastique”, I, coll. 230-231. 23 UGHELLI, Italia Sacra, coll. 68-69. 24 C. BOZZONI, Calabria normanna… cit., pp. 195-201. 25 Sul duomo di Cosenza cfr.: E. CERILLO, Il disegno di restauro del Duomo di Cosenza, in “Bollettino del Collegio degli Ingegneri e degli Architetti”, V, Napoli 1887, n. 3; N. ARNONE, Il Duomo di Cosenza, Siena 1893; F. DE FUSCO, Il restauro del Duomo di Cosenza, “Emporium” 1925, pp. 197-204; C. CARUSO, Il Duomo di Cosenza ed il suo ripristinamento, Cosenza 1926; M. BORRETTI, La Cattedrale di Cosenza. Monografia storico artistica, Cosenza 1933; M.E.N., Elenco degli edifici monumentali, 58-60. Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Roma 1938; U. CHIERICI, il Duomo di Cosenza, “Vie d’Italia”, XLVI, 1940, p. 152; G. MARTELLI, Conclusioni sulla iconografia absidale originaria della cattedrale cosentina, “C.N.”, IV, 1950, 3-4, pp. 67-69; IDEM, L’organismo architettonico florense, in “A.S-C.L.”, XXV, 1956, 1-2, pp. 60-63; B. CAPPELLI, Una ipotesi sulla cattedrale di Cosenza, in “A.S.C.L.”, XXXII, 1963, 1-2, pp. 3-18; L. BILOTTO, Il Duomo di Cosenza, Cosenza 1989.
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n. 3-4/2007 to priva di riferimenti cluniacensi e più vicina alla soluzione latina della basilica a colonne o pilastri con transetto triabsidato non sporgente26, distinguendosi in questo dagli edifici siciliani di Mazara, Catania, Cefalù e Monreale27. Va sottolineato come la parte terminale della torre campanaria a sinistra, le arcate a sesto acuto della navata centrale, il transetto e il profondo coro, ma soprattutto l’esterno del lato absidale, oltre a far parte di un unico intervento costruttivo,
Fig. 12. Di S. Maria del Casale di Fig. 13, Cattedrale di S. Maria di Pisticci: interno. Anglona: finestra absidale.
stilisticamente si inseriscono il quel filone culturale legato all’ambiente pugliese di ascendenza federiciano28 e che ha tra i maggiori esponenti in Lucania, Sarolo, Mele da Stgliano, e Melchiorre da Montalbano29. Nell’orbita di quest’ultimo, secondo A. Grelle Iusco, rientrano le formelle dei quattro evangelisti e dell’Agnus Dei sul portico di Anglona30 e i capitelli del campanile, mentre il Cappelli, il quale nota come Melchiorre da un gusto legato all’ambiente pugliese federiciano, evolve via via verso formulazioni più classicheggianti31, ritiene che si possa attribuire all’attività di Melchiorre anche la bella finestra absidale (fig. 13) della cattedrale di
Arte e Cultura Anglona32. È significativo rilevare come Melchiorre da Montalbano, nel 1253, risulta essere chierico della cattedrale di Anglona33 ed è del tutto lecito ipotizzare un suo intervento nella ricostruzione di alcune parti dell’edificio e del contemporaneo ampliamento, che avviene, come si è sostenuto, nella prima metà del XIII secolo34. Nella costruzione del portale della cattedrale di Rapolla, Melchiorre aveva voluto adoperare delle colonne di marmo provenienti da un edificio antico35, denotando un gusto per le forme classiche36, che si manifesta anche nella decorazione della parte superiore esterna dell’abside della cattedrale di S. Maria di Anglona, dove il ricordo dell’antico si evidenzia nelle lastre calcaree scolpite a mo’ di triglifi. Il portale di Rapolla è datato al 1250-1253, periodo in cui Melchiorre da Montalbano era chierico della cattedrale di S. Maria di Anglona. Dopo cinque o sei lustri realizza il pulpito della cattedrale di Teggiano, stilisticamente accostabile anche a opere esistenti in Abruzzo e nel Molise37, ma che indica come le esperienze compiute siano ormai di ampia consistenza. Non si è lontani dal vero, quindi, se per analogie che vi sono tra le parti ricostruite o ampliate della cattedrale di Anglona e alcune soluzioni adottate a Rapolla38, ma soprattutto per la nuova sensibilità, che trova un comune denominatore nel riuso di materiale antico nel portale della cattedrale di Rapolla e nella decorazione con lastre calcaree, scolpite a forma di triglifi, che ornano la parte superiore dell’abside di S. Maria di Anglona, la datazione della parte sinistra della navata centrale e della navatella di sinistra, della parte superiore della torre campanaria dello stesso lato, lo sfondamento delle absidi e il conseguente ampliamento della parte presbiteriale, sia da assegnare probabilmente agli stessi anni in cui Melchiorre da Montalbano era chierico della cattedrale di Anglona.
26 A. VENDITTI, Architettura bizantina…, cit., p. 922; G. MONGIELLO, La chiesa di S. Lucia di Rapolla, in “Bollettino d’Arte del Ministero della P.I.”, n.11, 1964, pp. 165-173; 27 W. KRÖNIG, Il Duomo… cit., p. 145. 28 G. NITTO DE ROSSI, Una risposta ad Emilio Bertaux intorno alla pretesa influenza dell’arte francese nella Puglia ai tempi di Federico II, “Napoli Nobilissima”, VII, 1898, pp. 144-150; C. A. WILLEMSEN, Apulien, Land der ormannen, Land der Staufer, Leipzig 1954; B. CAPPELLI, ote su alcuni monumenti medioevali di Teggiano, “R.S.Sal.”, XIX 1958, pp. 98-99; S. BOTTARI, Intorno a icola di Bartolomeo da Foggia, “Commentari”, VI, 1955, pp. 159-163; H. DECKER, Italia romanica. Die hohe Kunst der romanischen Epoche in Italien, Wien-München 1958; A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia, 2, Roma 1964; A. WILLEMSEN, D. ODENTHAL, Puglia, Bari 1978; W. KRÖNIG, Castel del Monte. Federic II et l’architecture française, in “AA. VV., L’Art dans l’Italie méridionale. Aggiornamento dell’opera di Émile Bértaux, t. V, pp. 953-966. 29 A. GERLLE IUSCO, Arte in Basilicata, Roma 1981, pp. 20-29. 30 Per il portico cfr anche: P. C. CLAUSSEN, Il portico di S. Maria di Anglona. Scultura normanna nell’Italia meridionale del XII secolo. S. Maria di Anglona e la SS. Trinità di Venosa, in “Atti del Convegno…., cit., pp. 53-59. 31 J. RASPI SERRA, La fin de l’art imperial, in “Aggiornamenti…” cit., p. 968. 32 B. CAPPELLI, Aspetti e problemi…. cit., pp. 296-297. 33 G. MONGIELLO, La chiesa…, cit., p 324. 34 C. BOZZONI, Calabria normanna…, cit., pp. 200-201; G. ROMA, S. Maria di Anglona, Cosenza 1989, pp. 17-48. 35 B. CROCE, Sommario critico della storia dell’arte nel napoletano, “Napoli Nobilissima”, II, 1893, p. 183. 36 H. von GEYMULLER, Friedrich II von Hohenstaufen und die Anfange der Architektur der Ranaissance in Italien, München, 1908, pp. 64-76; W. KRÖNIG, Toskana und Apilien. Beitrage zum Problemkreis der Kunst des icola Pisano, “ZkunstG, XVI, 1953, pp. 101-144. 37 M. S. MORMONE, Il pulpito di Melchiorre da Montalbano nella cattedrale di Teggiano, “Napoli Nobilissima”, XVIII, V, 1980, pp. 1-9. 38 Si pensi soprattutto alle arcate a sesto ogivale, derivanti dalle esperienze dei grandi cantieri federiciani di Castel del Monte e Lagopesole, presso cui si distinsero Melissano da Stigliano, lo scultore Sarolo da Muro Lucano e appunto Melchiorre da Montalbano: cfr. G. MONGIELLO, La chiesa…, cit., pp. 21-25.
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LA PARABOLA DEI CONSORZI AGRARI di Mario De Filippis
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rmanno Rea ha dedicato un romanzo (La dismissione, Rizzoli) alla chiusura e poi allo smantellamento dell’Italsider di Bagnoli, in Campania, un sito bonificato e restituito ai cittadini, trasformato in museo tecnologico, dove sorge oggi la Città della scienza. Un libro ispirato al mito dell’industrializzazione del Mezzogiorno e alla sua fine. Quelle di Bagnoli non sono certo le uniche illusioni di cui è disseminato il nostro Sud. Anche perché non tutte le dismissioni sono visibili, concretamente rappresentate da un luogo fisico, come nel caso delle acciaierie napoletane. Quando nel giugno del 1995 arriva in edicola il primo numero del “Quotidiano di Cosenza e provincia”, che diventerà poi il “Quotidiano della Calabria”, sono ancora operanti i tre Consorzi Agrari Provinciali di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Su di essi incombe la liquidazione coatta amministrativa, deliberata fin dal 1991, ma sindacati, dipendenti e amministratori sono fiduciosi di poter trovare una soluzione. Oggi, a distanza di dieci anni, i tre consorzi sono sospesi nel limbo in cui, talvolta, le leggi consentono una sopravvivenza fittizia a chi è stato già condannato. Dalle tre società sono stati mandati via circa cento dipendenti, in parte, solo i più anziani, con piani di prepensionamento, in parte semplicemente licenziati, nel 2000, anzi messi in mobilità, come si dice più elegantemente da qualche tempo. Con questi drastici provvedimenti si è chiuso un capitolo della storia economica della nostra regione, un evento che avrebbe meritato maggiore attenzione da parte del mondo politico locale. Ai consorzi agrari, le cui sedi, magazzini, agenzie, erano ben visibili rispetto ad altre fantomatiche attività industriali, di cui amano dissertare gli amministratori del nostro territorio, non sono stati riservate esequie solenni. Pur costituendo essi uno dei rari tentativi di avviare processi di innovazione e di cooperazione nella nostra agricoltura. Ma cos’è un consorzio agrario? Senza andare troppo indietro, nella memoria di molte persone non più giovanissime, si può ritrovare un’espressione tipica del linguaggio politico degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, il “carrozzone democristiano”, definizione quanto mai ampia, utilizzata per indicare una pluralità di enti, organismi, istituzioni accomunati dalla comune matrice, dal riferimento organico al progetto del grande partito cattolico. “Carrozzone democristiano”, scrivono i giornali socialisti e comunisti del tempo riferendosi soprattutto, in Calabria, all’Opera Sila e alla Cassa di Risparmio, che negli anni del secondo dopoguerra acquistano un ruolo crescente nella creazione del consenso, attraverso le clientele. “La Cassa per il Mezzogiorno, i Consorzi agrari, i Consorzi di bonifica, gli Ispettorati dell’agricoltura, gli istituti di credito hanno elargito favori, aiuti e somme ingenti alla grande proprietà, a danno dei contadini, piccoli e medi agricoltori, e in definitiva, allo sviluppo dell’agricoltura e della collettività”, così Gaetano Cingari, nella sua Storia della Calabria dall’Unità ad oggi, riportando le parole di uno studioso del tempo, rievoca quegli anni così lontani, eppure così vicini. Ma le origini dei consorzi agrari vanno cercate molto più indietro. Bisogna risalire alla istituzione, nel 1697, dei Monti
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frumentari ad opera del cardinale Orsini, arcivescovo di Benevento, divenuto poi papa Benedetto XIII. Prima ancora, nel 1420, in Sardegna, vengono fondati i Monti granatici, a proposito dei quali il Governatore di Sassari scrive, nel 1767, “è da questi Monti che egli si ripromette la emancipazione degli agricoltori poveri ed un vero e duraturo progresso dell’agricoltura”. Quindi l’origine è chiaramente legata al mondo della solidarietà, a quelle iniziative sorte in epoche diverse, all’interno del mondo cattolico, per alleviare la miseria, sottrarre i bisognosi agli usurai, avviare processi di miglioramento delle tecniche. Buone intenzioni. Al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, vengono censiti 1.690 Monti frumentari. Non è questa la sede per ricostruirne la storia; una ricca voce dell’Enciclopedia Agraria offre bibliografia e indicazioni puntuali a chi voglia indagarne soprattutto le trasformazioni giuridiche e istituzionali. L’Enciclopedia Agraria è di per sé una reliquia, essendo stata edita sotto gli auspici dalla defunta Federconsorzi. Come accade spesso, nei naufragi, rimane solo qualche libro a testimoniare le magnificenze del passato. *** Per avvicinarci ai tempi nostri, un passaggio cruciale è senz’altro il ventennio fascista. La Federazione Agricoltori della provincia di Cosenza, nel 1928, afferma che “è suo intendimento promuovere, d’accordo con gli Enti locali, la costituzione del Consorzio Provinciale Fascista che, fondendo in un unico ente tutti i consorzi esistenti in provincia con apporto di nuovo capitale e larghezza di credito, possa essere l’organo commerciale e della loro organizzazione sindacale, che su di esso dovrà fare affidamento”(Cinque anni di fascismo in provincia, a cura della Federazione fascista della provincia di Cosenza, anno VI, p. 33). L’agricoltura calabrese, al suo ingresso nel nuovo stato unitario nel 1861, ha dovuto fare i conti con la drammatica arretratezza delle aziende, con l’indisponibilità dei grandi proprietari ad investire in migliorie, con la mancanza di strade e ferrovie, indispensabili per commercializzare i suoi prodotti. La costruzione della linea ferroviaria tirrenica non risolve i suoi problemi, perché la rete viaria interna rimane carente. Qualche impulso significativo allo sviluppo viene durante gli anni di presenza nel governo nazionale di Michele Bianchi, calabrese di nascita, quadrumviro e stretto collaboratore di Mussolini, scomparso improvvisamente nel 1930. Per quanto riguarda i consorzi e la Federazione nazionale, il governo fascista vara importanti provvedimenti tra il 1939 e il 1942, dando un inquadramento giuridico che sarà però sempre più condizionato dall’approssimarsi della guerra, dalla necessità di controllare la produzione agricola e subordinarla alle necessità militari. In particolare ai consorzi, che sono società cooperative a responsabilità limitata, compete di contribuire al miglioramento della produzione agricola, anche attraverso iniziative sociali e culturali. I consorzi, inoltre, acquistano, producono, vendono fertilizzanti, macchinari, prodotti. Promuovono e agevolano trasporto, lavorazione e vendita dei prodotti. Hanno competenze anche nel credito in natura agli agricoltori.
n. 3-4/2007 La fine repentina del regime fa passare tutto l’apparato burocratico statale e parastatale sotto il controllo dei nuovi partiti, in particolare della Democrazia Cristiana che, nel Sud, subentra ai vecchi notabili e, nello stesso tempo, li accoglie nelle proprie file. Il secondo dopoguerra in Calabria inizia con le occupazioni delle grandi proprietà, guidate e appoggiate dal PCI, con i decreti del ministro comunista Fausto Gullo, con i morti di Melissa negli scontri con le forze dell’ordine. A distanza di mezzo secolo appare evidente che sia le forze politiche di sinistra che la Democrazia Cristiana non hanno voluto ammettere che quella battaglia era sostanzialmente inutile, perché l’Italia si stava trasformando in una potenza industriale e l’agricoltura, specie quella calabrese, era destinata a diventare marginale nell’economia regionale e nazionale. La DC combatte l’egemonia comunista tra i braccianti promuovendo la riforma agraria, attesa fin dai tempi dell’Unità, accollando allo Stato gli oneri del risarcimento ai grandi proprietari. Rimane indiscutibile il valore simbolico degli espropri dei latifondi superiori ai 500 ettari. Nella zona di Sibari e nel Crotonese finisce il feudalesimo, viene detto dagli osservatori e dai commentatori, per sottolineare l’importanza dell’evento. Vengono assegnati a contadini poveri circa ventimila poderi, costituiti con i fondi espropriati alle grandi famiglie di possidenti. Ma è una riforma tardiva, l’agricoltura moderna va in altre direzioni. In venti anni, tra il 1951 e il 1971, il reddito prodotto dall’agricoltura calabrese si dimezza, come si dimezza il numero degli occupati. Le produzioni significative si vanno concentrando in pochi distretti circoscritti, dove si affermano coltivazioni intensive e di qualità. In Calabria crescono le città e il settore terziario, dei servizi, del commercio, degli uffici pubblici. La lotta politica si combatte anche nei campi con le contrapposte organizzazioni, la Federconsorzi e i coltivatori diretti sono bonomiani, dal nome dell’onorevole Bonomi, che rappresenta gli interessi del mondo dell’agricoltura e guida una potente corrente democristiana. I comunisti fanno riferimento alla Federterra. Sono gli anni del fanfanismo, dal nome di Amintore Fanfani, segretario nazionale della DC e organizzatore della macchina del partito, un partito meno legato ai notabili, più presente sul territorio, negli enti, negli uffici dove si erogano contributi e si crea consenso. Ad una sua visita in Calabria è legato il famoso scandalo delle “vacche di Fanfani”, spostate da un luogo all’altro, secondo le tappe del suo itinerario nei distretti della riforma agraria. *** Questa è, in estrema sintesi, senza entrare nelle variazioni del loro status giuridico, il quadro in cui si compie la parabola dei consorzi agrari, sorpassati dalla storia e gestiti in modo inadeguato rispetto all’evoluzione dell’economia. La vendita dei concimi, dei macchinari, dei fertilizzanti, si rivela con il tempo scarsamente redditizia, come l’altro campo di attività dell’ammasso delle produzioni, cioè del deposito e della commercializzazione. Non si individuano nuove strade da percorrere, anche a causa di una struttura societaria atipica, come è quella del consorzio, che lascia mano libera nella gestione a una dirigenza legata da una parte alla Federconsorzi, dall’altra alla politica locale e ai suoi interessi più ristretti.
Arte e Cultura In uno degli ultimi documenti sindacali, un memorandum della CGIL del 1998, a proposito del consorzio cosentino, si legge: “Il sindacato ha sempre indicato i problemi con i quali il processo di ristrutturazione si doveva misurare: acquisizione di una reale rappresentatività dell’intero mondo agricolo, definizione di una dimensione territoriale adeguata e più rispondente alle attuali esigenze di mercato; revisione dei rapporti con gli Enti Locali; riassetto organizzativo teso al recupero dell’efficienza e della redditività, anche cogliendo l’occasione degli strumenti di politica attiva del lavoro; direzione improntata a criteri di managerialità; recupero di credibilità finanziaria rispetto agli interlocutori commerciali e creditizi; ricapitalizzazione ed acquisizione di nuovi soci; razionalizzazione e coordinamento di nuove attività; dismissione del patrimonio immobiliare non strumentale”. Non sono problemi da poco, ma vengono indicate delle strade percorribili. La crisi finale, quella iniziata nel 1990, non sorge comunque da un problema regionale, locale. I consorzi agrari sono stati travolti dal fallimento di Federconsorzi, un gigante economico e finanziario che, anziché sostenere le aziende locali, le ha trascinate nel tracollo. La Federconsorzi infatti, nata come struttura di supporto, ne aveva con il tempo assunto il controllo, condizionandone le scelte operative e imponendo la dirigenza. Ritorna insomma il problema della loro peculiare struttura societaria, dato che un consorzio agrario era una cooperativa, una cooperativa che formalmente contava anche migliaia di soci, dove il potere reale era detenuto, invece, da un consiglio d’amministrazione sempre più staccato e autonomo dai soci di cui avrebbe dovuto, in teoria, curare gli interessi. Quando in alcuni consorzi si è provato ad aggiornare il libro dei soci, ci si è resi conto che dietro centinaia di nomi non esisteva un vero interesse alla vita della società, dietro i nomi c’era il vuoto. Né, per rimanere al caso calabrese, altri imprenditori si sono proposti seriamente per rilevare l’azienda e ridarle slancio. Nelle regioni ad agricoltura più avanzata singoli consorzi sono riusciti a superare la crisi, rafforzando il proprio ruolo all’interno della cosiddetta filiera produttiva, aiutando cioè i produttori a conferire i prodotti all’industria alimentare. Oppure dedicandosi direttamente alle produzioni di alta qualità. Non solo in Emilia Romagna, Veneto, Umbria, anche in Basilicata i consorzi hanno retto il colpo e ritrovato una loro fisionomia. Dove ciò non è stato possibile, come in Calabria, oltre alla debolezza atavica del settore, bisogna ammettere i limiti e le responsabilità di una gestione con le caratteristiche individuate prima, evidenti già negli anni Cinquanta. Non a caso la presidenza dei consorzi, nella nostra regione, è stata sempre assegnata a politici di professione, non a veri imprenditori. Nonostante questa brutta pagina la classe politica locale, in compenso, continua a illustrare le “magnifiche sorti e progressive” della nostra agricoltura, disegnando ampi scenari di sviluppo del territorio, attraverso i marchi tipici, l’agriturismo, gli itinerari enogastronomici e via fantasticando. Per ironia della sorte anche i liquidatori dei consorzi provengono dalle file del vecchio partito scudocrociato. Virtù gattopardesche e camaleontiche che hanno sempre contraddistinto la vecchia “balena bianca”.
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DALL’AMERICA ALLA CALABRIA LE PERIPEZIE DI UN SEME di Giorgio Boatti
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n un saggio uscito di recente per Donzelli, «Storia del peperoncino», Vito Teti ripercorre, sottraendole alle facili etichette identitarie, le vicende di una pianta giunta in Europa con Colombo e divenuta emblema di una ruvida cultura mediterranea. L’incontro tra l’Europa e il peperoncino, quello proveniente dalle Americhe che nel Settecento il francese Joseph Piton de Tournefort denominerà nella sua classificazione di erbe medicinali «Capsicum», avvenne di martedì. È infatti sotto la data di martedì 15 gennaio 1493 che Cristoforo Colombo, nel suo diario di viaggio, registrò per la prima volta questa pianta ben radicata nel Nuovo Mondo e nelle vite delle sue genti: scrive dunque il Grand’Ammiraglio di questo «pepe che di qualità molto sopravanza quella del pepe» e che le popolazioni locali consumano in grande quantità reputandolo «assai curativo». Parte da qui, dal peperoncino e dal ruolo fondamentale che - insieme a un altro celebre collega «americano», il pomodoro - esso ha avuto nel definire la cucina mediterranea, almeno così come la conosciamo oggi, il bel saggio di Vito Teti, Storia del peperoncino. Un protagonista delle culture mediterranee, di recente pubblicato dall’editore Donzelli (pp. 490, euro 32). E quindi il lavoro di Teti si rivolge a riflettere sul ruolo che i sapori e gli alimenti assumono nel processo di costruzione di una identità territoriale, nel caso concreto quella calabrese. Nonostante la sua attività universitaria (insegna etnologia presso l’ateneo della Calabria dove dirige il Centro di antropologia e letterature del Mediterraneo) e sebbene attinga a una mole incredibile di fonti, e si preoccupi di verificare con rigore ogni asserzione, Vito Teti non scrive libri accademici. Al contrario: ogni volta spiazza il lettore da angolazioni impreviste, con coinvolgimenti diretti che danno alla più rigorosa documentazione su cui procede il tono di un racconto. Così era stato, ad esempio, per il suo saggio Il senso dei luoghi, dedicato ai borghi abbandonati dell’appennino calabrese: un libro raffinato proprio perché «scritto coi piedi». Nelle pagine di quel libro Teti riusciva a rendere il ritmo, la fatica e la commozione dei cammini che, mulattiera dopo mulattiera, lo avevano portato a esplorare quelli che un tempo erano centri abitati, ricchi di storie e tradizioni, che adesso gli si presentavano come una successione di case vuote a picco sulle fiumare. Paesi dove il solo rumore era il passo del solitario visitatore e lo sbattere delle imposte sotto il soffio costante del vento mentre, per udire le voci e le storie delle vite di chi lì aveva vissuto, occorreva una sensibilità e un talento non comuni. Lo stesso accade in questa storia del peperoncino che già per l’architettura con cui il testo si presenta al lettore - è ricco di spunti per chiunque, alle prese con una ricostruzio-
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ne, voglia imparare come fuggire dalla piatta cronologia, dalla pedissequa descrizione di «come si sono svolte le cose» per accettare la sfida di una complessità che dispone e ridispone gli elementi in svariato e duttile equilibrio. Il libro di Teti sul peperoncino si svolge a spirale, e prendendo inizio dalla sua «scoperta», con l’arrivo in America delle caravelle di Colombo, si allarga via via, non solo ampliando l’orizzonte spaziale ma riuscendo ad afferrare, per ogni nodo tematico o territoriale che sia, le ulteriori concatenazioni. Particolarmente belle le pagine nelle quali, partendo da Tommaso Campanella e dai suoi Solari (ovvero gli abitanti della utopica «Città del sole»), si scopre come fosse assodato il ruolo del piper rubrum nell’aver cura della «generazione, con unir li maschi e le femine». Ma oltre a questo tipo di armonia al filosofo interessa illuminare il «senso delle piante», soprattutto dopo aver intuito «l’amicizia e la nemicizia tra loro e con le altre cose». E su questo crinale una presenza così significativa come quella del peperoncino ovviamente insegna molte cose. Altrettanto interessante è la vicenda dell’alleanza/concorrenza tra il peperoncino e il pomodoro, che cominciò la sua imperiale conquista della cucina mediterranea con l’invenzione della «salsa di pomodori» codificata da Cavalcanti nel 1839. Ebbe inizio allora il cammino della pasta (sino a tutto Ottocento cibo per ricchi, poi, coi maccheroni e la produzione industriale, alimento sempre più popolare) e della pizza che del peperoncino, in varie cucine locali, fanno vasto uso. Denso di infinite stratificazioni è poi il cammino che fa del sapore forte del peperoncino uno dei connotati non solo di alimenti calabresi - la n’duja di Spilinga, la sardella piccante conservata grazie al peperoncino, il morzello di Catanzaro - ma di quella che viene frettolosamente ritenuta l’identità «calabrese». La radicalità del peperoncino come bandiera della «calabresità», ovvero dello stereotipo di una popolazione rude e virile, quei «brutii» un po’ briganti e un po’ selvaggi, come vengono dipinti da certa letteratura di viaggio sino a metà ovecento, è pressoché un luogo comune. Vito Teti al cantiere semplificatorio delle identità che diventano festival dell’omologazione non ci sta e, anche attraverso la sua storia del peperoncino, dimostra come l’identità di un territorio, di una comunità, non possa che essere un’idea plurale, dove gli apporti e gli scambi travolgono qualsiasi ossessione di stabilire confini e demarcazioni. E al tema dell’identità calabrese da rilanciare utilizzando - come ormai si fa in tutte le località della penisola - un festival culturale, è dedicato il divertente romanzo di Mario De Filippis, Operazione Alarico, pubblicato da Iride edizioni del gruppo Rubbettino. Al sindaco e ai notabili del posto serve un «evento cultu-
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n. 3-4/2007 rale» che li scagli sulle pagine nazionali dei quotidiani, e al povero geometra Ciccio Filice, della soprintendenza ai beni culturali, spetta il compito di trovare l’idea. Finisce così con l’inciampare sul leggendario «tesoro di Alarico», razziato durante il sacco di Roma, che il re dei Goti, morto nel 410 a Cosenza e seppellito nel fiume Busento, avrebbe portato con sé nella tomba, un tesoro alla cui ricerca si sarebbe spinto in Calabria, nel ‘37, addirittura il capo delle SS Himmler. La mistura è sufficiente per varare una performance che, per suggerimento di Ginevra, una consulente culturale che fa innamorare Ciccio, segue la parola d’ordine a cui tutti i festival culturali pare debbano ubbidire: la contaminazione e il meticciato fra discipline e identità. Riusciranno i nostri prodi a fare della sgarrupata manifestazione calabrese appunto un «evento»? A dare la risposta definitiva sarà, ovviamente, l’intervista che «Fahrenheit», la trasmissione pomeridiana di Rai Tre, concede all’organizzatore. Perché, viene spiegato da De Filippis, casentino autore di
Operazione Alarico per la bocca di Ciccio Filice: «Qui a Cosenza ti dai le arie di grande intellettuale ma con quelli di Radio Tre abbassi la cresta, balbetti, non reggi il confronto. Si chiama Marino il conduttore. Questo Marino lui sì che ci naviga nella cultura meticcia. Come parla bene, non gli ha fatto dire quasi nulla, gli faceva le domande e intanto rispondeva pure lui. Gli ha spiegato il valore dell’iniziativa, ha illustrato agli ascoltatori i punti più difficili e più validi del programma, ha commentato e sottolineato le presenze di artisti e intellettuali. Nel tono della voce si poteva cogliere una certa condiscendenza come a dire: E bravi questi operatori culturali della profonda provincia meridiana italiana...Marino avrà citato altri venti libri, eventi a non finire, esperti a volontà...». Giusto sul peperoncino calabrese, quello che morde il palato e incendia la gola, il conduttore di «Fahrenheit»glissa. Forse perché, come scriveva Wittgenstein, «su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere». «Il Manifesto - 7.11.2007»
LE MIE MEMORIE INEDITE di Giuseppe Cordasco A MIA MADRE Confusi e spogli s’ergeano gli alberi, nudi e fangosi s’estendeano i campi, il rosaio era spento. Grigio era il cielo l’aere cupo, silenzio nei dintorni. Ma c’eri tu , Mamma, che mitida e lieta ascoltavi i miei canti, muta e pensosa seguivi le mie fatiche. Ora il rosaio spinoso è rinverdito, adorna e rigogliosa è la contrada, brilla tutto di luce e d’oro è il firmamento, ma il guardo Tuo – ahimè – è spento! Rimiro allor la tua leggiadra imago, colà posata, sull’antico altare, timpano dell’amato focolare, e coi segreti miei pensieri riprendo il cammino del nulla, il viaggio del niente!
FA FREDDO Il cielo è lontano, l’orizzonte è qua, dinanzi a me. Nel vuoto l’infinito, tutto della vita! Dell’azzurro il ricordo, del sereno la speranza, del bianco la realtà: fa freddo! Il mondo è assente, i sorrisi sembrano spenti: che freddo! Ed io solo, penso, fumo e mi struggo!
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LO SPECCHIO DI LUCREZIA Opera prima di Marcello Barberio (Ursini Edizioni, Catanzaro 2007, pp 144)
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i sicuro il romanzo d’esordio di Marcello Barberio non è un libro buttato giù in fretta, ma un testo impegnativo, interessante e di pregio, con una scrittura meditata e curata, densa di umori, vivissima e sempre agganciata alla trama, per cui si ha l’impressione di passare direttamente da un iniziale neorealismo descrittivo della civiltà contadina calabrese a un linguaggio graffiante ed efficace, come quello di Emma, giornalista moderna alle prese con i conflitti del nostro tempo. Già nel titolo l’autore accorda alle figure femminili il ruolo di protagoniste, spinte dal desiderio di riappropriarsi delle loro radici, che la società attuale pretende di cancellare nella sua vorticosa corsa verso un futuro senza più memoria e che produce inquietudini e conflitti tra le leggi del cuore e le norme sociali. La vocazione alla scrittura di Barberio era nota da tempo, ma finora l’avevamo apprezzata nei suoi lavori di etno-antropologia della civiltà contadina e della cosiddetta microstoria locale; egli, infatti, è autore di alcuni testi di storia calabrese, vincitore del primo premio storico-letterario Città di Taverna e collaboratore assiduo di diverse riviste specializzate. Insomma da oltre 25 anni tenta di conciliare l’attività di ricerca con l’impegno politico: è stato infatti presidente della Provincia di Catanzaro prima della tripartizione amministrativa e anche sindaco del suo paese, Simeri Crichi. Il romanzo si svolge nell’arco di mezzo secolo, dai bombardamenti della città di Catanzaro nell’agosto del 1943 all’alba del terzo millennio e contiene alcune gemme di narrazione, che esplodono e galleggiano sotto forma di frammenti unitari, attraverso le continue connessioni disseminate nei 9 capitoli, scanditi e caratterizzati da un sicuro piglio investigativo della realtà e dal lento dipanarsi del legame tra Carlo e Gaia e tra le diverse generazioni di donne, che sempre si “danno parola”. È una storia nella storia - commenta Fulvio Castellani nella presentazione del libro - costruita con esemplare sincretismo espressivo, “avvalendosi di un bagaglio culturale di prim’ordine e cavalcando, con una metodologia accattivante, il tempo, il suo fluire, il suo partire dalla leggenda per poi catapultare sulla ragnatela dei giorni”. Accanto ai protagonisti principali si muovono Liliano e altri personaggi legati al mondo contadino, ai latifondi, alle stesse bellezze naturali e storiche della Calabria, con i suoi castelli, i ruderi di civiltà pluri-secolari, le leggende di matrice popolare e religiosa. “Per miscelare tutto questo, Barberio usa una grafia accentuata, tale da mettere in onda emozioni forti e il desiderio di andare oltre…i volti e le personalità dei vari attori”. Anche Emma fa ritorno al paese natio, dove le barriere si attenuano e la vita sembra spianarsi come nel corso lento di un fiume annota Barberio - “tra i cui argini s’infratta, fermenta e gira la ruo-
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ta degli eventi senza storia, delle esistenze immobili, consumate nella rinuncia e nel silenzio dell’anonimato”. Ma nella ruga si respira un clima di fiducia e di disponibilità, anche in presenza del disagio sociale, che assume la valenza della patologia relazionale e che lacera la rete dei legami comunitari, ma non cancella le sopravvivenze mutualistiche del rapporto di vicinato, col suo sistema dei doni , con le strategie matrimoniali della sposa novella, col malocchio e lo sdocchiamento secondo gli stereotipi culturali della magia rurale. “Il paese è ancora luogo di sogni, un mosaico di civiltà antica e di sfaceli moderni, di ritmi lenti e di ruoli cristallizzati, per cui ognuno è il suo personaggio, ma il bifolco è solo tale, il dotto e solo lui parla in modo forbito, perché è forte il senso della gerarchia, perché là s’intrecciano promiscuità e lontananza, passato e futuro”, testimonia Barberio, accompagnando il rito dello specchio attraverso le varie epoche e le complesse umanità della coraggiosa Gaia, di sua figlia-sorella Eva e della inquieta sua nipote Emma, che appaiono come le principali protagoniste dell’opera. “Ma è soprattutto una storia d’amore, dell’incantamento dei sensi, della compatibilità degli opposti”, confida l’autore. Assai interessante e attuale (e verosimilmente autobiografica) risulta la critica impietosa di Filippo ai meccanismi politici di selezione dei gruppi dirigenti di quelli che fino a qualche anno fa venivano chiamati partiti di massa e di quadri. Insomma, il romanzo è intrigante, ma va letto con attenzione, perché è denso di concetti, di riflessioni e di sfumature, con una scrittura che accentua il fascino dell’investigazione antropologica delle pulsioni più autentiche e profonde dei personaggi e dell’eterno gioco dello specchio e della bellezza di ogni itinerario umano. Dall’incontro onirico di Gaia e con la sontuosa Lucrezia Borgia, tra le stanze vuote del diruto castello di Simeri, deflagra una delicata profondità psicologica, capace di catturare inattese emozioni e pensieri sempre attuali sul desiderio femminile di confermarsi allo specchio e d’inventarsi nuove fantasie per la vita e per le generazioni. Condannata dai luoghi comuni, l’immagine di Lucrezia risulta completamente capovolta nell’arte, dove diventa simbolo di libertà e del “polimorfismo femminile, cioè delle variazioni del plurale femminile” Con questo romanzo Barberio allunga il passo verso un compiuto narrativo dalle connotazioni moderne, sempre in linea col bisogno costante di nomadismo e di stabilità e col desiderio di tentare di ricomporre i frammenti dello specchio e le brusche rotture dei valori e delle dinamiche esistenziali spezzate nel tempo attuale. Lo consiglierei anche come libro di narrativa nelle scuole.
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CONSENSI AL DIZIOARIO DELLA CALABRIA di Gustavo Valente, edito dal Centro Studi Geo-Metra IL “DIZIONARIO DELLA CALABRIA” DI GUSTAVO VALENTE di Ernesto Corigliano
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l Collegio provinciale dei geometri della provincia di Cosenza, tanto degnamente presieduto da Giuseppe Caterini, ha acquisito una straordinaria benemerenza; ha dato alle stampe a mezzo del Centro Studi Geo Metra in edizione speciale fuori commercio, sei volumi del “Dizionario bibliografico, biografico, geografico e storico della Calabria” di Gustavo Valente. Non solo, ma ha offerto gratuitamente il Dizionario stesso a tutti gli iscritti, associando anche quelli dei collegi di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, aderenti al Comitato regionale geometri della Calabria. Un evento che. per un collegio o ordine professionale, può considerarsi straordinario, ma di cui può menare legittimo vanto il Collegio cosentino dei geometri, avendo compiuto un’opera di eccezionale valore culturale. Il Dizionario era stato edito in minima parte (fino alla lettera c) dalla casa editrice FRAMA, incorsa poi nella dichiarazione di fallimento e, se esso è venuto a luce nell’interezza, bisogna fame merito anche al gruppo di lavoro coordinato dal prof. Giulio Palange, con il prof. geom. Mario Caterini, il cav. uff. Ettore Merletti, il dott. Giuseppe Valente, i quali come ha rilevato il geom. presidente Caterini nella prefazione, “hanno dato con entusiasmo il meglio di sé a titolo del tutto gratuito”. È ovvio, però, che un’opera tanto significativa, dovuta ad uno studioso e ricercatore di prima grandezza quale fu Gustavo Valente, meriti di andare oltre: essa dovrebbe giungere in ogni famiglia calabrese, non solo in quelle dei geometri. E viene di che rammaricarsi nel constatare quanti milioni di euro vengano volatilizzati per la presenza di questo o quel cantante nelle piazze, negli stadi di ormai di tutti i comuni della Regione, mentre un’enorme valenza culturale potrebbe assumere la distribuzione di un’opera quale quella dello storico cosentino. C’è da auspicare che una iniziativa in tale senso possa essere presa in considerazione dalla Regione Calabria o dalle Amministrazioni provinciali calabresi, che dovrebbero accollarsene ogni onere, nel rispetto dei diritti acquisiti. Entrando nel merito, il Dizionario non riguarda personaggi viventi, ma è rivolto solo al ricordo di chi non è più. Ma esso è pure bibliografico, geografico e storico. È la rassegna di tutti i comuni della Calabria, ma anche delle pic-
Sen. Avv. Antonino Murmura Vibo Valentia
cole frazioni. Ed i riferimenti storici sono ricchi di notizie, di episodi.di particolari sconosciuti, scoperti da Gustavo Valente. Un Dizionario è sempre un’opera di consultazione. Ma è veramente un diletto potere leggere di uomini, magari conosciuti in passato, ma di cui vago e il ricordo, o del tutto sconosciuti e ripercorrere le tappe della loro esistenza. È un diletto scoprire luoghi della Regione in cui viviamo e che forse abbiamo ignorato, abbiamo negletto, alla ricerca dì bellezze di terre lontane, quando il meglio era a portata di mano. E in tante pagine vi sono foto, disegni, icone,davvero preziosi. Insomma, l’opera è di gran pregio, sotto ogni aspetto, ed è destinata a durare nel tempo. Ci piace, infine, segnalare che vi è riportata per intero la lettera autografa scritta da Gustavo Valente alla moglie Alfonsina, nel Natale 1988, che comincia così: “Mia cara Alfonsina, la tua attesa di vedere in stampa il Dizionari oggi sarebbe, finalmente, appagata. Sarebbe perchè mentre questo primo volume vede la luce, tu non sei più qui nella nostra casa, al mio fianco, uniti a cogliere quella soddisfazione che ti aspettavi, soprattutto per vedermi un pò riposare: si che vede la luce quando tu sei qui soltanto in ispirito, presente nel mio cuore e nel mio pensiero, e vede la luce nel segno del tuo nome, nel ricordo, ora, delle tue esortazioni a rallentare l’impegno determinate dal tuo premuroso affetto, accolte ognora da me con affettuosa negligenza, fino a quando lutto non si tramutò improvvisamente nel mio animo in motivo struggente per accelerare. E fu quando mi si disse quale male ti aveva aggredito. “E conclude:” (Il volume) ... porta la dedica a te, come se fossi qui con noi, per affidarlo a te, come tutti gli altri che seguiranno, a segno della mia grande devozione a te che sei stata luce e guida della famiglia, perchè abbia la gioia di patrocinare tutta l’opera, cosi come facevi per ogni cosa che ci riguardava”. Questa edizione del Dizionario di Gustavo Valente è ormai esaurita sicché invano la cercheranno studiosi, cultori di storia e di geografia, calabresi amanti della loro terra, semplici curiosi.. Non è davvero il caso che qualcuno si ponga il problema? «Iniziativa»
22 Ottobre 2007 Geom. Giuseppe Caterini Presidente Collegio Provinciale Geometri Via A. Serra 42/d Cosenza
Illustre Presidente, leggo su “ Iniziativa “ - il periodico che onora la nostra Regione per merito del fraterno mio Amico On.le Ernesto Corigliano la brillante iniziativa Sua e del Collegio dei Geometri di codesta Provincia di ripubblicare “ Il Dizionario della Calabria “, opera pregevole dello scomparso Gustavo Valente, Amico carissimo, che onorò, per cultura, per signorilità, per trasparenza morale, la nostra Calabria. Leggendo della generosa disponibilità alla diffusione dell’opera di Gustavo Valente, mi permetto chiederLe una copia, non senza chiederLe scusa per la … faccia tosta. Antonino Murmura
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Attività di categoria
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comitato regionale geometri di calabria UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA I LAUREATI IN SCIEZE GEO-TOPO-CARTOGRAFICHE, ESTIMATIVE, TERRITORIALI ED EDILIZIE Sedute del 24 gennaio, 24 aprile, 24 luglio e 23 ottobre 2007 Studente
Indirizzo
Data
Dipartimento / Stage
Tutor Universitario
GEO ECO ECO GTC GTC GEO GEO GEO GEO GTC GEO
23.10.2007 23.10.2007 24.1.2007 24.1.2007 24.1.2007 24.4.2007 24.7.2007 24.7.2007 24.4.2007 24.1.2007 23.10.2007
Strutture Pianificazione Territoriale Scienze Giuridiche Strutture Strutture Pianificazione Territoriale Strutture Comune di Rossano Pianificazione Territoriale Scienze Giuridiche Pianificazione Territoriale
Vincenzo Maria Mattanò Francesco Salvo Francesco Torchia Luciano Ombres Luciano Ombres Francesco Salvo Vincenzo Maria Mattanò Ignazio Guerra Rosolino Vaiana Francesco Torchia Giuseppe Artese
Luci Giovanni
GTC
24.1.2007
Sopr. B.A.P per la Calabria
Mauro Francini
Madeo Tiziana Martino Roberto Mughetto Edoardo Muzzillo Tiziana Nicastro Gustavo Occhiuto Natale Sansone Francesco Saporito Francesco Sorrenti Ivan Vella Andrea
GEO ECO GTC GEO GEO ECO GTC GTC ECO GTC
24.7.2007 23.10.2007 24.1.2007 27.7.2007 24.4.2007 23.10.2007 24.1.2007 24.1.2007 24.4.2007 24.4.2007
Comune di Rossano Ala Fantini Srl Pianificazione Territoriale Pianificazione Territoriale Scienza Giuridiche Pianificazione Territoriale Strutture Comune di Fiumefreddo B. Pianificazione Territoriale Pianificazione Territoriale
Ignazio Guerra Luciano Ombres Giuseppe Artese Gabriella Mazzulla Mario Caterini Francesco Salvo Luciano Ombres Giuseppe Artese Francesco Salvo Giuseppe Artese
Aloe Rocco Amerise Eduardo Apa Salvatore Cappuccio Dino Cofone Antonio Curao Nicola Demasi Brunello Falco Fortunato Iacopetta Maria Antonietta Leone Luigia Lombardo Giuseppe
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE GEO-TOPO-CARTOGRAFICHE, ESTIMATIVE, TERRITORIALI ED EDILIZIE Immatricolazione A.A. 2007-2008 nell’Università della Calabria Tabella 1: Diploma di maturità conseguito dagli studenti immatricolati
Tabella 3: Provincia di residenza degli studenti immatricolati
Istituto Ist. Tecn. Geometri Ist. Tecn. Industriale Ist. Tecn. Commerciale Ist. Prof. servizi comm. Liceo Classico Liceo Scientifico Liceo Magistrale Maturità artistica Altra Maturità Tecnica Altra Maturità Totale
Provincia Numero Catanzaro 29 Cosenza 52 Crotone 7 Reggio Calabria 4 Vibo Valentia 7 Alte provincia 1 Totale 100
Numero 41 0 6 3 5 24 0 1 19 1 100
Perc. 41,0% 0,0% 6,0% 3,0% 5,0% 24,0% 0,0% 1,0% 19,0% 1,0% 100,0%
Tabella 2: Sesso degli studenti immat. Sesso Numero Perc. Maschi 81 81,0% Femmine 27 27,0% Totale 100 100,0%
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Tabella 4: Voto Maturità in 100esimi Numero 60 - < 70 20 70 - < 80 9 80 - < 90 35 90 - 100 35 Titolo studio Straniero 1 Totale 100
Perc. 29,0% 52,0% 7,0% 4,0% 7,0% 1,0% 100,0%
% 20,00% 9,00% 35,00% 35,00% 1,00% 100,00%
Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di catanzaro INIZIATIVE E RIUNIONI giugno 2007 21 Esami di idoneità Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C. 22 Esami di idoneità Corso in Materia di Sicurezza ai sensi del D. Lgs. 195/2003 - modulo C. 29 Convegno “ La legge 80/2006” presso Hotel Caposuvero – Gizzeria Lido. luglio 6 11
31
Consiglio Direttivo. Partecipazione ad incontro “Convenzione istitutiva della Stazione Unica Appaltante Provinciale” presso Prefettura di Crotone. Incontro sull’Avviso pubblico alla formazione di elenco di soggetti cui conferire servizi attinenti l’ingegneria e l’architettura - Comune di Catanzaro. Incontro con i Presidenti dei Collegi dei Geometri di Crotone e Vibo Valentia presso sede Collegio.
ottobre 1 5 19 25 26 30
Apertura corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra. Consiglio Direttivo. Chiusura corso di preparazione agli esami di abilitazione alla libera professione di geometra. Esami di abilitazione alla libera professione di geometra – sessione 2008 – prima prova scrittografica. Esami di abilitazione alla libera professione di geometra – sessione 2008 – seconda prova scrittografica. Seminario “La certificazione energetica negli edifici” presso sede Collegio.
17
novembre 5 Incontro con i delegati alla Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza geometri della regione Calabria presso sede Collegio. 16 Partecipazione a Convegno di studio organizzato dalla Confindustria di Catanzaro su “Cultura ed Impresa in Calabria – Una nuova proposta di management”. 19 Esami di abilitazione alla libera professione di geometra – sessione 2008 – inizio prove orali. 26 Fine esami di abilitazione alla libera professione di geometra – sessione 2008.
AGGIORNAMENTO ALBO Iscrizioni Fabio Brescia nato il 6.5.1978 a Catanzaro residente in Maida iscritto al n° 3026. Massimo Scorza nato il 29.10.1976 a Catanzaro residente in Zagarise iscritto al n° 3027. Valerio Sassi nato il 30.6.1980 a Lamezia Terme residente in Gizzeria iscritto al n° 3028. Giuseppe Agresta nato il 6.1.1975a Montauro residente in Montauro iscritto al n° 3029. Cancellazioni per dimissioni Felice Tranchese, n° 1414, con decorrenza 6.7.2007. Giuseppe Catrambone, n° 2844, con decorrenza 5.10.2007.
ESAMI DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA Sessione 2007 ELECO DEGLI ABILITATI Aiello Fabio, nato a Lamezia Terme (Cz) 5.11.1980; Bilotta Salvatore, nato a Catanzaro 29.9.1971; Borelli Saverio, nato a Catanzaro 7.3.1982; Canino Antonio, nato a Catanzaro 13.10.1985; Cannistrà Dario, nato a Catanzaro 30.11.1985; Caroleo Antonio, nato a Catanzaro 3.10.1985; Ciambrone Antonio, nato a Catanzaro 14.9.1984; Cianflone Massimino, nato a Lamezia Terme (Cz) 5.4.1985; Cimino Antonio, nato a Lamezia Terme (Cz) 11.8.1979; Cimino Francesco, nato a Lamezia Terme (Cz) 15.2.1986; Comi Antonio, nato a Catanzaro 7.3.1985; Daniele Rossella, nato a Chiaravalle Centrale (Cz) 10.10.1983; De Luca
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Attività di categoria
n. 3-4/ 2007
collegio di catanzaro Fabio, nato a Catanzaro 19.4.1980; Falcone Armando, nato a Catanzaro 28.4.1983; Falvo Fabio, nato a Lamezia Terme (Cz) 12.1.1987; Felcia Domenico, nato a Lamezia Terme (Cz) 20.8.1978; Figliomeni Luigi, nato a Catanzaro 27.9.1985; Folino Giuseppe, nato a Catanzaro 17.8.1984; Frustagli Rossana, nata a Chiaravalle Centrale (Cz) 14.6.1986; Gallo Gaspare, nato a Lamezia Terme (Cz) 16.8.1980; Garcea Nicola, nato a Catanzaro 30.5.1986; Gentile Angelo, nato a Soveria Mannelli (Cz) 22.3.1986; Giglio Armando, nato a Lamezia Terme (Cz) 21.1.1976; Giorgianni Andrea, nato a Catanzaro 16.7.1986; Grande David, nato a Catanzaro 16.1.1987; Lamonica Salvatore Felice, nato a Catanzaro 11.9.1983; Mastroianni Fabio, nato a Genk (Belgio) 27.11.1981; Mastroianni Raffaele, nato a Soveria Mannelli (Cz) 19.4.1985; Mauro Antonio, nato a Borgia (Cz) 22.3.1966; Mazza Cesare, nato a Catanzaro 20.11.1986; Mendicino Francesco, nato a Lamezia Terme(Cz) 4.6.1986; Murone Fabio, nato a Lamezia Terme (Cz) 13.5.1985; icolazzo Antonio, nato a Lamezia Terme (Cz)10.6.1985; ocera Antonio, nato a Catanzaro 27.6.1985; Panucci Francesco, nato a Catanzaro 8.6.1985; Paradiso Orlando, nato a Milano (Mi) 3.11.1970; Passafaro Carmine, nato a Catanzaro 26.12.1981; Pellegrino Francesco, nato a Catanzaro 1.5/1976; Perri Antonio, nato a Lamezia Terme (Cz) 2.10.1984; Persico Gianluca, nato a Catanzaro 15.7.1968; Piscionieri Antonio, nato a Catanzaro 5.6.1984; Procopio Vittoria, nata a Catanzaro 24.12.1984; Pugliese Giuseppina, nata a Catanzaro 5.6.1966; Pullia Gianfranco, nato a Lamezia Terme (Cz) 7.4.1985; Raciti Giuseppe Alfio, nato a Catanzaro 11.12.1986; Riccelli Francesco, nato a Catanzaro 29.6.1985; Rigillo Raffaele Daniele, nato a Catanzaro 29.2.1984; Romano Giuseppe, nato a Roma (Rm) 7.5.1977; Rosato Giuseppe, nato a Lamezia Terme (Cz) 28.3.1983; Rotella Giuseppe, nato a Catanzaro 1.9.1984; Rubino Antonio, nato a Lamezia Terme (Cz) 24.8.1982; Ruggiero Rosario Eros Alberto, nato a Catanzaro 10.12.1984; Saladino Francesco, nato a Lamezia Terme (Cz) 28.6.1983; Santoro Marco, nato a Catanzaro 13.6.1984; Scalzo Antonio, nato a Catanzaro 21.5.1985; Scumaci Vincenzo, nato a Catanzaro 29.10.1985; Sena Alessandro, nato a Lamezia Terme (Cz) 3.6.1987; Sena Eugenio, nato a Lamezia Terme (Cz) 31.5.1985; Silipo Francesco, nato a Soveria Mannelli (Cz) 27.5.1986; Sinopoli Mario, nato a Chur (Svizzera) 9.10.1982; Talarico Matteo, nato a Catanzaro 26.4.1982; Tavano Gioacchino, nato a Catanzaro 17.8.1985; Tavano Mario, nato a Catanzaro 1.10.1985; Tomaselli Vitaliano, nato a Catanzaro 20.8.1981; Torchia Antonio, nato a Catanzaro 25.4.1984; Trovato Giuseppe, nato a Catanzaro 26.2.1986; Veraldi Salvatore, nato a Catanzaro 21.10.1983; Vescio Angelo, nato a Soveria Mannelli (Cz) 14.8.1985; Viscomi Alessandro, nato a Catanzaro 21.5.1985; Viscomi Francesco, nato a Catanzaro 10.7.1978.
Ponte rustico sul fiume Sibari (da La Calabria - Editalia - Edizioni di Italia)
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Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di cosenza CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE - XXXI EDIZIONE Cosenza, 10.9.2007 - 19.10.2007
Un aspetto della sala
Una esercitazione L’immancabile foto ricordo
CONFERMATA LA RAPPRESENTANZA IN CONSIGLIO ALLE CIRCOSCRIZIONI DEL POLLINO-CASTROVILLARI E MEDIA VALLE CRATI-ACRI Il 27 ottobre, in prima convocazione, e il 3 novembre, in seconda, sono state indette le votazioni per la sostituzione di due componenti in seno al Consiglio dell’Ordine; uno per la dipartita del compianto Ninuccio Perrone di Fagnano Castello, decano della categoria, e l’altro per le dimissioni di Luciano Ramundo, eletto consigliere comunale di Castrovillari, rappresentanti delle rispettive zone di residenza. Il 3 novembre, in seconda convocazione, si sono regolarmente svolte, nella sede del Collegio, le votazioni che hanno visto candidati: per la zona Media Valle Crati-Acri, già rappresentata dal geometra Perrone, il collega Massimo Mollo di Malvito e per la zona Pollino-Castrovillari, già rappresentata dal geometra Ramundo, il geometra Rodolfo De Franco. Pure candidato era il geom. Antonio Aiello di Corigliano Calabro. Il risultato della votazione, poiché non si è raggiunto il quorum, ha portato al ballottaggio tra i colleghi: Antonio Aiello, Massirniliano Provenzano, Massimo Mollo, Rodolfo De Franco e altri 23 geometri votati nella tornata precedente. Il 10 novembre si sono svolte le votazioni di ballottaggio. Il seggio elettorale è stato presieduto dall’instancabile Presidente del Collegio, Dr. Geom. Giuseppe Caterini. Dopo un’intensa giornata di votazioni che ha registrato un notevole afflusso alle urne, la tornata elettorale si è conclusa col seguente risultato: totale votanti 259; Massimo Mollo, in rappresentanza della zona Media Valle Crati-Acri, voti 115; Rodolfo De Franco, in rappresentanza della zona Pollino-Castrovillari, voti 98. Buona affermazione hanno ottenuto Antonio Aiello di Corigliano e Massirniliano Provenzano di Cosenza, entrambi con 91 voti, specificando che il collega Provenzano, segretario provinciale del Sindacato Italiano Geometri, ha avuto voti spontanei, pur non avendo posto ufficialmente la candidatura per consentire la presenza in Consiglio delle zone che avevano perduto i rappresentanti. Buona è stata l’affluenza alle urne. Mai si era vista una presenza così massiccia e compatta della zona Pollino-Castrovillari. Che sia l’inizio di una svolta in quell’area? Staremo a vedere. Cogliamo l’occasione per ringraziare calorosamente il collega Provenzano, segretario provinciale del Sindacato, nonché tutti gli amici e colleghi intervenuti che hanno contribuito, con il loro appoggio e il loro voto, a far sì che fossero eletti i candidati delle zone a cui era venuta a mancare la rappresentanza. Rodolfo De Franco
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Attività di categoria
n. 3-4/ 2007
collegio di cosenza ISPEZIONE NEI CANTIERI EDILI ASP Regione Calabria Asl n. 1-2-3-4 Azienda Sanitaria Provinciale - Cosenza Dipartimento area prevenzione Paola
Cosenza, 14 novembre 2007
Al Collegio Prov. Geometri - Cosenza
Si porta a conoscenza alle SS.LL. che a seguito sopralluoghi effettuati dal personale ispettivo di questa A.S.P., è stato riscontrato in quasi tutti i cantieri ispezionati quanto segue: 1- Vengono redatti P.S.C, per quei lavori che non ricadono nell’applicazione dell’art.3, comma 3 D.Lgs. 494/96 e s.m. con danni economici a carico dei committenti; 2- Quando i lavori ricadono nell’applicazione di cui al punto 1, detti P.S.C, non rispecchiano la reale situazione dei cantieri dove l’opera dovrà realizzarsi; 3- Nel 90 % dei cantieri ai Coordinatori per l’esecuzione dei lavori viene contestato l’art. 5, lettra e) ed f ) del D.Lgs.494/96 e s.m.; 4- Ancora oggi i P.S.C, vengono trasmessi all’A.S.P.. Da quanto sopra esposto si invitano le SS.LL. a voler informare e sensibilizzare tutti i tecnici al fine di poter evitare quanto riscontrato fino ad oggi. Distinti saluti Il Resp. del Dip.di Prevenzione Pietro Borsani
COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA TASSE ISCRIZIONE ALBO, REGISTRO DEI PRATICANTI ED ELENCO SPECIALE ANNO 2008 La tassa d'iscrizione all'Albo, al Registro dei Praticanti e all'Elenco Speciale per l'anno 2008 è rimasta invariata rispetto all'anno precedente. L'importo è pari ad €. 150 con riduzioni a €. 140 per gli iscritti all'Albo dei Geometri e ad altri Albi, €. 130 per gli iscritti al solo Albo dei geometri, €. 110 per gli iscritti al solo Albo dei geometri con età inferiore a 25 anni. Tutti gli iscritti all'Albo dovranno, entro il 28 febbraio, far pervenire una dichiarazione sostitutiva redatta ex D.P.R. n. 445/2000 dalla quale si evinca il diritto ad una delle riduzioni sopra indicate. In caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale si applicherà all'iscritto la tassa nella misura massima. Per gli iscritti al Registro dei Praticanti l'importo è di €. 500 per il biennio con riduzione a €. 350 per gli iscritti di età inferiore a 25 anni. Per i praticanti è prescritto l'obbligo di frequentare il corso propedeutico agli esami di abilitazione organizzato dal Collegio. Per gli iscritti all'Elenco Speciale la tassa annuale è di €. 75 senza alcuna riduzione. Per tutti gli iscritti all'Albo, al Registro dei Praticanti e all'Elenco Speciale resta ferma la data del 28-29 febbraio quale termine di scadenza del pagamento, prevedendo la sanzione di €. 5 per ogni mese di ritardo. Decorso il termine del 31 dicembre dell'anno in corso si procederà nella prima riunione del Consiglio Direttivo alla sospensione per morosità con contestuale obbligo, per gli iscritti all'Albo, di restituzione del timbro professionale (di proprietà del Collegio) e con la comunicazione prescritta per legge del provvedimento con raccomandata A.R. a tutti gli Enti interessati. Si specifica che al fine d'ottenere la revoca l'iscritto dovrà sanare la propria morosità, oltre alle sanzioni maturate, e rimborsare le spese di comunicazione (a magistratura, autorità, comuni ed enti vari), ivi comprese quelle riguardanti la revoca del provvedimento per un importo di quasi €. 1.280. AGGIORNAMENTO DATI PERSONALI Per i necessari aggiornamenti tutti gli iscritti del Collegio sono obbligati per legge a far pervenire tempestivamente e comunque entro e non oltre 15 giorni dall'eventuale variazione - alla Segreteria ogni variazione dei dati personali (residenza, domicilio di studio, partita iva, codice fiscale, telefono, indirizzo e-mail ecc.) riportati nell'Albo e/o negli atti del Collegio nonché i settori professionali di specifica competenza, dichiarati con autocertificazione. La mancata comunicazione può comportare l'apertura di procedimento, segnatamente se il Collegio fornisce a richiesta di enti o privati dati non coerenti.
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Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di cosenza SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE “Relazione paesaggistica e certificazione energetica degli edifici Decentramento del catasto ai comuni e presentazione telematica atti di aggiornamento Cosenza, Aula Magna Liceo Scientifico G. Scorza 15 novembre 2007 Introduzione: Interventi Relatori
presidente Giuseppe Caterini Ing. Vincenzo Citriniti, direttore dell’Ufficio Prov. Ag. Territorio di Cosenza Ing. Valerio Da Pos, Resp. Tecn. Carline Software s.r.l. di Padova Dr. Geom. Antonio Grembiale, già Resp. Area Tecn. Uff. Reg. Ag. Del Territorio
Due aspetti della sala
Introduzione ai lavori di Giuseppe Caterini
La relazione di Valerio Da Pos
L’intervento di Vincenzo Citriniti
L’intervento di Antonio Grembiale
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Attività di categoria
n. 3-4/ 2007
collegio di cosenza ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA-SESSIONE 2007 Prima prova scrittografica Su un lotto di terreno di adeguate dimensioni si vuole costruire una villa bifamiliare con ingresso indipendente ed un ampio giardino. Il manufatto, i cui appartamenti non devono superare la superficie di 160 m2, devono essere costituiti da ingresso - salone, cucina, quattro camere da letto e adeguati servizi. In un piano semi-interrato dovrà essere previsto un garage per almeno due auto e una cantina. Il candidato, scelta una idonea scala di rappresentazione, esponga la sua proposta progettuale con due prospetti e una sezione significativa. Infine, il candidato completi il suo elaborato con una breve relazione illustrativa della metodologia di progetto adottata e aggiunga, in scala 1:20, due particolari costruttivi scelti tra: • particolare della copertura • particolare della muratura • impianto elettrico • computo metrico di una parte del manufatto __________ Tempo assegnato per lo svolgimento della prova: 8 ore Durante la prova è consentita soltanto la consultazione di manuali tecnici e l'uso di strumenti di calcolo non programmabili e non stampanti. Seconda prova scrittografica Nella periferia di una città è ubicato un vecchio complesso immobiliare ex rurale, in pessime condizioni di manutenzione, costituito da un fabbricato ad uso abitazione, da una stalla, da un magazzino e da un'ampia area di pertinenza. Dei fabbricati esistenti sono stati riscontrati i seguenti dati: - superficie coperta dai fabbricati: abitazione: 200 m2 (elevata su due piani fuori terra) ex stalla 360 m2 magazzino: 150 m2 La proprietà ha incaricato un tecnico di provvedere alla valutazione del complesso, calcolando la demolizione dell'esistente e procedendo poi alla divisione in due parti di ugual valore, tenendo presente che, il lotto su cui sorge il complesso, secondo il piano regolatore vigente, ricade in zona edificabile ad uso residenziale per la quale valgono i seguenti indici urbanistici: - indice di cubatura: 1,20 m3/m2 - indice di utilizzazione (o rapporto di copertura): 0,25 - altezza massima realizzabile: 7m Il tecnico ha proceduto al rilievo topografico del lotto per verificare la corrispondenza tra la superficie indicata negli atti catastali e la superficie reale. Esso è un quadrilatero di vertici A, B, C e D. Il rilievo ha permesso di calcolare le seguenti coordinate cartografiche planimetriche: XA= 67,10 m XB= 67,10 m XC= 152,70 m XD= 137,10 m YA= 95,40 m YB= 185,70 m YC= 185,70 m YD = 65,80 m II candidato, assumendo opportunamente tutti i dati ritenuti utili o necessari: 1. determini la superficie reale dell'area occupata dal complesso immobiliare e ne stimi il valore sul mercato locale; 2. proceda al frazionamento del terreno in due parti equivalenti; 3. indichi la procedura catastale necessaria per addivenire alla divisione del lotto __________ Durata massima della prova : 8 ore Durante la prova sono consentiti l'uso di strumenti di calcolo non programmabili e non stampanti e la consultazione di manuali tecnici e di raccolte di leggi non commentate.
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Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di cosenza ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA-SESSIONE 2007 ELECO DEGLI ABILITATI Commissione 135 N. 1 2
Candidato Apollaro Enrico Aurelio Angelo
Commissione 136 Luogo di nascita Mormanno Praia a Mare
Data Votazione di nascita compl. 9.4.1978 15.1.1985
N.
Candidato
Luogo di nascita
Data Votazione di nascita compl.
76/100
1
Madeo Tiziana
Rossano
22.1.1985
85/100
61/100
2
Manna Fiorina
Cosenza
13.1.1985
60/100
3
Mantuano Nicola
Fuscaldo
4.2.1974
66/100
4
Marasco Francesco
Crotone
11.10.1985
68/100
5
Marino Francesco
Belvedere M.
24.8.1983
60/100
3
Barletta Giovanni
Cosenza
7.11.1985
73/100
4
Barone Angela
Castrovillari
11.7.1985
63/100
5
Berni Fabio
Castrovillari
1.7.1985
77/100
6
Mazzei Domenico
Castrovillari
25.1.1985
64/100
6
Bianco Ernesto
Belvedere M.
9.8.1981
66/100
7
Mirto Ignazio
Praia a Mare
13.10.1980
60/100
7
Bruni Giuseppe
Cosenza
22.11.1980
66/100
8
Muraca Santo
Bianchi
3.5.1970
66/100
8
Bruno Francesco
Cosenza
23.8.1967
63/100
9
Muzzillo Tiziana
Paola
2.9.1985
65/100
9
Brusca Giovanni
Cetraro
20.5.1980
63/100
10
Novellis Giovanni
Rossano
10.3.1986
61/100
11
Pace Antonio
Stigliano (Mt)
14.4.1986
60/100
10
Cannata Biagio
Cosenza
19.3.1964
69/100
12
Paradiso Carmine
Paola
30.12.1985
61/100
11
Casella Luca F.
Belvedere M.
5.5.1975
71/100
13
Pascuzzo Sandro
Rogliano
16.1.1986
80/100
12
Cofone Antonio
Acri
8.6.1981
60/100
14
Perri Marco
Cosenza
12.3.1984
71/100
13
Cofone Pasquale
Corigliano C.
6.3.1985
66/100
15
Perri Salvatore
Cosenza
8.2.1973
61/100
62/100
16
Provenzano Francesco
Cosenza
17.2.1984
74/100
17
Quintieri Enrico
Cosenza
18.4.1985
62/100
18
Ricchio Alfredo
Cosenza
9.2.1979
65/100
19
Ritondale Giovanni
Praia a Mare
7.9.1981
70/100
14
Covello Raffaele
Acri
6.7.1979
15
Crivella Vera F.
Belvedere M.
4.6.1985
66/100
16
Crusco Francesco
Praia a Mare
14.9.1983
64/100
17
De Marco Giovanni
Cariati
18.3.1980
60/100
20
Rizzo Cristian
Paola
19.2.1983
62/100
18
De Marco Pierluigi
Rossano
4.7.1985
65/100
21
Romio Pasquale
Corigliano C.
4.11.1986
61/100
19
Durante Luciano
Corigliano C.
13.12.1982
66/100
22
Salatino Giorgio
Cosenza
9.5.1987
75/100
20
Elia Luigi
Cosenza
13.5.1983
71/100
23
Salerno Francesco
Cosenza
27.6.1986
61/100
24
Salerno Rossella
Cosenza
19.10.1984
65/100
25
Salituro Antonio
Cosenza
18.9.1986
61/100
26
Salvati Leo
Saracena
18.3.1981
67/100
21
Feraco Francesco
Acri
11.8.1986
68/100
22
Filazzola Giuseppe
Albidona
1.6.1969
85/100
23
Filippelli Rosario
Cosenza
28.2.1977
64/100
27
Sansone Francesco
Cosenza
5.12.1983
84/100
24
Forlano Simone
Cosenza
19.10.1984
70/100
28
Sapiente Gianluigi
Corigliano C.
23.3.1984
65/100
25
Fortunato Luciano
Praia a Mare
27.12.1983
60/100
29
Saporiti Gaetano
Belvedere M.
13.4.1978
61/100
26
Fragomeli Danilo
Cosenza
20.10.1985
60/100
30
Sicilia Rocco
Cosenza
20.4.1979
79/100
31
Signorelli Vincenzo
Cosenza
12.4.1984
63/100
32
Simerano Francesco
Cosenza
25.5.1978
61/100
33
Simonetti Emanuele
Ciriè (To)
27.1.1978
73/100
27
Gencarelli Marisa
Corigliano C.
9.1.1968
71/100
28
Guzzo Gianpiero
Cassano J.
25.9.1986
61/100
29
Iannibelli Marco
Castrovillari
6.4.1986
69/100
34
Spaccarotella Piero
Cetraro
16.3.1984
66/100
30
Iannuzzo Antonio
Cetraro
8.12.1979
66/100
35
Spezzano Vincenzo
Acri
29.8.1985
68/100
31
Iazzolino Antonio
Sulmona
27.2.1981
64/100
36
Spina Ivan
Acri
25.9.1985
67/100
37
Spina Michele
Cosenza
24.12.1984
63/100
38
Spinelli Gianluca
Cassano J.
7.7.1974
76/100
39
Sprovieri Angelo
Cosenza
18.8.1985
63/100
32
Infantino Salvatore
Cosenza
5.6.1983
66/100
33
Infusino Paolo
Cosenza
17.9.1986
69/100
34
La Cattiva Caterina
Castrovillari
10.6.1977
67/100
40
Vaccaro Giancarlo
Salerno
16.2.1969
67/100
35
Lesci Roberto
Schio (Vc)
11.12.1982
60/100
41
Viola Francesca
Lungro
9.3.1984
69/100
Cosenza 4.12.2007
Cosenza 4.12.2007
AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Salvatore Altomari nato a Acri il 15.01.1983, residente a Acri, alla Via Europa n. 202, Albo n. 2782 Cosimo Arnone nato a Corigliano Calabro il 2.02.1981, residente in Corigliano Calabro alla Via Lago di varano n. 13, Albo n. 2778 Francesco Beltrano nato a Crotone il 2.09.1978, residente in San Giovanni in Fiore alla Via delle magnolie n.78, Albo n. 2788 Salvatore Caruso nato a Cosenza il 5.07.1980, residente a Mendicino alla Via Esperia n. 4, Albo n. 2784 Luca Oscar Cofone nato a Cosenza il 22.909.1977, residente a Acri alla Via grazia de Deledda n. 37, Albo n. 2789 Antonio Cosenza nato a Cariati il 25.09.1980, residente a Rossano alla Via Messina n. 17, Albo n. 2785 Gianfranco Covelli nato a Torino l’11.05.1983, residente a San Lucido alla Strada Provinciale n. 132, Albo n. 2781 Fabio Mezzotero nato a Cariati il 26.8.1982, residente a Corigliano Calabro alla Via Nazionale n. 174, Albo n. 2783
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Attività di categoria
n. 3-4/ 2007
collegio di cosenza Giuseppe Pasqua nato a Cosenza il 20.09.1982, residente a Carolei alla Via Calabria n. 44, Albo n. 2787 Giuseppe Salemme nato a Belvedere Marittimo il 4.08.1978, residente a Grisolia alla Via Vico IV Piantata n. 19, Albo n. 2777 Valentino Santoro nato a Paola il 20.01.1983, residente a Paola alla Via Mercurion n.6, Albo n. 2799 Antonello Siro nato a Paola il 20.01.1982, residente a Paola alla Via Della sila n. 19, Albo n. 2780 Annotazioni: Dottori geometri laureati in Scienze geo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie Francesco Caroprese (Albo n. 2073); Giovanni Dramisino (Albo n. 1789); Giuseppe Filice (Albo n. 2097); Roberto Infusino (Albo n. 1852); Antonio Pagliaro (Albo n. 2503); Roberto Renzo (Albo n. 2149); Carmine Rizzuto (Albo n. 1924). Iscrizioni sezione non esercenti la professione (privi di timbro, tesserino, partita iva e immatricolazione Cassa) Domenico Femia nato a Cosenza l’8.06.1965, residente a Appigliano al Rione san Leonardo n.6, Albo n. 2342 Pietro La Vitola nato a Villapiana il 2.11.1973, residente a Villapiana alla Via roma n. 51, Albo n. 2743 Marco Massaro nato Castrovillari il 20.06.1985, residente a Civita alla C.da Valle dei giudei n.2, Albo n. 2762 Iscrizioni Elenco speciale dipendenti enti pubblici e privatizzati Geom. Luigi Formichella nato a Montegiordano il 18.7.1954 ed ivi residente alla C.da Secolare n.9, Albo E/S n. 112 Cancellazioni Vittorio Bitonti, Ninuccio Perrone, Stefano Emilio Tocci.
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Gennaro Armentano nato a Policoro (MT) il 19.04.1986, residente a Canna alla Via A. Da Brescia n. 127, Reg.Prat. n. 2485 Dario Bruno nato a Praia a Mare il 24.12.1986, residente a Tortora alla Via Martin Luter King n. 13, Reg. Prat. n. 2484 Salvatore Di Paolo nato a Ivrea (TO) il 12.10.1976, residente a Scalea alla Via Magna Grecia n. 25, Reg. Prat. n. 2483 Giovanni Fabiano nato a Cosenza il 28.01.1988, residente a Cosenza alla Via Sabotino n. 40, Reg. Prat. n. 2487 Leonardo Filippelli nato a Cariati il 28.08.1982, residente a Mandatoriccio alla Via Nazionale n. 204, Reg. Prat. n. 2479 Francesco Gianpietro nato a Stigliano (MT) il 15.07.1985 residente a Trebisacce alla Via T. Campanella n.2, Reg. Prat. n. 2476 Danilo Iorio Gnisci nato a Paola il 28.03.1986, residente a Falconara Albanese alla Via Paradiso n. 9, Reg. Prat. n. 2480 Antonio Pellegrino nato a Acri il 2.09.1984, residente a Acri alla C.da Croce Don Paolo n.136/1, Reg. Prat. n. 2477 Anna Lucy Pisa nata a Cosenza l’8.07.1988, residente a Luzzi alla Via Caruso n. 80, Reg. Prat. n. 2486 Simone Pulice nato a Cosenza il 17.09.1986, residente a Amantea alla Via Veneto- Campora- n. 32 , reg. Prat. n. 2481 Nicola Regina nato a Cosenza il 4.07.1986, residente a Mormanno alla Via Torretta n.46, Reg. Prat. n. 2478 Enzo Rizzuto nato a Aprigliano l’1.01.1975, residente a Cosenza alla Via della Riforma n.3, Reg. Prat. n. 2482 Cancellazioni Enrico Apollaro, Giovanni Barletta, Fabio Berni, Giuseppe Bruni, Francesco Bruno, Pasquale Cofone, Vera Crivella, Luigi Elia, Luciano Fortunato, Antonio Grieco, Francesco Loria, Francesco S. Provenzano, Consuelo Ranalli, Giorgio Salatino, Antonio Salituro, Vincenzo Spezzano, Angelo Sproviero, Emanuele Zucco. U GRADE AMICO CI HA LASCIATO ... Arrivederci Ninuccio. Un grande amico ci ha lasciato. Ogni morte porta con sè un grande dolore, ma alcune lasciano troppi perché, troppe domande senza risposta ... Purtroppo ormai non è più importante, non ci saranno risposte. Ciò che conta è quello che Ninuccio ha lasciato in tutti quelli che lo hanno conosciuto ed il suo ricordo continua a farlo vivere in noi. So che non avrebbe voluto vederci tristi, anche se è difficile non esserlo, ma il modo migliore di ricordarlo è far tesoro della sua grande serietà, e della sua infinita generosità. Il grande rapporto umano prima, e professionale poi, che ci univa da lungo tempo, quando io giovane tirocinante presso il suo studio, nel lontano 1985, lo conobbi, fu per me molto importante e maestro di vita, per il prosieguo e l’affermazione nella mia professione. Dopo la sua dipartita il destino ha voluto che fossi proprio io a continuare la sua azione nel Consiglio provinciale del Collegio dei Geometri di Cosenza, nella speranza di poter espletare con professionalità, onestà e trasparenza, il mandato affidatomi, come peraltro aveva fatto per molti anni il caro Ninuccio. Ciao, caro indimenticabile Ninuccio. La tua vita continua, in un’altra dimensione per te e nel tuo ricordo per noi. Massimo Mollo
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Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di crotone AGGIORNAMENTO ALBO PROFESSIONALE Iscrizioni Carmela Mercuri, nata a Crotone il 14.3.1973; Antonio Stasi, nato a Crotone il 7.8.1984; Francesco Garofalo, nato a Atessa il 1.11.1980; Nicola Palombella, nato a Crotone il 10.9.1984; Francesco Simonetti, nato a Crotone il 15.7.1974; Domenico Anania, nato a Cariati il 9.7.1978; Andrea Bellizzi, nato a Crotone, il 4.1.1980. Reiscrizione Albo Vincenzo Lamazza nato a Cirò Marina il 1.2.1943; Cancellazioni Albo : Giuseppe Fico, timbro n. 231; Frontera Salvatore , timbro n. 222; Trasferimenti dal Collegio di Pistoia Antonio Garrubba
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Antonio Megna, Antonio Ferrazzo, Salvatore Rizzo, Francesco Iembo, Francesco Caterisano, Lorenzo Mazza, Antonio Luca Pizzimenti, Domenico Francesco Aiello, Gabriele Camposano, Salvatore Lopresti, Francesco Mauro, Martino Tarasi e Umberto Taschera.
SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, (D.P.C.M. 12 dicembre 2005 e D.Lvo 157/2006) Crotone 25 maggio 2007 L’incontro , realizzato in collaborazione con l’Ordine degli Architetti e la Provincia di Crotone , dopo il saluto dell’Assessore all’ambiente della Provincia di Crotone, Claudio Liotti, il quale ha rimarcato il ruolo dell’Ente e la capacità di trasformare in atti gli obblighi di legge attraverso le funzioni svolte dall’ufficio ambiente anche in considerazione della vastità delle aree di interesse naturalistico ed ambientale della provincia di Crotone; del Presidente del Collegio Gennaro Bagnato e del Presidente del Comitato Regionale Geometri Giuseppe Caterini , il quale ha rimarcato l’importanza del corso universitario per la figura del geometra libero professionista ; tra gli altri sono intervenuti i colleghi geometri G. Del Sole e U. Gagliardi per la Soprintendenza B.A.P. Calabria , i quali hanno relazionato sul tema in argomento entrando nello specifico della progettazione per i beni culturali e per gli interventi in aree di interesse paesaggistico. Il collega Anselmo Papaleo nel considerare il tema del convegno ha sottoposto alla platea alcune soluzioni progettuali impostate secondo i dettami del DPCM del 12 dicembre 2005 . A tal proposito si allega file del fotomontaggio inerente la sistemazione di un pendio in frana lungo la costa Jonica , ricadente nella fascia di riserva marina protetta , posta in Isola C.R. Sono inoltre intervenuti, con argomenti di particolare interesse, l’Arch. A. Tricoli – Dirigente Settore Ambiente della Provincia di KR – e l’Arch. Giuseppe Macheda – Presidente dell’Ordine degli Architetti di Crotone il quale ha evidenziato la difficoltà per i professionisti di redigere i progetti secondo le previsioni di legge e, a tal proposito, ha sottolineato l’impegno dei Geometri e degli Architetti di Crotone attraverso l’istituzione di un regolamento presso l’ente Provincia la quale si è impegnata alla approvazione nelle sedi istituzionali.
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n. 3-4/ 2007
collegio di crotone CORSO DI AGGIORNAMENTO PER PRATICANTI “Responsabilità civili e penali dei geometri liberi professionisti” Crotone, sede Collegio 1, 8, 15 e 22 giugno 2007 Introduzioe:
Geom. Walterino Rizzo (Consigliere Collegio)
Relatori:
D.ssa Giulia Proto - Giudice della presso il Tribunale di Crotone; Avvocato Pasquale icoletta del Foro di Crotone; Geom. Anselmo Papaleo (Consigliere Collegio)
Due aspetti della sala
Da sin.: Leonardo Ammerata, Anselmo Papaleo, Pasquale Nicoletta.
SOTTOSCRIZIONE PROTOCOLLO DI INTESA PER COSTITUZIONE CENTRO ELABORAZIONE BANDI (CEB) Crotone, Prefettura 18 luglio 2007 Sottoscrittori:
Dott. Sergio Iritale in rappresentanza dell’Amministrazione Provinciale di Crotone; Presidenti deli Ordini deglii Architetti, Geometri ed Ingegneri;
Hanno partecipato:
Enrico Rispoli, per il Consiglio Nazionale Geometri; Giuseppe Caterini, Presidente del Comitato Regionale Geometri di Calabria; W. Rizzo, A. Papaleo e M. Castagnino, Consiglieri Collegio.
Tavolo concertazione Prefettura
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Da des.: G. Caterini, U. Gagliardi, G. Del Sole e G. Bagnato
Da des.: G. Bagnato e G. Macheda
Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di crotone ESAMI DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA LIBERA PROFESSIONE DI GEOMETRA Sessione 2007 ELECO DEGLI ABILITATI Arabia Antonio Salvatore, Barillari Giuseppe, Battigaglia Carmine, Bonofiglio Cesare, Brugnano Domenico, Caccia Emilio, Cirillo Mario, Cosco Antonio, Della Rovere Valentina, Diletto Pasquale, Drammis Luigi Umberto, Falbo Giuseppe, Falcone Ottavio, Fazzolari Andrea, Garofalo Pietro Antonio, Garrubba Giovanni, Genovese Emanuele, Gerace Michele, Ierardi Giovanni, Iritale Sergio, Lautieri Giuseppe Francesco, Lerose Michele, Liotta Francesco, Lonetto Carmine, Lopez Francesca, Lorenzano Salvatore, Macrì Marco, Mano Giuseppe, Marinello Maria, Masdea Luigi, Megna Pantaleone Salvatore, Mendicino Pier Francesco, Mesoraca Gennaro, Migale Pietro, Modeo Raffaele, Murano Francesco, ocita Andrea, unziante Mario, Pavone Domenico, Pedace Francesco, Pisano Saverio, Prinetti Tommaso Roberto, Rotondo Salvatore, Russo Francesco Luigi, Scaramuzza Saverio, Scarfò Stefano, Sestito Raffaele, Tigano Pierpaolo, Torchia Federico, Trocino Carmine, Villani Luca, Virelli Giancarlo
Crotone, 10.10.2007 Al Presidente del Comitato Regionale Calabria Geom. Giuseppe CATERII -Cosenza Al Presidente del Comitato Regionale Sicilia Geom. Benito GRADE - Siracusa A tutti i Presidenti dei Collegi di Calabria , Sicilia e Basilicata Ai Presidenti dei Collegi di Brindisi e Foggia Cari colleghi, invio la presente all’indomani delle votazioni per il rinnovo del CNG ed a seguito di una attenta valutazione condotta all’interno del consiglio che mi onoro di presiedere. Giova, inoltre, ricordare che durante la fase elettorale ho assunto una posizione di forte preoccupazione per le sorti dei Collegi del sud e che ho manifestato in tutte le occasioni. Alla luce dei risultati è necessaria una riflessione sul dato elettorale specie nelle regioni di Calabria, Sicilia e Basilicata che, complessivamente, raggruppano sedici capoluoghi di Provincia. Pertanto, sottopongo la presente per proporvi, nel più breve tempo possibile, un incontro presso il Collegio di Crotone, in cui saranno dibattuti i possibili scenari, a seguito della composizione del nuovo C.N.G,. e le proposte operative che individuino programmi e uomini per gli anni futuri, che consentano di superare le storiche ed infruttifere divisioni tra i Collegi del sud e favoriscano il conseguimento di una più ampia rappresentatività geografica. Confidando nella Vostra sensibilità, certo del vostro impegno per le sorti della nostra categoria e restando in attesa di operativo riscontro. Cordialmente. Il Presidente geom. Gennaro Bagnato
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Attività di categoria
n. 3-4/ 2007
collegio di vibo valentia INIZIATIVE E RIUNIONI giugno 2007 22 Seduta Consiliare. luglio 20
Seduta Consiliare
agosto 6 Chiusura Uffici del Collegio Provinciale Geometri di Vibo Valentia per ferie estive. 27 Riapertura Uffici del Collegio Provinciale Geometri di Vibo Valentia. settembre 3 1° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 7 2° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 11 3° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 14 4° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 18 5° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 21 6° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 25 7° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 28 8° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. ottobre 2 Seduta Consiliare. 9° Incontro Corso di preparazione agli Esami di abilitazione per l’anno 2007 integrativo al biennio di tirocinio. 5 10 ore 10.30: presso la sala riunioni della Camera di Commercio di Vibo Valentia, Presentazione del Rapporto “L’affidabilità delle imprese della provincia di Vibo Valentia” e il Seminario “Basilea 2 - il nuovo approccio banca-impresa”. 15 ore 9.30: Corso di formazione sulla Certificazione energetica degli edifici presso la sede del Collegio dei Geometri di Vibo Valentia. novembre 8 Seduta Consiliare. 14 ore 16.00: Convegno “Vivere con Mapei in una casa confortevole – 70 anni di soluzioni tecnologiche all’avanguardia per il benessere in edilizia” presso la sala azzurra dell’Hotel 501 di Vibo Valentia. 19 ore 15.00: 1° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A. 22 ore 15.00: 2° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A. 30 ore 16.00: Seminario Tecnico organizzato dall’Azienda Brianza Plastica spa sull’Efficienza energetica del tetto a falde “Il sistema Isotec” come da D.lgs 311/06 e l’Introduzione alle energie alternative “Il sistema Elettrotegola” presso l’Hotel 501 di Vibo Valentia. dicembre 3 ore 15.00: 3° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A. 6 ore 16.00: Incontro organizzato dall’Ance e Confindustria di Vibo Valentia su Sistemi di riscaldamento e raffrescamento a pavimento e sistemi di scarico insonorizzati presso l’Hotel Cala del Porto di Vibo Valentia Marina. 11 ore 15.00: 4° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A. 13 ore 15.00: 5° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A. 14 ore 15.00: 6° incontro Corso di Formazione sulla Sicurezza per Responsabile Servizio Protezione e Prevenzione (RSPP) previsti dal D.Lgs 626/94 - Modulo A.
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Attività di categoria
n. 3-4/2007
collegio di vibo valentia AGGIORNAMENTO ALBO Cancellazioni per dimissioni Teodoro Bartucca nato a Lamezia Terme (VV) il 4.9.1980, residente in Filadelfia, Albo N° 346, decorrenza 31.5.2007; Michele Malvaso nato a Dinami (VV) il 27.2.1972, residente in Dinami, Albo N° 238, decorrenza 22.6.2007. Riammissione all’elenco speciale Geom. Achille Giovanni Sganga nato a Caracas (Venezuela) il 13.10.1962, residente in Vibo Valentia, E.S. N° 004, decorrenza 8.11.07.
AGGIORNAMENTO REGISTRO PRATICANTI Iscrizioni Raffaele, Arcangelo Mercatante nato a Vibo Valentia il 10.2.1988, residente in S.Costantino Calabro, decorrenza 19.7.2007; Luisa Stenta nata a Napoli il 19.8.1975, residente in Drapia, decorrenza 31.8.2007; Michele Baldo nato a Vibo Valentia il 30.1.1979, residente in Rombiolo fraz. Pernocari, decorrenza 3.9.2007; Giulio Amato nato a Catanzaro il 17.5.1983, residente in Serra San Bruno, decorrenza 7.9.2007; Antonio Mangiardi nato a Vibo Valentia il 13.4.1981, residente in Spadola, decorrenza 7.9.2007; Francesco Fiamingo nato a Gioia Tauro (RC) il 27.2.1988, residente in Spilinga, decorrenza 11.9.2007; Pierluigi Russo nato a Tropea il 26.6.1988, residente in Ricadi fraz. Brivadi, decorrenza 13.9.2007; Smeraldo Messina nato a Vibo Valentia il 19.3.1960, residente in Vibo Valentia, decorrenza 20.9.2007; Tiziana Loiacono nata a Serra San Bruno (VV) il 22.9.1988, residente in Serra San Bruno, decorrenza 24.10.2007; Domenico Bruno Scrivo nato a Serra San Bruno (VV) il 2.10.1988, residente in Serra San Bruno, decorrenza 24.9.2007; Carmela Andreacchi nata a Serra San Bruno (VV) il 27.12.1988, residente in Serra San Bruno, decorrenza 26.9.2007; Domenico Preiti nato a Vibo Valentia il 8.12.1988, residente in San Calogero, decorrenza 27.9.2007; Francesco Castagna nato a Tropea (VV) il 14.7.1988, residente in Filandari, decorrenza 27.9.2007; Marisa Francica nato a Vibo Valentia il 17.11.1972, residente in Ferrara, decorrenza 28.9.2007; Bruno Contabile nato a Serra San Bruno (VV) il 29.12.1988, residente in Brognaturo, decorrenza 28.9.2007; Pompeo Tassone nato a Chiaravalle Centrale (CZ) il 24.11.1988, residente in Mongiana, decorrenza 8.10.2007; Filippo Bartolomeo nato a Nicotera (VV) il 17.4.1963, residente in Nicotera, decorrenza 9.10.2007; Pasquale Ruffa nato a Vibo Valentia il 13.12.1985, residente in Vibo Valentia, decorrenza 9.10.2007; Giuseppe Calabretta nato a Serra San Bruno (VV) il 18.12.1985, residente in Serra San Bruno, decorrenza 9.10.2007; Francesco Manduca nato a S.Nicola da Crissa (VV) il 28.11.1988, residente in S.Nicola da Crissa, decorrenza 15.10.2007; Ignazio Vittorio Battaglia nato a Vibo Valentia il 30.6.1983, residente in Joppolo, decorrenza 15.10.2007; Filippo atale nato a Vibo Valentia il 18.5.1987, residente in Acquaro, decorrenza 15.10.2007; Giuseppe Pugliese nato a Vibo Valentia il 25.8.1987, residente in Cessaniti, decorrenza 15.10.2007; Onofrio Arcella nato a Tropea (VV) il 22.10.1982, residente in S.Onofrio, decorrenza 15.10.2007; Rocco Morabito nato a Vibo Valentia il 19.11.1988, residente in San Calogero, decorrenza 15.10.2007; Domenico Criniti nato a Soriano Calabro (VV) il 5.4.1988, residente in Soriano Calabro, decorrenza 15.10.2007; Francesco Saragò nato a Vibo Valentia il 12.3.1986, residente in Cessaniti, decorrenza 15.10.2007; Giuseppe Mancuso nato a Vibo Valentia il 7.11.1983, residente in Limbadi, decorrenza 17.10.2007; Giovanni Rachele nato a Cinquefrondi (RC) il 25.4.1982, residente in S.Pietro di Caridà, decorrenza 19.10.2007; Paolo Scolieri nato a Vibo Valentia il 26.8.1988, residente in Maierato, decorrenza 19.10.2007; Roberto La Gamba nato a Vibo Valentia il 9.9.1983, residente in Vibo Valentia, decorrenza 19.10.2007; Gino Galloro nato a Torino il 21.6.1974, residente in Vallelonga, decorrenza 22.10.2007; Andrea Barbieri nato a Sesto San Giovanni (MI) il 2.5.1981, residente in San Calogero, decorrenza 23.10.2007; Daniele Macrì nato a Tropea (VV) il 2.11.1985, residente in Arcavacata di Rende (CS), decorrenza 24.10.2007; Luigi Antonio Monteleone nato a Vibo Valentia il 19.4.1968, residente in S.Costantino Calabro, decorrenza 24.10.2007; Giovanni Parise nato a Chiaravalle Centrale (CZ) il 22.1.1986, residente in Spadola, decorrenza 23.10.2007; Ivan Giuseppe Varone nato a Vibo Valentia il 23.1.1989, residente in San Calogero, decorrenza 25.10.2007. Attività tecnica subordinata Andrea Orazio Rocco Pugliese nato a Vibo Valentia il 17.9.1965, residente in Praia a Mare (CS), decorrenza 9.10.2007; Nicola Pugliese nato a Cuneo (CN) il 27.5.1973, residente in Zungri, decorrenza 23.10.2007. Cancellazioni e dimissioni Fortunato Rombolà nato a Cinquefrondi (RC) il 20.7.1987, residente a Mileto, decorrenza 30.4.2007; Francesco Fogliaro nato a Cinquefrondi (RC) il 6.01.1987, residente a Mileto, decorrenza 2.10.2007.
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Catasto e topografia
n. 3-4/ 2007
LA PROGETTAZIONE DEL RILIEVO Informatica a servizio della professione di Vincenzo Ragone Premessa Il progresso tecnologico arricchisce quotidianamente gli strumenti a disposizione del geometra per lo svolgimento delle sue attività professionali. Aggiornamento e formazione, che a breve saranno obbligatori anche per la nostra categoria, più che “semplici obblighi di legge” rappresenteranno una condizione necessaria per lo svolgimento della professione. Presto non sarà sufficiente possedere solo attitudini, conoscenze e metodologie procedurali ma, ai classici strumenti di un tempo, pur validissimi, bisognerà affiancarne altri sempre più sofisticati. Desktop, palmari, gps e reti informatiche stanno radicalmente cambiando il nostro modo di lavorare. Ma bisogna prestare attenzione, il corretto utilizzo delle tecnologie richiede padronanza della materia trattata, un polimorfismo culturale di non immediata acquisizione e una certa dose di modestia e capacità di riconoscere i propri limiti. Oggi, più che mai, il professionista si ritrova a fronteggiare condizionamenti mediatici pericolosi tendenti a disorientare e far perdere tempo e denaro. La martellante pubblicità di alcuni software spesso trasforma in speculazione novità legislative, procedure obbligatorie e semplici operazioni di routine. Qualche esempio? È sufficiente una rapida occhiata su internet : quanti siti propinano miracolosi software che promettono di redigere impeccabili piani di sicurezza con pochi click di mouse o peggio ancora di ripristinare confini avvalendosi di coordinate tirate fuori da mappe casalinghe rasterizzate al volo? E poi, quanti produttori di software hanno costruito la loro fortuna puntando su qualche astrusa complicazione introdotta da pre.geo? Vent’anni dopo la sua introduzione e centinaia di programmatori che ci hanno lavorano quotidianamente non sono bastati a semplificare la procedura producendo un software che utilizzi standard che non siano tali solo per l’Agenzia del Territorio? Attenzione dunque a quanti vogliano farci credere che un programma possa sostituire l’esperienza di un professionista nel pensare, scrivere e far capire ad un operaio i rischi connessi alle lavorazioni su un cantiere edile o stabilire un confine tirando fuori solo coordinate, ignorando che la mappa non è il territorio ma una sua rappresentazione. Voglio con queste mie personali considerazioni, stimolare i colleghi ad una più attenta valutazione circa l’utilità di alcuni software in commercio ed invitare chi di dovere a intervenire a supporto del perfezionamento di programmi ministeriali, che siamo obbligati ad utilizzare per la stesura e la presentazione degli atti catasti. Tecnologia ed informatica possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio, vanno utilizzate con cautela, devono essere accompagnate da un costante aggiornamento professionale e da un coscienzioso spirito critico. Rappresentano, dunque, un ausilio alla professione da cui senza adeguata preparazione non se ne trae beneficio, ma si rimane vittima di banali speculazioni economiche. La progettazione del rilievo Negli ultimi tempi, sull’onda della “novità”, sono comparse
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su internet costose applicazioni gps che installate su computer palmari consentono di navigare sulla mappa e raggiungere punti fiduciali, al pari di ristoranti e pizzerie seminate per il mondo. Sicuramente valide per lo scopo prefisso, ma non rappresentano certo una novità ed in taluni casi si tratta dell’ennesimo tentativo di speculazione. Al medesimo scopo si poteva arrivare già diversi anni fa anni semplicemente avvalendosi di un software shareware reperibile su internet e tutt’ora valido : oziexplorer. Personalmente credo molto nella reciproca collaborazione e nello scambio di esperienze tese a migliorare l’efficienza e l’immagine della nostra categoria senza fini di lucro. Pertanto, forte di questa convinzione, incoraggiato e motivato dal Presidente e dai consiglieri del Collegio di Potenza, nell’ottica di offrire ai colleghi della mia provincia un supporto sperimentale in ausilio alla progettazione in studio del rilievo topografico, ho implementato una semplice procedura finalizzata a supportare l’impostazione del rilievo, esplorando virtualmente l’area in cui ricade l’oggetto da rilevare ed individuando i punti fiduciali tramite il motore di google earth, nota applicazione web che gratuitamente rende possibile visualizzare foto aeree di buona parte del territorio nazionale. Tale procedura, on line da marzo di quest’anno è di libero e semplice utilizzo. Per saggiarne l’utilità e le potenzialità è sufficiente visitare il sito del Collegio di Potenza all’indirizzo www.geometri.potenza.it nelle sezioni dedicate alla ricerca ed alla navigazione dei punti fiduciali. Supponiamo di dover eseguire un rilievo catastale su un territorio poco conosciuto. Ricercare un punto fiduciale sulla base della mappa e, quando se ne dispone, della semplice monografia aiuta sicuramente, ma comporta perdite di tempo non trascurabili. Certo normalmente il tecnico locale non incontra grosse difficoltà, ma per un tecnico estraneo ai luoghi o poco pratico del posto l’impresa potrebbe risultare molto impegnativa. Da questa banale e altruistica considerazione è partita l’idea di offrire un servizio volto a facilitare il lavoro ai colleghi che si trovano in siffatta situazione. Attraverso una interfaccia che non necessita di alcuna spiegazione, semplicemente inserendo comune, foglio e numero di punto fiduciale, si ottiene la foto aerea della zona cercata ed un segnapunto che individua l’intorno in cui ricade il pf selezionato. Per mezzo di pochi pulsanti è possibile ingrandire l’area, spostare la foto e seguire le strade che conducono nei pressi del punto sfiduciale, stampandone infine i risultati. Dalle immagini riportate (vedi immagini 1, 2, 3) si può avere un saggio dei diversi livelli di dettaglio ottenibili. Certo non basta per decidere dove posizionare le stazioni e come raggiungere comodamente i punti da rilevare, farebbe comodo una ricostruzione virtuale dei luoghi … L’esplorazione virtuale dell’area in cui si andrà ad effettuare il rilievo è possibile e richiede solo qualche passaggio in più. Individuati sulla mappa i punti fiduciali che materializzano il triangolo interessato dal rilievo, si accede alla pagina del generatore google earth e tramite il pulsante “modifica” se ne inseriscono fino a un massimo di 12 (vedi immagne 4)
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Fig. 1
Fig. 4
Fig. 2
Fig. 5
Fig. 3
A fine inserimento, cliccando sul pulsante “genera file kml”, si otterrà un file che aperto avvia automaticamente il programma google earth e visualizza i segnaposto dei pf. Da questa schermata è possibile aggiungere linee, testi e visualizzare il territorio in 3 dimensioni (vedi immagine 5) al fine di posizionare virtualmente le stazioni, scegliere i percorsi più veloci per raggiungere i punti da rilevare ecc.
Ma non finisce qui. Il file generato da questa procedura può essere utilizzato direttamente dai più comuni navigatori per essere guidati automaticamente nei pressi dell’area interessata. A tal proposito se il punto ricade in zona vicina ad una strada, va bene un navigatore stradale tipo tomtom, se invece il punto ricade in un bosco o in area di campagna, lontano da strade riportate nella cartografia caricata nel navigatore, suggerisco di utilizzare un ricevitore nautico: difatti tali apparecchi, oltre ad essere più economici, non sono influenzati dagli algoritmi che ragguagliano i segnali ricevuti dai satelliti ai vettori cartografici memorizzati. Siffatti algoritmi, spesso, conducono anche a centinaia di metri di distanza dal punto ricercato. Al momento la procedura consente di lavorare sperimentalmente solo sui pf della provincia di Potenza, la molteplicità delle origini dei sistemi catastali e l’elevato numero di punti rende molto difficoltosa la formazione di un archivio più vasto, tuttavia, se l’idea viene ritenuta valida da altri Collegi, sono disponibile a collaborare per estendere il servizio ad altre province, anticipando la solita software house che, emulando l’iniziativa, quasi certamente tenterà di innescare il consueto tentativo di speculazione. Raggiungere un pf con un navigatore non rappresenta certo una novità, del resto lo scopo del mio lavoro non è stato “brevettare la scoperta dell’acqua calda ”, ma “ organizzare un servizio accessibile da tutti i colleghi”, gratuitamente e senza fini di lucro mettendo a frutto conoscenze che da sole non dicono molto, ma unite a quella di altri, tornano utili a tutti.
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L’ACCATASTAMENTO DEI FABBRICATI RURALI di Antonio Grembiale*
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a normativa concernente i fabbricati rurali ha dato luogo nel tempo ad una serie di dubbi interpretativi soprattutto a partire dall’emanazione dell’art. 9 comma 1 del DL 30.12.1993 n° 557, convertito dalla legge 26.2.1994 n° 133, il quale ha previsto un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio nazionale costituendo il Catasto dei fabbricati integrando al Nuovo Catasto Edilizio Urbano le costruzioni rurali. L’evoluzione della normativa recente è derivata da alcune considerazioni su fenomeni che si sono verificati nel nostro paese: lo spopolamento delle campagne e in controtendenza il progressivo investimento in seconde case di campagna o montagna da parte di residenti in grossi centri urbani che, pur facendo rivivere alcune zone e salvaguardando il patrimonio edilizio, ne hanno mutato la destinazione o natura; interi cascinali sono stati trasformati in vere e proprie ville, altri sono adibiti ad abitazione di contadini o braccianti ed altri ancora sono diventate le abitazioni dei figli dei contadini che svolgono attività diverse dai propri genitori. Emergono quindi situazioni non più coerenti con la legislazione catastale sui criteri di qualificazione e classificazione delle unità immobiliari (legge 1249 dell’11.8.1939 e 1249 del 1°.12.1949) per cui il reddito imponibile, che prima confluiva nel reddito dominicale ed agrario del terreno cui erano asserviti, a norma del DPR 133/1994, – quando i fabbricati, per come sopra evidenziato – perdono i requisiti oggettivi e/o soggettivi della ruralità debbono essere denunciati al Catasto dei fabbricati. Per l’emersione di tali discrasie l’Agenzia del Territorio ha pubblicato il 20 febbraio 2007 un Provvedimento che definisce le modalità tecniche ed operative per l’accertamento in catasto dei fabbricati non dichiarati e di quelli che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali. Tale provvedimento deriva dall’applicazione dell’art.1 comma 339 della legge 296/2006 – Legge finanziaria 2007 – che ha sostituito il comma 36 dell’art.2 della legge 286/2006. In particolare si stabilisce che gli immobili iscritti al Catasto terreni, per i quali siano venuti meno i requisiti per il riconoscimento di ruralità – a fini fiscali –, devono essere censiti nel Catasto dei fabbricati con la presentazione degli atti di aggiornamento a norma del DM 701/94, cura dei titolari di diritti reali. L’Agenzia del Territorio, per dare attuazione alla norma citata, ha provveduto a costituire una serie di relazioni con l’Agenzia delle Entrate, la Guardia di Finanza, l’AGEA (telerilevamento ed accertamenti sul terreno) e l’ANCI per individuare, nella prima fase, i possessori di immobili con destinazione abitativa, non iscritti nel Registro delle Imprese, ed accertare i fabbricati che pur essendo identificati con la qualità di fabbricato rurale nel catasto terreni, hanno un corrispondente immobile nel Catasto Edilizio Urbano. Gli incroci anche con altre banche dati hanno prodotto delle liste di particelle distinte per Comune amministrativo, sulle quali risultano fabbricati per i quali sono venuti meno i requisiti di ruralità. Gli elenchi degli immobili, già pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, sono stati trasmessi anche ai Comuni di competenza per eventuali segnalazioni di incoerenza da parte dei cittadini (vedi modello allegato alla circolare 7/2007). Ulteriori ricerche possono essere effettuate presso i singoli Uffici provinciali dell’Agenzia del Terri* Antonio Grembiale – Geometra, dottore in scienze Geo-topo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie, già responsabile Area Tecnica Uff. Reg. Ag. del Territorio.
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torio e sul sito internet agenziaterritorio.it (Servizi>Servizi per il cittadino>Fabbricati non dichiarati) per 60 giorni dalla data di pubblicazione del comunicato sulla Gazzetta Ufficiale. I soggetti titolari di diritti reali sugli immobili iscritti al Catasto terreni presenti nelle liste pubblicate devono provvedere a dichiarare gli immobili presenti su esse al Catasto Edilizio Urbano entro 90 giorni riportato in corrispondenza dell’immobile interessato. Qualora i soggetti non presentino le dichiarazioni al catasto edilizio urbano entro 90 giorni dalla data di pubblicazione del comunicato nella G.U., gli Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio provvedono, in surroga del soggetto obbligato inadempiente e con oneri a carico dello stesso, all’accatastamento attraverso la predisposizione delle dichiarazioni redatte ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701 e alla notifica dei relativi esiti. Gli importi per la redazione d’ufficio degli aggiornamenti sono riportati nella Determinazione del 13 agosto 2007 dell’Agenzia del Territorio. I soggetti titolari di diritti reali sugli immobili per i quali siano venuti meno i requisiti di ruralità, non sono tenuti ad alcun adempimento nei casi in cui: · l’immobile sia già censito al catasto edilizio urbano; · l’accatastamento dell’immobile sia avvenuto successivamente alla pubblicazione del comunicato in Gazzetta Ufficiale; · il fabbricato è stato demolito; · il fabbricato è un rudere; · non esista alcun fabbricato sul terreno indicato; · la tipologia di immobile non richieda denuncia al Catasto edilizio urbano (immobile ad uso strumentale quale stalla, magazzino agricolo, sede dell’attività agricola, agriturismo, ecc…) In questi casi è opportuno inviare una specifica segnalazione, che può essere compilata secondo il modello all’Ufficio provinciale competente dell’Agenzia del Territorio (anche attraverso il servizio postale). I requisiti per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati I requisiti per i riconoscimento della ruralità sono elencati nell’art.9 commi 3 e segg. del DL 557/1993 convertito con modificazioni nella Legge 133/1994 e successivamente dal DPR 139/1998 e da ultimo dalla legge 296/2006 e dalla legge finanziaria 2008 (Testo in vigore dal 01/12/2007): 3. Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni: a) il fabbricato deve essere utilizzato quale abitazione: 1) dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno per esigenze connesse all’attività agricola svolta; 2) dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che con altro titolo idoneo conduce il terreno a cui l’immobile è asservito; 3) dai familiari conviventi a carico dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) risultanti dalle certificazioni anagrafiche; da coadiuvanti iscritti come tali a fini previdenziali; 4) da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura; comma 3-bis. Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante;
n. 3-4/2007 b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento; d) all’allevamento e al ricovero degli animali; e) all’agriturismo; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento; g) alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna; h) ad uso di ufficio dell’azienda agricola; i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; l) all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso. b) abrogato c) il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi dell’ art. 1, comma 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 il suddetto limite viene ridotto a 3.000 metri quadrati; d) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi della citata legge n. 97 del 1994 il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore ad un quarto del suo reddito complessivo, determinato secondo la disposizione del periodo precedente. Il volume d’affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’IVA si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’ art. 34 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; e) i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’ articolo 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali.comma 3-ter. Le porzioni di immobili di cui al comma 3-bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A”. Requisiti per l’esenzione dei fabbricati rurali ad uso abitativo Sono esclusi dall’imposta i fabbricati rurali destinati ad edilizia abitativa, purché soddisfino contemporaneamente tutte le condizioni previste dal comma 3 dell’art. 9 dei decreto legge n. 557 del 30 dicembre 1993 (convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1994 n. 133), così come modificato dall’art. 2 del D.P.R. n. 139 del 23 marzo 1998, dal D. L. 262/06 e dalla Legge finanziaria per il 2008. 1) Requisito soggettivo di possesso: il fabbricato deve essere utilizzato dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito semprechè tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese ovvero dai familiari conviventi a loro carico risultanti dalle certificazioni anagrafiche, ovvero da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agri-
Catasto e topografia coltura, ivi compresi quelli di reversibilità, o da coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali. Con circolare n. 7 del 5/6/2007 mantiene la qualifica di fabbricato rurale il fabbricato utilizzato ad uso abitativo del socio coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale delle società agricole di cui all’art.2 del D.Lgs. 99/04, come modificato dal D.Lgs. 101/05 (società di persone, cooperative, società di capitali). 2) Requisito soggettivo di utilizzo: l’immobile deve essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui alla lettera a) sulla base di un titolo idoneo. 3) Requisito oggettivo di superficie: il terreno cui il fabbricato è asservito deve essere situato nello stesso comune o in comuni confinanti e deve avere una superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, la superficie del terreno deve essere almeno di 3.000 metri quadrati. 4) requisito oggettivo del volume di affari: il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà (50%) del suo reddito complessivo, senza tener conto dei trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in comune montano, il predetto limite deve risultare superiore ad un quarto (25%) del reddito complessivo, al netto dei trattamenti pensionistici. II volume d’affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione IVA si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’art. 34 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, (ora modificato con D. L. 262/2006) e cioè pari a € 7.000,00. 5) Requisito oggettivo di tipologia: i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 (abitazioni signorili) ed A/8 (abitazioni in ville), ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministero dei Lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’art. 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408, non possono comunque essere riconosciuti rurali. Va inoltre evidenziato che: · nel caso di unità immobiliari utilizzate congiuntamente da più persone, i requisiti devono essere posseduti da almeno una di esse; · se sul terreno esistono più unità immobiliari abitative, i requisiti di ruralità devono essere soddisfatti distintamente per ciascuna di esse; · qualora più unità abitative siano utilizzate da più persone dello stesso nucleo familiare, in aggiunta ai precedenti requisiti è necessario che siano rispettati i seguenti limiti massimi: 5 vani catastali ovvero mq 80 per un abitante e un vano catastale oppure 20 mq per ogni abitante oltre il primo. La ruralità viene riconosciuta alle costruzioni strumentali necessarie per lo svolgimento delle attività agricole previste dall’art. 2135 del Codice Civile. Esse sono elencate nel comma 3 bis dell’art. 9 della legge 133/94. Ad ogni buon fine si consiglia la consultazione della circolare n° 4/2006 che specifica i rapporti tra normativa catastale e quella fiscale per le abitazioni ed i fabbricati strumentali all’attività agricola e la circolare n° 7/2007 sull’accertamento dei fabbricati che hanno perso le caratteristiche della ruralità e quelli mai dichiarati in catasto. Entrambi le circolari sono presenti sul sito internet dell’Agenzia del Territorio. Si consiglia altresì la consultazione della circolare 50/E del Ministero delle Finanze sui criteri di valutazione dei fabbricati rurali ai fini delle imposte di registro, successioni, donazioni ed ICI.
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AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 7 del 15 giugno 2007
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ccertamento dei fabbricati che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità e di quelli mai dichiarati in catasto.
1. Premessa L’articolo 2, comma 36, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha dato un rilevante impulso all’attività di accertamento in catasto di quei fabbricati che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, ovvero non dichiarati, prevedendo un importante cooperazione tra Agenzia del territorio e l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA). Con la stessa norma (cfr. articolo 2, comma 37) sono anche stati ristretti i criteri per il riconoscimento della ruralità agli immobili ad uso abitativo, introducendo anche l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese agricole delle Camere di commercio, dei soggetti utilizzatori di detti immobili, affinché possa essere invocata l’agevolazione fiscale in esame. Al riguardo è stato emanato il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio 9 febbraio 2007, pubblicato nella G.U. n. 42 del 20 febbraio 2007 che ha stabilito le modalità tecniche e operative per l’accertamento in catasto dei fabbricati non dichiarati e di quelli che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali oltre a definire le modalità per lo scambio informativo tra i due Enti soprarichiamati ed il rapporto di cooperazione con le altre Istituzioni interessate dal processo (Agenzia delle Entrate e Comuni). Con la presente circolare, oltre che impartire direttive tecniche ed operative per i dipendenti Uffici allo scopo di disciplinare l’attività, si ritiene opportuno rappresentare in forma organica la principale normativa relativa ai criteri per il riconoscimento della ruralità, anche alla luce della rivisitazione apportata dal sopra richiamato decreto legge, nonché fornire indicazioni relativamente all’individuazione dei fabbricati mai dichiarati in catasto. 2. ormativa di riferimento Nella scheda tecnica, Allegato n. 1 alla presente circolare, è elencata la normativa che disciplina il riconoscimento della ruralità delle costruzioni, ai fini fiscali. Detta normativa è principalmente costituita dal Decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557 convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133 e dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.) approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, con le loro successive integrazioni e modificazioni. Come è noto, i criteri previsti dalla normativa in esame sono assunti a base sia dall’Agenzia del Territorio, ai fini del corretto censimento in catasto degli immobili, sia dall’Agenzia delle Entrate e dai Comuni per l’applicazione delle imposte di rispettiva competenza. Sulla materia in esame sono altresì rilevanti le disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica del 23
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marzo 1998 n. 139 per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Tale DPR rimanda al decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28 con il quale sono state disciplinate le modalità per il censimento delle costruzioni rurali o di quelle per le quali sono venuti meno i requisiti per il riconoscimento della ruralità. In tema di criteri per il riconoscimento della ruralità è importante rammentare la circolare n. 4 del 2006, i cui contenuti, per una completezza di trattazione, sono nel proseguo, riportati nella presente direttiva. 3. Modalità di dichiarazione ed accertamento Le modalità di dichiarazione delle nuove costruzioni e delle variazioni di costruzioni preesistenti e censite al catasto dei terreni, per le quali sono venuti o vengono meno i requisiti fiscali per il riconoscimento della ruralità, sono previste all’articolo 1, comma 2, del citato D.P.R. n. 139/98, il quale stabilisce che per l’accatastamento si applicano le disposizioni per la conservazione del catasto edilizio urbano. In particolare, si ricorda, come con il decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, sono state uniformate le modalità di dichiarazione delle costruzioni rurali a quelle già previste per gli immobili urbani dal regolamento di formazione del catasto edilizio urbano (D.P.R. n. 1142/49) e dalle successive disposizioni di prassi. Inoltre con lo stesso provvedimento sono state disciplinate le tipologie di immobili per i quali non sussiste l’obbligo dell’accatastamento e quelle per le quali questo possa avvenire con procedure semplificate. In merito ai criteri per il riconoscimento della ruralità, che – come già anticipato – sono da tenere presente anche ai fini dell’accatastamento, la normativa di riferimento, già citata, distingue tra fabbricati ad uso abitativo e fabbricati, strumentali all’esercizio dell’attività agricola. Proprio in relazione a tale diversità di trattamento, nel prosieguo della trattazione sono esaminate separatamente le modalità di accertamento in catasto delle abitazioni rurali rispetto agli altri immobili agricoli ad uso strumentale. Va comunque osservato che i criteri per il riconoscimento della ruralità concernono sia i requisiti oggettivi, che quelli soggettivi in quanto correlati a condizioni proprie del soggetto utilizzatore/titolare di diritti reali sugli immobili medesimi. 3.1. Unità immobiliari ad uso abitativo Il comma 4 del citato D.P.R. n. 139/98 dispone che le costruzioni rurali costituenti unità immobiliari destinate ad abitazione e loro pertinenze vengono censite in catasto autonomamente dagli immobili rurali ad uso diverso e mediante l’attribuzione di classamento, sulla base dei quadri di qualificazione vigenti in ciascuna zona censuaria. Ai fini fiscali i requisiti di ruralità sono definiti dall’articolo 9, comma 3, del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito nella legge 26 febbraio 1994, n. 133, come sostituito dall’articolo 2 del DPR 23 marzo 1998, n. 139 e da
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n. 3-4/2007 ultimo integrato dall’articolo 2, comma 37, del decreto legge n. 262 del 2006, convertito nella legge n. 286 del 2006. In particolare sono rurali le case di abitazione, possedute dal soggetto titolare di diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito, che servono: - all’imprenditore agricolo iscritto al registro delle imprese; - alle persone addette alla coltivazione della terra; - ai familiari conviventi a loro carico; - ai titolari di trattamenti pensionistici da attività lavorativa in agricoltura; - ai lavoratori agricoli subordinati. Tra i soggetti addetti alla coltivazione della terra rientrano anche le società agricole di cui all’articolo 2 del D.Lgs 99/04, come modificato dal D.Lgs 101/05; il fabbricato utilizzato ad uso abitativo dal socio coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale mantiene la qualifica di fabbricato rurale. L’attività degli Uffici dell’Agenzia del territorio, nel caso di specie, sarà pertanto finalizzata: - all’esame delle dichiarazioni aventi per oggetto unità immobiliari dichiarate per la prima volta al catasto edilizio urbano, ad attribuire la categoria catastale del “gruppo A” più appropriata alla tipologia edilizia specifica e relativa classe di redditività; - alla verifica delle costruzioni già censite al catasto dei terreni come “fabbricato rurale” o “porzione di fabbricato rurale” circa la persistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per la permanenza in tale stato di accatastamento (elencati nella normativa allegata). Questi requisiti concernono: a) Possesso: deve essere esercitato dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito, semprechè tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge n. 580/93, o da: familiari conviventi a loro carico risultanti dalle certificazioni anagrafiche, soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura, coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali. Per gli affittuari, il possesso dell’immobile va documentato mediante apposito atto registrato mentre per coloro che possiedono il fabbricato sulla base di un altro titolo idoneo, quale ad esempio il comodato, occorre verificare se sussistono le condizioni per un eventuale esonero dall’obbligo della registrazione del contratto. Nel caso richiamato del comodato valgono i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con nota prot. n. 2001/22642 del 6 febbraio 2001 per cui i contratti verbali di comodato non sono soggetti all’obbligo della registrazione tranne nell’ipotesi di enunciazione in altri atti. b) Utilizzazioni: l’immobile deve essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui alla lettera a), sulla base di un titolo idoneo, ovvero da dipendenti esercitanti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cen-
to, assunti nel rispetto della normativa in materia di collocamento ovvero dalle persone addette all’attività di alpeggio in zone montane1; c) Superficie Poderale: superficie minima mq. 10.000 ridotta a mq. 3.000 qualora sul terreno vengano praticate colture specializzate in serra, funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno insista in zone montane. d) Reddito: il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto conduttore del fondo deve essere superiore alla metà del suo reddito complessivo. Da tale reddito devono essere esclusi i trattamenti pensionistici erogati a seguito di attività svolta in agricoltura. Nel caso di terreni montani detto limite è ridotto dalla metà ad un quarto. Per coloro che non presentano la dichiarazione I.V.A. il volume di affari deve essere assunto pari al limite massimo previsto per l’esonero dalla presentazione della dichiarazione ai sensi dell’articolo 34 del D.P.R. n. 633 del 1972. Nel caso di abitazione utilizzata da soggetto titolare di trattamento pensionistico da attività lavorativa in agricoltura e di terreni affittati ad un terzo, la sussistenza del requisito va verificata in capo all’affittuario. e) Tipologia: l’abitazione non deve essere censita in categoria A/1 o A/8 né presentare caratteristiche di lusso di cui al D.M. 2 agosto 1969, ancorché censita in altre categorie del “gruppo A”; f) Ubicazione: l’abitazione deve essere ubicata nello stesso comune od in altro confinante con quello dove sono situati i terreni; g) Ampiezza: vanno rispettati i limiti di consistenza dell’abitazione definiti all’art. 9, comma 5 del citato DL n. 557/93 nel caso di stesso nucleo familiare occupante più abitazioni, relativamente alle abitazioni diverse dalla prima; i) Iscrizione: al Registro delle imprese del soggetto conduttore l’azienda (coltivatore diretto, affittuario o altro,) che occupi una abitazione. Tale iscrizione non è richiesta per i familiari conviventi a loro carico, i titolari di trattamenti pensionistici da attività lavorativa in agricoltura, i lavoratori agricoli subordinati e coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali. È appena il caso di sottolineare che i requisiti soggettivi possono essere dimostrati anche attraverso la presentazione di dichiarazioni sostitutive di notorietà rese ai sensi degli articoli 38 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, dal soggetto dichiarante, come da modulistica di cui all’allegato n. 2. Sulle suddette dichiarazioni gli Uffici provinciali dell’Agenzia espliciteranno i controlli di rito. 3.2. Unità immobiliari strumentali all’attività agricola L’articolo 1, comma 5, del D.P.R. n. 139/98, dispone che le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengano censite nella categoria speciale “D/10 - fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite. In proposito, giova precisare che l’art. 1, comma 1, del
1 Sono considerati comuni montani quelli individuati ai sensi della legge 31 gennaio 1994 n. 97.
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Catasto e topografia decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, nel modificare l’art. 2135 del codice civile, ha introdotto tra le attività di competenza dell’imprenditore agricolo anche quelle “connesse” alla “coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali”, delle quali, peraltro, è fornita una dettagliata esemplificazione. Il comma 2 dello stesso articolo ha chiarito che la qualifica di “imprenditore agricolo” può essere posseduta anche dalle cooperative dei medesimi imprenditori ed i loro consorzi, quando utilizzano per lo svolgimento delle attività agricole, “prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”. Le norme citate hanno innovato significativamente la disciplina del T.U. n. 917 del 1986, in quanto hanno fatto rientrare nelle costruzioni strumentali all’attività agricola, tra le altre, anche quelle destinate all’esercizio delle attività agricole connesse alla produzione di beni, quali le attività di trasformazione, manipolazione, conservazione, valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. Rispetto all’attività agrituristica, pur confermando le indicazioni fornite dal su citato articolo 5, comma1 del D.P.R. 139/98, va chiarito, che si ritengono compatibili con l’attività agrituristica, ed in genere con la ruralità dell’immobile, la destinazione residenziale dell’unità immobiliare utilizzata dall’imprenditore quale abitazione, cui è attribuita una delle categorie del gruppo A (escluse A1 o A8 e quelle che hanno caratteristiche di lusso), e gli immobili con classamento nelle categorie C/2, C/3, C/6 e C/7. Si ricorda, inoltre, che l’art. 1, comma 3, del citato D.P.R. 139/98 prevede. “Ai fini inventariali, le unità immobiliari già censite al catasto edilizio urbano non sono oggetto di variazione qualora vengano riconosciute rurali, ai sensi dell’art. 2.”. Il già citato Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, all’art. 32, viene richiamato ai fini della individuazione delle attività agricole che attribuiscono alle costruzioni strumentali ad esse destinate il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali. In particolare contempla quelle che servono: - al ricovero degli animali; - alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione; - alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli e alle attività di manipolazione e trasformazione. Nel caso in esame occorre analizzare se, ordinariamente, le attività svolte nei complessi in questione siano sicuramente riconducibili all’attività dell’impresa agricola o, di contro, possano essere correlate ad attività di tipo industriale o commerciale. In ossequio pertanto ai principi dettati dal Testo Unico delle Imposte Dirette, deve valutarsi – a prescindere dalla natura e caratteristiche, nonché dalla possibilità o meno di destinarli ad una funzione diversa senza radicali trasformazioni-se gli immobili siano strumentali “per destinazione” alle attività agricole di cui all’ art. 2135 c.c.. Pertanto , unico elemento discriminante per definire la concreta strumentalità all’attività agricola effettivamente praticata ed, in ultima analisi, la ruralità del fabbricato, risiede quindi nella compatibilità delle caratteristiche tipologicofunzionali con l’effettiva produzione del fondo al quale è
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n. 3-4/ 2007 asservito, nonché di quelle ubicazionali (insistenza delle costruzioni su terreni agricoli costituenti l’azienda) circostanza, quest’ultima, che deve, quindi, costituire oggetto di specifica verifica ai fini del corretto classamento. L’attività degli Uffici sarà quindi finalizzata, sostanzialmente, a verificare che negli immobili da accertare vengano esercitate le suddette attività. Di conseguenza gli immobili devono essere considerati in linea oggettiva strumentali all’attività agricola esercitata sul fondo e pertanto censiti nella categoria D/10. Nel caso contrario, ovvero qualora la funzione di trasformazione e/o quella di commercializzazione riguardi prodotti agricoli in quantità non ottenuta prevalentemente dalla coltivazione del fondo (50% della produzione), il classamento deve essere effettuato nelle categorie D/7 o D/8. Alle suddette attività agricole deve aggiungersi quella dell’agriturismo come disciplinata ai sensi dell’art. 2 della recente legge 20 febbraio 2006, n. 96, che prevede “Per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda, in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali” (comma 1). Inoltre nello stesso articolo, al comma 2, viene precisato che: “Possono essere addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica, l’imprenditore agricolo e i suoi familiari ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile, nonché i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale …”. In sintesi, i requisiti essenziali, oggettivi e soggettivi, che configurano e caratterizzano l’attività di agriturismo sono: - l’esistenza di un’azienda agricola condotta da un imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c.; - l’espletamento di un’attività di ricezione ed ospitalità in strutture interne all’azienda suddetta; - la prevalenza delle attività agricole (dirette o connesse) rispetto a quella di gestione dell’agriturismo; - la somministrazione prevalente di prodotti propri o derivati da materie prime direttamente provenienti dal fondo. L’art. 3 della norma suddetta, recante disposizioni per l’utilizzazione di locali per attività agrituristiche, dispone inoltre, al comma 1, che “Possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti nel fondo.”. Da quanto rappresentato ne discende che gli immobili da classare in D/10, in funzione dell’attività agrituristica in essi espletata, sulla base del D.P.R. n. 139 del 1998, sono sia quelli aventi caratteri di ruralità, in quanto immobili propriamente strumentali all’attività agricola (è il caso di locali adibiti ad un utilizzo ricettivo nella stessa abitazione dell’imprenditore agricolo), sia eventuali altri immobili ricompresi all’interno dell’azienda agricola, trasformati o costruiti ex novo, destinati segnatamente alla ricezione ed ospitalità dei clienti nell’ambito dell’attività agrituristica. L’inclusione di tale attività tra quelle “connesse” al settore agricolo, pertanto, fa sì che gli immobili in questione possano definirsi, in senso lato, strumentali. I controlli che gli Uffici periferici dovranno effettuare per l’accertamento della sussistenza dei requisiti necessari per il
n. 3-4/2007 censimento degli immobili in parola nella categoria D/10, sulla base delle indicazioni contenute nella normativa statale e regionale, dovranno avere ad oggetto: - il riscontro del rapporto di connessione e complementarità fra le attività agrituristiche e quelle di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame “che devono comunque rimanere prevalenti”, va effettuato sulla base delle disposizioni contenute nella legge quadro n. 96/06 e nelle Leggi Regionali di recepimento; - la somministrazione dei pasti e delle bevande che deve essere costituita “prevalentemente da prodotti propri e da prodotti di aziende agricole della zona”; - la localizzazione degli ambienti dedicati all’ospitalità che deve essere interna all’azienda agricola; - i limiti stabiliti dall’ordinamento statale o regionale riguardanti il numero dei posti letto, delle piazzole di sosta per i campeggiatori, degli spazi dedicati alla refezione. Va chiarito, inoltre, che si ritengono compatibili con l’attività agrituristica, ed in genere con la ruralità dell’immobile, la destinazione residenziale, cui è attribuita una delle categorie del gruppo A (escluse A1 o A8 e quelle che hanno caratteristiche di lusso), in presenza di unità immobiliare utilizzata anche quale abitazione dell’imprenditore, e gli immobili con classamento nelle categorie C/2, C/3, C/6 e C/7. Ai fini operativi, il rispetto dei limiti può essere accertato previa dichiarazione sostitutiva di notorietà resa ai sensi degli articoli 38 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, dal soggetto dichiarante che attesti la circostanza. In particolare, per la verifica della destinazione del bene ad attività agrituristica deve essere esibita copia della autorizzazione del competente Organo amministrativo locale attestante il rispetto dei limiti o che, indirettamente, riconosca il carattere di attività agrituristica. Anche questo ultimo requisito può essere attestato con dichiarazione sostitutiva di notorietà. Su dette dichiarazioni, gli Uffici provinciali del territorio esplicheranno i controlli di rito. 4. Adempimenti dei soggetti titolari di fabbricati per i quali siano stati persi i requisiti per il riconoscimento della ruralità per la nuova disciplina introdotta dal DL n. 262/06 I fabbricati per i quali vengono meno i requisiti per il riconoscimento di ruralità, ai fini fiscali, a seguito del disposto dell’articolo 2, comma 37, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, devono essere dichiarati, dai titolari di diritti reali, al catasto edilizio urbano entro il 30 giugno 2007. In tal caso non si applicano le sanzioni previste dall’articolo 28 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni. A tal fine, nel documento di aggiornamento catastale dovrà essere specificamente indicata, nell’apposita casella del modello unico digitale Docfa, per la trasmissione telematica, ovvero nel modello cartaceo presentato in modalità tradizionale presso la sede dell’Ufficio provinciale competente, la tipologia della dichiarazione riconducibile alla locuzione “dichiarazione resa ai sensi dell’art. 2, comma 36, DL n. 262/06”. Nelle more della disponibilità della nuova procedu-
Catasto e topografia ra informatica il professionista provvederà ad inserire nella relazione tecnica similare locuzione. 5. Adempimenti dei soggetti titolari di fabbricati mai dichiarati in catasto o per i quali siano stati persi i requisiti per il riconoscimento della ruralità indipendentemente dalla nuova disciplina introdotta dal DL n. 262/06. Gli immobili che non risultano dichiarati in tutto o in parte al catasto ovvero i fabbricati iscritti al catasto terreni che hanno perso i requisiti di ruralità per motivi diversi da quelli di cui al paragrafo precedente devono essere dichiarati al catasto edilizio urbano, a cura dei soggetti titolari di diritti reali. Si applicano le sanzioni previste dall’articolo 28 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni. Non appare superfluo evidenziare che, la perdita dei requisiti di ruralità concerne tanto unità immobiliari censite in catasto terreni come “fabbricato rurale” quanto quelle iscritte al catasto edilizio urbano in categoria D/10. Si applicano le sanzioni previste dall’articolo 28 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni. Nel documento di aggiornamento catastale dovrà essere specificamente indicata, nell’apposita casella del modello unico digitale Docfa, per la trasmissione telematica, ovvero nel modello cartaceo presentato in modalità tradizionale presso la sede dell’Ufficio provinciale competente, la tipologia della dichiarazione riconducibile alla locuzione: “Fabbricato ex rurale - art. 2, comma 36 o 37, DL n. 262/06”, in caso di dichiarazione di fabbricato che abbia perso i requisiti di ruralità; “Fabbricato mai dichiarato - art. 2, comma 36, DL n. 262/06”; in caso di dichiarazione di fabbricato che non sia stato mai dichiarato in catasto (per fabbricato mai dichiarato in catasto si considera quello i cui lavori di ultimazione siano stati completati entro il 31/12/2005 e la dichiarazione in catasto è presentata dopo il 3/10/2006, data di entrata in vigore del D.L. n. 262/2006). Nelle more della disponibilità della nuova procedura informatica il professionista provvederà ad inserire nella relazione tecnica similari locuzioni. 6. Accertamenti fiscali per l’assoggettabilità ad imposta della rendita catastale iscritta in catasto Si evidenzia quanto previsto dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 139, secondo cui “Ai fini inventariali, le unità immobiliari già censite al catasto edilizio urbano non sono oggetto di variazione qualora vengano riconosciute rurali… ”, evidentemente quando non subiscono mutazioni oggettive. Con questa impostazione, il legislatore ha voluto prevedere la piena autonomia tra il profilo catastale (costituzione dell’inventario completo) e quello fiscale (imposizione o esenzione sulla base delle redditività oggettive, comunque riportate in catasto). In conseguenza di questa scelta, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro delle Finanze 2/1/1998, n. 28, si vengono a trovare iscritti nel catasto edilizio urbano abitazioni (censite in una delle categorie del grup-
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Catasto e topografia po A) ed annessi agricoli (censiti in una categoria del gruppo C ovvero in D/10) con rendita attribuita, al pari di tutte le altre unità immobiliari urbane, ma che sono invece strumentali ai fini dell’attività agricola e quindi esenti da imposta sui redditi dei fabbricati e da ICI. L’applicazione delle agevolazioni fiscali per le costruzioni che soddisfano i requisiti della ruralità, in quanto strumentali ai fini dell’attività agricola, sono di competenza degli uffici preposti all’accertamento dei vari tributi, a richiesta dei quali, gli Uffici provinciali dell‘Agenzia del Territorio forniscono la consulenza tecnica prevista dai compiti istituzionali per la verifica della sussistenza o meno dei caratteri oggettivi delle costruzioni e dei terreni asserviti. Per gli Uffici fiscali, l’accertamento concerne invece sempre la verifica dei requisiti soggettivi ed oggettivi per il riconoscimento della ruralità al fine di assoggettare o meno a tassazione il relativo reddito di fabbricati, comunque, iscritto in catasto. 7. Individuazione fabbricati mai dichiarati in catasto o per i quali siano stati persi i requisiti per il riconoscimento della ruralità indipendentemente dalla nuova disciplina introdotta dal DL n. 262/06 Nell’ambito delle attività in esame saranno condotti specifici accertamenti rivolti: - all’analisi ed elaborazione delle informazioni ottenute dalle dichiarazioni rese ad Agea a partire dall’anno 2007 rese dai soggetti interessati ai contributi agricoli e che detengono i fabbricati, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 33, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 - alle verifiche sui soggetti intestatari in catasto di fabbricati censiti al catasto dei terreni attraverso incroci dati con le informazioni in possesso dell’Agenzia delle Entrate allo scopo di accertare il possesso di partita Iva, il regime Iva adottato e se il soggetto si trova in regime speciale Iva di esonero, di cui all’articolo 34, comma 6, del DPR 633/72, nonché la presenza di volume di affari da attività agricola per coloro che hanno presentato la dichiarazione annuale Iva e i redditi complessivi e l’iscrizione presso il Registro delle imprese agricole; - verifiche sui soggetti intestatari in catasto di fabbricati censiti al catasto dei terreni attraverso incroci dati con le informazioni in possesso del Comune, tesi ad individuare eventuali loro residenze nei fabbricati medesimi (incrocio con la banca dati anagrafica dei residenti) ed eventuali autorizzazioni edilizie rilasciate per la trasformazione e/o restauro (incrocio con la banca dati delle autorizzazioni e permessi edilizi); - all’individuazione di fabbricati non dichiarati in catasto presenti in foto aeree sovraimposte e georiferite rispetto alla cartografia catastale. A tale fine l’Agenzia del Territorio fornisce all’AGEA i fogli di mappa aggiornati e l’elenco dei fabbricati, suddivisi per comune, presenti in catasto terreni, e attiva con la stessa il rapporto convenzionale previsto dall’art. 2, comma 6, del provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 29 dicembre 2006. Il risultato degli accertamenti consentirà di provvedere alla formazione di specifici elenchi comunali di fabbricati per i quali i soggetti titolari di diritti reali sugli stessi sono obbligati alla presentazione della dichiarazione in catasto, da
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n. 3-4/ 2007 pubblicizzare secondo le modalità riportate nel successivo paragrafo. È appena il caso di evidenziare che i fabbricati iscritti al Catasto Terreni che conservano i requisiti fiscali di ruralità previsti dall’articolo 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. n. 557 del 1993, convertito nella legge n. 133 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni e che non sono stati oggetto di interventi di ampliamento o ristrutturazione rimangono censiti al Catasto terreni. 8. Pubblicizzazione degli elenchi dei fabbricati che devono formare oggetto di dichiarazione in catasto - Azioni di surroga dell’Agenzia La legge finanziaria 2007 (legge n. 298/06), al comma 339, modificando la precedente formulazione portata dal D.L. n. 262/06, ha previsto che la richiesta ai soggetti interessati ad accatastare possa essere eseguita secondo le seguenti modalità. L’Agenzia del territorio, con apposito comunicato da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, rende nota la disponibilità, per ciascun comune, dell’elenco degli immobili individuati, comprensivo, qualora accertata, della data cui riferire la mancata presentazione della dichiarazione al catasto, e provvede a pubblicizzare, per i sessanta giorni successivi alla pubblicazione del comunicato, presso i comuni interessati e tramite gli uffici provinciali e sul proprio sito internet, il predetto elenco, con valore di richiesta, per i titolari dei diritti reali, di presentazione degli atti di aggiornamento catastale redatti ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. Se questi ultimi non ottemperano alla richiesta entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del comunicato di cui al periodo precedente, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono con oneri a carico dell’interessato, alla iscrizione in catasto attraverso la predisposizione delle relative dichiarazioni redatte in conformità al regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701, e a notificarne i relativi esiti. Il provvedimento direttoriale del 9/2/07 specifica inoltre che le risultanze delle attività di verifica su larga scala, finalizzate all’individuazione degli immobili non dichiarati in catasto e dei fabbricati iscritti al catasto terreni che hanno subito modifiche delle caratteristiche oggettive o perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, sono periodicamente pubblicizzate con le modalità in precedenza indicate. Quindi di volta in volta che l’attività di rilevazione massiva per un comune intero sia stata completata, per lo stesso può procedersi alla pubblicizzazione. È appena il caso di osservare che in caso di rilevazioni “su larga scala”, che comporti l’individuazione di un numero limitato di immobili riscontrati per un comune si possa procedere con notifica diretta al domicilio dei soggetti interessati, piuttosto che alla pubblicizzazione. Decorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione nella G.U. del comunicato, senza che i soggetti interessati abbiano provveduto a presentare autonomamente in catasto il previsto documento di aggiornamento catastale, ciascun Ufficio interessato, compatibilmente con le risorse disponibili e le direttive programmatiche che lo riguardano, inoltra uno specifico
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n. 3-4/2007 avviso di sopralluogo - a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno - al soggetto obbligato alla dichiarazione in catasto, contestando fra l’altro, l’inosservanza all’adempimento previsto dalla legge. Nella scelta dell’individuazione del soggetto destinatario possono essere espletate opportune verifiche, affinché lo stesso venga individuato fra quelli richiamati nell’art. 3 del regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 652, obbligati alla dichiarazione, possibilmente individuandolo con quello che ha la gestione del bene. Per tale finalità gli Enti locali, con l’ausilio dei loro archivi informativi, potranno dare un incisivo contributo. Conformemente a quanto già stabilito con la circolare n. 10 del 4 agosto 2005 per le attività del tutto similari di cui all’articolo 1, comma 336, della legge n. 311/04, il Direttore dell’Ufficio procede nell’attività di surroga affidando l’incarico alle proprie strutture tecnico-operative. Riguardo agli adempimenti da espletare ed ai contenuti del richiamato avviso, che deve riportare, anche la contestazione dell’inadempimento, si rimanda alle disposizioni impartite con la richiamata circolare n. 10/2005 e relativa procedura operativa. Si applicano le sanzioni per la tardiva od omessa presentazione della dichiarazione in catasto. Sul documento di aggiornamento catastale prodotto dalla parte, o, in attività di surroga, dall’Ufficio dovrà essere specificamente indicata, nell’apposita casella del modello Docfa, la tipologia della dichiarazione riconducibile alla locuzione “ex fabbricato rurale”, in caso di dichiarazione in catasto per perdita dei requisiti di ruralità, ovvero “fabbricato mai dichiarato in catasto”, nel caso di fabbricato per i quali è stato omessa la dichiarazione in catasto nel termine previsto, attualmente di trenta giorni dalla data della sua ultimazione. Nelle more della disponibilità della nuova procedura informatica il professionista provvederà ad inserire nella relazione tecnica similare locuzione. 9. Disposizioni finali In relazione alla rilevanza innovativa della norma ed ai collaterali effetti sul processo sanzionatorio, gli Uffici provinciali avranno cura di dare la massima diffusione a livello locale del contenuto della presente circolare, tanto agli Ordini e i Collegi professionali interessati, quanto ai rappresentati di associazioni di categoria degli agricoltori e di proprietari di immobili rustici. Le Direzioni Regionali supporteranno gli Uffici provinciali nell’attuazione della presente circolare e ne verificheranno la corretta applicazione. Il Direttore Carlo Cannafoglia __________ Allegato 1 alla circolare n. 7-2007 (Stralcio) Riferimenti normativi relativi ai requisiti oggettivi e soggettivi per il riconoscimento di ruralità dei fabbricati ai fini fiscali2. Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 recante approvazione del testo unico delle imposte sui redditi. “Art. 32. Reddito agrario
1. Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso. 2. Sono considerate attività agricole: a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura; b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste; c) le attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali. 3. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, è stabilito per ciascuna specie animale il numero dei capi che rientra nei limiti di cui alla lettera b) del comma 2, tenuto conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a seconda della specie allevata. Non si considerano produttivi di reddito agrario i terreni indicati nel comma 2 dell’articolo 27”. “Art. 42. Costruzioni rurali 1. Non si considerano produttive di reddito di fabbricati le costruzioni o porzioni di costruzioni rurali, e relative pertinenze, appartenenti al possessore o all’affittuario dei terreni cui servono e destinate: a) alla abitazione delle persone addette alla coltivazione della terra, alla custodia dei fondi, del bestiame e degli edifici rurali e alla vigilanza dei lavoratori agricoli, nonché dei familiari conviventi a loro carico, sempre che le caratteristiche dell’immobile siano rispondenti alle esigenze delle attività esercitate; b) al ricovero degli animali di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 32 e di quelli occorrenti per la coltivazione; c) alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione; d) alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli e alle attività di manipolazione e trasformazione di cui alla lettera c) del comma 2 dell’articolo 32”. Decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557 recante ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994 convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. “Art. 9. Istituzione del catasto dei fabbricati (Omissis) …… 3. Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni: a) il fabbricato deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito, semprechè tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, o
2 Testi aggiornati con le modifiche normative intervenute alla data di pubblicazione del provvedimento.
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Catasto e topografia dai familiari conviventi a loro carico risultanti dalle certificazioni anagrafiche o da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura o da coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali; b) l’immobile deve essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui alla lettera a), sulla base di un titolo idoneo, ovvero da dipendenti esercitanti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti nel rispetto della normativa in materia di collocamento ovvero dalle persone addette all’attività di alpeggio in zone di montagna; c) il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, il suddetto limite viene ridotto a 3.000 metri quadrati; d) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi della citata legge n. 97 del 1994, il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore ad un quarto del suo reddito complessivo, determinato secondo la disposizione del periodo precedente. Il volume d’affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’Iva si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’articolo 34 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; e) i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’articolo 13, L. 2 luglio 1949, n. 408 , e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali. 3-bis. Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali alle attività agricole di cui all’articolo 29 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Deve, altresì, riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali all’attività agricola destinate alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, nonché ai fabbricati destinati all’agriturismo. 4. Fermi restando i requisiti previsti dal comma 3, si considera rurale anche il fabbricato che non insiste sui terreni cui l’immobile è asservito, purché entrambi risultino ubicati nello stesso comune o in comuni confinanti. 5. Nel caso in cui l’unità immobiliare sia utilizzata congiuntamente da più proprietari o titolari di altri diritti reali, da più affittuari, ovvero da più soggetti che conducono il fondo sulla base di un titolo idoneo, i requisiti devono sussistere in capo ad almeno uno di tali soggetti. Qualora sul terreno sul quale è svolta l’attività agricola insistano più unità immobiliari ad uso abitativo, i requisiti di ruralità devono essere soddisfatti distintamente. Nel caso di utilizzo di
n. 3-4/ 2007 più unità ad uso abitativo, da parte di componenti lo stesso nucleo familiare, il riconoscimento di ruralità dei medesimi è subordinato, oltre che all’esistenza dei requisiti indicati nel comma 3, anche al limite massimo di cinque vani catastali o, comunque, di 80 metri quadrati per un abitante e di un vano catastale, o, comunque, di 20 metri quadrati per ogni altro abitante oltre il primo. La consistenza catastale è definita in base ai criteri vigenti per il catasto dei fabbricati. 6. Non si considerano produttive di reddito di fabbricati le costruzioni non utilizzate, purché risultino soddisfatte le condizioni previste dal comma 3, lettere a), c), d) ed e). Lo stato di non utilizzo deve essere comprovato da apposita autocertificazione con firma autenticata, attestante l’assenza di allacciamento alle reti dei servizi pubblici dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas”. Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, recante orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57. (Omissis) “Art. 1. Imprenditore agricolo. (Omissis) 2. Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”. Decreto del Presidente della Repubblica del 23/03/1998 n. 139 Regolamento recante norme per la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali, a norma dell’articolo 3, comma 156, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. (Omissis) art. 1 Norme per l’accatastamento. Per l’accatastamento delle nuove costruzioni e delle variazioni di costruzioni preesistenti, rurali ai sensi dei criteri previsti dall’articolo 2, ovvero per le costruzioni già censite al catasto dei terreni, per le quali vengono meno i requisiti per il riconoscimento della ruralità, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28. (Soppresso). Ai fini inventariali, le unità immobiliari già censite al catasto edilizio urbano non sono oggetto di variazione qualora vengano riconosciute rurali, ai sensi dell’articolo 2. Le costruzioni rurali costituenti unità immobiliari destinate ad abitazione e loro pertinenze vengono censite autonomamente mediante l’attribuzione di classamento, sulla base dei quadri di qualificazione vigenti in ciascuna zona censuaria. Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale “D/10 - fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite.
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n. 3-4/2007 Allegato 2 alla Circolare n. 7-2007
Catasto e topografia Allegato 3 alla Circolare n. 7-2007
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n. 3-4/ 2007
AGENZIA DEL TERRITORIO Determinazione 13 agosto 2007 ggiornamento degli oneri dovuti per la redazione d’ufficio degli atti di aggiornamento catastali, da porre a carico dei soggetti inadempienti.
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Il Direttore dell’Agenzia Visto l’articolo 1, commi 336 e 339, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in materia di accatastamento d’ufficio di immobili di proprietà privata; Vista la determinazione del Direttore dell’Agenzia del Territorio 16 febbraio 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2005, come rettificata con comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 148 del 28 giugno 2005, ed in particolare l’articolo 5, comma 3, che rinvia ad un successivo provvedimento direttoriale la determinazione degli oneri per la redazione di atti di aggiornamento catastali, da parte degli uffici dell’Agenzia del Territorio, da porre a carico dei soggetti inadempienti; Vista la determinazione del Direttore dell’Agenzia del Territorio 30 giugno 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2005, in cui sono stabiliti gli oneri dovuti per la redazione d’ufficio degli atti di aggiornamento catastali, da porre a carico dei soggetti inadempienti, per le ipotesi di cui all’articolo 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed in particolare l’articolo 4, riguardante le modalità di aggiornamento degli oneri; Visto l’articolo 2, comma 36, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, come sostituito dall’articolo 1, comma 339, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; Visto l’articolo 2, commi 41 e 42, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286; Visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio 2 gennaio 2007 concernente la definizione delle modalità tecniche ed operative per l’accertamento in catasto delle unità immobiliari urbane nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 e per l’autonomo censimento delle porzioni di tali unità immobiliari, destinate ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato, ovvero ad usi diversi, già iscritte negli atti del catasto, ed in particolare l’articolo 5 riguardante gli oneri dovuti per l’aggiornamento d’ufficio; Visto il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio 9 febbraio 2007 concernente la definizione delle modalità tecniche e operative per l’accertamento in catasto dei fabbricati non dichiarati e di quelli che hanno perso i requisiti per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, ed in particolare l’articolo 6 riguardante gli oneri dovuti per l’aggiornamento d’ufficio; Considerata l’ esigenza di adeguare gli importi fissati con la determinazione del Direttore dell’Agenzia del Territorio del 30.06.2005 per tener conto del rinnovo di CCNL intervenuto nel 2006 per il biennio 2004/2005. Determina: Art. 1. 1. La tabella allegata alla determinazione del Direttore dell’Agenzia del Territorio 30 giugno 2005 è sostituita dalla tabella allegata alla presente determinazione.
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2. I costi relativi alle spese per missione e per servizio esterno sono determinati nella misura prevista da leggi, regolamenti e contratti collettivi applicabili alle Agenzie Fiscali. Art. 2. 1. La presente determinazione sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione. Roma, 13 agosto 2007 p. Il Direttore dell’Agenzia Carlo Cannafoglia Allegato
Catasto e topografia
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AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 10 del 22 giugno 2007 ompetenze professionali degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati – Decisione del Consiglio di Stato n. 2204/2007.
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Con la circolare n. 1 del 7 febbraio 2002 della Direzione Centrale Cartografia, Catasto e Pubblicità Immobiliare, emanata a seguito di un parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, si è consentita agli Agrotecnici la redazione degli atti di aggiornamento di cui all’articolo 8 della legge n. 679/69 (tipi mappali) e agli articoli 5 e 7 del D.P.R. n. 650/72 (tipi frazionamento e particellari), in attuazione di quanto stabilito dal comma 96 dell’articolo 145 della legge n. 388/2000. Successivamente alcuni Ordini professionali hanno impugnato la circolare dinanzi al giudice amministrativo. Con decisione n. 2204 depositata il 10 maggio 2007, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del TAR del Lazio n. 59/2003, ha annullato la predetta circolare; ne consegue che i professionisti iscritti all’albo degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati, non possono più sottoscrivere a titolo professionale gli atti di aggiornamento di catasto terreni sopra citati.
Con nota prot. n. 45115 del 7 giugno 2007 si è già provveduto ad informare gli Uffici provinciali e le Direzioni regionali dell’Agenzia in merito all’annullamento della circolare n. 1/2002 e a fornire, in esecuzione della decisione dell’autorità giudiziaria, le prime istruzioni operative tendenti a non accettare più gli atti di aggiornamento tecnico redatti e sottoscritti dalle suddette figure professionali. A tale proposito si fa rilevare che sono invece trattabili gli atti presentati entro la suddetta data del 7 giugno, se ancora in corso di approvazione o eventualmente sospesi in corso di perfezionamento, ai sensi del disposto dell’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 650. In tal senso si segnala che sono in corso le procedure per l’eliminazione, nel programma informatico Pregeo, della categoria professionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati dall’elenco dei soggetti professionali abilitati alla presentazione degli atti tecnici di aggiornamento cartografico. Gli Uffici Provinciali e le Direzioni Regionali sono invitati a dare ampia diffusione alle disposizioni sopra impartite. Il Direttore Generale Mario Picardi
AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 14 del 22 novembre 2007 hiarimenti in materia di dichiarazioni di immobili ricompresi nella categoria D/1 – Le centrali eoliche.
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1. Premessa Sul tema delle modalità di accatastamento degli immobili da ricomprendere nei gruppi di categorie speciali e particolari, quest’Agenzia ha già emanato le circolari n. 4 del 16 maggio 2006 e n. 4 del 13 aprile 2007. Nelle citate circolari sono state oggetto di approfondimento e di indirizzo le tematiche tecnico-giuridiche, concernenti le modalità di individuazione delle distinte unità, che di norma caratterizzano i compendi immobiliari D ed E, e di attribuzione alle stesse di specifiche e pertinenti categorie catastali. Non sono stati oggetto di trattazione i pur rilevanti profili che attengono alla disciplina estimativa di determinazione della rendita catastale. Pur tuttavia, sul tema delle dichiarazioni in catasto relative agli immobili ospitanti alcuni particolari impianti, che sfruttano l’energia del vento per la produzione di energia elettrica, continuano a pervenire quesiti per i quali sembra necessario un ulteriore approfondimento. Peraltro, nonostante i chiarimenti già resi disponibili con le direttive sopra richiamate, in ordine alle nozioni di unità immobiliare urbana e di classamento, si registrano comportamenti non uniformi da parte dei soggetti dichia-
ranti, ovvero situazioni di accertamento non omogenee da parte degli Uffici provinciali dell’Agenzia, per cui si rende necessario fornire ulteriori indicazioni e disposizioni al riguardo. 2. Impianti eolici Prima di analizzare la questione sotto il profilo normativo, appare utile esaminare, seppure schematicamente, un generatore eolico nel suo complesso. Del resto, le valutazioni riportate nel prosieguo della trattazione si rendono utili per stabilire se, in relazione alla normativa catastale di riferimento citata nel paragrafo successivo ed alle caratteristiche strutturali della tipologia immobiliare analizzata, sussista o meno l’obbligo della dichiarazione al catasto edilizio urbano. I generatori eolici o aerogeneratori convertono direttamente l’energia cinetica del vento in energia meccanica, che può essere quindi utilizzata per il pompaggio, per usi industriali e, soprattutto, per la generazione di energia elettrica. La tipica configurazione di un aerogeneratore ad asse orizzontale è composta da: una robusta fondazione, un sostegno, le pale, una navicella contenente i meccanismi di controllo, il generatore, il moltiplicatore di giri, il rotore ed un sistema frenante. In modo più dettagliato, il sostegno può essere costituito da una torre tubolare o da un traliccio, infisso in un basamen-
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Catasto e topografia to posto sulla relativa struttura di fondazione; quest’ultima è in genere costituita da un sistema di pali del medesimo tipo di quelli utilizzati nelle costruzioni edilizie di rilevante consistenza. Sulla sommità della torre è posta la gondola, o navicella, nella quale sono contenuti: l’albero di trasmissione lento, il moltiplicatore di giri, l’albero veloce, il generatore elettrico e i dispositivi ausiliari. All’estremità dell’albero lento e all’esterno della gondola è fissato il rotore, costituito da un mozzo, sul quale sono montate le pale (in numero di 1, 2 o 3 con un diametro da 10 a 40 m per macchine di media potenza). Il rotore può essere posto sia sopravvento sia sottovento rispetto al sostegno. La gondola è in grado di ruotare rispetto al sostegno allo scopo di mantenere l’asse della macchina sempre parallelo alla direzione del vento ed è per questo che l’aerogeneratore è definito “orizzontale”. Opportuni cavi convogliano al suolo l’energia elettrica prodotta e trasmettono i segnali necessari per il funzionamento. A completamento dell’impianto eolico nel suo complesso, oltre ai generatori descritti sopra, si devono considerare le installazioni elettriche ed i cavi per la connessione alla rete, i trasformatori, le piazzole ove risiedono i singoli aerogeneratori e la relativa viabilità di collegamento. 3. Riferimenti normativi Da questa sintetica descrizione di un impianto eolico si evidenzia come lo stesso risulti complesso e sicuramente maggiormente articolato, per componenti tecnologiche, rispetto ad immobili similari quali un mulino o ad un frantoio che sfrutta l’energia del vento o dell’acqua, pur se questo ultimo potrebbe essere caratterizzato da maggiori consistenze di manufatti edilizi. Anche per tale tipo di unità immobiliare, iscrivibile, come si specificherà in seguito, in una delle categorie del gruppo D, soccorrono - come evidenziato nella circolare n. 4/2006 - i riferimenti normativi contenuti nel RDL 13 aprile 1939, n. 652, con le successive modificazioni ed integrazioni, nonché nel DPR 1° dicembre 1949, n. 1142, con i quali sono stati precisate, per l’appunto, oltre allo scopo della formazione del catasto edilizio urbano ed ai criteri posti a fondamento delle relative stime, anche le nozioni di “unità immobiliare urbana” e di “rendita catastale”. In tale contesto risulta chiaro l’obbligo della dichiarazione catastale, in quanto trova piena applicazione l’art. 2 del DM 2 gennaio 1998, n. 28 – Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale. In particolare, tale decreto, nel delineare i criteri utili per l’individuazione delle unità immobiliari urbane, all’art. 2, comma 3, ha evidenziato come siano da considerare tali “…anche le costruzioni ovvero porzioni di esse, ancorate o fisse al suolo, di qualunque materiale costituite, nonché gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo, purché risultino verificate le condizioni funzionali e reddituali di cui al comma 1. Del pari sono considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale”. Stabilito che per i titolari dei diritti iscritti in catasto sussiste l’obbligo di dichiarazione, occorre procedere alla disa-
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n. 3-4/ 2007 mina di quali elementi prendere cognizione nella stima catastale. Al riguardo soccorre l’art. 10 della legge 11 luglio 1942, n. 843, il quale dispone testualmente che “Gli immobili…sono descritti nel vigente catasto, mediante l’elencazione degli elementi costitutivi, quali, gli edifici, le aree, i generatori della forza motrice, le dighe, i canali adduttori o di scarico, la rete di trasmissione e di distribuzione di merci, prodotti o servizi, i binari anche se posti su aree pubbliche ovvero nel relativo soprassuolo o sottosuolo, le gallerie, i ponti e simili”. Successivamente, mediante le disposizioni di prassi, detti principi sono stati ulteriormente chiariti. Si fa riferimento nello specifico, oltre alle direttive indicate in premessa, alla circolare n. 123 del 14 novembre 1944 della Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali – emanata d’intesa con la Direzione Generale delle Imposte Dirette -, nella quale è espressamente stabilito che nella valutazione catastale deve farsi riferimento anche agli organi di trasmissione aventi carattere immobiliare per loro natura, ossia ai “…meccanismi ed apparecchi che servono a trasmettere la forza motrice quando connessi ed incorporati al fabbricato”. 4. Modalità di dichiarazione ed accertamento Sulla base di tali indicazioni nel caso in specie devono essere menzionati nella stima tutti gli elementi che servono a qualificare la destinazione d’uso della centrale eolica. Ad esempio il traliccio e tutti gli elementi allo stesso incorporati e posti sulla navicella, le pale, i camminamenti, le strade e le recinzioni. Rilevano per tali fini le parti impiantistiche site nelle aree facenti parte delle unità immobiliari oggetto d’indagine; quest’ultime devono essere ben delineate nella documentazione grafica ed in caso di accertamento verificate, preliminarmente, dall’ufficio competente mediante sopralluogo. In tal senso le pale e le altre componenti servono proprio a qualificare l’insieme della costruzione e degli impianti in essa contenuti, come una qualsiasi centrale capace di produrre energia elettrica che, al pari di quella idroelettrica, è caratterizzata dalla capacità di sfruttare una fonte rinnovabile. Dette componenti hanno una stretta complementarietà alla porzione immobiliare e sono già state prese in esame dalla giurisprudenza come nel caso delle turbine. Il rapporto di complementarietà è ben sintetizzato dalla Corte di Cassazione laddove evidenzia: “…che, se è vero che un “podere” resta un “podere” anche se non vi sia un “pozzo”, non è altrettanto vero che una centrale termoelettrica resti una centrale termoelettrica senza le turbine” (cfr. Cass., sent. n. 13319 del 7 giugno 2006). È indubbio, quindi, estendendo l’applicazione di detto principio, che un immobile deputato alla produzione di energia elettrica ottenuta dal vento, senza gli impianti presenti nella “navicella”, perda la sua specifica connotazione e che, pertanto, i medesimi impianti vadano presi in considerazione nella stima catastale. In definitiva, la navicella, seppure meccanicamente separabile, diviene parte essenziale per la destinazione economica di tutta la centrale eolica. Occorre, in ultimo, definire gli elementi caratterizzanti la categoria catastale che, in base alle disposizioni di settore, va individuata tenendo in considerazione la destinazione d’uso e la compatibilità con le caratteristiche intrinseche dell’immobile di cui si discute. Dalle osservazioni che precedono si
n. 3-4/2007 evince che l’impianto eolico è indubbiamente un opificio, in quanto è destinato alla produzione di energia, e come tale, allo stesso deve essere attribuita la categoria D/1 – Opifici. Irrilevanti, sotto il profilo catastale, appaiono le considerazioni sulla finalità dei manufatti in esame e sulla circostanza che lo Stato, le Regioni e perfino l’Unione Europea ne incentivino la costruzione. Al riguardo si rinvia alle circolari sopra menzionate nelle quali è ampiamente documentata l’autonomia dell’ordinamento catastale, rispetto a quelli di altri settori. Pare opportuno, sotto tale profilo, richiamare, a mero titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 11369 del 22 luglio 2003, in tema di classamento di beni immobili sottoposti al vincolo storico-culturale, nella quale è ribadita l’indipendenza del classamento da ogni vincolo amministrativo o legislativo non dettante disposizioni in materia di catasto. 5. Metodi di stima Riguardo al criterio ed alle metodologie di stima da utilizzare nelle dichiarazioni delle unità immobiliari in commento pare utile richiamare le disposizioni menzionate dalla legge catastale sull’argomento. Per il primo si rammenta che la rendita catastale rappresenta “… la rendita lorda media ordinaria ritraibile previa detrazione delle spese di ripartizione, manutenzione e di ogni altra spesa …” (cfr.: art. 9 RDL n. 652/1939). La rendita è calcolata con riferimento al periodo economico stabilito dal Ministro dell’economia e delle finanze che all’attualità è fissato al 1988/89 (cfr. DM 20 gennaio 1990). Per l’individuazione delle metodologie di stima da utilizzare è opportuno rammentare che l’art. 10 del citato RDL 13 aprile 1939, n. 652, prevede, considerata la peculiarità delle unità immobiliari ivi menzionate, di provvedere alla determinazione della stima per via diretta per le unità costituite “da opifici ed in genere dai fabbricati di cui all’art. 28 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni”. Le modalità con le quali detta stima diretta viene effettuata sono definite dai citati artt. 27, 28, 29 e 30 del DPR 1° dicembre 1949, n. 1142, che riprende i dettami contenuti nell’Istruzione III emanata dall’ex Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali in data 28 giugno 1942, e precisamente: § 47 “La determinazione della rendita catastale delle unità accertate nelle categorie dei Gruppi D ed E, si effettua con metodo diretto, ricercando cioè per ogni singola unità, la rendita media ordinaria ritraibile, al netto delle spese e delle perdite eventuali ed al lordo soltanto dell’imposta fabbricati, delle relative sovrimposte e dei contributi di ogni specie….” (attualmente, con riferimento all’epoca censuaria stabilita: 1988/89). § 50 “La determinazione diretta della rendita catastale ….. si effettua sulla base del fitto ritratto o ritraibile, quando si tratta di unità immobiliari per le quali nella zona è in uso il sistema dell’affitto”. § 51 “La determinazione della rendita catastale per le unità …. dei Gruppi D ed E, si effettua sulla base del loro
Catasto e topografia valore venale (all’epoca censuaria di riferimento), quando si tratti di U.I.U. per le quali nella località non è in uso il sistema dell’affitto…. con l’applicazione del saggio di interesse che compete ad analoghi investimenti di capitali”. Le disposizioni richiamate, quindi, considerano fondamentalmente due possibili modi di procedere nella stima della rendita catastale di tali unità. La prima metodologia, prevista in via prioritaria dall’Istruzione III, si fonda direttamente sulla ricerca del reddito medio ordinario ritraibile al netto delle spese e al lordo dei tributi. Il suo utilizzo si limita, però, a quei casi in cui è possibile un’appropriata analisi dei canoni di locazione, riscontrabili sul mercato (può essere ad es. il caso degli alberghi e delle pensioni, censibili nella categoria D/2, e dei cinema, relativamente alla categoria D/3). In tali casi si determina il canone lordo medio annuo, riferito all’epoca censuaria, attraverso le suddette indagini, tenendo presente il principio dell’ordinarietà, si considerano le eventuali aggiunte e detrazioni e si ricava la rendita catastale sottraendo ad esso tutte le spese gravanti sulla proprietà (amministrazione, manutenzione, conservazione, assicurazione, sfitto e inesigibilità), eccetto le imposte, sovrimposte e contributi di ogni specie. Nel caso in cui per le unità immobiliari urbane nella zona non sia in uso il sistema dell’affitto, si perviene alla rendita catastale attraverso la ricerca del valore medio ordinario che ha l’immobile, riferito all’epoca censuaria e in condizioni di permanenza della destinazione per la quale è costruito. Secondo il §51, della già citata Istruzione III, dal valore venale si ricava la rendita catastale con l’applicazione del saggio di interesse che compete ad analoghi investimenti di capitali con la nota relazione “R c =V(r/1-a) ”, dove “r” è il saggio di fruttuosità al netto da spese e oneri gravanti sulla proprietà escluse le imposte ed “a” rappresenta l’aliquota complessiva delle imposte e contributi gravanti sugli immobili. Inoltre, quando il mercato non esprime dati certi circa i prezzi di immobili similari, la dottrina dell’estimo, come è noto, prevede di potere individuare il valore immobiliare attraverso la valutazione del costo di ricostruzione a nuovo, previa decurtazione per vetustà, se ne ricorre il caso. E’ peraltro a questa terza metodologia operativa cui si è fatto più frequentemente ricorso, nella recente prassi catastale, per la determinazione della rendita in relazione alle specificità delle tipologie immobiliari in esame e ai dati economici normalmente rilevabili dal mercato. Relativamente all’individuazione del saggio di fruttuosità, nei casi di immobili come le centrali eoliche in cui non si hanno consolidati elementi di giudizio in tema di redditività dei capitali fondiari investiti, la prassi attuale prevede l’applicazione della formula “Rc=V*r’ ” dove “r’ ” individua il saggio di fruttuosità, che può essere assunto al 2%, tenendo presente gli oneri in aumento e in detrazione del reddito annuo lordo, stabiliti dalla legge catastale, e le indicazioni fornite dalla prevalente giurisprudenza. Gli Uffici provinciali adegueranno le modalità di accertamento degli immobili ospitanti gli impianti eolici alle direttive sopra impartite e le Direzioni regionali provvederanno a verificarne la loro corretta applicazione. Il Direttore Carlo Cannafoglia
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NORME DI NATURA CATASTALE ESTRATTO REGOLAMENTO D.P.R. 23 marzo 1998 n. 138 di Luciano Bassi Unità immobiliari ordinarie Gruppo R (Unità immobiliari a destinazione abitativa di tipo privato e locali destinati a funzioni complementari) R/1 - Abitazioni in fabbricati residenziali e promiscui. R/2 - Abitazioni in villino e in villa. R/3 - Abitazioni tipiche dei luoghi. R/4 - Posti auto coperti, posti auto scoperti su aree private, locali per rimesse di veicoli. Gruppo P (Unità immobiliari a destinazione pubblica o di interesse collettivo) P/1 - Unità immobiliari per residenze collettive e simili. P/2 - Unità immobiliari per funzioni sanitarie. P/3 - Unità immobiliari per funzioni rieducative. P/4 - Unità immobiliari per funzioni amministrative, scolastiche e simili. P/5 - Unità immobiliari per funzioni culturali e simili. Gruppo T (Unità immobiliari a destinazione terziaria) T/1 - Negozi e locali assimilabili. T/2 - Magazzini, locali da deposito e laboratori artigianali. T/3 - Fabbricati e locali per esercizi sportivi. T/4 - Pensioni. T/5 - Autosilos, autorimesse e parcheggi a raso di tipo pubblico. T/6 - Stalle, scuderie e simili. T/7 - Uffici, studi e laboratori professionali. orme tecniche per la determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari a destinazione ordinaria (gruppi R, P, T). Criteri generali 1. Nella determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari a destinazione ordinaria, i muri interni e quelli perimetrali esterni vengono computati per intero fino ad uno spessore massimo di 50 cm, mentre i muri in comunione nella misura del 50 per cento fino ad uno spessore massimo di 25 cm. 2. La superficie dei locali principali e degli accessori, ovvero loro porzioni, aventi altezza utile inferiore a 1,50 m, non entra nel computo della superficie catastale. 3. La superficie degli elementi di collegamento verticale, quali scale, rampe, ascensori e simili, interni alle unità immobiliari sono computati in misura pari alla loro proiezione orizzontale, indipendentemente dal numero di piani collegati. 4. La superficie catastale, determinata secondo i criteri esposti di seguito, viene arrotondata al metro quadrato. Criteri per i gruppi “R” e “P” 1. Per le unità immobiliari appartenenti alle categorie dei gruppi R e P, la superficie catastale è data dalla somma: a. della superficie dei vani principali e dei vani accessori a servizio diretto di quelli principali quali bagni, ripostigli, ingressi, corridoi e simili; b. della superficie dei vani accessori a servizio indiretto dei vani
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principali, quali soffitte, cantine e simili, computata nella misura: - del 50 per cento, qualora comunicanti con i vani di cui alla precedente lettera a); - del 25 per cento qualora non comunicanti; c. della superficie dei balconi, terrazze e simili, di pertinenza esclusiva nella singola unità immobiliare, computata nella misura: - del 30 per cento, fino a metri quadrati 25, e del 10 per cento per la quota eccedente, qualora dette pertinenze siano comunicanti con i vani di cui alla precedente lettera a); - del 15 per cento, fino a metri quadrati 25, e del 5 per cento per la quota eccedente qualora non comunicanti. Per le unità immobiliari appartenenti alle categorie del gruppo P, la superficie di queste pertinenze è computata nella misura del 10 per cento; d. della superficie dell’area scoperta o a questa assimilabile, che costituisce pertinenza esclusiva della singola unità immobiliare, computata nella misura del 10 per cento, fino alla superficie definita nella lettera a), e del 2 per cento per superfici eccedenti detto limite. Per parchi, giardini, corti e simili, che costituiscono pertinenze di unità immobiliari di categoria R/2, la relativa superficie è da computare, con il criterio sopra indicato, solo per la quota eccedente il quintuplo della superficie catastale di cui alla lettera a). Per le unità immobiliari appartenenti alle categorie del gruppo P dette pertinenze non sono computate. 1. La superficie dei vani accessori a servizio diretto delle unità immobiliari di categoria R/4 è computata nella misura del 50 per cento. 2. Le superfici delle pertinenze e dei vani accessori a servizio indiretto di quelli principali, definite con le modalità dei precedenti commi, entrano nel computo della superficie catastale fino ad un massimo pari alla metà della superficie dei vani di cui alla lettera a) del comma 1. Criteri per il gruppo “T” 1. Per le unità immobiliari appartenenti alle categorie del gruppo T, la superficie catastale è data dalla somma: a. della superficie dei locali aventi funzione principale nella specifica categoria e dei locali accessori a servizio diretto di quelli principali; b. della superficie dei locali accessori a servizio indiretto dei locali principali computata nella misura: - del 50 per cento, se comunicanti con i locali di cui alla precedente lettera a); - del 25 per cento se non comunicanti; c. della superficie dei balconi, terrazze e simili computata nella misura del 10 per cento; d. della superficie dell’area scoperta o a questa assimilabile, che costituisce pertinenza esclusiva della singola unità immobiliare computata nella misura del 10 per cento, ovvero, per le unità immobiliari di categoria T/1, nella misura del 20 per cento. 2. Per le unità immobiliari appartenenti alla categoria T/1, la superficie dei locali accessori a servizio diretto di quelli principali di cui alla lettera a) del precedente comma 1, è computata nella misura del 50 per cento.
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AGENZIA DEL TERRITORIO Servizi Telematici di Giuseppe di Gennaro ’Agenzia del Territorio ha predisposto una serie di servizi telematici, agevolmente accessibili dal sito web ufficiale, rivolti sia alla totalità dei cittadini che ai tecnici professionisti. I servizi permettono l’acquisizione di informazioni contenute nelle banche dati catastali ed ipotecarie ed anche la trasmissione di atti di aggiornamento di queste stesse banche dati.
L
Premessa Lo sviluppo delle applicazioni informatiche e la possibilità di effettuare in sicurezza la trasmissione e la ricezione di informazioni conservate in archivi pubblici, permette ad una vasta categoria di cittadini di acquisire facilmente informazioni altrimenti reperibili solamente mediante accesso a pubblici uffici, sovente ubicati unicamente nei capoluoghi di provincia. Come spesso accade per molte invenzioni ed innovazioni, i primi sviluppatori del web non immaginavano il tumultuoso sviluppo che avrebbe avuto lo scambio in rete di informazioni né le implicazioni in termini di impatto sociale con il determinarsi della possibilità, per i singoli cittadini, di colloquiare con la pubblica amministrazione senza dovere passare per il classico sportello con interfaccia umana. D’altronde sino a qualche anno fa non era nemmeno ipotizzabile che le pubbliche, amministrazioni si mettessero in rete esponendo i propri organigrammi, la propria organizzazione ed i risultati della propria attività. Nel solco quindi dell’innovazione tecnologica si è mossa anche l’Agenzia del Territorio che, come è ben noto, costituisce una delle quattro agenzie fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dall’URL dell’Agenzia del Territorio [1] è possibile accedere con un click ai principali servizi relativi sia all’acquisizione di informazioni che alla trasmissione delle stesse.
Home page dell’Agenzia del Territorio
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In questo articolo si illustreranno i servizi telematici che l’Agenzia del Territorio mette a disposizione sia della collettività dei cittadini che delle categorie professionali. Esistono, inoltre, una pluralità di altri servizi telematici implementati specificamente per le pubbliche amministrazioni. Infatti l’Agenzia del Territorio mette a disposizione degli Enti locali che ne facciano richiesta per le proprie attività istituzionali, tutta una serie di informazioni riportate nelle proprie banche dati. Gli Enti Locali non sopportano alcun costo, tranne quello del collegamento ad internet, per l’acquisizione dei dati. Questa, come si vedrà nel seguito, è una caratteristica anche dei servizi telematici accessibili da tutti i cittadini. La via preferenziale di accesso a tale servizi avviene attraverso il portale dell’Agenzia del Territorio [1]. La colonna sulla sinistra della home page infatti, sotto la dizione “In un click”, riporta il collegamento ai principali servizi erogabili on line sia all’utenza professionale che alla totalità dei contribuenti. Servizi telematici per utente generico Si descriveranno, preliminarmente, i servizi telematici a cui possono accedere, indistintamente, tutti gli utenti. Visure catastali via internet con Certitel catasto web Questo servizio, attivato dall’Agenzia del Territorio in collaborazione con Poste Italiane, permette di ricevere visure catastali relativamente ad immobili (fabbricati e/o terreni) situati su tutto il territorio italiano, con l’eccezione delle province di Bolzano, Gorizia, Trento e Trieste per le quali vige il catasto fondiario di derivazione austriaca. L’accesso al servizio può avvenire, indifferentemente, sia dal portale dell’Agenzia del Territorio [1] che da quello delle Poste Italiane [2], Per potere usufruire del servizio è necessario che, preliminarmente, l’utente si registri presso il sito delle Poste Italiane ed attivi una casella personale di posta elettronica del tipo
[email protected] per permettere il ricevimento dei documenti richiesti con il servizio. Per accedere alla propria casella di posta elettronica, l’utente deve attendere la comunicazione di un codice di attivazione che verrà inoltrato dalle stesse Poste Italiane. La richiesta viene effettuata attraverso un modulo elettronico da compilare on line specificando se si preferisce la consegna via posta elettronica o tramite posta raccomandata. Parimenti on line viene effettuato il pagamento del servizio reso con modalità di addebito su conto corrente bancoposta oppure mediante carta di credito (VISA, Mastercard, postepay). In questo caso l’importo pagato corrisponde al servizio reso dalle Poste Italiane. Contact Center Un servizio on line, accessibili unicamente dal sito web dell’Agenzia del Territorio, che risulta essere di particolare interesse per gli utenti, ma anche come si vedrà per la stessa Agen-
n. 3-4/2007 zia del Territorio, è quello che viene fornito al collegamento Contact Center. Tramite questo canale di trasmissione telematica, attivato per la prima volta dal mese di novembre dell’anno 2004, l’Agenzia del Territorio, su iniziativa di cittadini, tecnici, ecc. può procedere alla correzione di errori nella banca dati catastali. Con questo servizio, infatti, chiunque dovesse riscontrare delle inesattezze nella situazione catastale dei propri, immobili o, se professionista tecnico, in quelli dei propri committenti, può presentare direttamente via internet la richiesta di rettifica dei dati inesatti. In linea con il principio che risulta essere economicamente molto più vantaggioso, sia per la collettività che per l’utente, far viaggiare le informazioni e non le persone, si rileva di grandissima utilità, sia per il cittadino che per l’Agenzia stessa, l’essere riusciti a realizzare una procedura che eviti all’utente di recarsi necessariamente presso gli uffici dell’Agenzia per chiedere rettifiche e/o integrazioni alle risultanze catastali. I dati catastali che possono essere rettificati appartengono alle seguenti tipologie: - errori relativi ai dati dell’intestato: nome, cognome, codice fiscale, luogo e data di nascita, ecc; - errori relativi ai dati dell’immobile: indirizzo, ubicazione, numero dei vani, ecc. - errore relativo all’attribuzione dell’identificativo catastale definitivo.
Catasto e topografia dati che si richiede di correggere e gli elementi che supportano la richiesta di correzione (riferimento ad atto notarile, ecc.) Al termine dalla procedura di acquisizione dei dati immessi dall’utente, il sistema invia un messaggio di posta elettronica al Contact Center. Da quest’ultimo, ancora in automatico, viene inviato all’utente un messaggio di posta elettronica sulla casella postale fornita dall’utente nella precedente fase di identificazione. Il messaggio contiene un numero identificativo a cui fare riferimento per eventuali ulteriori comunicazioni. Successivi messaggi di posta elettronica informano l’utente dell’esito della richiesta di correzione. Il servizio offerto è completamente gratuito, restando a carico dell’utente esclusivamente l’onere della connessione ad internet. Alla fine del mese di giugno dell’anno 2006 (quindi dopo quasi 18 mesi dalla data di attivazione del servizio) il Contact Center ha trattato oltre 100.000 richieste delle quali il 90% è stato evaso entro una settimana ed il 75% ha dato esito ad una correzione in banca dati. Con il supporto attivo degli utenti, l’Agenzia del Territorio può così controllare e rettificare le indicazioni della propria banca dati. Il numero delle richieste di rettifica, non piccolo in se stesso, va tuttavia correlato: all’entità della banca dati catastali. Le unità immobiliari censite nel catasto urbano ammontano, infatti, ad oltre 40 milioni. Dati catastali on line In questa sezione della home page dell’Agenzia del Territorio è possibile procedere alla consultazione sia delle rendite catastali che effettuare delle vere e proprie visure. Infatti, in seguito all’emanazione del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 [4], convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, concernente disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, ed in particolare l’art. 2, comma 68, il Direttore dell’Agenzia del Territorio emetteva, in data 12 ottobre 2006, il provvedimento recante disposizioni sulle “Modalità di esecuzione delle visure catastali”. Oltre a specificare termini e modalità di effettuazione delle visure presso gli sportelli degli Uffici Provinciali dell’Agenzia, il provvedimento anticipava l’emissione di atto amministrativo per dare corso alla possibilità di effettuare interrogazioni alle banche dati catastali ed ipotecarie anche per via telematica. Di fatto tale disposto normativo aboliva il costo per il rilascio di visure e tale atto si è concretizzato nel decreto datato 4 maggio 2007 [7].
Form per l’autenticazione dell’utente che accede al Contact Center
La procedura di invio della richiesta di correzione richiede che l’utente venga identificato attraverso nome, cognome, codice fiscale, status (cioè se privato cittadino, libero professionista, ecc.) ed indirizzo di posta elettronica. È necessario tale ultimo dato per permettere all’Agenzia del Territorio di contattare l’autore della segnalazione ed inviare l’esito della correzione medesima. Successivamente occorrerà indicare l’immobile per il quale si chiede la rettifica di uno o più dati risultati errati dalla visura che l’utente avrà avuto cura di effettuare in via preliminare, i
Consultazione rendite catastali Per procedere all’effettuazione della consultazione, relativamente alla semplice rendita catastale sia esso immobile censito al catasto fabbricati che a quello terreni, è necessario che l’utente conosca gli identificativi del bene oggetto della richiesta. Una volta effettuato l’accesso al sistema mediante collegamento internet ad [1], l’utente viene invitato a fornire, per proseguire nella consultazione, il proprio codice fiscale ed, a seguire, gli identificativi dell’immobile per il quale effettua la ricerca della rendita catastale: Comune Amministrativo, banca dati da interrogare, sezione catastale (per il solo catasto fabbricati), foglio, particella e sub. In risposta il sistema fornisce i dati identificativi dell’immobile segnalato e la rendita catastale (in doppia valuta €/lire). Senza uscire dalla procedura è possi-
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Catasto e topografia bile effettuare successive visure. Il servizio, come detto, è completamente gratuito. Consultazione banca dati catastale A partire dal 1° giugno c.a. è possibile effettuare la consultazione della banca dati catastale anche per soggetto intestato. In tale caso occorre essere a conoscenza del codice fiscale del soggetto interrogato. All’attualità, cioè nella prima fase di avvio della procedura, è possibile effettuare consultazioni unicamente in relazione a soggetti fisici. Tale servizio (definito come Ricerca Immobili per Codice Fiscale) è un servizio disponibile per i soli utenti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. La piena realizzazione del servizio passerà attraverso più fasi, ognuna contraddistinta da una diversa possibilità di ricerca per codice fiscale dell’intestatario. Nella prima fase, disponibile, come visto, a partire dal 1° giugno 2007 è possibile effettuare ricerche per ottenere informazioni relative alle sole persone fisiche. Nella seconda sarà possibile effettuare la ricerca delle informazioni relative anche alle persone non fisiche. Infine nella terza fase sarà possibile richiedere una visura per soggetto in differita limitata ad un comune. L’utente che voglia usufruire del servizio dovrà preliminarmente registrarsi, ove non lo abbia già fatto, ad esempio, per l’invio telematico della dichiarazione dei redditi, presso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate [3] ricevendo un PIN con il quale è possibile accedere al sistema.
n. 3-4/ 2007 - rendita catastale ed ubicazione per gli immobili censiti nel catasto dei fabbricati; - redditi dominicale e agrario per gli immobili censiti al catasto terreni. I dati rilasciati sono relativi esclusivamente ad atti catastali informatizzati e a beni immobili per i quali il codice fiscale utilizzato per la ricerca corrisponda a quello dell’intestatario registrato negli archivi catastali.
Accesso al servizio Dati catastali
Scelta delle funzioni Servizi Catastali
Risposta alla consultazione della rendita catastale in presenza di identificativi noti
Infatti la consultazione inizia dalla home page dell’Agenzia del Territorio per essere immediatamente reindirizzati a quella dell’Agenzia delle Entrate. Qui l’accesso avviene tramite codice fiscale e password del richiedente il servizio. Successivamente occorre fornire anche il PIN (personal identification number). L’utilizzatore del servizio dovrà compilare il form con le richieste del codice fiscale del soggetto, della provincia, del comune, della banca dati (terreni o fabbricati) per la quale si effettua l’interrogazione. Se il sistema riscontra la presenza di registrazioni, visualizza il soggetto interrogato con i dati anagrafici e chiede conferma per la prosecuzione. Avutane conferma, a seguire il sistema fornisce le seguenti informazioni: - elementi anagrafici del soggetto intestatario dell’immobile; - identificativi catastali degli immobili intestati al soggetto; - dati relativi alla titolarità ed alla relativa quota di diritto;
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Visura on line per soggetto persona fisica con interrogazione banca daticatasto fabbricati
Anche tale tipologia di consultazione non prevede alcuna altra spesa per l’utente oltre quelle derivanti dal collegamento ad internet. Consultazione banca dati pubblicità immobiliare Successivamente, originariamente con previsione di attiva-
n. 3-4/2007 zione a partire dai primi giorni del mese di giugno c.a., sarà possibile effettuare anche visure ipotecarie (relative cioè alle trascrizioni, iscrizioni ed annotazioni presenti nei registri dei Servizi di Pubblicità Immobiliare dell’Agenzia del Territorio ex Conservatorie dei registri Immobiliari). Il provvedimento che renderà possibile tale consultazione è in fase di elaborazione finale e si rimanda ad un prossimo numero del Bollettino di Legislazione Tecnica per la sua attivazione. Tale tipologia di consultazione, a differenza di quelle precedenti, prevede un costo pari all’importo delle tasse ipotecarie previste dalla normativa vigente per ogni consultazione effettuata, aumentate del cinquanta per cento. Servizi telematici per professionisti abilitati Si è già detto, in un precedente articolo [9], come l’Agenzia del Territorio metta a disposizione dei tecnici professionisti quali geometri, architetti, ingegneri, ecc., software di ausilio per la compilazione e presentazione agli Uffici Tecnici Erariali (attuali Uffici Provinciali dell’Agenzia del Territorio) del modello di «Accertamento della Proprietà Immobiliare Urbana» (procedura Docfa). Analoga procedura d’ausilio viene fornita per le operazioni cartografiche del catasto terreni (Pregeo acronimo di pre trattamento geometrico). Entrambe le procedure risultano essere molto apprezzate dai tecnici professionisti ed, anche in questo caso, si assiste ad uno sviluppo di siti web orientati ai tecnici utilizzatori di cui un esempio è riportato in [4]. I software, come tutti gli altri predisposti dall’Agenzia del Territorio, sono prelevabili dalla solita colonna in un click sulla sinistra della home page, in uno ai file di aiuto all’installazione ed utilizzo. Il loro utilizzo non prevede, necessariamente, l’utilizzo di un servizio telematico degli stessi ma i tecnici abilitati potranno effettuare l’invio internet all’Agenzia del Territorio, degli elaborati prodotti. Questi servizi sono riservati, come è facilmente intuibile, ai tecnici abilitati oltre che professionalmente anche alla trasmissione in remoto di una pluralità di atti di aggiornamento. Trasmissione atti aggiornamento catasto fabbricati Con Provvedimento del 20 marzo 2007 [6] infatti il Direttore dell’Agenzia del Territorio ha attivato su tutto il territorio nazionale (escluse le province autonome di Trento e Bolzano aventi propria autonomia amministrativa catastale) la trasmissione telematica del modello unico informatico catastale (Docfa). I soggetti abilitati alla trasmissione, terminata la prima fase sperimentale con abilitazione a pochi soggetti, sono tutti i tecnici professionisti abilitati alla redazione degli atti di aggiornamento (dichiarazioni di nuove costruzioni e/o variazioni di unità esistenti). Il software Docfa è prelevabile, gratuitamente, dal sito dell’Agenzia del Territorio. Il professionista che vuole avvalersi di tale ausilio informatico deve prelevare, oltre al software vero e proprio, un archivio dati, specifico per ogni provincia, contenente le informazioni censuarie e toponomastiche dei comuni della provincia. La trasmissione avviene attraverso il portale Sister dell’Agenzia del Territorio (meglio descritto nel seguito). Qui si fa rilevare come il servizio, esteso recentemente a tutto il territorio nazionale, preveda preliminarmente che il tecnico oltre ad
Catasto e topografia essersi registrato ed avere ottenuto abilitazione e password, abbia anche costituito un deposito in denaro presso il conto corrente postale intestato all’Ufficio Provinciale dell’Agenzia del Territorio competente alla riscossione dei tributi. Inoltre il professionista dovrà conservare per almeno cinque anni copia cartacea della documentazione prodotta ed inoltrata completa delle firme del tecnico e dei soggetti obbligati. Trasmissione atti aggiornamento cartografico Gli atti di aggiornamento cartografico vengono redatti dai professionisti nell’ambito di attività relative a frazionamenti e/o accorpamenti di particelle del catasto terreno e per l’inserimento in mappa di nuove costruzioni. Il software che l’Agenzia del Territorio mette a disposizione dei tecnici professionisti è denominato Pregeo, giunto ormai alla nona versione. Gioverà ricordare che la banca dati catastale, nei riguardi della cartografia, conta oltre 300 mila fogli di mappa ed 80 milioni di particelle. Questa enorme massa viene ulteriormente incrementata, ogni anno, dalla presentazione di circa 500 mila richieste di aggiornamento cartografico. Pregeo è prelevabile dal sito dell’Agenzia del Territorio, gratuitamente, così come gli archivi delle mutue distanze e dei punti fiduciali. Anche gli atti di aggiornamento cartografico prodotti con tale strumento di ausilio sono inviabili in via telematica, al solito per il tramite del portale Sister, al compente Ufficio Provinciale dell’Agenzia del Territorio. In questa sede giova unicamente rilevare come il fatto di potere trasmettere telematicamente il documento di aggiornamento cartografico non esime dall’obbligo del deposito dello stesso, quando richiesto dalla normativa, al Comune di competenza. Al fine di facilitare ulteriormente l’utenza, è allo studio la modalità di attivazione dell’interscambio tra Agenzia del Territorio e Comuni. A regime ciò consentirà all’Agenzia di inoltrare al Comune competente l’atto di aggiornamento e di approvarlo ed inserirlo in banca dati una volta accertata la corretta ricezione ed approvazione da parte del Comune. SISTER Sistema Inter Scambio Territorio costituisce la porta di accesso del tecnico professionista non solo alle banche dati dell’Agenzia del Territorio, siano esse catastali che ipotecarie, ma anche, come visto, ad una pluralità di servizi inerenti la presentazione di documenti, i servizi di supporto e quelli catastali. A decorrere dal 1 gennaio 2008 la possibilità di accedere al Sister sarà enormemente facilitata infatti, da tale data e conformemente al disposto di [7], decorrerà la nuova disciplina relativa alle convenzioni, con professionisti ed enti, per l’accesso alle banche dati catastali ed ipotecarie. La disciplina attuale prevede, come è noto, la classificazione degli utenti secondo due differenti tipologie (A: amministrazioni pubbliche ed enti istituzionale; B: enti privati, professionisti o categorie professionali) nonché la corresponsione di un canone annuo di importo variabile a seconda della tipologia di utente e comunque compreso tra i 1.140 ed i 2.366 €. La nuova disciplina prevede, invece, l’abolizione del canone annuo ed il versamento, una tantum, della somma di 200 € a titolo di rimborso spese oltre che della somma di 30 € annuali per ogni password utilizzata. Con modalità telematiche verrà sia stipulata la convenzione con l’Agenzia del territorio, utilizzando lo schema allegato al
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Catasto e topografia decreto [7] che effettuati i versamenti richiesti (rimborso spese, contributi per le password e tasse ipotecarie) per l’erogazione dei vari servizi. L’accesso al sistema avviene o in un click dalla home page dell’Agenzia del Territorio oppure, direttamente, dall’URL (Uniform Reseource Locator: formato standard per identificare una risorsa Internet accessibile tramite World Wide Web): http://sister.agenziaterritorio.it/.
n. 3-4/ 2007 debbano programmare le loro attività nell’arco della giornata lavorativa riducendo, al limite eliminando, i tempi di attesa. In funzione del numero di pratiche DOCFA e/o PREGEO che il professionista intende presentare può prenotare appuntamenti singoli, doppi o tripli.
Accesso alla procedura prenotazione/disdetta appuntamento
Home page dell’accesso a SISTER
SISTER si presenta quindi come un sistema molto avanzato ed economicamente accessibile ad una vasta categoria di tecnici professionisti che vedranno facilitato enormemente il loro lavoro una volta eliminata la necessità di effettuare frequenti accessi agli uffici catastali ed ipotecari. Archivi TAF e mutue distanze Come è noto, i punti fiduciali sono dati da quei particolari topografici identificati in maniera univoca e di coordinate note. Vengono utilizzati come riferimento per le misurazioni in campagna relative alle operazioni di aggiornamento cartografico. In altri termini ai punti fiduciali viene appoggiato il rilievo di dettaglio effettuato dal tecnico professionista. Dalla home page dell’Agenzia del Territorio è possibile prelevare i file contenenti le monografie dei punti fiduciali, il file TAF (tabella attuale dei punti fiduciali) ricadenti nell’ambito di un comune ed il file DIS (mutue distanze dei punti fiduciali). Da segnalare la possibilità di importare il file TAF nell’ambito della procedura PREGEO con possibilità di selezionare i punti fiduciali che si vuole utilizzare. Prenotazione appuntamenti Nell’ambito dei servizi telematici, rientra anche la possibilità di effettuare prenotazioni on line per accedere in ben precise ore agli uffici dell’Agenzia del Territorio. Il servizio, entrato in funzione dal 14 febbraio c.a., permette al professionista che debba presentare manualmente pratiche DOCFA o PREGEO ad un Ufficio Provinciale, di prenotare on line l’appuntamento per la presentazione. Il servizio si rivela particolarmente utile per i tecnici che
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L’accesso al servizio prevede che il professionista fornisca, per il tramite di una scheda di prenotazione, nome, cognome, codice fiscale, albo/ordine di appartenenza e numero di iscrizione, indirizzo di posta elettronica ed un numero di telefono. Dovrà essere indicato, inoltre, il servizio per il quale ci si intende prenotare e scegliere il giorno e l’orario dall’elenco delle disponibilità. Al termine della prenotazione, il sistema provvederà ad inoltrare, all’indirizzo di posta elettronica indicato dal professionista, un messaggio contenente il riepilogo dei dati inseriti. Il professionista potrà presentarsi all’ufficio munito della stampa del resoconto oppure, più semplicemente, del numero di prenotazione rilasciato dal sistema medesimo. Bibliografia e webgrafia [1] Sito web dell’Agenzia del Territorio: http:/‘/www. agenziaterritorio. gov. it/ [2] Sito web delle Poste Italiane: http://poste.it [3] Sito web dell’Agenzia delle Entrate http://fisconline. agenziaentrate. gov. it/ [4] Sito web sviluppato da utilizzatori dei software di ausilio dell’Agenzia del Territorio http://www.pregeo.it/ [5] Decreto Legge 3 ottobre 2006 n. 262 (GU 3.10.2006 n. 230) riportato in BLT 11/2006 pag. 879. [6] Provvedimento Agenzia del Territorio del 20 marzo 2007 (GU 2.04.2007 n. 77) in BLT 5/2007 pag. 440. [7] Decreto 4 maggio 2007 (GU 10.05.2007 n. 107) in BLT 6/2007. [8] Provvedimento Agenzia del Territorio 12.10.2006 (GU 10.10.2006 n. 243) in BLT 11/2006. [9] G. di Gennaro - L’accertamento ed il classamento delle unità immobiliari urbane - Quaderni di Legislazione Tecnica 1/2006 pag. 5-15. «Quaderni di legislazione tecnica»
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BANCHE DATI IPOCATASTALI ON LINE PER CHIUNQUE di Franco Guazzone
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uovo decisivo miglioramento nei rapporti fra cittadini e Pubblica amministrazione con l’entrata in vigore del decreto 4 maggio 2007 dell’Agenzia del territorio (a pag. 1186), attuativo delle disposizioni previste dall’art 1, comma 5, del D.L. 2/2006, convertito dalla legge 81/2006, che ha disposto l’accesso via web ai dati censuari e pubblicistici, per qualunque utente, cittadino, professionista, società, ente o associazione, semplificando al massimo le procedure e riducendo gli oneri. Si tratta di un provvedimento che prevede tre forme di accesso, a seconda del tipo di informazioni che si intendono ottenere: la prima, più semplice, è in vigore dal 10 maggio; la seconda, più completa, è in vigore dal 1° giugno; mentre quella più complessa, adatta ai professionisti, andrà a regime dal 1° gennaio 2008.
Consultazione semplice di rendite e redditi catastali Dal 10 maggio scorso, attraverso il sito In ternet dell’Agenzia del territorio (www.agenziaterritorio.gov.it), cliccando su “Servizi per i cittadini”, è possibile accedere ai “Dati catastali on line”; questa procedura richiede prima di scegliere fra archivio dei fabbricati o dei terreni e poi consente “l’accesso al servizio”, previo inserimento del codice fiscale dell’utente, che porta a una schermata in cui si richiedono gli identificativi catastali del bene che interessa (comune di appartenenza, sezione se esistente, numero del foglio, quello della particella e, infine, il subalterno se esistente). Eseguito correttamente il percorso richiesto, se si tratta di fabbricato, appariranno i dati toponomastici, la categoria, la classe, la consistenza e la rendita in euro e in lire, mentre, nel caso di terreni, appariranno la superficie in ettari, la qualità e la classe di merito, quindi il reddito dominicale e quello agrario. Questo tipo di consultazione non fornisce altre informazioni, quali per esempio gli intestatari, ed è quindi fruibile specialmente ai fini della compilazione delle dichiarazioni dei redditi, da parte dei CAF o intermediari professionisti incaricati o dello stesso proprietario. Ricordiamo comunque che, per i proprietari di terreni agricoli, di cui recentemente sono stati aggiornati gli estimi, a norma dell’art. 2, comma 36, del D.L. 262/2006, è attualmente disponibile sul predetto sito dell’Agenzia, cliccando alla voce “Servizi per il cittadino”, accedere a “variazioni colturali”, sempre indicando gli estremi identificativi catastali di ogni particella. Consultazione di beni immobili intestati a un soggetto Dal 1° giugno poi, previo accreditamento del richiedente attraverso il sistema di au tenticazione dell’Agenzia delle entrate “fisco on line”, è possibile ottenere l’elenco dei beni iscritti in catasto intestati a uno specifico soggetto, senza alcuna formalità, anche perché, come è noto, le consultazioni catastali sono gratuite (Ag. territorio, provv. 12 ottobre 2006). Per ottenere l’accreditamento è necessario entrare nel sito del-
l’Agenzia delle entrate, www.agenziaentrate.gov.it, cercare la voce “Servizi catastali”; cliccare su “On line ricerca dei dati catastali degli immobili” e in fondo cliccare su “accedi al servizio”, per andare alla pagina “Come registrarsi ai servizi Entratel o Fisconline”, che di conseguenza porta alla pagina di richiesta del codice PIN on line e quindi alla domanda di abilitazione. Nella schermata che segue è necessario indicare il tipo di utente fra persone fisiche, soggetti diversi dalle persone fisiche (so cietà, enti, banche, CAF, studi associati, sindacati ecc.); Organi costituzionali, regionali e Amministrazioni dello Stato; sog getti abilitati all’assistenza tecnica dinnanzi alle Commissioni tributarie, che non hanno requisiti per l’invio telematico delle dichiarazioni, per i quali è stato predisposto un modello di domanda per accedere alle banche dati del contenzioso tributario; produttori di software che, avendo frequentato corsi di formazione dell’Amministrazione finanziaria, possono richiedere l’accesso al servizio. Solo in alcuni casi, poi, devono essere allegati alla richiesta di abilitazione, in PDF, alcune documentazioni specifiche delle associazioni sindacali abilitate all’assistenza CAF, l’elenco dei soggetti delegati per le banche e le Poste Italiane e, infine, il rappresentante legale o negoziale, che incarica un dipendente della società per il servizio. Compilata correttamente la domanda di registrazione, viene immediatamente rilasciata dall’Agenzia la prima parte del PIN di 4 numeri, nonché il numero della domanda di abilitazione; nei seguenti 15 giorni, l’Amministrazione invierà una lettera al richiedente, con l’indicazione della secon da parte, per completare il PINCODE. Consultazioni ipotecarie In possesso del codice d’accesso, in via sperimentale tramite il servizio “Porta dei Pagamenti” di Poste Italiane S.p.a., è possibile effettuare un deposito di anticipazione delle tasse ipotecarie, per la consultazione dei dati on line, tenendo conto che gli importi dovuti, indicati nella Tabella allegata al D.P.R. 347 del 31 ottobre 1990, saranno aumentati del 50%. A titolo informativo, le tasse ipotecarie più richieste vanno da 4 a 6 euro per nominativo o nota, mentre in caso di ricerca in ambito nazionale, per ogni nominativo, il co sto è di 20 euro, importi sui quali viene calcolata la maggiorazione del 50%, onere modesto se si pensa che la ricerca fatta dal proprio computer evita le perdite di tempo per recarsi agli Uffici abilitati. Consultazioni professionali Dal 1° gennaio 2008 sarà, infine, rivoluzionata la normativa per i notai, i professionisti in genere e gli enti, che da questa data vedranno aboliti i pesanti canoni annui attuali (1.140 euro per i notai, 1.183 euro per gli enti e 2.366 euro per i professionisti), in quanto i loro collegamenti con le banche dati
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Catasto e topografia saranno regolati da nuove convenzioni, stipulate per via telematica direttamente con l’Agenzia del territorio, sulla base dello schema allegato B al decreto e alle condizioni previste dagli allegati A1 per l’archivio catastale e A2 per quello ipotecario. In base alle nuove convenzioni, della durata di 3 anni con tacito rinnovo alla scadenza, gli utenti dovranno versare, una tantum, la somma di 200 euro, al momen to dell’attivazione del servizio e dell’assegnazione del PINCODE parte prima e seconda, oltre ai quali saranno dovuti solo 30 euro annui, per ogni singola password rilasciata. Stipulata la convenzione e attivato il servizio, tutte le visure catastali saranno gratuite (visura per nominativo o immobile, attuale o storica, elenco immobili, estratto di mappa, elaborato planimetrico, libretto misure per atto di aggiornamento geome trico, monografia di punto fiduciale e rela tivo elenco delle coordinate), con esclusione della visura di planimetrie che è possibile richiedere solo agli uffici del Territorio o al comune, con autorizzazione sottoscritta e autenticata del proprietario. Le visure ipotecarie, invece, sconteranno le tasse sopra indicate e versate mediante anticipazione di somme sul conto postale unico nazionale del Territorio, per via te lematica. L’Agenzia si riserva il diritto di stipulare speciali convenzioni con altri enti pubblici e con quelli rappresentativi di categorie professionali o associazioni sindacali. Considerazioni conclusive Si tratta di un provvedimento molto positivo, messo a punto dopo lunghi studi dalla Sogei, di cui è doveroso dare merito all’Agenzia del territorio, che semplifica e rende disponibile i dati catastali e pubblicistici a qualunque utente, alla sola condizione di possedere un computer, senza l’obbligo di recarsi presso gli Uffici del territorio o presso i comuni, dove le attese per i servizi e le code sono tuttora la regola.
n. 3-4/ 2007 Accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale Agenzia del territorio - Decreto 4.5.2007 (G.U. 107, 10.5.2007) CAPO I – DISPOSIZIONI GENERALI Art. 1 - Accesso telematico alle banche dati ipotecaria e catastale 1. L’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale è consentito a chiunque con accesso diretto o su base convenzionale, nel rispetto della normativa vigente, anche in tema di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali, secondo le modalità previste nei seguenti Capi. 2. La consultazione telematica della banca dati ipotecaria effettuata in esenzione da tributi, in virtù di espressa disposizione di legge, è consentita esclusivamente su base convenzionale. CAPO II – ACCESSO TELEMATICO DIRETTO Art. 2 - Informazioni catastali censuarie 1. L’Agenzia del territorio rende disponibili, sul proprio sito internet, le sole informazioni relative al classamento e alla rendita degli immobili, individuati esclusivamente tramite gli estremi di identificazione catastale. Art. 3 - Consultazione telematica ipotecaria e catastale1. Dal 1° giugno 2007, l’accesso diretto al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione della banca dati ipotecaria è consentito, in via sperimentale, previa registrazione del richiedente tramite il servizio “Porta dei pagamenti” di Poste italiane S.p.a., con il pagamento telematico delle tasse ipotecarie previste dalla normativa vigente per ogni con sultazione effettuata, aumentate del cinquanta per cento. Dal 1° giugno 2007, l’accesso diretto al sistema telemati-
Dati catastali on line: al via il servizio di ricerca per codice fiscale È attivo, a partire dal 1° giugno, il servizio telematico di ricerca attraverso il quale è possibile ottenere informazioni relative ai beni immobili situati sul territorio nazionale (escluse le province autonome di Trento e Bolzano), indicando il codice fiscale di un soggetto che sia presente come intestatario nella banca dati catastale oltre alla provincia e al comune catastale dove si vuole eseguire la ricerca. Il nuovo servizio si aggiunge a quello già disponibile dallo scorso 10 maggio, che consente di consultare, attraverso il sito Internet dell’Agenzia del Territorio, direttamente e gratuitamente, le informazioni catastali relative al classamento e alla rendita degli immobili, indicando esclusivamente gli estremi di identificazione catastale (foglio, particella e subalterno). Come funziona la ricerca - La consultazione per codice fiscale dell’intestatario è possibile sia dal sito Internet dell’Agenzia del territorio (dalla pagina Servizi per i cittadini - “Dati catastali on line”) sia da quella dell’Agenzia delle entrate (dalla pagina Servizi –“Servizi catastali”). La ricerca, limitata per il momento alle sole persone fisiche, prevede una procedura di riconoscimento dell’utente attraverso il sistema di autenticazione per i servizi telematici predisposto dall’Agenzia delle entrate. In pratica, effettuata la registrazione si accede al servizio indicando il codice PIN assegnato. Dati disponili on line - Il servizio fornisce informazioni che riguardano: gli elementi anagrafici del soggetto intestatario dell’immobile; gli identificativi catastali degli immobili intestati al soggetto; i dati relativi alla titolarità ed alla relativa quota di diritto; la rendita catastale e l’ubicazione per gli immobili censiti nel catasto dei fabbricati; i redditi dominicale e agrario per gli immobili censiti al catasto terreni. I dati rilasciati sono relativi esclusivamente ad atti catastali informatizzati e a beni immobili per i quali il codice fiscale utilizzato per la ricerca corrisponda a quello dell’intestatario registrato negli archivi catastali. Nel caso in cui vengano riscontrate incongruenze o errori nelle informazioni presenti negli archivi catastali è possibile rivolgersi al Contact Center dell’Agenzia del territorio, che consente di presentare via Web, per alcune tipologie di errore previste, richieste di rettifica dei dati catastali, oppure agli Uffici Provinciali dell’Agenzia del territorio per richiedere informazioni e chiarimenti sulle modalità da seguire per l’eventuale richiesta di rettifica o correzione dei dati catastali e sulla documentazione necessaria. Maggiori chiarimenti sul servizio e sui termini tecnici sono contenuti nella pagina informativa presente nei siti www.agenziaterritorio.gov.it e www.agenziaentrate.gov.it.
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n. 3-4/2007 co dell’Agenzia del territorio per la consultazione della banca dati catastale è consentito, in via sperimentale, previo accreditamento del richiedente con le modalità previste per i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate. L’accesso è disciplinato dalle condizioni generali, di cui agli allegati A1 e A2 al presente decreto, del quale costituiscono parte integrante, che dovranno essere accettate all’atto della richiesta di consultazione. Art. 4 - Inibizione all’accesso telematico 1. La violazione degli obblighi di cui al presente decreto e delle obbligazioni assunte con l’accettazione delle condizioni generali comporta l’inibizione all’accesso telematico. CAPO III – ACCESSO TELEMATICO SU BASE CONVENZIONALE Art. 5 - Disciplina convenzionale 1. Dal 1° gennaio 2008 l’accesso telematico alle banche dati ipotecaria e catastale su base convenzionale è consentito dall’Agenzia del territorio, su istanza di parte, mediante la stipulazione di apposita convenzione, conforme allo schema di cui all’allegato B al presente decreto, del quale costituisce parte integrante, secondo le disposizioni di cui al presente Capo. Art. 6 - Durata della convenzione 1. La convenzione ha durata triennale, con tacito rinnovo alla scadenza, salvo disdetta da comunicarsi con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro sessanta giorni dalla scadenza. 2. Le parti possono inoltre recedere dalla convenzione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento da inviare alla controparte con sessanta giorni di preavviso. Art. 7 - Importi dovuti 1. Fatto salvo quanto previsto in materia di riutilizzazione commerciale dei dati catastali ed ipotecari, per l’accesso alle banche dati ipotecaria e catastale su base convenzionale è previsto il pagamento: a) dell’importo di Euro 200,00, da corrispondere una tantum, a titolo di rimborso delle spese amministrative connesse alla convenzione; b) dell’importo di Euro 30,00 da corrispondere annualmente, per ogni password resa disponibile all’utente nell’anno solare, a titolo di contributo per le spese sostenute per l’implementazione e la gestione dei sistemi informatici; c) delle tasse ipotecarie previste dalla normativa vigente per ogni consultazione ipotecaria effettuata. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio gli importi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 sono aggiornati periodicamente, con cadenza almeno triennale, sulla base delle intervenute variazioni dei costi per la gestione del servizio. Le spese della convenzione sono ad esclusivo carico del richiedente. Art. 8 - Convenzioni speciali 1. L’Agenzia del territorio può stipulare convenzioni speciali, anche in deroga alle disposizioni del presente Capo, con le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. 2. L’Agenzia del territorio può stipulare convenzioni speciali con altri enti pubblici, nonché con enti rappresentativi di categorie professionali. Art. 9 - Sportelli catastali decentrati 1. Le disposizioni di cui al presente decreto non si appli-
Catasto e topografia cano alle convenzioni speciali di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 6 settembre 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 9 settembre 2005. Art. 10- Risoluzione della convenzione 1. La violazione degli obblighi di cui al presente decreto e delle obbligazioni assunte con la convenzione comporta l’immediata risoluzione della convenzione stessa, con con seguente inibizione all’accesso al servizio. Art. 11 - orma transitoria 1. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 9, tutte le convenzioni stipulate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1991, n. 305, e del decreto ministeriale 10 ottobre 1992 e relativi provvedimenti di attuazione, mantengono la loro validità fino al 31 dicembre 2007. CAPO IV – DISPOSIZIONI COMUNI Art. 12 - Modalità di pagamento 1. Gli importi di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 7, sono versati contestualmente all’attivazione del servizio da parte dell’utente, con le modalità indicate nella convenzione. Gli importi di cui alla lettera b) del comma 1 dell’art. 7 sono dovuti per anno o frazione di anno solare e sono versati contestualmente all’attivazione del servizio e, successivamente, entro il 31 gennaio di ciascun anno, con le modalità indicate nella convenzione. Le tasse ipotecarie di cui all’art. 3, comma 1, e di cui all’art. 7, comma 1, lettera c), sono versate anticipatamente con modalità telematiche sul conto corrente postale unico a livello nazionale di cui al provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 2 marzo 2007. Le somme così riscosse sono riversate dall’agente contabile per le riscossioni telematiche alla Tesoreria centrale dello Stato ed agli Istituti tesorieri delle regioni Sicilia e Sardegna, per la quota di pertinenza delle stesse regioni, entro il terzo giorno lavorativo successivo a quello della riscossione. Art. 13 - Gestione sistemi informativi 1. L’Agenzia del territorio ha l’esclusiva competenza di definire o modificare i sistemi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed organizzazione dei dati, nonché di gestire le informazioni memorizzate, ferma rimanendo la piena titolarità delle informazioni stesse in capo all’amministrazione finanziaria. 2. L’Agenzia del territorio ha inoltre la facoltà di variare la base informativa in relazione alle esigenze isti tuzionali, a quelle strutturali ed alle innovazioni tecniche relative al proprio sistema informativo. Nessuna responsabilità deriva all’Agenzia del territorio per danni di qualsiasi natura, diretti ed indiretti, per le varia zioni suddette, né per eventuali sospensioni od interruzioni del servizio. Art. 14 - Utilizzazione dei dati 1. I dati acquisiti per via telematica ai sensi del presente decreto posso no essere utilizzati esclusivamente per i fini consentiti dalla legge e nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali, nonché in materia di riutilizzazione commerciale dei dati e delle informazioni ipotecari e catastali. CAPO V – DISPOSIZIONI FINALI Art. 15 - Pubblicazione 1. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana ed entra in vigore il giorno della sua pubblicazione.
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Catasto e topografia Allegato A1 Condizioni generali per l’accesso diretto ai servizi telematici di consultazione della banca dati catastale, ai sensi dell’art. 3 del decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 Art. 1 - Oggetto - L’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione della banca dati catastale è consentito alle condizioni e nei termini di cui agli articoli seguenti, che il richiedente dichiara di accettare integralmente. Art. 2 - Registrazione dei dati dell’utente - La consultazione telematica della banca dati catastale avviene previo accreditamento del richiedente, con le modalità previste per i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate. Art. 3 - Tributi dovuti- La consultazione della banca dati catastale non è soggetta al pagamento di tributi. Art. 4 - Utilizzazione dei dati L’utente s’impegna ad utilizzare le informazioni assunte e i documenti ottenuti esclusivamente per i fini consentiti dalla legge, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali nonché in materia di riutilizzazione commerciale dei dati catastali. A tal fine l’utente dichiara di non essere riutilizzatore commerciale. L’utente, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 196/2003 è responsabile dell’uso improprio od eccessivo delle informazioni acquisite a seguito dell’accesso alla banca dati. Art. 5 - Inibizione all’accesso - La violazione degli obblighi di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 e degli obblighi assunti con l’accettazione delle presenti condizioni generali comporta l’inibizione all’accesso telematico. Art. 6 - Gestione dei sistemi informativi L’Agenzia del territorio ha l’esclusiva competenza a definire o modificare i siste mi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed organizzazione dei dati, nonché di gestire le informazioni memorizzate, ferma restando la piena titolarità delle informazioni stesse in capo all’amministrazione finanziaria. Ha, altresì, l’assoluta facoltà di variare la base informativa in relazione alle proprie esigenze istituzionali e strutturali ed alle innovazioni tecniche relative al proprio sistema informatico. Nessuna responsabilità potrà gravare sull’Agenzia del territorio per danni di qualsiasi natura, diretti ed indiretti, per le suddette variazioni, né per eventuali sospensioni od interruzioni del servizio. L’utente prende atto che, in relazione alla capacità elaborativa del sistema ed alle esigenze del servizio, l’Agenzia del territorio si riserva di introdurre limiti al numero di interrogazioni giornaliere per ogni singolo utente. Art. 7 - Tutela dei dati personali - Ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), i dati comunicati dall’utente in sede di registrazione formano oggetto di trattamento da parte dell’Agenzia del territorio, nel rispetto della normativa citata. I dati verranno trattati in adempimento degli obblighi legali ed il trattamento è effettuato, anche attraverso l’ausilio di strumenti elettronici. Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 196/2003, si evidenzia che il trattamento dei dati da parte dell’Agenzia del territorio è essenziale per l’adempimento degli obblighi di legge e per l’esecuzione del servizio e che, pertanto, il mancato consenso al trattamento
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n. 3-4/ 2007 dei dati impedisce l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto con l’Agenzia stessa. I dati verranno comunicati a terzi esclusivamente in adempimento di specifici obblighi di legge, ovvero qualora tale comunicazione risulti necessaria o funzionale alla gestione del servizio. “Titolare” del trattamento dei dati è l’Agenzia del territorio con sede in Roma, Largo Leopardi n. 5 - c.a.p. 00185. “Responsabile” del trattamento è il responsabile della Direzione centrale organizzazione e sistemi informativi dell’Agenzia del territorio. Spettano all’utente gli specifici diritti di garanzia indicati nell’art. 7 del decreto legislativo n. 196/2003. Art. 8 - Clausola di salvaguardia - Per quanto non previsto dalle presenti condizioni generali si applicano le disposizioni di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007. Allegato A2 Condizioni generali per l’accesso diretto ai servizi telematici di consultazione della banca dati ipotecaria, ai sensi dell’art. 3 del decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 Art. 1 - Oggetto - L’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione della banca dati ipotecaria è consentito alle condizioni e nei termini di cui agli articoli seguenti, che il richiedente dichiara di accettare integralmente. Art. 2 - Registrazione dei dati dell’utente - La consultazione telematica della banca dati ipotecaria avviene previa registrazione del richiedente tramite il servizio “Porta dei pagamenti” di Poste italiane S.p.A. Art. 3 - Tasse ipotecarie- La consultazione della banca dati ipotecaria è consentita previo pagamento delle tasse ipotecarie previste dalla normativa vigente per ogni consultazione effettuata, aumentate del cinquanta per cento, come da apposito listino. Gli importi di cui al periodo precedente sono versati dall’Utente con modalità telematiche, attraverso la “Porta dei pagamenti” di cui all’art. 2, sul conto corrente postale unico a livello nazionale dell’Agenzia del territorio secondo le modalità indicate che il richiedente dichiara di aver consultato e di accettare integralmente. L’Agenzia del territorio rilascia apposita ricevuta delle tasse ipotecarie versate per i servizi richiesti. Art. 4 - Utilizzazione dei dati - L’utente s’impegna ad utilizzare le informazioni assunte e i documenti ottenuti esclusivamente per i fini consentiti dalla legge, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali nonché in materia di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari. A tal fine l’utente dichiara di non essere riutilizzatore commerciale. L’utente, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 196/2003 è responsabile dell’uso improprio od eccessivo delle informazioni acquisite a seguito dell’accesso alla banca dati. Art. 5 - Inibizione all’accesso - La violazione degli obblighi di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 e degli obblighi assunti con l’accettazione delle presenti condizioni generali comporta l’inibizione all’accesso telematico.
n. 3-4/2007 Art. 6 - Gestione dei sistemi informativi- L’agenzia del territorio ha l’esclusiva competenza a definire o modificare i sistemi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed organizzazione dei dati, nonché di gestire le informazioni memorizzate, ferma restando la piena titolarità delle informazioni stesse in capo all’amministrazione finanziaria. Ha, altresì, l’assoluta fa coltà di variare la base informativa in relazione alle proprie esigenze istituzionali e strutturali ed alle innovazioni tecniche relative al proprio sistema informatico. Nessuna responsabilità potrà gravare sull’Agenzia del territorio per danni di qualsiasi natura, diretti ed indiretti, per le suddette variazioni, né per eventuali sospensioni od interruzioni del servizio. L’utente prende atto che, in relazione alla capacità elaborativa del sistema ed alle esigenze del servizio, l’Agenzia del territorio si riserva di introdurre limiti al numero di interrogazioni giornaliere per ogni singolo utente. Art. 7 - Tutela dei dati personali - Ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), i dati comunicati dall’utente in sede di registrazione formano oggetto di trattamento da parte dell’Agenzia del territorio, nel rispetto della normativa citata. I dati verranno trattati in adempimento degli obblighi legali ed il trattamento è effettuato, anche attraverso l’ausilio di strumenti elettronici. Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 196/2003, si evidenzia che il trattamento dei dati da parte dell’Agenzia del territorio è essenziale per l’adempimento degli obblighi di legge e per l’esecuzione del servizio e che, pertanto, il mancato consenso al trattamento dei dati impedisce l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto con l’Agenzia stessa. I dati verranno comunicati a terzi esclusivamente in adempimento di specifici obblighi di legge, ovvero qualora tale comunicazione risulti necessaria o funzionale alla gestione del servizio. “Titolare” del trattamento dei dati è l’Agenzia del territorio con sede in Roma, Largo Leopardi n. 5 - c.a.p. 00185. “Responsabile” del trattamento è il responsabile della Direzione centrale organizzazione e sistemi informativi dell’Agenzia del territorio. Spettano all’utente gli specifici diritti di garanzia indicati nell’art. 7 del decreto legislativo n. 196/2003. Art. 8 - Clausola di salvaguardia - Per quanto non previsto dalle presenti condizioni generali si applicano le disposizioni di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007. Allegato B Convenzione per l’accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale tra l’Agenzia del territorio, con sede in Roma - Largo Leopardi n. 5 - rappresentata dal ………. di seguito denominata “Agenzia” e .... CF/PI: .... con residenza/sede in .... rappresentato da .... in qualità di .... di seguito denominato “Utente” Premesso: che l’art. 1, comma 5, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, stabilisce che “l’accesso ai servizi di consultazione te lematica ipotecaria e catastale è consentito a chiunque in
Catasto e topografia rispetto della normativa vigente in tema di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali, su base convenzionale ”, rimandando ad appositi decreti del direttore dell’Agenzia del territorio la definizione delle modalità attuative dell’accesso medesimo; che con decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 sono state stabilite le modalità di accesso al sistema telematico dell’Agenzia del territorio per la consultazione delle banche dati ipotecaria e catastale; che l’utente ha richiesto di essere abilitato a collegarsi al sistema informativo dell’Agenzia per l’accesso al servizio di consultazione telematica della banca dati: - ipotecaria; - catastale. Tutto ciò premesso, si conviene e si stipula quanto segue. Art. 1 - Oggetto - L’utente è abilitato a collegarsi al sistema elettronico dell’Agenzia al fine di accedere al servizio di consultazione telematica della banca dati ipotecaria e/o della banca dati catastale. Art. 2 - Importi dovuti- L’attivazione del servizio è subordinata al versamento una tantum, a titolo di rimborso delle spese amministrative connesse alla convenzione, dell’importo di euro 200,00. Contestualmente all’attivazione del servizio ed entro il 31 gennaio di ciascun anno successivo, l’utente è inoltre tenuto a corrispondere, per ogni password resa disponibile all’utente nell’anno solare, l’importo di euro 30,00 a titolo di contributo annuale per le spese sostenute per l’implementazione e la gestione dei sistemi informatici. Gli importi di cui ai commi precedenti, che potranno essere oggetto di aggiornamento periodico ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007, sono versati dall’utente su apposito conto corrente intestato all’Agenzia del territorio con modalità telematiche, attraverso il portale dell’Agenzia. L’utente del servizio di consultazione della banca dati ipotecaria si impegna a versare preventivamente, con modalità telematiche sul conto corrente postale unico a livello nazionale intestato all’Agenzia, ai sensi del provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio 2 marzo 2007, le somme per il pagamento anticipato delle tasse ipotecarie dovute. Sulle somme versate non sono dovuti interessi. Al momento della richiesta di erogazione del servizio, la somma dovuta per il pagamento dei relativi tributi viene detratta dall’importo reso disponibile all’utente sul conto corrente unico nazionale. Qualora l’importo reso disponibile all’utente non sia sufficiente ad effettuare il pagamento dei tributi dovuti, l’Agenzia non procede all’erogazione del servizio. L’Agenzia abiliterà l’utente ad una funzione di consultazione telematica mediante la quale potrà prendere visione dei versamenti effettuati. Art. 3 - Utilizzazione dei dati ed obblighi di tutela dei dati personali- L’utente s’impegna ad utilizzare le informazioni assunte e i documenti ottenuti per fini consentiti dalla legge, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente in materia di protezione dei dati personali ed in tema di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali. In particolare l’utente si impegna ad adottare le misure organizzative, fisiche e logiche di cui al decreto legislativo n. 196/2003 e del
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Catasto e topografia relativo disciplinare tecnico, necessarie ad assicurare il corretto trattamento dei dati acquisiti in ragione della presente convenzione rispondendo dell’operato dei propri dipendenti, incaricati e collaboratori. Art. 4 - Gestione dei sistemi informativi - L’Agenzia ha l’esclusiva competenza a definire o modificare i sistemi di elaborazione, ricerca, rappresentazione ed organizzazione dei dati, nonché di gestire le informazioni memorizzate, ferma restando la piena titolarità delle informazioni stesse in capo all’amministrazione finanziaria. Ha, altresì, l’assoluta facoltà di variare la base informativa in relazione alle proprie esigenze istituzionali e strutturali ed alle innovazioni tecniche relative al proprio sistema informatico. Nessuna responsabilità potrà gravare sull’Agenzia per danni di qualsiasi natura, diretti ed indiretti, per le suddette variazioni, né per eventuali sospensioni od interruzioni del servizio. L’utente prende atto che, in relazione alla capacità elaborativa del sistema ed alle esigenze del servizio, l’Agenzia si riserva di introdurre limiti al numero di interrogazioni giornaliere per ogni singolo utente. Art. 5 - Risoluzione della convenzione - La violazione degli obblighi di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007 e delle obbligazioni assunte con la presente convenzione ed in particolare l’inadempimento degli obblighi di cui all’art. 3 comporta l’immediata risoluzione della convenzione stessa e la disabilitazione dell’accesso al servizio. La risoluzione è comunicata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Art. 6 - Durata - La convenzione ha durata triennale, con tacito rinnovo alla scadenza, salvo disdetta da comunicarsi con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro sessanta giorni dalla scadenza. Le parti possono inoltre recedere dalla convenzione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento da inviare alla controparte con sessanta giorni di preavviso. Art. 7 - Restituzione di somme depositate e non utilizzate A seguito di risoluzione della convenzione o di recesso, l’utente può richiedere all’Agenzia la restituzione delle somme versate per il pagamento anticipato delle tasse ipotecarie,
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n. 3-4/ 2007 rese disponibili sul sistema telematico, ma ancora non utilizzate. Art. 8 - Clausola di salvaguardia- Per quanto non previsto dalla presente convenzione si applicano le disposizioni di cui al decreto del direttore dell’Agenzia del territorio 4 maggio 2007. Art. 9 - Foro competente - Il foro competente a risolvere qualsiasi controversia che possa sorgere tra l’Agenzia e l’utente direttamente od indirettamente connessa alla convenzione stessa, è quello di Roma. Art. 10- Tutela dei dati personali - Ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”), i dati comunicati dall’utente in sede di registrazione formano oggetto di trattamento da parte dell’Agenzia, nel rispetto della normativa citata. I dati verranno trattati in adempimento degli obblighi legali ed il trattamento è effettuato, anche attraverso l’ausilio di strumenti elettronici. Ai sensi dell’art. 13, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 196/2003, si evidenzia che il trattamento dei da ti da parte dell’Agenzia è essenziale per l’adempimento degli obblighi di legge e per l’esecuzione del servizio e che, pertanto, il mancato consenso al trattamento dei dati impedisce l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto con l’Agenzia stessa. I dati verranno comunicati a terzi esclusivamente in adempimento di specifici obblighi di legge, ovvero qualora tale comunicazione risulti necessaria o funzionale alla gestione del servizio. Art. 11- Comunicazioni - Tutte le comunicazioni e notifiche all’Agenzia connesse all’esecuzione della presente convenzione dovranno essere eseguite esclusivamente con lettera raccomandata con avviso di ricevimento. L’Agenzia ....................... L’Utente ....................... Ai sensi e per gli effetti dell’art. 1341 del codice civile l’utente approva specificamente i seguenti articoli 4, 5, 6 e 9. L’Utente …………………. «Consulente Immobiliare»
n. 3-4/2007
Catasto e topografia
EVOLUZIONE DELLE PROCEDURE DI AGGIORNAMENTO GEOMETRICO DEL CATASTO TERRENI di Salvatore Sandro Viscomi 1. Premessa Il processo evolutivo delle procedure catastali ha subito negli ultimi anni una rapida quanto mai utile accelerazione indotta principalmente dalla disponibilità di nuovi strumenti tecnologici oltre che dalla necessità di un adeguamento del livello dei servizi agli standard diffusi basati sull’informatizzazione dei processi e nella prospettiva di una gestione telematica dei flussi di aggiornamento delle banche dati passando necessariamente attraverso la completa digitalizzazione dei documenti e l’abbandono del supporto cartaceo. Tutte le novità finora introdotte nonché quelle che seguiranno nel prossimo futuro si muovono all’interno di un quadro legislativo che, oltre alle norme specificamente riferite all’amministrazione del catasto, rispondono alla necessità di ammodernamento della Pubblica Amministrazione recependo i dettami del Codice dell’Amministrazione digitale di cui al Decreto Legislativo del 7 marzo 2005, n. 82. Il Codice rende obbligatoria l’innovazione nella Pubblica Amministrazione garantendo ai cittadini il diritto di interagire con qualsiasi amministrazione attraverso Internet, posta elettronica e reti e stabilendo che tutte le amministrazioni devono organizzarsi in modo da rendere sempre disponibili tutte le informazioni in modalità digitale. La rivoluzione dei metodi di conservazione del catasto terreni inizia sul finire degli anni ‘80 con l’emanazione della Circolare n. 2 del 26.2.1988 che, sia pur a distanza di tempo, recepisce le norme dettate dal D.P.R. 650/72 che apre le porte alla meccanizzazione degli atti del catasto. Protagonista di questa prima fase di cambiamento è la procedura elaborativa Pregeo con la quale effettuare i calcoli sulle misure eseguite dai tecnici liberi professionisti e determinare le coordinate dei vertici dei confini da archiviare ai sensi dell’art. 10 del citato D.P.R. 650/72. Altro elemento fondamentale del processo è l’istituzione della rete dei punti fiduciali quale maglia di inquadramento alla quale riferire tutte le misure di aggiornamento e che rappresenta un’evoluzione rispetto ai punti di riferimento di cui all’art. 11 del D.P.R. 650/72. L’importanza della maglia dei punti fiduciali è inoltre riconducibile alla possibilità di una ricomposizione cartografica una volta acquisita una sufficiente quantità di dati e soprattutto di rendere ripetibili le misure allo scopo di consentire la ricostruzione nel tempo delle geometrie oggetto dei rilievi di aggiornamento. In definitiva l’obiettivo, nella fase iniziale, è la standardizzazione dei processi sia per quanto riguarda l’attività dei soggetti esterni sia con riferimento alle attività degli Uffici. 2. Piccolo Pregeo cresce Con l’emanazione della Circolare n. 2 del 26.2.1988 viene rilasciata la prima versione del software PreGeo (PREtrattamento atti GEOmetrici) distribuito gratuitamente agli ordini professionali e necessario per la predisposizione degli atti di aggiornamento secondo la nuova normativa.
In questa fase vengono sostanzialmente abbandonati i metodi fino ad allora utilizzati per la predisposizione degli atti che avevano carattere più marcatamente grafico e che possono essere sintetizzati nelle operazioni di aggiornamento manuale della mappa sulla base di: - rilievi per allineamenti e squadri in appoggio a particolari topocartografici stabili riportati nelle mappe di impianto; - rilievi per poligonazione utilizzando particolari topocartografici e vertici trigonometrici appartenenti a rete, sottorete e dettaglio ai fini del calcolo di apertura e chiusura a terra e della compensazione empirica delle poligonali. La nuova procedura, nell’ottica di standardizzare i metodi di produzione degli atti di aggiornamento, prevede la codifica delle misure eseguite sul terreno secondo tracciati predefiniti ed in funzione della metodologia utilizzata (celerimensura e/o misure per allineamenti e squadri). Il software, nella versione iniziale, è costituito da un serie di routine in ambiente DOS suddivise in due procedure (PREGEO e FIDUCIALI) e consente inserimento, elaborazione, gestione ed editing dei libretti delle misure; sono presenti inoltre un modulo grafico e funzioni di calcolo delle aree e di rototra-slazione delle coordinate oltre a funzioni di stampa, esportazione ed importazione dei libretti ed altre utility. Un’interessante novità introdotta da Pregeo è il metodo di trattamento dei dati. Si afferma infatti anche nel rilievo catastale il metodo di compensazione rigorosa ai minimi quadrati e si diffondono, tra i topografi catastali, termini quali scarto quadratico medio ed ellisse d’errore fino ad allora in uso solo agli specialisti oltre che in ambito geodetico. I nuovi algoritmi di calcolo applicano il metodo di compensazione detto delle osservazioni indirette o per variazione di coordinate. Tale metodo consiste in breve nella soluzione con procedimento iterativo, secondo il principio dei minimi quadrati, di un sistema di equazioni linearizzate che fornisce i valori più probabili delle coordinate dei punti oltre alla matrice di varianza-covarianza. Nel corso dell’anno 1992, introdotta dalla Circolare n. 2 del 13.1.1992, viene rilasciata la versione Pregeo 7.00 che presenta come novità l’introduzione di un modello meccanizzato che sintetizza i modelli cartacei 51-Ftp e 3/SPC oltre ad una tabella di variazione e che consente l’aggiornamento della banca dati amministrativocensuaria in modo del tutto automatico e contestualmente all’approvazione del tipo di aggiornamento. Con la versione 7.50, che non presenta novità sul piano della predisposizione degli atti di aggiornamento, il software fa il suo ingresso nell’ambiente Windows. Novità sostanziali vengono invece introdotte con la successiva versione Pregeo 8 approvata sul finire dell’anno 2003 e rilasciata su tutto il territorio nazionale secondo un programma prestabilito della durata di un anno. Pregeo 8 viene presentato come una vera rivoluzione principalmente perché:
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Catasto e topografia - viene reso obbligatorio il rilievo al-timetrico ai fini dell’acquisizione dei dislivelli tra i punti fiduciali ed alcuni vertici significativi del rilievo di dettaglio dando cosi concreta attuazione alle disposizioni del D.M. 2.1. 1998 n. 28 che all’art. 2 prevede la presenza dell’altimetria nelle mappe catastali; - viene implementato il calcolo dei dati derivanti dal rilievo eseguito con strumentazione GPS in considerazione della diffusione della metodologia satellitare anche nella topografia del vicino oltre che per la realizzazione delle reti di inquadramento ; - viene implementata una procedura per la redazione della proposta di aggiornamento cartografico che rappresenta la versione digitale del documento cartaceo mod. 51. Questa versione rappresenta un passo importante verso la completa automazione dei metodi di aggiornamento del catasto terreni e va ad inserirsi in un nuovo contesto di cartografia digitale che, per quanto riguarda il lavoro degli Uffici, era già stato predisposto nel corso dell’anno 2002 come si dirà di seguito. La procedura in sostanza consente ora al tecnico redattore di operare su estratti di mappa digitali rilasciati dagli Uffici o autoallestiti sui quali introdurre, sempre in forma digitale, la nuova geometria con il risultato di rendere la fase di aggiornamento cartografico il più possibile automatica e soprattutto in tempo reale agevolando molto il lavoro degli operatori addetti all’approvazione degli atti. Il 2006 è l’anno della dematerializzazione degli atti di aggiornamento. Così viene infatti presentata la procedura Pregeo 9 approvata con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio in data 23 febbraio 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1/3/2006. La novità introdotta dal provvedimento e dalla nuova procedura consiste sostanzialmente nella sostituzione di tutta la modulistica in uso con i modelli che è ora possibile produrre all’interno della stessa procedura Pregeo. Il software infatti, attraverso l’inserimento di una serie di informazioni aggiuntive oltre a quelle già previste, genera dei file in formato PDF (Portable Document Format) che contengono tutti i dati censuari e geometrici prima prodotti attraverso la compilazione dei diversi modelli cartacei (Mod. 51, Mod. 51-Ftp, Mod. 3/SPC). Materialmente l’atto è ora costituito unicamente dai modelli ottenuti a stampa dal programma Pregeo 9 analogamente a quanto da tempo avviene per il catasto dei fabbricati con la relativa procedura DocFa. 3. L’automazione dell’aggiornamento cartografico Parallelamente allo sviluppo della procedura Pregeo, che consente la creazione di archivi in forma numerica di tutti gli atti di aggiornamento, si è assistito nel tempo all’introduzione di un nuovo sistema di gestione della cartografia catastale frutto di un processo di informatizzazione iniziato, in via sperimentale, agli inizi degli anni Ottanta. Il consistente patrimonio cartografico (circa 300.000 fogli di mappa) è stato acquisito, parte in forma vettoriale e parte nel modello dati raster attraverso: - l’esecuzione di appalti gestiti dal partner tecnologico SOGEI; - le attività svolte dagli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni) sulla base di apposite convenzioni; - l’attività derivante da una collaborazione con l’AIMA (Azienda per gli Interventi nel Mercato Agricolo). L’Agenzia ha completato nel corso dell’anno 2002 il progetto
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n. 3-4/ 2007 di informatizzazione dell’intero patrimonio cartografico, ad esclusione di una parte residuale, attraverso l’implementazione di un sistema informativo (GIS) proprietario realizzato specificamente per la gestione dei dati catastali ed al quale è stato dato il nome WEGIS acronimo di Web Enable GIS. La banca dati cartografica catastale viene quindi costantemente aggiornata dal flusso di atti geometrici di aggiornamento presentati dai tecnici professionisti esterni in formato vettoriale fin dall’attivazione della procedura Pregeo 8. In sostanza il file presentato dal professionista esterno contiene tutti gli elementi necessari all’aggiornamento delle banche dati amministrativocensuaria e cartografica. 4. I servizi on-line Con il rilascio della procedura Pregeo 8 sono stati introdotti nuovi servizi erogati ai professionisti esterni direttamente tramite il sito internet dell’Agenzia. Risulta possibile infatti, per quanto riguarda l’attività di predisposizione degli atti di aggiornamento, scaricare il file contenente la Tabella Attuale dei punti Fiduciali ovvero l’archivio di tutti i Punti Fiduciali di una Provincia. Detto file, in formato ASCII, contiene tutte le informazioni metriche e descrittive di ogni PF secondo tracciati record predefiniti e viene continuamente aggiornato. È inoltre possibile scaricare l’archivio delle mutue distanze tra i punti fiduciali contenente tutte le misure eseguite dai tecnici professionisti in sede di predisposizione di atti geometrici di aggiornamento per cui risulta possibile ai tecnici esterni verificare la rispondenza delle misure eseguite prima della presentazione degli atti agli Uffici. Anche questo archivio è in formato ASCII e viene periodicamente aggiornato. Dei punti fiduciali per i quali è stata presentata, ad opera dei tecnici esterni, la nuova monografia secondo la procedura Pregeo 8 è inoltre possibile la consultazione e lo scarico delle schede monografiche. Si ritiene opportuno rimarcare l’utilità di questi servizi che consentono ai tecnici esterni di disporre di una quantità di informazioni direttamente presso il proprio studio e senza la necessità di accedere agli Uffici Provinciali oltre che di avere, per quanto riguarda l’archivio delle distanze misurate, la possibilità di confrontare le risultanze delle operazioni topografiche con quelle eseguite da altri professionisti in precedenza. 5. Attuali criticità Tutte le novità introdotte nel corso degli anni hanno fatto emergere, com’era prevedibile, una serie di fattori critici contingenti per i quali sono allo studio gli opportuni interventi necessari per il completamento del processo di automazione delle attività di aggiornamento delle banche dati. In particolare l’attività di aggiornamento della cartografia risulta oggi sensibilmente rallentata sia per la presenza di cartografia in formato raster sia per il disallineamento tra le banche dati censuaria e cartografica considerato che tra il momento dell’acquisizione della cartografia raster e l’avvio della gestione digitale delle mappe sono intercorsi circa cinque anni. Altro elemento fondamentale per la piena utilizzazione delle potenzialità degli strumenti informatici è il rilascio da parte degli Uffici degli estratti di mappa digitali; questa rappresenta infatti condizione essenziale per la completa automazione dei processi e per rendere possibile in futuro l’approvazione automatica degli atti di aggiornamento. Tuttavia se questi sono aspetti critici per i quali è prevedibile una soluzione in tempi brevi (completamento della vettorizzazio-
n. 3-4/2007 ne della cartografia ed eliminazione dell’arretrato), vi sono problematiche che richiederebbero interventi radicali meno facilmente immaginabili. Si è infatti assistito, nell’implementazione dei nuovi metodi di gestione della cartografia, ad un’ulteriore perdita di precisione topografica delle mappe. È noto che l’avvio della procedura Pregeo fin dai suoi esordi ha contribuito in modo determinante al decadimento della qualità delle mappe allorché si è prevista la possibilità dell’aggiornamento speditivo dei copioni di visura. L’avvio della cartografia digitale oltre ad ereditare tutti gli elementi di errore già presenti sui supporti cartacei ha aggravato ancor di più la già precaria situazione per le deformazioni che si sono verificate nella fase di acquisizione dei fogli di mappa in formato raster. All’attualità si è dell’avviso che la cartografia catastale in formato digitale, almeno in alcune realtà, non possa avere alcuna valenza metrica ma costituisca piuttosto una bozza di mappa con tutte le implicazioni del caso e di cui si dirà nel seguito. La coesistenza di una moltitudine di sistemi di coordinate e di carte realizzate in diverse rappresentazioni (Cassini Soldner, Sanson-Flamsteed, Gauss-Boaga) costituisce un ulteriore limite alla fruibilità della cartografia catastale rendendo difficile l’integrazione con gli altri DB topografici in uso e finendo con il generare ulteriore confusione per quanto riguarda, ad esempio, i problemi di trasformazione nei vari sistemi di riferimento per rendere compatibili i diversi prodotti cartografici specie in applicazioni GIS. Alcuni test sul confronto fra carte catastali, già in proiezione Gauss, e cart ografia tecnica (C.T.R.) hanno dimos trato l’impossibilità di una sovrapposizione analitica se non con pesanti adattamenti a causa delle molte manipolazioni subite dalla carta catastale oltre a far emergere, sotto l’aspetto qualitativo del grado di aggiornamento, delle carenze sostanziali con circa il 25°/o di edifici non presenti nella mappa. La conclusione a cui giungono gli studiosi è che sia necessario il rifacimento di tutta la cartografia catastale come hanno fatto o stanno facendo altri stati europei. D’altra parte resta difficile immaginare la possibilità di una ricomposizione cartografica, così come prospettata fin dall’avvio di Pregeo, che parte dal particolare (gli atti di aggiornamento) per arrivare al generale capovolgendo i principi in uso dal Settecento, quando ci si rese conto della necessità delle reti di inquadramento alle quali riferire le operazioni di misura del territorio. Da un punto di vista teorico sembra possibile, nel rispetto della gerarchia delle operazioni (dalle reti al dettaglio), immaginare la possibilità di una ricomposizione cartografica che consenta di utilizzare tutto il patrimonio di informazioni contenute negli atti di aggiornamento redatti con la procedura Pregeo. Sintetizzando molto il problema si può pensare, infatti, una volta scelto il sistema di riferimento da adottare, di inquadrare la rete dei punti fiduciali, attraverso campagne di rilevamento, alla rete geodetica nazionale nel sistema Roma40 o alla rete IGM95 nel sistema ETRS89 cosi da rendere possibile la determinazione delle coordinate Gauss-Boaga o UTM-WGS84 dei Punti Fiduciali. Nel caso del sistema nazionale Roma40 c’è inoltre la possibilità di considerare i vertici trigonometrici catastali che sono anche vertici della rete IGM dei quali sono, pertanto, già note le coordinate in entrambe i sistemi. Una volta consolidata la rete dei PF si potrebbe procedere alla rielaborazione dei libretti Pregeo determinando le coordinate dei punti nel sistema di coordinate adottato. Un’operazione di questo genere consentirebbe,
Catasto e topografia tuttavia, di ottenere una rappresentazione cartografica contenente solo gli oggetti catastali generati con Pregeo e quindi non risolutiva del problema della ricomposizione cartografica nel suo complesso, ma potrebbe rappresentare il punto di partenza per la futura gestione del DB topografico catastale. 6. Attività allo studio La ricerca di soluzioni alle problematiche fin qui esposte ha dato vita ad una serie di progetti intrapresi dall’Agenzia del Territorio riguardanti la futura gestione della cartografia catastale. Tra questi rientrano alcuni progetti che si descrivono di seguito. 6.1. Unificazione dei sistemi di coordinate di piccola estensione Le operazioni di rilevamento catastale della rete di inquadramento sono state avviate in epoca antecedente alla pubblicazione dei dati finali della rete geodetica IGM, per cui l’Amministrazione del Catasto ha avuto la necessità di istituire numerose reti di piccola estensione. Per i lavori portati a termine con tale sistema sono state infatti rilevate 818 reti catastali necessarie alla copertura del territorio di 19 Province. Dopo la pubblicazione dei dati compensati della rete fondamentale i sistemi d’assi catastali si sono estesi fino a comprendere gruppi di Province dando origine ad ulteriori 32 grandi sistemi per 68 Province. Tutto questo si inquadra in un contesto di cartografia ufficiale IGM e cartografia tecnica prodotta dalle Regioni che sono riferite ad un diverso datum e derivano dalla scelta di un diverso metodo di rappresentazione rendendo così le mappe catastali difficilmente integrabili. Nasce quindi l’esigenza di ricercare la metodologia di calcolo per la trasformazione di coordinate tra diversi sistemi di riferimento. Le procedure di calcolo sviluppate dall’Agenzia consiston o, sostanzialmente, nell’esecuzione di calcoli sul piano della rappresentazione cartografica per la ricerca dei parametri di rototraslazione conforme con variazione di scala, determinati mediante l’analisi di punti noti nei due sistemi di coordinate (Gauss-Boaga e Cassini-Soldner). Tale metodo consente, quindi, di prescindere dalla conoscenza del diverso orientamento dei datum e dalla conoscenza delle coordinate geografiche dell’origine del sistema catastale. In sintesi i metodi consistono: - nella ricerca dei punti trigonometrici dei 32 grandi sistemi d’assi che corrispondono a vertici della rete fondamentale IGM e tra questi selezionare quei vertici che presentano maggiore omogeneità; - per i sistemi di piccola estensione, che non presentano punti in comune con la rete fondamentale, e per le zone dove sono presenti fogli di mappa privi di inquadramento, il metodo consiste nel determinare una semina di punti per ogni piccolo sistema o singolo foglio di mappa opportunamente selezioniati dai fogli di impianto. Quest’ultimo metodo è stato oggetto di sperimentazione nella regione Piemonte dove, attraverso la consultazione congiunta dei fogli originali di impianto e della CTR, è stata selezionata una serie di punti per ciascuno dei quali sono state determinate, con metodologia GPS in modalità RTK, le coordinate WGS84 e quelle cartografiche UTM WGS84 nonché le coordinate cartografiche catastali lette sulle mappe. È stata quindi eseguita una serie di elaborazioni che hanno consentito di verificare l’applicabilità del metodo sia pur con qualche precisazione per quanto riguarda il metodo di rilievo, la determinazione delle coordinate catastali e la corretta individuazione dei punti.
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Catasto e topografia 6.2. Ricomposizione topografica delle coordinate dei punti fiduciali Un altro progetto che vede impegnata l’Agenzia è quello del consolidamento delle coordinate dei Punti Fiduciali come atto propedeutico allo sviluppo dell’ipotesi di approvazione automatica degli atti di aggiornamento. Le informazioni contenute nella Tabella Attuale dei punti Fiduciali vengono continuamente aggiornate attraverso la trattazione degli atti di aggiornamento tramite la procedura Pregeo. Per l’aggiornamento della mappa, Pregeo esegue inizialmente il calcolo delle coordinate dei punti rilevati in un sistema locale con origine nella prima stazione o vertice iniziale di baseline e successivamente determina le coordinate cartografiche attraverso una rototraslazione rigida sulle coordinate note dei PF presenti in TAF. In fase di validazione degli atti vengono memorizzate in archivio le nuove coordinate dei Punti Fiduciali con la conseguenza che le coordinate dei PF sono del tutto scorrelate dalla loro posizione cartografica. L’accumularsi, nel corso degli anni, di una consistente mole di dati riguardanti le misure dei lati della maglia fiduciale può consentire oggi di avere un archivio di Punti Fiduciali di posizione nota. Con questo obiettivo e cercando di limitare al minimo la necessità di operazioni di rilievo sul terreno sono state condotte alcune sperimentazioni in aree di limitata estensione. La metodologia si suddivide in tre fasi distinte. Inizialmente, individuata l’area di intervento e perimetrate le zone caratterizzate da collegamenti continui e consistenti tra i PF, vengono eseguite una serie di compensazioni e test statistici al fine di selezionare quelle misure che presentano maggiore probabilità di errore, e quindi da escludere dai calcoli successivi. Per ciascuna area viene quindi eseguito il calcolo ai minimi vincoli, imponendo alla rete le coordinate di un solo punto ed una direzione nota tra tale punta ed un altro vertice arbitrariamente scelto, limitando quindi l’influenza del sistema di riferimento sui risultati della rete. Vengono poi individuati quei punti della rete appartenenti alle reti trigonometriche da utilizzare come vincoli nel calcolo successivo. Infine sulla base delle coordinate ottenute dal calcolo di compensazione intrinseca e delle corrispondenti desunte dalle schede monografiche dei vertici trigonometrici si procede al calcolo di rototraslazione conforme con variazione di scala isotropa per la verifica della congruenza tra i due set di coordinate. Questo progetto è stato sottoposto a sperimentazione prendendo in esame la rete di Punti Fiduciali delle Province di Roma e Rieti. 6.3. Sviluppo del processo di aggiornamento automatico delle banche dati del Catasto Terreni Altro obiettivo sfidante per l’Agenzia è quello di pervenire in tempi relativamente brevi all’approvazione automatica degli atti di aggiornamento. Lo studio di fattibilità di questo progetto è stato condotto nel corso del 2004 per verificare la possibilità di introdurre all’interno della procedura Pregeo una serie di controlli automatici. Sulla base di tale studio è stata predisposta la procedura Pregeo 9 che è in grado di verificare in automatico la completezza dell’atto di aggiornamento ed alcuni parametri sotto l’aspetto topografico, relativi all’adattamento delle misure nella mappa ed ai dati statistici: derivanti dalla compensazione delle misure. Queste tipologie di controlli non sono di per sé sufficienti ad una completa valutazione dell’atto di aggiornamento per cui sono già stati previsti ulteriori controlli che saranno implementati all’interno della prossima versione della procedura Pregeo 10. La procedura sarà in grado di eseguire tutta una serie di verifiche
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n. 3-4/ 2007 che renderanno possibile la valutazione, in automatico, della bontà dell’atto di aggiornamento e la presenza di tutti i requisiti per la registrazione delle variazioni nelle banche dati. In particolare sarà presente una relazione tecnica strutturata per la gestione in automatico delle dichiarazioni inserite dal tecnico professionista prevedendo una serie di dichiarazioni standard da attivare attraverso opportuni flag secondo le condizioni che si sono verificate nell’atto di aggiornamento. Il passaggio all’invio telematico ed all‘approvazione automatica implica tuttavia alcune problematiche le cui soluzioni sono ancora oggetto di riflessione. Ci si riferisce in particolare alla firma digitale degli atti, alla riscossione automatica dei tributi catastali, alla gestione degli estratti di mappa digitali via web, all’autocertificazione di avvenuto deposito presso il Comune per gli atti per i quali è previsto ed all’archiviazione e conservazione dei documenti originali. Ci si augura che vengano presto trovate le soluzioni opportune e che venga dato avvio a queste attività che consentiranno di ottenere un sensibile incremento della qualità dei servizi, l’uniformità e la standardizzazione dei processi su tutto il territorio nazionale e la sensibile riduzione dei tempi di trattazione degli atti. 7. Conclusioni La continua ricerca di soluzioni a basso costo, a tutte le problematiche riguardanti la gestione del sistema cartografico catastale, ha fornito finora prodotti di qualità quanto meno discutibile. Si è già accennato all’attuale livello qualitativo delle mappe in termini di precisione topografica ed i sistemi di gestione messi in atto negli ultimi anni non lasciano prevedere miglioramenti alla situazione attuale. Si sta in pratica cercando di adottare soluzioni che affrontano solo parzialmente i problemi di gestione della cartografia inseguendo principalmente l’obiettivo di rendere possibile l’aggiornamento quasi in tempo reale delle mappe e senza incidere in alcun modo sulla necessità di avere una cartografia che possieda i necessari requisiti di precisione. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole aumento delle informazioni, che vengono raccolte e rese disponibili in diverse forme di banche dati, cosicché i sistemi informativi geografici assumono sempre più un ruolo centrale nella gestione dei dati e come supporto ai processi decisionali. Un buon sistema informativo non può che nascere da una base geometrica omogenea, derivante dalla scelta di un efficace sistema di riferimento e di un’appropriata rappresentazione cartografica. La situazione in Italia è tuttaltro che chiara in quanto la coesistenza di diverse cartografie, nate su diversi sistemi di riferimento e con diverse rappresentazioni, ha fatto fiorire quello che il Prof. Luciano Surace definisce “mercato delle coordinate”, alimentato anche dalla presenza di utenti di cartografia non conoscitori di coordinate che diventano utenti di coordinate non conoscitori dei sistemi di riferimento. Si avverte, allora, l’esigenza di costituire un’authority per il servizio di posizionamento geodetico con le funzioni della Commissione Geodetica, la cui soppressione ha reso difficilmente applicabili alcune norme ancora in vigore che ad essa fanno riferimento, come la Legge 2 Febbraio 1960 n. 68 che individua gli “organi cartografici dello Stato“. La comunità scientifica nazionale congiuntamente ai rappresentanti di istituzioni, aziende e professionisti, auspicano la nascita di un’authority indipendente per il servizio di posizionamento geodetico e le sue applicazioni geografiche e l’esigenza è così sentita che ne è nato un manifesto con la possibilità di adesione, da parte di tutti i soggetti interessati,
n. 3-4/2007 attraverso il sito internet www.commissione geodetica.it. Da ciò si avverte la necessità di un riordino di tutto quello che riguarda le applicazioni geografiche, anche al fine di ottenere il necessario coordinamento delle attività dei vari soggetti, pubblici e privati, per consentire un più efficiente impiego delle risorse. Per quanto riguarda la cartografia si ritiene ormai indifferibile, considerata la diffusione degli strumenti di posizionamento satellitare e la necessità che i dati raccolti siano immediatamente utilizzabili, la necessità di adottare il datum globale WG584 (il più realistico al momento disponibile) ed il passaggio al reticolato cartografico UTMWGS84, attraverso la conversione di tutti gli attuali prodotti cartografici. In un sistema di questo tipo si potrà finalmente parlare di georeferenziazione anche con riferimento agli oggetti catastali. Forse sono maturi i tempi per cominciare a pensare seriamente ad una nuova fase di formazione del catasto, che prenda le mosse dal rifacimento di tutta la base cartografica, in accordo con gli indirizzi forniti dall’authority di cui si è detto. Il processo
Catasto e topografia in atto, di decentramento delle funzioni catastali, potrebbe favorire iniziative in tal senso nel presupposto che sono gli Enti locali ad avvertire con maggior forza la necessità di dotarsi di adeguati ed efficienti strumenti per la pianificazione ed il controllo dei territori amministrati. OTE 1 S. Viscomi, L’impiego del GPS nel rilievo catastale di aggiornamento, Geometra Informazioni Tecniche n. 6/2006. 2 S. Viscomi, Pregeo 9: La dematerializzazione degli atti, Geometra Informazioni Tecniche n. 7/2006. 3 G. Bezoari, A. Selvini, Test di confronto fra carte catastali e cartografia tecnica, Geomedia n. 2/2006. 4 Di Filippo S., Sulla trasformazione delle coordinate planocartografiche dalla rappresentazione Cassini-Soldner alla rappresentazione Gauss-Boaga e viceversa, Rivista dell’Agenzia del Territorio, n. 3, 1995 e n. 1, 1996. «Geometri notizie»
ACCATASTAMENTO ENTRO TRE MESI DALLA PUBBLICAZIONE DELLA LISTA di Franco Guazzone
A
ppena individuati gli edifici da dichiarare in base ai dati forniti dall’Agea, ai sensi dell’articolo 2, comma 36 del DI 262/2006, come modificato dall’articolo 1, comma 339 della legge 296/2006, l’Agenzia del Territorio renderà noti gli elenchi dei fabbricati che hanno perduto i requisiti di ruralità e ne pubblicherà gli elenchi per comu ne, coi dati identificativi catastali e il nomina tivo del proprietario, sulla Gazzetta Ufficiale. Tali elenchi saranno consultabili per sessanta giorni, sul sito www.agenziaterritorio.it e presso i Comuni. Dalla data di pubblicazione degli elenchi i proprietari interessati avranno 90 giorni di tempo per provvedere all’ac catastamento con rendita proposta, ai sensi dell’articolo 1 del Dm 701/1994 e in caso di inadempienza, l’Agenzia effettuerà l’accatastamento d’ufficio, addebitandone i costi al contribuente, oltre alle sanzioni. Effetti fiscali A questo punto è opportuno precisare che le rendite catastali dichiarate o attribuite con le disposizioni sopra indicate, producono effetti fiscali: - dal primo gennaio 2007 i fabbricati di chiarati ai sensi dell’articolo 2, comma 37 del DI 262/2006 che ha reso necessario il possesso del requisito di imprenditore agricolo, per l’utilizzo delle case di abitazione; - dal primo gennaio dell’anno successivo a quello in cui era sorto l’obbligo delle denun cia, ovvero da quello della pubblicazione del comunicato in Gazzetta Ufficiale; -dal primo gennaio dell’anno successivo all’ultimazione, per quelli mai dichiarati in precedenza.
Ricorsi e istanze Qualora gli obbligati inseriti negli elenchi pubblicati in Gazzetta Ufficiale ritenessero di non dover presentare la denuncia, esistendone i presupposti, potranno presentare all’ufficio provinciale del Territorio istanza di cancellazione dagli elenchi pubblicati in autotutela, ovvero nel caso i loro immobili venissero accatastati d’ufficio, potrebbero presentare ricorso alla commissione tributaria provinciale, entro 60 giorni dalla data della notifica della rendita attribuita d’ufficio. Tuttavia, poiché il contenzioso è sempre l’ultima risorsa, è opportuno che i proprietari di immobili agricoli, facciano un realistico esame della situazione, anticipando se possibile l’azione dell’Agenzia, disponendo la denuncia al catasto dei fabbricati che sicuramente hanno perduto i requisiti di ruralità, in base alle condizioni sopra indicate. Eventuali proroghe e pubblicazione degli elenchi Anche se al momento di andare in macchina non se ne ha notizia, non è escluso che la proroga del termine di accatastamento scadente il 30 giugno prossimo, sia prossimamente inserita in qualche provvedimento di legge in discussione, come è avvenuto per i terreni, anche perché se detti fabbricati sono effettivamente 1,3 milioni, è necessario dare il tempo ai proprietari, ma anche ai professionisti tecnici, di provvedere agli adempimenti. Peraltro, al momento, non si ha notizia di imminenza della pubblicazione degli elenchi, anche se i lavori di accertamento sono iniziati da alcuni mesi, circostanza abbastanza prevedibile, in quanto l’Agenzia attende di verificare quanti immobili siano già stati spontaneamente dichiarati, per escluderli dagli elenchi. «Leggi e fisco»
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Competenze e professione
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IL TAR SU COMPETENZE DI GEOMETRI E INGEGNERI Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte - prima sezione - composto dai Signori: A. G. de A. - Presidente; R. V. - Consigliere, relatore ed estensore; R. G. - Referendario; ha pronunciato la presente Sentenza Sul ricorso n. 565/2002 proposto da Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di V., in persona del presidente legale rappresentante ing. F. B., rappresentato e difeso dall’avv. L. M. elettivamente domiciliato in T., presso lo studio dell’avv. prof. C. S.; - ricorrente e con l’intervento ad adiuvandum dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in persona del presidente pro tempore, dott. ing. S. P. rappresentato e difeso dal prof. S. B., eleggendo domicilio presso l’avv. L. M., in T., (studio del prof. C. S.); - interveniente contro il comune di B. D., in persona del sindaco pro-tempore, intimato non costituito e nei confronti di geom. A. P. M., rappresentato e difeso dall’avv. M. L. ed elettivamente domiciliato in T., presso lo studio dell’avv. A. A.; - controinteressato per l’annullamento della deliberazione della giunta comunale del comune di B. D. n. 11 del 31.01.2002, con la quale è stato affidato al geom. A. P. M. l’incarico di progettazione preliminare, definitiva, esecutiva, nonché la contabilizzazione e direzione dei lavori coordinamento progettuale e direzionale dei lavori di “manutenzione straordinaria mercato comunale e impianti” del comune di B. D.. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di intervento depositato in data 23 gennaio 2003, dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri; Visto l’atto di costituzione in giudizio del controinteressato;
Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 21 febbraio 2007, relatore il consigliere R. V., l’avv. L. M. per il ricorrente, l’avv. M.L. per il controinteressato e per l’interveniente l’avv. L. M. per delega dell’avv. S. B.; Considerato che il ricorso proposto dal consiglio dell’ordine degli ingegneri di V. per contestare l’affidamento delle opere di manutenzione del mercato comunale al controinteressato, munito del titolo di geometra, non è fondato e deve, quindi, essere respinto. Rilevato che, come questo TAR ha già osservato (sentenza della prima sezione n. 777 del 2004), la linea di demarcazione tra la competenza dei geometri e le attribuzioni riservate alla professione di ingegnere è costituita, ove non sia prevista un’esclusiva a favore di questi ultimi professionisti dalla modesta o tenuità dell’opera, essendo preclusa al geometra la realizzazione di un complesso di lavori che richiede una visione d’insieme e di carattere programmatorio complessivo. Rilevato che, nel caso di specie, in cui i lavori affidati al controinteressato consistono nella manutenzione e risistemazione delle pavimentazioni di alcuni tratti del piazzale e del piccolo edificio interno della struttura mercatale, non è dato ravvisare quella complessità e difficoltà di programmazione e realizzazione che presuppone, con la necessità di affrontare difficoltà non facilmente superabili, la professionalità dell’ingegnere. Considerato che, in conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto, ma sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. PQM il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, prima sezione, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in T., nella camera di consiglio del 21 febbraio 2007.
ATTENZIONE AI FABBRICATI FRONTEGGIANTI LE STRADE di Corrado Sforza Fogliani
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fabbricati ed i muri fronteggianti le strade devono essere conservati in modo da non compromettere l’incolumità pubblica e da non arrecare danno alle strade ed alle relative pertinenze. Lo stabilisce l’art. 30 del D. Lvo 30.4.1992 n. 285 (nuovo Codice della Strada), il cui art. 2 definisce le strade come le aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. L’inosservanza delle disposizioni citate è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 357 ad euro 1433. L’omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina è invece sanzionata dall’art. 677 del Codice penale, che punisce il proprietario (o chi per lui tenuto) che “ometta di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo”, con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929. La stessa sanzione è prevista, dalla citata norma, per chi ometta di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un
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edificio o di una costruzione. Se poi dai fatti di cui s’è detto derivi pericolo per le persone, la pena è dell’arresto sino a 6 mesi o dell’ammenda non inferiore ad euro 309. Nei casi previsti dal Codice della strada, “e salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità”, il prefetto sentito l’ente proprietario o concessionario - “può ordinare stabilisce sempre il citato art. 30, al suo comma 2 - la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina, se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie”. In caso di inadempienza nel termine fissato recita il comma 3 “l’autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d’ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario”. «Italia Casa»
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Competenze e professione
INTERESSI LEGALI SUL SALDO DELLE PARCELLE La Banca d’Italia ha determinato, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. Leg.vo 24.6.1998, n. 213, il «tasso ufficiale di riferimento» (ex tasso ufficiale di sconto), ai fini dell’applicazione agli strumenti giuridici che vi facciano rinvìo. La determinazione è avvenuta fino al 2003 sulla base del tasso, fissato periodicamente dal Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE), applicato alle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema: tasso fisso ovvero tasso minimo di rifinanziamento per le operazioni a tasso variabile. Ciò premesso, a partire dal 1° gennaio 2004, decorso il termine di cinque anni dal 1° gennaio 1999 previsto dal citato D. Leg.vo 213/1998, la Banca d’Italia non determina più il tasso ufficiale di riferimento, in sostituzione del quale occoire quindi fare riferimento al tasso minimo di rifinanziamento per le operazioni a tasso variabile determinato dalla BCE. Si riporta qui di seguito l’elencazione dei tassi con l’indicazione dei rispettivi periodi di vigenza. ELENCAZIONE TASSI UFFICIALI DI RIFERIMENTO (a partire dal 2004 determinati dalla Banca Centrale Europea)
D.M. 6-6-1958 (G.U. 7-6-1958, n. 134): dal 7-6-1958 (al 13-8-1969) . . . . . . . . . . . . . . . 3,50%
Provv. B. d’It. 22-12-1992 (G.U. 23-12-1992, n. 301): dal 23-12-1992 (al 3-02-1993) 12,00%
D.M. 14-8-1969 (G.U. 14-8-1969, n. 208): dal 14-8-1969 (al 8-3-1970) . . . . . . . . . . . . . 4,00%
Provv. B. d’It. 3-2-1993 (G.U. 4-2-1993, n. 28): dal 4-2-1993 (al 22-4-1993) . . . . . . . .11,50%
D.M. 7-3-1970 (G.U. 9-3-1970, n. 61): dal 7-3-1970 (al 4-4-1971) . . . . . . . . . . . . . . .5,50%
Provv. B. d’It. 22-4-1993 (G.U. 23-4-1993, n. 94): dal 23-4-1993 (al 20-5-1993) . . . .11,00%
D.M. 3-4-1971 (G.U. 3-4-1971, n. 83): dal 5-4-1971 (al 13-10-1971) . . . . . . . . . . . . .5,00%
Provv. B. d’It. 20-5-1993 (G.U. 21-5-1993, n. 117): dal 21-5-1993 (al 13-6-1993) . . .10,50%
D.M. 13-10-1971 (G.U. 13-10-1971, n. 260): del 14-10-1971 (al 9-4-1972) . . . . . . . . . .4,50%
Provv. B. d’It. 11-6-1993 (G.U. 14-6-1993, n. 137): dal 14-6-1993 (al 5-7-1993) . . . .10,00%
D.M. 7-4-1972 (G.U. 8-4-1972, n. 93): dal 10-4-1972 (al 16-9-1973) . . . . . . . . . . . . . . .4,00%
Provv. B. d’It. 5-7-1993 (G.U. 6-7-1993, n. 156): dal 6-7-1993 (al 9-9-1993) . . . . . . . .9,00%
D.M. 14-9-1973 (G.U. 15-9-1973): dal 17-9-1973 (al 19-3-1974) . . . . . . . . . . . . . . . . . .6,50%
Provv. B. d’It. 9-9-1993 (G.U. 10-9-1993, n. 213): dal 10-9-1993 (al 21-10-1993) . . . . .8,50%
D.M. 18-3-1974 (G.U. 20-3-1974, n. 74): dal 20-3-1974 (al 26-12-1974) . . . . . . . . . . . .9,00%
Provv. B. d’It. 21-10-1993 (G.U. 22-10-1993, n. 249): dal 22-10-1993 (al 17-2-1994) . .8,00%
D.M. 23-12-1974 (G.U. 24-12-1974, n. 336): dal 27-12-1974 (al 27-5-1975) . . . . . . . . .8,00%
Provv. B. d’It. 17-2-1994 (G.U. 18-2-1994, n. 40): dal 18-2-1994 (all’11-5-1994) . . . . .7,50%
D.M. 27-5-1975 (G.U. 28-5-1975, n. 139): dal 28-5-1975 (al 14-9-1975) . . . . . . . . . . . .7,00%
Provv. B. d’It. 11-5-1994 (G.U. 12-5-1994, n. 109): dal 12-5-1994 (all’11-8-1994) . . . .7,00%
D.M. 12-9-1975 (G.U. 13-9-1975, n. 245): dal 15-9-1975 (al 1-2-1976) . . . . . . . . . . . . .6,00%
Provv. B. d’It. 11-8-1994 (G.U. 12-8-1994, n. 188): dal 12-8-1994 (al 21-2-1995) . . . . .7,50%
D.M. 1-2-1976 (G.U. 2-2-1976, n. 29): dal 2-2-1976 (al 24-2-1976) . . . . . . . . . . . . . . . .7,00%
Provv. B. d’It. 21-2-1995 (G.U. 22-2-1995, n. 44): dal 22-2-1995 (al 28-5-1995) . . . . .8,25%
D.M. 24-2-1976 (G.U. 25-02-1976, n. 50): dal 25-2-1576 (al 17-3-1976) . . . . . . . . . . . .8,00%
Provv. B. d’It. 26-5-1995 (G.U. 29-5-1995, n. 123): dal 29-5-1995 (al 23-07-1996) . . . .9,00%
D.M. 18-3-1976 (G.U. 18-3-1976, n. 73): dal 18-3-1976 (al 3-10-1976) . . . . . . . . . . . .12,00%
Provv. B. d’It. 23-7-1996 (G.U. 24-7-1996, n. 172): dal 24-7-1996 (al 23-10-1996) . . . .8,25%
D.M. 30-9-1976 (G.U. 2-10-1976, n. 263): dal 4-10-1976 (al 12-6-1977) . . . . . . . . . . .15,00%
Provv. B. d’It. 23-10-1996 (G.U. 24-10-1996, n. 250): dal 24-10-1996 (al 21-1-1997) . .7,50%
D.M. 11-6-1977 (G.U. 11-6-1977, n. 158):dal 13-6-1977 (al 28-8-1977) . . . . . . . . . . . .13,00%
Provv. B. d’It. 21-1-1997 (G.U. 22-1-1997, n. 17): dal 22-1-1997 (al 29-6-1997) . . . . . .6,75%
D.M. 26-8-1977 (G.U. 27-8-1977, n. 233): dal 29-8-1977 (al 3-9-1978) . . . . . . . . . . . .11,50%
Provv. B. d’It. 27-6-1997 (G.U. 30-6-1997, n. 150): dal 30-6-1997 (al 23-12-1997) . . . .6,25%
D.M. 1-9-1978 (G.U. 2-9-1978, n. 246): dal 4-9-1978 (al 7-10-1979) . . . . . . . . . . . . . .10,50%
Provv. B. d’It. 23-12-1997 (G.U. 24-12-1997, n. 299): dal 24-12-1997 (al 21-4-1998) . .5,50%
D.M. 6-10-1979 (G.U. 08-10-1979, n. 275): dal]‘08-10-1979 (al 05-12-1979) . . . . . . .12,00%
Provv. B. d’It. 21-4-1998 (G.U. 22-4-1998, n. 93): dal 22-4-1998 (al 26-10-1998) . . . . .5,00%
D.M. 5-12-1979 (G.U. 6-12-1979, n. 333): dal 6-12-1979 (al 28-9-1980) . . . . . . . . . . .15,00%
Provv. B. d’It. 26-10-1998 (G.U. 27-10-1998, n. 251): dal 27-10-1998 (al 3-12-1998) . .4,00%
D.M. 28-9-1980 (G.U. 29-9-1980, n. 267): dal 29-9-1980 (al 22-3-1981) . . . . . . . . . . .16,50%
Provv. B. d’It. 3-12-1998 (G.U. 4-12-1998, n. 284): dal 4-12-1998 (al 27-12-1998) . . . .3,50%
D.M. 22-3-1981 (G.U. 23-3-1981, n. 81): dal 23-3-1981 (al 24-8-1982) . . . . . . . . . . . .19,00%
Provv. B. d’It. 23-12-1998 (G.U. 24-12-1998, n. 300): dal 28-12-1998 (al 13-4-1999) .3,00%
D.M. 24-8-1982 (G.U. 25-8-1982, n. 233): dal 25-8-1982 (all’8-4-1983) . . . . . . . . . . .18,00%
Provv. B. d’It. 12-4-1999 (G.U. 14-4-1999, n. 86): dal 14-4-1999 (al 09-11-1999) . . . .2,50%
D.M. 8-4-1983 (G.U. 9-04-1983, n. 97): dal 9-4-1983 (al 15-2-1984) . . . . . . . . . . . . . .17,00%
Provv. B. d’It. 6-11-1999 (G.U. 10-11-1999, n. 264): dal 10-11-1999 (al 8-2-2000) . . . .3,00%
D.M. 15-2-1984 (G.U. 16-2-1984, n. 47): dal 16-2-1984 (al 6-5-1984) . . . . . . . . . . . . .16,00%
Provv. B. d’It. 4-2-2000 (G.U. 8-2-2000, n. 31): dal 9-2-2000 (al 21-3-2000) . . . . . . . . .3,25%
D.M. 4-5-1984 (G.U. 5-5-1984, n. 123): dal 7-5-1984 (al 3-9-1984) . . . . . . . . . . . . . . .15,50%
Provv. B. d’It. 18-3-2000 (G.U. 21-3-2000, n. 67): dal 22-3-2000 (al 3-5-2000) . . . . . . .3,50%
D.M. 3-9-1984 (G.U. 4-9-1984, n. 243): dal 4-9-1984 (al 3-1-1985) . . . . . . . . . . . . . . .16,50%
Provv. B. d’It. 28-4-2000 (G.U. 3-5-2000, n. 101): dal 04-05-2000 (al 14-6-2000) . . . . .3,75%
D.M. 3-1-1985 (G.U. 4-1-1985, n. 3): dal 4-1-1985 (al 7-11-1985) . . . . . . . . . . . . . . . .15,50%
Provv. B. d’It. 10-6-2000 (G.U. 14-6-2000, n. 137): dal 15-6-2000 (al 5-9-2000) . . . . . .4,25%
D.M. 7-11-1985 (G.U. 8-11-1985, n. 263): dall’8-11-1985 (al 21-3-1986) . . . . . . . . . .15,00%
Provv. B. d’It. 1-9-2000 (G.U. 5-9-2000, n. 207): dal 6-9-2000 (al 10-10-2000) . . . . . . .4,50%
D.M. 21-3-1986 (G.U. 22-3-1986, n. 68): dal 22-3-1986 (al 24-4-1986) . . . . . . . . . . . .14,00%
Provv. B. d’It. 6-10-2000 (G.U. 10-10-2000, n. 237): dal 11-10-2000 (al 14-5-2001) . . .4,75%
D.M. 24-4-1986 (G.U. 26-4-1986, n. 96): dal 25-4-1986 (al 26-5-1986) . . . . . . . . . . . .13,00%
Provv. B. d’It. 10-5-2001 (G.U. 15-5-2001, n. 111): dal 15-5-2001 (al 4-9-2001) . . . . . .4,50%
D.M. 26-5-1986 (G.U. 27-5-1986, n. 121): dal 27-5-1986 (al 13-3-1987) . . . . . . . . . . .12,00%
Provv. B. d’It. 30-8-2001 (G.U. 3-9-2001, n. 204): dal 5-9-2001 (al 18-9-2001) . . . . . . .4,25%
D.M. 13-3-19S7 (G.U. 14-3-1987, n.61): dal 14-3-1987 (al 27-8-1987) . . . . . . . . . . . .11,50%
Provv. B. d’It. 17-9-2001 (G.U. 18-9-2001, n. 217): dal 19-9-2001 (al 13-11-2001) . . .3,75%
D.M. 27-8-1987 (G.U. 28-8-1987, n. 200): dal 28-8-1987 (al 25-8-1988) . . . . . . . . . . .12,00%
Provv. B. d’It. 9-11-2001 (G.U. 14-11-2001, n. 265): dal 14-11-2001 (al 10-12-2002) . .3,25%
D.M. 25-8-1988 (G.U. 26-8-1988, n. 200): dal 26-8-1988 (al 5-3-1989) . . . . . . . . . . . .12,50%
Provv. B. d’It. 6-12-2002 (G.U. 11-12-2002, n. 290): dal 11-12-2002 (al 11-3-2003) . . .2,75%
D.M. 3-3-1989 (G.U. 4-3-1989, n.53): dal 6-3-1989 (al 20-5-1990) . . . . . . . . . . . . . . . .13,50%
Provv. B. d’It. 7-3-2003 (G.U. 12-3-2003, n. 59): dal 12-3-2003 (al 8-6-2003) . . . . . . . .2,50%
D.M. 19-5-1990 (G.U. 19-5-1990, n. 115): dal 21-5-1990 (al 12-5-1991) . . . . . . . . . . .12,50%
Provv. B. d’It. 6-6-2003 (G.U. 9-6-2003, n. 131): dal 9-6-2003 (al 5-12-2005) . . . . . . . .2,00%
D.M. 12-5-1991 (G.U. 13-5-1991, n. 110): dal 13-5-1991 (al 22-12-1991) . . . . . . . . . .11,50%
Provv. B.C.E. 1-12-2005: dal 6-12-2005 (al 7-3-2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2,25%
D.M. 22-12-1991 (G.U. 23-12-1991, n. 300): dal 23-12-1991 (al 5-7-1992) . . . . . . . . .12,00%
Provv. B.C.E. 2-3-2006: dal 8-3-2006 (al 8-8-2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2,50%
Provv. B. d’It. 5-7-1992 (G.U. 6-7-1992, n. 157): dal 6-7-1992 (al 16-7-1992) . . . . . . .13,00%
Provv. B.C.E. 3-8-2006: dal 9-8-2006 (al 10-10-2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,00%
Provv. B. d’It. 16-7-1992 (G.U. 17-7-1992, n. 167): dal 17-7-1992 (al 3-8-1992) . . . . .13,75%
Provv. B.C.E. 5-10-2006: dal 11-10-2006 (al 12-12-2006) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,25%
Provv. B. d’It. 3-8-1992 (G.U. 4-8-1992, n. 182): dal 4-8-1992 (al 3-9-1992) . . . . . . .13,25%
Provv. B.C.E. 7-12-2006: dal 13-12-2006 (al 13-3-2007) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,50%
Provv. B. d’It. 4-9-1992 (G.U. 4-9-1992, n. 208): dal 4-9-1992 (al 25-10-1992) . . . . .15,00%
Provv. B.C.E. 8-3-2007: dal 14-3-2007 (al 12-6-2007) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3,75%
Provv. B. d’It. 23-10-1992 (G.U. 26-10-1992, n. 252): dal 26-10-1992 (al 12-11-1992) 14,00%
Provv. B.C.E. 6-6-2007: dal 13-6-2007 (in corso) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4,00%
Provv. B. d’It. 12-11-1992 (G.U. 13-11-1992, n. 268): dal 13-11-1992 (al 22-12-1992) 13,00%
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Condominio
n. 3-4/ 2007
L’OBBLIGO DI VERSARE L’INDENNITÀ DI SOPRAELEVAZIONE di Ettore Ditta
C
on una sentenza emessa a luglio, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è tornata a occuparsi di sopraelevazione condominiale per risolvere il contrasto giurisprudenziale esistente in relazione ai requisiti necessari per la sua sussistenza e per determinare i casi in cui è dovuta l’indennità di sopraelevazione agli altri condomini. La Corte ha stabilito che l’indennità è dovuta in ogni ipotesi di incremento della superficie e della volumetria degli spazi interessati dalla sopraelevazione, anche quando non vi sia stato innalzamento dell’altezza del fabbricato.
L’indennità di sopraelevazione Fra le non poche decisioni, anche recenti, in materia di sopraelevazione condominiale, l’ultima di esse (Cass., Sez. Unite, n. 16794, 30 luglio 2007) merita particolare attenzione perché affronta e risolve il contrasto di giurisprudenza esistente in relazione ai requisiti necessari per l’esistenza di una sopraelevazione in un edificio condominiale e, quindi, per individuare i casi in cui il condomino che realizza la sopraelevazione è obbligato a versare l’indennità prevista dall’art. 1127, comma 4, cod. civ., agli altri condomini. Nella vicenda che ha dato origine alla sentenza delle Sezioni Unite, il proprietario esclusivo di un locale sottotetto lo aveva trasformato in due unità immobiliari abitabili, dapprima realizzando le abitazioni mediante lavori solo interni e successivamente mediante la demolizione dell’originaria copertura, l’innalzamento di 50 cm dei muri perimetrali e la ricostruzione della copertura. Gli altri condomini avevano allora reclamato l’indennità prevista dall’art. 1127, comma 4, cod. civ. e sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano dato loro ragione, aderendo all’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità secondo cui si deve ravvisare una sopraelevazione ogni volta che l’opera eseguita non riguardi soltanto modificazioni interne del sottotetto senza l’alterazione delle strutture originarie del fabbricato, ma determini anche un ampliamento di tali strutture. A sua volta la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, dopo che, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in proposito, le Sezioni Unite sono state investite della questione. La motivazione della sentenza Preliminarmente le Sezioni Unite rilevano che il diritto di edificare costituisce una delle facoltà più significative tra quelle in cui si estrinseca l’esercizio del diritto di proprietà su un terreno e che tale situazione non cambia nell’ipotesi di una comunione indivisa di un suolo, nella quale il diritto di edificare spetta a tutti i partecipanti a essa. Tuttavia, l’ordinamento non esclude neppure la possibilità di deroghe pattizie al principio dell’accessione (secondo cui tutto ciò che viene costruito sopra – oppure anche sotto – il suolo diventa di proprietà del titolare del suolo stesso) e, anzi, proprio in materia di edifici condominiali prevede una deroga normativa, che però non
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impedisce una diversa regolamentazione che venga disposta dalla libera volontà delle parti interessate. Nel condominio infatti si trovano più proprietà sovrapposte che insistono tutte sulla stessa area indivisa e per questo motivo l’art. 1127, comma 1, cod. civ. attribuisce al proprietario dell’ultimo piano e al proprietario esclusivo del lastrico solare il diritto di realizzare la sopraelevazione (a meno che il titolo non disponga diversamente); e così soltanto il proprietario dell’ultimo piano – e non anche il proprietario di uno dei piani sottostanti – risulta essere proprietario anche delle costruzioni realizzate sopra l’ultimo piano. Nel caso in cui l’ultimo piano sia diviso in più porzioni immobiliari ognuna in proprietà separata di soggetti diversi, ciascuno di questi, nella sua qualità di proprietario d’una singola porzione dell’ultimo piano, ha la facoltà di sopraelevare relativamente alla proiezione verticale della sola porzione che gli appartiene; mentre nel caso opposto in cui la proprietà dell’ultimo piano appartenga in comunione indivisa a più soggetti, i comproprietari non possono esercitare il diritto di sopraelevazione ciascuno per la sua quota, ma – salvo diverso accordo – devono esercitare tale diritto congiuntamente. Peraltro l’art. 1127 cod. civ., nel riconoscere il diritto di sopraelevazione al condomino proprietario esclusivo dell’ultimo piano o del lastrico solare, pone a suo carico l’obbligo di corrispondere agli altri condomini una indennità che trova giustificazione non sulla considerazione dell’avvenuto utilizzo della colonna d’aria sovrastante l’edificio condominiale, ma piuttosto sulla considerazione della necessità d’una misura compensativa della riduzione del valore delle quote di pertinenza degli altri condomini sulla comproprietà del suolo comune conseguente alla sopraelevazione realizzata da uno di essi e dall’acquisto, da parte di quest’ultimo, della relativa proprietà. Infatti, ciascun condomino possiede ai sensi dell’art. 1118 cod. civ. un diritto di comproprietà proporzionato al valore del piano o della porzione di piano in proprietà esclusiva, sulle cose comuni elencate nell’art. 1117 cod. civ. e quindi anche sull’area sulla quale sorge l’edificio; e per questo motivo la realizzazione di nuovi piani determina automaticamente una modifica degli elementi che concorrono a formare la proporzione, in quanto il proprietario dell’ultimo piano, costruendo nuovi piani o nuove fabbriche, aumenta la propria quota anche nella comunione sull’area medesima e questo aumento comporta ovviamente una proporzionale riduzione delle quote degli altri partecipanti alla comunione. In questo modo, l’indennizzo regolato dall’art. 1127, comma 4, cod. civ. trova la sua giustificazione nella partecipazione alla comunione del suolo sul quale sorge l’edificio condominiale per una quota maggiore di quella che aveva prima della realizzazione della sopraelevazione, da parte di chi innalza nuovi piani e nuove fabbriche ai sensi dell’art. 1127, comma 1, cod. civ. Le Sezioni Unite ricordano, poi, che la disciplina prevista dagli artt. 68 e 69 disp. att. c.c., riguardo alle tabelle millesimali, contempla espressamente l’ipotesi della sopraelevazione tra quelle che possono comportare un’alterazione dell’originario rapporto tra i
n. 3-4/2007 valori dei singoli piani o porzioni di piano, in considerazione delle quali, qualora siano di notevole entità, è consentita la modifica delle tabelle stesse. Le Sezioni Unite si soffermano anche sulle modalità di determinazione dell’indennità ed evidenziano che la disciplina normativa prevede il principio di proporzionalità, al fine della determinazione dell’entità economica dell’indennità, tra l’incremento della quota di partecipazione alla comproprietà dell’area comune e il corrispondente consequenziale decremento delle analoghe quote di pertinenza degli altri condomini. In altre parole, l’indennità dovuta agli altri condomini da colui che realizza la sopraelevazione ha esattamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante il pagamento dell’equivalente pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota relativa al piano o porzione di piano. La Cassazione conclude così che la sopraelevazione va ravvisata in ogni ipotesi di incremento della superficie e della volumetria dei locali interessati, indipendentemente dal fatto che vi sia stato l’innalzamento del fabbricato, e che l’art. 1127 cod. civ. non trova invece applicazione nell’ipotesi di pura e semplice ristrutturazione interna (che non comporta alcuna alterazione nella superficie e nella volumetria degli spazi interessati). La giurisprudenza precedente Come si è già detto, l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione trova la sua ragion d’essere in un contrasto che da tempo si registrava nella sua giurisprudenza precedente. Infatti secondo alcune sentenze, per la sussistenza della sopraelevazione è necessario un aumento dell’altezza della costruzione rispetto a quella precedente alla realizzazione della sopraelevazione. Si era affermato infatti da ultimo che, agli effetti dell’art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione è costituita dalla realizzazione di nuove opere o nuove fabbriche che superino l’originaria altezza dell’edificio e che pertanto essa non è configurabile nel caso di modificazioni soltanto interne contenute negli originari limiti del fabbricato (Cass., sent. n. 7764, 20 luglio 1999); e sempre nello stesso senso era stato deciso anche che: 1. nel condominio, l’indennizzo previsto dall’art. 1127 cod. civ. in favore di ciascun comproprietario in caso di sopraelevazione dell’edificio condominiale va corrisposto nella sola ipotesi di sopraelevazione realizzata mediante la costruzione di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) sull’area sovrastante il fabbricato, con conseguente innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio, ma non anche nel caso in cui il proprietario dell’ultimo piano apporti modificazioni soltanto interne al sottotetto – trasformandolo in unità abitativa autonoma – contenute negli originari limiti strutturali delle parti dell’edificio sottostanti alla sua copertura (Cass., sent. n. 10568, 24 ottobre 1998); 2. sussiste una sopraelevazione di edificio condominiale soggetta al relativo regime legale, soltanto in presenza di un intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato, mentre va esclusa nel caso di lavori che, pur investendo la struttura e il modo di essere di tale copertura, non incidano sul posizionamento della stessa (Cass., sent. n. 1498, 12 febbraio 1998); 3. i sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati a isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell’intero edificio condominiale (o del suo ultimo livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta a un
Condominio piano a sé stante, essendo destinati a una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d’aria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall’umidità; e la ristrutturazione di simili locali non comporta sopraelevazione, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., nei casi di modificazione soltanto interne, contenute negli originari limiti dell’edificio senza determinare alcun aumento della sua altezza (Cass., sent. n. 5164, 10 giugno 1997). Al contrario, in altra occasione, la Corte aveva deciso che, nelle sopraelevazioni condominiali, l’art. 1127 prevede che il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio e il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno il diritto di sopraelevare, con l’onere di corrispondere un’indennità agli altri condomini, non in ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre l’altezza precedente del fabbricato, bensì solo nel caso di costruzione di uno o più piani o di una o più nuove fabbriche sopra l’ultimo piano dell’edificio, indipendentemente dal rapporto con l’altezza precedente (Cass., sent. n. 6643, 22 maggio 2000). Sotto altro aspetto, relativo alla ragione giustificatrice dell’indennità di sopraelevazione, conviene anche ricordare che essa si spiega con la maggiore utilizzazione obiettiva che il condomino che esegue la sopraelevazione fa delle parti comuni, come il suolo, le fondazioni, i muri maestri, le scale, le tubazioni dell’acqua ecc. (Cass., sent. n. 1844, 13 febbraio 1993). Anche per quanto riguarda l’aspetto dell’utilizzo della colonna d’aria, come peraltro si è osservato pure nella sentenza delle Sezioni Unite, vi era un contrasto giurisprudenziale. Secondo l’opinione più diffusa infatti qualora chi sopraeleva sia, in base al titolo, proprietario esclusivo non solo dell’ultimo piano o del lastrico solare, ma anche della colonna d’aria soprastante, l’indennizzo agli altri condomini non è dovuto, perché sarebbe inconcepibile un indennizzo per la utilizzazione di un bene che è proprio di chi lo usa a suo vantaggio mediante la realizzazione della sopraelevazione (Cass., sent. n. 209, 24 gennaio 1969; n. 1084, 26 marzo 1976; n. 5556, 14 ottobre 1988). Più di recente però era stato affermato che, a differenza del sottosuolo, lo spazio sovrastante il lastrico solare (vale a dire la colonna d’aria) non costituisce oggetto di diritti e quindi non può neppure costituire oggetto di proprietà autonoma rispetto alla proprietà del lastrico, in quanto la proprietà della colonna d’aria deve essere infatti intesa come diritto in capo al proprietario del lastrico di utilizzare senza alcuna limitazione lo spazio sovrastante mediante la sopraelevazione, ma che una disposizione contenuta nell’atto di vendita secondo cui il proprietario del lastrico solare (o di una porzione di esso) è proprietario anche della colonna d’aria soprastante non comporta affatto l’esonero, per il proprietario, dall’obbligo di corrispondere l’indennità agli altri condomini, a meno che non sia accompagnata dalla accettazione e dalla susseguente rinunzia da parte di tutti i proprietari dei piani sottostanti (Cass., Sez. Unite, sent. n. 2084, 4 maggio 1989; Cass., sent. n. 22032, 22 novembre 2004; e si possono ricordare ancora: Cass., sent. n. 596, 21 febbraio 1968, secondo cui il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare, pur disponendo del diritto di sopraelevare, non ha la proprietà esclusiva della colonna d’aria sovrastante l’edificio e pertanto, in caso di sopraelevazione, deve corrispondere agli altri condomini una indennità per il valore dell’area da occupare, che è compresa “pro quota” nel valore di ciascun piano o appartamento; e Cass., sent. n. 845, 11 aprile 1964, secondo cui il diritto di sopraelevazione appartiene al proprietario dell’ultimo piano oppu-
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Condominio re al proprietario esclusivo del lastrico solare, mentre il diritto di proprietà della colonna d’aria soprastante all’edificio appartiene ai proprietari dei piani sottostanti e trova, in caso di sopraelevazione, il suo corrispettivo nell’indennità prevista dall’ultimo comma dell’art. 1127 cod. civ.). La sopraelevazione integra, indipendentemente dalla sua utilizzabilità ai fini abitativi, una nuova costruzione e pertanto, qualora il fondo finitimo sia già edificato si deve in ciascun punto osservare, rispetto al muro perimetrale dell’edificio confinante, il distacco minimo prescritto dal codice civile o dalle norme dei regolamenti edilizi vigenti che ne abbiano portata integrativa (Cass., sent. n. 400, 12 gennaio 2005). Infine con riguardo al caso della proprietà indivisa, fra più persone, dell’ultimo piano, è stato deciso che la facoltà di sopraelevare spetta a ciascuna di esse nei limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione, sempre nei limiti previsti dall’art. 1127, commi 2 e 3, cod. civ. (Cass., sent. n. 4258, 24 febbraio 2006).
n. 3-4/ 2007 La massima Condominio – sopralzo; sopraelevazione; requisiti costitutivi; diritto alla corresponsione dell’indennità; condizioni. Cass., Sez. Unite, sent. n. 16794, 30.7.2007. Nel caso in cui, in un condominio, il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio innalzi mura perimetrali, rifacendo il tetto e creando nuove unità abitative sostitutive delle precedenti soffitte esistenti, gli altri condomini del fabbricato hanno diritto a ottenere dal realizzatore la corresponsione dell’indennità di sopraelevazione prevista dall’art. 1127, comma 4, cod. civ. Ciò, poiché l’indennizzo compete a prescindere dal fatto che si siano realizzati nuovi piani o nuove fabbriche, avendo l’indennità in questione natura sostanzialmente riparatoria, essendo essa finalizzata a compensare gli altri condomini della perdita derivante dalla diminuzione di valore di ogni piano o porzione di piano del quale i predetti abbiano la proprietà, a nulla valendo l’eventuale aumento degli oneri condominiali, in capo al proprietario dell’ultimo piano, scaturente dall’ipotetica rettifica delle tabelle millesimali dell’edificio.
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ualsiasi costruzione oltre l’ultimo piano dell’edificio realizza in ogni caso un nuovo piano o una nuova fabbrica a prescindere dal rapporto con la precedente altezza dell’edificio stesso. La fattispecie prevista dal quarto comma dell’articolo 1127 del Codice civile, secondo cui il proprietario dell’ultimo piano che esegue una sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini una indennità, è ravvisabile ogni qual volta, a seguito dell’opera realizzata, si verifichi un incremento nella volumetria e nella superficie degli spazi interessati dalle opere, indipendentemente dal fatto che si sia proceduto o meno dall’innalzamento dell’altezza del fabbricato. Così hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 16794/07), confermando nel contempo l’inapplicabilità della norma nel solo caso in cui l’opera realizzata si limiti a semplici modificazioni interne del sottotetto nel rispetto delle strutture originarie del fabbricato e senza alcuna alterazione della copertura del fabbricato. L’alterazione Attenzione, però, perché c’è alterazione anche nel caso in cui, ferma l’altezza del colmo del tetto, venga trasformato lo spiovente della copertura, da rettilineo con pendenza unica a spezzato con pendenza diversa, oppure (sebbene con qualche dubbio di legittimità, precisa la sentenza in esame) quando si proceda all’ampliamento della base con la costruzione di uno sporto e la conseguente estensione del tetto. L’intervento delle Sezioni Unite pone così termine al contrasto giurisprudenziale che era sorto circa l’identificazione o meno di una sopra-elevazione qualora l’intervento operato dal condomino si fosse limitato ad una mera trasformazione dei locali preesistenti mediante minimo innalzamento dei muri perimetrali e del tetto e senza con ciò andare a realizzare veri e propri “nuovi piani o nuove fabbriche”.
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Quest’ultima, infatti, è la sola condizione al verificarsi della quale l’ultimo comma dell’articolo 1127 del Codice civile impone invece la corresponsione dell’indennità (come aveva affermato la stessa Corte di cassazione con la sentenza n. 6643/2000). Bastano 50 centimetri Adesso è pacifico che qualsiasi innalzamento dei muri perimetrali dell’edificio e del corrispondente tetto (nel caso esaminato dai giudici di legittimità si trattava di soli 50 centimetri) va a costituire una nuova fabbrica E deve quindi e deve essere considerato come sopraelevazione, comportante come tale l’obbligo per il condomino autore dell’intervento di corrispondere agli altri l’indennità prevista dalla legge. In sintesi I casi - In presenza di qualsiasi innalzamento, anche minimo, dei muri perimetrali. - Nel caso in cui ferma l’altezza del colmo del tetto, venga trasformato lo spiovente della copertura, da rettilineo con pendenza unica a spezzato con pendenza diversa. - Quando si amplia la base con la costruzione di uno sporto e la conseguente estensione del tetto L’indennità - La realizzazione di qualsiasi costruzione oltre l’ultimo piano comporta una maggiore utilizzazione dell’area sulla quale sorge l’edificio; diminuisce quello delle quote dei proprietari delle originarie unità immobiliari; da qui la previsione dell’indennità. «Il Sole 24 Ore»
Condominio
n. 3-4/2007
DISTANZE MINIME ANCHE PER I TUBI orme civili. Fabbricati adiacenti di Luana Tagliolini
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n condominio le norme sulle distanze rivolte fondamentalmente a regolare, con carattere di reciprocità, i rapporti fra proprietà individuali, contigue e separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni. In questi casi la norma speciale in materia di condominio prevale e determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulla proprietà. Nei rapporti tra diversi stabili in condominio, invece, nessuna deroga è possibile appli care in quanto trattasi di rap porti tra privati: in caso di vio lazione delle distanze tra co struzioni previste dal Codice civile e dalle norme integrative dello stesso (come i regola menti edilizi comunali), al pro prietario confinante compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, in quanto, «determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi in re ipsa senza necessità di una specifica attività probatoria» (Cassazione, sentenza n. 1407/2007). Nella fattispecie affrontata di recente dalla Corte di cassazione, trattandosi di distanze per tubazioni tra due edifici, la norma codicistica sulle distanze inderogabile richiamata è quella contenuta nell’articolo 889,2°comma, del Codice civi le, per la quale «per i tubi dell’acqua (...) per quelli del gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine».
I giudici di legittimità hanno confermato la sentenza di merito che aveva ordinato al condominio di arretrare le tubazioni degli impianti di riscaldamento, idrico e fognario a un metro dal confine con il fabbri cato adiacente che era stato “ri costruito integralmente” pre via demolizione integrale di quello preesistente, in quanto la mera comunione del muro tra le due proprietà non poteva costituire valida ragione per derogare al disposto dell’articolo 889 (Cassazione, sentenza n. 11752/2007). Osservano, inoltre, che la diversa conclusione cui era pervenuto il Tribunale, il quale sosteneva che la deroga alle distanze legali era giustificata dalla “indispensabilità dei servizi” da assolvere nel fabbrica to, sarebbe stata corretta se i due immobili avessero costituito un unico condominio in quanto, solo in tal caso, la deroga alla distanza prescritta dalla normativa codicistica poteva essere consentita. Trattandosi invece di condomini separati, riprendono vigore le norme sulle distanze che regolano i rapporti di vicinato. La Suprema corte, inoltre, non ha neanche riconosciuto una servitù di passaggio delle tubazioni poiché, non sussi stendo la situazione d’apparen za della servitù, non poteva accertarsi se si fosse maturata l’usucapione (che era stata eccepita) e, in ogni caso, «la demolizione del fabbricato aveva determinato l’estinzione della servitù, per modificazione del rapporto di fatto esistente tra il fondo dominante e quello servente»“ (Cassazione, sentenza n. 11752/2007). «Il Sole 24 Ore»
USO DELLA COSA COMUNE: L’INSTALLAZIONE DI ANTENNE SUL TETTO di Ivan Meo
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a Cassazione, Sez. II, con la sentenza n. 4617 del 27 febbraio 2007, ha capovolto le regole del gioco della par condicio nell’uso della cosa comune fra i condomini di un edificio asserendo che l’utilizzazione più intensa del tetto da parte di un solo condomino attraverso l’occupazione del 50% del tetto non viola l’uso paritario del bene comune, e quindi non è censurabile.
L’art. 1102 del codice civile L’art. 1102 cod. civ. fissa i principi da seguire nella valutazione dei limiti di liceità nell’utilizzazione delle cose comuni da parte del singolo condomino, autorizzando quest’ultimo anche ad apportarvi le modifiche necessarie per il suo miglior godimento, nel rispetto della destinazione
impressa al bene e purché non sia impedito agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto. (1) Per quel che riguarda il concetto di destinazione del bene comune si è suggerito di determinarlo sia alla stregua di criteri economici, come gli interessi appagabili con l’uso della cosa, sia giuridici, come le nor me di tutela degli interessi, sia di fatto, come le caratteristiche della cosa (Cass., sent. n. 4397 del 22 novembre 1976). Se ci soffermassimo attentamente sul signi ficato di “destinazione del bene” appena esposto, si noterebbe come nella sentenza in commento le modificazioni necessarie per il miglior godimento del tetto condominiale ap portate dal singolo condomino attraverso l’utilizzo di più della metà del tetto vanno al di là degli interessi economici appagabili con l’uso del tetto comune. Infat-
1. In argomento si vedano: Terzago, Il condominio, Milano, 1998, pag. 141; Corona, “Osservazioni sul limite quantitativo nell’uso delle parti comuni del condominio negli edifici”, in Riv. Giur. edil., 1960, II, pag. 13.
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Condominio ti, quest’ultimo ha la funzione di assicurare la copertura dello stabile, oltre quella di permettere a ciascun condomino di collocare le antenne televisive in ossequio al “diritto all’antenna” consacrato nell’art. 21 della Costituzione. Precisamente, la giurisprudenza fa discen dere dalla previsione di cui all’art. 1 della legge 554 del 6 maggio 1940 e dall’art. 232 del D.P.R. 156 del 29 marzo 1973, i quali dispongono che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non possono opporsi all’installazione nella loro proprietà di an tenne di sostegno, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto per il funzionamento degli apparecchi radioriceventi o televisivi, un diritto soggettivo perfetto di natura personale, riconduci bile all’art. 21 della Costituzione, che trova ostacolo solo nel divieto di menomare in mi sura apprezzabile il diritto di proprietà di chi deve sopportare l’installazione (2) (Cass., sent. n. 2160 dell’8 luglio 1971 e sent. n. 5399 del 6 novembre 1985). Quindi, permettendo a un condomino di occupare più del 50% del tetto per l’installa zione di antenne a scopo di lucro, la Cassa zione con la sent. n. 4617/2007 andrebbe a legittimare un uso del tetto diverso da quel lo previsto all’origine, e tutto questo motivato da un miglior godimento del bene comune. Non possiamo dimenticare che la stessa giurisprudenza ha ritenuto ammissibile quella forma di godimento che lasci immu tata la consistenza e destinazione origina rie a disposizione degli altri condomini (Cass., sent. n. 3251 del 28 ottobre 1974 e n. 579 del 21 febbraio 1976). Premesso ciò, notiamo che la sentenza in commento emessa dalla Cassazione motiva il suo responso ritenendo legittima la fruizione della cosa comune da parte del condomino con la sua “selva” di antenne, in quanto essa concretizzerebbe un’utilizzazione intensa del bene comune prevista dall’art. 1102 cod. civ. Al riguardo l’articolo appena menzionato, come precedentemente accennato, consen te al condomino di apportare le modifica zioni che egli ritenga utili per il miglior go dimento del bene comune, ma a condizione che tali modifiche si esplichino nei limiti dettati dalla legge e cioè con l’astensione di ogni alterazione del bene comune e conser vando la possibilità dell’uso di esso da parte di ogni altro condomino nell’ambito del suo diritto (App. Palermo, 4 luglio 1957). In altre parole, l’uso del bene da parte di un condomino rientra nell’uso “intenso” e non nello sfruttamento del comune a danno de gli altri condomini, quando viene rispettato il principio del “pari uso” del bene comune. La nozione di “pari uso” Si osserva che una delle questioni più dibattute concerne appunto l’individuazione della nozione del “pari uso” da parte degli altri condomini. Partendo dal presupposto che il principio del “godimento della cosa comune” si può esplicare in maniera tale che non sia impedito agli altri un
n. 3-4/ 2007 godimen to del medesimo contenuto sulle cose stes se, la nozione codicistica di “pari uso” di cui all’art. 1102 cc. non è da intendere nel senso di uso identico, ma di un uso che consenta all’altro partecipante di trarre dalla cosa comune la stessa utilità, anche se con modalità non perfettamente uguali; sempre che le stesse non comportino per uno dei partecipanti disagi e disguidi ap prezzabili. (3) Ne deriva che per stabilire se l’uso intenso da parte di un condomino venga ad alterare l’equilibrio tra i partecipan ti al condominio e sia, quindi, da ritenersi non consentito, non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto di dette parti dagli altri condomini, in un dato momento, ma all’uso potenziale, tenendo conto sia della destinazione attuale e delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa da valutarsi con concreto riferimento al caso particolare e alle peculiarità della fattispecie (Cass., sent. n. 10453 del 1° agosto 2001, n. 11268 del 9 novembre 1998 e n. 1499 del 12 febbraio, 1998). Simmetricamente, l’art. 1102 cod. civ., inteso, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godi mento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di es sa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi la nozione di “uso paritetico” intende re in termini di assoluta identità di utilizza zione della res, poiché una lettura in tal senso della norma de qua, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. (4) Va comunque precisato che la nozione di “pa ri uso” di cui all’art. 1102 cod. civ. non è da intendere nel senso di “uso identico”, ma di un uso che consenta all’altro partecipante di trarre dalla cosa comune la stessa utilità, an che se con modalità non perfettamente uguali; sempre che le stesse non comportino per uno dei partecipanti disagi e disguidi apprezzabili. (5) Deriva, da quanto precede, che per stabilire se l’uso intenso da parte di un condomino venga ad alterare l’equilibrio tra i partecipanti al condominio e sia, quindi, da ritenersi non consentito, non deve aversi ri guardo all’uso fatto in concreto di dette par ti dagli altri condomini, in un dato momento, ma all’uso potenziale, tenendo conto sia della destinazione attuale e delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa da valu tarsi con concreto riferimento al caso particolare e alle peculiarità della fattispecie. (Cass., sent. n. 10453/2001, n. 11268/1998 e n. 1499/1998). In giurisprudenza si discute, infatti, se l’atto di godimento del singolo condomino non de ve pregiudicare il compimento di altre opere da parte dei compartecipi ragionevolmente prevedibili (Cass., sent. n. 1836 del 21 maggio 1976), che permettano di trovare analoghi vantaggi dalla cosa
2. Al riguardo, la giurisprudenza ha permesso che il tetto sia utilizzato per la collocazione di un’antenna ricetrasmittente anche in presenza di impianto centralizzato (Cass., sent. n. 7825 del 3 agosto 1990; Pret. Milano 24 marzo 1988). 3. De Tilla, “Le innovazioni (artt. 1120 e 1102 cod. civ.)”, in Codice ipertestuale di locazione e condominio, Torino, 2006. 4. Nell’affermare tale principio di diritto, la Cassazione, con sent. 12344 del 5 dicembre 1997, ha ritenuto non costituire abusiva utilizzazione dell’intercapedine comune di un edificio in condominio, accessibile soltanto dal giardino del condomino interessato, la collocazione, da parte di quest’ultimo, di due serbatoi in lamiera per gasolio, di un vaso di espansione per l’impianto di riscaldamento e di alcune scaffalature in legno, non essendo la suddetta attività legittimamente qualificabile in termini di impedimento allo svolgimento della funzione sua propria della res, consistente nel dare aria e luce al fabbricato, nonché di offrire protezione contro l’umidità proveniente da eventuali fondi o manufatti limitrofi. Si veda anche De Tilla, “Le innovazioni (artt. 1120 e 1102 cod. civ.)”, in Codice ipertestuale di locazione e condominio, Torino, 2006. 5. De Tilla, op. cit.
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n. 3-4/2007 comune a favore della loro proprietà esclu siva (Cass., sent. n. 5954 dell 11 novembre 1981). Oppure, se con maggiore rigore e precisione, l’intervento del singolo condomino non deve pregiudicare la possibilità per gli altri compartecipanti di attuare lo stesso intervento a proprio favore, al fine di non alterare il perfetto equilibrio fra le utilità di tutti i condomini. Il Supremo Collegio ha ribadito che l’utilizzazione della cosa comune, da parte del singolo condomino, può avvenire anche in modo più intenso rispetto a quanto prati cato dagli altri partecipanti, sia pure nell’ambito della destinazione normale della cosa e senza alterare il rapporto di equili brio fra le utilizzazioni concorrenti attuali e potenziali degli altri condomini, purché non si dia luogo a dannose invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti dei condomini (Cass., sent. n. 5465 dell’8 settembre 1986 e n. 6192 del 28 novembre 1984). A questo punto sembra ancora più evidente la contraddittorietà della decisione della Cassazione n. 4617/2007. Infatti, l’uso paritetico nel caso di specie (occupazione di oltre la metà del tetto per l’installazione di antenne da parte di un solo con domino) verrebbe rispettato, a parere della Corte, sulla base della “ragionevole previsio ne” dell’utilizzazione che in concreto ne faranno gli altri condomini e non di quella “identica e contemporanea” che in via mera mente ipotetica e astratta ne potrebbero fare. Ma se il conflitto fra le varie facoltà d’uso tra i condomini deve essere superato in funzione della ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto ne faranno gli altri condomini, potremmo senz’altro affermare che si potrebbe “prevedere ragione-volmente” che ogni condomino abbia diritto a utilizzare il tetto comune per poter installare antenne televisive per la raccolta pubblici taria e ottenerne così un guadagno! Quindi, nella fattispecie in commento, a ragion veduta, non ci dovremmo trovare più nell’ipotesi di uso “intenso” del bene comune così come tradizione giuridica ci tramanda, ma bensì in un’ipotesi di sfruttamento del bene comune e usurpazione del principio fonda mentale in tema di condominio, cioè quello del “pari uso” del bene comune. A proposito dell’uso più intenso, il Tribuna le di Salerno ha affermato la possibilità della installazione da parte del singolo condomino di pannelli solari. (6) Tale sentenza è stata, però, completamente riformata dalla Corte di Appello di Napoli sul rilievo che nel caso di specie ha rilevato che: «la destinazione della copertura dell’edificio condominiale all’impatto di pannelli solari, per l’uso particolare del singolo condomi no, può alterare il rapporto di equilibrio tra le facoltà di utilizzazione, attuale e poten ziale degli altri condomini». (7) Lo stesso iter logico avrebbe potuto applica re la Cassazione, con la sent. n. 4617/2007, censurando l’occupazione di più della metà del tetto da parte di un singolo condomino a danno della par condicio di tutti i condomini sull’uso del bene comune. Concludendo, non si potrebbe indubbiamente considerare come la panacea di tutti i ma li da un lato il “diritto all’antenna”, ormai consacrato nell’art. 21 della Costituzione, e dall’altro il principio di solidarietà che il nostro ordinamento pone a presidio di ogni relazione giuridica e convivenza sociale in ambito condominiale perché inevita-
Condominio bilmente si provocherebbe un’inevitabile lesione di un diritto a svantaggio dell’altro. __________ La Massima Condominio - comunione; parti comuni; tetto, installazione di antenne televisive Cass., Sez. Il, sent. n. 4617,27.2.2007 - Pres. Calfapietra, Rei. Atripaldi Svolgimento del processo Il condominio Ca. ha impugnato, nei confronti del Za.Ma., con ricorso notificato il 28 novembre 2002, la sentenza della Corte di Appello di Bologna, notificata il 2 ottobre 2002, che, in riforma di quella di 1° grado, gli aveva rigettato la domanda di rimozione di alcune antenne installate dallo Za. sul tetto condominiale. 11 ricorrente lamenta: 1 ) la violazione dell’art. 1102 cod. civ. dato che erroneamente la Corte di merito non aveva ritenuto violato il principio dell’uso paritetico della cosa comune, sebbene lo Za. avesse utilizzato una superficie pari ad oltre il 50% del tetto; senza considerare il diritto dell’assemblea di impedire un uso del bene comune ritenuto nocivo alla salute e all’estetica del fabbricato, e che ne consentiva l’utilizzazione a soggetti estranei al condominio; 2)‘ la insufficiente e contraddittoria motivazione, atteso che la Corte di Appello aveva fatto riferimento al D.P.R. 156/1973 al “diritto all’installazione” come facoltà compresa nel diritto primario riconosciuto dall’art. 21 Cost., sebbene lo Za. utilizzasse le antenne per la raccolta pubblicitaria e, quindi, per scopo di lucro. Con controricorso notificato il 2 gennaio 2003, Za.Ma. resiste. Motivi della decisione Privo di giuridico fondamento appare il 1° motivo, col quale il ricorrente ripropone una non consentita rivisitazione delle valutazioni in fatto della Corte di merito, che, con adeguata motivazione immune da vizi logici, ha ritenuto non escluso dall’antenna dello Za. l’uso paritetico del tetto spiovente da parte di altri condomini. Uso paritetico che, comunque, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis sent. n. 1499/1998 e n. 8808/2003), richiamata dai giudici merito, va tutelato in funzione della ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto ne faranno gli altri condomini e non di quella identica e contemporanea che in via meramente ipotetica ed astratta ne potrebbero fare; dovendosi anche i rapporti fra condomini informare al generale principio di solidarietà, che il nostro ordinamento pone a presidio di ogni giuridica relazione. Le altre questioni, poi, con le quali il ricorrente paventa un danno alla salute, la compromissione dell’estetica dell’edificio e l’illegittima utilizzazione del bene comune da parte di terzi, sono inammissibili perché nuove, non risultando in precedenza sottoposte al vaglio dei giudici di merito. Anche il 2° motivo, che implica non consentiti accertamenti di fatto, è inammissibile oltre che infondato, atteso che la Corte di Appello correttamente ha richiamato la normativa di cui al D.P.R. 156/1973, solo per rilevare la legittimità dell’uso del bene comune fatto dallo Za. Uso compatibile, quindi, con la destinazione del bene e che perciò trova il suo fondamento, come rilevato dalla Corte di merito, nell’art. 1102 cod. civ.; che secondo la richiamata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, consente a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione conciliabile con i diritti degli altri. Conciliabilità, come visto, nella specie accertata. Al rigetto del ricorso, segue la condanna alle spese, in dispositivo indicate. (Omissis)
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6. Trib. Salerno, 17 febbraio 1982, con nota di Gallone, “Circa l’uso più intenso della cosa comune”, in Riv. Giur. edil. 1982, I, pag. 1084. 7. In dottrina: Gallone, “Pannelli solari e uso più intenso della cosa comune”, in Giur. it., 1983, I, 2, pag. 607. In giurisprudenza: Corte d’Appello di Napoli, 13 maggio 1983.
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da “LE PARTI COMUNI IN CONDOMINIO” L’uso, la ripartizione delle spese, gli orientamenti giurisprudenziali di Ettore Ditta
Nozione di condominio negli edifici
L
’espressione legislativa condominio negli edifici indica la situazione giuridica di tutti gli immobili che sono costituiti da più unità, appartenenti a soggetti distinti, nelle quali ciascun proprietario è allo stesso tempo titolare anche di un diritto di comproprietà “necessario” su tutti i beni destinati all’uso comune. Il condominio viene a esistere, senza necessità di specifici atti formali, non appena più soggetti acquistano la proprietà delle unità immobiliari che si trovano in un edificio; è indifferente che l’acquisto abbia luogo subito dopo la costruzione dell’edificio oppure per effetto del frazionamento, fra più comproprietari, di un edificio che fino a quel momento era appartenuto a un proprietario unico.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la disciplina legislativa dettata in materia di condominio negli edifici - gli artt. 1117-1139 cod. civ. insieme agli artt. 61-72 disp. att. cod. civ. e a un gruppo, or mai piuttosto nutrito, di leggi speciali che a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta sono venute a interessare, in particolare per quanto riguarda le maggioran ze assembleari (ma anche in relazione ad altri importanti aspetti), questa materia -non comincia (né contiene in alcuna sua parte) una definizione legislativa di condo minio negli edifici. È toccato, quindi, ai giu dici elaborare tale definizione che viene offerta in termini di mero ente di gestione destinato all’amministrazione dei beni con dominiali, vale a dire di quelle parti comu ni dell’edificio necessarie (o anche semplicemente utili) per l’utilizzo delle unità im mobiliari di proprietà esclusiva dei parte cipanti al condominio. Questa definizione, nonostante la mancanza di un espresso riferimento legislativo in proposito, si ripete costantemente e non viene mai messa in discussione nella giurisprudenza, sia quella di merito che quella di legittimità (tra le tante: Cass., sent. n. 12588, 28.8.2002, secondo cui il condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini e, di conseguenza, l’esistenza di un organo rappresen tativo unitario, come l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale; Cass., sent. n. 12343, 22.8.2002 e Sez. Unite, sent. n. 5035, 8.4.2002, secondo cui, in ca so di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di det ta unità e non anche chi possa apparire tale - come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà, non comuni cato all’amministratore, abbia continuato a comportarsi da proprietario - dal momento che mancano, nei rapporti fra il condominio che è solo un ente di gestione e i singoli condomini partecipanti a esso, le
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condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, che è invece strumentale essenzialmente a esigenze di tutela dell’affi damento del terzo in buona fede, e dal mo mento che, d’altra parte, il collegamento della legittimazione passiva all’effettiva titolarità della proprietà è funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale; Cass., ord. n. 10086, 24.7.2001, secondo cui al contratto concluso con il professionista dall’ammini stratore del condominio, che è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, trova applicazione, in presenza degli altri ele menti previsti dalla legge, gli artt. 1469-bis e segg. cod. civ., perché l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attivi tà imprenditoriale o professionale; Cass., sent. n. 7891, 9.6.2000, secondo cui il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, che opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei parteci panti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza inter ferire nei diritti autonomi di ciascun condomino; Cass., sent. n. 976, 28.1.2000, secondo cui il condominio di edifici, che non è una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in senso tecnico, ove non abbia designato nell’ambito dell’edificio un luogo espressamente destinato e di fatto utilizzato per l’organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio che coincide con quello privato dell’amministratore che lo rappresenta; Cass., sent. n. 1286, 12.2.1997, secondo cui l’amministratore di condominio - nel quale non è ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bensì la gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o comprensione del l’autonomia individuale - configura un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione e al contenuto “so ciale” della gestione, al mandato con rappresentanza, con la conseguente applicabi lità, nei rapporti tra amministratore e ognuno dei condomini, dell’art. 1720, comma 1, cod. civ. - ai sensi del quale il mandante deve rimborsare al mandatario le an ticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incari co diretta a ottenere il rimborso di somme anticipate nell’interesse della gestione con dominio legalmente rappresentato dal nuo vo amministratore, anche contro il singolo condomino inadempiente all’obbligo di pagare la propria quota; Cass., sent. n. 12304, 14.12.1993 e n. 2590, 30.3.1990, secondo il quale il regolamento di condominio si configura, in relazione alla sua specifica fun zione di costituire una sorta di statuto con -
n. 3-4/2007 venzionale del condominio che ne disciplina la vita e l’attività come ente di gestione, come atto volto a incidere su di un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente vincolanti per tutti i condomini, con la conseguenza che l’azione promossa da uno o più condomini per ottenere la declaratoria di nullità del regolamento medesimo, per vizi attinenti al suo processo di formazione, de ve avere come necessari contraddittori tut ti gli altri condomini; Cass., sent. n. 6866, 14.12.1982, secondo cui quando l’amministratore del condominio - che è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica -abbia assunto obbligazioni in nome e per conto del condominio nei limiti delle sue attribuzioni o eseguendo deliberazioni assembleari, tali obbligazioni sono riferibili ai condomini, con la conseguenza che il terzo contraente può agire per ottenere il pagamento sia nei confronti dell’amministratore sia nei confronti dei singoli condomini e che la sentenza eventualmente ottenuta nei confronti dell’amministratore può essere fatta valere nei confronti dei singoli condo mini, pur se non indicati nominativamente nella sentenza). Il condominio minimo Esiste anche una particolare figura di condominio, quella del cosiddetto condominio minimo, caratterizzata dal fatto che ha due soli condomini. La presenza di due soli con domini comporta ovviamente vari problemi gestionali, in particolar modo per quanto riguarda l’applicabilità a esso della disciplina condominiale in tema di maggioranze. Tuttavia secondo Cass., Sez. Unite, sent. n. 2046, 31 gennaio 2006, l’impossibilità pra tica di impiegare il principio maggioritario (dal momento che i condomini sono soltanto due) non rende inapplicabili al condominio minimo le norme procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, né determina automaticamente il ricorso alla disci plina prevista per la comunione in generale; con la conseguenza che la disciplina sulle maggioranze prevista dall’art. 1136 cod. civ. trova applicazione anche al condominio composto da due soli partecipan ti, ma nel caso in cui non si riesca a rag giungere l’unanimità e non si possa deci dere, si rende necessario ricorrere all’au torità giudiziaria, così come viene previsto dagli artt. 1105 (che consente di ricorrere all’autorità giudiziaria per superare un contrasto fra i due partecipanti che pregiudichi la necessaria amministrazione della cosa comune) e 1139 cod. civ. Il condominio parziale Altra figura particolare di condominio riconosciuta dalla giurisprudenza è quella del cosiddetto condominio parziale, che ha luogo in tutti i casi in cui la proprietà comune di talune cose, impianti o servizi vie ne attribuita, per legge o per titolo, soltan to ad alcuni dei proprietari dei piani o de gli appartamenti che si trovano nell’edificio e non a tutti i condomini (Cass., sent. n. 8066, 18.4.2005; n. 1959, 12.2.2001 e n. 651, 21.1.2000, secondo cui, con riguardo alle controversie attinenti a tali cose, impianti o servizi non sussiste difetto di legittimazione passiva in capo all’amministratore dell’intero condominio, il quale mantiene comunque il suo ruolo di unico sog getto fornito, ai sensi dell’art. 1131 cod. civ., di rappresentanza processuale in ordi ne a qualunque azione concernente le par ti comuni dell’edificio; Cass., sent. n.
Condominio 1255, 2.2.1995, secondo cui le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute so lo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale previsto dall’art. 1123, comma 3, cc. - a norma del quale quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità e quindi non devono concorrere alle spese di manuten zione della facciata di un edificio i proprietari dei box contenuti in un diverso immo bile il quale, benché posto all’interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, resta separato dall’edificio in cui si trovano le unità abitative; Cass., 27.9.1994, n. 7885, secondo cui i presup posti per l’attribuzione della proprietà co mune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l’esistenza e per l’uso, ovvero sono de stinati all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, con la conseguenza che nel condominio parziale non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità e quindi la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione al la titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto; Cass., sent. n. 9084, 24.8.1991; n. 8233, 11.8.1990; n. 9644, 29.12.1987; n. 3882, 29.6.1985; n. 2206, 5.4.1984 e n. 1632, 4.3.1983). Il supercondominio Bisogna, infine, ricordare il cosiddetto supercondominio. Con questa espressione (talvolta sostituita da quelle di “condominio complesso” o “condominio orizzontale”) viene indicata la situazione che si verifica nel caso di un complesso edilizio distinto in diversi corpi di fabbrica i quali, pur essendo strutturalmente autonomi, sono dotati di beni strumentali destinati al servizio comune dei complessi edilizi stessi. Secondo un orientamento che si può definire ormai costante della Corte Cassazione - nonostante le forti critiche della dottrina motivate in particolar modo dalle conseguenze inopportune che esso comporta - il supercondominio ha luogo in presenza di una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, ma compresi in una più ampia organizzazione condominiale, che sono legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (come il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato e altri) in rapporto di accessorietà con i fabbricati; e a esso si applica la disciplina sul condominio e, con disposizioni diverse, quella sulla comunione. Come viene spiegato da Cass., sent. n. 8066, 18.4.2005, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell’edificio elencate in via esemplificativa, se il contrario non risulta dal titolo, dall’art. 1117 cod. civ. alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso, la nozione di condominio in senso proprio è configurabile non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale ma anche nel caso di costruzioni adiacenti orizzontalmente - come in particolare le cosiddette case a schiera - in quanto sono dotate delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dall’art. 1117
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cod. civ.; peraltro, anche quando manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, non può essere esclusa la condominialità neppure per un insieme di edifici indipendenti, giacché, secondo quanto si desume dagli artt. 61 e 62 disp. att. cod. civ. - che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi - è possibile la costituzione ab origine di un condominio tra fabbricati a sé stanti, aventi in comune solo alcuni elementi, o locali, o servizi o impianti condominiali. Dunque, per i complessi immobiliari, che comprendono più edifici, seppure autonomi, è rimessa all’autonomia privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni fabbricato, cui si affianca in tal caso la figura di elaborazione giurisprudenziale del “supercondominio”, al quale sono applicabili le norme relative al condominio in relazione alle parti comuni, di cui all’art. 1117 cod. civ., come per esempio le portinerie, le reti viarie interne, gli impianti dei servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia, come per esempio le attrezzature sportive, gli spazi d’intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune. Il principio secondo cui al supercondominio si applicano le norme sul condominio è stato affermato anche da: Cass., sent. 14791, 3.10.2003; n. 9096, 7.7.2000; n. 7946, 29.9.1994; n. 7894, 28.9.1994 e n. 65, 5.1.1980. Una sola volta la Suprema Corte, nonostante abbia dichiarato di condividere l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, di fatto lo ha disatteso e ha applicato la normativa sulla comunione a un complesso immobiliare costituito da un gruppo di quattro distinti condomini corrispondenti al numero delle palazzine che lo formavano (Cass., sent. n. 2923, 20.6.1989). In un’altra (unica) occasione, invece, è stato affermato che il supercondominio trova la sua disciplina in termini di servitù reciproche (Cass., sent. n. 2619, 5.10.1974). Concetto di “parte comune” In mancanza di una definizione legislativa, la disciplina legale sul condominio incomincia con l’art. 1117 cod. civ. che contiene direttamente l’elencazione delle parti comuni dell’edificio sottoposto al regime di condominio. Si tratta di un’elencazione che ha un duplice e importante scopo:
a. vuole indicare ai condomini quali sono i beni sui quali, in quanto comuni, i condo mini stessi possono esercitare il loro diritto di uso; b. allo stesso tempo vuole indicare quali sono i beni in relazione ai quali, sempre in quanto comuni, i condomini sono tenuti a sostenere le spese, secondo il principio generale dettato dall’art. 1123 cod. civ. Il sistema di enumerazione adottato dal le gislatore è “misto” nel senso che le parti comuni sono elencate con precisione solo in parte, mentre per tutte le restanti si fa opportunamente ricorso a una clausola generale di completamento; in questo modo viene conferita alla norma elasticità e adattabilità alle situazioni più svariate, soprattutto in vista di future innovazioni nel momento attuale imprevedibili (si pensi, per esempio, alle antenne satellitari inesistenti fino a pochi anni fa, attualmente di uso comune). Inoltre, per evitare un elenco unico troppo lungo, la legge ha suddiviso le parti comuni - in base alle loro caratteristiche - in tre numeri distinti (riquadro 1); e quindi in ogni numero della disposizione vi è una elencazione per singole voci nella iniziale parte e una clausola generale nella parte finale. In questo modo risulta una disposizione agile e in grado di trovare applica zione anche con riferimento a beni comuni al momento ancora non esistenti. L’elencazione delle parti comuni contenuta nell’art. 1117 cod. civ. non è tassativa; a tale conclusione giunge unanime la giurispruden za, così come la prevalente dottrina (Cass., sent. n. 1030, 14.3.1977 e n. 3862, 7.6.1988). L’art. 1117 conclude la disciplina delle parti comuni stabilendo che tutti i beni indicati sono di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano, se il contrario non risulta dal titolo. In tal modo la legge ha istituito una presunzione di comproprietà per tali beni e la giurisprudenza, nonostante le incertezze della dottrina, ha costantemente affermato che si tratta di una presunzione iuris tantum, vale a dire valida fino alla prova contraria ( Cass., sent. n. 2984, 6.5.1980; n. 4931, 18.8.1981; n. 2622, 26.4.1984; n. 4987, 8.8.1986 e n. 9644, 29.12.1987), ritenendo che il legislatore abbia adottato il criterio in base al quale la presunzione di comproprie tà prevista dall’art. 1117 cod. civ. è determinata dalla struttura delle cose e dalla loro destinazione all’uso comune (Cass., sent. n. 1591, 10.3.1980; n. 3882, 29.6.1985; n. 9644, 29.12.1987 e n. 583, 17.1.2001). L’art. 1117 non distingue, ai fini della presunzione di comu-
Riquadro 1 - Elenco delle parti comuni
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n. 3-4/2007 nione, fra le cose indicate al numero 1 e quelle indicate negli altri due numeri e, di conseguenza, la presunzione in parola opera anche riguardo alle cose che per destinazione pertinenziale debbono ser vire per dare aria e luce agli appartamenti condominiali o a parti comuni del condomi nio (Cass., sent. n. 2999, 16.4.1988). La presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art. 1117 cod. civ., senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limi trofi e autonomi, purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all’uso o al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce e accesso a tutti i fabbricati che lo circon dano (Cass., sent. n. 14559, 30.7.2004). Dal punto di vista processuale la presunzione legale di proprietà comune delle co se elencate dall’art. 1117 dispensa il con dominio dalla prova del suo diritto e in particolare dalla c.d. “prova diabolica”, con la conseguenza che quando un condomino affermi per sé l’appartenenza esclusiva di uno dei beni comuni, è onere dello stesso condomino, per vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva e a tal fine non è sufficiente il suo titolo d’acquisto quando quest’ultimo non contiene in modo chiaro e inequivoco ele menti utili a escludere la condominialità del bene (Cass., sent. n. 3862, 7.6.1988). Titoli idonei a superare la presunzione di comproprietà La presunzione di proprietà comune dei beni indicati dall’art. 1117 cessa in tutti i casi in cui sussiste un titolo che dispone il contrario. Non è necessario che nel titolo vi sia una espressa dichiarazione di volontà in tal senso, perché è sufficiente che esso offra elementi di significato inequivoco che facciano ritenere che la parte in questione sia di proprietà esclusiva di un determinato soggetto (Cass., sent. n. 3965, 24.6.1980 e n. 318, 18.1.1982). In ogni caso il titolo contrario deve rivestire, per la sua validità, la forma scritta (Trib. Torino, 3.6.1987). Titoli idonei a superare la presunzione di comproprietà, secondo dottrina e giurisprudenza, sono: - l’atto costitutivo del condominio (Cass., sent. n. 3867, 11.6.1986) o l’atto di questo modificativo e il regolamento c.d. contrattuale approvato unanimemente (Cass., sent. n. 248, 21.1.1975) che venga deliberato dopo l’avvenuta costituzione del condominio; tuttavia la Suprema Corte ha affermato che, nell’ipotesi dell’atto costitutivo del condominio, la semplice omessa menzione di una data parte dell’edificio in esso non esclude la presunzione di comunione prevista dall’art. 1117, occorrendo anche in questo caso gli elementi di significato univoco idonei a fare ritenere che quella parte sia di proprietà esclusiva di un determinato soggetto (Cass., sent. n. 2206,
5.4.1984). Con altra sentenza (Cass., sent. n. 4825, 14.7.1983) i Giudici hanno specificato che il titolo contrario non può essere ravvisato in atti relativi alla proprietà del terreno anteriori alla costruzione di un edificio; - gli atti di acquisto della proprietà esclusiva delle singole porzioni immobiliari (Cass., sent. n. 388, 8.2.1959); ma essi non possono costituire validamente titolo contrario nell’ipotesi in cui l’atto di compravendita sia successivo alla costituzione del condominio, poiché in tal caso mantiene inalterata la sua efficacia il negozio posto in essere da colui o da coloro che hanno dato origine al condominio (Cass., sent. n. 1859, 22.2.1988 e n. 3236, 25.5.1984); - l’atto mortis causa, come il testamento (Cass., sent. n. 2328, 27.6.1969); - l’usucapione (Cass., sent. n. 4987, 8.8.1986); per il compimento dell’usucapione è indispensabile soltanto la presenza di atti incompatibili col permanere del compossesso (Cass., sent. n. 2279, 23.4.1979) e non è necessario fare opposizione al diritto degli altri partecipanti alla comunione, così come previsto nei casi di interversione del possesso in senso stretto, cioè quelli disciplinati negli artt. 1141 e 1164 cod. civ. (Cass., sent. n. 3464, 21.10.1975). In relazione alla distinzione dottrinale fra beni necessariamente condominiali e beni non necessariamente condominiali, la Suprema Corte ha affermato che le parti dell’edificio condominiale indicate al n. 2 dell’art. 1117 cod. civ. (che al pari di quelle indicate ai n. 1 e 3 dello stesso articolo, sono oggetto di proprietà comune) sono anche suscettibili, a differenza delle parti del edificio di cui ai citati n. 1 e 3, di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessità; pertanto, in relazione di esse, occorre accertare, nei singoli casi, se l’atto che le sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi, nel secondo caso, l’esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem, fondato su una limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione, in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti, anche in mancanza di trascrizione, che è pertanto possibile ai sensi dell’art. 2646 cod. civ. (Cass., sent. n. 5167, 25.8.1986); con questa sentenza la Cassazione ha quindi definito con precisione quali sono le parti necessariamente condominiali e quali non lo sono. Sussiste un condominio (in senso tecnico), ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., nel caso in cui vi sia la proprietà comune di tutti i proprietari esclusivi su tutte le altre parti dello stesso edificio; al contrario, la proprietà di più partecipanti su cose comuni (quali gli spazi liberi tra più edifici), mancando una proprietà esclusiva su talune parti di questa “cosa” si atteggia a comproprietà e non a condominio (Cass., sent. n. 2923, 20.6.1989).
Le singole parti comuni
I
l suolo e il sottosuolo, i muri maestri; i tetti, i sottotetti e i lastrici solari; le scale; i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi e i portici; i cortili; la portineria e l’alloggio del portiere; l’impianto di riscaldamento; gli ascensori; i pozzi, le fognature e i canali di scarico; l’impianto per l’acqua, per il gas e per l’energia elettrica; il pianerottolo.
Il suolo e il sottosuolo Per suolo che costituisce oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani, o porzioni di piano dell’edificio, si intende lo spazio di terreno su cui sorge l’edificio. Ai fini dell’art. 1117, n. 1, cod. civ., esso è costituito dall’area occupata e circoscritta dalle fondamenta e dai muri perimetrali esterni
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Condominio (Cass., sent. n. 3882, 29.6.1985 e n. 3663, 28.5.1988); e il presupposto di comunione è dato dalla circostanza che su uno stesso suolo sorgano diversi piani o porzioni di piano costituenti uno stesso edificio (Cass., sent. n. 2864, 26.4.1983). Il “suolo su cui sorge l’edificio”, al quale fa riferimento l’art. 1117 cod. civ., è quella porzione di terreno sulla quale poggia l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima di esso; pertanto, rientrano in tale no zione l’area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavi mento del pianterreno, non anche quest’ul timo; con la conseguenza che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di campagna, bensì dell’area di ter reno sita in profondità - sottostante, cioè, la superficie alla base del fabbricato - sulla quale posano le fondamenta dell’immobile (Cass., sent. n. 18091, 19.12.2002; n. 14350, 3.11.2000 e n. 8346, 24.8.1998). Sempre a proposito del suolo bisogna tenere presente che nel condominio di edifici, caratterizzato dalla divisione della proprietà per piani orizzontali, la proprietà o comproprietà di manufatto esistente sopra il suolo non consegue automaticamente, secondo la previsione degli artt. 840 e 934 cod. civ., dal diritto dominicale del suolo medesimo, ma può derivare soltanto in for za del titolo o per effetto della destinazio ne all’uso comune del manufatto stesso (Cass., sent. n. 1445, 16.3.1981); inoltre il proprietario del piano di terra ha sul suolo di proprietà comune un diritto di superficie analogo a quello che si riconosce a ogni proprietario del piano superiore rispetto a quello inferiore (Cass., 5.4.1984, n. 2206). La legge non dispone nulla in tema di sottosuolo e quindi il compito di identificarne la natura giuridica è toccato alla Corte di Cas sazione, secondo la quale, per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 cod. civ, il sottosuolo (costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio) va considerato di proprietà comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini (Cass., sent. n. 6587, 11.11.1986). Circa l’utilizzazione del sottosuolo è stato affermato che con riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un cortile in terno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo condomino per l’installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua proprietà esclusiva, la configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da parte di questo altro condomi no - corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà e non di un mero diritto di servitù di passaggio - desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfaci mento di esigenze di accesso, affaccio, luce e aria dei singoli partecipanti, oltre che dalla sua inclusione, in difetto di titolo contra rio, fra le parti comuni dell’edificio, nonché l’accertamento ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concor renti facoltà del compossessore, traducendosi in un impedimento totale o parziale a un analogo uso da parte di quest’ultimo (Cass., sent. n. 432, 28.1.1985). Non è consentito al proprietario dell’unità immobiliare sita al piano terreno, in mancanza di autorizzazione da parte degli altri condomini, di utilizzare il sottosuolo dell’edificio aumentando l’altezza originaria del vano di sua proprietà esclusiva mediante l’escavazione e l’abbassamento del pavimento (Cass., sent. n. 8119, 28.4.2004).
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n. 3-4/ 2007 I muri maestri Ogni condomino è comproprietario dell’intero muro perimetrale comune e non della sola parte di esso corrispondente alla sua esclusiva proprietà (Cass., sent. n. 1637, 4.3.1983). Sono considerati muri maestri quelli che co stituiscono l’ossatura portante (muri c.d. portanti) e quelli perimetrali (muri c.d. di tamponamento), sia esterni sia interni all’e dificio; restano quindi esclusi dalla nozione solo i muri interni aventi funzione puramente divisoria (c.d. tramezze) i quali, in quanto di proprietà individuale, possono essere liberamente utilizzati dai singoli condomini. Nella nozione di muro maestro rientrano pure i pannelli esterni di riempimento fra i pilastri di cemento armato, perché, anche se la funzione portante viene assolta principalmente da architravi e pilastri, pure i pannelli in questione sono eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell’edificio (Cass., sent. n. 776, 9.2.1982). I muri perimetrali dell’edificio vanno considerati comuni in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio e deli mitano la superficie coperta e la sagoma ar chitettonica dell’edificio; per questo motivo sono muri comuni anche quelli collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell’immobile (Cass., sent. n. 3867, 11.6.1986). Se un muro di sostegno di un giardino di proprietà esclusiva sovrasta un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, resta ugualmente di proprietà privata (Cass., sent. n. 145, 19.1.1985). La facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, dei quali è cenno espresso nell’art. 1117, n. 1, cod. civ., e forma oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro, quindi, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dell’intonaco (Trib. Torino, 3.6.1987). In un edificio in condominio le chiostrine - vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani o porzioni di piano, attribuite per titolo in proprietà esclusiva ai proprietari dei piani superiori - raffigurano beni giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell’edificio, che le delimitano; questi muri, in quan to parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l’edificio, appartengono in proprietà comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri maestri, che delimitano le chiostrine, devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a piano terra, ancorché essi non siano proprietari delle chiostrine stesse (Cass., sent. n. 11435, 19.11.1993). Le finestre dei singoli appartamenti, an corché poste sui muri comuni, non per que sto sono comuni (Cass., sent. n. 900, 26.3.1955). Inoltre, poiché l’apertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti sul muro comune costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, non si applicano in questa mate ria le norme che disciplinano le vedute sul fondo altrui ai sensi degli artt. 900 e 907 cod. civ., bensì quelle che consentono al singolo condomino di servirsi delle parti comuni per il migliore godimento della cosa (Cass., sent. n. 6929, 15.12.1982). L’apertura di finestre lucifere nel muro perimetrale da parte del condomino in generale è ammessa dalla giurisprudenza anche senza il consenso degli altri condomini, sempre
n. 3-4/2007 che non sia vietata da speciali convenzioni o dal regolamento condomi niale, che non pregiudichi il decoro, l’este tica o la stabilità dell’edificio o che non ostacoli l’esercizio del concorrente diritto degli altri condomini, dal momento che non comporta un mutamento della essenza strutturale e funzionale del muro stesso (Cass., sent. n. 597, 24.1.1980). Costituisce invece uso indebito della cosa comune - e quindi è vietata - l’apertura praticata da un condomino nel muro peri metrale dell’edificio condominiale per met tere in collegamento l’appartamento di sua esclusiva proprietà con altro suo immobile estraneo al condominio in quanto in tal modo viene alterata la destinazione comune del muro (Cass., sent. n. 3963, 24.6.1980; n. 2339, 21.4.1981; n. 5628, 16.11.1985 e n. 3867, 11.6.1986; Trib. Piacenza, 31.7.1987); in mancanza di un simile divieto si costituirebbe una servitù a favore di beni comunque estranei al condominio, il che non può avvenire legittimamente senza il consenso di tutti i proprietari. L’utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo partecipante deve ritenersi pre clusa sia quando esso comporti un’alterazione della destinazione del muro o impedisca agli altri condomini un pari uso dello stesso ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., sia quando esso implichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva (Cass., sent. n. 2751, 4.5.1982); sono invece legittime, senza bi sogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che permettono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, purché non risulti impedito a questi ultimi l’esercizio dell’uso del muro o l’ampliamento in modi e misura analoghi e non venga alterata la normale destinazione del muro medesimo (Cass., sent. n. 1637, 4.3.1983). Un uso particolare del muro comune che è consentito è quello che consiste nell’apporre insegne, targhe, cartelli e simili (Cass., sent. n. 6229, 24.10.1986; Pret. Trani, 25.7.1989). È illegittimo installare su un muro perimetrale di un edificio condominiale una canna fumaria che serva una proprietà sita in un immobile diverso da quello in condominio (Trib. Frosinone, 3.3.1980). È pure illegittima la costruzione in appoggio del muro perimetrale dell’edificio eseguita dal condomino che sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, poiché costituisce una lesione del diritto di proprietà degli altri condomini; quest’ultimo caso, salvo gli effetti dell’usucapione, è perseguibile senza limiti temporali per quanto riguarda il diritto di ottenere la ri mozione dell’opera illegittima, mentre il di ritto al risarcimento del danno, conseguendo a un illecito permanente, dato dall’iniziale comportamento lesivo e dalla successiva omessa eliminazione della situazione illegittima, è soggetto a prescrizione (Cass., sent. n. 4427, 13.8.1985). I tetti, i sottotetti e i lastrici solari Il tetto è un bene comune in ogni sua forma e parte, compresi gli abbaini e i lucer nari non destinati a unità abitativa mansardata. Anche in mancanza dell’art. 1117 cod. civ. ciò conseguirebbe in via razionale dalla stessa struttura del tetto. L’occupazione, permanente e stabile, da parte di un condomino, del tetto, con relativa incorporazione della sua proprietà esclu siva, non rientra nella previsione dell’art. 1122 cod. civ., bensì integra attività innova trice vietata dall’art. 1102,
Condominio se non viene autorizzata dagli altri condomini (Cass., sent. n. 4449, 27.7.1984); inoltre, anche la tra sformazione del tetto di copertura tutto o in parte in terrazza destinata all’uso esclusivo del singolo condomino è illegittima in quanto tale attività altera la funzione e destinazione del tetto e comporta l’appropriazione della cosa comune con violazione del diritto degli altri condomini; e non può neppure es sere ricondotta all’esercizio del diritto di so-praelevazione attribuito dall’art. 1127 cod. civ. al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio, poiché questa ultima disposizione presuppone il pagamento di un’indennità e la ricostruzione dell’intero tetto al livello superiore (Cass., sent. n. 4579, 13.7.1981; Cass.,sent. n. 101, 7.1.1984). Nella ripartizione delle spese di riparazione del tetto condominiale deve essere applicato il principio della funzione di copertura del tetto stesso e pertanto non devono partecipare in alcun modo alle spese i con domini che, per la conformazione del con dominio, non risultino coperti dal tetto (Trib. Bologna, 11.5.1995). Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all’edificio condominiale - che svolge, nella sua struttura unitaria e omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unità sottostanti, ciascuna delle quali costi tuisce pertinenza della proprietà esclusiva dei singoli condomini - è applicabile la pre sunzione di comunione stabilita dall’art. 1117, n. 1, cod. civ. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell’edificio condominiale, oggetto di proprietà comune e che l’amministratore del condominio è legittimato a esercitare le azioni che lo concernono (Cass., sent. n. 7651, 5.9.1994). In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., faccia uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell’edificio), la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative, non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la P.A. (Cass., 8040, 8.8.1990). Il sottotetto non viene nominato dal codice e quindi non è applicabile a esso la presunzione dell’art. 1117. La natura del sottotetto di un edificio viene in primo luogo determinata dai titoli e solo in difetto di questi ultimi può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato - anche solo potenzialmente -all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass., sent. n. 18091, 19.12.2002 e n. 6027, 11.5.2000). E quindi, in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo, per stabilire a chi appartenga sarà necessario accertare la funzione svolta dal sottotetto nel caso concreto: a. se, come avviene di regola, il sottotetto assolve soltanto una funzione isolante e protettiva - dal caldo e dal freddo - del piano più elevato, di quest’ultimo esso costituisce una pertinenza (Cass., sent. n. 1106, 14.2.1980; n. 6206, 16.11.1988; n. 5854, 23.5.1991 e n. 6640, 15.6.1993) e in tal caso il sottotetto si pone in rapporto di dipendenza con i vani che protegge e non può essere separato da questi ultimi, senza alterare il rapporto di complementarietà dell’insieme, e di conseguenza, non essendo il sottotetto idoneo a essere utilizzato sepa ratamente dall’alloggio sottostante cui accede, non è configurabile il possesso suscettibile di portare all’usucapione dello
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Condominio stesso da parte del proprietario di altra uni tà immobiliare (Cass., sent. n. 4970, 8.8.1986). In ogni caso il condomino proprietario esclusivo del sottotetto non può, trasformando il sottotetto in civile abitazione, allacciarlo ai servizi comuni del condominio senza il consenso di tutti gli altri condomini (Trib. Torino, 22.10.1979); b. il sottotetto deve essere invece considerato di proprietà comune nel caso in cui, pur essendo suscettibile di uso come vano autonomo, mostri caratteristiche strutturali e funzionali tali da essere, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinate all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass., sent. n. 2090, 5.4.1982; n. 2824, 22.4.1986; n. 2722, 18.3.1987; n. 5668, 18.10.1988; n. 11488, 19.11.1997 e n. 8968, 20.6.2002). Qualora il regolamento di condominio ponga il divieto di eseguire qualsiasi intervento che possa interessare la struttura organica, la stabilità e l’aspetto dell’immobile, deve ritenersi vietato il mutamento di destinazione del sottotetto da vano inabitabile a vano abitabile (Cass., sent. n. 312, 14.1.1999). Il lastrico solare è il tetto piano degli edifici di più recente costruzione nei quali sostituisce la tradizionale copertura inclinata. Nella sua normale destinazione il lastrico solare riveste una duplice attitudine: quella tipica di copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile (Pret. Torre Annunziata, 19.3.1982). Bisogna tenere presente che in ogni caso il lastrico solare può essere destinato, oltre che all’uso comune, anche all’uso esclusivo e, a tal proposito, l’art. 1126 cod. civ. prevede che, quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo alla spesa per le riparazioni e ricostruzioni del lastrico, mentre gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno. Gli usi a cui si presta il lastrico solare di proprietà comune sono piuttosto limitati: non è possibile inserire in esso una canna fumaria destinata al servizio esclusivo dell’appartamento di un condomino, poiché in tal modo viene alterata la funzione di copertura del lastrico e viene altresì sottratta una porzione di bene comune all’uso degli altri condomini (Cass., sent. n. 4201, 6.5.1987); e non è neppure legittima l’installazione di un’antenna autonoma di notevoli dimensioni sul lastrico solare, poiché anche in questo caso avrebbe luogo un mutamento definitivo di destinazione (Trib. Roma, 9.6.1986). Poiché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per un fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini, l’installazione su di un lastrico solare di una ringhiera (o di un parapetto) che permetta di affacciarsi su cortili comuni destinati a dare aria e luce agli appartamenti sottostanti che vi prospettano costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui, ma piuttosto quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, sen z’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (Cass., sent. n. 13261, 16.7.2004).
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n. 3-4/ 2007 Le scale Insieme alle scale devono ritenersi comuni i parapetti e le ringhiere, il sottoscala (in mancanza di un titolo contrario; Cass., sent. n. 1027, 14.3.1977) e i pianerottoli, cioè tutti quegli elementi indispensabili per l’esistenza e il funzionamento delle scale. Ogni condomino ha diritto di utilizzare i vani delle scale, in genere, o i pianerottoli, in particolare, collocando davanti alla porta d’ingresso zerbino, piante o altri oggetti ornamentali; a meno che tali oggetti non ren dano difficoltosi l’accesso alle rampe delle scale, risultando violato in tal caso il principio per cui nessun condomino può impedire agli altri l’uso della cosa comune (Cass., sent. n. 3376, 6.5.1988). La manutenzione delle scale è ripartita tra i vari condomini in quote diverse, in rapporto alla diversità d’uso, applicando il principio previsto dall’art. 1124 cod. civ. I portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi e i portici È illegittimo l’accordo di destinare la corte comune a spazi di uso esclusivo, mediante la fruizione esclusiva dei singoli appezzamenti, qualora l’accordo medesimo non sia comprovato da alcuna delibera o atto scritto (App. Perugia, 9.2.1988). Nell’ipotesi in cui un androne costituisca parte comune di due edifici contigui uno dei quali appartenente a un solo proprietario e l’altro costituito in condominio, qualora nei vari contratti d’acquisto delle singole porzioni di piano sia stata inserita la clausola, recepita anche nel regolamento condominiale, di immutabilità dell’androne predetto senza la concorde volontà di tutti i condomini, non è valida la deliberazione con cui l’assemblea condominiale disponga la modificazione dell’androne, quando a essa si opponga anche un solo condomino (Cass., sent. n. 6725, 9.12.1982). Ma an che in mancanza di una clausola come quella appena vista, la costruzione di un ripostiglio nel corridoio condominiale - deliberata dalla maggioranza dell’assemblea condominiale - è illegittima nel caso in cui diminuisca in modo apprezzabile il godimento della proprietà anche di uno solo dei condomini (Pret. Monza, 5.7.1982). I cortili Il cortile è un’area interna o esterna all’edificio, può avere qualsiasi forma o dimensione e può essere o non essere recintato. In esso viene ricompresa la colonna d’aria sovrastante (Cass., sent. n. 155, 22.1.1964 e n. 2712, 4.10.1971). Funzione principale del cortile è quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di proprietà esclusiva e di consentire il libero transito per accedere ai medesimi (Cass., sent. n. 1209, 20.2.1984 e n. 6673, 9.12.1988). Il cortile costituisce una parte comune ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. e quindi i condomini ne fanno uso in virtù della loro qualità di comproprietari di un bene indiviso e non per effetto di un diritto di servitù, con la conseguenza che il comportamento del singolo partecipante alla comunione costi tuisce utilizzazione legittima della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. se viene mantenuto nei limiti posti dalla disposizione stessa - come avviene nel caso del transito pedonale e veicolare attraverso il cortile (Cass., sent. n. 6336, 23.11.1982); ma il cortile può diventare di proprietà esclusiva o pertinenziale rispetto a una porzione di immobile appartenente a un singolo condominio quando sussista un titolo idoneo in tal senso, cioè un’espressa disposizione contenuta nel-
n. 3-4/2007 l’atto di acquisto (Cass., sent. n. 2451, 24.4.1981). Al cortile deve essere applicata la presunzione di proprietà comune ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. per analogia anche nel caso in cui esso sia circondato da edifici strutturalmente autonomi e appartenenti a proprietari diversi (Cass., sent. n. 318, 18.1.1982 e n. 4625, 3.8.1984), purché ne costituisca accessorio, in quanto destinato stabilmente all’uso o all’accesso dei medesimi (Cass., n. 286, 12.1.1980). Nell’ipotesi in cui il cortile sia parte comu ne di edifici distinti e autonomi, se manca una disciplina contrattuale vincolante, per tutti i comproprietari dei due edifici, l’uso del cortile non è assoggettato al regolamento di nessuno dei due condominii, perché sono invece applicabili le norme sulla comunione in generale e in particolare l’art. 1102 cod. civ. (Cass., sent. n. 1598, 10.3.1986); se poi il cortile è recintato da un muro il proprietario di uno degli edifici non ha bisogno, a norma dell’art. 1120 cod. civ., del consenso del compartecipante alla comunione del muro per aprire in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada, dal momento che ricor re l’applicazione dell’art. 1102 relativo all’uso della cosa comune (Cass., sent. n. 674, 5.2.1982). Al contrario il proprietario di un edificio legato con rapporto pertinen-ziale a un cortile di proprietà comune con altri frontisti non può servirsi del cortile per accedere ad altro immobile di sua proprietà esclusiva, perché tale uso comporterebbe l’asservimento a una o più servitù delle quote ideali degli altri partecipanti (Cass., sent. n. 3187, 21.10.1972). Per quanto riguarda l’uso del cortile, poiché trova applicazione, come sempre, l’art. 1102, sono stati considerati illegittimi sia la costruzione da parte del comproprietario di un ampio androne, trasformando vani terranei di proprietà esclusiva in modo da poter transitare con mezzi pesanti (Cass., sent. n. 4841, 25.7.1980), sia la costruzione, a fini commerciali, di uno scivolo nel cortile per mettere in collegamento il piano terreno con una unità immobiliare, sita a un livello più alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile (Cass., sent. n. 1789, 10.3.1983). Fra i vari usi possibili vi è anche quello della destinazione del cortile al parcheggio delle autovetture. Il contenzioso sotto tale aspetto è assai nutrito e in questa sede non consente un esame completo. In proposito basti ricordare che l’assemblea può predeterminare, a maggioranza, nel cortile comune le aree destinate a parcheggio e può fissare, al loro interno, le porzioni separate di cui ciascun condomino può disporre (Cass., sent. n. 6673, 9.12.1988). L’assemblea (o anche il regolamento) può vietare ai condomini di fare sostare le auto nel cortile e in tal caso l’eventuale deroga concessa a un terzo può essere adottata anche senza il consenso di tutti i condomini, giacché in tal caso non sussiste viola zione di alcun diritto soggettivo dei singoli condomini (App. apoli, 17.9.1987). Costituisce innovazione, vietata ai sensi dell’art. 1120 comma 2, cod. civ., e, come tale, affetta da nullità, l’assegnazione nominativa da parte del condominio a favore di singoli condomini di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura, in quanto tale delibera, da
Condominio un lato, sottrae utilizzazione del bene co mune a coloro che non possiedono la seconda autovettura e, dall’altro, crea i presupposti per l’acquisto da parte del condomino, che usi la cosa comune come se fosse propria, della relativa proprietà a ti tolo di usucapione, non essendo a tal fine necessaria l’interversione del possesso da parte del compossessore, il quale, attraverso l’occupazione della relativa area, eserciti un possesso esclusivo, impedendo automaticamente agli altri condomini di utilizzarla allo stesso modo (Cass.,sent. n. 1004, 22.1.2004). In tema di condominio negli edifici, l’uso . della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto; e pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione -mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento e alterando l’equilibrio tra le concorrenti e analoghe facoltà (Cass., sent. n. 3640, 24.2.2004). Per l’interesse della sentenza conviene ricordare anche una sentenza della Suprema Corte la quale, con riferimento al diverso caso in cui gli spazi di parcheggio siano compresi in un garage di proprietà condominiale (e dei quali di conseguenza tutti i condomini hanno il diritto di fare “pari uso” per effetto dell’art. 1102 cod. civ., indipendentemente dai rispettivi valori millesimali di cui sono titolari), ha stabilito che non è legittima la ripartizione dell’uso in base a una scelta che viene effettuata per primi dai condomini titolari delle quote millesimali maggiori e neppure è legittima l’attribuzione ai condomini di posti auto che, per le loro caratteristiche specifiche, non consentono un godimento identico, senza la preventiva previsione di un termine temporale alla scadenza del quale i condomini titolari dei posti auto più svantaggiati subentrano nella titolarità degli altri posti auto e viceversa (Cass., sent. n. 26226, 7.12.2006). Va infine ricordata la decisione secondo cui un’area esterna comune adibita a parcheggio dei veicoli dei condomini può essere da costoro utilizzata per parcheggiarvi delle roulottes (salvo diverse disposizioni contenute nel regolamento condominiale), trattandosi di un uso particolare della cosa comune che non altera la destinazione e non limita l’uso paritetico da parte degli altri condomini, per “pari uso” dovendosi intendere non l’uso identico in concreto - atteso che l’identità spaziale e temporale delle utilizzazioni concorrenti comporterebbe il sostanziale divieto per ogni condomino di fare qualsiasi uso particolare della cosa comune - bensì l’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere potenzialmente mantenuto fra tutte le possibili concorrenti utilizzazioni del bene comune da parte dei partecipanti al condominio; e quindi deve ritenersi nulla perché lesiva del diritto di ciascun condomino all’uso della cosa comune la delibera con la quale l’assemblea, senza l’unanimità di tutti i partecipanti al condominio, vieti il suddetto uso particolare di parcheggio di roulotte delle aree comuni (Cass., sent. n. 9649, 26.9.1998).
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n. 3-4/ 2007 LE ALTRE PARTI IN COMUNE
Portineria e alloggio del portiere Affinché i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere possano presumersi comuni ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. non è sufficiente che siano utilizzati di fatto in tal modo, ma è necessario che siano destinati strutturalmente e oggettivamente all’uso comune (Trib. Lanciano, 28.5.1977; Trib. Torino, 5.71983); se però tali locali non fanno parte dell’edificio condominiale, non opera la presunzione di comunione ed essi rientrano fra le parti condominiali soltanto nel caso in cui siano costruiti su suolo che risulta di proprietà comune in base ai titoli (Cass., sent n. 5154, 23.8.1986). Le parti dell’edificio (locali per la portineria e per l’alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2) dell’art. 1117 cod. civ. sono anche suscettibili - a differenza delle parti dell’edificio indicate dai nn. 1) e 3) - di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessità; e pertanto, in relazione a esse, occorre accertare se l’atto, che nel caso concreto le sottrae alla presunzione di proprietà comune, contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi, nel secondo caso, l’esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem, fondato su una limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione, in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti, anche in mancanza di trascrizione (Cass., sent. n. 6474, 25.3.2005). La classificazione catastale dei locali “a uso portineria” ha carattere meramente descrittivo in relazione a un onere nei confronti della P.A. e, in mancanza di un titolo specifico atto ad attribuire allo stesso il carattere di parte comune, non è idonea a prevalere sulla contraria volontà dei proprietari che mai adibirono quel bene a godimento comune (Cass., n. 8222, 6.11.1987). Poiché i locali per la portineria e l’alloggio del portiere sono caratterizzati da un rapporto di utilità (e non di necessità) con lo stabile, occorre accertare se le parti, nel costruire un titolo contrario alla presunzione di condominio prevista dall’art. 1117 cod. civ., abbiano inteso anche risolvere il vincolo di destinazione derivante dalla natura della cosa e dall’esistenza concreta di un servizio goduto in comune dai comproprietari del fabbricato (Cass., sent. n. 5167, 25.8.1986). Nei casi in cui l’alloggio del portiere è compreso fra le parti comuni dell’edificio di cui l’amministratore ha la disponibilità è irrilevante stabilire se la titolarità di esso spetti al condominio o a soggetti diversi al fine di determinare chi possa agire per il rilascio (Cass., sent. n. 4780, 2.10.1985). La maggioranza dei condomini può deliberare la soppressione del servizio di portierato (Trib. apoli, 4.12.1988). È stato affermato che, qualora il servizio condominiale di portierato sia previsto nel regolamento di condominio, la sua soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza stabilita dall’art. 1136, comma 2, cod. civ. - maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio - richiamato dall’art. 1138, comma 3, cc. (Cass., sent. n. 3708, 293.1995), ma in tal modo la disposizione del regolamento da modificare viene considerata regolamentare e questo inquadramento della disposizione appare poco sostenibile, specialmente in presenza di un regolamento di tipo contrattuale; invece, in mancanza di una espressa previsione da parte del regolamento, qualora venga a modificare la destinazione pertinenziale del locale adibito ad alloggio del portiere, la soppressione del servizio di portierato nell’ambito di un condominio richiede la deliberazione con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, comma 5, cod. civ. (Cass., sent. n. 2585, 25.3.1988). L’assemblea del condominio con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, cod. civ. può deliberare la modificazione o anche la soppressione del servizio di portierato, sempre che vengano osservati i principi in materia di innovazioni posti dall’art. 1120 cod. civ. e non ne derivino per taluno dei condomini vantaggi o svantaggi diversi rispetto agli altri e, pertanto, è nulla per violazione dell’art. 1120 la deliberazione assunta a maggioranza che, conservando la proporzionalità di spesa sulla collettività condominiale, attui in un condominio costituito da più edifici la centralizzazione del servizio di portierato, in guisa da lasciare immutata la situazione per i condomini dell’edificio presso il quale il servizio viene svolto, mentre i condomini degli altri edifici vengono a trarre dal servizio una utilità minore (Cass., sent. n. 5083, 29.4.1993). In caso di soppressione del servizio il diritto di detenere le chiavi dei locali destinati all’alloggio del portiere spetta, in mancanza di diversa disposizione dell’assemblea, all’amministratore in modo da assicurarne l’uso da parte dei singoli condomini di parità (Cass., sent. n. 5076, 23.7.1983). L’impianto di riscaldamento In conformità al disposto dell’art. 1117, n. 3, cod. civ. la presunzione di comproprietà dell’impianto di riscaldamento opera soltanto per quella parte che può ritenersi centrale e non pure per le condutture che, staccandosi dall’impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano unicamente le esigenze individuali di ciascun condomino (App. apoli, 21.5.1986). Qualora un edificio non sia stato costruito originariamente con l’impianto di riscaldamento, l’installazione dell’impianto dopo la costituzione del condominio fa escludere la presunzione prevista dall’art. 1117 cod. civ. (Pret. apoli, 19.1.1983). Nelle ipotesi di attraversamento da parte dei tubi dell’impianto termico condominiale di un vano di proprietà esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare una servitù prediale di conduttura di liquidi a carico di tale vano e a vantaggio delle altre parti dell’edificio e non la situazione prevista dall’art. 1117, n. 3, che presuppone gli estremi del reciproco vantaggio (Cass., sent. n. 369, 20.1.1982 e n. 1523, 12.2.1988). Nel caso in cui si avvalga del servizio di riscaldamento anche il condomino che è proprietario esclusivo degli scantinati destinati a magazzino (in origine non collegati alla centrale termica tramite la relativa diramazione), si deve presumere che l’impianto di riscaldamento sia in comunione pure col proprietario del magazzino, sulla base del solo presupposto che quest’ultimo possa ricevere calore dall’impianto senza modificazione alcuna e senza alcuna anormalità di gestione tecnica della caldaia (App. Trieste, 24.5.1985). Poiché il servizio di riscaldamento risponde a un interesse collettivo, il singolo condomino in ogni caso non può rinunciare all’impianto centralizzato, ma neppure la maggioranza dell’assemblea condominiale può legittimamente deliberare in tal senso poiché urta contro il divieto posto dall’art. 1120, comma 2, cod. civ. - che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente - trattandosi non di una semplice modifica, bensì di una radicale alterazione della cosa comune nella
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sua destinazione strutturale o economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento (Cass., sent. n. 7256, 6.12.1986). Gli ascensori L’ascensore che non sia stato installato originariamente nell’edificio al momento della costruzione di quest’ultimo e che venga installato successivamente da parte di alcuni condomini costituisce una parte comune non a favore di tutti i condomini, ma solo per quei condomini che hanno deciso di installarlo e ne hanno sostenuto le spese, salvo il diritto degli altri condomini di partecipare successivamente all’innovazione (Cass, sent. n. 3314, 18.11.1971). L’ascensore costituisce una delle parti comuni anche per i proprietari delle unità condominiali site al piano terra, dal momento che essi possono trarre utilità dall’impianto, che è idoneo a valorizzare l’intero immobile e normalmente permette di raggiungere più comodamente parti superiori che sono comuni a tutti (Trib. Milano, 16.3.1989). L’area di base del vano di corsa dell’ascensore deve considerarsi parte comune dell’edificio, ai sensi dell’art. 1117, n. 3, cod. civ., e ogni condomino è legittimato a far valere il suo diritto reale sulle aree condominiali e far cessare occupazioni illecite o usi non consentiti (Trib. apoli, 15.11.1989). I pozzi Se la distribuzione dell’acqua di un pozzo avviene per turni distinti, al fine della configurabilità dell’abuso della cosa comune è sufficiente che, per effetto dell’impiego di specifici mezzi da parte di un comunista, venga meno la certezza della disponibilità dell’acqua da parte degli altri partecipanti alla comunione durante il loro turno (Cass.,sent. n. 243, 10.1.1981). Le fognature e i canali di scarico Se lo scarico fognario è destinato in modo permanente all’uso di edifici limitrofi, ma è ubicato nell’area di uno solo di essi, l’applicabilità della presunzione di comunione prevista dall’art. 1117 cod. civ. richiede che quella destinazione all’uso comune sia avvenuta allorché era ancora unico il proprietario di entrambi gli edifici (Cass., sent. n. 3910, 19.6.1980). Qualora si debba installare un tubo di fogna lungo un muro perimetrale dell’edificio non opera il principio secondo cui l’uso delle parti comuni per la realizzazione di impianti a servizio esclusivo dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle norme dettate dall’art. 1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, in considerazione del fatto che si tratta di opera indispensabile per una effettiva abitabilità dell’appartamento (Cass., sent. n. 597, 24.1.1980); in ogni caso lo stabilire se tale uso della cosa comune pregiudichi in concreto i diritti degli altri condomini si risolve in un giudizio di fatto, demandato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (Cass., sent. 454, 19.1.1980). Nel caso infine che il tubo di scarico del liquame subisca una rottura a causa della colpevole condotta di uno dei condomini e da ciò derivi un danno per un terzo, al relativo risarcimento è tenuto chi ha cagionato l’evento dannoso e non l’intero condominio, in applicazione del principio del carattere personale della colpa in tema di responsabilità civile (Cass., sent. 3146, 12.5.1981). L’impianto per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica L’impianto idrico svolge una funzione comune anche se è realizzato con un fascio di tubi distinti invece che con una condotta collettiva unica; fino al punto d’ingresso nei singoli appartamenti l’impianto è di proprietà del condominio, che quindi può modificarne il percorso, la consistenza e il servizio nell’interesse comune, purché naturalmente ne sia assicurata la funzione a tutti i condomini (Trib. Roma, 17.3.1988). Per quanto riguarda l’impianto per il gas è consentito al singolo condomino la più ampia utilizzazione dei muri perimetrali e di ogni altro bene comune, qualora debba collocare tale impianto in modo da soddisfare le esigenze di un servizio indispensabile per il godimento di un proprio appartamento, col solo limite del rispetto della proprietà esclusiva degli altri condomini (Cass., sent. 2967, 29.4.1982). Il pianerottolo È nullo e inefficace l’accordo col quale si cedono diritti reali di uso esclusivo del pianerottolo sito all’ultimo piano se la cessione non venga tradotta in un atto scritto nel quale sia contenuto il consenso di tutti i condomini, in quanto i pianerottoli, come le scale, hanno natura - ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. - di beni comuni; e per la validità della cessione non è quindi possibile prescindere dal consenso anche di quei condomini che siano eventualmente proprietari di negozi con accesso dalla pubblica via poiché, anche nei loro confronti, è ravvisabile l’interesse all’accesso, alla conservazione e manutenzione delle scale, dei pianerottoli e della copertura dell’edificio, di cui anch’essi godono (Cass., sent. n. 15224, 9.7.2007).
Diritti dei partecipanti sulle cose comuni
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l diritto che ciascun condomino vanta sui beni che costituiscono le parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ. viene disciplinato dall’art. 1118, comma 1, cod. civ.; questa norma stabilisce che ogni condomino è titolare di un diritto proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, a meno che il titolo non disponga diversamente. Il calcolo del valore del piano o della sua porzione avvie-
ne mediante l’applicazione dei criteri previsti dall’art. 68 disp. att. cod. civ.; l’art. 69 disp. att. aggiunge che il calcolo può sempre essere rettificato, se viene accertato un errore di fatto, di calcolo o di diritto (Cass., sent. n. 1801, 8.7.1964) o modificato, se mutano le condizioni di una parte dell’edificio. L’uso indiretto della cosa comune, risol vendosi in una minorazione delle facoltà del proprietario e incidendo sulla estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede
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Condominio sull’intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato dall’assemblea dei condomini, a maggioranza, solo quando non sia possibile o ragionevole l’uso promiscuo e sempre che la cosa comune non consenta una divisione sia pure approssimativa del godimento (Cass., sent. n. 31, 18.1.1982, n. 312; Cass., 22.11.1984, n. 6010). In applicazione del principio dell’art. 1118, comma 1, cod. civ. il diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale (che costitui sce un modo di fruizione del bene comune) deve essere proporzionato alla proprietà. (Pret. Roma 17.7.1989) L’art. 1118, comma 2, cod. civ. stabilisce che la rinuncia, da parte di un condomino, al diritto sulle cose comuni non lo libera dall’obbligo di versare il suo contributo nel le spese per la conservazione dei beni in questione; la rinunzia libera però il condomino da tutte le altre spese non esclusivamente conservative. Mentre l’art. 1118, comma 1, ha valore solo dispositivo, per espressa disposizione dell’art. 1138, comma 4, il comma successivo è invece inderogabile. L’uso delle parti comuni Non esiste alcuna norma dedicata espres samente alla disciplina delle modalità e dei limiti dell’uso delle parti comuni del con dominio negli edifici e quindi in questa ma teria trova applicazione la disciplina contenuta nell’art. 1102 cod. civ. in relazione all’uso del bene in comunione, così come prevede, con norma di chiusura, l’art. 1139 cod. civ. Numerose sono le sentenze con cui la giurisprudenza ha indicato i limiti entro i qua li può esplicarsi il diritto di ciascun condomino di fare uso delle parti comuni. È pacifico il principio secondo cui anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, l’art. 1102 cod. civ. (Cass., sent. n. 2117, 6.4.1982). L’art. 1102 cod. civ. consente a ciascun condomino di usare la cosa comune nel modo soggettivamente più soddisfacente (Cass., sent. n. 445, 27.7.1984; n. 12344, 5.12.1997; n. 8591, 11.8.1999), a condizione però che non ne alteri la naturale destinazione - che può consistere anche nella funzione estetico-ornamentale della co sa comune (Pret. Bari, 24.11.1983) - che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprie tà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass., sent. n. 3037, 8.5.1980; n. 1789, 10.3.1983; n. 4498, 10.7.1986; n. 9644, 29.12.1987). Infatti, si afferma che ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprie tari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi e che in particolare, per stabilire se l’uso più inten so da parte del singolo sia da ritenere con sentito ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un de terminato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; e che l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso non dia luogo a servitù a ca-
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n. 3-4/ 2007 rico del suddetto bene comune (Cass., sent. n. 10453, 1.8.2001; n. 3368, 23.3.1995; n. 476, 20.1.1994; n. 3419, 23 marzo 1993). La destinazione della cosa comune va considerata non in astratto con esclusivo ri guardo alla sua consistenza, bensì con riguardo alla complessiva entità delle singole proprietà individuali cui la cosa comune è funzionalizzata (Cass., sent. n. 3919, 6.6.1988). La nozione di pari uso della cosa comune, invece, deve essere intesa non nel senso di uso identico, giacché l’identità nello spazio o nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare del la cosa comune un uso particolare o addi rittura un uso a proprio esclusivo vantag gio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla cosa, ma nel senso di qual siasi altro uso normale, cioè conforme alla funzione propria della cosa (Cass., sent. n. 4601, 14.7.1981). La Suprema Corte ha precisato che l’utilizzazione da parte del condomino, rispettando i limiti visti, può avere luogo anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti (Cass., sent. n. 2451, 24.4.1981; n. 6192, 28.11.1984) e in ogni caso l’uso più intenso o diverso da parte di uno dei partecipanti alla comunione rispetto agli altri non vale di per sé a mutare il titolo del possesso e quindi ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella disponibilità del singolo comunista (Cass., sent. n. 319, 24.1.1985). Comunque l’uso della cosa comune da par te del singolo condomino non può esten dersi all’occupazione permanente di una parte del bene comune, che potrebbe de terminare l’usucapione della parte occupa ta (Cass., sent. n. 663, 5.2.1982). Il regolamento di condominio può limitare la facoltà dei singoli condomini di usare o modificare parti comuni, subordinandole all’approvazione della maggioranza (App. Bologna, 10.9.1985) e la deliberazione dell’assemblea del condominio, adottata all’unanimità, con cui è stato deciso un deter minato uso della cosa comune, conserva la sua validità anche se abbia limitato il godi mento della cosa comune da parte di qualche condomino (Cass., sent. n. 5709, 28.6.1987), mentre non può sopprimere totalmente l’uso medesimo, anche se per li mitati periodi di tempo (App. Genova, 25.1.1988). Un’altra deliberazione da con siderare illegittima è quella con cui l’assemblea autorizza l’uso della cosa comune in modo incompatibile con l’utilizzazione e il godimento di parti dell’edificio di pro prietà di un singolo condomino, indipendentemente dalla circostanza che per ragioni contingenti e transitorie il bene di proprietà individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione (Cass., sent. n. 3858, 5.9.1989). Come si è già accennato, per effetto del divieto contenuto nell’art. 1102 cod. civ., l’u so della cosa comune non può estendersi all’occupazione permanente anche di una sola parte del bene da parte del singolo condomino (Cass., sent. n. 663, 5.2.1982), né può estendersi all’esterno a favore o a sfavore di proprietà che non fa parte del condominio (Trib. Frosinone, 3.3.1980; Cass., sent. n. 1624, 13.3.1982). Nei rapporti fra proprietà individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme attinenti alle distanze legali e alle servitù prediali viene esclusa l’applicabilità dell’art. 1102 cod. civ. (Cass., sent. n. 597, 10.1.1980). È compito del giudice di merito, incensurabile in sede di
n. 3-4/2007 legittimità, accertare di vol ta in volta se gli atti dei singoli condomini, miranti a un’intensificazione del proprio godimento del bene comune, siano o meno conformi alla destinazione di quest’ultimo e così rientranti fra quelli consentiti (Cass., sent. n. 4195, 18.7.1984). Inoltre il giudice non può limitarsi a esami nare se le modificazioni apportate dal con domino alla cosa comune siano tali da compromettere la stabilità e l’estetica del l’edificio in base all’assetto attuale, ma deve anche accertare se siano prevedibili modificazioni uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o in via di attuazione (Cass., sent. n. 1637, 4.3.1983); e tale indagine deve essere compiuta con riferimento non alla sola par te della cosa comune oggetto diretto della modificazione, bensì alla cosa stessa nella sua interezza (Cass., sent. n. 2206, 5.4.1984). Le modalità di godimento della cosa comune assurgono a possibile contenuto di una posizione possessoria tutelabile contro tutte le attività con le quali uno dei com possessori comproprietari unilateralmente introduca una modificazione che sopprima o turbi il compossesso (Cass., sent. n. 4733, 21.7.1988) e ciascun condomino può agire, anche da solo, a tutela del suo diritto sulle cose comuni leso a opera di un altro condomino o anche di un terzo (Cass., sent. n. 734, 8.2.1982; n. 3862, 7.6.1988) senza chiamare in giudizio gli altri condomini o l’amministratore, non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass., sent. n. 734, 27.1.1988); e poiché l’azione in questione ha natura reale, non è suscettibile di prescrizione, salvi gli effetti di un’eventuale usucapione (Cass., sent. n. 1455, 16.3.1981). Il contratto di locazione pone il conduttore in una posizione non diversa, nei confronti degli altri condomini, da quella del proprietario in nome del quale egli detiene; infatti il conduttore, entro i limiti consentiti dall’art. 1102, può liberamente godere ed eventualmente modificare le parti comuni dell’edificio, in funzione del godimento o del miglior godimento dell’oggetto primario della locazione (Cass., sent. n. 2331, 17.4.1981; Pret. Chieti, 6.6.1983). Le innovazioni Il codice civile disciplina le innovazioni nel condominio degli edifici mediante le norme contenute negli artt. 1120 e 1121, ma non fornisce la nozione di innovazione. È toccato quindi alla giurisprudenza precisare il concetto di innovazione e, secondo un orientamento ormai consolidato, consiste in un’innovazione ogni opera nuova che alteri in tutto o in parte la cosa comune eccedendo i limiti della conservazione, dell’ordinaria amministrazione e del godimento della cosa e che importi una modificazione materiale della forma e della sostanza della cosa medesima (Cass., sent. n. 2846, 7.5.1982). Non ogni mutamento è idoneo a configura re l’innovazione in senso tecnico-giuridico, ma solo quella modificazione materiale che altera l’entità sostanziale della cosa comune o ne muta la destinazione originaria, nel senso che l’innovazione dà luogo a un “qualcosa di nuovo” con funzione e destinazione diverse da quelle originarie (Cass., sent. n. 5101, 20.8.1986). Invece le modificazioni della cosa comune o delle sue parti, eseguite dal singolo con domino ai fini di un suo uso particolare diretto a un migliore e più intenso godimento del-
Condominio la cosa medesima, costituiscono una esplicazione consentita del diritto di com proprietà previsto dall’art. 1102 cod. civ., ove non implichino alterazioni della consi stenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e godimento degli altri condomini (Cass., sent. n. 1911, 23.2.1987). In applicazione di questi princìpi è stato affermato che non costituisce innovazione, bensì semplice modificazione della cosa comune, l’applicazione ai cancelli di in gresso di un edificio condominiale di un sistema di apertura automatizzato (Trib. Monza, 19.12.1984). Analogamente non costituisce innovazione l’installazione di tende da sole da parte di uno dei condomini sulle parti di muro del condominio corrispondenti ai piani degli altri proprietari, perché tale utilizzazione non altera la natura e la funzione dei muri medesimi e poiché la legge riconosce ai condomini di fare uso delle parti comuni per quelle utilità accessorie inerenti al go dimento della propria proprietà esclusiva (App. Milano, 31.5.1987; Cass., sent. n. 6229, 24.10.1986). L’art. 1120, comma 1, cod. civ. prevede che le innovazioni siano dirette al migliora mento, all’uso più comodo e al maggiore rendimento della cosa comune; e nel secondo comma si aggiunge che sono vietate tutte le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti co muni dell’edificio inservibili all’uso o al go dimento anche di un solo condomino. L’elencazione del comma 2 non è tassativa; può avvenire che i vantaggi indicati dal primo comma si accompagnino a svantaggi per la collettività (e ciò al di fuori dei ristretti concetti di stabilità, sicurezza e decoro ar chitettonico) e quindi anche in questo caso l’innovazione dovrà ritenersi vietata, se la valutazione complessiva dei due opposti effetti possa indurre alla conclusione che non vi sia miglioramento in senso globale (Cass., sent. n. 2696, 9.7.1975). L’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell’interesse comune, ai diritti dei condomini, relativamente alle parti comuni e quindi le norme di un regolamento con trattuale di condominio possono legittimamente derogare o integrare la disciplina legale e in particolare possono dare del con cetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di immutazione sino a imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, al l’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione o in quello della manifestazione negoziale successiva (Cass., sent. n. 11121, 6.10.1999); le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singo lo condomino sono lecite quando esse, tra l’altro, non ne compromettano il decoro ar chitettonico, con la conseguenza che, nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, un condomino può apportare a tale recinzione condominiale, senza biso gno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e può anche procedere all’apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale
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Condominio varco non impedisca agli altri condomini di continuare a utilizzare il cortile, come in preceden za (Cass., sent. n. 42, 5 gennaio 2000). Il giudice, nel decidere dell’incidenza di un’innovazione sul decoro architettonico, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamen te e in quale misura una unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all’innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini; e in caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico è da ritenersi insito, senza necessità di specifica indagine e il relativo accertamen to è demandato alla discrezionalità del giu dice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass., sent. n. 5417, 15.4.2002; n. 8731, 3.9.1998; n. 15504, 6.12.2000; n. 6341, 16.5.2000). Il decoro architettonico è costituito dall’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio, nonché all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armoni ca fisionomia, senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio ar tistico (Cass., sent. n. 2313, 7.3.1988). Il decoro architettonico degli edifici è tutelato dalla legge non solo in considerazione della diminuzione di valore che può subire l’edificio (Cass., sent. n. 4474, 15.5.1987), ma anche per garantire la conservazione della qualità positiva del decoro, costituita dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie; è stato inoltre stabilito che il decoro architettonico è riscontrabile anche in un edificio privo di particolari pregi estetici (Cass., sent. n. 8861, 28.11.1987). Il decoro architettonico indicato dall’art. 1120, comma 2, cod. civ. è diverso dall’aspetto architettonico che l’art. 1127, comma 3, cod. civ. pone come limite alla fa coltà di elevare nuovi piani e che consiste nella caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, suscettibile di peggioramento ogni volta che venga adottato, nella parte sopraelevata, uno sti le diverso da quello preesistente nell’edifi cio (Cass., sent. n. 4613, 14.7.1988). La norma del regolamento condominiale che imponga il rispetto della simmetria del fabbricato in caso di esecuzione di opere esterne integra il dettato dell’art. 1120 e contribuisce a definire più rigorosamente la nozione di decoro architettonico da ap plicare (Cass., sent. n. 8861, 28.11.1987). Il decoro architettonico è un bene suscetti bile di valutazione economica (Cass., sent. n. 6640, 31.7.1987). Dal momento che a esso sono interessati tutti i condomini, ciascuno di essi può ottenere - in via di adempimento in forma specifica dell’obbligo di non fare ai sensi dell’art. 2933 cod. civ. - la demolizione delle opere lesive eseguite in contrasto col divieto contenuto nell’art. 1120, comma 2 (Cass., sent. n. 175, 15.1.1986); ma naturalmente tale potere spetta anche all’amministratore del condo minio il quale quindi, a norma dell’art. 1130, n. 4, cod. civ., può agire in giudizio pure in mancanza della preventiva delibe razione, dell’assemblea condominiale (Cass., sent. n. 7677, 18.12.1986). Per evitare che la norma contenuta nell’art. 1120, comma 2, cod. civ. porti al divieto di innovazione ogni volta che uno
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n. 3-4/ 2007 solo dei condomini subisca un minimo pregiudizio, la Cassazione ha opportunamente stabilito che, se il pregiudizio non è intollerabile, soprattutto tenendo conto della sua temporaneità e saltuarietà, l’innova zione deve essere consentita (Cass., sent. n. 1572, 8.5.1969). L’innovazione si ritiene vietata anche quando, pur non rendendo la cosa comune inservibile all’uso o al godi mento del singolo, lo riduce sensibilmente (Cass., sent. n. 954, 10.5.1967). Il limite imposto dall’art. 1120, comma 2, cod. civ. nella sua parte finale opera anche in relazione alle porzioni del bene comune delle quali i comproprietari si siano con cordemente attribuiti il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venen do meno la contitolarità dell’intero bene, ciascuno dei comproprietari nella sua facoltà di utilizzazione della cosa deve rispettare l’analoga facoltà spettante agli altri e non può modificare il bene in modo da impedire il godimento altrui (Cass., sent. n. 421, 23.1.1986). La delibera di rinuncia all’impianto cen tralizzato di riscaldamento, configurando una radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale o economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il limite dell’art. 1120, comma 2, cod. civ. (Cass., sent. n. 7256, 6.12.1986). Invece la delibera assembleare con cui si dispone la chiusura di un’area di accesso allo stabile condominiale con un cancello, con consegna della chiave d’apertura ai proprietari delle singole unità immobiliari, non urta contro il divieto per le innovazioni pregiudizievoli della facoltà di godimen to dei condomini, non incidendo sull’essenza del bene comune, né alterandone la funzione e la destinazione (Cass., sent. n. 7023, 28.11.1986). Opera il divieto contenuto nell’art. 1120, comma 2, nel caso in cui venga costruito nel cortile comune un’autoclave per il servizio di una singola unità abitativa, poiché ciò comporta la sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione e all’uso e godimento degli altri condomini (Cass., sent. n. 1911, 23.2.1987). È pure vietata - a meno che non venga deliberata dall’assemblea con le maggioranze di legge - la costruzione di un’autorimessa nel sottosuolo del cortile comune, poiché ciò comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo di sostegno delle aree transitabili e delle aree verdi, spazio utilizzato per il ricovero di automezzi e l’esclusione di ogni altro condomino dall’uso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea assegnata ai singoli condomini, ancorché rimasta di proprietà comune (Cass., sent. n. 6817, 14.12.1988). L’art. 1121 cod. civ. prevede che l’innovazione non deve comportare una spesa molto gravosa o di tipo voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio. Il carattere gravoso o voluttuario deve essere determinato in relazione agli elemen ti obiettivi relativi alle particolari condizio ni e all’importanza dell’edificio (Pret. Ro ma, 28.12.1963). Non costituiscono innovazioni gravose o voluttuarie né il rivestimento in travertino della facciata dell’edificio fino all’altezza di 2,65 m e neppure il rifacimento del rivesti mento in marmo già esistente (Pret. Taranto, 27.5.1986). Indivisibilità delle parti L’art. 1119 cod. civ. vieta la divisione delle parti comuni,
Condominio
n. 3-4/2007 a meno che non possa aver luogo senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino. L’art. 1119 non stabilisce l’indivisibilità assoluta delle parti comuni, ma subordina tale indivisibilità all’esigenza di non rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino, cioè all’esigenza che non si alteri lo stato e, quin di, il pacifico godimento delle parti di uso co mune (Cass., sent. 2257, 14.4.1982). L’uso più incomodo va valutato con riferimento al momento attuale e non in vista di una prospettiva futura ed è stato interpretato, oltre che nell’ovvio significato di sacrificio anche di uno solo dei possibili fini per cui la cosa comune può essere utilizzata, pure nel senso di necessità di spesa sproporzionata rispetto al valore della cosa (Trib. Padova, 21.3.1986). Poiché l’uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso cui fa riferimento l’art. 1119 cod. civ. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata, oltre che con riferimento all’originaria consistenza ed estimazione della cosa comune (considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità), anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione (Cass., sent. n. 7667, 13.7.1995). Per effetto dell’art. 1138, comma 4, cod. civ., l’art. 1119 è inderogabile. I condomini possono convenire, in forza della loro autonomia negoziale, che taluni beni costituiscano parti comuni, al fine di conferire loro una destinazione indisponibile senza il consenso di tutti e di estendere loro il regime dell’indivisibilità e insepa rabilità che è proprio delle parti comuni in dicate dall’art. 1117 cod. civ. e che impedisce al singolo condomino di disporre di queste parti indipendentemente dalla sua proprietà esclusiva senza il consenso degli altri (Cass., sent. n. 6036, 29.5.1995). Viene esclusa la divisibilità convenzionale, perché si ritiene inapplicabile la norma in materia di divisione nella comunione contemplata dall’art. 1111 cod. civ. (Cass., sent. n. 1553, 11.6.1963). L’art. 1119 cod. civ. non vieta invece un accordo con cui venga assegnata a ciascuno una porzione notevole della cosa comune per il concreto uso della stessa (Cass., sent. n. 434, 28.1.1985). Ai servizi in comune tra distinti edifici in condominio si applicano le norme concer nenti i beni comuni previsti in tema di con dominio e, quindi, risulta applicabile a es si la regola dell’indivisibilità desunta dall’art. 1119 cod. civ., qua-
lora la loro divisio ne ne renda più incomodo l’uso (Cass., sent. n. 7286, 8.8.1996). Opere sulle parti dell’edificio di proprietà comune L’art. 1122 cod. civ. stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio. In realtà l’art. suddetto vieta soltanto di compiere opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio e non anche le opere che consistano nella semplice desti nazione della proprietà esclusiva a un uso piuttosto che a un altro (Cass., sent. n. 4677, 17.7.1980; n. 256, 22.1.1985). Il concetto di danno, a cui la disposizione fa riferimento, non deve essere limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o dell’intrinseca natura della cosa comune, ma deve essere esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ri-traibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico o estetico (Cass., sent. n. 1947, 27.4.1989). L’occupazione in via permanente e stabile da parte di un condomino del tetto di un edificio con relativa incorporazione nella sua proprietà esclusiva non rientra nella previsione dell’art. 1122 cod. civ. (Cass., sent. n. 4449, 27.7.1984). Contrastano col disposto dell’art. 1122 cod. civ. (e quindi illegittime) la costruzione, da parte del condomino, sul suo balcone, di una veranda in appoggio al muro comune dell’edificio condominiale, la quale raggiunga l’altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell’aria e della luce al proprietario del piano contiguo (Cass., sent. n. 1132, 11.2.1985), nonché le aperture praticate dal condomino nel muro perimetrale per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nel condominio, con altro immobile estraneo all’edificio condominiale, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dare luogo all’acquisto di una servitù a carico della proprietà condominiale (Cass., sent. n. 5780, 25.10.1988). Al contrario sono consentite dall’art. 1122 l’ampliamento o l’apertura di una porta o finestra da parte di un condomino, o la trasformazione di una finestra, che prospetta il cortile comune, in una porta d’accesso al medesimo, mediante l’abbattimen to del corrispondente tratto del muro perimetrale che delinea la proprietà del singolo appartamento, perché non sono idonee a ledere il compossesso del muro comune che fa capo, come ius possidendi, a tutti i condomini (Cass., sent. n. 1112, 4.2.1988).
I tipi di spesa previsti dalla normativa
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ltre alle spese necessarie per la conservazione e per le modificazioni relative ai piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva, ciascun condomino deve necessariamente partecipare alle spese originate dalla conservazione e dal godimento delle parti comuni dell’edificio in condominio. L’obbligo del condomino, però, deriva solo dalla concreta attuazione dell’attività di manutenzione e non già dalla preventiva approvazione e ripartizione della spesa (Cass., sent. n. 4467, 7.7.1988).
Le spese possono essere necessarie ai fini della conservazione e del godimento del bene comune oppure non necessarie. Le spese necessarie sono di due tipi sottoposti a discipline legislative diverse: 1) le spese di manutenzione c.d. ordinaria, cioè quelle finalizzate a mantenere la cosa comune nello stato in cui si trova e produrre le sue abituali utilità (spese per la conservazione del bene e spese per la riparazione dei danni prodotti da un deterioramento già avvenuto);
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Condominio 2) le spese di manutenzione c.d. straordinaria, vale a dire quelle la cui erogazione viene resa indispensabile dal verificarsi di un evento che, anche se prevedibile, non poteva essere evitato mediante opere di manutenzione ordinaria. Questa suddivisione trova il proprio fondamento normativo negli artt. 1130, n. 3, cod. civ. (per le spese ordinarie) e 1135, n. 4, cod. civ. (per le spese straordinarie). Tuttavia sia le une sia le altre, dal momento che costituiscono entrambe spese necessarie, competono in ogni caso a tutti i condomini; la distinzione delineata rileva unicamente ai fini dell’amministrazione, per distinguere la competenza dell’amministratore da quella dell’assemblea dei condomini e i poteri dell’amministratore nei confronti dei singoli partecipanti al condominio. A loro volta le spese non necessarie possono essere suddivise in utili e voluttuarie: 1) le spese utili sono quelle dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni e hanno luogo nelle ipotesi delle innovazioni disciplinate dall’art. 1120 c. c.; 2) le spese voluttuarie, invece, si presentano in due casi: - quello in cui le spese interessano un singolo comproprietario senza comportare alcun danno per gli altri condomini ed è regolato dalla norma contenuta nell’art. 1102 cod. civ.; - quello in cui le spese producono nella cosa comune modifiche i cui effetti si riflettono anche sugli altri partecipanti e quindi richiedono una preventiva deliberazione della maggioranza assembleare, così come dispone l’art. 1121 cod. civ. In relazione alle spese di manutenzione ordinaria va ricordato che le stesse non richiedono la preventiva approvazione dell’assemblea dei condomini, in quanto per loro natura sono dovute a scadenze fisse e vengono ordinate dall’amministratore in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere assembleari (Cass., sent. n. 5068, 18.2.1986). Le disposizioni del codice civile che recano disciplina delle spese comuni nel condominio negli edifici sono: - l’art. 1123, che indica i modi per la ripartizione delle spese; - gli artt. 1124, 1125 e 1126, che disciplinano i regimi delle spese relative a determinate parti comuni (scale, soffitti, volte e solai, lastrici solari di uso esclusivo); - l’art. 1134, per le ipotesi di spese fatte dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore. La ripartizione delle spese L’art. 1123, comma 1, cod. civ. stabilisce che le spese relative alla conservazione e al godimento delle parti comuni dell’edificio, alla prestazione dei servizi nell’interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza devono essere sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno; è ammessa dalla legge la legittimità di un accordo diverso fra i comproprietari. Quando invece il bene comune è destinato a servire i condomini in misura diversa, è previsto che le spese vengano suddivise in proporzione all’uso che ciascuno può farne (comma 2, art. 1123). Nel caso in cui l’edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire soltanto una parte dell’intero fabbricato, le spese originate dalla loro manutenzione siano a carico esclusivamente dei condomini che ne traggono utilità (art. 1123, comma 3). Per stabilire il valore proporzionale dell’immobile ai fini
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n. 3-4/ 2007 dell’art. 1123 cod. civ. deve essere preso in considerazione esclusivamente il rapporto intercorrente tra il singolo piano (o porzione di piano) e l’intero edificio, mentre non possono essere valutati altri elementi estranei a tale rapporto, come la destinazione d’uso dell’immobile (Pret. Milano, 9.6.1983). Le spese che l’art. 1123 definisce “necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni” sono quelle che occorrono per mantenere le cose comuni in condizioni tali da potere servire all’uso a cui sono destinate e la fonte dell’obbligo di contribuire a esse risiede nel diritto di proprietà condominiale; tale obbligazione è quindi un’obbligazione propter rem, perché è strettamente connessa con la contitolarità del diritto di comproprietà. Da ciò derivano due conseguenze: - si deve presumere l’efficacia reale anche della clausola del regolamento di condominio, di natura contrattuale, con cui la singola unità immobiliare venga esonerata, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese stesse (Cass., sent. n. 7039, 23.12.1988); - il condomino non può sottrarsi al pagamento dei contributi richiestigli, ancorché nello stato di ripartizione approvato dall’assemblea figuri, anziché il suo nome, quello del suo dante causa (Cass, sent. n. 2658, 14.3.1987). Legittimità della deroga al criterio di ripartizione La disciplina legale ammette la legittimità della deroga, da parte dei condomini, al criterio di ripartizione previsto dall’art. 1123, comma 1; e, dal momento che l’articolo non ha sottoposto ad alcun limite la deroga convenzionale del criterio di ripartizione delle spese da esso stesso fissato, è legittima anche la deroga convenzionale che preveda l’esclusione di uno o più condomini, proprietari di determinate unità immobiliari, dalla partecipazione totale o parziale alle spese (Cass., sent. n. 6844, 16.12.1988). In ogni caso la deroga deve essere deliberata all’unanimità (Cass., sent. n. 506, 8.2.1975 e n. 3733, 15.4.1987; Pret. Taranto, 18.3.1988; Trib. Piacenza, 30.11.1988) e deve essere sottoscritta dai condomini interessati (Cass., 14.2.1985, n. 1253); di conseguenza essa è inefficace per nullità radicale nei confronti del condomino dissenziente, il quale perciò può impugnare la delibera della maggioranza dell’assemblea senza limiti di tempo (Trib. Milano, 30.5.1988). Per quanto riguarda la forma dell’atto di deroga, essa può consistere in un qualunque patto negoziale e quindi anche nel regolamento condominiale che abbia natura convenzionale (App. Milano, 23.11.1979; Cass., sent. n. 898, 6.2.1984 e n. 6499, 6.11.1986); la deliberazione, per la parte relativa all’inserimento di tale criterio de-rogatore nel regolamento, ha natura di contratto plurisoggettivo, che può essere validamente modificato solo col consenso unanime di tutti i condomini (Cass., 5.10.1983, n. 5793; Cass., 28.8.1986, n. 5272). Criterio di ripartizione provvisorio o temporaneo Si ammette anche la possibilità che venga adottato, a maggioranza, un criterio di ripartizione provvisorio o temporaneo che consenta di fare fronte alle spese annuali di manutenzione e di gestione dei servizi comuni (Cass., sent. n. 2164, 24.7.1973; Trib. Roma, 24.3.1988). Nell’ipotesi in cui però uno o alcuni condomini non versino le loro quote di spese l’assemblea condominiale non può, deliberando a maggioranza, ripartire tra gli altri condomini non morosi il debito delle quote spettanti ai condomini morosi, tranne che nel caso di assoluta e improrogabile necessità di acquisire subito tali somme ( Trib. Firenze, 20.10.1988).
n. 3-4/2007 In ogni caso il regolamento può validamente prevedere con apposita clausola il pagamento di una somma a carico del condomino moroso e in tal caso la clausola ha natura di clausola penale che, qualora sia manifestamente eccessiva, può essere ridotta equamente dal giudice ai sensi dell’art. 1384 cod. civ. (Trib. Torino, 24.3.1976; Conc. Verona, 19.4.1989). Quando sorge una lite fra condomini a proposito delle spese e sia necessario fare ricorso agli organi giudiziari, ha carattere pregiudiziale la controversia volta ad accertare se l’attore abbia o meno la qualità di condomino, qualora tale qualità costituisca il presupposto necessario della richiesta di esecuzione dei lavori interessanti le parti comuni e le relative spese debbano essere ripartite fra i condomini in base alle tabelle mille-simali (Cass., sent. n. 4542, 26.8.1985). Per quanto riguarda la legittimazione processuale va osservato che se la causa è stata promossa da un condomino dissenziente in ordine al riparto delle spese, l’amministratore del condominio è passivamente legittimato a stare in giudizio a norma dell’art. 1131, comma 2, cod. civ., senza necessità di essere a ciò autorizzato dall’assemblea (Cass., sent. n. 590, 24.1.1980); invece nel caso in cui uno fra i condomini abbia versato all’amministratore la somma dovuta da un altro condomino in forza di delibera dell’assemblea, allora l’amministratore è legittimato ad agire nei confronti dell’effettivo obbligato per la ripetizione di quanto versato in sua vece (Cass., sent. n. 510, 26.1.1982). Nei confronti dei terzi tutti i condomini sono solidalmente responsabili per le obbligazioni contratte dal condominio nel comune interesse (Cass., sent. n. 2085, 5.4.1982). E sempre rispetto ai terzi il successore a titolo particolare si pone in una situazione di diritto-dovere, per cui sono trasferiti nella sua persona tutti i diritti (godimento e disponibilità della cosa) che i terzi devono rispettare, ma nel contempo vi sono pure trasferiti tutti gli oneri, ob rem e in favore dei terzi, alla cui osservanza esso successore non può sottrarsi; in particolare l’acquirente di un’unità condominiale resta obbligato anche per le spese scaturenti da una delibera precedente all’acquisto della sua unità (Cass., sent. n. 2489, 22.4.1982). Per le cose comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, le relative spese in applicazione dell’art. 1123, comma 2, cod. civ. devono essere ripartite in misura proporzionale all’uso che ogni condomino può fare; e, in mancanza di una deroga convenzionale con cui si preveda la ripartizione di dette spese in proporzione ai millesimi di proprietà, ove vi sia contrasto tra i condomini circa la relativa ripartizione, si deve
Condominio escludere che l’assemblea possa disporre tale convenzione con deliberazione insindacabile e vincolante anche per i dissenzienti, dal momento che la legittimità della deliberazione subordinata all’osservanza del criterio che tenga conto dell’utilità che ciascuno dei condomini possa trarre dalla cosa comune (Cass., sent. n. 5458, 8.9.1986). Il servizio di riscaldamento dei singoli appartamenti, costituendo strumento per un più proficuo riscaldamento dell’intero stabile condominiale, rientra nell’ipotesi prevista dal primo capoverso dell’art. 1123 e quindi le spese relative a esso devono essere sostenute da ogni condomino in misura proporzionale all’uso che ciascuno può farne (Trib. apoli, 6.10.1978). Le tabelle e le quote millesimali L’art. 1123, comma 1, cod. civ. stabilisce che, salvo diversa convenzione, le spese dovute per le parti comuni dell’edificio devono essere sostenute da ogni condomino in misura proporzionale al valore della sua proprietà. A questo scopo vengono predisposte le tabelle millesimali che contengono i valori dei piani o delle porzioni di piano spettanti a ciascun condomino, espressi in millesimi, dopo essere stati ragguagliati al valore dell’intero edificio. L’art. 68, disp. att., cod. civ., dispone che le tabelle millesimali devono essere allegate al regolamento di condominio; ma ciò non esclude che i condomini, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possano stipulare una convenzione limitata alla determinazione delle tabelle millesimali, cioè di tutte o di alcune o di una sola di esse. Infatti, la formazione delle tabelle può avvenire, oltre che in forma assembleare, anche in forma contrattuale e in questo secondo caso essa ha forza di legge fra le parti, ai sensi dell’art. 1372 cod. civ., e non è suscettibile di revisione in via bonaria, se non mediante un nuovo contratto che modifichi quello precedente (Cass., sent. n. 5905, 7.11.1981). In ogni caso la formazione delle tabelle (ma lo stesso principio è stato affermato anche per l’ipotesi di modifica delle stesse ai sensi dell’art. 69, disp. att., cod. civ.), in quanto negozio di accertamento del valore delle quote condominiali, non richiede la forma scritta ad substantiam (vale a dire per la sua validità) e può benissimo manifestarsi per facta concludentia (mediante un comportamento che dimostra la volontà di accettare i valori contenuti nella tabella) come la concreta applicazione delle tabelle per più anni senza riserve (Cass., sent. n. 5593, 17.10.1980; n. 1057, 9.2.1985 e n. 5686, 19.10.1988).
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Se invece la tabella è stata deliberata dall’assemblea condominiale, essa - poiché per la formazione delle tabelle millesimali è richiesto il consenso di tutti i condomini - non vincola gli assenti e i dissenzienti, che quindi possono impugnare la deliberazione per nullità radicale (Cass.,sent. n. 1057, 9.2.1985 e n. 3920, 11.9.1989). Se manca una tabella valida e vincolante per tutti i condomini, spetta al giudice il compito di determinare il valore dei piani o delle porzioni di piano espresso in millesimi (Cass., sent. n. 1057, 9.2.1985). In ogni caso la mancata approvazione della tabella millesimale non può costituire fonte di responsabilità a carico del condominio, neppure sotto il profilo della omessa ripartizione interna delle spese condominiali fra i condomini e gli inquilini, in base all’art. 9, della legge 378 del 27 luglio 1978 (Cass., sent. n. 5686, 19.19.1988). Nell’ipotesi, regolata dall’art. 1123, comma 2, cod. civ., di ripartizione delle spese relative a cose comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, non è ammissibile, in mancanza di apposita tabella o convenzione, il ricorso ai millesimi risultanti dalla c.d. tabella di proprietà (Cass., sent. n. 5458, 8.9.1986), né tale disposizione è derogabile per la circostanza che l’unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell’edificio, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo al riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell’edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti in ragione del diverso uso delle cose condominiali (Cass., sent. n. 8484, 18.11.1987). La revisione delle tabelle Ogni condomino può sempre chiedere la revisione delle tabelle ai sensi dell’art. 69, disp. att., cod. civ., ma tale domanda, anche riconvenzionale, deve essere proposta in contraddittorio di tutti i condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dall’amministratore, dal momento che l’oggetto della controversia incide su diritti esclusivi dei singoli condomini (Cass., sent. n. 3967, 6.7.1984 e n. 3701, 31.5.1988). L’art. 69, infatti, prevede due ipotesi nelle quali si può rive-
dere o modificare la tabella millesimale: 1) per effetto dell’esistenza di un errore all’interno di essa; 2) per l’alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano. Per quanto riguarda la prima ipotesi l’errore deve essere essenziale e ciò ha luogo quando l’errore, di diritto o di fatto, attiene alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti e non quando esso è determinato solo da criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poiché l’errore di valutazione, in sé considerato, non può mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore sulla qualità della cosa, a norma dell’art. 1429 cod. civ. (Cass., sent. n. 116, 11.1.1982 e n. 4734, 21.7.1988). L’errore è stato ritenuto sussistente nelle ipotesi in cui la tabella non corrisponda alla effettiva consistenza delle singole unità immobiliari del condominio e al loro corretto valore patrimoniale comparativo, oppure non corrisponda alla reale dotazione dei servizi comuni, nonché al loro utilizzo da parte dei singoli condomini (App. Milano, 9.9.1988); è stato invece ritenuto insussistente nel caso in cui i valori delle singole quote, contenuti nel regolamento contrattuale, non corrispondano a criteri che ad avviso di taluno dei condomini sarebbero preferibili anche perché applicabili a edifici con caratteristiche analoghe, trattandosi di criteri opinabili che possono essere stati prescelti sulla base di una libera valutazione insindacabile dal giudice ordinario se non per palese erroneità (Trib. Milano, 29.5.1989). Dopo la correzione della tabella millesimale in seguito all’accertamento dell’esistenza di un errore materiale, ogni condomino può chiedere il rimborso degli importi versati in eccedenza (Trib. Palermo, 3.1.1988). La divergenza tra i valori reali dei piani o delle porzioni di piano di un edificio condominiale, rapportati al medesimo, e le tabelle millesimali, derivata da innovazioni e ristrutturazioni successive all’atto che le approva, non determina la nullità né di quest’ultimo né delle tabelle e neppure delle delibere fondate su di esse, ma ne giustifica soltanto la revisione, ai sensi dell’art. 69, n. 2, disp. att. cod. civ., a opera dell’assemblea condominiale, dei condomini per contratto ovvero dell’autorità giudiziaria (Cass., sent. n. 15094, 22.11.2000).
Casistica delle spese Le scale L’art. 1124 cod. civ. dispone che le spese relative alle scale devono essere ripartite fra i proprietari dei diversi piani a cui servono per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo; al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune. ● L’art. 1124 cod. civ. è derogabile con patto negoziale e quindi anche col regolamento condominiale, qualora abbia natura convenzionale e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i partecipanti (Cass., sent. n. 4646, 16.7.1981 e n. 6499, 6.11.1986); la deroga può avvenire anche a opera dell’assemblea condominiale, ma solo se vi acconsentono tutti i condomini e non unicamente i partecipanti all’assemblea, dal momento che la delibera è inefficace nei confronti dei dissenzienti per nullità assoluta (Cass., sent. n. 4627, 21.5.1987; Pret. Taranto, 18.3.1988). ● La regola posta dall’art. 1124 cod. civ. relativa alla ripartizione tra i condomini delle spese di ricostruzione oltre che di manutenzione delle scale è applicabile per analogia, ricorrendo la stessa ratio, alle spese relative alla ricostruzione e manutenzione dell’ascensore già esistente (Cass., sent. n. 2833, 25.3.1999). ● Le scale (e lo stesso principio viene applicato per analogia alle spese per l’ascensore) sono di proprietà comune di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato diviso in piani o porzioni di piano di proprietà individuale e rappresentano inoltre un tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura, e di conseguenza nessuno fra i condomini può rifiutarsi di contribuire alle spese dovute per esse, compresi i proprietari di unità immobiliari site al piano terreno o di locali terranei che abbiano accesso direttamente sulla strada; però il concorso nelle spese da parte dei proprietari di unità site al pian terreno è limitato a quella
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parte di oneri che viene suddivisa ai sensi dell’art. 1124, in ragione del valore del piano o della porzione di piano, mentre non è dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo (Trib. Monza, 12.11.1985; App. Milano, 9.10.1987). ● Nel condominio le scale comprendono l’intera relativa “cassa”, di cui costituiscono componenti essenziali e inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse; e quindi, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola prevista dall’art. 1124, comma 1, cod. civ., salvo che oggetto dei lavori siano non il vano scale nel suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unità immobiliari prospicienti il vano scale (e quest’ultimo in tutto o parte delimitanti), poiché in tale ultimo caso la ripartizione delle spese deve essere effettuata mediante l’applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, comma 2, e 1124, comma 1, cod. civ. (Cass., sent. n. 3968, 7.5.1997). ● Le spese per l’illuminazione e la pulizia delle scale non configurano spese per la conservazione delle parti comuni, che tendono cioè a preservare l’integrità e a mantenere il valore capitale delle cose, bensì spese utili per permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie; con la conseguenza che a esse i condomini sono tenuti a contribuire, non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in base all’uso che ciascuno di essi può fare delle scale in questione, secondo il criterio fissato dall’art. 1123, comma 2, cod. civ. (Cass., sent. n. 8657, 3.10.1996 e n. 2018, 19.2.1993). I soffitti, le volte e i solai L’art. 1125 cod. civ. contiene la disciplina delle spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai e dispone che le spese relative a essi debbano essere sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani; vengono invece lasciate a carico esclusivo di ciascuno dei condomini quelle opere che determinano un vantaggio unicamente per l’uno o per l’altro e quindi la copertura del pavimento tocca al solo proprietario del piano superiore, mentre l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto spettano al solo proprietario del piano inferiore. ● L’art. 1125 cod. civ. costituisce norma derogabile dall’autonomia privata, sicché i condomini interessati ben possono addivenire a un accordo sul loro rispettivo diritto e determinare convenzionalmente, oltre ai lavori da eseguire, chi debba sostenere la spesa (Cass., sent. n. 4601, 14.7.1981) e ha ritenuto che la deroga può avvenire anche sotto forma di regolamento condominiale, avente natura convenzionale e come tale vincolante nei confronti di tutti i partecipanti (Cass., sent. n. 6499, 6.11.1986). ● Le spese per i solai, inerenti a interventi che concernano il corpo di fabbrica interessato nelle sue strutture comuni, non si ripartiscono in parti uguali fra i proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti (App. Milano, 13.12.1988). Sotto l’aspetto procedurale la Suprema Corte, nell’ipotesi di giudizio instaurato per la divisione delle spese relative al solaio dal proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello inferiore, ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio, exart. 102 cod. proc. civ., nei riguardi dell’eventuale usufruttuario di uno dei piani stessi, essendo il rapporto dedotto in lite afferente solo alla titolarità del diritto di proprietà dei piani divisi dal solaio (Cass., sent. n. 7397, 12.12.1986). ● Viene esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni dell’art. 1125 al caso di un locale sotterraneo di proprietà di un soggetto diverso dal proprietario del fondo sovrastante, per quanto riguarda le spese di manutenzione e rifacimento delle strutture di copertura di tale locale, qualora tali strutture ne costituiscano parte integrante senza alcuna funzione di sostegno, perché esse, salvo titolo contrario, non possono formare oggetto di comunione col proprietario del suolo (Cass., sent. n. 1362, 18.3.1989). ● L’art. 1125 cod. civ. non può trovare applicazione nel caso dei balconi “aggettanti”, i quali, sporgendo dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono; non svolgendo alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio (come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio), non possono considerarsi a servizio dei piani sottostanti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani, ma rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti a cui accedono (Cass., sent. n. 15444, 10.7.2007). ● L’art. 1125 cod. civ. è applicabile solo alla manutenzione dei solai e delle volte e non della terrazza a livello, pure se a essa sia sottoposto un solo locale, non venendo meno la funzione di copertura della terrazza medesima (Cass., n. 11029, 15.7.2003). ● Nel giudizio instaurato, ai sensi dell’art. 1125 cod. civ., per la divisione delle spese di manutenzione o ricostruzione del solaio divisorio comune, dal proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello inferiore o viceversa non sussiste la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di altri soggetti e, specificamente, del condominio, in quanto il rapporto dedotto in giudizio è afferente solo alla titolarità del diritto di proprietà dei piani divisi dal solaio (Cass., sent. n. 1225, 28.1.2003). ● Il solaio che divide due unità abitative l’una all’altra sovrastante e appartenenti a diversi proprietari deve ritenersi, salva prova contraria, di proprietà comune, costituendo l’inscindibile struttura divisoria tra le due strutture immobiliari, con utilità e uso uguale e inseparabile per le medesime, con la conseguenza che la manutenzione e la ricostruzione di tutte le sue parti e, quindi, anche delle travi che ne costituiscono la struttura portante, e non siano meramente decorative del soffitto dell’appartamento sottostante - compete in parti eguali ai due proprietari (Cass., sent. n. 1360, 12.10.2000). ● La ripartizione delle spese per la manutenzione, la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai secondo i criteri dell’art. 1125 cod. civ. riguarda le ipotesi in cui la necessità delle riparazioni non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre nel
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caso in cui il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha cagionati (Cass., sent. n. 3568, 12.4.1999). ● La manutenzione e la riparazione del solaio di copertura di un locale interrato costituendone parte integrante compete unicamente, salvo diversa pattuizione, al suo proprietario, anche se l’area soprastante appartenente ad altro soggetto riceva da tale copertura un qualche vantaggio o utilità (Cass., sent. n. 1477, 22.2.1999). ● La sostituzione del solaio esistente fra due piani sovrapposti di un edificio deve realizzarsi, trattandosi di bene in comproprietà, senza menomazioni del godimento di entrambi i proprietari sulla cosa o sulla proprietà esclusiva di ciascuno di essi, senza che rilevi il vantaggio che ne sia derivato alle proprietà; tale diritto infatti ha per oggetto ai sensi dell’art. 1125 cod. civ. il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa e rimane inalterato nel suo oggetto, nonostante la sostituzione di un solaio meno voluminoso di quello preesistente (Cass., sent. n. 3386, 23.3.1995). I lastrici solari di uso esclusivo egli edifici moderni il lastrico solare ne costituisce la copertura piana orizzontale che svolge così la stessa funzione che in passato veniva svolta dal c.d. tetto “a spiovente”, caratterizzato invece dalla superficie inclinata. ● Nella sua normale destinazione il lastrico solare riveste una duplice attitudine: quella tipica di copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile (Pret. Torre Annunziata, 19.3.1982). ● Il lastrico solare agevolmente accessibile non svolge soltanto una funzione di copertura del fabbricato e pertanto, se è posto allo stesso livello e destinato al servizio della porzione immobiliare sita all’ultimo piano dell’edificio, può comportare l’obbligo del proprietario di quest’ultimo di costruzione di un muretto recintato da rete metallica al fine di rendere la luce irregolare conforme alle prescrizioni stabilite dall’art. 901 cod. civ. (Cass., sent. n. 5718, 10.6.1998). ● I lastrici solari costituiscono, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., parti comuni dell’edificio. Invece nel caso in cui l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non sia comune a tutti i condomini, l’art. 1126 cod. civ. stabilisce che i condomini che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle ripartizioni o ricostruzioni del lastrico, mentre gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione al valore del piano o della porzione di piano di ciascuno. Per quanto riguarda la disciplina prevista dall’art. 1126 cod. civ. i giudici di merito hanno affermato (peraltro in contrasto con Cass., sent. n. 497, 16.2.1976), che la spesa per la ripartizione o ricostruzione di un lastrico solare di uso esclusivo deve essere ripartita in parti uguali tra il condomino proprietario dell’appartamento a livello del lastrico e i proprietari degli appartamenti sottostanti, secondo i criteri forniti dal combinato disposto degli artt. 1125 e 1126, e che il proprietario dell’appartamento sovrastante deve anche accollarsi la spesa per l’impermeabilizzazione del lastrico (Trib. Matera, 18.11.1985). ● L’assemblea condominiale ha il potere di ripartire le spese in base a criteri diversi da quelli previsti dall’art. 1126 cod. civ., ma unicamente col consenso di tutti i condomini e non solo con quello dei partecipanti all’assemblea (Pret. Taranto, 18.3.1988). ● Quando il lastrico solare è attribuito in uso esclusivo a uno dei condomini oppure in proprietà esclusiva dello stesso, anche i danni cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico e del manto impermeabile che protegge l’ultimo piano dell’edificio non possono essere messi interamente a carico del proprietario o usuario del lastrico stesso, ma debbono essere risarciti col concorso del condominio nella proporzione prevista dalla norma in commento (Cass., sent. n. 1618, 14.2.1987). In caso di danni cagionati da omessa esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria su lastrico solare in edificio condominiale, i singoli condomini sono tenuti, nei rapporti interni fra loro, a concorrere al risarcimento del danno secondo i criteri previsti dall’art. 1126 cod. civ. (Cass., sent. n. 12606, 7.12.1995). ● Al rifacimento del lastrico solare, deteriorato per difetto di manutenzione, devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, anche se l’ammontare del risarcimento dev’essere diviso secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 cod. civ., vale a dire per un terzo a carico del titolare del diritto di proprietà superficiaria o di uso esclusivo e per gli altri due terzi a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno (Giudice di pace apoli Pozzuoli, 26.1.2005). ● I criteri per le spese previsti dall’art. 1126 cod. civ. si applicano anche al caso del tetto di un edificio di proprietà esclusiva di uno dei partecipanti al condominio (Cass., sent. n. 532, 30.1.1985). ● Il lastrico solare, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell’edificio se il contrario non risulta, in modo chiaro e univoco, dal titolo, per tale intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio accettato dai singoli condomini; il proprietario esclusivo dell’edificio, in caso di vendite frazionate dell’immobile, può mantenere per sé la proprietà esclusiva del lastrico solare, ma a tal fine occorre uno specifico atto negoziale perché la proprietà comune prevista dall’art. 1117 cod. civ. può essere vinta soltanto dal titolo contrario, che non può essere ravvisato in atti relativi alla proprietà del terreno, anteriori alla costituzione del fabbricato e alla nascita del diritto di condominio (Cass., sent. n. 13279, 16.7.2004); inoltre il lastrico, quale superficie terminale dell’edificio, esercita comunque l’indefettibile funzione primaria di protezione dell’edificio, ma anche nel caso in cui abbia pure la funzione di terrazzo in uso esclusivo di un solo condomino, così come lascia inalterata la presunzione di proprietà comune prevista dall’art. 1117 cod. civ., non fa neppure venire meno la sua destinazione primaria all’uso comune, con la conseguenza che un simile uso non realizza la violazione dell’art. 1120 cod. civ. (Cass., sent. n. 3102, 16.2.2005). ● Il diritto esclusivo di calpestio del lastrico solare può essere acquistato anche per usucapione (Cass., sent. n. 1103, 17.4.1973).
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● Per quanto riguarda il significato della locuzione contenuta nell’art. 1126, cod. civ. - secondo cui due terzi delle spese sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve - le spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di un edificio devono essere pagate ai sensi dell’art. 1126 e quindi un terzo a carico del condomino che ne abbia l’uso esclusivo e gli altri due terzi a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve da copertura; e quindi, di regola, il proprietario esclusivo del lastrico solare deve contribuire alle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico serve da copertura (Cass., sent. n. 5125, 3.5.1993), mentre il proprietario esclusivo del lastrico solare è tenuto alla doppia contribuzione soltanto qualora sia proprietario anche di una delle unità immobiliari sottostanti, in proporzione del valore della medesima (Cass., sent. n. 11449, 19.10.1992). ● Con riferimento al lastrico solare il termine “riparazione” contenuto nell’art. 1126 cod. civ. deve essere inteso come sinonimo di manutenzione, attinente cioè a quegli interventi sulle parti di lastrico determinati dall’uso esclusivo, ma comunque collegati alla funzione di copertura dei piani sottostanti a cui il medesimo strutturalmente adempie; detti interventi, tenuto conto della netta distinzione operata dall’art. 1126 cod. civ., non sono assimilabili a quelli definiti di “ricostruzione”, per tali ultimi dovendo intendersi quei diversi interventi che incidono sugli elementi strutturali del lastrico (come il solaio portante, la guaina impermeabilizzante ecc.) (Cass., sent. n. 2726, 25.2.2002). ● Il lastrico solare - anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condomini - svolge funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l’obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri previsti dall’art. 1126 cod. civ.; con la conseguenza che il condominio, quale custode ex art. 2051 cod. civ. - in persona dell’amministratore, rappresentante di tutti i condomini tenuti a effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha l’uso esclusivo - risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare e, a tal fine, i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 cod. civ. (Cass., 21.2.2006, n. 3676). ● Tutto il condominio è tenuto a sopportare le conseguenze dell’omessa manutenzione del lastrico solare sito a copertura di una porzione del fabbricato condominiale (scala A) e a risarcire i danni patiti dal proprietario dell’unità immobiliare sottostante, qualora venga accertata l’esistenza di un sistema unitario di smaltimento delle acque piovane dell’intero edificio (e, quindi, anche della porzione costituente la scala B) (Cass., sent. 5973, 25.3.2004). ● Non costituisce aggravamento della servitù di veduta, ai sensi dell’art. 1067 cod. civ., la sopraelevazione sul lastrico solare con apertura di finestre in corrispondenza dei vani di abitazione di nuova realizzazione, in quanto la trasformazione dell’affaccio occasionale dal parapetto del lastrico stesso in quello quotidiano dalle indicate finestre non determina un incremento della inspectio e della prospectio sugli appartamenti vicini, essendo al contrario la veduta meno ampia e panoramica rispetto all’originario affaccio esercitato dal parapetto del terrazzo (Cass., sent. n. 11938, 8.8.2002). ● Ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini; ne consegue che l’installazione di una ringhiera (o parapetto) su di un lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali come i cortili costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 cod. civ.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (Cass., sent. n. 13261, 16.7.2004). ● È legittima anche l’apertura di una porta finestra sul lastrico solare comune (Cass., sent. 12047, 23.5.2007). Alcuni usi del lastrico solare sono vietati: - non si può installare un’antenna autonoma di notevoli dimensioni sul lastrico solare, poiché anche in questo caso avrebbe luogo un mutamento definitivo di destinazione (Trib. Roma, 9.6.1986); - non è possibile inserire in esso una canna fumaria destinata al servizio esclusivo dell’appartamento di un condomino, poiché in tal modo viene alterata la funzione di copertura del lastrico e viene sottratta una porzione di bene comune all’uso degli altri condomini (Cass., sent. n. 4201, 6.5.1987). ● Il diritto di antenna che spetta a ogni singolo condomino quale diritto soggettivo di natura personale a installare sulle parti comuni dell’edificio condominiale un’antenna per la ricezione dei programmi radiotelevisivi si estende anche alle antenne ricetrasmittenti per lo svolgimento di un’attività professionale; ma è preclusa al condomino l’installazione sul lastrico solare condominiale di un’antenna di dimensioni e struttura tali da attrarre, anche in parte, la cosa comune nella sua sfera di disponibilità esclusiva (Trib. Taranto, 20.1.1998). La terrazza a livello Al lastrico solare viene equiparata - per quanto riguarda la sua disciplina giuridica - la terrazza a livello. ● La terrazza a livello nel condominio è una superficie scoperta posta al di sopra di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che, per il modo in cui è stata realizzata, risulta destinata non tanto e non solo a coprire le verticali sottostanti (dato che in tal caso si tratterebbe di lastrico solare), quanto e soprattutto a dare un affaccio e ulteriore comodità all’appartamento cui è collegata e del quale costituisce, in definitiva, una proiezione verso l’esterno (Cass., sent. n. 836, 28.3.1973); quando la situazione dei luoghi riveste un simile
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carattere la funzione della terrazza a livello, quale accessorio rispetto all’alloggio posto allo stesso livello, prevale su quella di copertura dell’appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio di cui è strutturalmente e funzionalmente parte integrante (Cass., sent. n. 8394, 18.8.1990). ● La Cassazione ha deciso che, poiché la funzione delle terrazze a livello di copertura dei piani sottostanti è meramente sussidiaria rispetto all’altra (caratteristica delle terrazze a livello) di estensione e integrazione dell’appartamento cui sono annesse, contrariamente quindi a ciò che avviene per i lastrici solari, la ripartizione delle spese deve effettuarsi tra il proprietario della terrazza e gli altri condomini in proporzione dei vantaggi da essi rispettivamente ritratti, soccorrendo all’uopo la disciplina degli artt. 1123 e 1126, salvo che le spese si siano rese necessarie per fatto imputabile solo a chi ha l’uso esclusivo del terrazzo (Cass., sent. n. 1029, 19.2.1986). ● Alle spese per la riparazione o ricostruzione della terrazza a livello dell’appartamento di proprietà esclusiva di un singolo condomino devono contribuire, oltre al proprietario della terrazza, tutti i condomini dei piani sottostanti e, in correlazione con tale obbligo, è configurabile il diritto dei condomini di deliberare sui lavori, sia pure solo con riguardo a quelli necessari per la conservazione della funzione di copertura della terrazza, mentre sono a carico esclusivo del proprietario di questa le spese per il rifacimento dei parapetti o di altri simili ripari, in quanto esse servono non già alla copertura, ma alla praticabilità della terrazza (Cass., sent. n. 15389, 1.12.2000). La sopraelevazione La sopraelevazione è la costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio che il proprietario dell’ultimo piano oppure il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno il diritto di realizzare, a meno che il titolo non disponga diversamente (atto di acquisto oppure regolamento condominiale di tipo contrattuale). L’art. 1127 cod. civ prevede anche che, quando viene deciso di elevare nuovi piani o nuove fabbriche al di sopra dell’ultimo piano, chi esegue la sopraelevazione debba versare agli altri condomini un’indennità compensativa, pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani (compreso quello da edificare) e detratto l’importo della quota a lui spettante; e inoltre è tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare. La sopraelevazione, tuttavia, non è ammessa quando le condizioni statiche dell’edificio non lo consentono; e inoltre gli altri condomini possono opporsi alla sopraelevazione quando quest’ultima pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio oppure diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. ● La sopraelevazione non è la costruzione oltre l’altezza precedente dell’edificio, ma la costruzione di uno o più piani nuovi (o di una o più fabbriche) sopra l’ultimo piano dell’edificio quale che sia il rapporto con l’altezza precedente dello stesso (Cass., sent. n. 12173, 14.11.1991). ● Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., l’occupazione dell’area comune sovrastante l’ultimo piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che può consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purché sia stabile e compatta (come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata solidamente su un terrazzo di copertura, di proprietà esclusiva) mentre è irrilevante che possa esser stata considerata dal giudice penale - per escludere il reato previsto dall’art. 17, lett. b), legge 10 del 28 gennaio 1977 - pertinenza dell’appartamento (Cass., sent. n. 5839, 1.7.1997). ● L’indennità di sopraelevazione si giustifica con la maggiore utilizzazione obiettiva che il sopraelevante fa delle parti comuni, come il suolo, le fondazioni, i muri maestri, le scale, le tubazioni dell’acqua ecc. (Cass., sent. n. 1844, 13.2.1993). ● Una recentissima sentenza della Suprema Corte ha risolto il problema se l’obbligo di versare l’indennizzo sorge soltanto qualora sia stato eseguito un innalzamento dell’originaria altezza dell’edificio; e ha deciso che nel caso in cui il proprietario dell’ultimo piano innalzi le mura perimetrali, ricostruendo il tetto e creando nuove unità abitative al posto delle precedenti soffitte esistenti, gli altri condomini hanno diritto a ricevere l’indennizzo previsto dall’art. 1127, comma 4, cod. civ. (Cass., Sez. Unite, sent. n. 16794, 30.7.2007). ● In precedenza si era infatti affermato che, agli effetti dell’art. 1127 cod. civ., la soprae-levazione è costituita dalla realizzazione di nuove opere o nuove fabbriche che superino l’originaria altezza dell’edificio e che pertanto essa non è configurabile nel caso di modificazioni soltanto interne contenute negli originari limiti del fabbricato (Cass., sent. n. 7764, 20.7.1999; n. 10568, 24.10.1998; n. 1498, 12.2.1998; n. 5164, 10.6.1997); mentre, in senso opposto, era stato pure deciso il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio e il proprietario esclusivo del lastrico solare hanno l’onere di corrispondere un’indennità agli altri condomini solo nel caso di costruzione di uno o più piani o di una o più nuove fabbriche sopra l’ultimo piano dell’edificio, indipendentemente dal rapporto con l’altezza precedente (Cass., sent. n. 6643, 22.5.2000). ● L’art. 1127 cod. civ. stabilisce che chi realizza la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota a lui spettante. Per la determinazione dell’indennizzo si deve fare riferimento al valore del suolo su cui deve essere effettuata la sopraelevazione e poi dividere l’importo relativo per il numero dei piani (compreso quello di nuova costruzione), detraendo infine dal quoziente ottenuto la quota che spetterebbe al condomino che ha sopraelevato (Cass., sent. n. 1084, 26.3.1976). ● La determinazione dell’indennità va effettuata con riferimento al momento dell’esecuzione della sopraelevazione tenendo conto inoltre della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione (Cass., sent. n. 4861, 30.7.1981). ● Se la sopraelevazione viene realizzata in un edificio che, pur essendo compreso in un complesso edilizio formato da più stabili, sia rivestito da connotazioni di autonomia e indipendenza rispetto agli altri fabbricati, l’indennità spetta non a tutti i par-
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tecipanti al complesso, ma esclusivamente ai proprietari degli appartamenti che si trovano nell’edificio interessato alla sopraelevazione (Cass., sent. n. 4093, 7.12.1974). ● Quando un edificio viene sopraelevato di più piani in un’unica operazione, l’indennità deve essere determinata dividendo il valore del suolo (su cui insiste l’edificio o la parte di esso che viene sopraelevata) per il numero complessivo dei piani (preesistenti e di nuova costruzione), moltiplicando poi il quoziente ottenuto per il numero dei piani sopraelevati e sottraendo, infine, dal prodotto così conseguito la quota che, tenuto conto del precedente stato di fatto e di diritto, sarebbe spettata al condomino che ha eseguito la sopraelevazione (Cass., sent. n. 1300, 5.4.1977). ● In caso di sopraelevazione eseguita su terrazzo di edificio condominiale, l’indennità spettante, ai sensi dell’art. 1127 cod. civ., ai condomini proprietari delle unità immobiliari sottostanti è correttamente calcolata in base alla superficie occupata dalla nuova fabbrica, compresa la porzione di essa già occupata da preesistenti manufatti di proprietà condominiale inglobati nella nuova costruzione, e senza tenere conto, invece, della porzione di terrazzo esterno protetta soltanto da tende o altro materiale (c.d. pensiline), ancorché riservata a uso esclusivo del condomino sopraelevante (Cass., sent. n. 1263, 15.2.1999). ● La sopraelevazione non può essere realizzata nel caso in cui esista un titolo contrario, che può essere un regolamento condominiale contrattuale oppure un apposito contratto stipulato da tutti i condomini. Dal momento che la facoltà di sopraelevare spetta per legge al suo titolare, solo un’espressa pattuizione, costitutiva di una servitù assimilabile a quella di non edificare, può vietarne l’esercizio (Cass., sent. n. 805, 28.1.1983). ● Il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste dall’art. 1127 cod. civ., senza necessità di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti all’esercizio di tale diritto, assimilabili a una servitù altius non tollendi (vale a dire di non costruire più in alto), possono esser costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può esser contenuta anche nel regolamento condominiale, di tipo contrattuale (Cass., sent. n. 15504, 6.12.2000). ● La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono e in proposito è stato precisato che l’accertamento delle condizioni statiche dell’edificio non costituisce un limite all’esercizio del diritto, ma piuttosto un presupposto della sua esistenza (Cass., sent. n. 1319, 13.5.1973). ● Inoltre gli altri condomini possono opporsi all’opera, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell’edificio oppure diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti. La nozione di “aspetto architettonico” a cui fa riferimento l’art. 1127 è diversa da quella di “decoro architettonico” prevista dall’art. 1120 cod. civ. in relazione alle innovazioni; infatti per aspetto architettonico si intende la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, sicché l’adozione nella parte sopraelevata di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo percepibile da chiunque (Cass., sent. n. 1947, 27.4.1989). ● I condomini possono opporsi, ai sensi dell’art. 1127, comma 3, cod. civ., alla sopraelevazione del proprietario esclusivo del lastrico solare o dell’ultimo piano di un edificio condominiale, se il nuovo piano o la nuova fabbrica non soltanto ne alteri il decoro architettonico, come previsto per il divieto di innovazioni della cosa comune dall’art. 1120, comma 2, cod. civ., ma ne determini un pregiudizio economico, e cioè ne derivi una diminuzione del valore dell’immobile (Cass., sent. n. 15504, 6.12.2000). ● Se esiste un proprietario esclusivo del lastrico, il diritto di sopraelevazione spetta in concreto a quest’ultimo e non al proprietario dell’ultimo piano (Cass., sent. n. 4073, 30.10.1956). ● La facoltà di sopraelevare spetta anche al proprietario della terrazza a livello di proprietà esclusiva (Cass., sent. n. 5776, 25.10.1988). ● In ogni caso il diritto di sopraelevazione può anche essere trasferito a un altro condomino oppure addirittura a un terzo estraneo al condominio (Cass., sent. n. 1633, 29.5.1971) il quale, una volta che ha realizzato la costruzione, acquisisce in tal modo la qualità di condomino di quell’edificio. Quando il proprietario del suolo concede a un terzo il diritto di sopraelevazione, se il terzo, oltre al piano preventivato, ne eleva altri, è il costruttore - e non il proprietario del suolo - che deve considerarsi proprietario anche degli altri piani per effetto dell’espansione del dominio in virtù dell’accessione (Cass., sent. n. 1844, 13.2.1993). ● Legittimato a percepire l’indennità di sopraelevazione prevista dall’art. 1127 cod. civ. deve ritenersi colui che rivestiva la qualifica di condomino al tempo della sopraelevazione o i suoi successori secondo le regole che disciplinano la successione nei diritti di credito, ma non anche colui che sia divenuto successivamente proprietario della singola unità immobiliare (Cass., sent. n. 1263, 15.2.1999). «Consulente Immobiliare»
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Edilizia e urbanistica
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REATI EDILIZI IN AMBITO PAESAGGISTICO SENZA SCONTI di Diego Foderini
C
on ordinanza n. 144 del 27 aprile 2007, su richiesta del Tribunale di Grosseto, la Corte Costituzionale ha dichiarato legittima la disposizione contenuta nel Codice Urbani che, con riferimento agli abusi compiuti in zona soggetta a vincolo paesaggistico, prevede l’estinzione del reato ambientale nel caso di rimessione in pristino da parte del trasgressore, ma non estende tale beneficio anche al reato edilizio. Ciò in quanto, ha stabilito la Corte, le sanzioni penali di natura ambientale e quelle di natura edilizia perseguono finalità differenti. Chi realizza un manufatto abusivo in zona paesaggistica e provvede poi alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, beneficerà pertanto dell’estinzione del reato paesaggistico ma continuerà a essere soggetto al reato edilizio.
La normativa di riferimento Art. 181, comma 1-quinquies, del D. Lgs. 42/2004 (introdotto dall’art. 1, comma 36, legge 308/2004): - la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1. Art. 181, comma 1, del D. Lgs. 42/2004: - chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, ese gue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’articolo 44 del D.P.R. 380/2001. Art. 44, comma 1, del D.P.R. 380/2001: - salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: (Omissis) c. l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda da 15.493 a 51.645 euro nel caso… di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. La duplice tipologia di sanzioni penali applicabili La realizzazione di un abuso in ambito soggetto a vincolo paesaggistico in base al D.Lgs. 42/2004 comporta, dunque, l’applicazione di due tipologie differenti di sanzioni penali: a. le sanzioni di natura propriamente paesaggistica (disposte dall’art. 181, comma 1, del D.Lgs. 42/2004 mediante il rinvio all’art. 44 del D.P.R. 380/2001 e con la specifica ipotesi di estinzione del reato disposta dal comma 1-quinquies del medesimo art. 181, derivante dalla rimessione in pristino delle aree o degli immobili da parte del trasgressore prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e comunque prima che intervenga la condanna);
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b. le sanzioni di natura propriamente edilizia (disposte dall’art. 44, comma 1, lett. c), per le quali non è però prevista alcuna estinzione del reato, nep pure se il trasgressore provveda alla rimessione in pristino). In definitiva, chi realizza un abuso in ambito vincolato senza munirsi preventivamente della prescritta autorizzazione paesaggistica ovvero in difformità da essa e provvede alla rimessione in pristino delle aree e degli immobili prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e co munque prima che intervenga la condanna, potrà con tale suo comporta mento estinguere solamente il reato di natura paesaggistica disposto dall’art. 181, comma 1, del D. Lgs. 42/2001 ma continuerà a rispondere del reato di natura edilizia previsto dall’art. 44, comma 1, lett. c), TU. edilizia. La questione di legittimità costituzionale Il Tribunale penale di Grosseto ha ritenuto che l’art. 181quinquies del D. Lgs. 42/2004, nella parte in cui non prevede l’estinzione assieme al reato ambientale anche di quello edilizio di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), del D.P.R. 380/2001 sia illegittimo costituzionalmente per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto una situazione di gravità meno grave su birebbe illogicamente un trattamento peggiore. Il Tribunale di Grosseto, in particolare, ha ritenuto irragionevole che la rimessione in pristino possa de terminare l’estinzione del reato paesaggistico ma non di quello urbanistico. Ciò in considerazione, fra l’altro, della maggiore rilevanza dell’ambiente rispetto alla tutela di interessi urbanistici ed edilizi, con la conseguenza che l’estinzione del reato ambientale dovrebbe a maggior ragione deter minare l’estinzione anche del reato di natura edilizia. Il Tribunale ha dunque rimesso la questione alla Corte, avente competenza a stabilire l’eventuale contrasto con la Costituzione delle leggi o di parti di esse. Il Tribuna le, in sostanza, chiedeva che la Corte Costituzionale attribuisse alla legge il significato di consentire con la rimessione in pristino l’estinzione non solamente del reato ambientale ma anche di quello edilizio. La decisione della Corte Costituzionale La Corte Costituzionale, con ord. n. 144 del 27 aprile 2007, ha dichiarato manifestamente infondata la questione sollevata dal Tribunale di Grosseto sulla base delle seguenti argomentazioni fondamentali: 1. il reato edilizio previsto dall’art. 44 del D.P.R. 380/2001 e il reato pae saggistico di cui all’art. 181 del D.Lgs. 42/2004 perseguono finalità differenti in quanto i reati ambientali tutelano il paesaggio e l’ambiente nella loro materiale consistenza mentre i reati edilizi tutelano il rispetto della complessiva disciplina urbanistica ed edilizia; 2. nel caso del reato ambientale, assume rilievo prevalente il mantenimento dell’integrità del paesaggio e la scelta di prevedere l’estinzione del reato in corrispondenza con la rimessione in pristino rinviene giustificazione nell’ambito di
n. 3-4/2007 tale logica mentre la mancata previsione di un analogo beneficio con riferimento ai reati edilizi rinviene la propria ragionevole spiegazione nella volontà di assicurare in tal modo il rispetto della disciplina edilizia indipendentemente dall’avvenuto ripristino della situazione iniziale; 3. la diversa finalità delle due tipologie di sanzioni penali giustifica la diversità della disciplina per essi prevista. La Corte ha pertanto ritenuto costituzionalmente legittima la disposizione contenuta all’art. 181, comma 1-quinques, che prevede l’estinzione del rea to in corrispondenza con la
Edilizia e urbanistica rimessione in pristino dello stato dei luoghi ma non prevede che tale fatto estingua anche il reato edilizio. La decisione della Corte Costituzionale risulta del tutto coerente con l’orientamento prevalente dalla giurisprudenza, richiamato nella stessa ordi nanza. La Corte di Cassazione aveva infatti escluso l’assorbimento del reato edilizio di cui all’art. 44 del D.P.R. 380/2001 nel reato ambientale previsto dall’art. 181, comma 1, del D. Lgs. 42/2004 proprio a motivo della diversità dell’interesse tutelato dalle due disposizioni. «Consulente Immobiliare»
Centrache (CZ) “Durante l’intrecciatura del fieno: a mànna” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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CLASSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI CON LE SINGOLE DEFINIZIONI
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anutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento, ristrutturazione edilizia e urbanistica. Fatta salva la legislazione nazionale, le disposizioni e le autorizzazioni sono differenti da Comune a Comune e da Regione a Regione
I lavori, che nel linguaggio comune si definiscono “di ristrutturazione”, ma che più esattamente an drebbero detti “di recupero”, sono ripartiti dalla legge 457/1978 in cinque diverse categorie, riprodotte parola per parola nell’articolo 3 del Testo unico dell’edilizia, cioè: - manutenzione ordinaria; - manutenzione straordinaria; - restauro e risanamento conservativo; - ristrutturazione edilizia; - ristrutturazione urbanistica. Quelle che non sono opere di recupero, sono considerate nuove costruzioni o ampliamenti, che costituiscono pertanto una categoria a sé. Capire in quale categoria rientrano le opere ha im portanza da quattro punti di vista. Bisogna infatti sapere: - qual è l’Iva da pagare sulle fatture dei lavori; - che tipo di procedura edilizia bisogna seguire (o non seguire) rispetto al Comune; - se è necessario versare denaro al Comune; - se occorre che il Comune dia un permesso esplicito ai lavori. Inoltre, la classificazione degli interventi può avere importanza anche in altre situazioni. Per esempio, se nel regolamento condominiale o in un contratto di locazione sono previste clausole che riguardino un certo tipo di opere. Nonostante siano passati quasi trent’anni dal varo della legge 457/1978, il dibattito in merito a quale categoria appartenga un certo intervento è ancora acceso, perché il cambio di categoria incide sull’lva o sul contributo di costruzione da versare, nonché sulla complessità della pratica da preparare. Di seguito, le definizioni di legge dei cinque interventi di recupero e di quelli di nuova costruzione. Con un’avvertenza importante: in pratica, a dettare le regole che dicono in quale categoria rientrano i lavori sono più le leggi regionali che le norme na zionali (e quindi il D.P.R. 380/2001). Infatti, la riforma del titolo V della Costituzione ha demandato alle Regioni una competenza normativa concorrente con quella dello Stato, nonché una competenza regolamentare esclusiva in materia di governo del territorio. Dal punto di vista pratico, ancor più delle leggi regionali, contano i regolamenti edilizi dei singoli Comuni e, talvolta, le norme di attuazione del Piano Regolatore. Anche se è vero che essi non po trebbero entrare in contraddizione con le leggi regionali stesse, questo in realtà capita più spesso di quanto si creda. Quindi, è indispensabile informarsi in Comune sull’interpretazione che vige, che poi è quella che conta. Per essere consapevoli se un intervento vada in quadrato in una categoria o nell’altra, è bene incaricare un tecnico abituato a frequentare gli uffici ur banistici, oppure andarci di
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persona: spesso anche i regolamenti edilizi locali vanno decrittati e occorre essere certi di quale sia l’interpretazione del singolo funzionario. LE AMBIGUITÀ DEL CAMBIO D'USO Definizione difficile per i "cambiamenti di destinazione d'uso", cioè il mutamento più o meno radicale delle funzioni di un immobile, che passa, per esempio, da magazzino ad abitazione, da residenza privata a pensione o albergo o da terreno agricolo a edificato. Regioni e Comuni possono parzialmente assimilarli a opere di recupero o a nuove costruzioni, anche a prescindere dagli interventi edilizi. La manutenzione ordinaria Sono quelli che non hanno bisogno di alcun permesso in Comune e per i quali non si paga nulla all’Amministrazione locale. Per la legge 457/1978 consistono nelle “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e nelle opere necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti esistenti”. In parole più comprensibili, praticamente tutti i Comuni sono d’accordo nell’inserire nella manutenzione ordinaria una serie di opere interne agli appartamenti, come la tinteggiatura, l’intonacatura delle pareti e la sostituzione dei pavimenti, anche con materiali diversi (per esempio, da piastrelle a parquet). Medesimo discorso per la riparazione degli impianti (sostituzione dei fili elettrici, di parte delle tubature dell’acqua o del gas, sostituzione di caldaie o sanitari, senza toccare i relativi impianti). Idem per la sostituzione di piastrelle in cucina o in bagno e per l’apposizione di pennelli coibentanti. Per quel che riguarda, invece, la sostituzione di in fissi interni, l’abbattimento o lo spostamento di pareti non portanti e l’ampliamento dei vani porta, ci sono regolamenti più permissivi, che consentono la semplice manutenzione ordinaria e altri più rigidi, che impongono la manutenzione straordinaria. Nell’intervento all’esterno dell’edificio, la rintonacatura e la tinteggiatura della facciata può essere considerata manutenzione ordinaria, ma a condizioni differenti nelle diverse città. Per esempio, per i rego lamenti di Milano e di Bologna, occorre che sia ese guita con materiali aventi le stesse caratteristiche e i medesimi colori di quelli preesistenti, per quello di Firenze, per quanto riguarda il colore, basta sce gliere gli intonaci decisi per la zona dal Comune. Stesso discorso per la sostituzione di piastrelle in terrazze, cortili e lastrici solari: sempre manutenzione ordinaria anche con materiali diversi a Milano, solo se si usano piastrelle dello stesso tipo delle vecchie a Bologna o Firenze. La manutenzione straordinaria Per legge, è la modifica di parti anche strutturali degli edifici e la realizzazione di servizi igienico-sanitari e tecnologici. Condizione necessaria è che non si alterino né i volumi né le superfici delle singole unità immobiliari e non si modifichi la destinazione d’uso.
n. 3-4/2007 Nella pratica, rientrano in questa categoria, in ge nere, l’apertura di finestre verso l’esterno, la sostituzione completa o l’installazione di impianti, la costruzione di scale, le modifiche importanti alle fac ciate. Secondo i regolamenti, può essere prevista anche la sostituzione di infissi esterni con altri di tipo diverso (se lecita in condominio), la sostituzione di tetti con tegole differenti. Spesso rientrano in questa categoria anche lo spostamento d’altezza dei pavimenti o dei solai (nel rispetto delle prescrizioni delle altezze minime dei locali) e la costruzione di muri di recinzione e cancellate inferiori a 3 metri di altezza. CASOTTI ASCENSORE E CALDAIA La manutenzione straordinaria consente, in genere, anche la costruzione dei cosiddetti “volumi tecnici” (norme di attuazione a Firenze). Si tratta quasi sempre del casotto della caldaia (sul tetto o in cortile) e di quello per ospitare l’argano dell’ascensore (sopra il tetto). Il restauro e il risanamento Mentre la definizione di “restauro” è abbastanza comune, quella di “risanamento conservativo” è tra le più misteriose. Il restauro è, ovviamente, applicalo a edifici con valore storico-artistico, non necessa riamente vincolati, e può portare a modifiche impor tanti, senza sostanzialmente cambiare le “volume trie” esistenti. Nel rispetto di uno studio storico di come era fatto l’edificio, si possono demolire sovrastrutture che lo hanno “rovinato” e consentire quelle opere (costruzione di impianti, bagni eccetera), anche con piccoli aumenti di volume, che per mettano al palazzo di continuare a vivere, senza essere un puro reperto storico inutilizzabile. Il risanamento conservativo, per alcuni regolamenti edilizi (per esempio, quello di Bologna), può comprendere l’accorpamento di due appartamenti in uno e, più raramente, anche la suddivisione di uno in due (opera in genere considerata di ristrutturazione edilizia). Senza toccare l’involucro, può essere prevista anche la modifica dei muri portanti verticali, dei solai, delle scale o delle coperture. La ristrutturazione edilizia Va, in genere, dalla demolizione e dalla ricostruzione dell’edificio, senza aumento di volumi, alla trasformazione di superfici accessorie (come i sot totetti o gli scantinati) in superfici utili (come le abi tazioni). Vi sono compresi, in genere, i nuovi ascensori esterni all’edificio o le nuove scale (se non previsti nella manutenzione straordinaria). Tradizionalmente è ristrutturazione edilizia il mutamento d’uso di un immobile (per esempio, da ufficio ad abitazione), perlomeno se effettuato con opere edilizie. Le norme regionali stanno modificando però questa realtà: per esempio, in Lombardia, per la legge 15 gennaio 2001, n. 1 (poi inglobata nella legge 11 marzo 2005, n. 12) i normali cambiamenti d’uso vanno richiesti tramite gli stessi assensi previsti per le opere edilizie, che rientrano quasi tutti nella manutenzione straordinaria. Fanno eccezione solo le trasformazioni importanti (centri commerciali, impianti industriali).
Edilizia e urbanistica QUANDO È COMPRESA LA SOPRAELEVAZIONE Talvolta, la ristrutturazione edilizia include anche limitate sopraelevazioni di volume del palazzo (norme di attuazione di Firenze). In particolare, le norme lombarde e liguri con sentono di inquadrare in questa categoria anche l’innalzamento dei colmi, in caso di recupero dei sottotetLa ristrutturazione urbanistica Il Testo unico parla degli interventi “rivolti a sosti tuire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di inter venti edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale”. In questo caso, si parla anche di variazioni consistenti dei volumi degli edifici. Perché le opere siano possibili, non basta l’assenso generico del Comune: occorre che siano consen tite dal Piano regolatore generale o dalle sue varianti, attraverso i cosiddetti “Piani attuativi” (per esempio, il Piano di recupero, il Piano particolareggiato, il Programma di riqualificazione ecc.). Talvolta possono bastare certe “convenzioni” con cluse tra l’amministrazione comunale e il privato. Si tratta della categoria più “sdrucciolevole” delle opere di recupero edilizio, talora nemmeno riportata nei regolamenti perché sostituita nei fatti da norme più urbanistiche che strettamente edilizie, che possono variare da località a località. Ai fini pratici (tipi di assenso, contributi di costruzione), la ristrutturazione urbanistica è assimilata più alla nuova costruzione che agli altri interventi di recupero. uove costruzioni e ampliamenti Per le norme nazionali sono nuove costruzioni: - la costruzione di fabbricati, fuori terra o interrati, o l’ampliamento pertinenziale di quelli esistenti all‘esterna della loro sagoma per un volume superiore al 20%; - qualsiasi manufatto utilizzato come abitazione, ambiente di lavoro, deposito, magazzino e simile che non abbia un uso meramente temporaneo: in questo caso anche i prefabbricati non ancorati al suolo, le roulotte, i camper, le case mobili, le imbarcazioni; - qualsiasi infrastruttura, impianto, deposito di merci o di materiali all’aperto, che comporti la trasforma zione in via permanente di suolo inedificato; - gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune (per una spiegazione, vedi il capitolo sul contributo di costruzione); - l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazioni. Regole regionali Questo tipo di interpretazione è fatta propria anche dalle leggi regionali, con qualche precisazione. Per esempio, la Lombardia e l’Umbria chiariscono che anche gli ampliamenti pertinenziali sotto il 20% sono considerati nuove costruzioni qualora siano qualificati come tali dagli atti di pianificazione terri toriale e dai regolamenti edilizi, anche in relazione al pregio ambientale paesaggistico delle aree. La Toscana qualifica espressamente come nuove costruzioni anche le demolizioni e le ricostruzioni, qualora abbiano diversa collocazione
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sul terreno, rispetto alla precedente destinazione d’uso e artico lazione (cioè sagome e prospetti). Toscana e Umbria vi includono anche gli interventi di ristrutturazione urbanistica, che sostituiscono l’esistente tessuto urbanistico-edilizio,
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urbano o rurale, con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi. «Il Sole 24 Ore»
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SOPPALCHI INTERNI E TITOLI ABILITATIVI La Cassazione penale muta indirizzo sui titoli abilitativi per i soppalchi interni di icola D’Angelo
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na recente sentenza della Cassazione penale, la n. 2881 del 26.1.2007, ha riscritto le regole per i titoli abilitativi necessari per realizzare soppalchi interni ritenendo necessario, per tali opere, il permesso di costruire. Si tratta di una decisione di particolare rilievo assoggettando a sanzione penale l’esecuzione di tale tipologia di lavori in assenza o in difformità dal permesso. Oggetto della questione è la realizzazione di un soppalco interno che si configura allorché all’interno di un vano preesistente e lungo la sua altezza si realizza un piano intermedio orizzontale destinato a finalità non esclusivamente estetiche1. Ebbene, nel vigore della legge n. 47 del 1985, art. 26 e della legge n. 493 del 1993, art. 42, la giurisprudenza di merito e di legittimità era sostanzialmente concorde nel ritenere che, per la realizzazione di soppalchi interni a costruzioni preesistenti, non occorresse la concessione né l’autorizzazione edilizia, ma fosse sufficiente il procedimento di d.i.a., la cui mancanza, come noto, è sanzionata solo in via amministrativa. Tale indirizzo non era mutato neppure in occasione dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. dell’edilizia), tanto che in una sentenza del 2005 (Sez. 3 sent. n. 40829 del 10.11.2005)3 si era argomentato che la realizzazione di opere interne anche in base al testo unico deve ritenersi consentita, come avveniva nella legislazione previgente, previa mera denunzia di inizio dell’attività a condizione che non integri veri e propri interventi di ristrutturazione comportanti modifiche della sagoma o della destinazione d’uso “.. e ciò perchè in base all’attuale disciplina sono assentibili con la denuncia d’inizio lavori cosiddetta semplice, ossia quella prevista dal D.P.R. 380/2001, art. 22, commi 1 e 2 (...) tutti quegli interventi per i quali non è richiesto il permesso di costruire e per quello in questione tale permesso, alle condizioni sopra indicate, non è richiesto giacché, anche se è aumentata la superficie in concreto utilizzabile, non sono stati modificati volume e sagoma ...”. L’occasione di un ripensamento ha riguardato una vicenda giudiziaria nella quale veniva contestato agli imputati il fatto di aver eseguito, in assenza del permesso di costruire e di d.i.a., in una unità immobiliare preesistente di mq. 47, la realizzazione di un soppalco in muratura impostato a mt. 2,10 dal calpestio ed mt. 2,00 dalla copertura, collegato con l’ambiente sottostante a mezzo di una scala in muratura ed adibito a camera da letto. Il GIP dichiarava non doversi procedere per tale contravvenzione ritenendo “il fatto non previsto dalla legge come reato”. Secondo il giudice, nel caso di specie la realizzazione di soppalchi all’interno di un manufatto non richiedeva il permesso di costruire o la ed. Superdia (ossia la D.i.a. in alternativa al permesso di costruire), in quanto l’aumento di
superficie utile non si accompagnava alla modifica della sagoma o della volumetria del manufatto. Avverso tale sentenza proponeva ricorso in Cassazione il Procuratore della Repubblica. Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 6573 del 3 giugnc 1994, (Ud. 1 aprile 1994) - Rv 198061: rientra nel novero delle opere interne non soggette, secondo la previsione dell’art. 26 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, a concessione o ad autorizzazione e non integra pertanto, violazione della legge penale, la divisione in due dell’altezza di un vano, destinato all’esercizio della medesima attività commerciale, realizzata mediante struttura metallica ed assi di legno si da ricavare ur soppalco, in quanto tale manufatto non determina né un’alterazione dei volumi preesistenti né la costituzione di una nuova unità edilizia. Cass. pen., sez. 3, sentenza n. 4323 del 28 marze 1990, (Ud. 16 febbraio 1990) - Rv 183843: la costruzione (o ricostruzione) di un soppalco per ottenere una duplice utilizzazione del vano non è opera soggetta a concessione edilizia, in quanto non consiste nell’esecuzione di volumi edilizi abusivi e tanto meno di nuovi “organismi edilizi”, così come è previsto dall’art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47.
La Cassazione, dopo aver dato atto del suo precedente orientamento, operava un’attenta analisi della disciplina prevista per quell’intervento edilizio, ricostruendo l’istituto in maniera sistematica e giungendo a conclusioni diametralmente opposte alle precedenti. Storicamente, le cd. “opere interne”, nella normativa edilizia, sono state soggette ad un regime autonomo semplificato secondo le previsioni sia della legge n. 47 del 1985 (art. 26 modificato dalla 298 del 1985) sia della legge n. 662 del 1996 (art. 2, comma 60). Trattavasi di interventi edilizi che si collocavano trasversalmente rispetto a quelli di manutenzione, restauro e ristrutturazione, delineati dalla legge n. 457 del 1978, art. 31. La legge 23 dicembre 1996, - n. 662, art. 2, comma 60, lettera e) modificata dal d.l. n. 67 del 1997, convertito dalla legge n. 135 del 1997 assoggettava, in particolare, a denuncia di inizio dell’attività le “... opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A ... non modifichino la destinazione d’uso”. Opere siffatte non dovevano essere realizzate su immobili vincolati e dovevano essere conformi agli strumenti urbanistici, rispettando altresì le norme di sicurezza e quelle igienico-sanitarie degli edifici (onde l’illegittimità della realizzazione di vani di dimensioni insufficienti ad assicurare le prescritte condizioni di areazione ed illuminazione). Esse non dovevano, poi, recare pregiudizio alla statica dell’immobile, cioè all’equilibrio delle forze di azione e di reazione che si realizza all’interno delle
1. Vedasi: Nicola D’Angelo, Vigilanza, sanzioni e sanatorie in edilizia, ed. Maggioli, 2006. 2. Così come modificato dalla I. n. 662 del 1996, art. 2, comma 60. 3. La sentenza riguardava una vicenda in cui erano stati realizzati due soppalchi all’interno di una preesistente unità immobiliare, adibiti l’uno ad uso studio e l’altro a cameretta per i bambini.
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Edilizia e urbanistica strutture portanti di un manufatto e ne determina la stabilità. Nella formulazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 le opere interne non sono più previste come categoria autonoma di intervento sugli edifici esistenti e devono ritenersi riconducibili alla “ristrutturazione edilizia” allorquando comportino aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche del volumi, dei prospetti o delle superfici, ovvero mutamenti di destinazione d’uso. L’art. 3 comma 1, lettera d) del T.U. specifica che sono interventi di ristrutturazione edilizia quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. ell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. Per quanto attiene agli interventi sul preesistente occorre distinguere, secondo una scala decrescitiva, le seguenti tipologie di intervento: - ristrutturazione; sarà tale ogni qual volta l’intervento edilizio porti ad una trasformazione dell’immobile così da renderlo, in tutto o in parte, non più riferibile a quello preesistente; - restauro o risanamento conservativo; sussiste quando l’organismo viene mantenuto nella sua sostanziale interezza attraverso il consolidamento, il ripristino o il rinnovo di strutture esistenti, senza l’inserimento di elementi del tutto nuovi, ma soltanto accessori; - manutenzione straordinaria; un intervento ancora meno incisivo dei precedenti nel quale deve essere assente qualsiasi alterazione dei volumi, delle superfici e delle destinazioni di uso4. La ristrutturazione edilizia non è vincolata, pertanto, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d’uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l’assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d’uso “compatibili” con l’edificio conservato). In questo modo abbiamo individuato la categoria di riferimento (ristrutturazione edilizia) per gli interventi consistenti nella realizzazione di soppalchi interni; tuttavia, questo non risolve il problema dal momento che lo stesso legislatore configura due tipologie di ristrutturazione edilizia prevedendo titoli abilitativi differenziati:
n. 3-4/ 2007 - ristrutturazione ordinaria, da realizzare mediante d.i.a.; - ristrutturazione cd. pesante, da realizzare mediante permesso di costruire o superdia. Una ristrutturazione ordinaria ricorre in caso di realizzazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, ove l’intervento non comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso. In questi casi sarà sufficiente la mera denuncia inizio lavori. Negli altri casi, quando si determina una variazione anche di uno solo dei parametri sopra indicati, rientriamo nell’ambito della ristrutturazione (cd. pesante) per la quale viene richiesto il permesso di costruire. Il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha introdotto, in sostanza, uno sdoppiamento della categoria delle ristrutturazioni edilizie, riconducendo ad essa anche interventi che ammettono integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume. Tali incrementi, però, devono essere necessariamente modesti, poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’esistente (in termini di volume o di superficie), verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione”. Invero, secondo il t.u. 380/2001 art. 10, comma 1, lett. e), come modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002, sono assoggettati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia: - che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente; - che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici; -che si connettano a mutamenti di destinazione d’uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A). Nella fattispecie in esame si era realizzato un aumento di superficie e quindi, si verteva nell’ipotesi di ristrutturazione edilizia cd. pesante necessaria ad imporre il permesso di costruire o la cd. super D.i.a. In conclusione, l’esecuzione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizza un mutamento di destinazione d’uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio dell’attività, ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3. Detto intervento, infatti, comporta un incremento della superficie utile calpestabile che, a norma del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. e), impone l’applicazione del regime di alternatività indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume.
4. Vedasi: Nicola D’Angelo, Vigilanza, sanzioni e sanatorie in edilizia, sd. Maggioli, 2006.
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«L’ufficio tecnico»
Fisco
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L’AGENZIA DEL TERRITORIO DI COSENZA CONDANNATA PER COLPA GRAVE CON PAGAMENTO DI DANNI E SPESE AL RICORRENTE PER ERRATA VARIAZIONE DI INTESTAZIONE CATASTALE Una esemplare sentenza della Commissione Tributaria Provinciale Svolgimento del giudizio Con atto notificato all’Ufficio di Cosenza dell’Agenzia del Territorio, ha impugnato due atti di detto Ufficio: la soppressione della partita catastale a lui intestata corrispondente a porzione di terreno nel Comune di M. U., contraddistinta dal foglio 74 particella 251 mq. 50, disposta d’ufficio arbitrariamente ed a sua insaputa; il rigetto della richiesta di ripristino di detta partita catastale effettuata con atto di significazione e diffida, notificato in data 5 aprile 2007, ripetuta in ricorso. Ha invitato espressamente l’Ufficio ad esibire la documentazione da lui proveniente anteriore alla richiesta di eliminazione o di variazione della suddetta partita catastale. Il ricorrente ha dedotto che, con atto rogato dal notaio N. N. in data 26 gennaio 1983 rep. 5743/2995, registrato a Cosenza il 14-02-1983 al n° 1773, trascritto presso la Conservatoria dei registri immobiliari di Cosenza il 25-02-1983 sotto i numeri 4970 R.G. e 52281 RS., ha acquistato da … un magazzino con annessa pertinenza scoperta di mq. 260, riportata nel catasto terreni del Comune di M. U. al foglio di mappa 74 particelle 25/b (ora 251) di mq. 90 e particella n° 143 (ex 135/b) di mq. 170. Egli, con successivo atto rogato dal notaio L. G. del 13 maggio 1987 rep. n° 70510/19605, registrato a Cosenza l’01-06-1987 al n° 5395, trascritto il 22-05-1987 sotto i nn° 10522 RG. e n° 154116 RS., della pertinenza prima acquistata (mq. 260) ha venduto alla C. s.r.l. l’intera particella 143 del foglio 74 di mq. 170 ed una porzione, individuata con la particella 25/e, di mq. 40 derivante dalla particella 25/b. I predetti atti sono stati oggetto di regolare voltura ed è residuata la partita 2 foglio 74 ex particella 25/b mq. 50, variata nel NCT con la particella n° 251. Il ricorrente ha depositato due visure da cui risulta essere intestatario nel catasto terreni di M. U. della particella n° 251 del foglio 74 di mq. 50 la prima n° 544 del 3.5.1994 e la seconda n° CS 0067562 del 3.3.2005. Ha concluso chiedendo, in via d’urgenza, la sospensione della variazione impugnata e, in via definitiva, l’annullamento del provvedimento che ha eliminato la partita, la condanna dell’Ufficio alle spese di lite ed al riconoscimento dei danni da liquidarsi in separata sede nonché al danno per lite temeraria. La Commissione si è riunita in data 8.5.2007 per l’esame della domanda di sospensione. L’Ufficio non si è subito costituito e non ha controdedotto. La Commissione, ritenendo sussistere nella fattispecie i requisiti di legge, ha accolto la domanda preliminare ed ha emesso ordinanza di sospensione.
L’Ufficio si è, invece, costituito in data 26 giugno 2007 ed ha depositato le proprie controdeduzioni. Ha iniziato il suo racconto partendo da un arto notarile precedente a quelli riferiti dal ricorrente, ha confermato il contenuto dei due atti richiamati dal ricorrente, non ha contestato il contenuto delle due visure, accettandone sia la provenienza sia il contenuto. Ha riferito, però, che, in data 18-12-1985, il tecnico di fiducia di altra ditta ha presentato denuncia di cambiamento dello stato dei terreni (tipo mappale) al prot. 2255/85 accorpando per formare unico lotto urbano le particelle 138 (mq. 610), 142 (mq. 450), 25/b (mq. 90) e la particella 143 (mq. 170) ed ha costituito la particella 142 di mq. 1320. L’Ufficio ha aggiunto che il tecnico nella domanda non ha fatto alcuna menzione di eventuali atti di provenienza, non ha giustificato la mancata corrispondenza dell’intestazione catastale a quella della ditta dichiarante, che ha accolto e dato esecuzione alla domanda in data 21.6.2006. Ha precisato che, in sede di accettazione della domanda, ha fatto due riserve: la prima circa la non corrispondenza dei dati di intestazione e la seconda della non corrispondenza tra la superficie dichiarata mq. 1320 e quell‘accertata di mq. 1110. Ha evidenziato che l’operazione suddetta è avvenuta in osservanza di circolare ministeriale. Ha concluso che l’Ufficio non potesse rettificare la geometria rappresentata dal tecnico e che, se vi sono errori, dovranno essere redatti nuovi atti di aggiornamento, a cura delle parti. All’udienza fissata per l’esame del merito, la difesa del ricorrente ha rilevato l’intempestività del deposito della memoria ed ha chiesto che non sia esaminato il suo contenuto e che la Commissione non ne tenga conto per la decisione. All’udienza il ricorso è stato esaminato e discusso e la Commissione l’ha trattenuto in decisione. Motivazione Preliminarmente va esaminata la richiesta di omettere l’esame delle controdeduzioni, perché depositate fuori termine. Il rilievo è fondato ma irrilevante. L’art. 32 del D.Lg. 546/92 stabilisce che le memorie difensive vanno depositate fino a 10 giorni liberi prima della data di trattazione e l’Agenzia del Territorio ha depositato le proprie controdeduzioni in ritardo. È ininfluente perché le controdeduzioni ripetono fatti e considerazioni contenute in altro documento che ha fatto legittimo ingresso nel processo, precisamente la lettera n. 4378 di prot. del 16 aprile 2007 inviata dall’Ufficio del Territorio alla parte ed allegata dalla stessa alla propria memoria datata 7 maggio 2007. Il rilievo va disatteso.
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Fisco La Commissione premette che la vertenza in esame concerne l’intestazione catastale (art. 2,comma 2, del dlgs n. 546/1992) ed essa rientra nella propria giurisdizione. Nel merito il ricorrente ha fornito la prova che in data 03-03-2005 era intestatario di una partita nel catasto terreni del comune di M. U., contraddistinta dal foglio 74, particella 251 mq. 50 e che tale terreno appartiene a lui in forza di atto d’acquisto per notar N.N., regolamentante registrato e trascritto, e che detta consistenza, sempre di sua proprietà, è residuata a seguito del secondo atto per notar Gisonna, anch’esso registrato e trascritto. Ha fornito, con misura attestante la situazione degli atti effettuata in data 15.03.2007, la prova che la partita era stata eliminata e nella visura si legge “tipo mappale del 21-06-2006 n° 2255 1.9 /1885 in atti dal 21-06-2006. L’Ufficio ha riferito che l’eliminazione è avvenuta a seguito di denunzia di cambiamento dello stato dei terreni (tipo mappale) richiesto dal predetto tecnico, per conto di una ditta rappresentata, a scopo di formare un unico lotto urbano. Ha aggiunto che tale procedura è prevista da apposita circolare (non menzionata) e che esso si è attenuto alle istruzioni in essa contenute. Il ragionamento è illogico e capzioso. Anzitutto va premesso che la circolare con la quale l’Agenzia del Territorio (ex U.T.E.) interpreti una norma, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per i terzi e per il Giudice, non essendo atto di esercizio di potestà normativa (Cfr.Cass.sez.I. n.l 1931/1995; sez.Vn.l 1011/2003). L’Ufficio riconosce che esistono i rogiti N.N. e G.L. in forza dei quali è rimasto in legittima proprietà del ricorrente il quoziente di terreno mq. 50 e non contesta che tale dato risulta anche dagli atti catastali. L’eliminazione della partita, ai sensi dell’art. 12 del RD. 08-12- 1938 n. 2153, rubricato “catasto e registri immobiliari”, avrebbe dovuto avvenire sulla base di atti pubblici o di atti giudiziali o di scritture private con sottoscrizione autenticata da notaio od accertate giudizialmente. L’articolo così si esprime testualmente: “Le volture dipendenti da passaggi fra vivi non possono essere eseguite che sulla fede di atti pubblici, o di atti giudiziali, o di scritture private con sottoscrizioni autenticate da notaio o accertate giudizialmente”. Tali atti devono contenere tutti gli estremi per servire di base alla voltura, cioè: a)-individuale designazione delle persone intestate e di quelle da intestarsi in catasto; b) - descrizione dei beni immobili e dei diritti reali, che costituiscono l’oggetto della voltura, con l’indicazione dei dati coi quali sono rappresentati in catasto. Inoltre, l’art. 16, comma 2°, del sopra citato RD n. 2153/1938 prevede che “Per gli errori, imputabili agli uffici, la voltura di correzione deve essere eseguita d’ufficio, anche senza domanda delle parti, e senza pagamento di alcun diritto, sulla base di una nota di voltura compilata dall’ufficio tecnico erariale, la quale nota tiene luogo di domanda di voltura”. In merito la Commissione Tributaria Prov. di Matera con sentenza 13.12.1989 n. 849 ha statuito che “Nei casi in cui si verifichino errori,, anche se imputabili alle parti, nell’in-
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n. 3-4/ 2007 testazione della partita catastale, l’ufficio tecnico erariale è tenuto a procedere, eseguendo la ed. voltura di correzione, alla rettifica della intestazione della partita a norma dell’art. 16 comma 2 r.d. 8 dicembre 1938 n. 2153”. L’Ufficio ha affermato di avere eseguito la voltura secondo la denuncia di cambiamento di un privato e ciò costituisce evidente violazione della norma citata. Ma l’intera vicenda sottostante prospetta risvolti per nulla convincenti. Un privato, assistito da un tecnico da esso prescelto, presenta denuncia di cambiamento dello stato dei terreni e chiede l’accorpamento di più particelle in un unico lotto urbano in data 18-12-1985 e tale domanda non è stata esaminata ed accolta per oltre un ventennio. Evidentemente c’era qualcosa che non suggeriva di poterla accogliere. Ma l’Ufficio, è lo stesso a sottolinearlo nelle sue controdeduzioni, si accorge che alcune particelle da accorpare non sono intestate in catasto alla richiedente. Sarebbe stato logico attendersi, che, l’Ufficio, prima di accogliere la domanda, avesse chiesto alla ditta il titolo di trasferimento della proprietà. Si accorge ancora che la domanda contiene l’indicazione di mq. 1320, mentre corrispondono a quella ditta solo mq. 1060. L’Ufficio non ha eseguito nella sua interezza la voltura così come richiesta dal tecnico di parte richiedente con il tipo di mappale presentato, ma ha volturato quelle intestate alla ditta richiedente (particelle n. 138 e 142) nonché la sola particella n. 251 (mq. 50), intestata al ricorrente, escludendo dall’operazione le particelle 25/e (mq. 40) e 143 (mq. 170) intestate anch’esse ad un terzo, come terzo doveva e deve intendersi nella vicenda, anche, il ricorrente. Certamente sarebbe stato più logico, che, a fronte della presentazione di un atto di aggiornamento da parte del professionista - tra l’altro unico soggetto normativamente abilitato alla presentazione dell’atto medesimo - l’attività svolta dall’Ufficio fosse stata limitata a controllare l’esistenza delle condizioni di legge in modo che la variazione disposta avesse prodotto effetti sostanziali diretti soltanto nei confronti dei soggetti che avevano la titolarità di diritti reali sui beni interessati dalle variazioni e lasciando le altre intestate ai legittimi titolari. Improvvisamente nel 2006 l’Ufficio supera ogni indugio, accorpa ed intesta alla richiedente il tutto con riserva sia per l’intestazione sia per l’estensione. Nelle controdeduzioni, però, non spiega quali sono stati i motivi che l’hanno indotto a decidere in tal modo, violando in modo non giustificato l’art. 12 richiamato e ledendo i diritti soggettivi del terzo. Ha sostenuto che esso ha osservato le circolari ministeriali, ma non è possibile che dette circolari abbiano potuto autorizzare l’ufficio a violare la richiamata norma. Smentisce tale affermazione il contenuto del comma 8 dell’arti del D.M. 19.04.1994, n. 701, il quale statuisce che “I tipi di frazionamento o tipi mappali di cui al comma 4, ad eccezione di quelli finalizzati a procedimenti amministrativi iniziati d’ufficio, sono sottoscritti dai soggetti che hanno la titolarità di diritti reali sui beni interessati dalle variazioni e dal tecnico che li ha redatti”. Nel caso di specie l’unico titolare dei diritti reali è il ricorrente, il quale non ha sottoscritto alcuno degli elaborati cui l’ufficio fa riferimento. L’Ufficio, infatti, non è stato in grado di esibire documenti sottoscritti dal ricorrente.
n. 3-4/2007 A seguito del D.M. n. 701/1994, prima richiamato, il Ministero delle Finanze con una nota interna richiamava gli ex U.T.E. (oggi Agenzia del Territorio) a “ non eseguire frazionamenti e variazioni catastali senza il consenso di tutti gli interessati, ossia di tutti i soggetti titolari di diritti reali sui beni immobili coinvolti dal frazionamento o dalla variazione”. La ratio di tale disposizione appare ravvisabile nell’esigenza di garantire la correttezza e completezza dell’atto tecnico anche sotto il profilo civilistico e pubblicistico. Ancora il D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, art. 1,comma 3, stabilisce che le partite che individuano gli immobili urbani devono contenere fra l’altro “oltre agli elementi identificativi degli immobili, dei soggetti, e dei relativi diritti reali, anche gli estremi dei documenti che ne giustificano l’iscrizione...”, nella variazione in esame nessun documento attestante diritti reali è menzionato. Ancora una per tutte, la sentenza della Cassazione n. 7144 del 15 aprile 2004 in merito alla vertenza in esame così si esprime: “i dati” catastali debbono coincidere con la situazione dei soggetti titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale; perciò per procedere al frazionamento o alla variazione di dati catastali è necessaria, ai sensi dell’art.5 legge n.679/1969, l’istanza di tutte le parti interessate, ossia dei titolari dei diritti reali sui beni immobili in oggetto, quindi il giudice adito da uno degli interessati deve dichiarare la nullità di un frazionamento di una particella catastale eseguito senza il consenso della proprietà della particella stessa”. Anche in questo caso la Suprema Corte si richiama al consenso del titolare del diritto reale. Si può anche ritenere, come ha dedotto il ricorrente nell’atto introduttivo, che l’eliminazione sia frutto di un errore, che certamente non sarebbe stato di lieve entità, ma la protesta del ricorrente e l’intimazione formale a correggerlo imponevano che l’Ufficio riportasse a legalità l’intera vicenda, ripristinando la partita mantenuta legittimamente fino al
Fisco 2006 ed eliminata illegittimamente in epoca successiva. Imponeva tale obbligo la legge n° 241 del 1990. Neanche è fondata l’affermazione che la correzione incombe alle parti private. Era a ciò tenuto l’Ufficio che ha annullato la partita nonostante gli atti, dallo stesso conosciuti, attribuiscano al ricorrente la proprietà della particella n. 251. Il comportamento ingiustamente lesivo del diritto del ricorrente, tenuto dall’ufficio anche in sede giudiziale, importa la responsabilità aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c. per avere resistito in giudizio con colpa grave. per questi motivi La Commissione Tributaria di Cosenza accoglie il ricorso proposto da R. C. e, per l’effetto: a) accerta che l’Agenzia del Territorio di Cosenza ha eliminato arbitrariamente ed in violazione dell’art. 12 del RD. 8.12.1938 n° 2153 la seguente partita: “R.C. - Catasto terreni del Comune di M. U. foglio 74, particella 251 serri. arb. ha 00,50 RD 0,21 R A 0,06”; b) ordina all’Agenzia del Territorio di Cosenza di ripristinare immediatamente la partita descritta sub a); c) dichiara che l’intera vicenda è da addebitare a colpa dell’Agenzia del Territorio convenuto, che è diventata grave per non aver voluto attuare l’art. 16 di detto decreto e per avere pervicacemente resistito in giudizio; condanna l’Agenzia del Territorio di Cosenza al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente che liquida in complessive euro 1079,25 per spese ed onorari oltre I.V.A., C.A.P. ed altri oneri di legge; condanna l’agenzia delle Entrate a pagare al ricorrente la somma di E. 500,00 per danni da responsabilità ex art. 96 c.p.c. oltre i maggiori danni che dalla vicenda avesse subito da liquidarsi in sede civile. Dichiara la sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso a Cosenza addì 3 luglio 2007. Il Presidente-relatore
“l’unico lavoro che spetta a un bambino è giocare” unicef
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CATASTO A REDDITI E CATASTO A VALORI di Riccardo Roscelli* e Marco Simonotti** 1. Premessa Le seguenti argomentazioni, sulla necessità di determinazione dei redditi catastali in base ai fitti, appartengono a un genere speciale: ossia si tratta di argomentazioni a favore dell’evidenza. La questione della rilevazione dei redditi e dei prezzi di mercato nella stima catastale è pacifica nella letteratura estimativa, negli standard valutativi internazionali e negli standard catastali internazionali. L’art. 4 (che riguarda la riforma del sistema estimativo del catasto fabbricati) del disegno di legge governativo A.C. 1762 (“Delega al Governo per il riordino della normativa sulla tassazione dei redditi, sulla riscossione e accertamento dei tributi erariali, sul sistema estimativo del catasto fabbricati, nonché per la redazione di testi unici delle disposizioni sui tributi statali”) ignora nella sostanza tutta la materia. 2. Redditi contro valori Secondo la normativa il Catasto italiano è definito un “Catasto a redditi” perché già nella legge istitutiva del Catasto dei fabbricati del 1871 (R.D. 6.6.1871) si faceva riferimento al reddito imponibile, calcolato sulla base del reddito denunciato dai singoli contribuenti. Nel 1939 il Nuovo Catasto Edilizio Urbano (L 13.4.1939 n. 652) sostituiva la denuncia da parte dei possessori con l’accertamento del reddito imponibile, che era stimato attraverso un bilancio di esercizio, in modo simile a quello adottato per il Catasto dei terreni del 1886. distinguendo categorie e classi. Al momento di avviare la riforma degli estimi e le operazioni di decentramento con il disegno di legge 1762, che accompagna la Finanziaria 2007. si stabilisce la determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale, derivando da questa una base reddituale attraverso l’applicazione di saggi di redditività. In altre parole la riforma degli estimi è impostata su una radice patrimoniale. Il principale motivo della scelta patrimoniale appare la difficoltà di rilevazione dei fitti per l’attuale disciplina delle locazioni, che prevede contratti liberi e contratti regolamentati (agevolati, transitori, universitari). E ciò si deduce dal precedente costituito dall’ultima re visione degli estimi del 1990, nella quale in presenza di affitti regolati dalla legge dell’equo canone del 1978, il processo di revisione ha proceduto al calcolo degli estimi a partire dalle quotazioni immobiliari relative alle compravendite e alla loro trasformazione in redditi attraverso un saggio di fruttuosità. Il risultato pratico più evidente della revisione degli estimi è stato il notevole contenzioso generatosi e la divergenza tra i valori catastali e prezzi di mercato reali. Un sistema catastale efficiente dovrebbe fare riferimento sia ai redditi degli immobili per l’imposizione ordinaria, sia ai loro valori in sede di trasferimento (e, in effetti, il vigente d.p.r. 23.3.1998, n. 138 Governo on. Prodi, Ministro delle Finanze on. Visco - dispone la revisione generale degli estimi “facendo riferimento ai * Ordinario di Estimo al Politecnico di Torino ** Ordinario di Estimo all’Università di Palermo
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valori e ai redditi medi espressi dal mercato immobiliare”). Un siste ma catastale moderno deve essere pro gettato per durare a lungo e deve essere affrancato dai cicli del mercato immobiliare e dalle vicende congiunturali. Un sistema catastale moderno andrebbe concepito in una prospettiva di medio-lungo periodo, nel quale può variare la normativa sulle locazioni anche nella direzione di una loro liberalizzazione ma non può venire meno la stima dei redditi degli immobili. Le grandezze da stimare (redditi e valori) dipendono infatti dal sistema dei rapporti economico-sociali e dal quadro impositivo, e non viceversa come invece prospetta il Catasto patrimoniale. Se la giustificazione a favore del Cata sto patrimoniale è la maggiore incidenza del mercato delle compravendite rispetto a quello delle locazioni, va osservato che, in ogni caso, un mercato degli affitti esiste e che, per quanto articolato e complesso, può essere oggetto di rilevazioni e di stime. Se l’acquisizione dei dati può apparire particolarmente complessa, è anche vero che si possono utilizzare strumenti analitici e informatici in grado di ridurre l’onere delle rilevazioni e delle elaborazioni: onere che se confrontato al risultato di giustizia fiscale appare in ogni caso appropriato. È un fatto incontrovertibile nell’economia immobiliare che il mercato degli affitti differisce significativamente da quello delle compravendite, e pur esistendo tra i due mercati una correlazione la loro analisi deve essere necessariamente distinta. 3. Saggi di fruttuosità Il peggiore difetto di un Catasto basato esclusivamente sui valori patrimoniali è il calcolo dei redditi ottenuto applicando surrettiziamente ai valori patrimoniali i saggi di fruttuosità. La revisione degli estimi del 1990 fissava i saggi di fruttuosità costanti per tutto il patrimonio immobiliare nazionale, in modo aprioristico e a livello centrale. Come si è detto, questo modo di procedere ha generato un contenzioso durato un decennio. La stessa amministrazione catastale, riconoscendo implicitamente l’assurda semplificazione del saggio unico attraverso la quale ha dovuto gestire il lungo contenzioso più sopra ricordato, non avrà altra strada che quella di proporre una serie di saggi di fruttuosità disag gregati per microzona catastale. È da osservare a questo proposito che la microzona comprende una realtà immobiliare assai diversificata (con microzone comprendenti 50.000 abitanti) nella quale i saggi di fruttuosità variano immobile per immobile, al variare del fitto e del prezzo di mercato degli immobili. Il saggio di fruttuosità reale infatti è espressione del rapporto tra il fitto e il prezzo dell’immobile. Come si stima il saggio di fruttuosità unico per microzona senza ricorrere alla rilevazione dei fitti e dei prezzi? C’è un solo modo: in base ad investimenti concorrenti e simili (per rischio e durata) rilevati sul mercato mo biliare (BOT, CCT, ecc.) e apportando un primo adattamento per tenere conto che questi ultimi non sono saggi di investi-
n. 3-4/2007 menti immobiliari. Un secondo adattamento è necessario per spalmare il saggio nazionale nelle diverse microzone locali, uno per microzona. Quest’ultimo adattamento è ancora più arbitrario del primo, e nessun analista finanziario oserebbe cimentarsi nell’indicare lo spread. Di conseguenza i saggi di fruttuosità saranno fissati convenzionalmente a livello centrale, con possibilità di disaggregazione a livello locale entro un certo campo di variazione stabilito-per legge. È del tutto evidente che gli adattamenti non possono mai raggiungere il livello di dettaglio e di esattezza dei redditi catastali determinati direttamente. Fin dalla fondazione, il Catasto italiano è definito un Catasto a redditi perché si basa sulla stima del reddito degli im mobili anziché del loro valore. Al momento della formazione del Catasto urbano, per gran parte del patrimonio edilizio ad uso abitativo, la tariffa di estimo è stata stimata sui fitti rilevati per immobili realmente esistenti, detti immobili tipo. Più esattamente la legge del 1939 prevedeva il calcolo del reddito dell’immobile tipo con due modalità: la prima era basata sul canone di affitto laddove era possibile rilevarlo e, perle unità immobiliari per le quali mancava o era eccezionale la cessione in affitto, la seconda modalità considerava l’interesse sul capitale. Questa eccezione confermava la regola. Nella revisione degli estimi del1990 si ritenne insormontabile la difficoltà di rilevare i fitti di mercato in presenza di valori fissati per legge attraverso il cosiddetto equo canone. Cosi l’amministrazione catastale per calcolare la tariffa di estimo segui unicamente la seconda modalità, che considerava l’interesse sul capitale, in modo generale per tutto il patrimonio edilizio ad uso abitativo. Di conseguenza la prima modalità basata sul canone di affitto veniva del tutto abbandonata, anche per gli im mobili che potevano essere ceduti in affitto sul libero mercato. Una conseguenza metodologica paradossale della revisione degli estimi dei fabbricati si riscontra nel calcolo del valore catastale che si ottiene moltiplicando il reddito per un coefficiente di conversione, pari all’inverso (circa) del saggio di fruttuosità, ossia percorrendo all’indietro la stessa strada della revisione. 4. Disparità valutative Il “Catasto a valori” (contrapposto al Catasto a redditi) calcola la tariffa di estimo degli immobili a destinazione ordinaria (abitazioni, uffici, negozi, ecc.) con i saggi di fruttuosità, mentre la rendita catastale degli immobili a destinazione speciale (fabbricati industriali, laboratori, ecc.) e a destinazione particolare (edicole per giornali, ecc.) si calcola con la stima diretta. La stima diretta non necessita di alcuna unità di consistenza immobiliare e non sottostà alla regola del saggio di fruttuosità. La stima diretta ammette tutti i metodi di valutazione offerti dalla metodologia estimativa, quindi si può svolgere in base agli affitti corrisposti per immobili simili a quello da stimare, anzi questo è il metodo più probante. In alternativa si può ricorrere a un bilancio introducendo nelle attività la produzione annuale (ad esempio artiginale) e nelle passività i costi di produzione (con esclusione della rendita dell’immobile). Se si desse corso al Catasto a valori per gli immobi li a destinazione ordinaria si sarebbe in pratica dinnanzi a una disparità di trattamento tra questi immobili, per i quali si applicano i saggi di fruttuosità ai valori patrimoniali, e tutti gli altri immobili a destinazione speciale e particolare
Fisco che vengono stimati direttamente, per i quali si ricerca il reddito catastale nel mercato. Va osservato inoltre che la ricerca del reddito è necessaria per stimare il valore degli immobili a destinazione speciale e particolare, attraverso la capitalizzazione, quando non sono disponibili i prezzi di compravendita, come spesso avviene per gli immobili strumentali che generalmente non si contrattano separatamente dal com plesso aziendale. Si assiste così a un doppio paradosso. Gli immobili a destinazione ordinaria (magazzini, depositi, posti auto, ecc.), per i quali l’affitto è libero e l’importo del canone riportato negli atti è generalmente verosimile trattandosi di imprese, devono essere stimati a partire dal loro valore patrimoniale; mentre per gli immobili a destinazione speciale e particolare, che in genere non hanno un mercato indipendente cui corrisponda un prezzo di vendita, possono essere stimati con il reddito. Va notato per inciso che se questi ulti mi immobili dovessero essere stimati attraverso i saggi di fruttuosità, si porrebbe un problema metodologico praticamente irresolubile, perché occorrerebbe separare la fruttuosità individuale del particolare immobile dal contesto aziendale, a sua volta diversificato da impresa a impresa. Si sostiene che le difficoltà della rilevazione e della ricerca del reddito impongono il ripiego nel Catasto a valori, per il quale invece sono disponibili i prezzi degli immobili. Lo stesso problema si pone in modo aggravato per la stima del reddito dei terreni agricoli per il Catasto dei terreni. Occorre innanzi tutto premettere: che gli immobili agricoli sono immobili come quelli urbani e edilizi, in modo evidente ad esempio nel continuum tra i terreni agricoli e le aree edificabili periferiche; e che i metodi di stima dei terreni agricoli sono gli stessi degli immobili urbani. Molti terreni agricoli in aree marginali presentano un reddito fondiario negativo, nel senso che le spese aziendali superano la produzione in tale misura da non assicurare alcuna remunerazione della terra e degli altri investimenti fondiari (pozzi, silos, ecc.). Nonostante ciò il valore dei terreni è positivo nel mercato delle compravendite. Qui per conoscere il reddito catastale (reddito dominicale) la fissazione del saggio di fruttuosità appare un controsenso perché si tratte rebbe di un saggio negativo, la misura del saggio inoltre sarebbe assolutamente arbitraria. Nel Catasto a valori quale procedura s’intende seguire per gli immobili agricoli. Appare incongruo che la legge delega citata fornisca indicazione per la riforma del sistema estimativo del Catasto fabbricati e non anche per il Catasto dei terreni, ponendo un problema di evidente disparità di approccio metodologico, oltre che di trattamento dei singoli proprietari. 5. Prospettive (e presagi) Nella logica del Catasto a valori è da escludere la possibilità di calcolare i saggi di fruttuosità sui fitti e sui prezzi degli immobili: primo, perché al momento stesso in cui si rilevano i fitti risulta superfluo calcolare i saggi, introducendo cosi altre cause di errore; secondo, perché la stima arbitraria dei saggi di fruttuosità è volta a semplificare le operazioni catastali e a ridurne i costi. Se questa è la filosofia del Cata sto a valori tanto vale procedere come nel Catasto napoletano della prima me tà del Settecento dove ai proprietari spettava l’autodenuncia dell’immobile posseduto pena la confisca:
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Fisco un’operazione nella peggiore delle ipotesi a costo nullo e nella migliore delle ipotesi con un guadagno per l’erario. L’idea dell’autodenuncia a carico del proprietario (senza confisca) è aleggiata nelle stanze catastali come strumento per risolvere l’arretrato. Si è detto che nei fatti la revisione degli estimi del 1990, basata sui valori patrimoniali, ha generato un annoso contenzioso; ora occorre riferire della serie interminabile di aggiustamenti che ha comportato sul sistema catastale esistente. Tra questi aggiustamenti vanno ricordati: - l’operazione di misura degli immobili, consistita nella costruzione di coefficienti di conversione dei vani catastali in metri quadrati, perché mentre le quotazioni degli immobili residenziali si presentavano riferite al metro quadrato, la tariffa era riferita al vano catastale; i coefficienti di conversione erano stabiliti a tavolino; - la creazione delle microzone, imposta dal fatto che occorreva inquadrare le quotazioni immobiliari nelle mappe catastali; questo ha generato un contenzioso a parte e sperequazioni tra i Comuni ricorrenti e i Comuni acquiescenti; - la distorsione dei saggi di fruttuosità che oggi sono diversi ai fini dell’imposta comunale sugli immobili rispetto all’imposta di registro; - le attuali operazioni di riclassamento e di integrazione di nuove classi catastali previste dalla legge finanziaria del 2004. Nella letteratura estimativa internazionale non esistono
n. 3-4/ 2007 argomentazioni a favore del Catasto a valori contrapposto al Catasto a redditi (e viceversa), semplicemente perché la stima dei redditi e dei valori è parimenti necessaria e deve essere svolta nelle migliori condizioni, che sono quelle della rilevazione di entrambi i dati di mercato (fitti e prezzi). I Catasti moderni provvedono alla stima del reddito e del valore in modo separato e secondo le metodologie di valutazione internazionali [Uniform Standards of Professional Appraisal Practice; Standard 6 (USPAP); International Va-luation Standards: Mass appraisal of real property (IVS); International Association ofAssessing Officers (IAAO)]. La questione del reddito e del valore è quindi pacifica. Il problema dell’amministrazione catastale italiana, legato alle limitazioni di budget, di personale e di tempo, non si risolve tagliando la sti ma del reddito ma migliorando l’orga nizzazione e l’impiego di strumenti tecnologici e di procedure informatiche. In un normale sistema fiscale è considerato naturale rilevare i fitti per cono scere il reddito e rilevare i prezzi per conoscere il valore. All’estero le questioni sollevate dal Catasto a valori apparirebbero insensate e oziose, perché sembrerebbe impossibile rinunciare a rilevare il reddito per potervi giungere poi con un arzigogolo approssimativo quale quello dei saggi di fruttuosità, se i fitti esistono e sono disponibili. Il fatto che alcuni fitti sono pattuiti anziché liberi non rappresenta un problema se si mira all’equità fiscale. «Geometri notizie»
Serrastretta (CZ) “Durante la pigiatura: La tinozza = a tīna, poggia su u vàηku. Il mosto scorre nel pentolone di rame =‘a stanāta (“di rame, stagnata”) (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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Fisco
n. 3-4/2007
LA FISCALITÀ DEI FABBRICATI IN AGRICOLTURA di Guido Molineris
L
e caratteristiche attuali affinché un fabbricato abitativo, ai fini fiscali, possieda le caratteristiche di “ruralità” sono stabilite dall’articolo 9, comma 3, del D.l. 30.12.1993 n. 557 convertito, con modificazioni, in Legge 26.2.1994 n. 133, poi sostituito dall’articolo 2 del DPR 23.3.1998 n. 139 (che ha aggiunto il comma 3-bis relativo alle costruzioni strumentali), e - in ultimo - integrato dalla Legge 24.11.2006 n. 286 (di conversione del D.l. 3.10.2006 n. 262); sono quindi sostanzialmente due le norme che regolano la ruralità dei fabbricati: il comma 3 dell’art. 9 della Legge 133/1994 per i fabbricati abitativi e il comma 3-bis della medesima disposizione di legge per le costruzioni strumentali all’attività agricola. [...] «3. Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni: […]; Prima di verificare quali sono le condizioni necessarie per definire un fabbricato abitativo “rurale” occorre evidenziare che le citate disposizioni di legge disciplinano il [...3...] ricono scimento della ruralità degli immobili agli ef fetti fiscali, [...], ciò significa che le condizioni non operano per altri scopi (ad esempio norme urbanistiche) diversi da quelli fiscali, e si ritiene che per [...3...] effetti fiscali [...] si intendano tutte le imposizioni fiscali (dirette e indirette) che possono colpire un fabbricato abitativo rurale; quindi se un fabbricato abitativo possiede le caratteristiche di ruralità tale fabbricato abitativo è rurale a tutti gli effetti fiscali, che si tratti d’imposta di registro (con annesse imposte ipotecaria e catatastale), o dell’Iva, o dell’imposta di successione/donazione, o dell’Ici, o dell’Irpef, ecc. ecc. La legge dispone che i fabbricati possono essere [...3...] fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa [...], ma con un’uti lizzazione ben precisa: [...3...] edilizia abitativa [...]; si ritiene che la locuzione [...3...] fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa [...] comprenda anche le classiche pertinenze dell’abitazione (cantina, solaio, au torimessa, tettoia, ecc.) che già altre norme di legge (ad esempio le agevolazioni fiscali per la cosiddetta “prima casa”) considerano a servizio della casa di abitazione. La legge precisa poi che i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad abitazione, che possono essere considerati rurali, [...3...] devono soddisfare le seguenti condizioni: [...]: il dispositivo prevede quindi espressamente che tutte le condizioni poi elencante devono essere soddisfatte, non è sufficiente che una o la maggior parte delle condizioni siano rispettate, è necessario il soddisfacimento integrale di tutte “le condizioni per poter definire un fabbricato abitativo “rurale”. [...3...] a) il fabbricato deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito sempreché tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese di
cui all’art. 8 della Legge 29.12.1993, n. 580, o dai famigliari conviventi a loro carico risultanti dalle certificazioni anagrafiche o da soggetti titolari di trattamen ti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura o da coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali; [...]. La prima condizione posta dalla legge è che il fabbricato abitativo deve essere posseduto: - dal soggetto titolare del diritto di proprietà sul terreno; o - dal soggetto titolare di altro diritto reale sul terreno; o - dal soggetto affittuario del terreno; o - dal soggetto che ad altro titolo conduce il terreno; quindi il fabbricato abitativo dev’essere posseduto (occupato) dal proprietario del terreno, o dal titolare di un altro diritto reale (usufruttuario) sul terreno, o dall’affittuario del terreno o da altro soggetto che in base a diverso titolo conduce il terreno, ma in forza del dispositivo aggiunto dal comma 37 dell’art. 2 della Legge 24.11.2006 n. 286 di conversione del D.l. 3.10.2006 n. 262, a condizione (e questa è un’altra condizione) che tali soggetti rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della Legge 29.12.1993 n. 580. Il Registro delle Imprese, previsto all’art. 2188 del Codice Civile, è stato disciplinato dall’art. 8 della Legge 29.12.1993 n. 580 (come modificato dagli artt. 2 e 15 del DPR 14.12.1999 n. 558), ed in detto registro delle imprese - tenuto presso le Camere di Commercio - sono iscritti, in una sezione speciale, gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 c.c. (questo articolo stabilisce che è piccolo imprenditore - fra l’altro - il coltivatore diretto del fondo che esercita l’attività prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia) e le società semplici (destinate all’esercizio dell’attività agricola) di cui all’art. 2251 c.c., nonché le persone fisiche, le società ed i consorzi iscritti negli Albi di cui alla Legge 8.8.1985 n. 443; una precisazione: mentre la disposizione di legge appena indicata prevede l’iscrizione dei piccoli imprenditori nel registro delle imprese, l’articolo 2202 del c.c. prevede invece che i piccoli imprenditori non sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese, quindi le due norme sono in contrasto. La qualifica di “imprenditore agricolo” è desumibile dall’art. 2135 del Codice Civile nella nuova formulazione statuita dall’art. 1 del D.Lgs. 18.5.2001 n. 228; è imprenditore agri colo colui che esercita la coltivazione del fon do, la silvicoltura, l’allevamento di animali e le attività connesse; per attività connesse si intendono la manipolazione, conservazione, tra sformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione o dall’allevamento, nonché la fornitura di beni e servizi mediante l’utilizzazione di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese le attività di
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Fisco va lorizzazione del patrimonio rurale e forestale e le attività di ricezione e ospitalità (agrituri smo); nella nozione di imprenditore agricolo sono comprese anche le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi, quando, per lo svolgimento dell’attività di cui all’art. 2135 c.c., utilizzano prevalentemente prodotti dei soci (art. 1, comma 2, D.Lgs. 18.5.2001). Il D.Lgs. 29.3.2004 n. 99, con le modifiche poi apportate dal D.Lgs. 27.5.2005 n. 101, ha introdotto all’art. 1 la figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP) precisando (al comma 4) che qualunque riferimento nell’applicazione della legislazione statale vigente all’imprenditore agricolo a titolo principale si intende riferito alla definizione di cui al medesimo articolo; l’imprenditore agricolo professio nale è il soggetto che è in possesso dei requisi ti professionali previsti dall’art. 5 del Regolamento CEE 17.5.1999 n. 1257 (in cui si preve de che il sostegno agli investimenti viene con cesso all’azienda agricola che dimostra redditi vità, che rispetta i requisiti minimi in materia di ambiente, igiene e benessere degli animali ed il cui imprenditore possieda conoscenze e competenze professionali adeguate), che dedica alle attività previste dall’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse) almeno il 50°/o del proprio tempo lavorativo e che ricava dalle predette attività almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro (da questo reddito globale sono escluse pensioni, indennità ecc.), oppure almeno il 25% del proprio reddito glo bale se opera in aree svantaggiate (zone montane e altre zone svantaggiate); anche le società di persone, di capitali o cooperative possono essere considerate IAP qualora nello statuto societario sia previsto l’esercizio delle attività previste dall’art. 2135 c.c., nelle società di persone occorre che almeno un socio sia in pos sesso dei requisiti IAP, nelle società di capitali e nelle cooperative è necessario che almeno un amministratore, che sia anche socio per le società cooperative, possieda i requisiti IAP, con la precisazione che la qualifica di IAP può essere apportata dall’amministratore ad una sola società. Ritornando al testo della Legge 133/1994 [...3... a)...] il fabbricato de v’essere posseduto dal sog getto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno, ovvero dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che ad altro ti tolo conduce il terreno cui l’immobile è asservito [...] oc corre evidenziare che il dis positivo si riferisce al pro prietario, o al titolare di un altro diritto reale, o all’affittuario o a quel soggetto che conduce in forza di altro titolo, ma per tutti il riferimento non è il fabbricato abitativo ma il terreno a cui il fabbricato abitativo è asservito; nella maggioranza dei casi il fabbricato abitativo e il terreno asservito sono della stessa proprietà, ma esistono sicuramente numerose situazioni in cui le proprietà del fabbricato abitativo e del terreno asservito sono diverse. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13677 del 24.6.2005 (in materia di Ici), ha stabilito che «l’art. 9 comma 3 del D.l. 30.12.1993 n. 557 convertito, con modificazioni, in Legge 26.2.1994 n. 133, poi sostituito dall’art. 2 del DPR 23.3.1998 n. 139, nel fissare le condizio ni per il riconoscimento della ruralità degli immobili destinati ad edilizia abitativa, prescinde dall’appartenenza ad unico proprietario del terreno e del fabbricato “asservito”, ritenendo sufficiente
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n. 3-4/ 2007 [(lettera a) dell’art. 9 comma 3)], con le ulteriori implicazioni di cui alla lettera b), la titolarità di “altro diritto reale sul terreno”, “di affittuario del terreno stesso”, o, più ampiamente, la conduzione “ad altro titolo” del terreno cui il fabbricato è asservito. Conseguentemente ai sensi della recente disciplina non è più necessario il concorso dei titoli di proprietà del terreno e del fabbricato asservito in capo al medesimo soggetto, essendo suffi ciente la conduzione a qualunque titolo del terreno cui il fabbricato è asservito». Ancora la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 18853 del 27.9.2005 (in materia di Ici) statuisce che «per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali, i fabbricati, nel vigore delle nuove disposizioni, devono rispondere alle condizioni soggettive ed oggettive delineate dall’art. 9, commi terzo e quarto, del citato D.l. 557/1993, ivi compresa quella delle identità soggettiva tra il possessore (e non il proprietario) del fabbricato da un lato, e il titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno oppure il conduttore del terreno medesimo dall’altro lato». Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 1330 del 21.01.2005, stabilisce che «il carattere rurale dei fabbricati, che va stabilito alla stregua della disciplina del catasto in materia, mentre può essere riconosciuto (in presenza degli altri requisiti) so lo se i fabbricati stessi appar tengono allo stesso proprie tario del terreno secondo gli artt. 38 e 39 del DPR 1.12.1949 n. 1142 in vigore sino al 30.12.1993, a partire da quest’ultima data, in base all’art. 9 comma terzo lettera a) del D.l. 30.12.1993 n. 557 convertito con modificazioni in Legge 26.2.1994 n. 133, può invece essere riconosciu to (in presenza delle altre condizioni) anche in difetto del requisito dell’identità proprietaria fra terreno e fabbricati» (la sentenza riguarda la fattispecie di fabbricati appartenenti ai soci di una cooperativa agricola mentre il terreno è di pro prietà della cooperativa); quindi per la Corte di Cassazione dal 30.12.1993 (data l’entrata in vi gore del D.l. 557/1993 convertito in Legge 133/1994) il carattere di ruralità di un fabbri cato abitativo può essere riconosciuto ai fini fiscali, sussistendo tutti gli altri requisiti, anche se la proprietà del fabbricato abitativo è diversa dalla proprietà del terreno cui il fabbricato abitativo è asservito. Occorre tuttavia citare una sentenza che va in senso parzialmente contrario, la sentenza n. 18854 del 27.9.2005 della Corte di Cassazione (in materia di Ici), in base alla quale devono essere assoggettati all’Ici i fabbricati (in questo caso non abitativi ma strumentali) di proprietà di una società cooperativa agricola, dotata di personalità giuridica autonoma di stinta dai singoli soci, quando manchino l’identità della titolarità dei fabbricati (di proprietà della cooperativa) rispetto al terreno (di proprietà dei singoli soci) e manchi il carattere di strumentanle dei fabbricati rispetto all’attività agricola svolta sul terreno. Oltre ai soggetti precedentemente indicati (titolare del diritto di proprietà o altro diritto reale, affittuario o tito lare di altro diritto sul terreno) la Legge 133/1994 prevede che altri soggetti hanno la facoltà di “possedere” il fabbricato abitativo, e precisamente [...3... a)...], o dai famigliari conviventi a loro carico risultanti dalle certificazioni anagrafiche o da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura o da coadiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali; [...]. Quindi il fabbricato abitativo può essere posse duto dai
n. 3-4/2007 familiari conviventi di ciascuno dei primi soggetti (ed a loro carico), oppure posse duto da un soggetto titolare di trattamento pensionistico corrisposto a seguito di attività svolta in agricoltura, oppure posseduto da co adiuvanti iscritti come tali ai fini previdenziali. Una recente sentenza della Commissione Tri butaria del Lazio in materia di Ici, la n. 180 del 22.2.2006, ha stabilito che è dovuta l’esenzio ne dal pagamento dell’Ici per un fabbricato abitativo avente le caratteristiche di cui alla legge qui trattata (la n. 133/1994), anche in mancanza di partita Iva, in presenza di requisito di pensionato per l’attività svolta in agricoltura. Con la frase [...3... a...] il fabbricato deve essere posseduto [...] si ritiene che il legislatore abbia inteso l’occupazione del fabbricato abitati vo, da parte dei soggetti abilitati, nel senso più ampio del termine “posseduto”; con la sentenza n. 9141 del 3.5.2005 (in materia di Ici) la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un soggetto al quale i giudici della Commissione Tributaria Regionale avevano invece negato la ruralità ad un fabbricato abitativo (di proprietà del ricorrente) adottando un’interpretazione restrittiva del concetto di “possesso” (il fabbri cato abitativo era occupato dalla madre del ricorrente e quindi per i giudici della Commissione Tributaria Regionale il ricorrente non ne era in possesso), mentre per la Suprema Corte il dispositivo di legge si adatta a un’interpretazione estensiva del concetto di “possesso” comprendente anche la detenzione, giungendo a stabilire che nel caso trattato - il ricorrente comunque conservasse il possesso del fab bricato abitativo, anche per il tramite della madre che era ivi ospitata, ai sensi del comma 2 dell’art. 1140 c.c. (altra sentenza di uguale te nore la n. 5019 del 8.3.2005). L’appena citato comma 2 dell’art. 1140 c.c. indicato dalla Cassazione è del seguente tenore: «si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona che ha la detenzione della cosa». Possesso e detenzione sono accomunati dalla “cosa”, ma la distinzione fondamentale fra il possesso e la detenzione consiste nel fatto che il detentore tiene materialmente la cosa, rico noscendo tuttavia che il possesso spetta a un altro soggetto, in pratica il detentore non svi luppa quell’animus possidenti che viene giuri dicamente individuato quale base del possesso. La Legge 133/1994 prosegue stabilendo che [...3...] b) l’immobile dev’essere utilizzato quale abitazione dai soggetti di cui alla lettera a), sulla base di un titolo idoneo, ovvero da dipendenti esercitanti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative su periore a cento, assunti nel rispetto della nor mativa in materia di collocamento ovvero dalle persone addette all’attività di alpeggio in zone di montagna; [...]. Il fabbricato abitativo, posseduto dai soprain dicati soggetti elencati alla lettera a) del com ma 3 art. 9 Legge 133/1994, dev’essere utilizzato dagli stessi quale abitazione sulla base di un titolo idoneo (atto pubblico o scrittura pri vata a firme autenticate in caso di proprietà, contratto di locazione in caso di affitto, o altri tipi di contratti agrari), oppure può essere uti lizzato, sempre quale abitazione, da altri soggetti che la legge individua in dipendenti esercitanti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti nel rispetto della normativa in
Fisco materia di collocamento ovvero dalle persone addette all’attività di alpeggio in zone di mon tagna; si presume che anche per questi soggetti l’utilizzazione ad uso abitativo del fabbricato debba essere disciplinata da un idoneo titolo (contratto di locazione o contratto di lavoro che prevede la concessione dell’alloggio) come per gli altri soggetti, quand’anche la sopra ri portata disposizione di legge indichi la neces sità di un titolo idoneo solo riferendosi ai soggetti di cui alla lettera a) del comma 3 art. 9 Legge 133/1994. [...3...] d) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in Comune considerato montano ai sensi della citata Legge n. 97 del 1994, il volume d’affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risulta re superiore a un quarto del suo reddito complessivo, determinato secondo la disposizione del periodo precedente. Il volume d’affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’Iva si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’art. 34 del Decreto del Presidente della Repubblica 26.10.1972 n. 633; [...]. Questa ulteriore condizione soggettiva prevede che il volume d’affari derivante dall’attività agricola del soggetto che conduce il fondo (e per fondo si intende il terreno perché prima e dopo la norma di legge indica sempre il terre no) deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo (esclusi trattamenti pen sionistici) oppure superiore a un quarto del suo reddito complessivo (sempre esclusi tratta menti pensionistici) qualora il terreno sia ubicato in Comune montano; questa condizione “reddituale” è molto simile a quella dell’Im prenditore Agricolo Professionale (IAP) che deve dedicare alle attività previste dall’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse) almeno il 50% del proprio tempo lavorativo (condizione questa che non è prevista al comma 3 art. 9 Legge 133/1994) e che ricava dalla predette attività almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro (da questo reddito globale sono escluse pensioni, indennità, ecc.), oppure almeno il 25% del proprio reddito globale se opera in aree svantaggiate (zone montane e altre zone svantaggiate); si potrebbe sindacare sul fat to che la norma della Legge 133/1994 prevede che il volume d’affari derivante dall’attività agricola [...3... d)...] deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, [...] o, per terreno ubicato in Comune montano, [...3... d)...] deve risultare superiore a un quarto del suo reddito complessivo, [...], mentre la legge istitutiva dello IAP prevede che il medesimo IAP deve ricavare dalle attività di cui all’art. 2135 c.c. (attività agricola) almeno il 50% del proprio reddito globale di lavoro (o almeno il 25% per zone montane e disagiate), per cui, in virtù dell’interpretazione letterale delle due disposizioni di legge, in base alla prima norma il soggetto dovrebbe ricavare dall’attività agri cola oltre la metà (oppure oltre un quarto) del reddito complessivo mentre in base alla secon da norma lo IAP potrebbe ricavare dall’attività agricola esattamente la metà (o esattamente un quarto) del reddito complessivo; ma, a par te l’improbabilità che si creino situazioni contenziose in merito, si ritiene che la norma istitutrice dello IAP prevalga rispetto
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Fisco a quella della Legge 133/1994 proprio in forza del fatto, già precedentemente accennato, che il D.Lgs. 29.3.2004 n. 99 all’art. 1 (Imprenditore Agricolo Professionale) comma 1 stabilisce che le caratteristiche dello IAP sono definite «ai fini dell’applicazione della normativa statale», e il comma 4 stabilisce che «qualunque riferimento della legislazione vigente all’imprenditore agricolo a titolo principale si intende riferito alla definizione di cui al presente articolo»; inoltre la norma istitutrice dello IAP è più favorevole rispetto a quella della Legge 133/1994 in quanto mentre quest’ultima riduce la percentuale di reddito derivante da attività agricola per i soli terreni ubicati in Comuni montani, la legge istitutrice dello IAP estende tale facoltà, oltre alle aree montane, a zone svantaggiate (articolo 19 del citato Regolamento CEE del 17.5.1999 n. 1257) e altre zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici (art. 20 dei citato Regolamento CEE). La Legge 133/1994 precisa poi ancora, in rela zione al reddito, che [...3... d)...] Il volume d’af fari dei soggetti che non presentano la dichia razione ai fini dell’Iva si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’art. 34 del decreto del Presidente della Repubblica 26.10.1972 n. 633; [...]. Tale limite è oggi fissato in € 7.000,00 ai sensi del comma 6 dell’art. 34 del DPR 26.12.1972 n. 633 come modificato dall’art. 4 del D.l. 3.10.2006 n. 262 convertito in Legge n. 286 del 24.11.2006. La Legge 133/1994, al comma 5 dell’art. 9, pre vede che [...] 5. el caso in cui l’unità immobiliare sia utilizzata congiuntamente da più proprietari o titolari di altri diritti reali, da più affittuari, ovvero da più soggetti che conducono il fondo sulla base di un titolo idoneo, i requisiti devono sussistere in capo ad almeno uno di tali soggetti. Qualora sul terreno sul quale è svolta l’attività agricola insistano più unità immobi liari a uso abitativo, i requisiti di ruralità devo no essere soddisfatti distintamente. el caso di utilizzo di più unità a uso abitativo, da parte di componenti lo stesso nucleo famigliare, il riconoscimento di ruralità dei medesimi è subordi nato, oltre che dall’esistenza dei requisiti indi cati nel comma 3, anche al limite massimo di cinque vani catastali o, comunque, di 80 mq per un abitante e di un vano catastale o, comunque, di 20 mq per ogni altro abitante oltre il primo. La consistenza catastale è definita in base ai criteri vigenti per il catasto dei fabbricati. [...]. La norma, mista soggettiva-oggettiva, prevede che qualora il fabbricato abitativo sia utilizza to da più proprietari o titolari di altri diritti reali o affittuari o da altri soggetti che condu cono il terreno sulla base di un titolo idoneo, i requisiti previsti dalla legge devono sussistere in capo ad almeno uno di tali soggetti; è un’agevolazione necessaria perché sono sicuramente numerose le situazioni in cui tutti i requisiti, specialmente quello relativo al reddito, convergono su una sola persona. La stessa norma prevede che i requisiti di ruralità devono essere soddisfatti distintamente qualora esistano più fabbricati abitativi, in altre parole una porzione di fabbricato può essere rurale e l’altra porzione non avere caratteristiche di ruralità; infatti la disposizione di legge prevede che nel caso di utilizzo di più unità ad uso abitativo, da parte dei componenti di un nucleo familiare,, il riconoscimento di ruralità delle stesse unità abitative è subordinato, oltre che dall’esistenza dei vari requisiti soggettivi e oggettivi, anche al limite massimo di cinque vani
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n. 3-4/ 2007 catastali o, comunque, di 80 mq per un abitante e di un vano catastale, o, comunque, di 20 metri quadrati per ogni altro abitante ol tre il primo, con precisazione che la consisten za catastale è definita in base ai criteri vigenti per il catasto dei fabbricati. Questa disposizione non è limpidissima, nel senso che non precisa cosa si intende per “80 mq” per un abitante e “20 mq” per ogni altro abitante oltre il primo, cioè se si intende una superficie che comprenda o escluda la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti macchina, tenuto conto che il vano ca tastale per le categorie A comprende anche gli accessori; ad esempio una camera di 16 mq, con un bagno di 4 mq e un ripostiglio di 3 mq costituiscono catastalmente una consistenza di 1,5 vani (1 vano + 0,33 per il bagno + 0,25 per il ripostiglio = 1,58 arrotondato a 1,5) e considerando nella superficie anche il ripostiglio si supererebbero i 20 mq; si ritiene che la superficie sia da considerarsi al netto della superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti macchina in analogia alla superficie utile complessiva definita dal decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2.8.1969 n. 408 richiamato dalla stessa Legge 133/1994 al comma 3 dell’art. 9. La Cassazione, con sentenza n. 20779 del 25.10.2005, rimanda per il riesame alla Commissione Tributaria Regionale di competenza una sentenza in cui il giudice di’merito ha insufficientemente motivato l’accertamento di ruralità di un fabbricato (ai fini Ici), precisando - la Suprema Corte - che la legge pone re quisiti specifici e dettagliati per il riconosci mento della qualifica di ruralità, da cui derivano consistenti benefici fiscali, e dunque è necessario che il giudice di merito motivi detta gliatamente ciascun requisito previsto dalla legge (in detta sentenza si tratta - anche - dell’esuberanza dei locali uso abitativo rispetto alle esigenze degli occupanti). A questo punto si può affermare che il venta glio di soggetti ai quali la Legge 133/1994 consente di possedere il fabbricato abitativo è molto ampio, e le caratteristiche soggettive rappresentano sicuramente le caratteristiche più difficili da determinare per il riconoscimento - quale primo tassello della ruralità del fabbricato abitativo, perché queste caratteristiche sono costituite da una serie di condizio ni personali/patrimoniali (soggetti, familiari, coadiuvanti, dipendenti, volume d’affari) che non sempre sono di semplice individuazione, che si intersecano in una serie di disposizioni legislative certamente complesse, e che - soprattutto - sono estremamente mutabili poiché legate alla persona fisica; sono numerosi gli esempi che si potrebbero fare e dai quali potrebbe evincersi che un fabbricato abitativo può avere caratteristiche di ruralità per un certo periodo, poi non averle più, poi tornare ad averle; non sarà certamente facile, né per il contribuente né per gli Uffici seguire le inevitabili (almeno per una certa percentuale) mutazioni delle condizioni personali e patrimoniali delle persone che influiscono sulle caratteristiche di ruralità del fabbricato abitativo. Dopo le condizioni soggettive (ed anche oggettive in relazione al numero di vani catastali e superficie dell’abitazione) la Legge 133/1994 prevede delle condizioni oggettive per il fabbricato abitativo: [...3...] c) il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non infe riore a 10.000 mq ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture spedalizzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato
n. 3-4/2007 in comune considerato montano, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della Legge 31.1.1994 n. 97, il suddetto limite viene ridotto a 3.000 mq; [...]. La disposizione è chiara, il terreno a cui il fab bricato abitativo è asservito deve avere una su perficie non inferiore a 10.000 mq (un ettaro), superficie che si riduce a 3.000 mq nei comuni considerati montani (in ogni caso) oppure quando (anche per i terreni ubicati in Comuni non montani) sul terreno siano praticate coltu re specializzate in serra o funghicoltura o altra coltura intensiva; la norma prevede che il ter reno asservito deve essere censito in Catasto Terreni con attribuzione di reddito agrario, quindi sono esclusi terreni privi di reddito agrario (terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, incolti sterili); si segnala inoltre che ai sensi dell’ultimo comma del l’art. 32 del DPR 22.12.1986 n. 917 (Testo Unico del le Imposte sui redditi) non si considerano produttivi di reddito agrario, oltre ai terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, i terreni concessi in affitto per uso non agricolo e i terreni produttivi di reddito d’impresa. La norma prevede che il limite dei 3.000 mq è per i soli terreni ubicati in Comuni montani, potrebbe ipotizzarsi che in futuro una decisione della Suprema Corte equipari i Comuni montani alle già citate zone svantaggiate (art. 19 del citato Regolamento CEE del 17.5.1999 n. 1257) e alle zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici (art. 20 del citato Regolamento CEE). Altra condizione oggettiva prevista dalla legge 133/1994 è che [...3...] e) i fabbricati a uso abi tativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pub blici 2.8.1969, adottato in attuazione dall’art. 13 della Legge 2.7.1949, n. 408, e pub blicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218. del 27.8.1969, non possono comunque essere ri conosciuti rurali. [...]. La disposizione è chiara, i fabbricati abitativi che, o sono già censiti nelle categorie A/1 ed A/8 oppure ne possiedono le caratteristiche, non possono comunque avere la caratteristica di ruralità; la categoria catastale A/1 è definita “Abitazioni di tipo signorile” e corrisponde a unità immobiliari abitative formanti parte di fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche, dimensionali e con rifiniture di livello superiore a quello dei normali fabbricati di tipo residenziale; la categoria catastale A/8 è definita “Ville” e corrisponde a unità immobiliari abitative formanti parte di fabbricati caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio, con caratteristiche costruttive e con rifiniture di livello superiore all’ordinario. Inoltre anche i fabbricati abitativi che possie dono le caratteristiche di lusso previste dal de creto del Ministro dei Lavori pubblici 2.8.1969 n. 408 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27.8.1969 non possono comunque avere le caratteristiche di ruralità; le abitazioni considerate di lusso, previste dal citato decreto, sono abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici a ville o parco privato, abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici prevedono lotti non inferiori a 3.000 mq (escluse le zone agricole), abitazioni formanti parte di fabbrica ti aventi cubatura superiore a 2.000 me e realizzate su lotti con capacità fondiaria inferiore a 25 me per ogni 100 mq di terre-
Fisco no, abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq o di campo da tennis (con sottofondo drenato) di superficie non inferiore a 650 mq, abitazio ni costituite da un unico alloggio di superficie utile superiore a 200 mq (esclusi balconi, ter razze, cantine, soffitte, scale e posti macchine) con un’area scoperta pertinenziale di oltre sei volte la superficie coperta dall’alloggio, abitazioni aventi superficie utile complessiva superiore a 240 mq (esclusi balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posti macchine), abitazioni formanti parte o costituenti fabbricati insistenti su aree destinate all’edilizia residenziale quando il costo del terreno coperto e di perti nenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione, e poi infine le abitazioni che possiedono più di quattro delle caratteri stiche elencate nella tabella allegata al citato DM (superficie utile superiore a 160 mq, ter razze e balconi con superficie superiore a 65 mq, quando vi sia più di un ascensore per ogni scala, quando la scala di servizio non è prevista da prescrizioni, quando esista un montacarichi a servizio di meno di 4 piani ecc. ecc.). Quindi se il fabbricato abitativo possiede una delle caratteristiche degli artt. da 1 a 7 del DM 2.8.1969 o possiede più di quattro delle ca ratteristiche della tabella allegata al medesimo DM non potrà comunque avere il requisito di ruralità. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9760 del 18.6.2003, ha precisato che le caratteri stiche appena citate del DM 02.08.1969 si applicano esclusivamente ai fabbricati abitativi. Il comma 4 dell’art. 9 della Legge 133/1994 prevede che [...] 4. Fermi restando i requisiti previsti dal comma 3, si considera rurale anche il fabbricato che non insiste sui terreni cui l’immobile è asservito, purché entrambi risultino ubicati nello stesso comune o in comuni confinanti. [...]. Questo comma è importante perché stabilisce che il fabbricato abitativo può essere rurale anche se non insiste sui terreni a cui è asservi to, con una limitazione: il fabbricato abitativo e i terreni asserviti devono entrambi risultare ubicati nel territorio del medesimo Comune o in Comuni confinanti; si ritiene che per terreni asserviti il legislatore intenda individuare il limite minimo di terreno (i 10.000 mq o i 3.000 mq per i Comuni montani), oltre il citato minimo le eventuali restanti superfici di terreno possono anche essere ubicate in Comuni non confinanti con quello in cui è ubicato il fabbricato; questa norma potrebbe creare qualche problema di interpretazione nel caso in cui il fabbricato abitativo sia ubicato - ad esempio - nella frazione San Pietro del Gallo di Cuneo (Comune non montano) con terreno asservito adiacente di 3.810 mq (la classica giornata piemontese) e tutti i restanti terreni asserviti (supponiamo 10 giornate piemontesi) siano ubicati nel territorio della frazione Monastero del Comune di Dronero; le due frazioni San Pietro del Gallo di Cuneo e Monastero di Dronero distano meno di tre chilometri, ma i due Comuni di Cuneo e Dronero non sono confinanti fra loro perché in mezzo esiste il territorio del Comune di Busca, quindi leggendo letteralmente la norma di legge quel fabbricato abitativo non potrebbe ave re le caratteristiche di ruralità; situazioni geografiche come queste ne esistono sicuramente molte, il caso prospettato invece non rappre senta certo la normalità delle situazioni, ma potrebbero verificarsi casi-simili e si ritiene co munque che debba prevalere un’interpretazio ne estensiva legata alle caratteristiche geografiche del territorio e non al concetto di “comune confi-
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Fisco nante” quale baluardo insuperabile. I1 comma 6 dell’art. 9 della Legge 133/1994 prevede che [...] 6. on si considerano produttive di reddito di fabbricati le costruzioni non utilizzate, purché risultino soddisfatte le condi zioni previste dal comma 3, lettere a), c), d) ed e). Lo stato di non utilizzo dev’esser comprovato da apposita autocertificazione con firma autenticata, attestante l’assenza di allacciamento alle reti dei servizi pubblici dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas». [...] Questa norma si riferisce a tutti quei fabbricati abitativi non utilizzati, privi di allacciamento alle reti dei servizi pubblici (acqua, energia elettrica, gas ecc.), che la legge considera im produttivi di reddito, ma solo a condizione che siano comunque soddisfatte tutte le condizioni previste al comma 3 con la sola ovvia esclusione di quanto regolato alla lettera b) in cui si prevede che il fabbricato deve essere utilizzato quale abitazione; la legge prevede che lo stato di non utilizzo del fabbricato deve essere comprovato da apposita autocertificazione con fir ma autenticata, che si ritiene debba essere in viata sia all’Agenzia delle Entrate competente sia al Comune nel cui territorio è ubicato il fabbricato abitativo. Questa norma quindi non dispone che qualsiasi fabbricato abitativo non utilizzato (e privo di allacciamenti) diventi automaticamente improduttivo di reddito, perché come sopra evidenziato, devono comunque essere soddisfatte tutte le condizioni previste dal comma 3 art. 9 Legge 133/1994 (possesso, asservimento al terreno, volume d’affari e mancanza di caratteristiche di lusso o categoria catastale A/1 o A/8). Tutte le norme finora riportate sono dirette ad accertare la sussistenza dei requisiti di ruralità dei fabbricati a uso abitativo ai sensi del comma 3 art. 9 Legge 133/1994, ma l’esercizio dell’attività agricola comporta normalmente l’utilizzo di altri fabbricati, che qui di segui to vengono indicati come costruzioni strumen tali, non destinati all’abitazione delle persone (salvo quelli per l’agriturismo), necessari per lo svolgimento della medesima attività agricola; la Legge 133/1994 al comma 3bis (aggiunto dal DPR 23.3.1998 n. 139) dispone quanto segue: [...] 3-bis. Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali al le attività agricole di cui all’art. 29 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22.12.1986 n. 917. Deve, altresì, riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali all‘attività agricola destinate alla produzione di piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, non ché ai fabbricati destinati all’agriturismo. [...]. Innanzitutto occorre evidenziare come la legge precisi “ai fini fiscali”, quindi - come già indicato per i fabbricati abitativi - la norma si riferisce a tutti gli effetti fiscali (imposizione diretta e indiretta) escluse altre finalità (ad esempio urbanistiche). Le attività agricole cui si riferisce il dispositivo in realtà sono fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Fi nanze su proposta del Ministro delle Politiche agricole e forestali. La Legge 133/1994, oltre ad assegnare caratte ristiche rurali alle costruzioni strumentali ne cessarie per lo svolgimento dell’attività agricola di cui al sopra riportato comma 2 dell’art. 32 del DPR 917/1986, aggiunge anche che [...3-
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n. 3-4/ 2007 bis...] Deve, altresì, riconoscersi carattere rurale alle costruzioni strumentali all’attività agricola destinate alla produzione di piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, alla custo dia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, nonché ai fabbricati destinati all’agriturismo. [...]. In pratica quindi tutte le costruzioni strumentali necessarie per lo svolgimento dell’attività agricola prevista all’art. 32 del D.Lgs. 917/1986, nonché le costruzioni strumentali ulteriormente elencate nel sopra riportato comma 3-bis (produzione di piante, conserva zione dei prodotti agricoli, ecc.), hanno carat teristiche rurali, in particolare si segnala che l’appena citata disposizione di legge include anche i fabbricati (in questo caso abitativi) destinati all’agriturismo comprendendoli quindi nelle costruzioni strumentali e non sottoponendoli alle particolari condizioni previste in vece per i fabbricati abitativi dal comma 3 art. 9 Legge 133/1994. Anche l’art. 42 del D.Lgs. 917/1986 disciplina le costruzioni rurali, precisando che non si considerano produttive di reddito di fabbricati le co struzioni o porzioni di costruzioni rurali, e rela tive pertinenze appartenenti al possessore o all‘affittuario dei terreni cui servono e destinate - riassumendo brevemente il contenuto del dispositivo - all’abitazione, alla custodia del bestiame, al ricovero degli animali, alla custo dia delle macchine e attrezzi e scorte, alla pro tezione delle piante, alla conservazione e manipolazione e trasformazione dei prodotti agricoli. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6884 del 1.4.2005 (in materia di Ici), stabilisce che “ai fini dell’esclusione della soggezione all’Ici ai sensi degli articoli 1 e 2 del D.Lgs. 30.12.1992 n. 504, il carattere rurale dei fabbricati , che va stabilito alla stregua della disciplina del catasto in materia, va riconosciuto a tut te le costruzioni strumentali alle attività agricole di cui all’art. 29 (ora art. 32) del testo unico dell’imposta sui redditi, ovvero destinate all‘agriturismo o alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotto agricoli, oppure alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2 del DPR 23.3.1998 n. 139 che, modificando l’art. 9 del la Legge 133/1994, ha mantenuto fermo il requisito dell’asservimento dell’immobile ad un fondo limitatamente all’edilizia abitativa, assegnando rilievo, per le costruzioni strumentali soltanto alla destinazione finalizzata alle atti vità agricole sopra indicate”. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 18853 del 27.9.2005 (in materia di Ici), precisa che le sopra indicate disposizioni del comma 3-bis della Legge 133/1994 costituiscono norma a carattere innovativo e non interpretativo, pertanto non hanno efficacia retroattiva e si applicano solo successivamente alla sua entrata in vigore (l’entrata in vigore coincide con l’en trata in vigore del DPR 23.3.1998 n. 139 che ha introdotto il comma 3-bis all’art. 9 della Legge 133/1994). Ancora la Corte di Cassazione, con sentenza n. 13674 del 24.6.2005 (in materia di Ici) rimanda alla Commissione Tributaria Regionale competente una sentenza in cui i giudici di merito, in relazione a fabbricati censiti in cate goria D/7 e A/3, non hanno sufficientemente verificato e motivato se l’attività svolta da una cooperativa fosse da considerarsi agricola e se quindi ai fabbricati competesse l’esenzione dall’Ici. Il fatto che un fabbricato abitativo o una costruzione stru-
n. 3-4/2007 mentale abbiano le caratteristiche di ruralità corrisponde a un beneficio fi scale, così brevemente riassumibile ai fini delle imposte dirette: • Ici: il fabbricato rurale non è assoggettabile all’Ici; occorre tuttavia precisare che nella leg ge disciplinante l’Ici manca una disposizione chiara di esenzione per i fabbricati rurali, conseguentemente in presenza di un fabbricato rurale dotato di rendita catastale qualche Comune potrebbe richiedere il pagamento della relativa imposta, quindi si consiglia (ma non è un obbligo) di segnalare al Comune l’esistenza del requisito di ruralità per quel determinato fabbricato con un’apposita autocertificazione; il Ministero delle Finanze, con la circolare n. 18 del 9.2.2000 ha precisato che “[...] Al riguardo si specifica che la dimostrazione dell’esistenza dei fabbricati ovvero dell’avvenuta realizzazione, in epoca precedente al’11.03.1998, di modifiche riguardanti lo stato dei fabbricati già iscritti in catasto, nonché l’attestazione circa il possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’art 2 del DPR 139/1998 per il rico noscimento di ruralità, sono condizioni pregiudiziali per usufruire delle disposizioni agevolative in esame. Le suddette condizioni possono essere documentate da parte del contribuente anche attraverso un’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 4 della Legge 4.1.1968 n. 15 e successive modifiche e integrazioni. [...]“. • Imposte di registro, ipotecaria, catastale e di successionedonazione: il valore del fabbricato rurale (quand’anche dotato di rendita catastale) è compreso nel valore del reddito dominicale del terreno cui è asservito. La circolare n. 50 del 20.3.2000 del Ministero delle Finanze ha chiaramente precisato: “Pertanto, in relazione ai trasferimenti di diritti reali su terreni, il sistema automatico di valutazione previsto dall’art. 52 Testo unico del Registro approvato con DPR 26.4.1986 n. 131, ap plicato al reddito dominicale, esprime un valore comprensivo anche dei fabbricati sovrastanti, sempreché tali costruzioni siano strumentalmente funzionali alle necessità del fondo e sia no trasferite unitamente al fondo stesso, con servando tutti i requisiti di costruzioni rurali previsti all’art. 2 del DPR n. 139/1998. La rendita attribuita ai fabbricati in argomento assume quindi un’autonoma rilevanza fiscale unica mente nel caso in cui vengano a mancare i re quisiti per il riconoscimento della ruralità di cui all’art. 2 del già citato DPR 139/1998.... Pertanto si torna a ribadire che il reddito attribuito al fabbricato rurale deve intendersi come un elemento indicativo della potenzialità reddituale autonoma dell’edificio e che il reddito domini cale dei terreni, al fine della determinazione del valore che preclude l’attività di accertamento dell’Ufficio secondo il disposto del citato art. 52 del DPR 131/1986, è comprensivo anche della redditività delle costruzioni rurali asservite. Si precisa che i chiarimenti forniti con la presente circolare si riferiscono, oltre che alle imposte di registro e sulle successioni e donazioni, anche all’imposta comunale sugli immobili dovuta sulle costruzioni iscritte al catasto dei fabbricati, ma strumentali all’esercizio dell’attività agricola, ancorché destinate ad edilizia abitativa da parte del soggetto che conduce il terreno cui le costruzioni medesime sono asservite”. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24959 del 25.11.2005 in materia di imposta di regi stro, ha confermato (come già con precedente sentenza n. 12453 del 12.10.2001 in materia di Invim) il principio in base al quale i
Fisco fabbricati rurali, quando siano destinati all’abitazione di coloro che attendono col proprio lavoro alla manuale coltivazione della terra, o al ricovero del bestiame o alla conservazione e prima ma nipolazione dei prodotti agrari dei terreni nonché alla custodia e conservazione di macchine e attrezzi agricoli, non possono essere valutati separatamente dal terreno agricolo sul quale insistono. Conseguentemente a quanto tutto sopra esposto un fabbricato rurale, quand’anche in possesso di rendita catastale, usufruisce di tutte le agevolazioni previste per i terreni agricoli in materia di imposta di registro (con ipotecaria e catastale), ed in particolare usu fruisce delle agevolazioni in materia di piccola proprietà contadina (imposta di registro e ipotecaria in misura fissa, imposta catastale 1%) e piccola proprietà montana (imposta di registro e catastale in misura fissa, esenzione dall’imposta ipotecaria) o altre agevolazioni fiscali (compendio unico). In relazione all’accatastamento dei fabbricati rurali la circolare n. 4 del 16.5.2006 dell’A genzia del Territorio precisa che “[...] si vengo no a trovare iscritti nel catasto dei fabbricati costruzioni (abitazioni e annessi agricoli) con rendita attribuita, al pari di tutte le altre unità immobiliari urbane, ma che sono invece stru mentali ai fini dell’attività agricola e quindi esenti da imposta sui redditi di fabbricati. Riepilogando sinteticamente, si può affermare che le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola, in relazione alle specifiche caratteristiche e destinazioni, potranno essere censite o come unità a destinazione abitativa in una delle pertinenti categorie del gruppo A, ovvero come unità destinate ad attività produttive agricole, nella ... categoria D/10, sempreché le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali tra sformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite. el caso contrario, di ordinarietà delle caratte ristiche delle costruzioni rurali a uso produttivo, queste potranno essere censite nelle categorie ordinarie più consone (C/2, C/3, C/6, C/7, ecc.). Alla luce di tutto quanto esposto si ritiene che ogni proprietario di un fabbricato abitativo, presunto rurale, dovrebbe far verificare - alla luce delle vigenti normative di legge sopra in dicate e soprattutto in base al dispositivo ag giunto dal comma 37 dell’art. 2 della Legge 24.11.2006 n. 286 di conversione del D.l. 3.10.2006 n. 262, ovvero che i soggetti di cui al comma 3 art. 9 Legge 133/1994 devono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della Legge 29.12.1993 n. 580 - se per detto fabbricato abitativo esistono i requisiti di ruralità; la verifica può essere eseguita direttamente dal contribuente, o - molto più realisticamente, visto la complessità delle operazioni -da associazioni di categoria o da professionisti i quali, esperiti i necessari controlli, possano certificare che quel determinato fabbricato a uso abitativo è rurale (tutto o in parte); esiste anche la possibilità per il contribuente di inoltrare all’Agenzia delle Entrate competente una apposita “richiesta di ruralità” che dovrebbe essere vagliata dall’Ufficio e a cui l’Ufficio do vrebbe dare risposta, ma il condizionale è d’obbligo perché si ritiene che per l’Ufficio sia estremamente complicato poter rispondere a tale tipo di richiesta e inoltre si ritiene - in li nea generale - che il riconoscimento del requi sito di ruralità non dovrebbe essere soggetto ad alcuna certi-
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ficazione preventiva e tale requisito dovrebbe essere verificato dall’Ufficio in sede di un eventuale accertamento da parte dello stesso Ufficio (Ufficio in senso Pubblica Amministrazione); quindi il “consiglio” di far verificare le caratteristiche di ruralità è da considerarsi effettivamente un “consiglio” per prevenire le conseguenze di un eventuale accertamento. Qualora dal controllo di tutte le condizioni il fabbricato abitativo (e anche quello strumentale) risulti rurale, si ritiene di “consigliare” - come sopra appena precisato - che il contribuente invii una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (eventualmente allegando una relazione dell’associazione di categoria o del professionista) attestante il possesso dei requisiti di ruralità per quel determinato fabbricato sia all’Agenzia delle Entrate competente sia al Comune (o ai Comuni) interessati. Potrebbe verificarsi il caso che dai controlli solo una porzione di fabbricato abitativo abbia le caratteristiche rurali, in tal caso il contribuen te dovrà presentare gli atti di aggiornamento catastale (in questo caso per l’intero fabbricato poiché è una variazione) ai sensi di quanto sotto indicato in relazione ai fabbricati non più in possesso del requisito di ruralità (si ricorda che l’accatastamento al Catasto Fabbricati dei fabbricati rurali è obbligatorio per i fabbricati di nuova costruzione successivi all’11.03.1998 e per quelli che hanno subito variazioni, non ché - ovviamente - per quelli che non possiedono più le caratteristiche di ruralità). Fabbricati non più in possesso del requisito di ruralità Se un fabbricato oggi invece non possiede più i requisiti di ruralità esso è da considerarsi nel “mirino” del legislatore perché il comma 38 dell’art. 2 del D.l. 3.10.2006 n. 262 convertito in Legge 24.11.2006 n. 286, prevede che i fabbricati per i quali vengono meno i requisiti per il riconoscimento della ruralità devono essere dichiarati al Catasto Fabbricati entro la data del 30.6.2007, e in tale condizione non si irro gano le sanzioni previste dalla legge; in caso di inadempienza da parte del contribuente si applicano le disposizioni contenute nel comma 36 della medesima legge. Per fabbricati che non possiedono più i requisiti di ruralità ci si riferisce sia ai fabbricati abitativi sia a quelli strumentali, poiché sono sicuramente in maggioranza i fabbricati abitativi che non hanno più i re quisiti di ruralità, ma certamente esistono
anche nume rosi fabbricati ex-strumentali che non sono più utilizzati a fini rurali. Il comma 36, sostituito integralmente dal contenuto della lettera b) del comma 339 della Legge 27.12.2006 n. 296 (Finanziaria 2007), precisa che l’Agenzia del Territo rio, anche sulla base delle informazioni fornite dall’AGEA (Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura) quali verifiche amministrative, foto identificative, sopralluoghi, dichia razioni fornite da soggetti interessati alle richieste di contributi agricoli, individua i fabbricati iscritti al Catasto Terreni per i quali sia venuto meno il requisito della ruralità ai fini fiscali e individua i fabbricati non censiti; con una serie di modalità l’Agenzia del Territorio dovrà pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, per ciascun Comune, l’elenco dei fabbricati individuati, pubblicizzando nei successivi 60 giorni presso i Comuni interessati e sul pro prio sito internet l’elenco dei fabbricati, pubblicità che costituirà anche formale richiesta per il contribuente interessato di presentare gli atti di aggiornamento cata stale; se il contribuente non ottempererà entro 90 giorni dalla pubblicazione dell’elenco sulla G.U. le Agenzie del Territorio dovranno provvedere d’ufficio a presentare gli atti di aggiornamento catastale con oneri a carico del contribuente interessato e dovranno provvedere alla no tifica degli esiti dell’accatastamento “forzoso” al contribuente; la norma precisa che le rendite catastali attribuite, su iniziativa del contribuente o su iniziativa dell‘Ufficio, produrranno effetto - in deroga alle vigenti dis posizioni - dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data cui riferire la mancata presentazione degli atti di aggior namento catastale (se tale data è rilevabile) oppure dal 1° gennaio dell’anno di pubblicazione del citato elenco sulla G.U.; è precisato che si applicano le sanzioni previste dalla Legge 11.8.1939 n. 1249 e successive modifiche e integrazioni. Si ritiene che la procedura sopra indicata sia particolar mente complessa per le Agenzie del Territorio (anche in vista del futuro passaggio del Catasto ai comuni) e, se è vero che esistono un milione e mezzo di fabbricati rurali che hanno perso il requisito di ruralità sull’intero territo rio nazionale, certamente il termine del 30 giugno 2007 è un termine che dovrà essere prorogato. «Geo info tec»
Vibo Valentia (incisione fine ‘800)
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LA NOTIFICA DEGLI ATTI CATASTALI E I TERMINI DI IMPUGNAZIONE di Franco Guazzone
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Gli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio, una volta eseguito il classamento dei terreni o dei fabbricati o la rettifica delle rendite proposte dai tec nici professionisti di parte, devono provvedere a notificarne l’esito ai possessori che, entro 60 giorni dalla data di notifica, lo possono impugnare presso la Commissione tributaria provinciale, competente per territorio, con le procedure previste dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 546 del 31 dicembre 1992, per la costituzione in giudizio. Ai sensi dell’art. 74, comma 1 , della legge 342 del 21 novembre 2000, come precisato anche dalla circ. n. 4/FL del 13 marzo 2001, gli atti attributivi o modificativi di rendita sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione. Eccezioni a tali termini sono costituite dalle: a. rendite proposte ai sensi del D.M. 701/1994, rettificate dall’Agenzia entro i successivi 12 mesi; b. rendite attribuite, a seguito di richiesta del contribuente (legge 154 del 13 maggio 1988, art. 12), a fabbricati dichiarati ma non censiti, quando formassero oggetto di trasferimento per atto fra vivi, nel qual caso la loro efficacia, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, risale alla data di registrazione dell’atto (Cass., Sez. trib., sent. n. 4731, 3 marzo 2006); c. rendite proposte ai fini del recente condono edilizio, da prodursi entro il 30 giugno 2006, che hanno efficacia dal 1° gennaio 2003; d. le rendite dichiarate o accertate ai fini dell’art. 1, comma 336, della legge 311/2004, che hanno efficacia dal momento dell’ultimazione delle opere di ristrutturazione edilizia effettuate; e. le rendite accertate coattivamente dall’Agenzia del territorio per le costruzioni abusive eventual mente identificate, per le quali devono essere fatte risalire al momento del loro utilizzo, anche mediante verifica dei contratti di allacciamento ai servizi pubblici (luce, gas, acqua, telefono). Le notifiche devono avvenire per posta, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, ovvero a mezzo di ufficiale giudiziario, messo comunale, oppure con gli altri mezzi previsti dall’art. 137 e segg., del codice di procedura civile.
aventi causa entro 60 giorni dalla data di notifica dei dati (art. 21, D.Lgs: 546/1992), depositandolo in duplice originale all’Ufficio che lo ha emesso, che restituisce il secondo originale con gli estremi di presentazione del primo originale (art. 18, D.Lgs. 546/1992). Il secondo originale deve essere depositato nella segreteria della Commissione tributaria provinciale di competenza, nei 30 giorni successivi, per la costituzione in giudizio. Si ricorda, infine, che nei ricorsi relativi alle rendite catastali la parte deve obbligatoriamente essere assistita da un tecnico professionista, abilitato a operare negli atti catastali. Ai sensi di quanto disposto dall’art. 74, comma 3, della legge 342 del 21 novembre 2000, la notifica zione di atti impositivi delle amministrazioni finanziarie o locali, che abbiano recepito rendite inserite in atti prima del 31 dicembre 1999, costituisce a ogni effetto anche notifica delle rendite per cui, dalla data di ricezione dell’atto, decorrono i termini per la loro impugnazione, sia verso l’ente emanante dell’atto impositivo sia verso l’Ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio competente. Il Ministero delle finanze, l’ente locale territoriale e il concessionario della riscossione si costituiscono in giudizio entro 60 giorni dall’avvenuta notifica del ricorso dell’attrice (art. 23, comma 1, D.Lgs. 546/1992) a pena di decadenza, mediante il deposito presso la segreteria della Commissione del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni e i documenti offerti in comunicazione. Nelle controdeduzioni, la parte resistente indica le prove di cui intende avvalersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio, proponendo, se del caso, la chiamata in causa di terzi per litisconsorzio (art. 23, ultimo comma). Peraltro, a volte, l’amministrazione finanziaria, per costituirsi in giudizio e affrontare questioni opinabili o di cui non è certa la normativa, potrebbe dover consultare il Ministero o chiedere pareri all’Avvocatura di Stato, circostanze che spesso fanno correre il rischio di decadenza. Qualora, infatti, l’amministrazione non si costituisca in giudizio entro il termine di 60 giorni, ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs 546/1992, viene dichiarata contumace. Nel caso di ricorsi contro l’ente locale, la rappresentanza del comune nel giudizio può essere attribuita al dirigente dell’Ufficio tributi, come disposto dall’art. 3-bis del D.L 44 del 31 marzo 2005, convertito nella legge 88 del 31 maggio 2005 (Disposizioni per gli enti locali), rappresentanza che in precedenza la Corte di Cassazione aveva ritenuto spettare esclusivamente al sindaco (sent. n. 17360, 17 novembre 2003, conf. sent. n. 1949/2003, n. 2583/2003, n. 2878/2003, n. 3736/2003 e n. 10787/2004).
Ricorso dei contribuenti contro i dati catastali Il ricorso contro i dati catastali, ma anche contro ogni tipo di atto impositivo compresa l’Ici, deve es sere fatto dagli
La motivazione degli avvisi di accertamento L’Agenzia del territorio, allorquando invia la notifica della rendita, nell’avviso di accertamento deve motivare, nel caso
l ricorso contro i dati catastali, ma anche contro ogni tipo di atto impositivo compresa l’Ici, deve essere fatto dagli aventi causa entro 60 giorni dalla data di notifica dei dati, depositandolo in duplice originale all’Ufficio che lo ha emesso, che restituisce il secondo originale con gli estremi di presentazione del primo originale all’Ufficio. Il secondo originale deve essere depositato nella segreteria della Commissione tributaria provinciale di competenza, nei 30 giorni successivi, per la costituzione in giudizio.
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Fisco di unità di tipo speciale e particolare, i criteri adottati per la determinazione della rendita notificata, affinché il contribuente abbia la possibilità di verificarne la validità e procedere eventualmente alla loro impugnazione, ai sensi dell’art. 3 della legge 241 del 7 agosto 1990 e, dell’art. 7 della legge 212 del 27 luglio 2000 (Statuto del contribuente). In particolare, la Cassazione civile, Sez. trib., con sent. n. 5717 del 5 maggio 2000 in materia di accertamenti catastali degli immobili strumentali iscritti nelle categorie D, ha ritenuto che anche gli accertamenti di rendite, definite con stime censuarie devono essere motivati, come avviene per ogni altro tipo di accertamento fiscale. Tale principio, quindi, dovrà essere applicato anche negli accertamenti relativi alle imposte indirette e in particolare dell’Ici. Infatti la Cassazione, con sent. n. 10812/1996 n. 11/1997 e n. 1107/1998, in materia tributaria (imposte indirette e Ici), e in particolare con le sent. n. 4059 del 10 aprile 2000 e n. 5717 del 5 maggio 2000, in materia censuaria, aveva creato i presupposti per la decisione assunta dal Consiglio di Stato con l’adunanza del 18 aprile 2000 n. 304, che ha annullato le risultanze estimali ai fini fiscali, relative agli immobili, determinate da un Ufficio Tecnico erariale, per insufficiente motivazione degli elementi economici utilizzati nella stima. In particolare, con la sentenza della Cassazione n. 4059/2000, la Corte aveva chiamato l’amministrazione a definire nelle stime: - l’aspetto formale, con uno schema informativo omogeneo, in merito agli elementi utilizzati per ogni tipologia di immobile; - l’aspetto operativo, con l’indicazione dei coefficienti di degrado per ciascuna costruzione nel caso di stima a valore di riproduzione, ovvero ai tassi da applicare al valore globale per determinarne la rendita. Di conseguenza, con la circ. n. 8 del 14 agosto 2001, l’Agenzia del territorio, preso atto dell’orientamento ormai consolidato nella prassi e nella giurisprudenza in tale delicata materia, modificando le disposizioni ormai datate della circ. n. 7/1984 della Direzione generale dei SS.TT.EE., ha raccomandato ai dipendenti uffici di rendere evidente nella stima, oltre al processo logico e di metodo, anche i parametri, gli elementi di riferimento e i conteggi effettuati, a dimostrazione delle valutazioni prodotte, onde evitare censure. Le impugnazioni Qualora, nonostante la corretta impostazione del controricorso, l’Ufficio uscisse soccombente dal processo di primo grado in Commissione provinciale, è possibile impugnare la sentenza. I mezzi per l’impugnazione sono: l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione (art. 50). L’esecuzione della sentenza è di fatto sospesa fino all’esaurimento di tutti i gradi del giudizio. Il termine per l’impugnazione della sentenza è di 60 giorni dal giorno della notificazione, su istanza di parte. Se nessuna delle parti provvede alla notifica zione, trascorso un anno, l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione non possono più es sere proposte (artt. 327 e 395 cod. proc. civ.), (Cass. Sez. trib., sent. n. 10223, 27 giugno 2003; cfr. sent. n. 9897/2001, n. 17498/2002 e Sez. Unite n. 668/1992). Al termine di un anno di cui sopra, si applica la sospensione feriale, tra il 1 ° agosto e il 15 settembre, prevista dall’art. 1 della legge 742 del 7 ottobre 1969 (Cass., Sez. trib., sent. n. 5201, 3
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n. 3-4/ 2007 aprile 2003). Se le parti fanno espressa acquiescenza alla sentenza, o compiono atti incompatibili con la volontà di impugnarla, non è più consentita l’impugnazione medesima. L’appello presso la Commissione tributaria regionale Le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie provinciali possono essere appellate presso la Commissione tributaria regionale, entro 60 giorni dalla data della notifica, dalle parti intervenute nel processo di primo grado. Ove l’appellò proposto non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante, deve, a pena di inammissibilità, depositarne copia presso l’ufficio di segreteria della Commissione tributaria provinciale che ha pronunciato la sentenza (art. 3-bis, comma 7, D.L. 203/2006), ovvero spedirla in plico racco mandato con avviso di ricevimento senza busta (Corte Cosi, sent, n. 520, 21 novembre 2002). Forma dell’appello Il ricorso in appello deve contenere i seguenti elementi: - l’indicazione della Commissione tributaria a cui è diretto; - l’indicazione dell’appellante e dell’Ufficio nei cui confronti è proposto; - gli estremi della sentenza; - l’esposizione dei fatti in modo sommario; - l’oggetto della domanda; - i motivi specifici dell’impugnazione; - la sottoscrizione dell’appellante. Se manca o è incerto uno degli elementi suddetti, il ricorso in appello è inammissibile. In particolare, l’esposizione sommaria deve essere chiara e intelligibile, come i motivi dell’appello, per consentire con una rapida lettura al giudice e alle controparti l’individuazione dell’oggetto e le ragioni del gravame. Il ricorso in appello deve essere notificato o spedito o consegnato all’impiegato dell’Ufficio che ha emesso l’atto impugnato, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza e, nei successivi 30 giorni, deve essere depositato presso la segreteria della Commissione regionale, a pena d’inammissibilità. Questa norma è stata ritenuta illegittima dalla Corte, Costituzionale con sent. n. 520 del 21 novembre 2002, «nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale». Di conseguenza, quindi, anche l’adempimento della costituzione in giudizio può avvenire con invio in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, intendendosi proposto al momento della spedizione, ai fini del rispetto dei termini (art. 20). Nell’appello, le questioni ed eccezioni che non sono state accolte dalla Commissione di primo grado, e non specificamente riproposte, s’intendono rinunciate (art. 58). Non possono essere proposte nuove domande o eccezioni che non siano state sollevate in primo grado, ma è consentito presentare nuovi documenti relativi all’oggetto. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con sent. n. 2027 dell’11 febbraio 2003, ha stabilito che «il ricorrente può produrre nuovi documenti nel giudizio d’appello, innanzi alla Commissione tributaria regionale, senza dover fornire le prove dell’impossibilità di depositarli in primo grado». Il controricorso se è l’Ufficio a essere appellato L’Ufficio appellato deve costituirsi in giudizio entro 60 giorni dalla notifica dell’appello, depositando un apposito atto di controdeduzioni alle argomentazioni dell’appellante. In tale circostanza è ammessa la presentazione di appello incidentale.
n. 3-4/2007 Tuttavia, il giudice tributario, d’Ufficio, può dichia rare inammissibile il ricorso in appello proposto dall’ufficio periferico (del Ministero), se non è stato preventivamente autorizzato dalla Direzione regionale delle Entrate o del Territorio, ai sensi di quanto stabilito dalla Cassazione, Sez. Unite, con la sent. n. 6633 del 29 aprile 2003. L’eventuale autorizzazione in data posteriore alla costituzione in giudizio è da ritenersi inammissibile (cfr. Cass., Sez. trib., sent. n. 4770, 9 marzo 2004). L’esistenza e la validità dell’autorizzazione, possono essere verificate sia dal giudice d’appello sia dalla Cassazione, trattandosi di una condizione d’ammissibilità del gravame. Infatti, dal 1° gennaio 2001, i poteri già di pertinenza dei Dipartimenti centrali dei Ministero sono stati trasferiti alle Agenzie, con il D.M. 28 dicembre 2000, per cui le autorizzazioni alle impugnazioni rientrano oggi fra i compiti delle Direzioni regionali delle Agenzie medesime (Entrate, Territorio, Demanio, Dogane). Tale circostanza deve essere tenuta in particolare evidenza dal contribuente, in quanto la verifica d’esistenza dell’autorizzazione, nel fascicolo depo sitato nella segreteria della Commissione regionale, o della Cassazione, potrebbe costituire un atout, che consente di vincere la causa prima di iniziarla, semplicemente segnalandone l’eventuale mancanza al giudice. Il ricorso per Cassazione Le parti legittimate al ricorso per Cassazione sono quelle che hanno agito nella Commissione di primo grado e quelle destinatarie di una sentenza d’appello (art. 62), in quanto per il ricorso in Cassazione si applicano le norme del codice di procedura civile e il comma 1 dell’art. 360, il ricorso per Cassazione, che deve essere necessariamente sottoscritto da un avvocato iscritto nell’apposito Albo, con domicilio in Roma (artt. 365 e 366 cod. proc. civ.), deve contenere i seguenti elementi: - l’indicazione delle parti; - l’indicazione della sentenza o decisione impugnata; - l’esposizione sommaria dei fatti della causa; - i motivi per i quali si richiede la cassazione; - l’indicazione della procura alla difesa, conferita con atto separato o del decreto che stabilisce il gratuito patrocinio. Motivi del ricorso Il ricorso per Cassazione può essere proposto per i seguenti motivi (art. 62): a. motivi attinenti alla giurisdizione; b. violazione delle norme sulla competenza, che nel processo tributario si limita al ricorso contro la Commissione tributaria, dichiarativa della propria competenza, con rigetto delle eccezioni di parte; c. violazione o falsa applicazione di norme del diritto (per esempio: violazione delle norme sull’ammissione delle prove, testimonianze e giuramento, non ammesse);
Fisco d. nullità della sentenza o del procedimento (irregolare costituzione delle parti ecc.); e. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio. Deposito del ricorso Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte di Cassazione, a pena di improcedibilità, nel termine di 60 giorni dalla notificazione della sentenza (art. 62), ovvero entro un anno dalla pubblicazione, se la notifica della sentenza non è avvenuta (art. 327 cod. proc. civ.), e nei successivi 20 giorni deve essere notificato alla controparte, in sieme al ricorso devono essere presentati: - l’eventuale decreto del gratuito patrocinio; - copia autentica della sentenza o della decisione impugnata; con relata di notifica; - procura speciale se questa è conferita con atto separato; - gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda. Il ricorrente (deve chiedere alla segreteria della Commissione tributaria provinciale o regionale, che ha pronunciato la sentenza impugnata, la trasmis sione alla cancelleria della Corte di Cassazione del fascicolo d’ufficio. Il controricorso dell’Ufficio La parte contro la quale il ricorso è diretto, se in tende contraddire, deve farlo mediante controricorso, entro 60 giorni della notificazione della sen tenza alle Agenzie e non all’Avvocatura di Stato (Cass., sent. n. 12075,1 luglio 2004), e deve essere a sua volta notificato al ricorrente entro 20 giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. Di parere contrario, invece, la sent. n. 18151 del 13 settembre 2005, che ritiene destinataria del ricorso l’Avvocatura di Stato e non l’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate in materia tributaria, a pena di inammissibilità per erronea individuazione della parte, per cui sull’argomento è prevedibile una prossima pronuncia delle Sezioni Unite. Mancando tale notificazione, l’amministrazione finanziaria non può presentare memorie, ma solo partecipare alla discussione orale. Il controricorso deve essere sot toscritto da un avvocato iscritto all’apposito Albo, munito di procura speciale, e deve avere lo stesso contenuto del ricorso (art. 370, cod. proc. civ.), ma si colloca rispetto a questo come mezzo di difesa, per cui richiede l’esposizione sommaria dei fatti che deve ritenersi rispettata, quando contenga il riferi mento ai fatti esposti nella sentenza. Produzione di altre documentazioni e memorie Nel ricorso per Cassazione non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne quelli che riguar dano la nullità della sentenza e l’ammissibilità del ricorso e controricorso.
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n. 3-4/ 2007
DEFINITI I CRITERI DI DETERMINAZIONE DEL VALORE “NORMALE” DEI FABBRICATI di Franco Guazzone
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on provvedimento del 27 luglio scorso, l’Agenzia delle entrate ha stabilito i criteri per determinare il valore degli immobili oggetto di compravendita, ai fini dell’Iva, delle imposte sui redditi e dell’imposta di registro, in attuazione della Finanziaria 2007. Il punto di riferimento per il calcolo del valore normale è l’OMI, Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del territorio, che ogni sei mesi rileva le quotazioni minime e massime dei fabbricati in base a coordinate spaziali e temporali.
dichiarato non dovrà più essere confrontato con quello catastale ma con quello “normale” praticato sul mercato per immobili similari posti nella stessa zona, rilevabili dalle mercuriali o listini della Camera di Commercio competente, come precisato dall’art 14 del D.P.R. 633/1972, a cui il provvedimento rimanda. Di conseguenza il legislatore, con l’art. 1, comma 307 della legge 296/2006 (Finanziaria 2007), ha disposto che i criteri per individuare detto valore “normale” avrebbero dovuto essere precisati dal direttore dell’Agenzia delle entrate, che difatti ha emanato un apposito provvedimento, datato 27 luglio 2007.
A seguito dei provvedimenti emanati con l’art. 35 del D.L. 223/2006, convertito dalla legge 248/2006, è stata rimossa la disposizione dell’art. 52, comma 4, del D.P.R. 131/1986 che, nel caso di trasferimenti immobiliari effettuati a qualunque titolo, impediva agli Uffici delle Entrate di rettificare il valore dichiarato, qualora fosse risultato uguale o superiore a quello catastale, risultante dalla capitalizzazione della rendita dei fabbricati, con le sole eccezioni di cessione di abitazioni a favore di persone fisiche non titolari di partita Iva e di quelle relative alle successioni e donazioni (art. 34, T.U. 346/1990). In sostanza, pertanto, qualora nei trasferimenti di fabbricati e/o diritti reali relativi, effettuati anche in regime Iva, il valore
atura e utilizzo del valore normale Il documento stabilisce, in primo luogo, che il valore normale dei fabbricati è quello periodicamente fissato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del territorio e deve essere applicato ai fini fiscali nel calcolo degli imponibili: a. dell’imposta sul valore aggiunto, di cui all’art. 14 del D.P.R. 633/1973; b. delle imposte dirette di cui all’art. 9, comma 3, del D.P.R. 917/1986; c. delle imposte di registro, catastali e ipotecarie di cui all’art. 51, comma 3, del D.P.R. 131/1986. In particolare, il valore normale deve corrispondere a quello
Tabella 1 Calcolo della consistenza catastale dei gruppi ordinari espressa in metri quadrati Criteri di calcolo delle superfici: la superficie catastale comprende per intero le murature interne, quelle perimetrali (fino ad un max di 50 cm), oltre al 50% di quelle in comunione (fino ad un max di cm 25), arrotondata al metro quadro. La superficie delle pertinenze e dei vani accessori, al servizio indiretto di quelli principali, entra nel computo fino a un massimo della metà dei vani principali per le categorie dei Gruppi P e R. La superficie dei locali principali e loro accessori diretti o loro porzioni, aventi altezza interna inferiore a m 1,50, non entra nel computo della consistenza catastale.
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n. 3-4/2007 unitario, definito semestralmente dall’OMI, per la zona omogenea di riferimento nel territorio di ciascun comune, per fabbricati di ogni destinazione, moltiplicato per la superficie catastale (calcolata in base ai criteri dell’art. 3, del D.P.R. 138/1998), comprensiva delle murature interne ed esterne, il 50% per quelle in confine, il 30% per i balconi, il 15% per i terrazzi fino a 25 mq e il 5% per la parte eccedente, il 50% delle cantine con accesso diretto (sottonegozi o cantinette), il 25% per cantine e soffitte, il 50% per i retri dei negozi (tabella 1). Tuttavia, non sempre le tipologie di immobili rilevate dall’OMI sono corrispondenti a quelle catastali, per cui al provvedimento è annesso un allegato che indica le procedure per stabilire il valore normale, dato dalla media fra il valore unitario minimo e massimo indicato dall’OMI, corretto con alcuni coefficienti in diminuzione fino al 20%, per le abitazioni di tipo popolare, ultrapopolare e rurale, partendo da quelle economiche o in aumento per quelle in ville, fino al 10%, abitazioni signorili e castelli, fino al 50%, partendo dal valore OMI dei villini. Sono altresì previste riduzioni delle superfici fra 45 e 150 mq, nonché coefficienti d’incremento da 0,2 a 1 per considerare il livello di piano (tabella 2).
possesso degli uffici medesimi, quali gli accertamenti divenuti definitivi per fabbricati similari, ubicati nella zona o per atti stipulati nel precedente triennio, ma anche per offerte di vendita al pubblico tramite i media. La tassazione dei trasferimenti immobiliari Nel caso di trasferimenti di immobili o diritti reali relativi, quindi escludendo le compravendite di abitazioni da parte di persone fisiche, non titolari di partita Iva, per i quali le imposte indirette si assolvono in base al “valore catastale” e dei trasferimenti per mortis causa o donazioni, purché l’agevolazione venga richiesta e si dichiari in atto il prezzo effettivamente pagato (art. 1, comma 497, legge 266/2005), gli Uffici delle Entrate potranno effettuare le rettifiche dei valori dichiarati, ogni qualvolta risultassero inferiori a quello normale, anche nel caso di cessioni in regime di Iva, che comporteranno rettifiche anche del volume d’affari annuo dichiarato. Considerazioni conclusive Il provvedimento in esame pone finalmente un punto fermo su una questione della massima importanza, costituita dalla
Tabella 2 Esempio di calcolo del valore normale di fabbricati le cui tipologie non sono rilevate dall’OMI Nb. Il calcolo è basato sulla formula inserita nell’allegato: valore normale = (Val. OMI min + max)/2xk, dove K=(K1+3xK2)/4
Le metodologie di misurazione nei mercati immobiliari I criteri di calcolo della superficie catastale, peraltro, coincidono solo in linea di massima con quelli utilizzati dalle mercuriali pubblicate dalle associazioni dei mediatori (Fiaip), dagli Agenti immobiliari di Milano (Caam), dai borsini immobiliari di Milano, Torino, Roma ecc., che si riferiscono ai metodi rilevati dalle Commissioni provinciali degli Usi e Consuetudini locali, le quali applicano per balconi, terrazzi, cantine percentuali più elevate, considerano la superficie dei retri di negozi al 100% e al totale, e aggiungono in proporzione millesimale a ciascuna unità immobiliare la superficie delle parti comuni (atrio, scale, corridoi soffitte e cantine, locali comuni, cortili e aree scoperte ecc.). Ovviamente le difformità fra i due sistemi influenzano i valori unitari indicati nei predetti listini, che appaiono generalmente più bassi di quelli OMI, che peraltro con detti istituti e con Scenari Immobiliari, Nomisma, Cresme ha stipulato apposite convenzioni di collaborazione. Ovviamente, i valori normali come sopra calcolati potranno essere modificati dagli Uffici delle Entrate anche in base ad altri parametri dell’edificio, quali la vetustà o il particolare degrado, lo stato di conservazione, lo stato di occupazione per contratti in essere, ma anche per la presenza di eventuali vincoli di carattere storicoartistico dell’edificio, ovvero per destinazione di Piano regolatore, se preordinati all’esproprio. Potranno, inoltre, essere utilizzate tutte le informazioni in
definizione del valore normale, richiamato nella normativa fiscale diretta, indiretta e di valore aggiunto, che per il futuro è destinata a influenzare il comportamento dei contribuenti, i quali prima di stipulare un atto dovranno verificare se il prezzo concordato per la vendita di fabbricati risulti congruo rispetto a quello dell'OMI, che ormai costituisce il riferimento ufficiale di comparazione, per i trasferimenti immobiliari, eliminando quasi del tutto lo spazio per eventuali contenziosi. Le conseguenze non mancheranno di farsi sentire, riducendo grandemente l'area dell'evasione ed elusione dalle predette imposte, in precedenza legalmente praticate, in vigenza dell'art. 52, comma 4, del D.P.R. 131/1986, ormai di fatto superato, comportando peraltro un'impennata nei costi fiscali di acquisto dei fabbricati, diversi dalle abitazioni, che si rifletteranno sulle imposte dirette (plusvalenze), in quanto in base a una proiezione fatta su 11 capoluoghi di provincia, su abitazioni, uffici, negozi e capannoni, ne II Sole 24 ORE del 13 agosto 2007, è risultata una divergenza fra il valore catastale e quello normale medio del 150%. Per quanto concerne la parte strettamente tecnico-estimale del provvedimento, sarà opportuno che TOMI in futuro provveda a rilevare anche i valori degli immobili di vecchia costruzione di tipo popolare e di ogni tipologia effettivamente presente sul mercato, per evitare l'artificiosa procedura di trasformazione dei valori, varata con l'allegato al provvedimento, eccessivamente complessa e nient'affatto flessibile. «Consulente Immobiliare»
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n. 3-4/ 2007
AGENZIA DELLE ENTRATE Provvedimento 27 luglio 2007
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isposizioni in materia di individuazione dei criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati di cui all’articolo 1, comma 307 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007). G. U. n. 182 del 7 agosto 2007
Il Direttore dell’Agenzia In base alle attribuzioni conferitegli dalle norme riportate nel seguito del presente provvedimento, dispone: 1. Determinazione del valore normale dei fabbricati 1.1 Ai fini della uniforme e corretta applicazione delle norme di cui all’articolo 54, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, all’articolo 39, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 52 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, i criteri utili per la determinazione periodica del valore normale dei fabbricati ai sensi dell’articolo 14 del citato decreto n. 633 del 1972, dell’articolo 9, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dell’articolo 51, comma 3, del citato decreto n. 131 del 1986, sono stabiliti sulla base dei valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio e di coefficienti di merito relativi alle caratteristiche che influenzano il valore dell’immobile, integrati dalle altre informazioni in possesso dell’ufficio. 1.2 Ai fini del punto precedente, il valore normale dell’immobile è determinato dal prodotto fra la superficie in metri quadri risultante dal certificato catastale ovvero, in mancanza, calcolata ai sensi dell’Allegato C al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138 ed il valore unitario determinato sulla base delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare e dei coefficienti di merito relativi alle caratteristiche dell’immobile. Le quotazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare sono riferite alla relativa zona omogenea ovvero, in mancanza, a quella limitrofa o analoga censita, al periodo dell’atto di compravendita o a quello antecedente in cui è stato pattuito il prezzo con atto avente data certa, e allo stato conservativo “normale”. I coefficienti di merito relativi alle caratteristiche dell’immobile attengono in particolare al taglio, al livello del piano e alla categoria catastale, secondo le modalità indicate in allegato. 1.3 Per gli immobili diversi dalle abitazioni il valore normale è determinato dalla media fra il valore minimo e massimo espresso dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare riferite al periodo dell’atto di compravendita e allo stato conservativo “normale” per la specifica destinazione d’uso dell’immobile ivi censita, in particolare “negozi”, “magazzini”, “uffici”, “capannoni industriali”, “capannoni tipici”, “laboratori”, “autorimesse”, “posti auto scoperti”, “posti auto coperti”, “box”.
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1.4 Per gli immobili ultimati o ristrutturati da non più di quattro anni, il valore normale si determina sulla base dello stato conservativo “ottimo” censito dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare ovvero, in mancanza, applicando al valore determinato ai punti 1.2 e 1.3 un moltiplicatore pari a 1,3. 1.5 Al fine di integrare il valore normale dell’immobile occorre tenere conto anche dei seguenti ulteriori criteri in possesso dell’ufficio: - valore del mutuo, per gli atti soggetti a Iva, nel caso sia di importo superiore a quello della compravendita; - prezzi effettivamente praticati che emergono dalle compravendite fra privati per la stessa zona nello stesso periodo temporale; - prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi in base all’osservazione diretta dei costi sostenuti per la costruzione, ad altre prove certe e, in particolare, alle risultanze delle indagini finanziarie; - prezzi che emergono da offerte di vendita del soggetto controllato; - prezzi che emergono da offerte di vendita al pubblico tramite i media; - prezzi che emergono da analoghe vendite eseguite dal soggetto controllato; - ristrutturazioni desunte dai dati relativi ai permessi di costruire e alle D.I.A. (denunce di inizio attività) trasmesse dai comuni e alle detrazioni dichiarate per spese di recupero del patrimonio edilizio. 1.6 Il valore normale determinato con le modalità rappresentate nei punti precedenti è periodicamente sottoposto a variazioni. Motivazioni Le disposizioni del presente provvedimento rispondono all’esigenza di determinare periodicamente in modo unitario il valore normale degli immobili oggetto di compravendita nei settori dell’imposta sul valore aggiunto, delle imposte sui redditi e dell’imposta di registro. Il decreto legge n. 223 del 2006 ha dato la possibilità agli uffici delle entrate di determinare, nell’ambito delle cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova dell’esistenza o inesattezza delle operazioni imponibili sulla base del valore normale dell’immobile. Per la determinazione del valore normale sono stati individuati criteri che rispondono ad esigenze di uniformità e correttezza, associando ad un valore fisso altri valori dinamici che possano evitare automatismi e raggiungere l’obiettivo di una maggiore aderenza alla realtà dei prezzi praticati nel mercato immobiliare. Il primo degli elementi del calcolo è tratto dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio che, con cadenza semestrale, pubblica le quotazioni del mercato immobiliare stabilite con criteri scientifici. La seconda griglia di elementi – compresa la tabella di adeguamento delle categorie catastali - è data da una serie di
n. 3-4/2007 elementi particolari desunti da analisi dei principali osservatori immobiliari che consente di “personalizzare” il valore dell’immobile nell’ambito del valore di mercato della zona di appartenenza. La terza griglia di elementi è rappresentata dalle altre informazioni in possesso dell’ufficio che possono adeguare maggiormente alla realtà l’aspetto personalizzato della valorizzazione dell’immobile. Il moltiplicatore da applicare – per gli immobili nuovi o ristrutturati da non più di quattro anni - al valore definito con le modalità previste nell’allegato al provvedimento, in caso di mancanza dello stato conservativo “ottimo”, è stato determinato sulla base di analisi effettuate sui dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio e di altri rilevanti osservatori, dello scostamento riscontrato fra atti di compravendita di abitazioni nuove rispetto alle quotazioni O.M.I. e dai risultati di accertamenti eseguiti dall’Agenzia delle Entrate. Riferimenti normativi a) Attribuzioni del Direttore dell’Agenzia delle Entrate: decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (art. 57; art. 62; art. 66; art. 67, comma 1; art. 68 comma 1; art.71, comma 3, lettera a); art. 73, comma 4); statuto dell’Agenzia delle entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001 (art. 5, comma 1; art. 6, comma 1); regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001 (art. 2, comma 1); decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 12 febbraio 2001. b) Disciplina normativa di riferimento: legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007); decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600; testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131; testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Roma, 27 luglio 2007 Il Direttore dell’Agenzia Massimo Romano
Allegato “Disposizioni in materia di individuazione dei criteri utili per la determinazione del valore nor male dei fabbricati di cui all’art. 1, comma 307 della legge 296 del 27 dicembre 2006 (legge finanziaria 2007)”. 1. Determinazione del valore normale degli immobili residenziali Il valore normale degli immobili residenziali è dato dal
Fisco prodotto tra il valore normale unitario e la superficie espressa in metri quadrati. Valore normale = Valore normale unitario x superficie (mq) Il valore normale unitario degli immobili residenziali di cui al punto 1.2 del provvedimento è determinato dall’applicazione della seguente formula: Valore normale unitario = Val OMI MI + (Val OMI MAX - Val OMI MI) x K dove Val OMI MI e Val OMI MAX indicano rispettivamente i valori minimi e massimi espressi in €/mq rinvenibili nella banca dati dell’Osser- 1677 vatorio del Mercato Immobiliare con riferimento alla provincia, al comune e alla zona omogenea OMI in cui si colloca l’immobile considerato ovvero, in mancanza, a quella limitrofa o analoga censita, e con riguardo al periodo di riferimento dell’atto di compravendita. K rappresenta la media ponderata di due coefficienti, K1 (taglio superficie) e K2 (livello di piano), ed è calcolato sulla base della seguente formula: K = (K1 + 3 x K2) / 4 dove K1 (Taglio superficie) = fino a 45 mq 1 oltre 45 mq fino a 70 mq 0.8 oltre 70 mq fino a 120 mq 0.5 oltre120 mq fino a 150 mq 0.3 oltre 150 mq 0 K2 (Livello di piano) = piano seminterrato 0 piano terreno 0,2 piano primo 0,4 piano intermedio 0,5 piano ultimo 0,8 piano attico 1 2. Coefficienti di adeguamento della categoria catastale Conversione da categoria catastale a tipologia edilizia OMI Le categorie catastali delle unità immobiliari (Tab. 1, col. 1) trovano corrispondenza nelle tipologie edi lizie OMI sotto elencate (Tab. 1, col. 2). Poiché queste ultime accorpano talvolta più categorie catastali, occorre in tal caso adeguare il valore normale moltiplicandolo o dividendolo per i coefficienti correttivi indicati (Tab. 1, col. 3). Conversione della tipologia edilizia OMI, in caso di quotazione mancante Si rappresenta inoltre che, in mancanza di una specifica quotazione OMI per una determinata tipologia edilizia nella zona di interesse, occorre riferire la categoria catastale in esame alla tipologia edilizia OMI più prossima, applicando al valore normale l’ulteriore coefficiente correttivo sotto riportato (Tab. 2, col. 3). In caso di passaggi multipli, i coefficienti correttivi saranno cumulati. La tabella riporta i coefficienti correttivi per le conversioni da una tipologia edilizia OMI inferiore ad una superiore. Si intende che laddove si rendesse necessario convertire una tipologia edilizia OMI superiore in una inferiore, occorrerà invertire di segno l’operazione (es.: ÷1,20 anziché x 1,20).
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Tabella 1 - (Conversione da categoria catastale a tipologia edilizia OMI)
Tabella 2 Conversione della tipologia edilizia OMI, in caso di quotazione mancante
3. Esempi di determinazione del valore normale 1. Tipo residenziale non nuovo Ipotesi: Cessione di unità immobiliare di tipo residenziale, non nuova, di superficie di mq 120, categoria catastale A/4 (abitazione di tipo popolare), piano attico.
Tipologia edilizia OMI corrispondente = Abitazioni economiche -» quotazione assente Tipologia edilizia OMI più prossima censita -» Abitazioni civili Stato conservativo “NORMALE” Val OMI MI 2.000 euro/mq Val OMI MAX 3.500 euro/mq Calcolo: K1 (Taglio superficie) = 0,5 K2 (Livello di piano) = 1 K = (0,5 + 3 x 1) / 4 = 0,875 Valore normale unitario (abitazioni civili) = 2000 + (3.500 - 2.000) x 0,875 = 3.312,5 € Correzione tipologia edilizia OMI (da abitazioni civili ad A/4) Valore normale unitario = 3.312,5 ÷1,05 ÷1,20 = 2.629 € Valore normale = 2.629 € x 120 mq = 315.480 euro 2. Tipo residenziale nuovo Ipotesi: Cessione di unità immobiliare di tipo residenziale, ultimata da un anno, di superficie di mq 50, ca tegoria catastale A/2 (abitazione di tipo civile), piano primo. Tipologia edilizia OMI corrispondente = Abitazioni civili -» quotazione presente Stato conservativo “OTTIMO” -» quotazione assente Stato conservativo “NORMALE”: Val OMI MI 3.000 euro/mq Val OMI MAX 5.000 euro/mq Calcolo: K1 (Taglio superficie) = 0,8 K2 (Livello di piano) = 0,4 K = (0,8 + 3 x 0,4) / 4 = 0,5 Valore normale unitario = 3.000 + (5.000 - 3.000) x 0,5 = 4.000 € Valore normale (fabbricato non nuovo) = 4.000 € x 50 mq = 200.000 euro Valore normale (fabbricato nuovo) = 200.000 € x 1,3 = 260.000 euro 3. Tipo diverso da abitazione Ipotesi: Cessione di unità immobiliare con destinazione ufficio, ultimata da un anno, di superficie di mq 75, categoria catastale A/10 (uffici e studi privati). Tipologia edilizia OMI corrispondente = Uffici -» quotazione presente Stato conservativo “OTTIMO” -» quotazione presente Val OMI MI 3.500 euro/mq Val OMI MAX 6.000 euro/mq Calcolo: Valore normale unitario (uffici) = (3.500 + 6.000) ÷ 2 = 4.750 € Valore normale = 4.750 € x 75 mq = 356.250 euro. «Consulente Immobiliare»
Il castello di Caccuri (da La Calabria - Editalia - Edizioni di Italia)
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AGENZIA DELLE ENTRATE Riconoscimento della ruralità delle costruzioni Risoluzione del 22.5.2007 n. 111
L
a Direzione in indirizzo ha posto un quesito concernente il trattamento delle richieste di certificazione avanzate da alcuni contribuenti - per il riconoscimento della ruralità dei fabbricati. La richiesta si ricollega alla istanza presentata dalla sig.ra Alfa, la quale ha chiesto all’Ufficio di ... la verifica straordinaria per la concessione della ruralità per alcune unità immobiliari. Al riguardo si osserva quanto segue. Il disposto dell’art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557 convertito dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133 impone, ai fini di realizzare l’inventario del patrimonio edilizio, l’iscrizione di tutti i fabbricati nell’archivio catastale. Tuttavia tale iscrizione non comporta, ipso facto, la perdita dei requisiti di ruralità dei fabbricati, in quanto la medesima norma prevede, infatti, che il catasto in cui i fabbricati debbano essere iscritti - il catasto edilizio urbano - cambi nome, da catasto edilizio urbano a catasto fabbricati e che i fabbricati rurali iscritti in detto archivio mantengano la qualificazione di ruralità. Con apposito regolamento emanato con DPR 23 marzo 1998, n. 139, sono stati definiti i nuovi criteri di riconoscimento della ruralità ai fini fiscali. Sulla base di tali nuove disposizioni i fabbricati rurali vengono suddivisi in due categorie: a) fabbricati o porzioni di essi destinati ad edilizia abitativa; b)costruzioni strumentali all’attività agricola. Con particolare riferimento alla prima categoria, il citato DPR 139 del 1998 stabilisce che al fine di poter riconoscere come rurale un fabbricato è necessario che sussistano congiuntamente tutte le seguenti condizioni: 1) il fabbricato deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno agricolo o detenuto dall’affittuario o dal conduttore del terreno stesso, ovvero da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta autonomamente in agricoltura; 2) l’immobile deve essere utilizzato, quale abitazione o per usi agricoli, dai soggetti di cui al punto precedente, sulla base di un titolo idoneo, od utilizzato da dipendenti di attività agricole a tempo indeterminato od assunti a tempo determinato per un periodo non inferiore a cento giornate, ovvero senza limiti di tempo in caso di attività di alpeggio in zone di montagna; 3) il terreno a cui il fabbricato è asservito deve avere una superficie non inferiore a 10.000 mq e deve essere censito al catasto terreni con attribuzione di specifico reddito agrario.
La superficie da considerare a tale scopo è ridotta a mq 3.000 se il terreno è utilizzato per coltivazioni intensive o culture specializzate in serra o per la funghicoltura; 4) il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto conduttore del fondo deve essere superiore alla metà del suo reddito complessivo. Da tale reddito devono essere esclusi i trattamenti pensionistici erogati a seguito di attività svolta in agricoltura. Nel caso di terreni montani detto limite è ridotto dalla metà ad un quarto. Per coloro che non presentano la dichiarazione I.V.A. il volume di affari deve essere assunto pari al limite massimo previsto per l’esonero dalla presentazione della dichiarazione ai sensi dell’articolo 34 del D.P.R. n. 633 del 1972; 5) il fabbricato non deve essere, comunque, riconducibile alle categorie catastali A/1 od A/8, cioè non deve essere definito abitazione di lusso ai sensi del D.M. 2 Agosto 1969. Alla luce di questi elementi si ritiene che, considerata la spiccata autonomia tra la disciplina catastale e quella fiscale, il riconoscimento della ruralità di cui al citato articolo 2 del D.P.R. n. 139 del 1998 discende automaticamente dalla medesima norma al verificarsi di tutte le condizioni in essa individuate. Si è del parere, pertanto, che non sia necessario ai fini del predetto riconoscimento uno specifico provvedimento certificatorio da parte dell’amministrazione finanziaria che attesti la ruralità del fabbricato; tale adempimento non è previsto infatti in alcuna disposizione di legge o di prassi amministrativa. Né sembra possa ravvisarsi un onere di certificazione nella circolare n. 96 del 9 aprile 1998 emanata dal Dipartimento del Territorio, laddove si afferma che: “la valutazione della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento ai fini fiscali della ruralità delle costruzioni è compito precipuo degli uffici preposti all’accertamento delle imposte sugli immobili”. Quanto affermato nella citata circolare attiene invero esclusivamente alle ordinarie prerogative esercitabili dall’Agenzia delle entrate in sede di eventuale controllo dei redditi imputabili ai predetti fabbricati. In conclusione si ritiene che non sussista alcun obbligo in capo agli Uffici dell’Agenzia delle entrate di rilasciare certificazioni che attestino la ruralità di un fabbricato. Sarà cura del soggetto che chiede l’accatastamento o la variazione di accatastamento, valutare la ricorrenza di tutte le condizioni previste dalla norma al fine di qualificare rurale il proprio fabbricato e, in caso positivo, applicare le norme che ne disciplinano il regime fiscale.
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n. 3-4/ 2007
AGENZIA DEL TERRITORIO Circolare n. 12 dell’8 novembre 2007 rovvedimento 9 ottobre 2007 - Definizione delle modalità e delle specifiche tecniche relative alla forma e alla trasmissione telematica della comunicazione prevista dall’articolo 13, comma 8-septies, del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 - Chiarimenti operativi.
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1. Premessa Come è noto con due distinti provvedimenti, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2007, questa Agenzia ha provveduto a dare attuazione alle disposizioni di cui ai commi da 8-sexies a 8-quaterdecies dell’articolo 13 del decreto legge n. 7 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 40 del 2007, in materia di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia di mutui concessi da soggetti esercenti attività bancaria o finanziaria, nonché da enti di previdenza obbligatoria. Con decreto interdirigenziale 23 maggio 2007, emanato di concerto con il Capo del Dipartimento degli Affari di giustizia del Ministero della giustizia, è stato infatti istituito, presso il Servizio di Pubblicità Immobiliare degli Uffici provinciali, un nuovo registro relativo alle comunicazioni attestanti l’avvenuta estinzione dell’obbligazione, che i soggetti creditori devono inviare al conservatore ai sensi del comma 8-septies del citato articolo 13. Con provvedimento 25 maggio 2007 sono stati invece definiti i contenuti e le modalità di trasmissione delle predette comunicazioni. Al fine di garantire la riferibilità della comunicazione al creditore ipotecario con modalità che consentano, nel contempo, tempestività e semplificazione nei relativi adempimenti, nel rispetto comunque dei principi sottesi al vigente sistema di pubblicità immobiliare, è stato previsto che le comunicazioni di cui trattasi vengano trasmesse al conservatore per via telematica. In sede di prima applicazione delle nuove disposizioni e nelle more dell’adeguamento delle procedure informatiche, peraltro, il citato provvedimento ha previsto un regime transitorio - durante il quale la trasmissione della comunicazione avviene tramite supporto informatico - rinviando ad un successivo intervento l’individuazione della data dalla quale l’invio telematico della comunicazione sarà reso obbligatorio, nonché la definizione delle relative procedure e specifiche tecniche. Tanto premesso, si evidenzia che nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 13 ottobre 2007 è stato pubblicato il provvedimento direttoriale 9 ottobre 2007, con il quale vengono fissate le modalità e le specifiche tecniche relative alla forma e alla trasmissione telematica della predetta comunicazione, sottoscritta con firma digitale. Viene inoltre stabilita l’attivazione di una fase sperimentale, a decorrere dal 5 novembre 2007, durante la quale
la trasmissione potrà essere effettuata in via telematica, in regime di facoltatività. Dal 1° marzo 2008 tale modalità di trasmissione diventerà invece obbligatoria. Si forniscono, di seguito, i primi chiarimenti in ordine alle nuove modalità di invio telematico, nonché alcune indicazioni operative circa la corretta gestione delle comunicazioni di cui trattasi. 2. Attività propedeutiche alla verifica della provenienza delle comunicazioni Il provvedimento dirigenziale 9 ottobre 2007 ha previsto uno specifico procedimento volto ad assicurare la riferibilità al creditore della comunicazione di cui al comma 8-septies dell’articolo 13 del decreto legge n. 7/2007, sottoscritta con firma digitale e trasmessa per via telematica al conservatore. A tale fine, il creditore - soggetto esercente attività bancaria o finanziaria, ovvero ente di previdenza obbligatoria trasmette preventivamente all’Agenzia, in forma cartacea, un apposito “atto-nomina”, sottoscritto dal legale rappresentante o da altro soggetto munito di idonei poteri, in cui vengono indicati i soggetti legittimati ad inviare e sottoscrivere l’elenco dei soggetti abilitati alla sottoscrizione ovvero alla trasmissione della citata comunicazione. In altri termini, ai fini della gestione del procedimento delineato dal comma 8-septies dell’articolo 13 del decreto legge n. 7/2007, il provvedimento 9 ottobre 2007 individua due distinte categorie di soggetti: “soggetti legittimati”: si tratta di soggetti individuati dal creditore attraverso un apposito “atto-nomina”, legittimati alla sottoscrizione degli elenchi contenenti i nominativi dei soggetti abilitati alla sottoscrizione ovvero alla trasmissione della comunicazione prevista dal citato comma 8-septies; “soggetti abilitati”: si tratta dei soggetti abilitati alla sottoscrizione ovvero alla trasmissione della predetta comunicazione (individuati, a loro volta, tramite gli elenchi sottoscritti dai “soggetti legittimati”). L’ “atto-nomina”, da redigersi in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, deve contenere le generalità complete, nonché il codice fiscale, dei soggetti legittimati all’invio dei predetti elenchi, nonché l’indicazione dei relativi poteri (non può escludersi che tra i soggetti legittimati figuri anche lo stesso legale rappresentante firmatario dell’ “attonomina”; in tal caso il suo nominativo dovrà comunque essere espressamente incluso nell’elenco di tali soggetti). L’ “atto-nomina” - unico e con valenza generale su tutto il territorio nazionale - va trasmesso all’Agenzia del Territorio - Ufficio provinciale di Roma - Servizio di Pubblicità Immobiliare 1 , in originale o in copia autentica, mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Detto Servizio effettuerà la validazione della elencazione dei soggetti legittimati contenuta nell’ “atto-nomina” per il successivo inserimento a sistema.
1 All’indirizzo: Agenzia del territorio - Ufficio provinciale di Roma – Servizio di Pubblicità Immobiliare - Via Edoardo Martini, 53 – 00169 Roma.
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n. 3-4/2007 In caso di modifica o variazione anche di uno solo dei “soggetti legittimati”, il creditore deve inviare, con le stesse modalità, un nuovo “atto-nomina” sostitutivo del precedente; ai fini del procedimento di cui trattasi, le modifiche e le variazioni saranno efficaci dal quinto giorno lavorativo successivo alla ricezione da parte dell’Agenzia del nuovo atto. Il creditore, oltre alle generalità e ai poteri dei “soggetti legittimati”, dovrà trasmettere all’Agenzia anche i relativi indirizzi di posta elettronica, che verranno utilizzati per la comunicazione dell’avvenuto accreditamento e l’invio delle necessarie istruzioni per il prelievo della password assegnata. I “soggetti legittimati”, una volta accreditati ad operare sul sistema telematico dell’Agenzia, possono accedervi, mediante l’inserimento del proprio codice fiscale e della password assegnata, per la trasmissione telematica degli elenchi dei “soggetti abilitati” alla sottoscrizione ovvero alla trasmissione delle comunicazioni. Gli elenchi dei “soggetti abilitati”, redatti in formato elettronico in conformità alle specifiche tecniche di cui all’Allegato “B” al provvedimento 9 ottobre 2007, dovranno essere sottoscritti dai “soggetti legittimati” mediante l’impiego di firma digitale. Ove un soggetto legittimato intenda sottoscrivere (ovvero trasmettere) personalmente le comunicazioni di estinzione dell’obbligazione, il suo nominativo dovrà comunque essere ricompreso nel relativo elenco dei soggetti abilitati. Ogni variazione o modifica concernente l’elenco dei “soggetti abilitati” è comunicata all’Agenzia con le stesse modalità ed ha efficacia dal momento della ricezione; in altri termini, il nuovo file dovrà contenere solo i nominativi dei soggetti cui viene conferita ex novo l’abilitazione alla sottoscrizione ovvero alla trasmissione delle comunicazioni di cui trattasi e/o quelli dei soggetti che dovessero eventualmente essere espunti dall’elenco. Si precisa, al riguardo, che l’attività di sottoscrizione delle comunicazioni e quella di trasmissione delle stesse potrebbe essere esercitata da soggetti diversi e pertanto le relative abilitazioni possono essere conferite disgiuntamente. A tale fine, nell’elenco dei soggetti abilitati deve essere espressamente specificata la funzione conferita (sottoscrizione; trasmissione; ovvero sottoscrizione e trasmissione). 3. Contenuto della comunicazione La verifica della provenienza delle comunicazioni trasmesse per via telematica è effettuata dagli Uffici con le modalità previste dall’articolo 2 del provvedimento 9 ottobre 2007. In particolare, la verifica della sottoscrizione e della legittimazione dei soggetti sottoscrittori (cioè dei “soggetti abilitati”) verrà effettuata utilizzando l’elenco trasmesso dal creditore ed inserito a sistema previa validazione da parte dell’Agenzia. Le comunicazioni, redatte secondo le specifiche tecniche di cui all’allegato “A” del provvedimento 9 ottobre 2007, devono contenere gli elementi e i dati analiticamente indicati nell’articolo 2 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia 25 maggio 2007. Le predette specifiche risultano analoghe a quelle di cui all’allegato “A” del provvedimento 25 maggio 2007, attualmente in uso; si richiama tuttavia l’attenzione su alcuni significativi elementi di novità, di seguito evidenziati.
Fisco Datore di Ipoteca: è necessario indicare i dati anagrafici completi dei soggetti a carico dei quali è iscritta l’ipoteca, anche se coincidono con quelli dei debitori cui è rilasciata la quietanza. Debitore: è necessario indicare i dati anagrafici completi di ognuno dei debitori attuali, cui è stata rilasciata la quietanza. Creditore: andranno riportati i dati del creditore che invia la comunicazione. Nell’ipotesi in cui vi siano state modificazioni del lato attivo del rapporto obbligatorio -e, quindi, il creditore che rilascia la quietanza sia diverso da quello originariamente iscritto - è necessario indicare anche i dati di quest’ultimo. Tale evenienza può riscontrarsi, a titolo meramente esemplificativo, a seguito di fusioni o scissioni societarie ovvero, ancora, a seguito di una successione nel credito a titolo particolare, debitamente annotata a margine dell’ipoteca originaria, ai sensi dell’articolo 2843 del codice civile. In particolare, si ritiene opportuno richiamare l’attenzione sulla peculiare ipotesi delle cessioni di crediti “in blocco” di cui al comma 3 dell’articolo 58 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, per le quali, come è stato chiarito con la risoluzione n. 3 del 3 novembre 2006, è venuto meno il carattere obbligatorio dell’annotazione prevista dall’articolo 2843 c.c.. Nelle fattispecie sopra indicate è necessario utilizzare gli appositi campi, eventualmente anche in formato libero, per fornire ogni elemento utile a far emergere con chiarezza le vicende evolutive del rapporto obbligatorio. E ciò anche in caso di variazioni che, pur non comportando una modificazione, in senso sostanziale, della posizione giuridica del creditore, coinvolgano, comunque, aspetti di tipo formale, quali, la denominazione o la ragione sociale del creditore, ovvero la forma sociale. Qualora la vicenda modificativa del credito sia soggetta al particolare regime di pubblicità accessoria previsto dal citato articolo 2843 c.c. e non sia stata curata la prescritta annotazione, la comunicazione prevista dal comma 8-septies dell’articolo 13 del decreto legge n. 7/2007, non potrà che pervenire dal creditore iscritto, in coerenza peraltro con quanto disposto dall’articolo 2887, primo comma, c.c.. È stato inoltre predisposto un apposito campo libero, utilizzabile per l’indicazione di eventuali, ulteriori informazioni che fossero ritenute opportune (a titolo esemplificativo, l’eventuale vicenda successoria nel lato passivo del rapporto obbligatorio). 4. Trasmissione e ricezione della comunicazione Una volta predisposta la comunicazione, il soggetto abilitato procede ad effettuare il relativo invio. Si evidenzia, in proposito, che è possibile utilizzare un unico file per la trasmissione di più comunicazioni, purché le stesse si riferiscano tutte ad ipoteche iscritte presso lo stesso Servizio o Sezione staccata di Pubblicità Immobiliare. Ogni file, una volta pervenuto al sistema telematico dell’Agenzia, viene sottoposto in forma automatizzata ai controlli di conformità alle specifiche tecniche di cui all’Allegato “A” del provvedimento 9 ottobre 2007. In caso di non conformità alle suddette specifiche tecniche ed in caso di mancata sottoscrizione del file con firma digitale, la trasmissione si considera come non effettuata (cfr. articolo 1, comma 5, del provvedimento 9 ottobre
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2007), ed in tal caso il sistema rende disponibile al mittente la relativa informazione. In caso di esito positivo dei controlli di cui sopra, il file viene trasmesso al competente Servizio di Pubblicità Immobiliare, e da questo assunto a protocollo in modo automatico in base al giorno di arrivo, indipendentemente dall’ora. L’avvenuta trasmissione viene inoltre automaticamente segnalata al mittente dal sistema telematico. 5. Esame delle Comunicazioni L’Ufficio verifica giornalmente le comunicazioni telematiche pervenute e assunte a protocollo il giorno precedente e, quindi, procede ai necessari controlli sulla ricevibilità delle stesse. Se la comunicazione contiene dati incompleti o formalmente inesatti, ovvero non è sottoscritta in conformità a quanto previsto dall’articolo 2 del provvedimento in esame - perchè sottoscritta o trasmessa da un soggetto non ricompreso negli elenchi dei soggetti abilitati – la stessa è inefficace ai fini della cancellazione e pertanto irricevibile. In caso di esito positivo dei controlli sulla completezza ed esattezza formale dei dati contenuti nella comunicazione e sulla validità della firma digitale, l’Ufficio effettua le necessarie verifiche di coerenza e congruità della comunicazione con la formalità ipotecaria di riferimento; i controlli avranno ad oggetto, a titolo meramente esemplificativo: l’esistenza della formalità, la riferibilità dell’iscrizione al creditore che effettua la comunicazione, la corrispondenza dei datori di ipoteca indicati nella comunicazione con quelli presenti nella nota, ecc.. In tutti i casi in cui, a seguito dei predetti controlli e verifiche, emergano discordanze tali da rendere la comunicazione inefficace ai fini della cancellazione, l’Ufficio la dichiara inefficace ed irricevibile, provvedendo ad aggiornare in tal senso il protocollo. Se l’esame ha invece esito positivo, l’Ufficio, aggiornato in conseguenza il protocollo, effettua l’inserimento della
comunicazione nell’apposito registro, istituito con decreto interdirigenziale 23 maggio 2007. Si evidenzia che, all’attualità, nelle more dell’adeguamento delle procedure informatizzate di controllo sulla formalità di riferimento - di cui potranno disporre, a partire dalla fine del corrente anno, i Servizi di Pubblicità Immobiliare che migreranno nel nuovo sistema informativo ad architettura centralizzata - il riscontro tra il contenuto della comunicazione e quello della iscrizione ipotecaria di riferimento dovrà essere effettuato a cura dell’ufficio. Una volta completato l’esame delle comunicazioni contenute in ciascun file inviato ed effettuato il relativo aggiornamento del protocollo, il responsabile del competente. Servizio di Pubblicità Immobiliare trasmette al creditore, per via telematica, l’attestazione contenente l’elenco delle comunicazioni, corredato del numero di protocollo assegnato a ciascuna di esse nonché del relativo esito. L’avvenuta cancellazione viene inoltre successivamente segnalata dal sistema telematico. 6. Regime transitorio Fino all’entrata in vigore del regime di obbligatorietà dell’invio telematico, le comunicazioni possono essere presentate su supporto informatico, in conformità alle specifiche tecniche di cui all’allegato “A” al provvedimento 25 maggio 2007. In tal caso, ai fini del controllo della validità della firma, gli uffici effettueranno le necessarie verifiche sulla base degli elenchi cartacei depositati presso i medesimi uffici ai sensi dell’articolo 4 del predetto provvedimento. I Servizi di Pubblicità Immobiliare degli Uffici provinciali sono invitati al puntuale rispetto delle indicazioni impartite con la presente circolare e le Direzioni regionali a verificarne l’applicazione.
Catanzaro (incisione del 1600)
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Il Direttore dell’Agenzia Mario Picardi
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AGENZIA DELLE ENTRATE Circolare n. 13 del 20 novembre 2007 ancellazione di ipoteche ex art. 13, commi da 8sexies a 8- quaterdecies, del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40 - Cancellazione di ipoteca frazionata – Profili interpretativi.
C
1. Premessa L’art. 13, commi da 8-sexies a 8-quaterdecies, del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, (cd. decreto “Bersani-bis”), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, come è noto, ha introdotto nell’ordinamento norme di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia dei mutui concessi da soggetti esercenti attività bancaria o finanziaria, nonché da enti di previdenza obbligatoria. Questa Agenzia ha dato attuazione alle disposizioni richiamate con due distinti provvedimenti - di data, rispettivamente, 23 e 25 maggio 2007 - entrambi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 20071. In relazione alla portata e agli effetti del nuovo procedimento di cancellazione introdotto dal decreto in esame, la scrivente ha inoltre fornito i primi chiarimenti operativi di carattere generale con Circolare n. 5 del 1° giugno 2007, nella quale si precisa che lo stesso si ritiene “…applicabile unicamente alle cancellazioni totali e non anche alle restrizioni di ipoteca (ancorché riferibili all’avvenuto adempimento da parte di soggetti obbligati per quote del mutuo originario).”. Recentemente, sono pervenute da più parti numerose richieste di chiarimenti in ordine all’applicabilità o meno del procedimento di cui trattasi anche in presenza di iscrizioni ipotecarie frazionate, a garanzia di quote di mutuo - anch’esso frazionato – oggetto di accollo. Al fine di inquadrare correttamente la questione, appare opportuno premettere una pur sommaria ricognizione del quadro normativo civilistico di riferimento. 2. Il frazionamento dell’ipoteca: aspetti generali, natura ed efficacia L’ipotesi tipica di frazionamento dell’ipoteca è quella disciplinata dall’art. 39 del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 3852, secondo cui, nell’ambito del credito fondiario, “in caso di edificio o complesso condominiale, il debitore e il terzo acquirente del bene ipotecato hanno diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e, correlativamente, al frazionamento dell’ipoteca a garanzia. Il conservatore dei registri immobiliari annota la suddivisione e il frazionamento a margine dell’iscrizione presa.”3. Come è noto, il frazionamento dell’ipoteca, quanto alla sua natura giuridica, è configurabile come una rinuncia, da parte del creditore ipotecario, al principio di indivisibilità dell’ipoteca, sancito in via generale dal secondo comma dell’articolo
2809 del codice civile, in forza del quale la garanzia reale sussiste per intero su tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte. Per il principio di indivisibilità, dunque, ove i beni oggetto dell’ipoteca vengano divisi in porzioni - per effetto non solo della materiale divisione del compendio immobiliare, ma anche di una pluralità di alienazioni -, il creditore, in linea generale, può agire sulle singole porzioni per l’intero credito e, viceversa, può espropriarle unitariamente, prescindendo dalla intervenuta separazione. Sebbene l’articolo 2809, secondo comma, del codice civile si riferisca espressamente al solo oggetto dell’ipoteca, la dottrina prevalente configura l’indivisibilità anche come caratteristica del credito, riferendosi alla tendenziale insensibilità dell’ipoteca sia alle vicende modificative del credito che del bene. In altri termini, la prevalente dottrina ritiene che il principio della indivisibilità dell’ipoteca, quanto all’oggetto, non può essere valutato isolatamente, ma in correlazione ad altro analogo principio concernente il credito; il che significa, in altri termini, che anche le mutazioni relative al credito, di norma, non influiscono sulla entità del vincolo ipotecario, il quale resta inalterato così come originariamente costituito. L’art. 2809 c.c., rappresentando, in ultima analisi, una sorta di rafforzamento della garanzia ispirato a ragioni di tutela del credito, è finalizzato a realizzare una protezione dell’interesse del creditore che tuttavia può sempre disporre del proprio diritto operando una modificazione del rapporto ipotecario. Il bene, o la quota di esso, viene liberato dalla destinazione al soddisfacimento di tutta l’obbligazione originaria e il relativo vincolo viene limitato a quella parte di debito corrispondente all’interesse di colui al quale appartiene il bene stesso. Le speciali disposizioni sul credito fondiario citate, peraltro, configurano la possibilità di suddividere il credito e l’ipoteca come un vero e proprio diritto del debitore, nel senso che il creditore – nei casi specifici previsti – è tenuto a consentire non solo la suddivisione del mutuo in quote, preordinata all’accollo ad opera del terzo acquirente, ma anche il cosiddetto e correlato “frazionamento dell’ipoteca”; operazione, quest’ultima, attraverso cui l’originaria garanzia ipotecaria – iscritta, si sottolinea, in unica data e col medesimo grado – viene ad articolarsi in una pluralità di vincoli, ciascuno afferente ad una singola unità immobiliare. L’ipoteca, dunque, perde il carattere di indivisibilità – inteso come collegamento funzionale di ciascun singolo cespite all’intero credito – ma non quello dell’unicità; ciascun vincolo ipotecario, infatti, così come risultante dall’atto di frazionamento, manterrà il rango corrispondente a quello dell’iscrizione originaria, poiché il frazionamento non estingue l’ipoteca, ma ne determina soltanto una modificazione di tipo “divisionale”. In altri termini, l’annotazione del frazionamento a margine
1 Con provvedimento 9 ottobre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 13 ottobre 2007, sono stati inoltre fissati i termini, nonché le modalità e le specifiche tecniche relativi alla forma e alla trasmissione telematica della predetta comunicazione, sottoscritta con firma digitale. 2 Come modificato, da ultimo, con il d. lgs. 122/2005, il quale prevede un termine per la Banca per provvedere ed una specifica procedura giurisdizionale per la redazione dell’atto di frazionamento ad opera del notaio pur in assenza del consenso dell’istituto di credito. 3 Analoga previsione era in precedenza contenuta nell’articolo 3 del D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, nell’art. 5 della legge 6 giugno 1991, n. 175.
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Fisco dell’ipoteca opera, con efficacia retroattiva, l’effetto di far sì che ogni quota (derivata dal frazionamento) non risponda più dell’intera ipoteca, ma soltanto della “quantità” di ipoteca ad essa attribuita proprio con il frazionamento4 . La conseguenza dell’efficacia tipica connessa ad un atto di frazionamento ipotecario è che, a fronte dell’inadempimento dell’assegnatario (accollatario di una quota di mutuo), il creditore perde il diritto di assoggettare ad espropriazione l’intero bene, od una parte qualsiasi di esso, dovendo invece “concentrare” le proprie pretese sul singolo immobile attribuito al debitore, gravato dal vincolo ipotecario derivante dalla suddivisione del credito e dal frazionamento d’ipoteca. Viceversa, l’adempimento del singolo assegnatario, stante la deroga convenzionale all’indivisibilità, comporta, per quest’ultimo, l’estinzione della posizione debitoria corrispondente alla sola quota di “mutuo” accollata, garantita dalla corrispondente quota di “ipoteca” derivante dal frazionamento. Al riguardo, occorre, tuttavia precisare che l’annotazione di frazionamento, alla quale la giurisprudenza, peraltro, non attribuisce efficacia costitutiva5, non determina la suddivisione della garanzia ipotecaria in più formalità distinte - aventi ciascuna una propria autonomia, oltre che sostanziale, anche “iscrizionale” -, ma soltanto una mera modificazione del carattere inscindibile dell’ipoteca originaria, il cui grado e i cui effetti restano inalterati ab origine. In estrema sintesi, le singole quote in cui viene suddivisa l’ipoteca per effetto del frazionamento non acquisiscono, neppure sotto il profilo attuativo della pubblicità immobiliare, una propria capacità “distintiva”; tanto è vero che alle stesse non viene attribuito un numero di registro generale e particolare diverso da quello identificativo della formalità originaria6. Per tale motivo, in seguito all’adempimento del singolo debitore-assegnatario, che determina l’estinzione della relativa obbligazione (corrispondente alla quota di mutuo e alla quota di ipoteca derivanti dal frazionamento), non consegue, stricto sensu, la “cancellazione” (estinzione) dell’ipoteca, intesa come cancellazione totale della formalità “iscrizionale”, ma la liberazione del vincolo ipotecario dai soli cespiti facenti parte della quota stessa; sotto tale profilo, infatti, sembrerebbe più corretto utilizzare le locuzioni “restrizione di beni” o “cancellazione parziale” rispettando la terminologia codicistica (artt. 2872 e 2886, primo comma, c.c.). Quanto sopra, appunto, in considerazione del fatto che, essendo la formalità di iscrizione unica (eseguita, come detto, nella stessa data e con unico grado di registro generale e di registro particolare), potrebbe parlarsi di cancellazione totale solo a fronte dell’adempimento di tutte le quote originate dal frazionamento. La rinunzia all’indivisibilità insita nell’atto di frazionamento non comporta, in ultima analisi, una rinunzia, ancorché parziale, all’ipoteca; il risultato a valle del frazionamento è rappresentato da una serie di vincoli parziali – a garanzia della singole quote di debito – la cui sommatoria corrisponde all’originario montante ipotecario.
n. 3-4/ 2007 3. La cancellazione delle quote di ipoteca derivante dal frazionamento: corretta pubblicità immobiliare Tenendo conto della natura e degli effetti tipici del frazionamento ipotecario, si ritiene che la pubblicità della vicenda estintiva della singola quota di debito derivata dalla suddivisione del credito originario, debba essere attuata con modalità che, pur determinando un effetto liberatorio del vincolo gravante sul bene concesso a garanzia della specifica porzione di obbligazione oggetto di adempimento, garantiscano, comunque, la permanenza della formalità originaria, lasciandone inalterato il relativo grado. A tale fine, dunque, ad avviso della Scrivente, non può che farsi riferimento al particolare istituto della “riduzione delle ipoteche” delineato dagli artt. 2872 e seguenti del codice civile. L’articolo 2872 c.c. stabilisce, infatti, che la riduzione delle ipoteche si opera non solo riducendo la somma per la quale è stata presa l’iscrizione in garanzia, ma anche restringendo (limitando) l’iscrizione ipotecaria ad una parte soltanto di beni. La riduzione si atteggia, dunque, come modificazione oggettiva del rapporto ipotecario che incide, in particolare, sulla quantità dei beni destinati a realizzare l’effettività della garanzia ipotecaria come causa legittima di prelazione. In particolare, la riduzione volontaria viene qualificata come fattispecie modificativa volontaria - cioè su base convenzionale - attuata mediante un accordo con cui le parti modificano l’elemento oggettivo dell’ipoteca. Ed è proprio in relazione a tale peculiare aspetto che molti autori, riferendosi in particolare alle modalità attuative della pubblicità immobiliare della riduzione ipotecaria (o restrizione di beni), ritengono più corretto parlare di pubblicità “modificativa” dell’ipoteca, in quanto finalizzata a modificare l’originaria iscrizione (che resta sempre in vita, pur modificata in taluni elementi). Sotto il profilo oggettivo, quindi, la situazione che scaturisce a seguito del pagamento da parte del debitore di una quota del mutuo frazionato, è sostanzialmente assimilabile a quella che la disciplina prevista dagli articoli 2872 e segg. del codice civile identifica come “riduzione dell’ipoteca” (mediante restrizione della garanzia ad una parte soltanto dei beni originariamente vincolati)7. Ed invero, in entrambi i casi - sebbene sulla base di presupposti sostanzialmente diversi8 - il risultato (rectius: l’obbiettivo) finale è l’estinzione del vincolo ipotecario soltanto in relazione ad alcuni beni facenti parte del compendio originariamente vincolato, senza che si determini l’estinzione della originaria formalità iscrizionale (cioè della iscrizione da cui hanno tratto origine, per “derivazione”, le singole quote di ipoteca individuate dal frazionamento). Coerentemente, pertanto, le modalità con cui va resa pubblica – e quindi conoscibile nei confronti dei terzi – la predetta estinzione parziale del vincolo ipotecario, dovrebbero essere le medesime in entrambi i casi: annotazione di “restrizione di beni”, a
4 Cfr. Cass. civ. Sez. I, 14.12.1990, n. 11916. 5 In tal senso, cfr. la sentenza n. 11916/1990 sopra citata. 6 I numeri di registro generale e particolare assegnati alle annotazioni di frazionamento sono riferiti infatti specificatamente alla sola formalità modificativa: in altri termini, la “quota” di ipoteca viene individuata a seguito della relativa annotazione, ma mantiene la data e i numeri di registro generale e particolare attribuiti all’iscrizione originaria. 7 Una eventuale “cancellazione” eseguita con riferimento ai numeri di registro generale e particolare assegnati all’annotazione di frazionamento che individua la singola quota avrebbe, invece, come unico effetto quello di “radiare” l’annotazione medesima, e quindi di eliminare la modificazione attuata con il frazionamento. 8 Nel primo caso a seguito dell’estinzione dell’obbligazione da parte dell’assegnatario, nel secondo al ricorrere di taluna delle ipotesi previste dalle citate disposizioni codicistiche.
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n. 3-4/2007 margine della iscrizione originaria, mediante la quale si estingue l’ipoteca dai singoli cespiti, individuati con i relativi estremi di identificazione catastale. All’attualità, del resto, la pubblicità della cancellazione di una quota di ipoteca derivata da un frazionamento, viene attuata mediante esecuzione a margine della formalità originaria di una annotazione di “restrizione dei beni” e non di “cancellazione”. 4. La cancellazione ai sensi dei commi 8-sexies e seguenti dell’art. 13 del decreto legge n. 7/2007 in presenza di quote derivanti da frazionamento – incompatibilità. I commi 8-sexies e seguenti dell’art. 13 del decreto legge n. 7/2007, inseriti dalla legge di conversione n. 40/2007, nell’introdurre norme di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche iscritte a garanzia dei mutui concessi da soggetti esercenti attività bancaria o finanziaria, nonché da enti di previdenza obbligatoria, hanno sostanzialmente previsto una nuova ipotesi di perenzione correlata all’avvenuta estinzione dell’obbligazione. La situazione delinea, infatti, in ultima analisi, un’ipotesi di perenzione “legale” alternativa - “…in deroga all’art. 2847 del codice civile…” - rispetto a quella ordinaria che si compie con il decorso del ventennio dalla data di iscrizione (in difetto, ovviamente, di rinnovazione). In base a quanto previsto dalla disposizione in esame, dunque, l’estinzione dell’obbligazione, oltre a determinare l’estinzione dell’ipoteca sotto il profilo sostanziale (cioè come garanzia reale dell’obbligazione), sembra produrre anche l’estinzione della stessa efficacia di “iscrizione ipotecaria”. Nel peculiare contesto derivante dalla stipula e dalla conseguente annotazione di un atto di frazionamento, tuttavia, gli effetti estintivi connessi all’adempimento da parte del debitore della singola quota di debito – cui è correlata la corrispondente quota di ipoteca - non possono, ovviamente, coinvolgere la formalità iscrizionale originaria nella sua totalità; tale formalità, infatti, come ampiamente accennato nel paragrafo precedente, per quanto concerne le rimanenti quote derivate dal frazionamento e riferibili alle altre porzioni di debito, non può che mantenere validità ed efficacia. Peraltro, si ritiene opportuno evidenziare, che, nell’ambito del procedimento delineato dal decreto legge n. 7/2007, la “cancellazione” è eseguita “d’ufficio” dal conservatore, sulla base della comunicazione del creditore relativa all’avvenuto rilascio della quietanza attestante la data di estinzione dell’obbligazione. Tale quietanza - al cui rilascio il creditore è tenuto in forza delle disposizioni del citato decreto “Bersani-bis” – parrebbe riferirsi non tanto al rapporto ipotecario, quanto al rapporto debitorio in senso stretto, essendo intrinsecamente correlata all’adempimento dell’obbligazione. In altri termini, il creditore è tenuto a rilasciare una quietanza attestante la data di estinzione dell’obbligazione garantita – nel caso di ipoteca frazionata, tale riferimento riguarderebbe l’adempimento relativo alla singola quota del mutuo – e a trasmettere la relativa comunicazione al conservatore entro trenta giorni dalla stessa data.
Fisco Ora, alla luce delle indicazioni ricavabili dal vigente quadro normativo, il creditore, nella peculiare vicenda estintiva conseguente ad un frazionamento di ipoteca, non sembra tenuto ad individuare, espressamente, nella predetta comunicazione né la “quantità” di ipoteca attribuita all’assegnatario in base all’intervenuto frazionamento, né la corrispondente quota di beni gravati dal vincolo ipotecario. D’altro canto, la “cancellazione d’ufficio” disciplinata dal decreto interdirigenziale 23 maggio 2007, in attuazione del decreto legge n. 7/2007, non presuppone un’apposita manifestazione di volontà del creditore - diretta, fra l’altro, ad individuare i beni afferenti la singola quota di mutuo estinta - né la redazione di una specifica domanda di annotazione contenente l’indicazione analitica di tali beni.9 Sotto altro profilo, si evidenzia che l’applicazione del procedimento di cancellazione semplificato di cui al Decreto Bersani-bis in presenza di un frazionamento di ipoteca, potrebbe dar luogo a discrasie e criticità, sul piano della corretta esecuzione della pubblicità immobiliare e dell’affidamento dei terzi. Mentre, infatti, la puntuale identificazione della quota di ipoteca derivante dal frazionamento – e i relativi effetti sul piano pubblicitario – verrebbe assicurata dall’annotazione del frazionamento eseguita a margine della formalità originaria, l’evento estinzione della singola quota di ipoteca derivante dal frazionamento, verrebbe reso pubblico – e, quindi, conoscibile – sull’apposito registro delle comunicazioni. Appare quindi evidente che la non perfetta coincidenza tra le fonti delle informazioni ipotecarie presenti nei registri immobiliari verrebbe ad incidere in senso negativo sulla completezza e chiarezza dell’informazione ipotecaria, nonché sulla certezza dei rapporti giuridici. Ciò, anche, nella considerazione che l’annotazione di cancellazione eseguita sul nuovo registro istituito in attuazione del Decreto Bersani-bis non potrebbe che fare riferimento agli estremi della originaria iscrizione ipotecaria; iscrizione che, per i motivi ampiamente esposti, non risulta estinta per effetto del pagamento di una delle quote in cui il mutuo è stato suddiviso, ma soltanto “modificata” in ordine alla quantità dei beni originariamente soggetti a vincolo ipotecario. In ultima analisi, l’automatismo stesso che connota, come tratto distintivo, il regime semplificato di cancellazione di cui all’art. 13, commi da 8-sexies a 8-quaterdecies, del decreto legge n. 7/2007 sembra, ex se, inconciliabile con le esigenze connesse ad una completa e corretta pubblicità immobiliare delle peculiari situazioni giuridiche che si vengono a creare a valle del frazionamento. Sulla base delle complessive valutazioni svolte, pertanto, la scrivente ritiene che, a normativa vigente, il procedimento di cancellazione disciplinato dal citato decreto legge n. 7/2007 non possa trovare applicazione nelle ipotesi di estinzione di obbligazioni derivanti da mutui ipotecari frazionati. Gli Uffici Provinciali sono chiamati al puntuale rispetto delle indicazioni impartite con la presente circolare e le Direzioni Regionali a verificarne la loro applicazione. Il Direttore Mario Picardi
9 In relazione alla portata e agli effetti del nuovo procedimento di cancellazione introdotto dal decreto in esame, questa Agenzia ha fornito i primi chiarimenti operativi con Circolare n. 5 del 1° giugno 2007. In tal documento peraltro, è stato anche sottolineato come il nuovo procedimento, esaurendosi con gli adempimenti prescritti dal decreto interdirigenziale 23 maggio 2007, non comporti né la necessità di redigere una nota, né l’effettuazione della materiale annotazione a margine dell’ipoteca, prevista dall’art. 2886, comma 2, del codice civile.
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Normativa tecnica
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ENFITEUSI: NORMATIVA DI RIFERIMENTO di Pietro Romano* Premessa. L’enfiteusi, o livello, è un diritto reale disciplinato dagli articoli 957 e ss. del codice civile, che riprendono la disciplina già contenuta nel codice civile unitario del 1865 laddove era definito come un “contratto”, integrata dalla legge 22.7.1966 n. 607 e successivamente dalla legge 14.6.1974 n. 270. La mancanza di una nozione unitaria dell’istituto nel codice vigente, la definizione dell’enfiteusi quale “contratto” data dal codice civile del 1865, l’ampiezza dei poteri dell’enfiteuta e la possibilità di affrancare il diritto per lungo tempo ha comportato una disputa sulla natura dell’enfiteusi, contrattuale o reale e sull’assimilazione di questo al diritto di proprietà. La giurisprudenza prevalente (cfr. ex plurimis: Cass. civ. 15.11.1976 n. 4231) definisce l’enfiteusi come il diritto reale di godimento sul fondo altrui correlato all’obbligo per l’enfiteuta, o livellario, di migliorare il fondo e di pagare un canone periodico al concedente in danaro o in una quantità fissa di prodotti naturali. Accolta la nozione dell’enfiteusi quale diritto reale, distinto dal contratto che ne costituisce la fonte prevalente, anche se non l’unica, è opportuno sottolineare che rappresenta il diritto reale parziario più prossimo alla proprietà, sebbene nel rapporto enfiteutico coesistano un elemento reale ed un elemento obbligatorio dato dal diritto di credito del concedente al canone ed ai miglioramenti del fondo. Soggetti del rapporto. In ragione della sua ampiezza il diritto di enfiteusi può essere costituito soltanto dal proprietario del bene, mentre la costituzione del vincolo da parte di uno dei comproprietari di un fondo indiviso produce solo gli effetti limitati previsti dall’art. 1059 c.c. in materia di servitù, ossia da un lato l’obbligo del concedente, e dei suoi aventi causa di non opporsi all’esercizio del diritto, e dall’altro la mancata costituzione del diritto stesso fino alla concessione degli altri comproprietari. Modi costituzione. I modi di costituzione dell’enfiteusi sono il contratto, il testamento o l’usucapione dello stesso. 1. Il contratto di enfiteusi ha effetti sia reali, costitutivi del diritto dell’enfiteuta, sia obbligatori, poiché da un verso istituisce obblighi di miglioramento del fondo e di corresponsione del canone fisso, e dall’altro obblighi del concedente di consegnare il bene, garantirne l’evizione, l’assenza di vizi e, in generale, di non rendere più gravoso l’esercizio del diritto stesso. Nel contratto di enfiteusi, pertanto, rilevano sia la struttura reale del diritto, sia quella obbligatoria, dalle quali consegue l’inclusione del contratto tra quelli ad esecuzione periodica e continuativa, con l’applicazione della disciplina dell’art. 1458 c.c. (non estensione degli effetti della risoluzione per inadempimento alle prestazioni già eseguite), nonché tra
quelli onerosi rappresentando il canone un elemento essenziale e distintivo del rapporto. Infine, il contratto di enfiteusi è da annoverare tra quelli per i quali è richiesta una forma solenne ad substantiam, dovendosi necessariamente stipulare con atto scritto a pena di nullità soggetto a trascrizione ex art. 2643, n. 2, c.c.; ne consegue che nella pratica il contratto di enfiteusi deve essere redatto nella forma dell’atto pubblico, o della scrittura privata autenticata. 2. Il testamento tra le forme di costituzione dell’enfiteusi trova la sua disciplina nel disposto di cui all’art. 965 c.c., con conferma sia della dottrina (Palermo, Enfiteusi in Trattato Rescigno n. 8), sia della giurisprudenza. 3. L’enfiteusi può essere costituita anche per usucapione, decennale o ventennale a seconda dell’esistenza o meno della buona fede e di un titolo idoneo e trascritto, sia in danno del proprietario, sia degli altri coenfiteuti. Ciò che rileva, sulla scorta della giurisprudenza in materia (Cass. civ. 14.4.1947 n. 541; Cass. civ. 16.2.1954 n. 380; Cass. civ. 7.12.1972 n. 3550), è l’effettivo e duraturo pagamento del canone enfiteutico, quale elemento principale e caratteristico che, unitamente agli altri di fatto e diritto, integra il possesso ad usucapionem. L’acquisto dell’enfiteusi per usucapione, contrariamente alle altre due ipotesi, determina un acquisto a titolo originario, non già traslativo, ragion per cui il diritto così acquisito è indifferente rispetto ad eventuali modifiche del rapporto instaurate dal precedente enfiteuta. Diritti ed obblighi dell’enfiteuta. A. I diritti dell’enfiteuta sono equiparabili a quelli del proprietario quantomeno rispetto ai poteri sul fondo e sui suoi frutti, con ciò rafforzando le caratteristiche uniche e peculiari dell’istituto, che dilata la facoltà di godimento e di utilizzazione del fondo a tal punto da incontrare l’unico limite di non deteriorarlo. Il potere di disporre mediante alienazione del diritto di enfiteusi, senza il riconoscimento di alcuna prestazione in favore del concedente, segna il tratto distintivo dell’evoluzione dell’istituto, il quale si caratterizza per l’autonomia di circolazione. Perché sia opponibile ai terzi, l’atto di vendita del diritto di enfiteusi deve essere redatto in forma scritta e trascritto nei pubblici registri, benché non sia necessaria la partecipazione all’atto del concedente, che sia quantomeno chiaramente individuato. L’art. 967 c.c. detta una disciplina ulteriore dei diritti e degli obblighi derivanti dall’alienazione dell’enfiteusi; infatti, il nuovo enfiteuta, o livellario, è obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni scaduti e non corrisposti, così come il precedente non è libero dai suoi obblighi fintanto che l’atto di alienazione non è stato notificato al concedente. Tra le facoltà di disposizione riconosciute all’enfiteuta vi è anche quella di costituire sul fondo diritti reali parziari,
* Docente a contratto di diritto dei beni culturali, Avvocato e consulente legale del Sindacato Italiano Geometri.
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n. 3-4/2007 esclusa la subenfiteusi, con ciò autolimitando il proprio godimento. Pertanto, l’enfiteuta potrà ipotecare il proprio diritto ex art. 2815 c.c., potrà concederlo in usufrutto e finanche costituire sul fondo servitù attive e passive. B. Gli obblighi dell’enfiteuta, per come sopra ricordato, attengono al pagamento del canone ed al miglioramento del fondo. Il pagamento del canone (art. 960 c.c.) deve avvenire periodicamente, con ciò escludendo la possibilità sia della corresponsione una tantum, sia anticipata. Nei poteri delle parti residua la possibilità di determinare la periodicità, che potrà essere di regola annuale, ma che potrà essere convenuto anche a periodi di tempo più lunghi e, salvo patto contrario, dovrà avvenire in un’unica soluzione. L’art. 960 c.c. detta anche la disciplina del canone da corrispondere in prodotti naturali, che deve essere individuato in quantità fissa. L’espressione “prodotti naturali” ha fatto escludere da più parti la possibilità che l’enfiteuta corrisponda prodotti che abbiano subito una manipolazione. La nuova disciplina dell’istituto, introdotta dalle leggi 607\1966 e 1138\1970, fissa le misure massime di determinazione del canone, distinguendo tra le enfiteusi rustiche costituite anteriormente al 28.10.1941 e quelle successive. I criteri contenuti nelle norme sopra richiamate sono inderogabili, fatte salve discipline più favorevoli all’enfiteuta, e sanciscono per le enfiteusi rustiche il principio dell’invariabilità del canone, sottratto alla determinazione dell’autonomia privata. Per quanto riguarda, infine, le enfiteusi urbane ed edificatorie costituite successivamente al 28.10.1941, l’intervento demolitorio operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 53 del 22.2.1974 ha consentito l’applicabilità a queste fattispecie dell’istituto della revisione del canone con cadenza almeno decennale; in questi casi le parti possono richiederne la revisione in ragione del mutato valore del bene, ove “… sia divenuto troppo tenue o troppo gravoso …”. Nella determinazione del mutato valore del fondo non si tiene conto dei miglioramenti procurati dall’enfiteuta, ovvero dei danni da questi arrecati. In altri termini, è sancita l’irrilevanza delle variazioni di valore del fondo per ragioni intrinseche, ossia per l’operato dell’enfiteuta, assumendo rilevanza solo le variazioni estrinseche, determinate dal prezzo di mercato del bene. L’ulteriore obbligo posto in capo all’enfiteuta è, per come già ricordato, il miglioramento del fondo. Con la disciplina di riforma è venuta meno la necessità del decorso di un determinato periodo di tempo (venti anni) per affrancare l’enfiteusi, ben potendosi ritenere ammissibile anche dopo la costituzione. Ciò ha comportato la degradazione dell’obbligo di miglioramento da requisito essenziale dell’enfiteusi ad elemento naturale, non rappresentandone più la ragione giustificatrice; pertanto, l’attività di miglioramento assume rilevanza più come facoltà, che come obbligo dell’enfiteuta. In ogni caso, ove le parti non l’abbiano esclusa nell’atto costitutivo, l’attività di miglioramento costituisce un’autonoma obbligazione dell’enfiteuta con la correlata possibilità di pretenderne l’adempimento da parte del concedente.
Normativa tecnica Ai fini dell’individuazione della nozione di “miglioramento” si deve porre attenzione a tutte quelle opere inerenti alla natura ed alla struttura del bene, che ne aumentano la produttività o il valore; restano esclusi, in ogni caso, i cd. miglioramenti civili, ossia derivanti da vicende estranee alla natura o all’opera dell’enfiteuta, e quelli aventi caratteri temporanei. Diritti del concedente. Sulla scorta della ricostruzione dell’istituto i diritti del concedente si riducono esclusivamente alla mera titolarità del diritto di credito al pagamento del canone. Per quanto attiene l’istituto della ricognizione disciplinato dall’art. 969 c.c., si palesa più come una facoltà, che come un obbligo, nel senso che l’omissione della richiesta non comporta la perdita del suo diritto sul fondo. La ricognizione del diritto può essere richiesta dal concedente non prima dello scadere del termine fissato dalla norma, ossia un anno prima dello scadere del ventennio e le spese dell’atto sono ad esclusivo carico del concedente. Estinzione ed affrancazione dell’enfiteusi. Anche l’enfiteusi, così come gli altri diritti reali parziari, si estingue per prescrizione ultraventennale e per il perimento totale del fondo. L’eventuale perimento parziale del fondo, comportante la sproporzione del canone rispetto al valore del fondo, comporta l’estinzione anche del rapporto ex art. 963, Co. 2, c.c. allorquando l’enfiteuta entro un anno scelga la rinunzia al diritto a fronte della riduzione del canone medesimo. Ai sensi dell’art. 958 l’enfiteusi può essere perpetua o a termine, con durata minima di venti anni. Nel silenzio del titolo costitutivo il diritto si considera perpetuo. La devoluzione quale causa di estinzione del diritto trova la sua disciplina nell’art. 972 c.c., laddove è previsto il diritto a favore del concedente di richiederla nelle seguenti ipotesi: a) se l’enfiteuta deteriora il fondo ovvero omette di migliorarlo; b) se è in mora nel pagamento di due annualità del canone. In quest’ultimo caso, in analogia con quanto previsto dall’art. 55 della legge 398/78 per le locazioni urbane, e dall’art. 46 della legge 203/82 per i contratti agrari, l’enfiteuta può procedere alla purgazione della mora anche con un’offerta non formale, purché prima della sentenza. In ogni caso, la pendenza della domanda volta ad ottenere la devoluzione non impedisce all’enfiteuta la possibilità di affrancare il fondo fintanto che non sia intervenuta la sentenza definitiva. L’affrancazione del fondo enfiteutico, anche alla luce delle riforme intervenute, assume una valenza anche pubblicistica, ispirate al principio della libera affrancabilità non derogabile dall’autonomia privata. Infatti, il diritto di affrancazione può essere esercitato in ogni momento, svincolato com’è sia dall’obbligo del miglioramento fondiario, sia dal termine ventennale previsto dall’ormai abrogato art. 971, Co. 1, c.c.. Inoltre, il diritto all’affrancazione prevale su tutte le altre cause di estinzione ed il suo esercizio è rimesso esclusivamente alla volontà dell’enfiteuta e ad un prezzo predeterminato inderogabilmente dalla legge, risolvendosi, in altri termini, nell’esercizio di un diritto potestativo svincolato da qualunque obbligo contrattuale.
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Normativa tecnica Pertanto, appare corretto evidenziare come l’affrancazione sia il modo normale di estinzione del diritto che necessita, a pena di nullità ex art. 1350, n. 6, c.c., della forma scritta e della trascrizione nei pubblici registri immobiliari. Quale conseguenza dell’estinzione dell’enfiteusi sorge in capo all’enfiteuta il diritto di credito relativo al rimborso per i miglioramenti apportati e per le addizioni non separabili dal fondo. L’art. 975 c.c. disciplina l’istituto, disponendo che il rimborso è stabilito nella misura dell’aumento del valore del fondo conseguito per effetto dei miglioramenti stessi ed accertati al momento della riconsegna. Ad affrancazione avvenuta residua la necessità di provvedere alla definitiva cancellazione del livello dall’intestazione catastale degli immobili, che può avvenire nei seguenti modi: a. nel caso di canoni livellari di importo inferiore a mille lire, istituito prima del 28 ottobre 1941, è necessario stipulare un atto notarile in autentica, ai soli fini catastali, con cui si chiede la cancellazione del riferimento al livello, in quanto il rapporto enfiteutico si è estinto ai sensi dell’articolo 1 legge 16/74; b nel caso di canoni livellari, non più corrisposti da oltre venti anni, è necessario stipulare un atto notarile in autentica, ai soli fini catastali, in cui si attesta con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. 28.12.2000 n. 445, che il canone non è più stato versato da oltre venti anni.
n. 3-4/ 2007 Enfiteusi costituite da persone giuridiche e rapporti assimilati. La normativa fin qui schematicamente analizzata trova applicazione sia ai rapporti enfiteutici costituiti da persone fisiche, sia a quelli costituiti da persone giuridiche, anche di diritto pubblico quali i Comuni. Ha perduto, in altri termini, qualsiasi validità la distinzione fatta dall’art. 977 c.c. tra le due figure, considerato che la normativa speciale, in uno con una serie di pronunzie della Corte Costituzionale intervenute nel tempo, ha esteso la disciplina dell’enfiteusi anche ad istituti e rapporti aventi come tratto caratteristico l’obbligo di miglioramento del fondo, restandone esclusi, però, quei rapporti quali la colonia parziaria, sebbene con clausola migliorataria. In altri termini, in base alla ricostruzione giurisprudenziale vanno ricondotti alla disciplina dell’enfiteusi, e come tali affrancabili, tutti quei rapporti che presentino “un possesso continuo ultratrentennale, legittimamente esercitato in virtù di un rapporto agrario diretto col proprietario o comunque con il titolare della prestazione (e non limitato alla mera detenzione ed alla materiale coltivazione del fondo), che va considerato come rispondente al carattere di realità del diritto e parificato ad un utile dominio, e l’obbligo di eseguire i miglioramenti sul fondo, a proprie spese, in conformità alla convenzione o all’uso locale.” (Cass. civ., 22.2.1988 n. 1835).
Casignana (RC) “Davanti ad una fattoria: a kasètta” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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LEGGE 3 AGOSTO 2007, N. 123 Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; Il Presidente della Repubblica Promulga la seguente legge: Art. l (Delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro) 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, e garantendo l’uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. 2. I decreti di cui al comma 1 sono adottati, realizzando il necessario coordinamento con le disposizioni vigenti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi generali: a. riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 117 della Costituzione; b. applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutti i settori di attività e a tutte le tipologie di rischio, anche tenendo conto delle peculiarità o della particolare pericolosità degli stessi e della specificità di settori ed ambiti lavorativi, quali quelli presenti nella pubblica amministrazione, come già indicati nell’articolo 1, comma 2, e nell’articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive (modificazioni, nel rispetto delle competenze in materia di sicurezza antincendio come definite dal decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, e del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, nonché assicurando il coordinamento, ove necessario, con la normativa in materia ambientale; c. applicazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori e lavoratrici, autonomi e subordinati, nonché ai soggetti ad essi equiparati prevedendo: 1) misure di particolare tutela per determinate categorie di lavoratori e lavoratrici e per specifiche tipologie di lavoro o settori di attività; 2) adeguate e specifiche misure di tutela per i lavoratori autonomi, in relazione ai rischi propri delle attività svolte e secondo i principi della raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio, del 18 febbraio 2003; d. semplificazione degli adempimenti meramente formali
in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nel pieno rispetto dei livelli di tutela, con particolare riguardo alle piccole, medie e micro imprese; previsione di forme di unificazione documentale; e. riordino della normativa in materia di macchine, impianti, attrezzature di lavoro, opere provvisionali e dispositivi di protezione individuale, al fine di operare il necessario coordinamento tra le direttive di prodotto e quelle di utilizzo concernenti la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro e di razionalizzare il sistema pubblico di controllo; f. riformulazione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, per la violazione delle norme vigenti e per le infrazioni alle disposizioni contenute nei decreti legislativi emanati in attuazione della presente legge, tenendo conto della responsabilità e delle funzioni svolte da ciascun soggetto obbligato, con riguardo in particolare alla responsabilità del preposto, nonché della natura sostanziale o formale della violazione, attraverso: 1) la modulazione delle sanzioni in funzione del rischio e l’utilizzazione di strumenti che favoriscano la regolarizzazione e l’eliminazione del pericolo da parte dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi, confermando e valorizzando il sistema del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758; 2) la determinazione delle sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda, previste solo nei casi in cui le infrazioni ledano interessi generali dell’ordinamento, individuati in base ai criteri ispiratori degli articoli 34 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni, da comminare in via esclusiva ovvero alternativa, con previsione della pena dell’ammenda fino a euro ventimila per le infrazioni formali, della pena dell’arresto fino a tre anni per le infrazioni di particolare gravità, della pena dell’arresto fino a tre anni ovvero dell’ammenda fino a euro centomila negli altri casi; 3) la previsione defila sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di denaro fino ad euro centomila per le infrazioni non punite con sanzione penale; 4) la graduazione delle misure interdittive in dipendenza della particolare gravità delle disposizioni violate; 5) il riconoscimento ad organizzazioni sindacali ed associazioni dei familiari delle vittime della possibilità di esercitare, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 91 e 92 del codice di procedura penale, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa, con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale; 6) la previsione della destinazione degli introiti delle sanzioni pecuniarie per interventi mirati alla prevenzione, a campagne di informazione e alle attività dei dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali; g. revisione dei requisiti, delle tutele, delle attribuzioni e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale, compreso il medico competente, anche attraverso idonei percorsi formativi, con particolare riferimento al rafforzamen-
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Normativa tecnica to del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale; introduzione della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo; h. rivisitazione e potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici, anche quali strumento di aiuto alle imprese nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro; i. realizzazione di un coordinamento su tutto il territorio nazionale delle attività e delle politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, finalizzato all’emanazione di indirizzi generali uniformi e alla promozione dello scambio di informazioni anche sulle disposizioni italiane e comunitarie in corso di approvazione, nonché ridefinizione dei compiti e della composizione, da prevedere su base tripartita e di norma paritetica e nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome di cui all’articolo 117 della Costituzione, della commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro e dei comitati regionali di coordinamento; l. valorizzazione, anche mediante rinvio legislativo, di accordi aziendali, territoriali e nazionali, nonché, su base volontaria, dei codici di condotta ed etici e delle buone prassi che orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente; m. previsione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, fondato sulla specifica esperienza, ovvero sulle competenze e conoscenze in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, acquisite attraverso percorsi formativi mirati; n. definizione di un assetto istituzionale fondato sull’organizzazione e circolazione delle informazioni, delle linee guida e delle buone pratiche utili a favorire la promozione e la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, anche attraverso il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro, che valorizzi le competenze esistenti ed elimini ogni sovrapposizione o duplicazione di interventi; o. previsione della partecipazione delle parti sociali al sistema informativo, costituito da Ministeri, regioni e province autonome, Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail), Istituto di previdenza per il settore marittimo (Ipsema) e Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl), con il contributo del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), e del concorso allo sviluppo del medesimo da parte degli organismi paritetici e delle associazioni e degli istituti di settore a carattere scientifico, ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne; p. promozione della cultura e delle azioni di prevenzione, da finanziare, a decorrere dall’anno 2008, per le attività di cui ai numeri 1) e 2) della presente lettera, a valere, previo atto di accertamento, su una quota delle risorse di cui all’articolo 1, comma 780, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, accertate in sede di bilancio consuntivo per l’anno 2007 dell’Inail, attraverso: 1) la realizzazione di un sistema di governo per la definizione, tramite forme di partecipazione tripartita, di progetti formativi, con particolare riferimento alle piccole, medie e micro imprese, da indirizzare, anche attraverso il sistema del-
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n. 3-4/ 2007 la bilateralità, nei confronti di tutti i soggetti del sistema di prevenzione aziendale; 2) il finanziamento degli investimenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro delle piccole, medie e micro imprese, i cui oneri siano sostenuti dall’Inail, nell’ambito e nei limiti delle spese istituzionali dell’Istituto. Per tali finanziamenti deve essere garantita la semplicità delle procedure; 3) la promozione e la divulgazione della cultura della salute e della sicurezza sul lavoro all’interno dell’attività scolastica ed universitaria e nei percorsi di formazione, nel rispetto delle disposizioni vigenti e in considerazione dei relativi principi di autonomia didattica e finanziaria; q. razionalizzazione e coordinamento delle strutture centrali e territoriali di vigilanza nel rispetto dei principi di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e dell’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, al fine di rendere più efficaci gli interventi di pianificazione, programmazione, promozione della salute, vigilanza, nel rispetto dei risultati verificati, per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e carenze negli interventi e valorizzando le specifiche competenze, anche riordinando il sistema delle amministrazioni e degli enti statali aventi compiti di prevenzione, formazione e controllo in materia e prevedendo criteri uniformi ed idonei strumenti di coordinamento; r. esclusione di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore e la lavoratrice subordinati e per i soggetti ad essi equiparati in relazione all’adozione delle misure relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori e delle lavoratrici; s. revisione della normativa in materia di appalti prevedendo misure dirette a: 1) migliorare l’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore e il coordinamento degli interventi di prevenzione dei rischi, con particolare riferimento ai subappalti, anche attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private, considerando il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro quale elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica; 2) modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso, al fine di garantire che l’assegnazione non determini la diminuzione del livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori; 3) modificare la disciplina del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, prevedendo che i costi relativi alla sicurezza debbano essere specificamente indicati nei bandi di gara e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture oggetto di appalto; t. rivisitazione delle modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria, adeguandola alle differenti modalità organizzative del lavoro, ai particolari tipi di lavorazioni ed esposizioni, nonché al criteri ed alle linee Guida scientifici più avanzati, anche con riferimento al prevedibile momento di insorgenza della malattia; u. rafforzare e garantire le tutele previste dall’articolo 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277; v. introduzione dello strumento dell’ interpello previsto
n. 3-4/2007 dall’articolo 9 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, e successive modificazioni, relativamente a quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, individuando il soggetto titolare competente a fornire tempestivamente la risposta. 3. I decreti di cui al presente articolo non possono disporre un abbassamento dei livelli di protezione, di sicurezza e di tutela o una riduzione dei diritti e delle prerogative dei lavoratori e delle loro rappresentanze. 4. I decreti di cui al presente articolo sono adottati nel rispetto della procedura di cui all’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute, delle infrastrutture, limitatamente a quanto previsto dalla lettera s) del comma 2, dello sviluppo economico, limitatamente a quanto previsto dalla lettera e) del comma 2, di concerto con il Ministro per le politiche europee, il Ministro della giustizia, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro della solidarietà sociale, limitatamente a quanto previsto dalla lettera l) del comma 2, nonché gli altri Ministri competenti per materia, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro. 5. Gli schemi dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica perchè su di essi siano espressi, entro quaranta giorni dalla data di trasmissione, i pareri delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Decorso tale termine i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l’espressione dei pareri parlamentari di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini previsti ai commi 1 e 6 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di tre mesi. 6. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 1, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dal presente articolo, il Governo può adottare, attraverso la procedura di cui ai commi 4 e 5, disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi. 7. Dall’attuazione dei criteri di delega recati dal presente articolo, con esclusione di quelli di cui al comma 2, lettera p), numeri 1) e 2), non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, per gli adempimenti dei decreti attuativi della presente delega le amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse, umane, strumentali ed economiche, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni. Art. 2. (otizia all’Inail, in taluni casi di esercizio dell’azione penale) 1. In caso di esercizio dell’azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne dà immediata notizia all’INAIL ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso. Art. 3 (Modifiche al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626) 1. Al decreto legislalivo 19 settembre 1994, n. 626, e suc-
Normativa tecnica cessive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a. il comma 3 dell’ articolo 7 è sostituito dal seguente: “3. il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o d’opera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.”; b. all’articolo 7, dopo il comma 3-bis è aggiunto il seguente: “3-ter. Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli articoli 1559, 1655 e 1656 del codice civile, devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori di cui all’articolo 18 e le organizzazioni sindacali dei lavoratori.”; c. all’articolo 18, comma 2, il terzo periodo è sostituito dal seguente: “Il rappresentante di cui al precedente periodo è di norma eletto dai lavoratori”; d. all’articolo 18, dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4-bis. L’elezione dei rappresentanti per la sicurezza aziendali, territoriali o di comparto, salvo diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, avviene di norma in un’unica giornata su tutto il territorio nazionale, come individuata con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori. Con il medesimo decreto sono disciplinate le modalità di attuazione del presente comma.”; e. all’articolo 19, il comma 5 è sostituito dal seguente: “5. Il datore di lavoro è tenuto a consegnare al rappresentante per la sicurezza, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all’articolo 4, commi 2 e 3, nonché del registro degli infortuni sul lavoro di cui all’articolo 4, comma 5, lettera o).”; f. all’articolo 19, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: “5-bis. I rappresentanti territoriali o di comparto dei lavoratori, di cui all’articolo 18, comma 2, secondo periodo, esercitano le attribuzioni di cui al presente articolo con riferimento a tutte le unità produttive del territorio o del comparto di rispettiva competenza”. Art. 4 (Disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa sancita, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è disciplinato il coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, affidato ai comitati regionali di coordinamento di cui all’articolo 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, ed al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1998. In particolare, sono individuati: a. nell’ambito della normativa già prevista in materia, i settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di
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Normativa tecnica attività ed i progetti operativi da attuare a livello territoriale; b. l’esercizio di poteri sostitutivi in caso di inadempimento da parte di amministrazioni ed enti pubblici. 2. Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 1, il coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro è esercitato dal presidente della provincia o da assessore da lui delegato, nei confronti degli uffici delle amministrazioni e degli enti pubblici territoriali rientranti nell’ambito di competenza. 3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, le regioni, le province autonome, l’Inail, l’Ipsema, l’Ispesl e le altre amministrazioni aventi competenze nella materia predispongono le attività necessarie per l’integrazione dei rispettivi archivi informativi, anche attraverso la creazione di banche dati unificate relative ai singoli settori o comparti produttivi, e per il coordinamento delle attività di vigilanza ed ispettive in materia di prevenzione e sicurezza dei lavoratori, da realizzare utilizzando le ordinarie risorse economiche e strumentali in dotazione alle suddette amministrazioni. I dati contenuti nelle banche dati unificate sono resi pubblici, con esclusione dei dati sensibili previsti dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. 4. Le risorse stanziate a decorrere dall’anno 2007 dall’articolo 1, comma 545, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, relative alle finalità di cui alla lettera a) del comma 544 del medesimo articolo 1, vengono così utilizzate per il solo esercizio finanziario 2007: a. 4.250.000 euro per l’immissione in servizio del personale di cui all’articolo 1, comma 544, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a partire dal 1° luglio 2007; b. 4.250.000 euro per finanziare il funzionamento e il potenziamento dell’attività ispettiva, la costituzione di appositi nuclei di pronto intervento e per l’incremento delle dotazioni strumentali. 5. Per la ripartizione delle risorse di cui al comma 4, il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio nello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. 6. Il personale amministrativo degli istituti previdenziali, che, ai sensi dell’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689, accerta d’ufficio violazioni amministrative sanabili relative alla disciplina in materia previdenziale, applica la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 24 aprile 2004, n. 124. 7. Nel rispetto delle disposizioni e dei principi vigenti, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e il Ministero della pubblica istruzione avviano a decorrere dall’anno scolastico 2007/2008, nell’ambito delle dotazioni finanziarie e di personale disponibili e dei Programmi operativi nazionali (PON) obiettivo 1 e obiettivo 2, a titolarità del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, progetti sperimentali in ambito scolastico e nei percorsi di formazione professionale volti a favorire la conoscenza delle tematiche in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Art. 5. (Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori) 1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 36-bis del
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n. 3-4/ 2007 decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come modificato dal presente articolo, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, può adottare provvedimenti di sospensione di un’attività imprenditoriale qualora riscontri l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori regolarmente occupati, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, ovvero di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. L’adozione del provvedimento di sospensione è comunicata alle competenti amministrazioni, al fine dell’emanazione da parte di queste ultime di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni. 2. È condizione per la revoca del provvedimento da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1: a. la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria; b. l’accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; c. il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 3 pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate. 3. È comunque fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti. 4. L’importo delle sanzioni amministrative di cui al comma 2, lettera c), e di cui al comma 5 integra la dotazione del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, ed è destinato al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all’articolo I. comma 1156, lettera g), della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 5. Al comma 2 dell’articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, dopo la lettera b) è aggiunta la seguente: «b-bis) il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto a quelle di cui alla lettera b), ultimo periodo, pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate”. 6. I poteri e gli obblighi assegnati dal comma 1 al personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale sono estesi, nell’ambito dei compiti istituzionali delle aziende sanitarie locali e nei limiti delle risorse finanziarie, umane e
n. 3-4/2007 strumentali complessivamente disponibili, al personale ispettivo delle medesime aziende sanitarie, limitatamente all’accertamento di violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. In tale caso trova applicazione la disciplina di cui al comma 2, lettere b) e c). Art. 6 (Tessera di riconoscimento per il personale delle imprese appaltatrici e subappaltatrici) 1. Nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, a decorrere dal 1 settembre 2007, il personale occupato dall’impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le Generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. I lavoratori sono tenuti ad esporre detta tessera di riconoscimento. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto. 2. I datori di lavoro con meno di dieci dipendenti possono assolvere all’obbligo di cui al comma 1 mediante annotazione, su apposito registro vidimato dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, da tenersi sul luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori. Ai fini del presente comma, nel computo delle unità lavorative, si tiene conto di tutti i lavoratori impiegati a prescindere dalla tipologia dei rapporti di lavoro instaurati, ivi compresi quelli autonomi per i quali si applicano le disposizioni di cui al comma I. 3. La violazione delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 comporta l’applicazione, in capo al datore di lavoro, della sanzione amministrativa da euro 100 ad euro 500 per ciascun lavoratore. Il lavoratore munito della tessera di’ riconoscimento di cui al Comma 1 che non provvede ad esporla è punito con la sanzione amministrativa da euro 50 a euro 300. Nei confronti delle predette sanzioni non è ammessa la procedura di diffida di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124. Art. 7 (Poteri degli organismi paritetici) 1. Gli organismi paritetici di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, possono effettuare nei luoghi di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza sopralluoghi finalizzati a valutare l’applicazione delle vigenti norme in materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro; 2. Degli esiti dei sopralluoghi di cui al comma 1 viene informata la competente autorità di coordinamento delle attività di vigilanza. 3. Gli organismi paritetici possono chiedere alla competente autorità di coordinamento delle attività di vigilanza di disporre l’effettuazione di controlli in materia di sicurezza sul lavoro mirati a specifiche situazioni. Art. 8. (Modifiche all’articolo 86 del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) 1. All’articolo 86 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il comma 3bis è sostituito dai seguenti: «3-bis. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affi-
Normativa tecnica damento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei `servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativa-mente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione. 3-ter. Il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta”. Art. 9 (Modifica del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231) 1. Dopo l’articolo 25-sexies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente: «Art. 25-septies. - (Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro) - 1. In relazione ai delitti di cui agli articoli 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sui lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a mille quote. 2. Nel caso di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1, si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno”. Art. 10 (Credito d’imposta) 1. A decorrere dal 2008, ai datori di lavoro è concesso per il biennio 2008-2009, in via sperimentale, entro un limite di spesa pari a 20 milioni di curo annui, un credito d’imposta nella misura massima del 50 per cento delle spese sostenute per la partecipazione dei lavoratori a programmi e percorsi certificati di carattere formativo in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale sono stabiliti, ai soli fini del beneficio di cui al presente comma, i criteri e le modalità della certificazione della formazione. Il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, emana, ogni anno, uno o più decreti per determinare il riparto delle risorse tra i beneficiari. Il credito d’imposta di cui al presente comma può essere fruito nel rispetto dei limiti derivanti dall’applicazione della disciplina dei minimi di cui al regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006. 2.All’onere derivante dall’applicazione del comma 1, pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, si provvede mediante utilizzo di una corrispondente quota del Fondo di rotazione per la formazione professionale e l’accesso al Fondo sociale europeo, di cui all’articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, e all’articolo 9, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.
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Art. 11 (Modifica dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296) 1. All’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il comma 1198 è sostituito dal seguente: “1198. Nei confronti dei datori di lavoro che hanno presentato l’istanza di regolarizzazione di cui al comma 1192, per la durata di un anno a decorrere dalla data di presentazione, sono sospese le eventuali ispezioni e verifiche da parte degli organi di controllo e vigilanza nelle materie oggetto della regolarizzazione, ad esclusione di quelle concernenti la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori. Resta ferma la facoltà dell’organo ispettivo di verificare la fondatezza di eventuali elementi nuovi che dovessero emergere nelle materie oggetto della regolarizzazione, al fine dell’integrazione della regolarizzazione medesima da parte del datore di lavoro. L’efficacia estintiva di cui al comma 1197 resta condizionata al completo adempimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza dei lavoratori”. Art. 12 (Assunzione di ispettori del lavoro) 1. Al fine di fronteggiare il fenomeno degli infortuni mortali sul lavoro e di rendere più incisiva la politica di contrasto del lavoro sommerso, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è autorizzato all’immissione in servizio, a decorrere dal mese di gennaio 2008, nel numero massimo complessivo di 300 unità di personale risultato idoneo a seguito dello svolgimento dei concorsi pubblici regionali per esami, rispettivamente, a 795 posti di ispettore del lavoro, bandito il 15 novembre 2004, e a 75 posti di ispettore tecnico del lavoro, bandito il 16 novembre 2004, per l’arca funzionale C, posizione economica C2, per gli uffici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale. 2. In connessione con le immissioni in servizio del personale di cui al comma 1, per le spese relative all’incremento delle attività ispettive, all’aggiornamento, alla formazione, alle attrezzature, nonché per i buoni pasto, per lavoro straor-
dinario e per le missioni svolte dal medesimo personale è autorizzata,a decorrere dall’anno 2008, la spesa di euro 9.448.724. 3. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, valutato in euro 10.551.276 a decorrere dall’anno 2008, e del comma 2, pari ad euro 9.448.724 a decorrere dall’anno medesimo, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente “Fondo speciale” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2007, utilizzando la proiezione di parte dell’accantonamento relativo al Ministero della solidarietà sociale. 4. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui al presente articolo, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Gli eventuali decreti emanati ai sensi dell’articolo 7, secondo comma, numero 2), della legge 5 agosto 1978, n. 468, prima dell’entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative. 5. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 3 agosto 2007 Napolitano Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri Damiano, Ministro del lavoro e della previdenza sociale Turco, Ministro della salute Visto, il Guardasigilli: Mastella
Crotone. Veduta (Desprez 1780 ca.)
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ESPROPRIAZIONE: ILLEGITTIMA L’INDENNITÀ TROPPO LONTANA DA VALORI DI MERCATO
C
on la sentenza 348 del 22 otto bre 2007 la Corte Costituzionale è tornata sulla questione della legittimità costituzionale del criterio di calcolo dell’indennità di esproprio di aree edificabili, contenuto nell’art. 5 bis del Decreto Legge 333/1992 convertito dalla Legge 359/1992, oggi confluito nell’art. 37 del DPR 327/2001 “Testo Unico Espropri”. Tale criterio (media tra valore venale e reddito dominicale e detrazione del 40%) - previsto in origine in via transitoria fino all’emanazione di una disciplina organica in materia e giustificato dalla grave congiuntura economica del Paese all’inizio degli anni 90 - determina nella pratica un indennizzo oscillante fra il 50 e il 30% del valore di mercato del bene, ulteriormente decurtato dell’imposta fiscale che si attesta su valori di circa il 20%. Invertendo il proprio orientamento (fra tutte sentenza 283/1993), la Consulta ha censurato l’art. 5 bis DL 333/92 e l’art. 37 TUE, dichiarandone l’illegittimità per contrasto con l’art. 117, comma 1 della Costituzione e, in via indiretta, con l’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata fin dal 1955. L’art. 117, comma 1, Cost. - nel testo modificato dalla Legge Cost. 3/2001 - impone allo Stato e alle Regioni di esercitare la loro potestà legislativa nel rispetto, tra l’altro, degli obblighi internazionali, fra i quali vi rientrano anche quelli derivanti dalla CEDU. In particolare, l’art. 1 del primo Protocollo della CEDU tutela la proprietà privata e la Corte europea dei diritti dell’uomo, interpretando tale disposizione, ha più volte censurato la
normativa italiana sull’indennità di esproprio delle aree edificabili per contrasto con la CEDU (fra le tante sentenza 29 marzo 2006, causa Scordino contro Italia). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha fissato alcuni principi generali in tema di proprietà privata ed espropriazione, e cioè: un atto della p.a. che incide sul diritto di proprietà deve realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse pubblico e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui; l’indennizzo non è legittimo se non consiste in una somma che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene, e quindi deve costituire un serio ristoro al proprietario; l’indennizzo non deve necessariamente coincidere con il valore venale del bene, ma questo deve rappresentare comunque il punto di riferimento per determinarlo; in caso di espropriazione “isolata” e cioè al di fuori di vasti programmi di opere pubbliche solo una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene; obiettivi di pubblica utilità, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo ridotto. La Corte Costituzionale riprendendo questi principi ha precisato che il criterio di calcolo previsto dall’art. 5 bis, commi 1 e 2 DL 333/92 e l’art. 37, commi 1 e 2 TUE non permette di determinare un’indennità seria, congrua ed adeguata, essendo inferiore alla soglia minima accettabile di riparazione del danno subito dai proprietari. Tale criterio infatti, pur adottando come punto di partenza il valore venale del bene, si avvale successivamente di elementi del tutto sganciati da esso fino ad arrivare a risultati molto, troppo lontani dal prezzo di mercato. «Italia Casa»
Acquaformosa (CS) “Una donna che mette i panni nella liscivia (bón fīñin) in un cilindro fatto di ginestra (skórtsa)” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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DPCM DEL 14 GIUGNO 2007 Decentramento delle funzioni catastali ai comuni, ai sensi dell’articolo 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il Presidente del Consiglio Dei Ministri Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modifiche, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma della Pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa; Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59, come modificato dall’art. 1, comma 194, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; Visto, in particolare, l’art. 66 del decreto legislativo n. 112 del 1998, che prevede tra le funzioni conferite agli enti locali quelle relative alla conservazione, utilizzazione e aggiornamento degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano, nonché la partecipazione al processo di determinazione degli estimi catastali, fermo restando quanto previsto a carico dello Stato, dall’art. 65 del predetto decreto legislativo n. 112, in materia di gestione unitaria e certificata della base dei dati catastali e dei flussi di aggiornamento delle informazioni e del coordinamento operativo per la loro utilizzazione attraverso il Sistema pubblico di connettività (SPC); Visto l’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e l’art. 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in ordine alla individuazione del complesso di risorse da destinare all’esercizio delle funzioni catastali; Visto il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modifiche, recante “Riforma dell’organizzazione del governo a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” e, in particolare, l’art. 64 che ha istituito l’Agenzia del territorio; Visto il decreto ministeriale 28 dicembre 2000, n. 1390, emanato dal Ministro delle finanze, con cui sono state rese esecutive, a decorrere dal 1° gennaio 2001, le Agenzie fiscali previste dagli articoli 62, 63, 64 e 65 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, come modificato dal successivo decreto ministeriale 20 marzo 2001, n. 139; Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni, ed in particolare l’art. 14, concernente l’affidamento di ulteriori funzioni statali ai Comuni e alla conseguente regolazione dei rapporti finanziari per l’esercizio delle stesse; Visto l’art. 32 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 in ordine alla attuazione del conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali; Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, recante il “Codice dell’amministrazione digitale” e successive modificazioni; Visto l’art. 1, commi 194 - 200 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che prevede l’emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato previa intesa tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, recante l’individuazione dei termini e delle moda-
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lità per il graduale trasferimento delle funzioni, tenendo conto dello stato di attuazione dell’informatizzazione del sistema di banche dati catastali e della capacità organizzativa e tecnica dei Comuni interessati, anche in relazione al potenziale bacino d’utenza; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 7 giugno 2006, con l’unita delega di funzioni, registrato alla Corte dei Conti il 13 giugno 2006 - Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 7, foglio n. 397, concernente l’attribuzione all’on.le prof. Vincenzo Visco del titolo di Vice Ministro presso il Ministero dell’economia e delle finanze; Considerate le indicazioni contenute nel protocollo d’intesa sottoscritto dall’Agenzia del territorio e dall’ANCI in data 4 giugno 2007; Sentita la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali; Sentite le organizzazione sindacali maggiormente rappresentative; Su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, il Ministro per gli affari regionali ed autonomie locali ed il Ministro dell’interno; decreta: Art. 1 Finalità e contenuti del provvedimento 1. Il presente decreto individua le modalità, i requisiti e gli elementi utili per l’esercizio delle funzioni catastali da parte dei Comuni in forma diretta, singola o associata, ovvero per il convenzionamento con l’Agenzia del territorio, ed i criteri di ripartizione, tra i singoli comuni appartenenti a ciascuna provincia, dei beni mobili e delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie allo svolgimento delle funzioni assunte, nell’ambito di quelle conferite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, in materia di catasto, come modificate dall’art. 1, comma 194, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, anche allo scopo di realizzare un effettivo e totale censimento dei beni immobili ed un completo recupero dei dati catastali ed integrazione della relativa banca dati. Art. 2 Modalità di gestione delle funzioni catastali assegnate ai Comuni 1. I Comuni provvedono alla gestione di tutte o parte delle funzioni catastali assegnate dalla legge attraverso una delle seguenti modalità: gestione diretta autonoma, gestione diretta attraverso Unione di Comuni o altre forme associative, gestione diretta da parte della Comunità Montana di appartenenza, gestione affidata all’Agenzia del territorio. 2. I Comuni individuano la forma gestionale ritenuta più adeguata allo specifico contesto di competenza, con riferimento alle proprie politiche di servizio ai cittadini ed alle imprese; alle politiche di gestione del complesso delle funzioni comunali; allo stato della propria organizzazione interna e dell’infrastrutturazione informatica e telematica di cui sono dotati, della infrastrutturazione tecnologica e telematica sviluppata sul territorio nell’ambito dei piani di e-government.
n. 3-4/2007 3. Ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, l’Agenzia del territorio ed i Comuni, singoli o associati, nonché le Comunità Montane che abbiano deliberato la gestione parziale delle funzioni assegnate secondo le opzioni di cui alle lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 3, stipulano apposita convenzione con cui definiscono la gestione delle funzioni, nonché i termini generali della cooperazione e della collaborazione reciproche su cui si basa il funzionamento del sistema catastale unitario nazionale. 4. L’Agenzia del territorio ed i Comuni, singoli o associati, nonché le Comunità Montane, che abbiano deliberato la gestione completa delle funzioni assegnate secondo l’opzione di cui alla lettera c), comma 2, dell’art. 3, stipulano apposita convenzione con cui definiscono i termini generali della cooperazione e della collaborazione reciproche su cui si basa il funzionamento del sistema catastale unitario nazionale, con particolare riferimento all’assistenza ed al supporto operativi che saranno forniti dall’Agenzia del territorio nella fase iniziale della gestione diretta comunale. Nel caso in cui è stata scelta la gestione diretta, singola o associata, di tutte le funzioni catastali, la convenzione ha la finalità di consentire, nella collaborazione reciproca tra le parti, all’Agenzia del territorio, la salvaguardia del mantenimento degli attuali livelli di servizio all’utenza in tutte le fasi del processo, ai sensi dei commi 197 e 199 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 5. Le convenzioni devono consentire la chiara e distinta individuazione delle rispettive competenze dell’Agenzia del territorio e degli Enti locali, ai sensi dell’art. 4, comma 3, lettera e) della legge 15 marzo 1997, n. 59. Allo scopo di assicurare il mantenimento dei livelli di servizio, la convenzione richiama i livelli prestazionali, tenendo conto delle previsioni recepite nella Carta della Qualità dei Servizi dell’Agenzia del territorio, come adottata dall’Ufficio provinciale di riferimento, nonché in relazione alle previsioni e livelli individuati nella convenzione conclusa tra Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia del territorio. 6. Nel caso in cui il Comune non manifesti la volontà di scelta di una delle opzioni di esercizio delle funzioni catastali nei termini previsti dall’art. 10, o non sottoscriva la convenzione a seguito della propria delibera, intervenuta nei termini previsti, nella quale si individua l’opzione di esercizio delle funzioni catastali, si intende operante la convenzione con l’Agenzia del territorio per la gestione affidata di tutte le funzioni catastali. 7. Nei casi di gestione affidata, l’Agenzia del territorio promuove e facilita l’attivazione presso gli uffici comunali del servizio autogestito di consultazione della banca dati catastale unitaria nazionale, con il rilascio delle visure catastali informatizzate, per le quali le norme vigenti non prevedono il pagamento di oneri o diritti. 8. L’allegato A, parte integrante del presente provvedimento, definisce lo schema tipo delle convenzioni da adottare. Art. 3 Funzioni e processi catastali gestibili in forma diretta dai Comuni 1. I Comuni, in funzione della propria capacità organizzativa e tecnica, assumono la gestione diretta e completa, in forma singola, associata o attraverso la Comunità Montana di appartenenza, di una delle seguenti opzioni di aggregazione di funzioni, in ordine progressivo di complessità ed eventualmente assunte con gradualità crescente, relative al territorio di propria competenza.
Normativa tecnica 2. I Comuni possono optare per una delle seguenti aggregazioni di funzioni: a) opzione di primo livello: 1. consultazione della banca dati catastale unitaria nazionale e servizi di visura catastale; 2. certificazione degli atti catastali conservati nella banca dati informatizzata; 3. aggiornamento della banca dati del catasto mediante trattazione delle richieste di variazione delle intestazioni e delle richieste di correzione dei dati amministrativi, comprese quelle inerenti la toponomastica; 4. riscossioni erariali per i servizi catastali. b) opzione di secondo livello, oltre alle funzioni di cui alla lettera a): 1. verifica formale, accettazione e registrazione delle dichiarazioni tecniche di aggiornamento del Catasto fabbricati; 2. confronto, con gli atti di pertinenza del comune, delle dichiarazioni tecniche di aggiornamento e segnalazione degli esiti all’Agenzia del territorio per la definizione dell’aggiornamento del Catasto fabbricati; 3. verifica formale e accettazione delle dichiarazioni tecniche di aggiornamento geometrico del Catasto terreni; 4. verifica formale, accettazione e registrazione delle dichiarazioni di variazione colturale del Catasto terreni. c) opzione di terzo livello, oltre alle funzioni di cui alla lettera a): 1 verifica formale, accettazione e registrazione delle dichiarazioni tecniche di aggiornamento del Catasto fabbricati; 2. verifica formale, accettazione e registrazione delle dichiarazioni tecniche di aggiornamento geometrico del Catasto terreni; 3. verifica formale, accettazione e registrazione delle dichiarazioni di variazione colturale del Catasto terreni; 4. definizione dell’aggiornamento della banca dati catastale, sulla base delle proposte di parte, ovvero sulla base di adempimenti d’ufficio. 5. I Comuni assicurano la tenuta degli archivi cartacei relativi all’esercizio delle funzioni catastali gestite in forma diretta, a far data dall’avvio dell’operatività, secondo i parametri ed i livelli prestazionali recepiti nella convenzione prevista dall’art. 2, comma 5, nonché la conservazione degli atti secondo termini e modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 1, comma 196, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 6. Al fine di assicurare la realizzazione degli obiettivi di miglioramento della qualità della base dati catastale, l’Agenzia del territorio, nell’ambito delle proprie competenze di presidio dell’unitarietà del sistema catastale nazionale, formula programmi di intervento articolati per aree e macroaree territoriali, da realizzare con iniziative di cooperazione concordate in sede locale con i Comuni, indipendentemente dalle opzioni funzionali scelte ai sensi del precedente comma 2. I programmi di intervento saranno definiti in coerenza con gli obiettivi fissati nella convenzione tra Ministero dell’economia e delle finanze e la stessa Agenzia del territorio, nonché delle priorità definite nel Protocollo d’intesa concluso tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani in data 4 giugno 2007. 7. L’espletamento delle funzioni catastali da parte dei Comuni avviene mediante la esecuzione delle attività previste
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Normativa tecnica dai corrispondenti processi operativi, che tengono conto delle opportunità connesse al rapporto telematico con l’utenza e fra le amministrazioni. Detti processi sono descritti nel Protocollo d’intesa concluso tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani in data 4 giugno 2007. Art. 4 Regole tecniche, procedure operative e supporti applicativi 1. In applicazione del disposto di cui alla lettera h) del comma 1 dell’art. 65 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, l’Agenzia del territorio, con le modalità di cui all’art. 59, comma 7-bis, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni, provvede ad individuare, nel rispetto delle norme vigenti, le metodologie necessarie alla gestione unitaria e certificata della banca dati catastale nazionale e dei flussi di aggiornamento delle informazioni, con riferimento al controllo della qualità dei dati e dei processi di aggiornamento degli atti, assicurando il coordinamento operativo per la loro utilizzazione a fini istituzionali. 2. Ai sensi dell’art. 67, comma 1, del citato decreto legislativo n. 112 del 1998, l’Agenzia del territorio provvede al coordinamento delle funzioni mantenute dallo Stato e di quelle attribuite ai Comuni. 3. I Comuni espletano le funzioni catastali ed erogano i relativi servizi, in forma singola o associata, nel rispetto delle norme vigenti e delle metodologie predette come individuate dalla Agenzia del territorio. 4. Fermo restando quanto previsto al comma 3, i Comuni rapportano le procedure operative degli Uffici Provinciali dell’Agenzia del territorio al proprio specifico contesto organizzativo, autonomamente definito per la gestione delle funzioni e dei processi di servizio. Art. 5 Infrastruttura tecnologica a disposizione dei Comuni 1. Al fine di assicurare l’unitarietà del sistema informativo catastale nazionale, i Comuni utilizzano per la gestione dei processi di cui abbiano assunto la gestione diretta, in termini esclusivi e gratuiti, l’infrastruttura tecnologica, le applicazioni informatiche e i sistemi di interscambio messi a disposizione dall’Agenzia del territorio, tramite la Società Generale d’Informatica del Ministero dell’economia e delle finanze, attualmente descritti nel Protocollo d’intesa concluso tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani in data 4 giugno 2007, adottando le previste regole di accesso e di utilizzo ed assicurandone il rispetto. 2. In attuazione dei principi di accessibilità ed interoperabilità applicativa delle banche dati, i Comuni fruiscono dei servizi d’interscambio predisposti dall’Agenzia del territorio, sia al fine della integrazione dei dati catastali nei propri sistemi informativi, sia per contribuire al miglioramento ed aggiornamento costante e sistematico della qualità dei dati, secondo le specifiche tecniche ed operative formalizzate con il provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio previsto dall’art. 1, comma 198, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Art. 6 Requisiti dimensionali per la gestione diretta delle funzioni catastali 1. Al fine di garantire i livelli minimi di qualità dei servizi, l’esercizio delle funzioni catastali da parte dei Comuni, nel rispetto della loro autonomia decisionale, avviene a seguito
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n. 3-4/ 2007 della allegazione da parte dei Comuni medesimi dei requisiti, indicati nel Protocollo d’intesa concluso tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani in data 4 giugno 2007. Art. 7 Livelli di qualità dei servizi e dei processi di gestione diretta, controlli e misure conseguenti 1. Ai sensi dell’art. 1, comma 199, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, l’Agenzia del territorio salvaguarda il contestuale mantenimento degli attuali livelli di servizio all’utenza in tutte le fasi del processo di decentramento, tenendo conto delle previsioni recepite nella Carta della Qualità dei Servizi della Agenzia del territorio, per come adottata dall’Ufficio provinciale di riferimento, nonché in relazione alle previsioni e livelli individuati nella convenzione conclusa tra Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia del territorio. 2. L’Agenzia del territorio fornisce ai Comuni la reportistica periodica di specifico interesse, derivante dall’attività di monitoraggio effettuata con riguardo a tutte le strutture operative eroganti servizi catastali. 3. I Comuni, con riferimento alle attività direttamente gestite, effettuano rilevazioni di customer satisfaction nell’ambito delle iniziative periodicamente promosse dall’Agenzia del territorio, di norma con cadenza biennale. 4. Le criticità relative alla qualità dei servizi erogati e le azioni di miglioramento intraprese o da sviluppare per la loro rimozione sono verificate congiuntamente dai Comuni e dall’Agenzia del territorio, attraverso i Comitati tecnici di cui all’art. 1 del Protocollo d’intesa concluso tra l’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani in data 4 giugno 2007, con la frequenza concertata e con cadenza almeno semestrale. 5. Successivamente alle verifiche congiunte di cui al comma 4, qualora il Comune non rispetti i livelli di servizio definiti per due annualità successive, l’Agenzia del territorio segnala le disfunzioni rilevate al Ministero dell’economia e delle finanze -Dipartimento delle politiche fiscali che, previo parere della Conferenza Stato - Città ed Autonomie locali, invita il Comune a rimuovere le criticità emerse entro un termine determinato. 6. Qualora perduri da parte del Comune il mancato rispetto dei livelli di servizio definiti nell’ambito della convenzione e formalizzato nella segnalazione inviata al Ministero dell’economia e delle finanze, il Dipartimento delle politiche fiscali, previo parere della Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali dispone che l’Agenzia del territorio sostituisca il Comune nell’espletamento delle funzioni gestite direttamente con le modalità convenzionali di cui all’art. 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Nel caso in cui le criticità rilevate siano superate mediante specifica e motivata attività del Comune, il Dipartimento delle politiche fiscali, previo parere della Conferenza Stato - Città ed Autonomie locali, con proprio provvedimento, dispone il riavvio dell’esercizio delle funzioni catastali secondo le modalità originariamente previste. Art. 8 Sistemi di controllo della qualità delle informazioni e dei processi di aggiornamento degli atti 1. L’Agenzia del territorio effettua il costante adeguamento e controllo della qualità della base dati e dei processi di
n. 3-4/2007 aggiornamento riguardanti i Comuni convenzionati nelle varie possibilità previste dal presente decreto, secondo i programmi, gli obiettivi e gli indicatori definiti nella convenzione stipulata con il Ministero dell’economia e delle finanze. 2. I Comuni che esercitano le funzioni catastali, in forma diretta, singola o associata, assicurano il costante adeguamento della qualità della base dati e dei processi di aggiornamento di propria competenza, in applicazione degli standard individuati nella convenzione stipulata con l’Agenzia del territorio. Art. 9 Supporto formativo all’assunzione delle funzioni 1. L’Agenzia del territorio e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, promuovono incontri e seminari con i Comuni al fine di supportarli nella fase di scelta iniziale riguardante le modalità di gestione delle funzioni. A tale scopo, il soggetto costituito dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani ai sensi dell’art. 1 del decreto ministeriale del 22 novembre 2005 recante modalità di attuazione delle disposizioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter dell’art. 7 del decreto legge 31 gennaio 2005 n. 7, convertito dalla legge 31 marzo 2005, n. 43 può impiegare le somme di cui agli articoli 4 e 5 dello stesso decreto ministeriale per attività di supporto formativo e informativo ai Comuni, anche di carattere strumentale, in materia di gestione delle funzioni catastali e sugli aspetti organizzativi e gestionali ad essa collegati. 2. L’Agenzia del territorio, sulla base di quanto previsto dall’art. 1, comma 199, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, fornisce ai Comuni la documentazione di supporto per la fase di formazione del proprio personale; promuove, inoltre, lo sviluppo delle conoscenze e delle professionalità del personale comunale ai fini della corretta gestione delle funzioni catastali di cui si sia assunta la gestione diretta, anche attraverso l’affiancamento temporaneo con proprio personale esperto. 3. L’Agenzia del territorio provvede ad erogare formazione ed addestramento al personale comunale sugli aspetti evolutivi dei processi di servizio e del sistema informativo di supporto, con le stesse modalità previste per il personale degli Uffici provinciali. Art. 10 Modalità e termini di espressione e comunicazione delle scelte 1. Entro e non oltre 90 giorni dalla pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale, i Comuni provvedono ad inviare, a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento (a tal fine fa fede il timbro a data dell’ufficio postale accettante), all’Agenzia del territorio, sede centrale di Roma, specifica deliberazione esecutiva di Consiglio comunale, indicante la modalità con cui intendono esercitare, dal 1° novembre 2007, le funzioni catastali assegnate, con riferimento alle opzioni di cui agli articoli 2 e 3; entro e non oltre i successivi 90 giorni l’Agenzia del territorio e i Comuni, in forma singola o associata o attraverso le Comunità Montane e Unioni di Comuni, procedono alla sottoscrizione della convenzione. 2. I Comuni che abbiano optato per l’esercizio in forma diretta associata delle funzioni catastali, sono tenuti ad inviare all’Agenzia del territorio, nonché alla Prefettura - Ufficio Territoriale di Governo, tutti gli atti richiesti dall’ordinamento vigente per le forme di gestione associata previste dai Capi IV e V del Titolo II del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni ed integrazioni, recante “testo unico degli enti locali”. I Comuni che intendono gestire
Normativa tecnica la funzione in forma diretta associata devono altresì indicare nella delibera consigliare adottata il Comune al quale destinare le risorse di cui all’art. 11 ad essi spettanti ai sensi del presente decreto. 3. L’Agenzia del territorio acquisisce le deliberazioni pervenute al fine di giungere nei termini previsti alla sottoscrizione della convenzione. 4. L’Agenzia del territorio predispone, per ciascuna provincia, la mappatura delle scelte gestionali comunali, entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 1, dandone comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze Dipartimento per le politiche fiscali, anche al fine della programmazione necessaria in ordine alla ulteriore assegnazione delle risorse finanziarie e di personale, ai sensi dell’art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e dell’art. 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Sulla mappatura è acquisito il parere della Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali. 5. I Comuni che non abbiano deliberato nei termini di cui al comma 1, ovvero che abbiano deliberato l’assunzione della gestione diretta delle funzioni di cui all’art. 3, possono deliberare entro il 15 luglio 2009 l’esercizio diretto di nuove ed ulteriori funzioni, che potranno essere operativamente esercitate a decorrere dal 15 dicembre 2009. Art. 11 Modalità e criteri per l’assegnazione di risorse e la loro correlazione con le funzioni assunte 1. Le risorse finanziarie del bilancio dello Stato da trasferire ai Comuni per spese di funzionamento sono provvisoriamente quantificate nella misura massima di euro 46.033.000 come specificato nella annessa tabella A e saranno attribuite ai Comuni con le seguenti modalità: a) per le spese variabili di produzione, mediante trasferimento, a valere sulle dotazioni dell’Agenzia del territorio, nel limite complessivo risultante dall’ultimo bilancio approvato, pari ad euro 5.629.000, di un importo in ragione del numero di dipendenti dell’Agenzia trasferiti o distaccati e quantificato in 1900 euro pro-capite, secondo le stime di cui alla tabella A; b) per la conduzione dei locali, mediante trasferimento, a valere sulle dotazioni dell’Agenzia del territorio, di un importo determinato nel limite massimo complessivo risultante dall’ultimo bilancio approvato, pari a euro 15.404.000, secondo le stime di cui alla tabella A, a condizione dell’effettivo subentro dei Comuni nei locali stessi; c) per tutti gli altri oneri derivanti dalle effettive situazioni logistico-operative connesse al concreto esercizio delle opzioni prescelte dai Comuni ed a seguito della mappatura delle stesse, si provvederà ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge n. 296 del 2006 mediante attribuzione di quota parte dei tributi speciali catastali in misura variabile, di norma, dal 5 al 15%, nel limite massimo complessivo fissato provvisoriamente in misura non superiore a euro 25.000.000 annui. 2. In applicazione dell’art. 7 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 e del comma 197 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ai fini della attribuzione di risorse finanziarie ai Comuni di cui alle lettere a), b), c) del comma 1, il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni compensative di bilancio, con corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto nell’unità previsionale di base 6.1.2.10 Agenzia del territorio - dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze a decorrere dall’anno 2007.
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Normativa tecnica 3. Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro la data del 30 giugno 2007, allo scopo di finanziare le attività connesse al conferimento ai comuni delle funzioni catastali, ai sensi dell’art. 2, comma 66, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, con particolare riferimento al miglioramento della qualità della banca dati, vengono individuate ulteriori risorse correlate alle opzioni prescelte nell’esercizio delle funzioni catastali. 4. L’Agenzia del territorio e l’ANCI, anche sulla base degli elementi forniti dai Comitati tecnici costituiti a livello regionale, formulano, in relazione alle effettive situazioni logistico-operative connesse al concreto esercizio delle opzioni prescelte dai Comuni ed a seguito della mappatura delle stesse, proposte al Ministero dell’economia e delle finanze in ordine alle risorse finanziarie da trasferire ai Comuni ai sensi dei precedenti comma 1, lettera c) e comma 3. 5. Il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, provvede con decreto ad attribuire le risorse finanziarie di cui al comma 1 lettere a) e b) nonché, nel limite complessivo fissato provvisoriamente in misura non superiore ad euro 25 milioni annui, le risorse di cui all’art. 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sulla base delle proposte di cui al precedente comma 4.
n. 3-4/ 2007 6. Il contingente di personale strumentale all’esercizio delle funzioni catastali, di cui all’art. 66 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è individuato nella annessa tabella B, nella misura massima di 2.955 unità. 7. L’attribuzione delle risorse finanziarie, relative al predetto personale, avrà luogo mediante trasferimento, da parte dell’Agenzia del territorio, di un importo in euro, per ciascuna unità di personale, corrispondente alla media delle retribuzioni dei diversi livelli di personale interessati, sulla base dei dati ufficiali forniti dall’Agenzia stessa. L’attribuzione di risorse finanziarie non avrà luogo nel caso in cui la messa a disposizione del personale avverrà mediante l’istituto del distacco. Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro 60 giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 10, comma 1, verranno individuate le unità di personale da trasferire o distaccare ai Comuni in relazione alle opzioni esercitate ai sensi dell’art. 3, comma 2. Nel medesimo decreto sono definiti i criteri per l’individuazione del personale da assegnare ai comuni, previa consultazione con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, ai sensi dell’art. 1, comma 197, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. «Bollettino di legislazione tecnica»
San Giovanni in Fiore (CS) “L’interno di una capanna dei pastori nella zona silana” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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Normativa tecnica
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LEGGE REGIONALE 21 AGOSTO 2007, N. 18 orme in materia di usi civici (BUR n. 15 del 16 agosto 2007, supplemento straordinario n. 5 del 29 agosto 2007) CAPO I Disposizioni generali Art. 1 (Oggetto e finalità) 1. Le disposizioni contenute nella presente legge sono intese a disciplinare l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di usi civici e di gestione delle terre civiche. 2. La Regione tutela e valorizza i terreni di uso civico e le proprietà collettive, quali elementi di sviluppo economico delle popolazioni locali assicurandone le potenzialità produttive. 3. I terreni di uso civico e le proprietà collettive sono altresì strumenti per la salvaguardia ambientale e culturale e per la preservazione del patrimonio e del paesaggio forestale, agricolo e pastorale della Calabria. 4. La Regione assicura la partecipazione dei Comuni alla programmazione ed al controllo dell’uso del territorio ai fini della tutela delle esigenze comuni delle popolazioni locali. 5. La legge, in attuazione dell’art. 118 della Costituzione e degli artt. 2 lett. e), e 46 dello Statuto regionale, opera il conferimento ai Comuni di tutte le funzioni e compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi delle comunità locali nella materia degli usi civici, ove non sussista un interesse sovra comunale. Art. 2 (Definizioni) 1. Ai fini della presente legge, gli usi civici sono intesi: diritti di uso civico su terre di proprietà privata, quali diritti spettanti a una collettività locale su terreni e loro pertinenze e accessioni, di uso e godimento secondo la destinazione dei beni, coesistenti con il diritto di proprietà privata; diritti di uso civico su terre del demanio comunale, quali diritti spettanti a una collettività locale, di uso e godimento secondo la destinazione dei beni, su terreni appartenente al comune, frazione o associazione. 2. Si intendono altresì: a) liquidazione degli usi civici, il procedimento volto all’adozione del provvedimento amministrativo di liberazione del bene privato dal gravame consistente nel diritto di uso civico; b) verifica demaniale, il procedimento amministrativo volto alla ricognizione delle terre appartenenti al comune, frazione o associazione, al fine di accertare l’esercizio e il titolo di occupazione da parte di singoli, che abbiano sottratto le terre del demanio civico al godimento collettivo; c) legittimazione, il procedimento volto all’adozione del provvedimento amministrativo di sanatoria dell’occupazione abusiva da parte di privati su terre di uso civico appartenenti al comune, frazione o associazione e all’imposizione di un canone enfiteutico; d) reintegrazione, il procedimento volto all’adozione del provvedimento amministrativo di recupero del bene oggetto di usi civici all’uso collettivo, liberandolo dell’occupazione abusiva da parte di privati; e) affrancazione, l’atto con cui un terreno viene liberato del canone enfiteutico. Art. 3 (Regime giuridico) 1. Gli usi civici costituiscono diritto inalienabile, imprescrittibile e inusucapibile della comunità locale alla quale appartengono.
2. I beni di uso civico non possono formare oggetto di diritti speciali a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti previsti dalla legge. 3. Ai beni di uso civico e ai diritti di uso civico su terre private, sono applicabili, rispettivamente, le norme previste per i beni demaniali dello Stato e della Regione e per i diritti demaniali su beni altrui disciplinati dall’art. 825 del Codice civile, in quanto applicabili e in quanto non derogate dalle norme della presente legge. 4. I diritti di uso civico sono insensibili alle vicende amministrative del comune o della frazione, quali soppressioni, fusioni o aggregazioni, che, pertanto, non cagionano l’estinzione degli usi civici. 5. I terreni soggetti a usi civici sono soggetti alla tutela paesaggistica prevista dagli articoli 131 e seguenti del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, approvato con Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Art. 4 (Regolamento regionale) 1. Con regolamento approvato dalla Giunta regionale entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sentita la competente Commissione consiliare, sono adottate le norme di attuazione della presente legge. 2. Sino all’approvazione del regolamento regionale, continuano ad applicarsi le nome del RD 26/2/1928 n. 332, in quanto compatibili con le disposizioni della presente legge. Art. 5 Regolamenti locali 1. I comuni, nella cui circoscrizione esistono terreni di uso civico, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del regolamento regionale e nel rispetto dello stesso, emanano ai sensi, dell’art. 2, comma 4 della legge regionale 12 agosto 2002, n. 34 il regolamento per l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite e per la gestione delle terre di uso civico ovvero adeguano quello vigente, ove necessario, alle disposizioni della presente legge. 2. Il regolamento locale per l’uso dei terreni di uso civico disciplina inoltre: a) l’esercizio collettivo degli usi civici da parte della comunità locale relativamente al contenuto, ai limiti e all’eventuale corrispettivo a carico degli utenti; b) le eventuali modalità, forme e condizioni di concessione onerosa per uso esclusivo delle terre civiche, a fini di sfruttamento produttivo; c) le modalità di imposizione e riscossione di canoni e corrispettivi nell’ambito della regolamentazione regionale, finalizzate a consentire la copertura finanziaria delle funzioni amministrative in capo agli Enti; d) le modalità di esercizio della potestà di vigilanza e sanzionatoria, in relazione alla corretta osservanza della disciplina legislativa e regolamentare. CAPO II Funzioni amministrative e programmazione Art. 6 (Funzioni della Regione) 1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, di indirizzo, di coordinamento e di controllo, nonché i compiti espressamente riservati dalla presente legge.
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Normativa tecnica 2. Nelle materie oggetto della presente legge, la Regione esercita le funzioni di indirizzo, programmazione e coordinamento, mediante deliberazione della Giunta regionale nel rispetto dei principi e dei criteri fissati dalla legge. 3. La Regione esercita le funzioni e i compiti amministrativi di accertamento dell’esistenza di diritti di uso civico, secondo le norme del regolamento regionale. Art. 7 (Funzioni delle Province) 1. Nelle materie disciplinate dalla presente legge, le Province esercitano le funzioni amministrative e di programmazione inerenti a vaste aree intercomunali o all’intero territorio provinciale ed in tale ambito: a) promuovono e coordinano attività in collaborazione con i Comuni, sulla base di programmi da esse predisposti; b) realizzano iniziative di rilevante interesse provinciale nel settore della valorizzazione produttiva e ambientale delle terre di uso civico; c) raccolgono e coordinano le proposte avanzate dai Comuni ai fini della programmazione dellaRegione; d) forniscono assistenza tecnica ed amministrativa agli Enti locali che la richiedano, con particolare riferimento ai procedimenti di vigilanza; e) realizzano iniziative divulgative per lo studio e la valorizzazione delle terre di uso civico. Art. 8 (Ricognizione e inventario delle terre civiche) 1. La Regione provvede alla ricognizione generale degli usi civici e alla formazione di un inventario generale delle terre di uso civico, mediante l’adozione di piani di intervento, da approvarsi con deliberazioni della Giunta regionale aventi natura non regolamentare, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge. Art. 9 (Ricognizione generale delle terre civiche) 1. La Regione, d’intesa con i Comuni, provvede alla ricognizione generale degli usi civici esistenti sul territorio regionale, mediante un piano straordinario di accertamento. 2. A tal fine, con la deliberazione prevista all’articolo precedente, la Giunta adotta il piano, che dovrà contenere: a) l’individuazione dei criteri per la identificazione da parte dei Comuni dei diritti di uso civico su terre private e dei beni del demanio civico comunale, nonché di ogni altro diritto analogo; b) modalità e tempi con cui i Comuni dovranno trasmettere le informazioni, i dati e i documenti in loro possesso circa le terre di uso civico ricadenti nell’ambito del territorio di competenza; c) a distinzione delle terre di uso civico, secondo la loro destinazione agricola, forestale e pastorale, in relazione alle potenzialità produttive o alla valenza paesaggistica e ambientale dei terreni. Art. 10 (Inventario generale delle terre civiche) 1. La Regione, d’intesa con i Comuni, provvede a formare l’inventario generale delle terre civiche. 2. L’inventario, tenuto dalla Regione, costituisce il documento ufficiale per la programmazione degli interventi di utilizzazione recupero e valorizzazione dei terreni di uso civico. 3. Il piano per la redazione dell’inventario delle terre civiche, comprende: a) le modalità per la redazione e l’aggiornamento dell’inventario generale, da formarsi mediante descrizione tecnico-
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n. 3-4/ 2007 catastale e cartografica dei beni e mediante supporto informatico; b) la struttura regionale competente alla tenuta dell’inventario e le modalità di accesso alla documentazione costituente l’inventario; c) le modalità di raccolta di dati, informazioni e documenti, dai Comuni e dal Ministero, per quest’ultimo relativamente alla fase precedente al trasferimento di funzioni alle Regioni. Art. 11 (Realizzazione della ricognizione e dell’inventario generale) 1. Il piano di ricognizione delle terre di uso civico e di redazione dell’inventario, prevedono preferibilmente l’utilizzazione di personale precario ovvero personale addetto alla manutenzione idraulico-forestale; i piani stessi prevedono l’inserimento organico nella programmazione dei fondi europei per il periodo 2007-2013. Art. 12 (Piano comunale di valorizzazione e recupero delle terre civiche) 1. I Comuni predispongono e approvano con deliberazione consiliare il piano di valorizzazione e di recupero delle terre di uso civico ricadenti nelle rispettive circoscrizioni. 2. Il piano contiene le indicazioni programmatiche sulla gestione, l’utilizzo e la destinazione dei beni e diritti di uso civico, finalizzate allo sviluppo socio-economico delle comunità interessate e allo sfruttamento conforme al pubblico interesse, alla tutela e valorizzazione ambientale e alla preservazione degli equilibri idro-geologici. 3. Il piano contiene altresì le disposizioni generali sulla destinazione delle terre di uso civico secondo la loro vocazione naturale in considerazione dell’ubicazione, della qualità e della produttività, e sulle eventuali diverse destinazioni. 4. Nel regolamento regionale sono previste forme di partecipazione al procedimento di approvazione del piano, volte a consentire la proposizione, nella fase endoprocedimentale, da parte di cittadini, Enti o Associazioni, di osservazioni, deduzioni e documenti. Art. 13 (Albo regionale degli Istruttori e periti demaniali) 1. È istituito l’albo regionale degli istruttori e Periti demaniali in materia di usi civici. 2. Il regolamento di attuazione della presente legge disciplinala formazione, la tenuta e l’accesso all’albo, che sarà diviso in due sezioni: a) sezione a) in cui sono iscritti gli Istruttori demaniali, figure professionali che espletano la fase di accertamento delle aree soggette a usi civici, sotto il profilo storico, tecnico e giuridico, al fine di verificare gli ambiti territoriali appartenenti ai demani civici e soggetti diritti di uso civico; b) sezione b) in cui sono iscritti i Periti demaniali, figure tecniche, che operano la fase di verifica dello stato di fatto delle terre e la conseguente successiva sistemazione, quale legittimazione, reintegra, affrancazione. 3. Presso il Dipartimento regionale competente è istituita la Commissione per la vigilanza sull’albo, formata da un dirigente regionale, da un docente universitario, da un esperto in materie tecniche e da un esperto in materie giuridiche. 4.Il regolamento disciplina la nomina dei membri, la costituzione della Commissione, il funzionamento, nonché i rimborsi e le indennità ai membri della stessa. 5. La Giunta regionale promuove la organizzazione di appositi corsi di formazione e/o qualificazione professionale
n. 3-4/2007 per i periti e, istruttori demaniali, anche tramite la stipula di convenzioni con Università od Ordini professionali. CAPO III Procedimenti amministrativi in materia di usi civici Art. 14 (Conferimento di funzioni ai Comuni) 1. Le funzioni amministrative concernenti la liquidazione degli usi civici, la verifica demaniale di terre oggetto di usi civici, la legittimazione di occupazioni abusive e l’affrancazione, la gestione e la classificazione dei terreni di uso civico, sono conferite ai Comuni. 2. Se le terre oggetto di usi civici sono comprese nel territorio di più Comuni, la funzione amministrativa compete all’Amministrazione provinciale. 3. I Comuni, nell’esercizio delle funzioni conferite, adottano le eventuali forme associative previste dagli articoli 30 e seguenti del Decreto legislativo 18/8/2000 n. 267, per la migliore efficienza dei compiti amministrativi affidati. Art. 15 (Procedimento) 1. Le Amministrazioni comunali, ove non sia espressamente prevista la competenza di altro organo, adottano l’atto finale del procedimento con deliberazione della Giunta comunale in esito all’istruttoria affidata al perito o all’istruttore demaniale, nel rispetto delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari. 2. Il provvedimento finale diviene efficace a seguito di controllo della Giunta regionale, che esercita l’esame di legittimità e la valutazione di merito sul provvedimento, previa istruttoria del Dipartimento competente. 3. La Giunta regionale esamina i provvedimenti delle Amministrazioni comunali, che devono essere trasmessi alla Regione completi di tutti gli allegati e degli atti istruttori, nel termine di 90 giorni dalla ricezione: decorsi i quali il provvedimento comunale è tacitamente approvato. 4. La Giunta o il Dipartimento possono chiedere, per una sola volta, chiarimenti, documenti o integrazioni istruttorie; in tal caso il temine è interrotto e riprende a decorrere per intero dalla ricezione degli atti richiesti. 5. Ove l’Amministrazione regionale ritenga illegittimo il provvedimento comunale ricusa il visto e restituisce gli atti al Comune per le ulteriori determinazioni. 6. Ove la Giunta regionale valuti nel merito inefficaci o insufficienti o inopportune le scelte dell’Amministrazione comunale, restituisce gli atti al Comune imponendo le prescrizioni necessarie ovvero disponendo la rinnovazione del procedimento e dell’istruttoria sui punti non approvati. 7. Il controllo previsto dai commi precedenti si applica a tutti i procedimenti di competenza degli Enti locali in materia di usi civici. 8. Le spese per l’istruttoria dei procedimenti, relativamente ai compensi di periti ed istruttori demaniali, sono a carico delle parti private interessate e sono determinati alle norme del regolamento regionale, che disciplina altresì l’eventuale imposizione di tasse per diritti di segreteria. 9. I procedimenti in materia di usi civici possono essere definiti per mezzo della conferenza di servizi disciplinata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e dalla legge regionale 4 settembre 2001, n. 19 in quanto applicabili. Art. 16 (Poteri sostitutivi) 1. In caso di mancata attuazione da parte degli Enti locali delle funzioni e dei compiti conferiti ai sensi della presente legge, la Regione esercita il potere sostitutivo sugli Enti locali inadempienti. 2. A tal fine, il Presidente della Giunta regionale, su propo-
Normativa tecnica sta dell’ Assessore competente per materia, assegna all’ente inadempiente il termine di novanta giorni per provvedere. 3. Trascorso inutilmente il predetto termine, la Giunta regionale, dispone l’intervento sostitutivo con un cornmissario ad actus, nominato secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, che provvede entro novanta giorni, ovvero avoca all’amministrazione regionale il procedimento, impartendo le opportune disposizioni per la sua definizione. 4. Gli oneri finanziari dell’intervento sono a carico dell’ente inadempiente. Art. 17 (Liquidazione) 1. I comuni esercitano la funzione amministrativa concernente la liquidazione degli usi civici nel rispetto della legge e del regolamento regionale. 2. Il procedimento è intrapreso su istanza del privato proprietario o d’iniziativa del Comune. 3. Il regolamento regionale detta nome di attuazione volte individuare con certezza il diritto di proprietà privata, a semplificare il procedimento e a consentirne la rapida definizione, favorendo la chiarificazione delle situazioni di gravami solo formali e la piena esplicazione del diritto di proprietà privata. 4. Possono essere altresì dettate norme volte a consentire in via semplificata la liquidazione di usi civici nel caso in cui il bene ricada in zone urbanizzate tali da non avere più in alcun modo la destinazione e la funzione di uso collettivo. 5. Nel caso previsto dal comma precedente, e in ogni altro caso in cui appaia prevalente la definizione del procedimento mediante liberazione dei terreni contro il pagamento al Comune di un compenso una tantum, il regolamento regionale consente il versamento delle somme e ne disciplina la quantificazione. 6. È comunque ammessa, su opzione del proprietario privato la liquidazione degli usi civici mediante cessione al Comune di una porzione del terreno, ovvero mediante instaurazione del rapporto enfiteutico, in base agli articoli 5, 6 e 7 della legge 16 giugno l927 n. 1766 e secondo le norme del regolamento regionale. Art. 18 (Verifica demaniale) 1. La funzione amministrativa concernente la verifica demaniale delle terre oggetto di usi civici è esercitata dal Comune, in esecuzione degli atti di accertamento adottati dall’Amministrazione regionale e dell’inventario generale. 2. A tali fini il Comune, d’ufficio o su impulso di privati, Enti o Associazioni, che procede alla ricognizione delle terre di uso civico, procede alla individuazione dei confini, accerta le eventuali occupazioni abusive, verifica lo stato dei terreni e gli eventuali danneggiamenti al patrimonio boschivo, agricolo, fluviale e all’equilibrio idro-geologico. 3. La verifica è conclusa con provvedimento dichiarativo della situazione di fatto e di diritto riscontrata, e con le conseguenti proposte per la sistemazione dei terreni. 4. Ove ne sussistano i presupposti, il Comune esercita le necessarie azioni giudiziarie a tutela del demanio civico, ivi compresa l’azione di danno ambientale prevista dall’art. 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349 e l’eventuale ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di indennità per occupazione abusiva. Art. 19 (Legittimazione) 1. L’occupatore abusivo di terre del demanio civico comunale può chiedere la legittimazione della detenzione di fatto
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Normativa tecnica senza titolo, ove ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) abbia apportato sostanziali e permanenti miglioramenti di tipo agricolo e/o forestale, ambientale o volti alla sistemazione idrogeologica; b) la zona usurpata non interrompa la continuità del demanio civico; c) l’occupazione duri da oltre dieci anni; d) la zona non sia stata oggetto di abuso edilizio. 2. Il regolamento regionale disciplina le modalità di determinazione del canone enfiteutico, tenendo presente le migliorie apportate, il sacrificio imposto alla comunità locale, la qualità del terreno e la copertura finanziaria delle funzioni amministrative comunali, nonché i criteri di accertamento della storia immobiliare del bene, al fine di garantire, mediante prova certa, l’insussistenza di diritti di terzi. 3. Alla domanda di legittimazione deve essere allegata la documentazione ipotecaria e catastale ultraventennale del bene ovvero idonea certificazione notarile. La qualità edificatoria del suolo o l’esistenza di fabbricati non costituiscono titolo preferenziale per la legittimazione. Al rapporto enfiteutico scaturente dalla legittimazione si applicano le norme del Codice civile e delle leggi speciali in materia, in quanto compatibili. È ammessa, ove ne sussistano i presupposti, la devoluzione del fondo enfiteutico in favore del Comune. Art. 20 (Affrancazione) 1. L’affrancazione del fondo enfiteutico è concessa dall’Ente concedente, su richiesta dell’enfiteuta, trascorsi almeno venti anni dall’instaurazione del rapporto di enfiteusi e dall’imposizione del canone. 2. Per l’adozione dell’atto di affrancazione devono permanere i requisiti previsti dall’articolo precedente per la legittimazione. 3. Il regolamento regionale disciplina le modalità di determinazione del canone di affrancazione in analogia a quanto previsto per la legittimazione, nonché i criteri di accertamento della storia immobiliare del bene, al fine di garantire, mediante prova certa, l’insussistenza di diritti di terzi. 4. Alla domanda di affrancazione deve essere comunque allegata la documentazione ipotecaria e catastale ultraventennale del bene ovvero idonea certificazione notarile. 5. La qualità edificatoria del suolo o l’esistenza di fabbricati non costituiscono titolo preferenziale per l’affrancazione. 6. Per quanto non previsto o derogato, si applica la legge 22 luglio 1966, n. 607, che disciplina altresì la fase processuale. Art. 21 (Reintegrazione) 1. Qualora il Comune accerti l’esistenza di occupazioni abusive di beni del demanio civico non sanate e/o non sanabili, adotta il provvedimento di recupero del bene oggetto di usi civici all’uso collettivo. 2. In caso di occupazione, l’Amministrazione invita l’occupante al rilascio assegnando un termine, decorso il quale procede all’esecuzione d’ufficio ai sensi dell’art. 21 ter della legge 7 agosto 1990, n. 241. 3. Nelle more del perfezionamento del controllo regionale, il Comune ha facoltà di adottare in via d’urgenza le opportune misure di tipo cautelare e/o conservativo. 4. Il Comune adotta inoltre nei confronti del responsabile dell’eventuale danno, l’ordine di esecuzione a sue spese delle opere
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n. 3-4/ 2007 necessarie alla reintegrazione, secondo quanto previsto dall’art. 160 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio, approvato con Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e dalle corrispondenti norme regionali. 5. Il regolamento regionale detta le norme di dettaglio del procedimento. Art. 22 (Vigilanza) l. Per i fini di vigilanza, accertamento e tutela delle terre di uso civico previsti negli articoli precedenti, i Comuni si avvalgono del personale di polizia amministrativa delle Amministrazioni provinciali e del Corpo Forestale dello Stato. 2. A tal fine la Giunta regionale promuove la conclusione di apposita convenzione con il Corpo Forestale ovvero procede alla integrazione degli accordi esistenti. Art. 23 (Gestione dei beni di uso civico) 1. Il Comune adotta ogni atto di gestione dei beni di uso civico, con il fine di conseguire la migliore utilizzazione economica dei beni nel rispetto delle finalità previste dall’art. 1 della presente legge. 2. L’Ente titolare del bene approva gli atti concernenti la variazione dell’uso in atto, nell’ambito della destinazione di utilizzazione collettiva. 3. Il Comune dispone altresì l’eventuale concessione in uso esclusivo o in affitto a privati o aziende, determinando la durata del contratto e l’ammontare del canone nell’ambito delle disposizioni del regolamento regionale. Art. 24 (Cessazione dei diritti di uso civico - declassificazione - alienazione) 1. La cessazione definitiva dei diritti di uso civico è disposta con deliberazione del Consiglio comunale qualora i terreni abbiano irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi, secondo il piano di valorizzazione e di recupero previsto dall’articolo 12. 2. Il provvedimento consiliare opera la declassificazione dei beni del demanio civico e dispone in merito alla futura destinazione dei beni, in conformità allo strumento urbanistico e sulla base della valutazione dell’interesse collettivo ed ella convenienza economica per l’Ente. 3. Allo stesso modo si provvede nel caso di alienazione o permuta dei beni del demanio civico comunale. 4. Si applicano le forme di partecipazione al procedimento previste all’art. 12 comma 4. CAPO IV orme transitorie Art. 25 (orma sul trasferimento di competenza) 1. Al momento dell’entrata in vigore della presente legge, cessano di diritto le competenze attualmente in capo alla Regione. 2. I procedimenti amministrativi su istanza di parte privata, la cui domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore della legge, sono definiti dall’Amministrazione regionale con l’applicazione delle nuove disposizioni. Art. 26 (orma transitoria per le aree urbane) 1. In via transitoria, i procedimenti di cui agli articoli 17, 19 e 20, possono essere definiti in via semplificata, ove abbiano ad oggetto aree con destinazione urbanistica edificatoria, commerciale o industriale, ovvero aree parzialmente o completamente edificate o pertinenze di fondi urbani. Nel caso di aree edificate, il procedimento semplificato è ammesso nel caso in cui l’edificazione sia conforme agli stru-
n. 3-4/2007 menti urbanistici vigenti al momento dell’edificazione e per i casi in cui sia stata già presentata domanda in sanatoria. 2. La legittimazione e/o affrancazione in forma semplificata avvengono in favore dell’occupatore che detenga l’immobile da almeno dieci anni, compresi gli eventuali danti causa, e ciò sia dimostrato in base ad atto scritto di data certa anteriore al 30 giugno 1997. 3. La liquidazione secondo il procedimento semplificato si verifica in favore del soggetto munito di titolo di acquisto informa pubblica, anteriore al 30 giugno 2007. 4. La qualità di suolo edificatorio, commerciale o industriale dovrà risultare in tutti i casi dallo strumento urbanistico comunale, valido ed efficace, entrato in vigore prima del 30 giugno 2007. Art. 27 (Procedimento semplificato) 1. Il procedimento ai sensi dell’articolo precedente è instaurato su richiesta degli interessati, mediante istanza da presentare al Comune a pena di decadenza entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della presente legge. 2. All’istanza di legittimazione, affrancazione o liquidazione deve essere allegato l’atto scritto di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo precedente, il certificato di destinazione urbanistica, il permesso di costruire in caso di suoli edificati e la ricevuta di pagamento al Comune interessato della somma di cui all’articolo che segue, la documentazione attestante il diritto alla eventuale riduzione del corrispettivo, nonché una perizia tecnica giurata attestante lo stato dei luoghi, il diritto di uso civico gravante e il criterio di calcolo seguito per la determinazione del canone. 3. Per la decisione del1’istanza, non è necessario parere della Comunità montana, né approvazione o visto regionale. 4. L’istanza si intende favorevolmente accolta ove il comune non comunichi entro il termine di centoventi giorni dalla presentazione il rigetto della stessa, ovvero rappresenti esigenze istruttorie o richieda l’integrazione di atti o documenti, nel qual caso, il termine è interrotto e riprende a decorrere per ulteriori centoventigiorni dall’espletamento dell’istruttoria o dall’integrazione documentale. 5. In fase transitoria, la legittimazione può essere contestuale all’affrancazione. Art. 28 (Canoni e corrispettivi) 1. Il prezzo di legittimazione delle aree è determinato per ogni metro-quadrato in ragione del valore medio della coltura più redditizia della corrispondente regione agraria, come determinato per l’anno precedente ai sensi dell’art. 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865, con fissazione di somme pari al: a) 30% del valore sopra citato, per le aree edificabili, edificate o con destinazione commerciale o industriale; b) 20% del suddetto valore, per gli edifici destinati a prima casa, del richiedente o del coniuge anche separato o divorziato ovvero di discendenti in linea retta di secondo grado. 2. Ai sensi del comma precedente, per le aree edificate si calcolano le superfici dell’area di sedime del fabbricato e le relative pertinenze.
Normativa tecnica 3. Il prezzo di affrancazione e di liquidazione delle aree è determinato nella misura pari al cinquanta per cento delle somme determinate ai sensi dei comma precedenti. 4. Il prezzo di affrancazione delle aree edificate di cui al comma 1 può essere corrisposto dai soggetti legittimati attraverso un canone agevolato in via rateale suddivisibile in sei mensilità. Art. 29 (Riduzioni) 1. I soggetti richiedenti e titolari dei diritti di cui agli articoli precedenti che siano residenti da oltre vent’anni nel Comune interessato ovvero dimostrino per iscritto la proprietà o il possesso indisturbato del bene per un periodo superiore a vent’anni avranno diritto a una riduzione del 10% del corrispettivo come determinato in applicazione dell’articolo precedente. CAPO V orme finali Art. 30 (orma finanziaria) 1. Alla copertura finanziaria delle spese di parte corrente relative all’attuazione della presente legge, determinati per l’esercizio finanziario 2007 in euro 60.000,00, si provvede con le risorse disponibili all’UPB 8.1.01.01 dello stato di previsione della spesa dello stesso bilancio, inerente a “Fondi per provvedimenti legislativi in corso di approvazione recanti spese di parte corrente”, il cui stanziamento viene ridotto del medesimo importo. 2. Alla copertura finanziaria delle spese di investimento relative all’attuazione della presente legge, determinati per l’esercizio finanziario 2007 in euro 80.000,00, si provvede con le risorse disponibili all’UPB 8.1.01.02 dello stato di previsione della spesa dello stesso bilancio, inerente a “Fondi per provvedimenti legislativi, in corso di approvazione recanti spese in conto capitale”, il cui stanziamento viene ridotto del medesimo importo. 3. La disponibilità finanziaria di cui ai commi precedenti è utilizzata nell’esercizio in corso, ponendone la competenza della spesa a carico della funzione obiettivo 3.2.02 dello stato di previsione della spesa del bilancio 2007. La Giunta regionale è autorizzata ad apportare le conseguenti variazioni al documento tecnico di cui all’art. 10 della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8. 4. Per gli anni successivi alla copertura finanziaria degli oneri relativi, quantificati a regime in euro 200.000,00 per le spese di investimento, si fa fronte con l’approvazione del bilancio di previsione annuale e con la legge finanziaria che l’accompagna. Art. 31 (Pubblicazione) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione. È fatto obbligo, a chiunque spetti, di osservarla e farla osservare come legge della Regione Calabria. Catanzaro, lì 21 agosto 2007 Loiero
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Sicurezza sul lavoro
n. 3-4/ 2007
QUANDO L’ISPETTORE DELL’AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE (EX A.S.L.) ARRIVA IN CANTIERE di Salvatore*, Maddalena** e Francesco*** Esposito
Q
uando l’ispettore dell’A.S.P. entra in un cantiere edile, spesso il datore di lavoro della impresa esecutrice dice: < Possibile che tra tanti cantieri dovevate venire proprio da me? ….Ispettore, mi ha denunciato qualcuno o……. è una ispezione programmata ?……>.Questo primo impatto con il responsabile della impresa ci ricorda quando il professore doveva interrogare e tutti si ponevano la stessa domanda : < possibile che tra tutti noi, il professore interroga proprio me ? >. Spiegando in modo garbato il motivo della ispezione , si crea quel clima sereno, necessario per il prosieguo del nostro compito istituzionale . Senta, signor……Ettore ( ribatte il datore di lavoro ), il motivo di questa ispezione è dovuta al fatto che tra tutte le notifiche preliminari che i committenti trasmettono al nostro Dipartimento, ne viene presa una a campione ……oggi, è toccato a Lei. < Che fortuna!...> esclama in modo ironico il Sig. Ettore ,…. < comunque è meglio che siete venuti oggi …….e non per qualche infortunio mortale,… …. certe volte il morto ci può scappare per una banalità…..comunque, ispettore , cercate di non rovinarmi …....io mi voglio mettere a posto………perché voglio stare tranquillo…….>. Questo monologo lo abbiamo sentito centinaia di volte, tutti i datori di lavoro ripetono le stesse cose come se avessero imparato la “ litania” ad uno specifico corso di formazione. È necessario far capire ai datori di lavoro che la sicurezza sul cantiere gioca a loro favore infatti, se il lavoratore opera in tranquillità lo stesso produce ricchezza per la propria impresa. È molto importante comunque il comportamento che il personale ispettivo deve tenere durante l’ ispezione, spesso ci si dimentica che il nostro compito è soprattutto quello di raggiungere come obiettivo la messa in sicurezza del cantiere e non certamente solo quello della repressione. Descrizione del cantiere e documentazione richiesta Nel cantiere ispezionato (Foto 1), al momento opera l’impresa “ Ettore di Praia srl “ , il cui Amministratore unico è il Sig. Ettore Mercuri, che esegue i lavori di carpenteria per la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione. Al momento i lavori consistono nel completamento del solaio di copertura del fabbricato distinto in piano terra, primo e secondo piano. Il committente di tali lavori è il la Sig.ra De Francesco Maria Angela la quale ha nominato (art.3 D.Lgs. 494/96 e ss.mm.) come coordinatore per la progettazione e per la esecuzione dei lavori il Geom. Fernando Cosenza. I lavori iniziati nel Marzo 2007 , dovrebbero essere ultimati nel mese di Febbraio 2008. Le imprese che opereranno in detto cantiere sono 3 anche se non in contemporanea, con una presenza media giornaliera di circa otto lavoratori . I dati innanzi esposti li abbiamo letti nel cartello adiacente l’ingresso al cantiere (L. 47/85) e nella copia della notifica preliminare affissa in
Foto 1: Idonea installazione di ponteggio metallico con ponte e sottoponte di sicurezza
maniera visibile all’interno dello stesso (art. 11, punto 2, D.Lgs. 494/96 mod. dal D.Lgs. 528/99). Il cantiere è recintato con rete metallica di altezza pari a 2,5 m (l’altezza della recinzione non deve essere inferiore a 2m.) .Prima di chiedere la relativa documentazione, è consuetudine fare un primo sopralluogo sommario, fotografando tutta l’area di pertinenza del cantiere al fine di evitare che prima di ultimare l’ispezione possa essere alterato lo stato dei luoghi. Quando innanzi detto potrebbe sembrare “ repressivo “ quindi, in contraddizione con quanto affermato in premessa, ma non è così. Infatti, più volte è successo che durante l’ispezione, i lavoratori venivano mandati su e giù per il cantiere al fine di sistemare qualche parapetto, togliere una macchina non a norma o “nascondere” cavi difettosi. Durante queste “operazioni veloci” è capitato qualche lieve infortunio. A seguito di tale esperienza, fotografiamo tutto ciò che è ritenuto non rispondente alla normativa vigente in materia di sicurezza, per cui si evita la “movimentazione veloce” dei lavoratori a causa della presenza degli ispettori. Al Sig. Ettore Mercuri , responsabile dell’impresa operante in cantiere, alla Sig.ra De Francesco Maria Angela , committente, e al Geom. Fernando Cosenza , quale coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori,viene chiesta la sottoelencata documentazione: Impresa 1. Iscrizione Camera di Commercio; 2. Piano Sicurezza Operativo (relativo all’opera da realizzare) 3. Dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico, rilasciato da impresa abilitata, con relativi allegati L. 46/90; 4. Dichiarazione di conformità relativa alla verifica dell’impianto di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche e relativa ricevuta di trasmissione all’ISPESL e all’ARPA (D.P.R. 462/2001);
* Tecnico della Prevenzione ASP - Cosenza; **Dott.ssa in Scienze Giuridiche ; ***Ingegnere Civile junior Si precisa che nomi , fatti e circostanze riportati in questo articolo, sono puramente casuali.
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n. 3-4/2007 5. Calcolo circa le protezioni da adottare al ponteggio metallico contro le scariche atmosferiche ai sensi della norma CEI EN 62305/1-4 6. Libretto impianto di sollevamento (Argano a cavalletto) e relativa verifica; 7. Libretto di manutenzione ed uso della sega circolare e piegaferri ; 8. Libretto ponteggio metallico con autorizzazione Ministeriale; 9. P.I.M.U.S. 10. Verifica calcolo per l’installazione del telo sul ponteggio (effetto vela) da parte di professionista abilitato (Circolare Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale n° 149/85) 11. Documentazione sanitaria di idoneità al lavoro dei lavoratori dipendenti, nonché nomina del medico competente e relativa accettazione; 12. Registro infortuni Committente 1. Copia contratto stipulato con l’impresa 2. Piano di Sicurezza e di Coordinamento 3. Notifica preliminare trasmessa agli enti competenti 4. Copia lettera incarico e relativa accettazione da parte dei coordinatori Coordinatori 1. Copia attestato del corso di formazione ( art.10, D,Lgs. 494/96) L’ispezione Durante la visione di alcuni documenti presenti in cantiere, sopraggiunge il Geom. Fernando Cosenza, quale coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori. Mentre un dipendete fotocopia tutta la documentazione richiesta, il responsabile della impresa ed il coordinatore della esecuzione dei lavori presenziano durante l’ispezione in cantiere, agli stessi saranno contestati, ognuno per le proprie competenze, eventuali violazioni che dovessero emergere in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. Dopo aver preso visione della segnaletica di cantiere, della recinzione dello stesso e dei servizi igienici, l’ispezione prosegue ponendo l’attenzione sull’impianto elettrico. Un idoneo sezionatore è stato installato a monte del quadro elettrico principale il quale risulta essere alimentato dall’ente erogante l’energia elettrica; è vietata l’alimentazione tramite altre utenze. Il quadro elettrico ,del tipo A.S.C. ( Apparecchiatura di Serie per Cantiere ) , è conforme alla norma CEI 17.13/4; i cavi di alimentazione sono del tipo HO7RN-F , quello della messa a terra è di colore giallo/verde. L’interruttore automatico differenziale ha una soglia d’intervento da 30mA. Si fa rilevare al datore di lavoro ( impresa presente in cantiere ) che il cavo di alimentazione dell’argano a cavalletto deve essere sostenuto da una fune portante. Il ponteggio metallico è stato montato solamente sui tre lati del fabbricato, il montaggio dello stesso è risultato perfetto; gli ancoraggi , le scale di accesso ai piani di lavoro e le tavole fermapiede, rispecchiano quanto riportato nel libretto. Per la restante parte del fabbricato sono stati utilizzati ponti a sbalzo poiché ,come asserisce il coordinatore della sicurezza, la caratteristica dello scavo non ha consentito l’installazione del ponteggio metallico. Ed è proprio su questo lato del fabbricato che accertiamo la prima contravvenzione.
Sicurezza sul lavoro L’andatoia è realizzata in modo “ primitiva”, infatti oltre a non assicurare una idonea stabilità,è sprovvista ,dai lati prospicienti il vuoto, di normali parapetti e tavole fermapiede. La stessa, se utilizzata per il trasporto di materiali deve avere una larghezza pari a 1,20 m; se utilizzata per il solo passaggio dei lavoratori la larghezza non deve essere inferiore a 0,60m (Foto 2).
Foto 2: Andatola sprovvista sui lati prospicienti il vuoto di idonei parapetti atti ad evitare cadute dall’alto
Per accedere ai piani superiori si utilizza una scala in c.a., la stessa viene contestata poiché è priva di normale parapetto dal lato prospiciente il vuoto. Infatti, lungo le rampe e pianerottoli delle scale fisse in costruzione, fino alla posa in opera delle ringhiere, devono essere tenuti parapetti normali con tavole fermapiede, fissate rigidamente a strutture resistenti al fine di evitare cadute dall’alto di cose o di persone (Foto 3).
Foto 3: Scala priva di pararpetto dal lato prospiciente il vuoto
All’ultimo piano del fabbricato è stato posizionato l’argano a cavalletto per il sollevamento di materiale vario. L’argano a cavalletto, di recente acquisto, è privo dal lato per il passaggio del secchione, di un fermapiede, installato dalla parte interna del cavalletto, alto non meno di 30cm. (Foto 4).
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Sicurezza sul lavoro
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Durante l’ispezione è stato accertato che alcuni cavi sono venzioni accertate, ognuno per le proprie competenze sono: Ettore Mercuri , (datore di lavoro, quale Amministratore deteriorati ed alcuni di essi intralciano il passaggio dei lavoratori.. unico della impresa operante in cantiere “Ettore di Praia srl”): Si è preso atto inoltre che i lavorato- art.29, comma 4, D.P.R. 7 Genri utilizzano i D.P.I. messi a loro disponaio 1956 n° 164: poiché l’andatoia era sizione e che nel cantiere è presente una priva, dai lati prospicienti i vuoto, di idonea cassetta di Pronto Soccorso. normali parapetti e tavole fermapiede; I lavoratori hanno riferito di aver arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da € partecipato a corsi di formazione (come 1.549 a € 4.131; da documentazione fornita successiva- art. 69 D.P.R. 7 Gennaio 1956 mente dal datore di lavoro); ciò si evinn°164: poiché lungo la scala in c.a., non ce palesemente poiché dialogando con era stato installato fino alla posa in opeloro, hanno dimostrato una certa dimera delle ringhiere, parapetto normale stichezza nell’affrontare problemi inecon tavola fermapiede, al fine di evitare renti la sicurezza nei luoghi di lavoro. cadute dall’alto di persone o di cose; Ormai è consuetudine durante le ispearresto fino a 3 mesi o ammenda da € zioni intrattenersi a parlare con i lavora258 a € 1.032; tori al fine di capire se gli stessi vengo- art. 56 comma 2,D.P.R. 7 Genno formati ed informati sui rischi relatinaio 1956 n° 164: poiché il cavalletto vi alle mansioni loro assegnate. In pasdell’argano era sprovvisto dal lato per il sato, ci è capitato che in una camiceria passaggio del secchione, di tavola fernessuna delle lavoratrici era stata capamapiede alta non meno di 30 cm. arrece di far funzionare un estintore portatisto da 2 a 4 mesi o ammenda da € 516 le; dalla documentazione acquisita a € 2.582. risultava che tutte avevano partecipato a Fernando Cosenza, (nella qualità di corsi di formazione. Discutendo di queCoordinatore per l’esecuzione dei lavori): sti problemi con il coordinatore della - art. 5, lett. e, D.Lgs.14 Agosto 96 sicurezza ed il datore di lavoro, ci sian° 494 mod. dal D.lgs. 19 ovembre 99 n° 528: per non aver segnalato al mo avviati nel piccolo ufficio del cancommittente, previa contestazione scrittiere per la stesura del verbale Foto 4: Argano a cavalletto privo di tavola d’ispezione e l’acquisizione della docuta, le inosservanze disposizioni degli fermapiede con altezza non inferiore a 30 cm. mentazione richiesta. articoli 8 e 12 e di non aver proposto la sospensione dei lavori arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da € Sospensione lavori 1.549 a € 4.131 Nel verbale d’ispezione vengono riportate le disposizioni e Mariangela De Francesco ( nella qualità di committente) : le prescrizioni impartite fissando un tempo (3 giorni) tecnica- Art. 6, D.Lgs.14 Agosto 96 n° 494 mod. dal D.lgs. 19 mente necessario per l’adempimento a quanto contestato. Vie- ovembre 99 n° 528 : poiché la designazione del Coordinatore ne inoltre acquisita tutta la documentazione richiesta facendo- per l’esecuzione dei lavori , non esonera il committente o il ne menzione nel verbale d’ispezione che viene notificato al responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica datore di lavoro, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori e dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, letteper conoscenza, trasmesso al committente. Poiché quanto ra a) arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da € 1.549 a € 4.131 accertato durante l’ispezione costituisce pericolo per i lavoraLe penalità sono stabilite dall’art. 77 del D.P.R. 164/56 tori addetti, ai sensi dell’art.20, comma 3, D.Lgs. 758/94 si mod. dall’art. 26 del D.Lgs. 758/94 e dall’art.21 del D.Lgs. sospendono i lavori fino a quando il cantiere non verrà messo 494/96 e ss.mm. in sicurezza ottemperando a quanto prescritto e disposto nel Fanno parte integrante dell’informativa di reato, il verbale verbale d’ispezione. d’ispezione, le foto, tutti i documenti acquisiti e le “ dichiaraIl Coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ha reso “spon- zioni spontanee “ rese dal coordinatore per l’esecuzione dei tanee dichiarazioni” con le quali ha precisato di non aver lavori. segnalato al committente l’inosservanza alle disposizioni degli Il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal articoli 8 (Misure generali di tutela) e 12 (Piano di Sicurezza e momento dell’iscrizione della informativa di reato nel registro di Coordinamento) del D.Lgs. 14 Agosto 96 n° 494 mod. dal di cui all’art. 335 del c.p.p. fino a che il P.M. non riceve comuD.Lgs. 19 Novembre 99 n° 528, né ha proposto la sospensione nicazioni relative all’adempimento o all’inadempimento delle dei lavori. prescrizioni e al pagamento dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Informativa di reato ai sensi del 347 c.p.p. Dopo la notifica del verbale d’ispezione agli interessati, Verifica dell’adempimento viene trasmessa, ai sensi del 437 del c.p.p, l’informativa di Il giorno successivo alla scadenza del termine fissato nella reato alla Procura della Repubblica, competente territorial- prescrizione ( la verifica deve avvenire entro e non oltre 60 mente, a carico dei responsabili delle contravvenzioni com- giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione ) si messe. Nella fattispecie, le persone responsabili delle contrav- ritorna in cantiere per accertare l’adempimento alle prescrizio-
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n. 3-4/2007 ni impartite. Accertata l’ottemperanza a quanto disposto e prescritto si procede alla stesura del verbale di verifica. Al termine, viene notificato al committente, al datore di lavoro ( nella qualità di amministratore unico della impresa “ Ettore di Praia “) e al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, l’ammissione al pagamento in sede amministrativa della somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Pertanto, entro 30 giorni dal momento della notifica, i contravventori dovranno pagare all’A.S.P.. di competenza , la somma come appresso specificata: Mariangela De Francesco - Committente – €.4.131 = Totale ammenda : 4 = €. 1.032 somma da pagare Ettore Mercuri – Quale datore di lavoro dell’impresa operante in cantiere – € 4.131 + € 1.032 + € 2.582 = Totale ammenda € 7.745 : 4 = € 1.936 somma da pagare Fernando Cosenza - Coordinatore esecuzione dei lavori € 4.131 = Totale ammenda : 4 = € 1.032 somma da pagare Tutti gli atti relativi al sopralluogo di verifica , nonché la
Sicurezza sul lavoro notificazione di pagamento in sede amministrativa, vengono trasmessi al P.M. Estinzione del reato Dopo 30 giorni dalla data di notificazione , i contravventori hanno provveduto ad esibire la ricevuta dell’avvenuto pagamento al personale ispettivo che ne dà comunicazione al P.M.. Poiché i contravventori hanno adempiuto alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provveduto al pagamento previsto dall’art.21, comma 2 del D.Lgs. 758/94, il P.M. richiede l’archiviazione al G.I.P. poiché la contravvenzione è estinta. “ Se l’adempimento alle prescrizioni impartite dall’ispettore avviene in un tempo superiore a quello indicato nel verbale, ma che comunque risulta congruo a norma dell’art.20, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutate dal P.M. ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis del codice penale.” (Art.24, comma 3, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758)
ESPOSIZIONE AD AGENTI CANCEROGENI: REGISTRI E CARTELLE SANITARIE di Pietro Gremigni
I
l Ministero della salute ha approvato il regolamento che disciplina l’utilizzo di registri e cartelle sanitarie per i lavoratori esposti ad agenti cancerogeni, così come previsti dal D.Lgs. 626/1994. Il regolamento consente anche l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la tenuta informatizzata dei registri e delle cartelle sanitarie e di rischio, nel rispetto delle norme sulla sicurezza dei dati. - I registri e le cartelle sanitarie e di rischio debbono essere istituiti entro il 4 aprile 2008, pena l’applicazione di severe sanzioni (schema 1). Registro dei lavoratori L’art. 70 del D.Lgs. 626/1994 prevede la presenza del registro di esposizione ad agenti cancerogeni sul posto di lavoro. In tale registro è riportata, per ciascuno dei lavoratori esposti, l’attività svolta, l’agente cancerogeno o mutageno utilizzato e, se noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Detto registro è istituito e aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il D.Lgs. 155 del 12 luglio 2007 (a pag. 1998) ha approvato il modello del registro di esposizione che deve essere costituito da fogli legati e numerati progressivamente. Copia di tale registro deve essere inviata all’ISPESL e all’organo di vigilanza. Dal punto di vista pratico l’istituzione del registro comporta l’apposizione, da parte del datore di lavoro, della sua
Schema 1: Sanzioni
sottoscrizione sulla prima pagina. Cartella sanitaria Il medico competente, per ciascuno dei lavoratori esposti, provvede a istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio, custodita presso l’azienda o l’unità produttiva sotto la responsabilità del datore di lavoro. Il regolamento ha approvato il modello della cartella sanitaria costituito anch’esso da fogli legati e numerati progressivamente. Nel caso di lavoratori esposti contemporaneamente a radiazioni ionizzanti e ad
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Sicurezza sul lavoro agenti cancerogeni per i quali è istituito un documento sanitario personale specifico, il predetto documento va integrato con le informazioni previste nel modello della cartella sanitaria. Il medico competente istituisce la cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore da sottoporre a sorveglianza sanitaria, apponendo la propria sottoscrizione sulla prima pagina; il datore di lavoro sottoscrive la prima pagina e dichiara il numero di pagine della cartella. Modalità di compilazione Le registrazioni sui predetti documenti sono effettuate, se possibile, mediante fogli prestampati. In tale caso tutti i fogli devo no essere applicati in modo stabile sulle pagine dei documenti e controfirmati dai responsabili delle informazioni contenute in maniera che la firma interessi il margine di ciascun foglio e la pagina sulla quale è applicato. Tenuta informatizzata È consentito, inoltre, l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la tenuta informatizzata dei registri e delle car telle sanitarie e di rischio nel rispetto del le regole sulla privacy. Le modalità informatiche di acquisizione, comunicazione, elaborazione e archiviazione dei dati riguardanti la gestione dei re gistri e delle cartelle sanitarie e di rischio devono assicurare che l’accesso alle fun zioni del sistema sia consentito ai soli sog getti a ciò espressamente abilitati. Le eventuali informazioni di modifica non debbono mai sostituire il dato originario già memorizzato, ma solo integrarlo. Comunicazioni obbligatorie In caso di variazioni intervenute sui dati iscritti nel registro di esposizione, il datore di lavoro provvede a comunicare le variazioni stesse inerenti i dati dell’azienda o dell’unità produttiva, utilizzando il modello di cui all’allegato al decreto, compilato solo nelle parti interessate dalle variazioni stesse. Le variazioni inerenti i dati individuali dei lavoratori sono comunicate tramite invio della copia, in busta chiusa siglata dal medico competente, della corrispondente pagina del registro all’ISPESL e all’organo di vigilanza competente per territorio. Un’altra comunicazione che il datore di lavoro deve effettuare all’ISPESL avviene in occasione: - della cessazione del rapporto di lavoro; - del passaggio del dipendente ad altro datore di lavoro; - della cessazione dell’attività dell’azienda; - del trasferimento o conferimento di attività. In tutti i predetti casi occorre comunicare le variazioni delle annotazioni individuali contenute nel registro e nelle cartelle sanitarie e di rischio entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro o nel caso di passaggio o trasferimento. Precedente attività L’art. 70 del D.Lgs. 626/1994 prescrive che, in caso di assunzione di lavoratori che han no in precedenza esercitato attività con esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, il datore debba chiedere all’ISPESL copia delle annotazioni individuali; in fase di prima applicazione, richiederà tali dati all’ISPESL non prima di un anno dalla entrata in vigore del decreto (quindi del 3 ottobre 2008).
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n. 3-4/ 2007 Regolamento attuativo dell’art. 70, comma 9, del D.Lgs. 626 del 19 settembre 1994. Registri e cartelle sanitarie dei lavoratori esposti durante il lavoro ad agenti cancerogeni D.M. salute 155, 12.7.2007 (G.U. 217, 18.9.2009) Art. 1 - Ambito, finalità e campo di applicazione 1. Il regolamento si applica ai settori di attività pubblici o privati rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 e successive modificazioni. 2. I dati relativi agli accertamenti sanitari e la conseguente registrazione degli stessi nelle cartelle sanitarie o nel registro di cui ai successivi articoli possono essere trattati esclusivamente per le finalità di igiene e sicurezza del lavoro. Art. 2 - Registro dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni 1. Il registro dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni di cui all’articolo 70, comma 1, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, è istituito dal datore di lavoro, conformemente al modello di cui all’allegato 1, che costituisce parte integrante del presente regolamento e compilato sulla base della valutazione di cui all’articolo 63 del citato decreto legislativo n. 626 del 1994. 2. Il registro di cui al comma 1 è costituito da fogli legati e numerati progressivamente. 3. Il datore di lavoro invia in busta chiusa, siglata dal medico competente, la copia del registro di cui al comma 1 all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) e all’organo di vigilanza competente per territorio entro trenta giorni dalla sua istituzione. - Art. 3 - Cartella sanitaria e di rischio 1. Le cartelle sanitarie e di rischio, di cui agli articoli 17 e 70 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 sono compilate in conformità al modello di cui all’allegato 2 che costituisce parte integrante del presente regolamento. 2. I documenti di cui al comma 1 sono costituiti da fogli legati e numerati progressivamente. 3. È consentita l’adozione di cartelle sanitarie e di rischio diverse dal modello di cui all’allegato 2, sempre che vi siano comunque inclusi i dati e le notizie indicati nell’allegato stesso. 4. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 162 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, le cartelle sanitarie di cui al comma 1 possono essere utilizzate anche per la sorveglianza sanitaria prevista dall’articolo 16 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. 5. Nel caso di lavoratori esposti contemporaneamente a radiazioni ionizzanti e ad agenti cancerogeni per i quali è istituito il documento sanitario personale ai sensi dell’articolo 90 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, il predetto documento va integrato con le informazioni previste nel modello di cui all’allegato 2. 6. La conservazione dei dati sanitari raccolti deve essere assicurata per 40 anni dalla cessazione del lavoro comportante esposizione ad agenti cancerogeni. 7. La conservazione dei dati raccolti deve essere assicurata per 30 anni dalla cessazione del lavoro comportante esposizione a radiazioni ionizzanti, e dovranno essere cancellati successivamente a tale termine dalla cartella sanitaria solo nel caso in cui tali dati non risultano indispensabili, quale fonte d’informazione polivalente in relazione alla relativa esposizione anche ad agenti cancerogeni. Art. 4 - Accertamenti integrativi 1. Gli esiti degli accertamenti integrativi indicati nella cartella sanitaria e di rischio, vistati e numerati dal medico competente, devono essere allegati alla cartella stessa, di cui costituiscono parte integrante.
n. 3-4/2007 Art. 5 - Modalità di istituzione del registro e delle cartelle sanitarie e di rischio 1. Il datore di lavoro istituisce il registro di cui all’articolo 2 apponendo la propria sottoscrizione sulla prima pagina del registro stesso, debitamente compilato con le informazioni previste nell’allegato 1. 2. Il medico competente istituisce la cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo 3 per ogni lavoratore da sottoporre a sorveglianza sanitaria, apponendo la propria sottoscrizione sulla prima pagina della cartel la, debitamente compilata, con le informazioni previste nell’allegato 2. 3. Il datore di lavoro appone la data e la propria sottoscrizione sulla prima pagina dei documenti istituiti ai sensi del comma 2, dichiarando altresì il numero di pagine di cui si compongono i documenti medesimi. Art. 6 - Compilazione dei documenti 1. I registri di cui all’articolo 2 e le cartelle sanitarie di cui all’ar ticolo 3 sono compilati in modo chiaramente leggibile, con inchiostro o altro materiale indelebile, senza abrasioni; le rettifiche o correzioni, siglate dal compilatore sono eseguite in modo che il testo sostituito sia leggibile, gli spazi bianchi tra annotazioni successive sono barrati. 2. La compilazione dei registri di cui al comma 1 è effettuata in conformità alle indicazioni riportate nell’allegato 4 che fa parte integrante del presente regolamento. 3. Le registrazioni sui documenti di cui al comma 1 sono effettuate, ove sia possibile, mediante fogli prestampati. In tale caso tutti i fogli devono essere applicati in modo stabile sulle pagine dei documenti e con trofirmati dai responsabili delle informazioni ivi contenute in maniera che la firma interessi il margine di cia scun foglio e la pagina sulla quale è applicato. Art. 7 - Comunicazioni periodiche 1. Il datore di lavoro provvede a comunicare le variazioni di cui all’articolo 70, comma 8, lettera a) del decreto legislativo n. 626 del 1994, inerenti i dati dell’azienda o dell’unità produttiva, utilizzando il modello di cui all’allegato 1A, compilato solo nelle parti interessate dalle variazioni stesse. Le variazioni inerenti i dati individuali dei lavoratori sono comunicate tramite invio della co pia, in busta chiusa siglata dal medico competente, della corrispondente pagina del registro all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro e all’organo di vigilanza competente per territorio. Art. 8 - Comunicazione all’ISPESL in caso di cessazione delle attività lavorative 1. In caso di cessazione del rapporto di lavoro o di passaggio del dipendente di una amministrazione pubblica ad altri soggetti, pubblici o privati il datore di lavoro adotta le misure necessarie affinchè siano trasmesse, all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL) come previsto dall’articolo 70, comma 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, le variazioni delle annotazioni individuali contenute nel registro e le cartelle sanitarie e di rischio entro trenta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro o nel caso di passaggio o trasferimento. 2. In caso di cessazione dell’attività dell’azienda, di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pub bliche amministrazioni ad altri soggetti, pubblici o privati, ovvero di soppressione di pubblica amministrazione, il datore di lavoro trasmette il registro e le cartelle sanitarie e di rischio all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro, nel termine previsto al comma 1 e con le modalità di cui al comma 3. 3. Al fine di assicurare la riservatezza dei dati, le cartelle sanita-
Sicurezza sul lavoro rie e di rischio vanno trasmesse in busta chiusa, siglata dal medico competente. Art. 9- Esposizioni precedenti 1. In caso di assunzione di lavoratori che dichiarino di essere stati esposti, presso precedenti datori di lavoro, ad agenti cancerogeni il datore di lavoro chiede, all’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL) copia, se non consegnata dal lavoratore, della do cumentazione di cui all’articolo 70 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, facendo uso del modello di cui all’allegato 3, che fa parte integrante del presente regolamento, compilato in ogni sua parte. Art. 10 - Sistemi di elaborazione automatica dei dati 1. è consentito l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la tenuta informatizzata dei registri e delle cartelle sanitarie e di rischio, di cui agli articoli 1 e 2, nel rispetto del principio di necessità di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonchè delle condizioni previste nel presente articolo. 2. I datori di lavoro e i medici competenti adottano adeguate misure di sicurezza per il trattamento dei dati personali ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, anche mediante il ricorso a tecniche di cifratura dei dati personali sensibili o a codici identificativi che assicurano accessi selettivi ai dati trattati, non chè il tracciamento degli accessi medesimi. 3. Le modalità informatiche di acquisizione, comunicazione, elaborazione e di archiviazione dei dati riguardanti la gestione dei registri e delle cartelle sanitarie e di rischio devono assicurare che l’accesso alle funzioni del sistema sia consentito ai soli soggetti a ciò espressamente abilitati dal datore di lavoro e devono rispondere a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica del 10 novembre 1997, n. 513 e al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2004. Ai fini della conservazione ed esibizione dei documenti con modalità alternative al supporto cartaceo deve farsi riferimento alla deliberazione AIPA n. 24 del 30 luglio 1998. 4. L’accesso alle funzioni del sistema è consentito ai soli soggetti espressamente abilitati dal datore di lavoro all’inserimento dei dati da memorizzare o alla loro integrazione, come previsto dal successivo comma 5, quali incaricati del trattamento di dati personali. 5. Le operazioni di validazione delle informazioni, originarie o integrative, devono essere univocamente riconducibili al soggetto, al quale si riferisce l’adempimento della tenuta del registro o predisposizione della cartella sanitaria e di rischio, con l’apposizione al documento stesso della firma digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni. 6. Le eventuali informazioni di modifica non debbono mai sostituire il dato originario già memorizzato, ma solo integrarlo. 7. Qualora la formazione del registro o della cartella sanitaria e di rischio non avvenga direttamente su supporto informatico non riscrivibile, di cui alla deliberazione AIPA n. 24 del 30 luglio 1998, al fine di garan tire, al termine della giornata lavorativa, la non modificabilità delle informazioni comunque registrate, il re lativo contenuto è riversato su tale tipo di supporto che, duplicato, è conservato dal datore di lavoro nel ri spetto di quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 gennaio 2004. 8. Deve essere garantita la riproduzione in stampa delle informazioni contenute sui supporti informatici, raccolte secondo le modalità di cui agli articoli 1 e 2. 9. La rispondenza dei sistemi di elaborazione automatica dei dati ai requisiti di cui ai commi 2 e 3 è dichiarata dal datore di lavoro. 10. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, o di passaggio del
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dipendente di una pubblica amministrazione ad altri soggetti, pubblici o privati, l’estratto del registro contenente i dati relativi al singolo lavoratore e la cartella sanitaria e di rischio, riportati su supporto cartaceo e firmati dai responsabili dei dati e delle notizie in esso contenuti, è inviato all’organo di vigilanza competente per territorio, nonchè all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL) come previsto dall’articolo 70, comma 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. 11. In caso di cessazione dell’attività dell’azienda, di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti, pubblici o privati, ovvero di soppressione di pubblica amministrazione, i registri e le cartelle sanitarie e di rischio sono trasmessi all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL) secondo le modalità previste al comma 10. 12. Le comunicazioni effettuate ai sensi dell’articolo 70, comma 8, lettere a), b), c), e d), del decreto le gislativo n. 626 del 1994 e successive modificazioni, possono essere effettuate anche mediante sistemi informatizzati con modalità fissate dagli organismi destinatari di tali comunicazioni, idonee ad assicurare in maniera adeguata la riservatezza e la sicurezza dei dati comunicati, anche mediante l’eventuale ricorso a posta elettronica certificata (PEC) e cifratura con firma digitale delle informazioni trasmesse, o altri sistemi telematici che assicurano livelli equivalenti di sicurezza. Art. 11 - orme finali e transitorie 1. Il presente regolamento costituisce nei confronti dei soggetti
pub blici legittimati a trattare i dati sensibili per le finalità di rilevante interesse pubblico, che non hanno adot tato il regolamento previsto dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 fonte legittimante al trattamento dei dati sensibili di cui all’articolo 1, comma 2 fino all’emanazione del regolamento stesso. 2. L’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL) trasmette annualmente al Ministero della salute e alle regioni dati di sintesi relativi alle risultanze dei registri di cui all’articolo 2. 3. I registri e le cartelle sanitarie e di rischio di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto, devono esse re istituiti entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. In fase di prima applicazione, al fine di consentire all’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL) l’acquisizione e l’elaborazione dei dati, il datore di lavoro richiede all’Istituto medesimo copia della documentazione di cui all’articolo 70, comma 8, lettera d) del decreto legislativo n. 626 del 1994, non prima che sia trascorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. Nelle more il datore di lavoro può desumere le informazioni necessarie dalla documentazione in possesso del lavoratore. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. (Allegati Omissis)
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SISTEMI ANTICADUTA Dispositivi e sistemi per la salvaguardia nei cantieri. orme e dettagli di Elena Lucchi
N
el settore edile, la caduta rappresenta un’importante causa di incidenti mortali, di infortunio e di lesioni degli addetti ai lavori nei cantieri. Allo stato attuale, si evidenziano leggerezze nella conduzione delle attività lavorative, specialmente nel caso della prevenzione delle cadute dall’alto. La normativa Europea prevede che i datori di lavoro e i gestori dei cantieri forniscano equipaggiamenti di protezione anticaduta per le persone che lavorano in quota, già a partire da 1 metro. Nel caso in cui non sia possibile eliminare i rischi con soluzioni tecniche o costruttive oppure ricorrere a misure preventive, il datore di lavoro deve considerare l’impiego di sistemi anticaduta e di accesso in alto ed adeguati dispositivi di protezione individuale (DPI). Tipologie di caduta Prima di acquistare un sistema anticaduta è necessario fare una stima dei rischi potenziali di caduta nel cantiere. Le tipologie di caduta possono essere suddivise come segue: - Caduta libera, dove la distanza di caduta prima che il sistema di arresto inizi a prendere il carico è superiore a 600mm, sia in direzione verticale, sia lungo un pendio. La massima altezza di caduta libera consentita è di 1500mm, salvo
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per gli addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi metallici che utilizzano idonei sistemi anticaduta; - Caduta libera limitata, dove la distanza di caduta è uguale o inferiore a 600mm;
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Sicurezza sul lavoro
- Caduta contenuta, dove la persona che sta cadendo è trattenuta dall’azione combinata di una posizione di ancoraggio, da un dispositivo di trattenuta e dalla lunghezza del cordino. La distanza di caduta è uguale o inferiore a 600mm; - Caduta totalmente prevenuta, dove si ha la prevenzione totale del rischio di caduta dall’alto. Dispositivi anticaduta I sistemi anticaduta hanno come obiettivi primari: - Arrestare la caduta nel minor tempo possibile, al fine di evitare che la persona raggiunga velocità tali da non poter più essere fermata in sicurezza; - Arrestare la caduta evitando, per quanto possibile, danni alla persona; - Mantenere la persona in posizione eretta, senza impedire la respirazione, in modo che essa possa attendere le operazioni di soccorso senza ulteriori pericoli. Queste funzioni devono essere ottenute senza limitare eccessivamente la libertà di movimento dell’operatore, in modo da consentirgli di effettuare il lavoro previsto. Per arrestare la caduta è preferibile adottare un lungo collegamento tra operatore e punto d’ancoraggio, mentre per evitare i danni alla persona si dovrebbe adottare un collegamento molto corto. Si deve, pertanto, cercare di raggiungere un compromesso tra la libertà di movimento e la rapidità di arresto. Questo compromesso deve essere valutato prima di iniziare i lavori. I dispositivi di protezione individuale nei luoghi di lavoro in cui esiste il rischio di caduta dall’alto possono essere suddivisi nelle seguenti categorie: - Dispositivi individuali per il posizionamento sul lavoro e la prevenzione della caduta dall’alto, che devono sostenere i guardafili e gli addetti che devono operare a mani libere e in altezza con sostegno sui pali o su altre strutture. I sistemi non sono destinati all’arresto delle cadute; - Dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto, a loro volta divisi in sistemi di arresto e dispositivi di discesa. I primi sono destinati ad arrestare le cadute e comprendono un’imbracatura per il corpo, un assorbitore di energia e un collegamento. I secondi sono utilizzati per il salvataggio e l’evacuazione di emergenza poiché consentono alla persona di scendere da sola o con l’assistenza di una seconda persona da due altezza diverse e a velocità limitata.
Sistemi di arresto di caduta Un dispositivo di protezione individuale anticaduta è costituito dai dispositivi necessari per assicurare una persona a un punto di ancoraggio, al fine di evitarne la caduta dall’alto. I sistemi di arresto possono essere classificati nelle seguenti categorie: - Sistemi vincolati a una guida fissa e rigida, sostanzialmente verticale; - Sistemi vincolati a una guida fissa e flessibile, sostanzialmente verticale; - Sistemi di tipo retrattile vincolati a un punto di ancoraggio fisso; - Sistemi di arresto costituiti da un imbracatura per il corpo. Da soli, tali dispositivi non garantiscono la protezione contro la caduta. Utilizzati insieme e in seguito a un adeguato addestramento, invece, creano un sistema individuale di protezione contro le cadute che diventa di fondamentale importanza per la sicurezza sul posto di lavoro e, soprattutto, per un serio programma di protezione contro la caduta. Sistema vincolato a una guida rigida I sistemi vincolati a una guida fissa e rigida sono costituiti da una linea di ancoraggio rigida, da un dispositivo anticaduta di tipo guidato autobloccante fissato alla linea di ancoraggio e da un cordino fissato al dispositivo stesso. Può esservi anche la presenza di un elemento di dissipazione dell’energia. Il dispositivo anticaduta si muove lungo la linea di ancoraggio, accompagnando l’utilizzatore senza la necessità di regolazioni manuali durante le modifiche di direzione. Si blocca automaticamente sulla linea di ancoraggio, che può essere costituita da una rotaia o da una fune metallica. Nel primo caso, per limitare i movimenti laterali, la rotaia è fissata a una struttura a intervalli definiti. Nel secondo, invece, la fune è tesa e ha le due estremità fissate a una struttura. In questo modo, il movimento è consentito solo nelle direzioni prescritte. Il cordino è costituito da una fibra sintetica, da una cinghia, da una fune metallica o da una catena. Sistema vincolato a una guida flessibile I sistemi vincolati a una guida fissa flessibile sono costituiti da una linea di ancoraggio flessibile, da un dispositivo anticaduta guida-
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Sicurezza sul lavoro to e autobloccante fissato alla linea di ancoraggio flessibile e da un cordino fissato al dispositivo stesso. La linea di ancoraggio può essere costituita da una corda in fibra sintetica o da una fune metallica. In entrambi i casi, è fissata a un punto di ancoraggio posto più in alto ed è dotata di un punto di fine corsa per impedire il distacco involontario del dispositivo dalla linea di ancoraggio. La lunghezza del cordino non deve essere maggiore di 1 metro. Sistema retrattile I sistemi anticaduta di tipo retrattile vincolati a un punto di ancoraggio fisso sono costituiti da un dispositivo ferma cadute composto da un sistema automatico di blocco, da un cordino e da un assorbitore di energia integrato. La lunghezza del cordino è regolata automaticamente tramite un sistema di tensionamento e di richiamo che consentono il libero spostamento verticale e l’arresto immediato in caso di caduta per l’utilizzatore.
n. 3-4/ 2007 I dispositivi sono adatti per attività effettuate ad altezze pericolose, comprese tra 2 e 6 metri e per spazi confinati. Il particolare vantaggio di un retrattile è la possibilità di utilizzarlo ad altezze di lavoro relativamente ridotte, infatti la caduta viene arrestata entro pochi centimetri. Imbracature per il corpo Il sistema di arresto di caduta è costituito da un imbracatura per il corpo, un assorbitore di energia e un cordino vincolato a un punto fisso. L’imbracatura può comprendere cinghie, accessori, fibbie o altri elementi montati in modo da sostenere il copro durante la caduta libera. Le cinghie si dividono in primarie e in secondarie. Le prime hanno uno spessore almeno di 40 mm e sostengono il corpo o esercitano una pressione su di esso, mentre le seconde hanno una funzione complementare e uno spessore di almeno 20 mm. «Modulo»
Costumi delle colonie albanesi in Calabria (da La Calabria - Editalia - Edizioni di Italia)
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Tecnica delle costruzioni
AMPLIARE E POTENZIARE I DEPURATORI O RIDURRE LE PORTATE DA TRATTARE? di Giuseppe Raso* e Angela Raso** 1. La problematica attuale. ciclo delle acque ed una sana abitudine di Le portate entranti negli impianti di Negli ultimi decenni, probabilmente per un risparmio di queste ultime non solo contribuidepurazione delle acque urbane tendoradicale cambiamento delle abitudini igieniche sce a risparmiare energia, quanto tende a preno ad aumentare sempre di più, mentre e sanitarie delle popolazioni, si è progressivaservare nel tempo una risorsa che è sempre più i consumi di acqua potabile si mantenmente verificato che le portate entranti nei preziosa. gono relativamente stabili. Tuttavia è depuratori delle aree più urbanizzate o più Se poi il risparmio si può estendere anche possibile invertire questa tendenza ai popolose hanno raggiunto valori medi giornaalle reti di adduzione, ai sollevamenti ed ai fini del contenimento dei costi di lieri molto elevati e con concentrazione organitrattamenti terminali, allora si sarà decisamenpotenziamento e delle spese di funzioca molto contenuta. te imboccata la strada della preservazione delle namento di tali installazioni. Una proIl fenomeno appare meno evidente nei cenrisorse. posta da non trascurare: a fianco dei tri abitati collinari e montani dove è prevalente collettori per acque nere e bianche una economia rurale, naturalmente parca nei 3. L’adeguamento funzionale di un depuraappare utile l’inserimento di quelli per consumi dei beni in generale, mentre si presentore perseguito attraverso la separazione acque grigie. ta particolarmente accentuato dove prevalgono dei flussi di scarico di provenienza domestile residenze di tipo turistico-ricettive o comunca. que gravitanti su un vicino grosso centro, oltre che nelle stesse grandi Alla luce di quanto prima accennato è proprio il caso di effettuare città dove, però, anche nei singoli collettori primari può quasi passare una approfondita valutazione dei possibili interventi, ma non in terinosservato per l’effetto di modulazione delle portate determinato mini di potenziamento diretto delle strutture e delle apparecchiature, dalla grande estensione delle reti. che sarebbe l’obiettivo contrario a ciò che ci proponiamo, quanto in E nei periodi di punta non è infrequente il caso in cui le acque termini di adeguamento indiretto del sistema fognatura-depurazione. entranti nel depuratore presentano concentrazioni inquinanti con E questo, nella maggior parte dei casi, equivale quasi al raddopvalore addirittura inferiore al limite di accettabilità1 ammesso dalla pio delle installazioni senza, però, incrementarne significativamente i costi di gestione; in tale ottica cercheremo di individuare e soprattutto legge in termini di BOD5 presente nell’effluente finale. Poiché in tutta la produzione legislativa degli ultimi decenni è fat- di valutare in termini di convenienza economica ed ambientale le to costante riferimento alla necessità che l’azione della pubblica possibili azioni correttive di breve e di lungo termine. Intanto esaminiamo la ripartizione delle acque potabili secondo amministrazione sia costantemente ispirata ai principi di efficacia, efficienza ed economicità, cercheremo di individuare le cause del gli usi domestici al fine di analizzare la composizione di quelle di fenomeno e le corrispondenti possibili soluzioni, economicamente rifiuto e, per meglio valutare l’entità di tali afflussi, proviamo ad ignorare i valori statistici diffusamente riportati anche nella letteratura accettabili ed adottabili in tempi ragionevolmente brevi. più datata del settore e cerchiamo, invece, di individuarne le diverse 2. Ampliare e potenziare le reti fognanti, i sollevamenti ed i depu- componenti con riferimento alle utilizzazioni tipiche di una famiglia ratori o porre in essere interventi correttivi, di adeguamento e di media di 4 persone ed alle necessità pubbliche, comprese le disperrisanamento delle installazioni esistenti? sioni: L’esigenza di disporre sempre più di maggiori spazi per le esigenCassetta di scarico vaso: 4 x 3 x lt 8 = lt/g 96 ze private e per lo svolgimento della vita organizzata, da diversi Uso del bidè 4 x 1 x lt 15 = lt/g 60 decenni ha determinato il progressivo abbandono degli antichi nuclei Uso del lavabo 4 x 3 x lt 5 = lt/g 60 abitati e dei centri storici ed il trasferimento degli abitanti in costruUso della doccia 4 x lt 30 = lt/g 120 zioni plurifamiliari realizzate nelle aree di ampliamento vallive, dove Lavatrice - lavapanni 1/7 x lt 35 = lt/g 5 è stato possibile costruire strade più larghe e realizzare maggiori serLavatoio di servizio 4 x lt 10 = lt/g 40 vizi per la collettività. Lavello da cucina 3 x lt 20 = lt/g 60 Ed è proprio in tali più recenti insediamenti che si registrano con Lavastoviglie 1 x lt 30 = lt/g 30 maggiore ricorrenza gli inconvenienti legati all’aumento ingiustificaCottura cibi (*) a stima = lt/g 25 to delle portate scaricate e dove si parla sempre più incessantemente Pulizie della casa a stima = lt/g 30 di potenziamenti delle reti, dei sollevamenti e dei depuratori, mentre, Usi urbani e dispersioni a stima = lt/g 34 parallelamente, si assiste ad un progressivo incremento dei loro costi Sommano lt/g 560 di costruzione e di esercizio. (*) – 1/3 delle acque di cottura dei cibi si ritengono disperse per Naturalmente gli incrementi dei costi si riscontrano in tutto il evaporazione. * Giuseppe Raso – Geometra, dottore in scienze geo-topo-cartografiche, estimative, territoriali ed edilizie, già responsabile della seconda sezione (acquedotti e fognature) del Genio Civile di Cosenza, ora funzionario in servizio presso il settore protezione civile e difesa del suolo presso la Provincia di Cosenza. ** Angela Raso - Ingegnere civile ad indirizzo idraulico, libera professionista. 1. Vedere l’allegato n. 5, tabella 1 (limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane) del D.lgs 11/05/1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento) o del D.lgs 03/04/2006, n. 152, (orme in materia ambientale) dove, per qualsiasi potenzialità d’impianto, è indicato il limite massimo di 25 mg/l di BOD5 ritenuto ammissibile allo scarico nei corpi idrici superficiali.
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Tecnica delle costruzioni Il corrispondente afflusso unitario nella fognatura è: 560/4 = 140 lt/ab x g. Normalmente si considera, invece, un flusso in fogna pari all’80% della dotazione idrica pro-capite che, diversamente dai 120÷160 lt/abxg più realisticamente previsti negli anni “60 dal piano regolatore generale degli acquedotti e delle fognature rispettivamente per i centri piccoli e grandi, ora la dotazione idropotabile media si ritiene compresa fra i 250 lt/abxg per i piccoli centri abitati ed i 500 lt/abxg per i maggiori agglomerati urbani (centri metropolitani). L’80% dei 250 lt/abxg, corrispondente a 200 lt/abxg, di regola si ritiene immessa nella fognatura fecale, mentre quella che, più realisticamente, deve essere computata quale effettiva acqua di rifiuto è stata più sopra valutata in misura di 140 lt/abxg, ciò che equivale a circa i 3/4 della prima. Quindi, se le acque di rifiuto “domestiche” effettivamente scaricate dai 1000 abitanti gravitanti nella nostra ipotetica rete fognante ammontano a circa 140 mc/g, si può dedurre che l’impianto di trattamento terminale dovrebbe essere sovradimensionato. Invece, nella realtà, si riscontra esattamente il contrario e cioè che la portata effettivamente entrante è palesemente eccessiva rispetto alla potenzialità depurativa dell’impianto. Ne consegue che entrano senz’altro in gioco gli afflussi anomali e le immissioni parassite di cui ci siamo occupati nel precedente articolo e si tratta di portate che, secondo le ipotesi più estreme a suo tempo formulate, possono oscillare da un minimo di 3,9 x 24 = 94 mc/g ad un massimo di 102 x 24 = 2.448 mc/g. Lo squilibrio è evidentissimo, non solo in termini di portata, quanto in termini di entità del carico organico che nel secondo caso può raggiungere una concentrazione media così bassa che, paradossalmente, l’effluente della rete fognante “nera” potrebbe essere avviato nel recapito finale addirittura senza sottoporlo ad alcun trattamento. Infatti se quella fogna adducesse all’impianto soltanto i 140 mc/g selettivamente prodotti o scaricabili dai 1000 abitanti, la relativa concentrazione organica media giornaliera del liquame sarebbe di 60.000.000/140.000 = 429 mg/lt di BOD5 e, pertanto, da sottoporre a depurazione . Se, però, in quel collettore fossero pure presenti delle piccole immissioni anomale di acque di provenienze diverse dall’acquedotto2, la suddetta concentrazione si abbasserebbe fino a 255 mg/lt e, infine, nel caso delle massime immissioni anomale raggiungerebbe appena i 23 mg/lt. Quest’ultimo valore evidenzia il legittimo stato di ammissibilità di quell’effluente allo scarico finale direttamente in acque pubbliche superficiali e senza l’obbligo di sottoporlo ad alcun trattamento, almeno con riferimento al solo parametro del BOD53. 4. Il funzionamento di un depuratore proporzionato per 1000 abitanti con la metodologia in uso negli anni “70. È doveroso premettere che proprio in quegli anni la moda di inseguire la complessità tecnologica quale sinonimo di migliore
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efficienza depurativa trovava la sua massima espressione nella proliferazione di numerosissime “ditte specializzate” nel settore della depurazione urbana. Eppure la Delibera del Comitato dei Ministri del 4 febbraio 19774, nell’allegato 4 relativo alle “norme tecniche generali per la regolamentazione dell’installazione e dell’esercizio degli impianti di fognatura e depurazione”, e più precisamente nel paragrafo 2, punto 2.1 (aspetti tecnici), tra l’altro, raccomandava che “…a monte della progettazione deve essere effettuato un idoneo studio delle caratteristiche idrauliche, fisico-chimiche e biologiche dello scarico da trattare…”, aggiungendo che “…i criteri utilizzati per la progettazione devono essere basati anche sulla sicurezza dell’efficienza del trattamento e sulla facilità di manutenzione” e che “…deve essere tenuto particolare conto di possibili riduzioni nei consumi energetici…”. Purtroppo le cosiddette “ditte specializzate”, non solo ignorarono totalmente i contenuti di quella Delibera che, oltretutto, introduceva il principio di effettuare le scelte delle tecnologie depurative attraverso la comparazione di diverse soluzioni più o meno calzanti con le singole realtà locali, quanto si sostituirono gradualmente ai liberi professionisti nelle rispettive scelte progettuali. Ciò è potuto accadere anche perché questi ultimi, non sempre particolarmente competenti nell’impiantistica depurativa, nella maggior parte dei casi si limitavano ad inserire nei quadri economici di spesa dei progetti una più o meno congrua quota del finanziamento fra le somme a disposizione per potere poi esperire affidamenti diretti o appositi appalti-concorso. Questo comportamento decretò la rapida fine dei trattamenti basati sullo schema “Imhoff, Percolatore, Imhoff” tanto raccomandato da molti autori, specialmente per i piccoli centri collinari o montani tipicamente caratterizzati da portate fecali più modeste, abbastanza costanti nel tempo ed altamente trattabili sotto il profilo biologico perché quasi del tutto esenti da immissioni tossiche. Purtroppo questa tipologia di impianti, a fronte di un costo di costruzione alquanto elevato, costava, invece, pochissimo nella fase gestionale e per di più aveva l’imperdonabile difetto di utilizzare poco le tecnologie elettromeccaniche tanto sfacciatamente decantate dalle famose “ditte specializzate” e da tanta letteratura interessata in termini di risultati “da manuale”. Però così non era e non poteva esserlo perché, come ci ha insegnato il buon Lavoisier circa la trasformazione della materia, la stabilizzazione o mineralizzazione delle sostanze organiche presenti in un liquame di provenienza domestica, se la si vuole ottenere in tempi e spazi ridotti, può raggiungersi solo a spese di notevoli consumi energetici (circa 30 Kw/h di energia per A.E.5) ed impegnando tecnologie elettromeccaniche complesse e delicate, per loro natura soggette a notevole usura e quindi a continue manutenzioni ed a ridotti periodi di ammortamento. Così, nella metà degli anni “70, avvolta in vergognoso silenzio, moriva definitivamente una tecnica di trattamento naturale, semplice e largamente diffusa in tutti gli ambiti professionali fin dal 1949, quando, per consentire la realizzazione di opere pubbliche primarie
2. Vedere il riferimento sul numero 1-2/2007 di “La Stadia” nell’articolo degli stessi autori “Afflussi anomali ed immissioni illecite nelle fogne nere”. 3. Nella realtà lo scarico diretto in un corso d’acqua non è possibile in quanto difficilmente queste acque di rifiuto presenterebbero valori accettabili del COD e delle SS che, rispettivamente, non devono superare i 125 ed i 35 mg/lt . 4. La delibera adottata il 04/02/1977 dal Comitato dei Ministri per la Tutela delle Acque dall’inquinamento e pubblicata nel S.O.G.U. n. 48 del 21/02/1977, riguardava “Criteri, metodologie e norme tecniche generali di cui all’art. 2, lettere b), d) ed e), della legge 10/05/1976, n. 319, recante norme per la tutela dall’inquinamento.”. Anche in seguito alla promulgazione della successiva normativa di tutela delle acque di cui ai DD.lgs n. 152/99 e 152/2006, i contenuti della predetta delibera aventi carattere di principio e di indirizzo generale conservano piena validità ed attualità, ovviamente attraverso la lettura comparata dei rispettivi testi.
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(viabilità comunale e provinciale, strutture ospedaliere, cimiteri, impianti di illuminazione, reti idriche e fognature), fu promulgata la famosa legge 03/08/1949, n. 589, più nota come legge “Tupini”, la quale, sulla base di un contributo trentacinquennale erogato dal Ministero dei LL.PP., consentiva agli Enti locali territoriali l’accesso ai mutui della Cassa DD.PP. ed il rapido miglioramento del tessuto urbano. Una delle particolarità di quella normativa era che già nel primo lotto di un progetto generale esecutivo di costruzione della rete fognaria urbana imponeva con priorità assoluta almeno la costruzione della sola fase di trattamento primario del depuratore (la cosiddetta fase fisica) unitamente a tutto il collettore finale, oltre che all’emissario di scarico dell’effluente trattato. Lo schema depurativo “Imhoff, Percolatore, Imhoff”, di regola, comportava scarsa presenza di manodopera in fase gestionale e questa particolarità è stata quasi sempre cavalcata in senso dispregiativo da parte dei fautori delle tecnologie elettromeccaniche che, promettendo efficienze miracolistiche, hanno consigliato il progressivo smantellamento o la riconversione di molte “vecchie”, ma efficienti, strutture depurative che tutt’oggi non avrebbero avuto nulla da invidiare ai “moderni” impianti a fanghi attivi, in termini di costanza di efficacia e di efficienza nel tempo. La diffusione sempre più generalizzata dei depuratori a fanghi attivi dotati di cicli depurativi più o meno spinti e/o complessi e la loro installazione indiscriminata presso tutti gli abitati ci impone di disaminare la nostra problematica con riferimento a tale tipologia, senza trascurare le tanto decantate piattaforme di depurazione che, come è noto, presentano più grossi problemi. 5. Dimensionamento di un impianto a fanghi attivi per 1000 abitanti. Per potere effettuare le comparazioni necessarie alla verifica degli effetti col variare delle portate ipotizziamo qui di seguito il dimensionamento della sola vasca di ossidazione, dando per scontata la presenza delle altre unità di trattamento ed in particolare del sedimentatore finale. Dotazione idrica pro-capite: 250 lt/ab x g; Afflusso giornaliero in fogna; 0,80 x (0,250 x 1000) = 200 mc/g; Portata media oraria su 18 ore: (Q18) = 200/18 = 11,11 = 11 mc/h; Carico organico giornaliero (BODg): 0,060 x 1000 = 60 Kg/g di BOD5; SSa (Sostanze Secche areate) in ossidazione: si fissa nei canonici 3 Kg SS/mc; Cv (Carico volumetrico): si adotta il classico valore di 0,6 Kg BOD/m3; Il Carico del fango (Cf = Cv / SSa) in vasca vale: 0,6 / 3 = 0,2 Kg BOD x g / kg SSa; Volume vasca di ossidazione: V = BODg/0,6 = 60/0,6 = 100 mc. Nell’ipotesi che la vasca di sedimentazione finale riesca a concentrare il fango fino al valore cautelativo medio di SSr = 6 Kg/mc, per mantenere in ossidazione la concentrazione prefissata di SSa = 3 kg/mc, sostituendo i relativi valori nel rapporto SSa/SSr = Qr/(Q+Qr), si ricava che (Q+Qr) = 6Qr/3 = 2Qr. Questo significa che occorre ricircolare il 100% della portata “Q” entrante all’impianto e che, pertanto, la portata idraulica effettivamente entrante ed uscente dalla vasca di ossidazione “Qtot” è pari al doppio della portata del fango di ricircolo (Qtot=Q+Qr = 2Qr) e ciò vale finché il rapporto fra il valore di SSa e quello di SSr si mantiene pari ad 1/2. Nella nostra ipotetica vasca di ossidazione, pertanto, la portata effettivamente entrante sarà di 11 x 2 = 22 mc/h ed il corrisponden-
Tecnica delle costruzioni te tempo di detenzione idraulica sarà di 100/22 = circa 4,5 ore. Un tale tempo comporta la formazione di fanghi parecchio voluminosi e poco stabili che, pertanto, devono essere subito stabilizzati in apposito digestore. Inoltre, l’efficienza operativa del complesso Ossidazione/Sedimentazione diventa critica se le portate di liquame bruto aumentano per lunghi periodi in quanto la concentrazione di SSa ed il tempo di detenzione in ossidazione ed in sedimentazione tendono a diminuire ed a dare origine a fanghi sempre più leggeri, molto voluminosi e poco concentrati. Il conseguente insufficiente ricircolo di fango di ritorno secondo la concentrazione prevista in progetto determina ben presto uno scadimento qualitativo dell’effluente al quale, solitamente, gli operatori addetti sopperiscono con massicce dosi di ossidativi chimici (ipoclorito di sodio o, più spesso, acido peracetico). Ne consegue che per mantenere l’efficienza depurativa a lungo ed a costi sopportabili anche dalle piccole comunità occorre senz’altro avviare subito l’attività di individuazione e rimozione di tutti gli afflussi anomali di provenienza naturale, oltre che combattere le immissioni illecite. Contestualmente, però, è senz’altro raccomandabile avviare pure iniziative di riduzione dei flussi di acque di rifiuto verso i depuratori, promuovendo, magari anche mediante opportune incentivazioni, la drastica separazione delle acque pluviali da quelle domestiche e per queste ultime la separazione in acque grigie ed acque nere fin dalla loro origine. Se proviamo a ridurre le acque entranti nel nostro depuratore virtuale come più sopra dimensionato, ci accorgiamo che i valori di impostazione possono diventare: Scarico nero pro-capite: 140 lt/ab x g; Afflusso giornaliero in fogna; (0,140 x 1000) = 140 mc/g; Portata media oraria su 18 ore: (Q18) = 140/18 = 7,78 pari a circa 8 mc/h; Carico organico giornaliero (BODg): 0,060 x 1000 = 60 Kg/g di BOD5; Volume vasca di ossidazione: resta invariato a 100 mc; Valore di SSa in ossidazione: resta fissato nei canonici 3 Kg SS/mc; SSa giornaliera presente in vasca: 100 x 3 = 300 Kg/g. Il Carico volumetrico immesso giornalmente nella nostra vasca di ossidazione, valutato secondo la relazione Cv = BODg/SSa, col minore afflusso assumerà il valore di 60/300=0,2 Kg/mc x g che corrisponde ad un terzo del valore assunto col dimensionamento originario. Nella nostra ipotetica vasca di ossidazione la portata effettivamente entrante (Q + Qr) sarà di 8 x 2 = 16 mc/h ed il corrispondente tempo di detenzione idraulica sarà di 100/16 = circa 6,5 ore. Un tale tempo comporta la formazione di fanghi di normale consistenza e sufficientemente stabili per essere essiccati anche in appositi letti. In linea di principio, e fatte salve più specifiche verifiche da fare caso per caso, questo significa che con la minore portata il nostro impianto assurge a nuova vitalità e può ritenersi validamente operativo anche fin quasi al raddoppio delle utenze gravanti su di esso e ciò senza necessità di potenziarlo nelle apparecchiature o di ampliarlo nei volumi delle unità di trattamento, se non aggiungendo un bacino di digestione dei fanghi, anche di tipo anaerobico. Del resto è noto da sempre che qualunque dispositivo basato su reazioni biologiche, conservandone inalterati i parametri funzionali di base e l’efficienza fisica dei manufatti, nel caso dei liquami
5. Per A. E. (abitante equivalente) si intende il flusso giornaliero di circa 60 gr/g di BOD di rifiuto prevalentemente organico scaricato da modeste attività produttive presenti nei perimetri degli abitati (panifici, piccole attività dolciarie, caseifici aziendali, ecc.)
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domestici è perfettamente in grado di fornire un effluente allineato con i limiti tabellari ammissibili anche senza ricorrere a trattamenti terziari o comunque di affinamento finale spinto. 6. La separazione delle acque di rifiuto in grigie e nere ed il rispettivo convogliamento e smaltimento finale. La riduzione delle portata da sottoporre a depurazione, ovviamente, può e deve essere fatta a monte della rete pubblica, cioè nella fase di intercettazione domestica delle acque di rifiuto. Tuttavia è noto che, mentre per le nuove costruzioni è facile e di costo quasi irrilevante fare la separazione delle acque di scarico attraverso la doppia colonna montante (una per le acque grigie ed una per quelle nere), per gli edifici esistenti, invece, l’adeguamento comporta la necessità di interventi più incisivi, spesso da spingere fino al totale rifacimento dei servizi igienici. Intanto, sempre con riferimento alle esigenze di una famiglia di quattro persone, esaminiamo quale possa essere nell’uso giornaliero la possibile separazione delle acque di rifiuto fin dalla loro origine: Apparecchio erogatore o provenienza dello scarico
Quantità in litri/giorno
Da avviare Da avviare nella rete nella rete nera: l/g grigia: l/g
Cassetta di scarico vaso
96
96
Uso del bidè - lavapiedi
60
60
0
Uso del lavabo bagno
60
0
60
Uso della doccia
120
0
120
0
Lavatrice - lavapanni
5
5
0
Lavatoio di servizio
40
0
40
Lavello cucina
60
60
0
Lavastoviglie
30
30
0
Cottura cibi
(*)
NOTE
25
17
0
Pulizie della casa
30
30
0
8 l/g = vapore
Altri usi e dispersioni di rete
34
12
0
22 l/g = dispersioni
TOTALI in litri/giorno
560
310
220
Pari a 76,2 e 56,2 l/g per A.E.
Nel caso del centro di 1000 abitanti i quantitativi giornalmente immessi nelle due reti ammontano rispettivamente a circa 78 mc/g di acque nere e 55 mc/g di acque grigie. Queste ultime, come è facile dedurre in riferimento agli usi dai quali provengono, contengono piccoli quantitativi di sostanze organiche di provenienza umana e di detersivi6 che, per legge, devono essere biodegradabili a più del 90%. In termini di contenuto di BOD5 queste acque, di regola, non contengono più del 2% di quello totale afferente la popolazione servita e cioè 1,2 gr/g x ab, che nel caso dei 1000 A.E. corrispondono ad 1,8 kg/g. La concentrazione media giornaliera allo scarico risulta di 1.200.000/55.000 = 21 mg/lt, ciò che permetterebbe lo sversamento diretto in acque superficiali; tuttavia è buona norma far precedere lo scarico di tali acque da un periodo di permanenza in apposito bacino (o stagno) avente specifica funzione di accumulo e di lagunaggio. Questo tipo di bacino, se dimensionato per un tempo di deten-
zione di almeno due mesi, oltre a rilasciare un effluente di sfioro biologicamente stabile, costituisce un ottimo accumulo di acque per usi irrigui ed antincendio. Per quanto attiene la frazione delle acque nere che per il nostro piccolo centro, con buona approssimazione, abbiamo determinato in misura di 78 mc/g, in ossequio anche alla semplicità ed economicità costruttiva e gestionale raccomandata dalla normativa per i piccoli impianti fino 2000 A.E., proviamo a verificare la capacità dell’impianto esistente: Scarico nero pro-capite: 78 lt/ab x g; Afflusso giornaliero in fogna; (0,078 x 1000) = 78 mc/g; Portata media oraria su 18 ore: (Q18) = 78/18 = 4,33 pari a circa 4,5 mc/h; Carico organico giornaliero (BODg): 0,060 x 1000 = 60 Kg/g di BOD5; Volume vasca di ossidazione: resta invariato a 100 mc; Valore di SSa in ossidazione: resta fissato nei canonici 3 Kg SS/mc; SSa giornaliera presente in vasca: 100 x 3 = 300 Kg/g. Il Carico volumetrico immesso giornalmente nella nostra vasca di ossidazione, valutato secondo la relazione Cv = BODg/SSa, anche col minore afflusso idrico resterà di 60/300=0,2 Kg/mc x g che corrisponde ad un terzo del valore assunto col dimensionamento originario. Nella nostra ipotetica vasca di ossidazione la portata effettivamente entrante (Q + Qr) sarà di 4,5 x 2 = 9 mc/h ed il corrispondente tempo di detenzione idraulica sarà di 100/9 = circa 11 ore. Un tale tempo comporta la formazione di fanghi ben mineralizzati e stabili che possono essere facilmente essiccati anche nei classici letti di essiccamento. 7. Considerazioni conclusive. Alla domanda che ci siamo posti inizialmente circa l’individuazione di cosa è possibile fare per invertire la tendenza all’aumento delle acque immesse nei depuratori per contenerne i costi di potenziamento e le spese di funzionamento, abbiamo risposto illustrando le condizioni di funzionamento della stessa installazione nelle seguenti situazioni: a - portata anormalmente incrementata da immissioni anomale e/o illecite, b - portata effettivamente corrispondente alle dotazioni idropotabili per a. e., c - portata di sole acque nere, separate all’origine da quelle grigie da canalizzare a parte. Nel corso della disamina è emerso che la terza condizione costituisce l’optimum in tutti i sensi, ma soprattutto in termini di reale contenimento di ogni tipo di spesa connessa con la depurazione delle acque domestiche. A fronte di una consistente spesa iniziale per revisione delle reti e separazione delle acque, questa soluzione può effettivamente tradursi in concreti e durevoli vantaggi per le popolazioni servite, quanto meno in termini di applicazione di una tariffa di depurazione più contenuta da parte dell’ente locale titolare del servizio.
6 - In base alla legge 26/04/1983, n. 136, i detersivi devono contenere non più del 20% di tensioattivi anionici e non ionici dove il fosforo deve essere pressoché assente e la biodegradabilità totale non minore del 90%. Nei casi ipotizzati (scarichi di lavabo, doccia e lavatoio di servizio), considerata l’elevata diluizione connessa con i risciacqui manuali, i detersivi si possono ritenere presenti in tracce e con concentrazione infinitamente inferiori ai 2 mg/lt. ammessi dalla legge per lo scarico in acque superficiali (Vedere il D.lgs 03/04/2006, n. 152, all. 5, tab. 3).
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ATTESTATO ENERGETICO DEGLI EDIFICI IN GENERALE E DEGLI APPARTAMENTI Cosiddetta Patente o Certificato di Luciano Bassi Premesse La politica di sostegno delle energie pulite e rinnovabili per l’edilizia trova concreto iniziale riferimento nel decreto legislativo che modifica e riscrive le norme sulla certificazione energetica in edilizia n° 192/2005 (Gazzetta Ufficiale n° 222 del 23.09.2005 S.O. n° 158). Tale Decreto Legislativo prevede l’emanazione di decreti attuativi, con modificazione di alcune parti della normativa di recepi-mento della direttiva “Ue n° 2002/91” in materia di rendimento energetico nell’edilizia. Gli obbiettivi Stop alle dispersioni: un nuovo livello di isolamento, per ridurre i fabbisogni tecnici di nuovi edifici. Solare obbligatorio: saranno ridotti i consumi energetici; si favorirà la crescita di una industria italiana del “solare”. Più facile usare le caldaie: previste procedure semplificate per sostituire i vecchi impianti. Nuovi edifici protetti dal sole: scatta l’obbligo di schermanti esterni per i nuovi edifici di superficie utile superiore ai 1.000 mq.; per ridurre la domanda di condizionamento che ha accresciuto i consumi elettrici. La tempistica della certificazione:. - Dal 1.7.2007: per gli edifici di superficie utile superiore a 1.000 mq, nel caso di vendita dell’intero edificio. - Dal 1.7.2008: per gli edifici di superficie utile fino a 1.000 mq., nel caso di vendita dell’intero edificio, con esclusione delle singole unità immobiliari. - Dal 1.7.2009: per le singole unità immobiliari, in caso di vendita dell’ appartamento. Le procedure Senza entrare nel merito della modulistica, che sarà differenziata in base alle varie tipologie edilizie (consistenza, edifici esistenti e di nuova costruzione), si ritiene poter individuare la figura ed il ruolo dei tecnici che dovranno intervenire (con asseverazioni certificate e garantite ad ogni effetto: civile, penale, amministrativo). A) Nuove costruzioni: - i progettisti; - i direttori dei lavori; - i termotecnici; - nell’ambito delle rispettive competenze professionali. B) Costruzioni realizzate dopo 1a legge 373/1976: - in presenza di “calcoli dettagliati” già certificati e consistenze predeterminate: tutti i tecnici che operano nel settore, con eventuale consulenza a latere di un termo-tecnico; - in assenza della documentazione storica sopra indicata, si deve procedere come per le costruzioni realizzate in epoca anteriore. C) Costruzioni realizzate ante legge 373/1976: - comprendono tutti gli edifici edificati, anche secoli or sono, e la casistica merita particolare attenzione per quanto attiene ai di costi di gestione ed ai costi per la certificazione; occorre prevedere agevolazioni e contributi, non dovendosi dimenticare che sono interessati anche (e non poco) edifici dello Stato, degli Enti Pub-
blici, delle Cooperative e di altri Enti legalmente riconosciuti. - Vale cogliere l’occasione per indicare le procedure che vedono coinvolte tutte le categorie tecniche, con “intervento di un termotecnico” che opererà nel contesto del gruppo di lavoro “interdisciplinare coordinato”: – rilievi plani – volumetrici di dettaglio per determinare superfici e volumi riscaldati direttamente o indirettamente delle masse radianti e degli elementi di contenimento o di dispersione (murature esterne e interne, solai, coperture inclinate e orizzontali, finestrature, per dimensioni e tipologie, e infissi esterni in genere). Considerazioni - L’iniziativa è meritoria, a fronte della criticità della situazione energetica in Italia: però è necessario riflettere. Il provvedimento coinvolge tutto il patrimonio edilizio esistente (anche quello non interessato dai Condoni Edilizi degli anni passati: 1985-1994-2003), che se fosse stato censito ed inventariato con le specifiche pecularietà costruttive e di consistenza, potrebbe costituire un inventario interessante e per la gestione e per una carta edilizia-urbanistica del territorio. Ciò anche per progettazioni future e normative adeguate allo stato di conservazione degli edifici e della loro vetustà. Osservazione provocatoria: perché non inizia lo “Stato”, magari affidando l’incarico ai tecnici liberi professionisti, con convenzioni sperimentali con gli Ordini e Collegi professionali. Anche questo può costituire una indagine conoscitiva da completarsi, avendo acquisito dati, costi, difficoltà e tempi di attuazione da proporre; in sintonia con le categorie professionali (finalmente una concertazione per evitare il “Freddo” e tutelare il “Caldo”). Domande tecnicamente legittime: - cosa ne faremo dei “volumi” edificati dovuti ad altezze interne notevoli (per ragioni storiche ed architettoniche) comunque riscaldati? - come tratteremo gli edifici per i quali non si potrà (per molteplici motivi) ottenere la “patente”?; non sarà possibile parcheggiarli come un’autovettura; - tutte le deficienze renderanno non commerciabili gli edifici senza “patente” o dovranno subire una indeterminabile svalutazione di mercato? Ritengo che i consulenti del Ministero preposto al problema dovrebbero avvalersi della collaborazione dei liberi professionisti, costituendo un tavolo di lavoro permanente, per progettare, programmare, gestire e monitorare un “sistema socioeconomico” di valenza universale indifferibile. È un’ulteriore occasione per utilizzare il patrimonio culturale e professionale delle categorie tecniche che da sempre intendono “partecipare” (perché molte – anzi troppe – volte dimenticate) nell’interesse della collettività e del sistema, così come da sempre auspicano norme e procedure semplificate e, a volte, non “interpretabili”. Hanno sempre e tutti sostenuto che l’Italia è un paese ricco di storia, di patrimonio artistico, architettonico e culturale; però, la stessa Italia è “lunga e stretta”.
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LETTERA A “la Stadia” Geom. Luciano Bassi Bologna Egr. Signor Geom. Giuseppe Caterini Direttore Responsabile de LA STADIA Via Alberto Serra n° 42/D 87100-Cosenza Caro Caterini, ho ricevuto il n° 1 - 2/2007 de “La Stadia” e ringraziando rilevo il consistente contenuto politico - sindacale - professionale, in crescendo, frutto di una intensa attività della Direzione e dei collaboratori tutti. Ciò in contro - corrente di altri Collegi che hanno azzerato” l’informazione ed il dialogo di Categoria (ricordando Collegamento Geometri del C.N.G.) tra colleghi, utenza e vertici, eliminando la rassegna che è un veicolo insostituibile. I contenuti de “La Stadia” oltre che fare cultura e aggiornamento, attestano una Categoria vivace e polivalente. Un detto storico dice che la pubblicità è l’anima del commercio (anche professionale); dovendo aggiungere che la nostra polivalenza deve essere il supporto per le specializzazioni di settore, senza dimenticare che i Collegi devono diventare società (cooperative) di servizi per gli iscritti, specie per i giovani (siamo al palo, ma mai dire mai). Allego un mio intervento sul tema energetico a puro titolo di collaborazione. Cordiali saluti. Luciano Bassi
LA NORMATIVA ANTISISMICA DA APPLICARE NEI LAVORI PUBBLICI di Diego Foderini
C
on determ. n. 3 del 9 marzo 2007 (a pag. 1825), l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici è intervenuta in merito alla disciplina antisismica applicabile ai progetti di lavori pubblici. Fino al 31 dicembre 2007, data di scadenza del regime transitorio, sarà consentita la scelta tra la disciplina contenuta nella legge 64/1974, nell’Ord.P.CM. n. 3274/2003 ovvero nel D.M. infrastrutture e trasporti 15 settembre 2005. L’impresa aggiudicatrice non potrà conseguentemente eccepire la non conformità del progetto aggiudicato alle norme antisismiche quando il progettista abbia assunto a parametro di riferimento uno di tali tre corpi normativi. Ciò tuttavia, secondo l’Autorità, solamente se l’aggiudicazione avviene prima della scadenza del periodo transitorio in quanto successivamente i progetti dovranno necessariamente corrispondere alla normativa applicabile in via esclusiva. Per quelli aggiudicati prima, la stazione appaltante potrà comunque procedere alla revoca dell’aggiudicazione quando ritenga che la progettazione, sebbene legittimamente redatta, non garantisca adeguatamente la sicurezza delle costruzioni. In tale ipotesi si dovrà intervenire mediante la revoca, non potendosi ritenere consentita la variante.
Tre distinti parametri normativi di riferimento nella disciplina antisismica La disciplina fondamentale in materia di opere di ingegneria civile era contenuta nella legge 1086 del 5 novembre 1971 nonché, con specifico riferimento alle costruzioni in zone sismiche, nella legge 64 del 2 febbraio 1974 e relativi regola-
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menti attuativi (contenuti nei D.M. 9 gennaio 1996 e 16 gennaio 1996). La materia è stata successivamente innovata dall’Ord.P.C.M. n. 3274 del 20 marzo 2003, recante “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”. L’ordinanza, all’art. 2, comma 2, prevedeva un periodo transitorio di 18 mesi durante il quale era possibile scegliere di applicare la classificazione sismica e le norme tecniche vigenti prima della sua entrata in vigore. Il periodo transitorio originariamente previsto è stato più volte prorogato per effetto di successivi decreti. Al termine di tale periodo transitorio è stato adottato il D.M. infrastrutture e trasporti 14 settembre 2005, allo scopo essenziale di riunire in un unico testo la disciplina tecnica relativa alla progettazione ed esecuzione delle costruzioni e di realizzarne nel contempo l’omogeneizzazione e razionalizzazione. Il decreto è entrato in vigore il 24 ottobre 2005 ma è stato previsto a sua volta che per il periodo di diciotto mesi da tale data fosse applicabile, in alternativa alla disciplina in esso contenuta, la normativa precedente riferita alle stesse materie contenuta nella legge 1086/1971 e nella legge 64/1974 e relative norme di attuazione, ferma restando l’applicazione del D.P.R. 246/1993, recante il regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa all’etichettatura dei materiali da costruzione (art. 14-undevicies del D.L. 115/2005, convertito nella legge 168/2005). Il periodo transitorio così disposto assolveva dichiaratamente allo scopo di consentire l’avvio di una fase sperimentale nell’applicazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni. La formulazione del D.L. 115/2005 sembrava rendere integral-
n. 3-4/2007 mente applicabili la legge 1086/1971 e la legge 64/1974 nella loro originaria formulazione, senza considerare le importanti innovazioni apportate con il testo unico sull’edilizia (contenuto nel D.P.R. 380/2001). Si deve in ogni caso ritenere che tali leggi fossero applicabili nel significato risultante dalla combinazione con le disposizioni contenute in quest’ultimo. Con riferimento all’ordinanza 3274/2003, il decreto 14 settembre 2005 al capitolo 5.7.1.1, comma II, prevede espressamente che «Il committente e il progettista di concerto, nel rispetto dei livelli di sicurezza stabiliti nella presente norma, possono fare riferimento a specifiche indicazioni contenute in codici internazionali, nella letteratura tecnica consolidata, negli allegati 2 e 3 alla Ord.P.C.M. n. 3274 del 20 marzo 2003», rendendo così facoltativa l’applicazione anche di tale ordinanza. Il decreto continua in questo modo a rendere facoltativa l’applicazione dell’ordinanza, così come avveniva in precedenza in quanto le proroghe erano riferite solamente alla sua obbligatorietà ma non alla vigenza e fin dalla sua entrata in vigore il progettista avrebbe potuto scegliere di adeguarvisi. Il periodo di sperimentazione di 18 mesi del D.M. 14 settembre 2005 è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2007 per effetto dell’art. 3, comma 4-bis, della legge 17/2007. Fino al 31 dicembre 2007 sarà dunque consentita la scelta tra l’applicazione: - della disciplina contenuta nella legge 64/1974, in combinato disposto con le disposizioni in materia di costruzioni sismiche contenute nel D.P.R. 380/2001; - dell’Ord.P.C.M. 3274/2003, come successivamente modificata e integrata; - del D.M. 15 settembre 2005. iente contestazioni da parte dell’aggiudicatario ma solamente se l’aggiudicazione avviene prima del 31.12.2007 L’autorità di vigilanza, con la determinazione n. 3 del 29 marzo 2007, dopo aver delineato sommariamente il quadro della disciplina applicabile, chiarisce che per tutto il periodo transitorio, e quindi sino al 31 dicembre 2007, sarà consentito scegliere il quadro normativo da adottare nella redazione del progetto (D.M. 15 settembre 2005, Ord.P.C.M. n. 3274/2003 ovvero disciplina contenuta nella legge 64/1974). L’impresa aggiudicatrice non potrà conseguentemente eccepire, prima della stipula del contratto, la non conformità del progetto aggiudicato alle norme antisismiche sopravvenute in quanto per tutto il periodo transitorio l’applicazione delle nuove norme tecniche è meramente facoltativa. Ciò tuttavia, secondo l’Autorità, solamente se l’aggiudicazione avviene prima della scadenza del periodo transitorio in quanto successivamente i progetti dovranno necessariamente corrispondere alla normativa applicabile in via esclusiva. Questo significa che le amministrazioni appaltanti dovranno assumere a riferimento non la data di approvazione del progetto ma quella di aggiudicazione, calibrando conseguentemente i tempi di svolgimento della gara d’appalto. Dalla data corrispondente alla fine del periodo transitorio infatti, secondo l’autorità, non potranno più ritenersi conformi al mutato quadro normativo i progetti redatti secondo le norme tecniche previgenti. Sempre possibili le valutazioni sulla sicurezza dell’opera, anche oltre il profilo normativo L’Autorità, dopo aver chiarito i profili attinenti alla legitti-
Tecnica delle costruzioni mità, ritiene comunque possibile per le amministrazioni appaltanti, durante il periodo transitorio, valutare in concreto l’opportunità di un adeguamento del progetto in rapporto al superiore interesse della tutela della pubblica incolumità, mediante apprezzamenti discrezionali che si collocano oltre il mero riscontro di legittimità. Il progetto redatto, in altri termini, sebbene rispondente alla normativa, nella concretezza delle circostanze, potrebbe comunque non garantire in maniera adeguata la sicurezza delle costruzioni. essuna possibilità di varianti al progetto durante il periodo transitorio Nel caso in cui l’amministrazione abbia già proceduto all’aggiudicazione ma ritenga che il progetto debba essere adeguato dovrà procedere alla revoca dell’aggiudicazione e alla ripetizione della gara, senza far luogo alla stipula del contratto. Non sarà invece possibile ricorrere allo strumento della variante. La variante, secondo l’Autorità, è infatti consentita solamente nel caso in cui le sopravvenute disposizioni legislative o regolamentari determinino l’obbligo dell’adeguamento, senza possibilità di alcun diverso apprezzamento discrezionale (la determinazione si richiama in proposito alla precedente determinazione della stessa Autorità n. 1/2001). Nella vigenza del regime transitorio gli adeguamenti progettuali, seppure motivati dall’esigenza di tutelare in modo maggiore l’interesse pubblico alla sicurezza delle costruzioni, non costituiscono un obbligo ma una semplice facoltà e per la loro introduzione non sarà pertanto ammesso l’utilizzo della variante. Revoca dell’aggiudicazione sempre possibile purché motivata e prima della stipula del contratto Nel caso in cui l’ amministrazione decida durante il periodo transitorio per l’adeguamento del progetto dovrà dunque procedere alla revoca dell’aggiudicazione. L’Autorità ricorda in proposito, sotto un profilo generale, come dopo l’aggiudicazione e prima della stipula del contratto la posizione dell’amministrazione sia diversa rispetto a quella del privato. Mentre infatti il privato è gravato da un vero e proprio obbligo di stipulare il contratto, garantito dalla cauzione provvisoria da presentare per la partecipazione alla procedura di gara, per l’amministrazione sussiste solamente l’obbligo di concludere il procedimento avviato. L’obbligo di conclusione del procedimento comporta che l’amministrazione non potrà restare inattiva, ma rimarrà comunque titolare del potere di decidere di non addivenire alla stipula del contratto per motivi di interesse pubblico. L’assunzione della decisione dovrà intervenire entro i termini fissati dalla normativa, sessanta giorni o trenta a seconda del a procedura seguita. L’autorità si richiama in proposito alle proprie prece denti determinazioni n. 54/2000 e n. 24/2002 e soprattutto n. 17 del 10 luglio 2002. In base a quest’ultima determinazione, in particolare, l’amministrazione può revocare d’ufficio o non approvare l’aggiudicazione mediante un atto adeguatamente motivato con il richiamo a un preciso e concreto interesse pubblico. Nel caso della disciplina antisismica tale interesse consisterà nel a necessità della tutela della pubblica incolumità. L’Autorità estende le conclusioni raggiunte a qualunque altro profilo attinente al progetto, con eventuale revoca dell’aggiudicazione anche su istanza dell’aggiudicatario. «Consulente Immobiliare»
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Tecnica delle costruzioni
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INCENTIVI PER GLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI Guida completa alle disposizioni 2007 sugli incentivi in conto energia di Dino de Paolis Sommario: Normativa di riferimento; Transizione dal vecchio regime; Requisiti richiesti; Iter burocratico; Tariffe incentivanti; Disciplina fiscale. D.M. 19.2.2007: decreto istitutivo dei nuovi incentivi in «conto energia» Sulla G.U. n. 45 del 23.2.2007 è stato pubblicato il D.M. 19-2.2007, che ha modificato il quadro normativo degli incentivi alla produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare tramite effetto fotovoltaico, in attuazione dell’art. 7 del D. Leg.vo 29.12.2003, n. 387, recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.. Il nuovo decreto fa seguito alle previgenti disposizioni in materia di incentivi per gli impianti fotovoltaici, contenute nei decreti precedentemente emanati. Alla luce delle novità introdotte e dei successivi provvedimenti attuativi e di dettaglio si fornisce un quadro riepilogativo della normativa vigente in tema di incentivi alla produzione di energia elettrica tramite impianti fotovoltaici. Per il reperimento dei testi delle norme citate si faccia riferimento allo specchietto in calce all’articolo. La normativa di riferimento Oltre al nuovo decreto le norme di riferimento sono le seguenti: • D.M. 28.7.2005, con il quale è stata data prima attuazione al sistema di incentivi alla produzione di energia elettrica tramite impianti fotovoltaici; • D.M. 6.2.2006, che ha ampliato ed integrato il precedente D.M. 28.7.2005. A seguito dell’emanazione del nuovo decreto, ai sensi dell’art. 16, comma 1, dello stesso, le disposizioni di cui ai decreti sopra citati si continuano ad applicare esclusiva mente agli impianti fotovoltaici che abbiano già acquisito entro il 2006 il diritto alle tariffe incentivanti ivi stabilite. Il comma 1 dell’art. 4 del nuovo decreto prevede inoltre che gli impianti fotovoltaici che abbiano già beneficiato delle tariffe incentivanti previste dai sopra elencati decreti ministeriali non possono accedere ai nuovi incentivi. Ulteriori dettagli sulle modalità per la transizione dai previgenti decreti al nuovo regime sono forniti nei paragrafi successivi. Per un quadro completo della normativa occorre anche fare riferimento ai seguenti provvedimenti: • Delib. Autorità Energia Elettrica e Gas 14.9.2005. n. 188. con il quale sono state stabilite le modalità di presentazione delle richieste di incentivazione, ed è stato individuato il GRTN (Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale S.p.A., ora diventato GSE - Gestore dei Servizi Elettrici S.p.A. - http://www.gsel.it) quale «soggetto attuatore» incaricato di valutare le richieste di incenti vazione e di erogare le tariffe incentivanti; • Delib. Autorità Energia Elettrica e Gas 13.2.2006, n. 28. che ha individuato le condizioni tecniche ed economiche
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del servizio di scambio sul posto dell’energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 20 kW; • Delib. Autorità Energia Elettrica e Gas 24.2.2006, n. 40. che ha integrato ed in parte modificato la precedente Delib. 188/2005.
Transizione dal vecchio al nuovo regime Impianti entrati in funzione dopo l’1.10.2005 Specifiche norme sono previste dal D.M. 19.2.2007 (art. 4, commi 7 e 8) per gli impianti entrati in funzione a partire dall’1.10.2005 (data limite prevista dall’art. 4, comma 1, del precedente D.M. 28.7.2005) e fino alla data di entrata in vigore della delibera dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas emanata con decorrenza dal 27.4.2007 ai sensi dell’art. 10, comma 1 del nuovo decreto in commento, ma che non hanno già beneficiato delle tariffe incentivanti di cui ai decreti ministeriali previgenti (resta fermo infatti il divieto di cumulabilità degli incentivi). Per questi impianti c’è la possibilità di accesso alle tariffe incentivanti previste dal nuovo decreto (ma non al premio di cui all’art. 7, vedi più avanti), a condizione che: - siano stati realizzati in conformità a quanto previsto dai decreti ministeriali previgenti; - non abbiano già beneficiato delle tariffe incentivanti previste da detti decreti; - non rientrino in fattispecie che, ai sensi dell’art. 10, commi da 2 a 5, del citato D.M. 28.7.2005, comportino la non applicabilità o la non compatibilità con le tariffe incentivanti di cui al nuovo decreto; - venga inoltrata richiesta della pertinente tariffa incentivante entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della già citata delibera di cui all’art. 10, comma 1, a pena di decadenza dal diritto agli incentivi. Impianti già ammessi ai sensi dei decreti previgenti Il nuovo decreto reca inoltre norme per gli impianti fotovoltaici che hanno invece già acquisito, entro il 2006, il diritto alle tariffe incentivanti di cui ai DD.MM. 28.7.2005 e 6.2.2006. Esclusivamente per tali impianti, che non possono
n. 3-4/2007 accedere alle tariffe incentivanti previste dal nuovo decreto, l’art. 16, comma 1, prevede che si continuano ad applicare le disposizioni di cui ai decreti sopra citati. Il comma 2 dell’art. 16 prevede inoltre che i soggetti responsabili (SR) degli impianti ammessi ai sensi dei decreti previgenti devono aver fatto pervenire al GSE le comunicazioni di inizio lavori, fine lavori ed entrata in esercizio entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della delibera prevista dall’art. 10, comma 1, del provvedimento in esame (e quindi entro il 26.7.2007), ovvero entro 90 giorni dalle rispettive scadenze previste dall’art. 8 del DM. 28.7.2005, se successive. In caso di decadenza dai benefici, per il mancato rispetto delle disposizioni illustrate al paragrafo precedente, ovvero in caso di rinuncia, l’art. 16, comma 3, del D.M. 19.2.2007 prevede che non venga effettuato lo scorrimento delle graduatorie e degli elenchi stilati in base ai decreti previgenti. Detta disposizione è rafforzata dalla previsione di cui al comma 6 dell’art. 16 il quale, fermo restando quanto disposto dall’art. 4, comma 7 (vedi sopra), stabilisce che non vi è alcuna priorità ai fini dell’accesso alle nuove tariffe incentivanti per gli impianti che abbiano presentato domanda in vigenza del vecchio regime, che potranno avere accesso ai benefici previsti dal nuovo decreto nel rispetto delle disposizioni previste dallo stesso. Si segnala infine la previsione del comma 5 dell’art. 16 che, sempre con riferimento agli impianti ammessi entro il 2006 alle tariffe di cui ai decreti previgenti, dispone la possibilità che il SR richieda al GSE una proroga massima di 6 mesi dei termini fissati per l’inizio e la fine dei lavori, in caso di comprovato ritardo nel rilascio delle necessarie autorizzazioni alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, non imputabile al soggetto responsabile.
Soggetti beneficiari e requisiti per l’accesso ai benefici Descrizione del meccanismo e soggetti beneficiari Caposaldo del meccanismo incentivante è sempre la concessione degli incentivi in «conto energia», vale a dire che gli incentivi arrivano tramite l’energia prodotta, la cui eccedenza può essere venduta alla rete elettrica a tariffe incentivanti, di molto superiori al prezzo normale. L’art. 3 del D.M. 19.2.2007, analogamente a quanto previsto dal precedente citato D.M. 28.7.2005, dispone che possono beneficiare
Tecnica delle costruzioni degli incentivi le persone fisiche, le persone giuridiche, i soggetti pubblici ed i condomini di unità abitative o di edifici. Requisiti per l’accesso ai benefici I requisiti per l’accesso alle tariffe incentivanti ed al premio per l’uso efficiente dell’e nergia (artt. 6 e 7, vedi più avanti) sono analiticamente stabiliti dall’art. 4, il quale al comma 2 prevede che la potenza nominale minima degli impianti deve essere non inferiore a 1 kW. on è previsto un tetto massimo di potenza, e quindi risulta abolito il limite previsto dai previgenti decreti, pari a 1.000 kW. Per quanto riguarda l’obiettivo cumulativo nazionale di potenza fotovoltaica nominale da installare, questo è stabilito dall’art. 12 in 3.000 MW entro il 2016. È inoltre stabilito (art. 4, comma 5) che per poter accedere ai benefici gli impianti devono rientrare in una delle tre tipologie di cui ai punti bl, b2 e b3 del comma 1 dell’art. 2, vale a dire: - impianto non integrato (punto b1): l’impianto con moduli ubicati al suolo, ed anche con moduli collocati, con modalità diverse dalle tipologie di cui agli allegati 2 e 3, sugli elementi di arredo urbano e viario, sulle superfici esterne degli involucri di edifici, di fabbricati e strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione; - impianto parzialmente integrato (punto b2): l’impianto i cui moduli sono posizionati, secondo le tipologie elencate in allegato 2, su elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione; - impianto con integrazione architettonica (punto b1): l’impianto fotovoltaico i cui moduli sono integrati, secondo le tipologie elencate in allegato 3, in elementi di arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione. È infine previsto che per poter beneficiare degli incentivi gli impianti devono: - essere entrati in funzione in data posteriore all’entrata in vigore della delibera, prevista dall’art. 10, comma 1, (27.4.2007) con la quale sono stati stabiliti criteri, tempi e modalità per l’erogazione degli incentivi, a seguito di interventi di nuova costruzione, rifacimento totale o potenziamento; in tale ultimo caso gli impianti possono accedere alle tariffe incentivanti limitatamente alla produzione aggiuntiva ottenuta a seguito dell’intervento, e non possono accedere al premio di cui all’art. 7 (art. 4, comma 3); - essere conformi alle specifiche tecniche richiamate nell’allegato 1 ed essere realizzati con componenti di nuova costruzione o comunque non già impiegati in altri impianti (art. 4, comma 4); - essere collegati alla rete elettrica da un unico punto di connessione non condiviso con altri impianti fotovoltaici, ovvero essere collegati a piccole reti isolate (art. 4, comma 6). Iter da seguire per accedere all’incentivazione L’art. 5 del D.M. 19.2.2007 in commento stabilisce che il SR inoltra il progetto preliminare al GSE, chiedendo contestualmente la connessione alla rete, e l’eventuale accesso al servizio di scambio sul posto dell’energia elettrica prodotta nel caso di impianti di potenza nominale non superiore a 20 kW. Ad impianto ultimato il soggetto responsabile comunica la conclusione dei lavori al GSE. Successivamente, entro 60
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Tecnica delle costruzioni giorni dalla data di entrata in esercizio dell’impianto, il soggetto responsabile è inoltre tenuto, a pena della decadenza dalle tariffe incentivanti, a far pervenire al GSE la richiesta di concessione della tariffa, insieme alla documentazione finale di entrata in esercizio dell’impianto. Entro i successivi 60 giorni il GSE verifica il rispetto delle disposizioni del decreto e la sussistenza dei requisiti e comunica al SR la tariffa riconosciuta. Tariffe incentivanti e premio per l’uso efficiente dell’energia La tariffa incentivante dell’impianto è determinata in funzione della classe di potenza, della tipologia dell’impianto (grado d’integrazione) e dell’anno di entrata in esercizio dell’impianto, con un meccanismo decrescente. Detto meccanismo prevede che le tariffe incentivanti riportate nel decreto all’art. 6, comma 1, sono valide per gli impianti entrati in esercizio nel periodo intercorrente tra il 27.4.2007 ed il 31-12.2008, e sono riconosciute di importo costante per l’intero periodo massimo di 20 anni previsto dal decreto. Per gli impianti entrati in esercizio dall’1.1.2009 al 31.12.2010 è invece prevista dall’art. 6, comma 2, una decurtazione pari al 2%/anno per ciascun anno di calendario successivo al 2008, fermo restando il limite dei 20 anni. Infine l’art. 6, comma 3, prevede che successivi decreti ministeriali provvede ranno ad aggiornare il quadro delle tariffe incentivanti per gli impianti che entreranno in esercizio dopo il 2010. In mancanza di detti decreti continueranno ad applicarsi, per gli anni successivi al 2010, le tariffe previste dal decreto per gli impianti entrati in funzione nel 2010, con il meccanismo decrescente. Incremento del 5% delle tariffe incentivanti La tariffa può essere incrementata del 5% in casi particolari codificati nell’art. 6, comma 4, ed in particolare: - per impianti, ricadenti nelle righe B) e C), colonna 1, della tabella riportata al comma 1 dell’art. 6, i cui SR impiegano l’energia prodotta in modo da consentire loro di acquisire il titolo di «autoproduttore» ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D. Leg.vo 79/1999; - per gli impianti il cui SR è una scuola pubblica o paritaria di qualunque ordine e grado o una struttura sanitaria pubblica; - per gli impianti integrati, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera b3), in superfici esterne degli involucri di edifici, fabbricati, strutture edilizie di destinazione agricola, in sostituzione di coperture contenenti amianto; - per gli impianti i cui SR sono enti locali con popolazione residente inferiore a 5000 abitanti. I suddetti incrementi non sono tra loro cumulabili. Ulteriore premio per l’efficienza energetica La tariffa può essere ulteriormente incrementata fino ad un massimo del 30% a titolo di premio per l’efficienza energetica per gli impianti operanti in regime di scambio sul posto (e quindi di potenza nominale non superiore a 20 kW, art. 5, comma 1), asserviti ad unità immobiliari o edifici per i quali il SR si doti dell’attestato di qualificazione energetica ai sensi del D. Leg.vo 192/2005 e successive modificazioni. Per dare diritto al premio detto attestato dovrà comprendere anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle prestazioni energetiche dell’edificio o dell’unità immobiliare, interventi che il SR, successiva mente all’entrata in
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n. 3-4/ 2007 funzione dell’impianto, dovrà realizzare in misura tale da conseguire una ulteriore riduzione almeno pari al 10% dell’indice di prestazione energetica come individuato dalla certificazione. L’avvenuta esecuzione degli interventi e l’ottenimento della necessaria riduzione del fabbisogno energetico è dimostrata tramite la produzione di una nuova certificazione energetica. A seguito dell’esecuzione degli interventi il SR trasmette al GSE le certificazioni, chiedendo il riconoscimento del premio, che consiste in una maggiorazione della tariffa riconosciuta all’impianto pari alla metà della percentuale di riduzione dell’indice di prestazione energetica conseguita nell’edificio o nell’unità immobiliare alimentata dall’impianto in esito agli interventi, fino ad un premio massimo pari al 30%. Detto premio è riconosciuto a decorrere dall’anno solare successivo alla data di ricezione della domanda di cui sopra, e per l’intero residuo periodo di diritto alla tariffa incentivante. Va segnalato inoltre che la successiva esecuzione di altri interventi che permettano il conseguimento di una ulteriore riduzione almeno pari al 10% dell’indice di prestazione energetica rispetto al medesimo indice antecedente, rinnova il diritto al premio, sempre entro il limite massimo complessivo del 30% della tariffa incentivante. Il premio compete altresì nella misura del 30% della tariffa base nel caso di unità immobiliari o edifici completati successivamente al 24.2.2007, qualora conseguano un indice di prestazione energetica dell’edificio inferiore di almeno il 50% rispetto ai valori riportati nell’allegato C del citato D. Leg.vo 192/2005 (art. 7, comma 8). Delibera 90/2007 dell’AEEG: criteri e modalità per l’erogazione degli incentivi L’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG) ha in seguito emanato l’attesa delibera contenente le disposizioni attuative del D.M. 19-2.2007. La delibera fissa in particolare le regole procedurali, tecniche ed economiche per la connessione alla rete elettrica degli impianti fotovoltaici e per l’attuazione del sistema di incentivi previsto dal citato D.M. 19.2.2007. Il provvedimento è entrato in vigore dal 27.4.2007, data della sua pubblicazione in G.U.. Ciò ha particolare rilevanza poiché per poter beneficiare delle agevolazioni di cui al D.M. 19.2.2007 gli impianti devono essere entrati in vigore dopo tale data, ed è inoltre a partire dalla medesima data che possono essere presentate le domande per l’accesso alle tariffe incentivanti. Condizioni per l’accesso alle tariffe incentivanti L’art. 4 del provvedimento fissa le tre principali condizioni per l’accesso alle tariffe incentivanti: 1. in primo luogo il soggetto responsabile (SR) dell’impianto, ossia colui che presenta la domanda per l’accesso ai benefici, deve essere il proprietario dell’immobile ove l’impianto stesso viene installato ed esercitato, oppure deve essere in possesso di specifica autorizzazione rilasciata dal proprietario (o dai proprietari se più di uno); 2. inoltre per accedere agli incentivi il SR deve aver conseguito tutte le autorizzazioni necessarie alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto, nel rispetto dei vincoli architettonici e paesaggistici e della normativa vigente in materia di
n. 3-4/2007 sicurezza con riferimento alle attività di costruzione ed esercizio dell’impianto e dei relativi allacciamenti; 3. infine il SR dovrà registrarsi sul portale informatico messo a punto dal soggetto gestore (GSE - Gestore dei Servizi Elettrici S.p.A.), dove è disponibile anche tutta la modulistica da compilare e spedire al GSE stesso unitamente alla documentazione tecnica prevista dall’Allegato 4 del D.M. 19.2.2007. Il portale informatico del GSE Dal 3.5.2007 è stato attivato il portale informatico per la gestione on line delle domande di accesso agli incentivi di cui al D.M. 19.2.2007. All’indirizzo https://fotovoltaico.gsel.it è dunque possibile accedere al sito attraverso il quale il SR dovrà interagire con il GSE per richiedere le tariffe incentivanti e il relativo premio abbinato all’uso efficiente dell’energia. In particolare si ricorda che il soggetto responsabile dovrà effettuare i seguenti passaggi: a) dovrà effettuare la registrazione, se non già in possesso delle credenziali di accesso; b) dopo la registrazione riceverà, sulla casella di posta elettronica indicata, una e-mail di conferma; c) in seguito, sempre via e-mail, riceverà la UserID e la Password necessarie a preparare la richiesta di incentivo; d) successivamente potrà scegliere di: - gestire una richiesta d’incentivazione relativa a impianti già incentivati con i D.M. del 28.7.2005 e del 6.2.2006, quindi, si ricorda, per gli impianti entrati in funzione tra l’1.10.2005 ed il 27.4.2007; - gestire una richiesta d’incentivo per un nuovo impianto ai sensi del D.M. 19.2.2007, quindi, si ricorda, per gli impianti entrati in funzione dal 28.4.2007; e) nel caso si tratti di una richiesta d’incen tivazione per un nuovo impianto, dovrà inserire i dati tecnici caratteristici dell’impianto; f) tramite un apposito menu potrà predisporre la stampa dei seguenti documenti: - richiesta di riconoscimento della tariffa incentivante; - scheda tecnica precedentemente compilata; - dichiarazione sostitutiva di atto notorio; - premio per gli impianti fotovoltaici abbinati a un uso efficiente dell’energia (opzionale); g) per la richiesta delle tariffe incentivanti e dell’eventuale premio, dovrà inviare al GSE, in un plico cartaceo, oltre agli stampati citati al punto precedente, anche i seguenti documenti: - documentazione finale di progetto dell’impianto; - certificato di collaudo dell’impianto; - dichiarazione sulla proprietà dell’immobile; - copia del permesso a costruire o copia della D.I.A.; - copia della comunicazione con la quale il gestore di rete locale ha notificato al soggetto responsabile il codice identificativo del punto di connessione alla rete; - copia, ove ricorra il caso, della denuncia di apertura di officina elettrica. Condizioni economiche e pagamenti La delibera dell’AEEG n. 90/07 in commento fissa anche i termini con i quali verrà effettuato il pagamento delle tariffe incentivanti. Per quanto riguarda gli impianti con potenza
Tecnica delle costruzioni nominale compresa tra 1 e 20 kW, che si avvalgono del servizio di scambio sul posto, il pagamento delle tariffe sarà effettuato dal GSE con cadenza bimestrale, come anche per il riconoscimento dell’eventuale premio per l’uso efficiente dell’energia (art. 7, D.M. 19.2.2007). Sarà invece effettuato con cadenza mensile il pagamento delle tariffe incentivanti per gli impianti con potenza nominale superiore a 20 kW. Circolare n. 46/E del 19.7.2007 dell’Agenzia delle Entrate: disciplina fiscale degli incentivi impianti fotovoltaici L’Agenzia delle entrate è intervenuta per fornire chiarimenti in merito al trattamento fiscale dei cosiddetti «incentivi in conto energia», corrisposti dal gestore dei servizi elettrici (GSE S.p.A.) a chi utilizza un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica, secondo quanto previsto dal D. Leg.vo 29.12.2003, n. 387 nonché dal 19.2.2007 e dalla relativa delibera n. 90/2007 dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (AEEG). In particolare la circolare illustra la disciplina, ai fini dell’Iva, dell’Irap e delle imposte dirette, applicabile alle tariffe incentivanti ricevute per l’energia prodotta ed ai ricavi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta in esubero. Disciplina fiscale delle tariffe incentivanti La circolare chiarisce che le tariffe incentivanti corrisposte alle persone fisiche, agli enti non commerciali o ai condomini, che utilizzano pannelli solari al di fuori dell’eser cizio di attività d’impresa, non formano reddito imponibile se l’energia prodotta è destinata esclusivamente ad usi domestici. Qualora invece l’impianto sia realizzato nell’ambito di un’attività commerciale o d’impresa, come tale intendendo anche l’impianto che, per la sua collocazione separata, non risulti posto al servizio dell’a bitazione o della sede dell’utente, l’incentivo è rilevante ai fini delle imposte dirette e dell’Irap. In questo caso infatti la tariffa incentivante costituisce un contributo in conto esercizio, ed in quanto tale concorre alla formazione del reddito nell’esercizio di competenza, anche ai fini dell’Irap. Inoltre, rappresentando contributi percepiti, in assenza di una controprestazione, per la realizzazione e la gestione dell’impianto fotovoltaico, spiega la circolare, le somme ricevute non sono in nessun caso (neanche in caso di utilizzo dell’impianto nell’ambito di un ‘attività commerciale) rilevanti ai fini Iva, per la cui applicazione mancano i presupposti. Quanto infine alla ritenuta d’acconto, l’Agenzia delle entrate sottolinea che il gestore dei servizi elettrici è tenuto ad applicarla nella misura del 4% sul contributo erogato a titolo di tariffa incentivante nei confronti di imprese o enti commerciali, qualora gli impianti attengano all’attività commerciale esercitata, mentre non è tenuto ad applicarla nei confronti dei soggetti che non svolgono attività commerciale. Disciplina fiscale dei ricavi derivanti dalla vendita di energia I ricavi ottenuti dalla vendita di energia sono sempre da assoggettare ad Iva, fatta eccezione per il caso in cui gli stessi derivino dall’utilizzo al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, da parte di una persona fisica o ente non commerciale, di un impianto con potenza fino a 20 Kw. Per quanto riguarda le imposte dirette, i ricavi derivanti dalla vendita di energia, nel caso in cui gli stessi derivino dall’utilizzo al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, da parte di una persona fisica o ente non commerciale, di un
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impianto con potenza fino a 20 Kw, sono ininfluenti ai fini fiscali se il contribuente opta per il cosiddetto «scambio sul posto». In caso contrario occorre distinguere se l’impianto sia o meno posto al servizio dell’a bitazione del contribuente o della sede dell’ente non commerciale. Nel primo caso risultano fiscalmente rilevanti i soli proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta in eccesso rispetto al proprio fabbisogno, che andranno qualificati come redditi diversi, ossia come redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente. Il costo per l’acquisto o la realizzazione dell’impianto non potrà in questo caso essere considerato inerente alla produzione del reddito, né sarà detraibile la relativa Iva pagata. Nel caso in cui l’impianto non sia posto al servizio dell’abitazione del contribuente o della sede dell’ente non commerciale, i ricavi derivanti dalla vendita dell’energia saranno invece integralmente rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell’Irap. La medesima disciplina fiscale è inoltre applicabile in tutti i casi agli impianti di potenza superiore a 20 kW, per i quali non è possibile optare per il servizio di scambio sul posto ma solamente vendere l’energia in esubero alla rete locale, con conseguente realizzazione di un’attività di tipo commerciale. Professionisti o associazioni professionali Se l’acquisto o la realizzazione dell’impianto fotovoltaico è realizzato da un lavoratore autonomo o da un’associazione professionale, e l’energia prodotta è utilizzata esclusivamente per le esigenze dell’attività o anche in modo promiscuo (per consumi personali o familiari), la tariffa incentivante, come già detto comunque esclusa dal campo di applicazione dell’Iva, non concorre alla formazione del reddito imponibile. L’impianto costituisce comunque bene strumentale all’attività di lavoro autonomo, e dunque l’Iva pagata per l’acquisto o la realizzazione dell’impianto è detraibile, per la percentuale riconducibile all’utilizzo del bene per l’attività professionale. Se l’impianto produce energia in eccesso, la vendita costituisce in ogni caso attività commerciale. Andranno pertanto tenute due contabilità separate, una per l’attività di lavoro autonomo ed una per quella di impresa. In questo caso la tariffa incentivante percepita, in proporzione alla
quantità di energia ceduta, costituisce contributo in conto esercizio, concorre alla determinazione del reddito d’impresa e della base imponibile dell’Irap e va assoggettata alla ritenuta d’acconto del 4%. I ricavi derivanti dalla vendita dell’energia sono inoltre rilevanti ai fini dell’Ires, dell’Irap e dell’Iva. L’impianto costituisce bene strumentale sia all’attività libero professionale che all’attività commerciale di vendita dell’e nergia in esubero, e gli ammortamenti del costo vanno ripartiti facendo riferimento alla proporzione tra energia ceduta ed energia complessivamente prodotta. Inoltre l’Iva pagata all’atto dell’acquisto o realizzazione del bene è detraibile in relazione ad entrambe le attività esercitate, a condizione che le stesse siano gestite, come detto, con contabilità separate. Iva sulle spese per la realizzazione degli impianti Per l’acquisto o la realizzazione dell’impianto fotovoltaico si applica l’aliquota Iva del 10%. La detrazione dell’imposta pagata è ammessa in funzione dell’utilizzo dell’impianto nell’esercizio di impresa, arte o professione. Dunque in caso di utilizzo promiscuo non sarà detraibile l’Iva corrispondente alla quota imputabile ad impieghi per fini privati, o comunque estranei all’esercizio dell’attività. Riferimenti normativi D.Leg.vo 29.12.2003, n. 387, v. BIT n. 2/2004 D.M. 28.7.2005 - Testo coordinato, v. BLT n. 9/2005 Delibera AEEG 188/2005, - Testo coordinato, v. BLT n. 10/2005 Delibera AEEG 281/2005 - Testo coordinato, http://www.legislazionetecnica.it/arch_dossier.asp7id_.detts20 Delibera AEEG 28/2006, v. http://www.legislazionetecnica.it/arch_dossier.asp7id_detts20 D.M. 6.2.2006, v. BLT n. 3/2006 D.M. 19.2.2007, v. BLT n. 4/2007 L’incentivazione del fotovoltaico - Doc. del GSE, http://www.legislazionetecnica.it/arch_dossier.asp7id_detts20 Delibera AEEG 88/2007, v. BLT n. 5/2007 Delibera AEEG 89/2007, v. BLT n. 5/2007 Delibera AEEG 90/2007, v. BLT n. 5/2007 Circ. Agenzia Entrate 19.7.2007, n. 46/E, v. BLT n. 9/2007 I testi delle norme sono inoltre tutti disponibili sul sito www.legislazionetecnica.it alla sezione «Dossier»: http://www.legislazionetecnica.it/arch_dossier.asp7id_detts20 «Quaderni di legislazione tecnica»
Crati. Nei pressi di Cosenza (Desprez, 1780 ca.)
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IL RAME NELL’EDILIZIA A BASSO CONSUMO ENERGETICO di Vincenzo Loconsolo
L
a disponibilità di energia, ovviamente a costi accettabili, è un problema che da sempre assilla l’umanità, ma che negli ultimi 30 anni ha assunto un’importanza strategica. La ricerca di nuove fonti energetiche e di nuove tecnologie per la produzione dell’energia stessa non è più sufficiente a trovare una soluzione a questo problema che, oltre ad ingigantirsi anno per anno, ha finito per coinvolgere anche altri aspetti, come quelli dell’ambiente e delle variazioni climatiche in particolare. È ormai da tempo assodato che la soluzione risiede nella ricerca tecnologica finalizzata al risparmio energetico nonché nell’uso razionale dell’energia. Nell’edilizia è almeno dal 1976, con la legge 373, che l’Italia ha cercato di affrontare, con esiti non molto felici, il problema della riduzione dei consumi energetici. Il rame, per le sue caratteristiche tecnologiche e proprietà intrinseche, è un materiale indispensabile per la generazione e l’utilizzo dell’energia. Nel valutare il consumo di metallo in relazione alle sue proprietà esso si colloca nei primi due posti nelle graduatorie della conduttività elettrica e della conduttività termica. Il rame, infatti, è il miglior conduttore sia di energia elettrica che di calore, dopo l’argento (vedi tab. 1 e 2), ma con una disponibilità in natura enormemente maggiore e conseguentemente con un prezzo adeguato all’utilizzo su grande scala. A queste proprietà va associato il basso contenuto energetico del metallo, ottenuto grazie all’elevatissima percentuale di riciclo. Occorre infatti considerare che i paesi tecnologicamente evoluti hanno un tasso di riciclo superiore al 40% (limite imposto dalla disponibilità attuale di rottami e non da vincoli tecnici) e che nella produzione dei semilavorati di rame si realizza, utilizzando rottami al posto del metallo primario ossia di estrazione mineraria, un risparmio energetico dell’85%, senza contare che la totale riciclabilità ha una importanza determinante e crescente ai fini di una minor pressione sulle risorse mondiali di materie prime. Tuttavia, non è esclusivamente per questi dati, peraltro inconfutabili, che si possa definire il rame come un materiale particolarmente raccomandato per l’edilizia a basso consumo energetico, in quanto le sue applicazioni interessano diffusamente tutte le tecnologie oggi conosciute ed applicate in questo campo. Si potrebbe addirittura affermare che il rame è un antesignano del risparmio energetico. Infatti, grazie alle caratteristiche del tubo di rame negli anni ‘60, è stato possibile rivoluzionare gli impianti di riscaldamento. Fino ad allora, come noto, gli impianti, in modo specifico negli edifici multipiano, venivano realizzati installando numerose colonne montanti, disposte perimetralmente all’edificio, per alimentare, al massimo, una coppia di radiatori per ogni piano. Si trattava, cioè, di impianti con una enorme dispersione verso l’esterno (alta temperatura del fluido circolante, pareti rivolte all’esterno, quindi elevato salto termico, grandi diametri con scarso isolamento, disomogeneità della distribuzione di calore ai singoli piani) e, pertanto, con un rendimento complessivo molto basso ed una pessima percezione da parte degli utenti, motivi, per inciso, che hanno poi decretato il grande successo del riscal-
damento autonomo in Italia. La flessibilità del tubo di rame, la disponibilità del prodotto in rotoli anche da 50 m, con una drastica riduzione del numero di giunzioni da effettuare, la resistenza al calore (punto di fusione 1083°) ed il ridotto ingombro, hanno reso possibile la realizzazione dei moderni e molto più efficienti impianti a collettore o ad anello: caldaia centralizzata, colonne montanti pressoché baricentriche, un solo collegamento per ogni unità immobiliare, migliore termoregolazione, contabilizzazione energetica. L’industria italiana ha inoltre supportato iniziative volte al risparmio energetico. Nel momento in cui, con la citata legge 373, venne introdotto l’obbligo d’isolamento delle tubature adi-
bite al trasporto di fluidi caldi, è stata avviata la produzione e commercializzazione del tubo di rame prerivestito, ovvero un tubo già corredato di una guaina isolante che rispetta i requisiti di legge, facilitando così l’opera dell’installatore ma anche del progettista che ora poteva fare affidamento su di un prodotto dall’idoneità certificata. A parte queste considerazioni, le applicazioni più attinenti, si possono distinguere in due tipologie, ma con effetti sinergici: • sfruttamento delle energie alternative • risparmio energetico. Alla prima appartengono sia i sistemi per la produzione di calore sia quelli per l’energia elettrica. Energia termica Collettori solari termici Pompe di calore Captatori per energia geotermica Scambiatori di calore Energia elettrica Generatori eolici Trasformatori Convertitori statici e dinamici Per quanto concerne il campo del risparmio energetico le tecnologie già comunemente utilizzate sono: - sistemi di riscaldamento e raffrescamento radianti - scambiatori di calore a tubo di calore.
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Tecnica delle costruzioni Riportiamo nel seguito alcune considerazioni generali che descrivono il ruolo del rame nelle singole applicazioni. Collettori solari I collettori solari, indipendentemente dalla tipologia impiegata, utilizzano l’energia solare radiante per aumentare l’entalpia del fluido termovettore. Sostanzialmente ciò avviene trasferendo al fluido, che circola nel tubo, l’energia captata dalla piastra. Pertanto, se la quantità di energia raccolta dipende dal colore della superficie captante, è la conduttività termica del metallo costituente la piastra e le tubazioni che svolge, a parità degli altri fattori coinvolti, un ruolo determinante. Il rame, come già osservato, è il materiale dotato della migliore conduttività termica, associata ad altre caratteristiche che sono di fondamentale importanza nella fabbricazione del collettore: - disponibilità di laminati sottili, quindi ridotta massa da posizionare sul tetto, - elevata lavorabilità per una semplice realizzazione della forma geometrica ottimale, - disponibilità di trattamenti chimici (non verniciature) di annerimento superficiale perfettamente aderenti, duraturi e molto selettivi, - disponibilità di tubi di rame, anch’essi altrettanto facilmente conformabili e giuntabili, di elevata resistenza sia meccanica che alle alte temperature, - possibilità di accoppiamento tra piastra e tubazione per mezzo di una semplice brasatura che rende possibile un contatto praticamente perfetto. In sintesi il rame è il materiale che permette di ottenere rendimenti più elevati ad un costo più competitivo e di conseguenza è il materiale maggiormente utilizzato, sia nei collettori a piastra che in quelli a tubo sottovuoto. Pompe di calore È ben noto che l’efficienza di una pompa di calore (C.O.P.) di tipo elettrico debba essere superiore a 3 - 3,5 onde compensare il rendimento di generazione dell’energia elettrica e, quindi, dar luogo un reale risparmio energetico. Ciò è ottenibile operando su più fattori, tra i quali, com’è ovvio, la conduttività termica del metallo da utilizzare per le batterie di scambio termico. Anche in questo caso, tuttavia, la conduttività termica non è l’unico parametro a favore del tubo di rame. Esistono anche fattori tecnologici molto importanti: - l’elevato grado di lavorabilità che permette la realizzazione di serpentine con un rapporto, superficie di scambio/volume, molto elevato, - la duttilità che consente di produrre tubi a bassissimo spessore di parete (0,28 mm) che, mantenendo adeguate caratteristiche di resistenza meccanica, rendono possibile la produzione di macchine compatte e di peso contenuto, la resistenza alla corrosione che favorisce la durevolezza anche in ambienti aggressivi, come l’atmosfera delle nostre città ricca di umidità, inquinanti e cloruri in vicinanza del mare. Captatori per l’energia geotermica Le pompe di calore sono utilizzabili in svariate tipologie di impianto, tra cui quelle per lo sfruttamento dell’energia geotermica. In realtà con questo termine si dovrebbe indicare esclusivamente l’utilizzo diretto di acqua calda o addirittura vapore che fuoriesce dal terreno mentre oggi ci si riferisce anche a quegli
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n. 3-4/ 2007 impianti di climatizzazione, sia estiva che invernale, che sfruttano la quasi costanza della temperatura del terreno ad una determinata profondità. Le grandi serpentine di tubo, disposte orizzontalmente fino a 2 metri di profondità nel terreno o verticalmente in pozzi di 50100 m, costituiscono il circuito primario della pompa di calore. In pratica tali tubi non sono altro che dei grandi scambiatori di calore immersi nella sorgente calda, in inverno e fredda, in estate. I parametri determinanti della scelta del rame per la realizzazione del circuito sono: resistenza alla corrosione, che può essere migliorata con l’estrusione, in continuo, di un rivestimento plastico molto sottile onde non ridurre troppo la conduttività; ridotta perdita di carico dovuta alla bassissima rugosità; facilità di posa in opera grazie alla disponibilità di tubi in rotoli da 50-100 m e alla semplicità e sicurezza delle giunzioni ottenibili per mezzo di procedimenti di brasatura. Scambiatori di calore Si tratta dell’apparecchiatura basilare nella termotecnica. La quasi totalità delle macchine per la produzione e l’utilizzo dell’energia per la climatizzazione degli edifici funziona, infatti, grazie al principio dello scambiatore di calore: caldaie, termoconvettori, condizionatori, pompe di calore, collettori solari, radiatori ecc. Il rame e, talvolta, alcune leghe di rame sono i materiali più utilizzati per i fasci tubieri, le serpentine ad immersione con tubo ad alettatura integrale, le batterie di scambio a pacco aiettato, le batterie ad espansione diretta ed altri componenti. In tutti questi casi la più elevata conduttività termica permette di ottenere la potenza di progetto della macchina con una più contenuta superficie di scambio, ciò, ovviamente, si traduce in un minor ingombro delle apparecchiature e, quindi, in un vantaggio soprattutto nelle applicazioni in edilizia. Generatori elettrici, trasformatori e convertitori Anche se non è il caso di soffermarsi ad analizzare il settore della generazione di energia elettrica, in quanto esula dai temi dell’articolo, è tuttavia opportuno ricordare che un generatore eolico di media potenza impiega fino a 4 t di rame e che un trasformatore è costituito da grandi masse di avvolgimenti di fili di rame su un nucleo ferritico. Non va però trascurata l’importanza che i trasformatori ed i convertitori assumono nell’utilizzo di energia elettrica prodotta dai sistemi fotovoltaici. L’uso diretto della corrente continua ottenibile con tali sistemi è conveniente solo per alcune semplici apparecchiature (come ad esempio apparecchi per illuminazione) mentre per quelle più complesse (elettrodomestici ecc.), essendo più costose e meno ripetibili, non è consigliabile. È allora preferibile convertire la corrente continua e a basso voltaggio in corrente alternata alla tensione di rete ma, in tal caso, è necessario tenere nella dovuta considerazione anche il rendimento degli apparati di trasformazione e conversione. I trasformatori a più alto rendimento hanno un contenuto in rame più elevato. Analizziamo ora le applicazioni del rame nella impiantistica civile. Sistemi di climatizzazione radiante Il tubo di rame può essere utilizzato in tutti gli impianti (acqua calda e fredda, gas, riscaldamento) con la massima sicu-
n. 3-4/2007 rezza e nella piena conformità alla legislazione vigente ed alla buona regola dell’arte, esemplificata dalle norme tecniche. In particolare il tubo può essere impiegato anche per la realizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento di tipo radiante che, come evidenziato dagli esperti del settore, sono tra i migliori, dal punto di vista dei consumi energetici, a parità di comfort assicurato. La resistenza meccanica, l’inattaccabilità da parte dei leganti
idraulici (cemento, calce), la resistenza alle alte temperature (il rame fonde a 1083°C), la semplicità di posa in opera, la durata e la totale riciclabilità, rendono assolutamente competitivo un materiale nobile come il rame. A tutto ciò vanno sommati i vantaggi derivanti dal miglior rendimento, ottenibile con una corretta progettazione come dimostrato dalla tabella 3. L’elevata conduttività termica, evidenziata anche dalla norma EN 1264 (tab. 4), permette di realizzare serpentine più “corte”, lasciando quindi spazi sufficientemente ampi per il passaggio degli altri impianti. Inoltre il minor diametro dei tubi di rame permette di ridurre lo spessore del massetto di annegamento ed aumentare, a parità di spessore totale, l’isolamento; quest’ultimo può infine essere realizzato con pannelli piani, ossia senza le caratteristiche protuberanze che sono indispensabili per trattenere i tubi di materia plastica ma che riducono notevolmente il contatto tra tubazione e massetto peggiorando, ancor più, il rendimento del pannello radiante. Il maggior rendimento ottenibile è decisamente interessante anche nel caso di pannelli radianti a parete; infatti è possibile riscaldare le differenti stanze dell’unità immobiliare installando la serpentina in una sola parete di ciascun locale mentre tutte le altre potranno essere liberamente utilizzate, senza porre eccessive limitazioni all’arredamento. Un ulteriore contributo al risparmio energetico in questo tipo d’impianti, piccolo ma non trascurabile, è dato dalle minori perdite di carico, sia per le serpentine più corte sia per il minor fattore d’attrito, che comportano una riduzione di lavoro da parte delle pompe di circolazione. Scambiatori a tubo di calore La ventilazione meccanica è oggi quasi esclusivamente realizzata nei grandi edifici ad uso commerciale ed industriale o nei complessi per uffici, ma inizia ad avere significative applicazioni anche nell’edilizia civile. L’espulsione dell’aria prelevata dall’interno degli edifici comporta, come noto, una notevole perdita di energia nel caso non venga opportunamente recuperata. Tra le tecnologie oggi disponibili troviamo i recuperatoti di calore, sostanzialmente degli scambiatori aria - aria, in cui l’aria in uscita scambia energia
Tecnica delle costruzioni con l’aria in entrata, recuperando parzialmente “calorie” nel ciclo invernale o “frigorie” nel ciclo estivo.
In questo campo troviamo i recuperatoti a tubo di calore, costituiti da un fascio di tubi di rame contenenti un fluido che evapora nella zona lambita dal flusso di aria calda e condensa nella zona di passaggio dell’aria fredda, opportunamente separata dalla prima tramite un setto. Sono da considerarsi tra le apparecchiature migliori sotto tutti L punti di vista: elevato rendimento, non soggette ad usura, ingombro ridotto, utilizzabili sia in estate che in inverno senza modifiche all’impianto e, molto importante, non vi è pericolo di contaminazione perché, come già detto, i due flussi d’aria risultano separati. A conclusione è opportuno, anche se non del tutto attinente al tema dell’articolo, un breve cenno ad altre soluzioni tecnologiche per il risparmio energetico, di facile applicazione, In particolare il riferimento riguarda numerosi prodotti di rame per l’architettura, quali coperture, gronde e pluviali, altri componenti di lattoneria, impiantistica ecc., la cui durevolezza si traduce in un sostanziale contributo anche al risparmio energetico, ma soprattutto l’impiego di “motori elettrici ad alta efficienza”. Si tratta di motori di moderna concezione che, in base ai criteri fissati in sede Unione Europea, hanno un rendimento maggiore, riducendo le perdite di energia al loro interno. Generalmente sono motori di media o grande potenza, ma proprio nel settore della ventilazione dei grandi edifici possono essere utilmente impiegati. Bibliografia: Il manuale del tubo di rame - a cura dell’Istituto Italiano del Rame - Consedit, Milano Rame notizie - a cura dell’Istituto Italiano del Rame - Consedit, Milano Impianti termici di benessere - S. Gioria - Giacomini spa Metals Handbook - AA.VV. - American Society for Metals UNI EN 1264 - Riscaldamento a pavimento - Impianti e componenti Energy efficient motor driven systems — AA.VV. — European Copper Institute, Bruxelles The scope for energy saving in the EU through the use of energy-efficient electricity distri-bution transformers European Copper Institute, Bruxelles con il supporto della European Commission DG Energy Il solare termico. Corso per installatori e termotecnici - a cura di Solarpraxis, Berlino -Istituto Italiano del Rame «Rame Notizie»
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EDIFICIO UNIFAMILIARE IN MURATURA ARMATA di icola Canal
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ella costruzione di edifici di piccola dimensione la soluzione costruttiva ottimale è rappresentata dall’impiego di strutture in muratura portante, ordinaria od armata laddove si vogliano migliorare le prestazioni statiche in zona sismica. Quest’ultima soluzione in particolare permette di soddisfare tutti i requisiti statici (sismici), termici ed acustici previsti dalle norme vigenti con una riduzione dei costi della parte strutturale rispetto a quelli di un corrispondente telaio in c.a..
Fig. 1 - Pianta del piano terra dell’edificio
Descrizione dell’edificio L’immobile è costituito dal piano terra [fig. 1], adibito a civile abitazione e rimesse, nonché dal piano primo adi bito comunque a civile abitazione in mansarda [fig. 2], Il fabbricato ha for ma rettangolare irregolare con un accorpamento laterale di forma ret tangolare regolare e struttura portan te composta da muratura armata Poroton® di spessore 35 cm più termointonaco con accorpata una serie di pilastri di varie sezioni e relativa tra vatura di collegamento, il tutto pog giante su adeguata platea di fondazione di spessore minimo pari a 40 cm con armatura calcolata. Il piano terra è edificato con struttura portante in muratura armata in blocchi di laterizio Poroton® [figg. 3, 4] integrati da una serie di pilastri in c.a. ed è costituito dai seguenti locali: tettoia esterna, atrio di accesso, corridoio, cucina/pranzo, soggiorno con vano scala, portico esterno, bagno-giorno, taverna, ripostiglio, rimessa interna e rimessa esterna aperta. Le tramezze di separazione dei locali sono state realizzate in laterizio Poroton® di spessore 12 cm più intonaco a civile. L’altezza utile dei locali del piano risul ta pari a 2,60 m, ad eccezione della cucina/pranzo e del soggiorno che hanno differente quota d’imposta e quindi un’altezza di 2,95 m. Anche il piano primo è stato edificato con struttura portante in muratura armata ed è costituito dai seguenti locali: corri-
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Fig. 2 - Pianta del piano primo dell’edificio
doio, 3 camere tutte con terrazza esterna coperta, stireria, bagno-notte e ripostiglio. L’altezza utile media dei locali del piano, varia da 2,40 a 2,60, comunque superiore all’altezza minima di 2,20 m stabilita dal locale Regolamento edilizio comunale. Il tetto risulta a due falde su due quo te d’imposta, con struttura in legno composta da 1 + 1 travi portanti “lamellari” di sezione 20x32 cm, morali di sezione 14x20 cm e sovra stante isolamento termico composto da un doppio tavolato da 2+2 cm, guaina bituminosa da 3 mm, strato isolante tipo “styrodur” da 68 mm e listelli.
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Fig. 5 Particolare dell’armatura del cordolo al livello del solaio di copertura.
Fig. 3 La posa a secco del primo corso di blocchi serve per individuare la posizione in cui dovranno essere in ghisate nella fondazione le barre di armatura verticale, che verranno poi fissate con una miscela ancorante nei fori che si andranno a predisporre nella fondazione.
preverniciata color “testa di moro”. Le grondaie hanno sezione semi-circolare, i pluviali sezione circolare. Il collegamento tra i piani avviene tramite la scala interna di servizio e collegamento tra gli stessi. I solai intermedi sono in laterocemento tipo “omnia bausta” dello spessore di 20+4 cm e calcolati entrambi per un sovraccarico minimo di 350 kg/mq più il peso proprio [fig. 8]. Le terrazze esterne poste sui fronti est e ovest del fabbricato, hanno anch’esse struttura in laterocemento di sezio ne 16/20+4 cm e rivestimento in pia strelle di klincher e/o gres porcellanato. Sono state corredate con ade-
Fig. 6 Prospetto Ovest del fabbricato. Fig. 4 Particolare della testa di un setto murario: si notano le armature verticali all’estremità e le staffe orizzontali.
Sul lato nord è stata posizionata una porzione di tetto laterale alla struttura principale (rimessa aperta) avente le stesse caratteristiche. Sulle falde nord e sud sono altresì posizionati un abbaino comunque a due falde e quattro finestre tipo “velux” di varie dimensioni, per garantire ulteriore aerazione e illuminazione diretta ai locali. Gli sporti hanno larghezza di 1 m e sono stati finiti con perline di legno preverniciate di ottima scelta e in ope ra a faccia vista. La copertura è in “coppo di grecia” del tipo striato. Le grondaie, le scossaline, i tubi pluviali e le converse dei camini sono stati realizzati in rame e/o lamiera zincata
Fig. 7 Prospetto Sud del fabbricato.
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Fig. 8 Il solaio prima del getto
Fig. 9 Vista dell’edificio in avanzata fase di realizzazione.
guato parapetto di protezione avente struttura in ferro zincato, rivestimento in tavole di legno preverniciato ed altezza utile di 1 m. Ogni locale abitabile ed accessorio ha ovviamente una superficie utile maggiore della superficie minima prevista dal regolamento edilizio comunale così come pure la superficie illuminante, per quanto riguarda i locali abitabili, risulta sempre superiore ad 1/8 della superficie del pavimento di ogni singolo locale. I locali adibiti a servizio igienico e/o bagno, anche se aerati ed illuminati dall’esterno, sono entrambi dotati di un idoneo sistema di ventilazione forzata, in grado di assicurare un ricambio medio orario non inferiore a cinque volte la cubatura degli ambienti stessi in conformità al locale Regolamento edilizio comunale. L’intonaco interno è a grezzo e fino del tipo civile finito con idropittura a più “ mani, quello esterno é a grezzo con
finitura in graniglia finissima. Tutte le foronomie di porte e finestre sono state corredate da un riquadro in rilievo di larghezza 10 cm in modo da migliorare l’estetica del fabbricato. I camini sono stati realizzati con can ne in monocottura a doppia anima e, ove necessario, provvisti di canna interna in acciaio. Le torrette di camino sono state realizzate in opera di tipo tradizionale. I serramenti di porte e finestre sono in legno con finestre a vetrocamera e battenti esterni a due ante. Le uniche sistemazioni esterne riguar dano l’esecuzione del marciapiede perimetrale del fabbricato, l’esecuzione dei muri di contenimento del terre no e la realizzazione di un accesso pedonale sul lato sud del fabbricato e non è stata prevista l’esecuzione di recinzioni. «Muratura Oggi»
Il castello di Pizzo Calabro (da La Calabria - Editalia - Edizioni di Italia)
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PARTICOLARI COSTRUTTIVI Fissaggio degli elementi lignei di copertura di icola Canal
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a tipologia costruttiva dei vecchi edifici rurali delle zone di montagna o pedemontane (ma non solo) era spesso caratterizzata da generosi ed accoglienti portici, originariamente disposti verso sud anche allo scopo di poter essiccare i prodotti delle coltivazioni. Oggigiorno l’economia è cambiata, e con essa anche le esigenze dei committenti di un edificio. Ma molte villette “moderne” mantengono ancora, giustamente, con il “portico” questo riferimento al passato, supportate talvolta anche dalle indicazioni dei regolamenti di attuazione dei vari Piani Regolatori e Regolamenti Edilizi, in base alle peculiarità urbanistiche della zona in cui si trovano. Nel frattempo, però, sono cambiate anche le Normative e, in particolare, la normativa sismica (che è ancora in ... ebollizione). Ne consegue, che, talvolta, l’esigenza architettonica della committenza si scontra con l’applicazione delle Norme Sismiche, spesso non sufficientemente chiare, almeno a livello di... particolari strutturali. Collegamenti del portico e fissaggi degli elementi lignei su murature portanti Si fa riferimento ad un parere positivo del Consiglio Superiore dei LL.PP. - Prima Sezione, emanato con voto n. 442 del 25/10/1994, circa un quesito posto (dalla Regione Puglia) sull’ammissibilità di elementi in legno per la “realizzazione di coperture in legno di notevoli luci”. Senza entrare troppo nel merito del quesito in esame, si fa presente che tale parere è stato sfruttato molto bene nel caso di coperture per strut ture intelaiate (c.a., c.a.p.) di qualsi voglia dimensioni, facendo preciso riferimento alla tipologia di “legno lamellare” (forse per via delle ... note voli luci). Ma la cosa non è sempre di facile applicazione, perché controversa è l’interpretazione degli uffici tecnici in materia, per gli edifici in muratura e/o muratura armata. Infatti succede che: 1. nel caso ad esempio di piccole costruzioni, il legno massello non venga ritenuto adatto a costituire un collegamento antisismico, anche se a fronte di sforzi estremamente ridotti: questo vale sia per le costruzioni in c.a. che per quelle in muratura, nonché per gli adeguamenti sismici; 2. nel caso specifico di strutture in muratura (ordinaria e/o armata) e di sottostrutture quali i porticati, è spesso precluso l’uso degli elemen ti in legno (massello o lamellare che sia) che, eventualmente, deve essere integrato da opportuno ele mento metallico di collegamento. Spesso tale elemento defunzionalizza strutturalmente la parte lignea e costringe a vere e proprie “acro bazie” di carpenteria, allo scopo di garantire il collegamento antisismico e nello stesso tempo mantenere lo stesso il più possibile nascosto. Basterebbe, con un pò di buon senso e con riferimento all’ultimo comma del suddetto parere del Cons. LL.PP., richiamare l’attenzione sulla necessità di verificare la struttura lignea, in mancanza di specifica normativa, secondo
Fissaggio alla base dei profili: in questo caso le piastre hanno l’asola per l’appoggio scorrevole. Si noti il cordolo provvisto di tavella interna per ridurre il ponte termico con la muratura sotto-
Realizzazione di mensola a sbalzo con profilo in acciaio mascherato.
Esempio di fissaggio superiore dei puntoni.
specifici e ben motivati particolari strutturali, allo scopo di realiz zare ritegni capaci di impedire la fuo riuscita dagli appoggi della copertura per effetto della eventuale oscillazione non sincrona delle sottostrutture. «Muratura Oggi»
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SOLAI DI INTERPIANO orme e dettagli di Jacopo Gaspari e Elena Giacomello
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n adeguato dimensionamento e una corretta progettazione degli elementi che costituiscono un solaio, rappresentano, in particolare per l’ambito residenziale, alcune delle più frequenti operazioni che un professionista è chiamato a svolgere nel corso della propria attività. Numerosi sono gli aspetti che devono essere conside rati durante la progettazione dei solai, non solo indispen sabili fattori di resistenza statica, ma anche un adeguato isolamento termoacustico e un corretto dimensionamento degli alloggiamenti impiantistici. A dispetto dell’apparente semplicità con la quale è possibile risolvere la progettazione di questo elemento tecnico, il mercato mette a disposizione dei professioni sti un elevato numero di soluzioni alternative sia per tecnologie che per materiali imponendo un’attenta riflessione riguardo alle presta zioni di ciascuna. Al fine di mettere a confronto alcune delle molte soluzioni costruttive possibili sono state esaminate le caratteristiche di sei tipologie di solaio per le quali è stato effettuato, a parità di luce e di carico, un dimensiona mento di massima e ipotizzata una stratigrafia di riferimento. Per assimilare gli esempi alla condizione di un solaio residenziale è stata considerata una luce tra i 5 e i 6 m e un carico ipotetico di 300 kg/m2. Solai in laterocemento Una delle soluzioni costrutti ve più diffuse, in particolar modo in Italia e soprattutto nell’edilizia residenziale, è il cosiddetto solaio in latero cemento che deve il suo nome all’impiego combinato dei due materiali. La sua diffusione è legata sia a una notevole semplicità e adattabilità della posa sia al costo contenuto. Lo schema statico fa riferimento a un solaio con ordito e impalcato, in cui il primo è costituito da travetti in calce struzzo armato e il secondo da fondelli in laterizio. Entrambi gli elementi sono disponibili in diverse dimensioni in funzione del carico e in funzione del passo dei travetti. I travetti di calcestruzzo armato hanno in genere una sezione a T rovesciata con un’altezza compresa fra 9 e 16 cm, e un passo che varia a seconda dei carichi e della forma dell’impalcato fra 40 e 100 cm. I travetti appoggiano su cordoli o travi del telaio portante per un tratto pari a 1/20 della luce e comunque mai inferiore a 10 cm. Per un solaio di una normale abitazione si ricorre generalmente a travetti con armatu ra semplice con passo di 60 cm tra i quali vengono interposte pignatte in laterizio con funzione di elemento di alleggerimento. Il solaio è completato da un getto in calcestruzzo che costituisce l’elemento di solidarizzazione. Per i valori presi come riferimento lo spessore della parte portan te del solaio risulta compresa tra i 22 e i 24 cm. Il dimensionamento può essere empiricamente calcolato con la seguente formula: h = da L/22 a L/24 comunque > cm 14 con L compresatra 3 e 7 m.
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O meno empiricamente con, la formula RDB che tiene conto anche del carico. In questo caso Q = 300 kg/m2: h = 0,54 x L x 3√Q Ai fini statici l’ordito deve resistere alle azioni verticali derivanti dal peso proprio, da quello dell’impalcato, dalle parti di completamento e dai carichi di esercizio. Deve essere, pertanto, sufficientemente rigido da contenere la freccia di inflessione entro valori accettabili. In base alle reti previste, il solaio è comple tato da un massetto impian tistico di spessore variabile tra 4 e 6 cm che può rag giungere anche i 12 cm nel caso sia presente l’impianto idrosanitario. Qualora il solaio separi due ambienti con temperature medie sensibilmente diverse è opportuno prevedere uno strato di isolamento termico. Altrettanto importante nella stratigrafia del solaio è la presenza della barriera anticalpestio che, di norma, è collocata sotto il massetto di completamento a supporto della pavimentazione. Affinché non si verifichino ponti acustici è fondamenta le che la barriera, opportu namente occultata dal batti scopa, sia risvoltata vertical mente verso la parete per tutto lo spessore del massetto e della pavimentazione. Solai Prédalles Introdotti e diffusi in Francia a partire dagli anni ‘50, i solai Prédalles sono costitui ti da elementi prefabbricati in calcestruzzo che, una volta posati in opera, diven gono una cassaforma a per dere per il getto di comple tamento. All’interno vengono opportunamente collocati elementi di alleggerimento che sostituiscono le pignatte in laterizio del solaio in laterocemento. A seconda delle esigenze costruttive le Prédalles sono prodotte in varie dimensioni in modo da essere utilizzate come elementi di assito o lastre.
Sopra, stratigrafia solai in laterocemento. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - massetto impiantistico - barriera anti-calpestio - getto di completamento in calcestruzzo - elementi in laterizio - travetti in calcestruzzo - rete portaintonaco - intonaco
Sotto, stratigrafia solai prédalles. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - massetto impiantistico - barriera anti-calpestio - getto di completamento in calcestruzzo - elementi di alleggerimento - prédalles - rete portaintonaco - intonaco
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n. 3-4/2007 Gli elementi in calcestruzzo possono essere di tre tipi: semplici, irrigiditi, precompressi. Il primo tipo è costituito da una lastra di calcestruzzo di spessore pari a 4 cm, contenente un’armatura in rete elettrosaldata, dalla rigidezza ridotta e dal peso di circa 100 kg/m2. Per tale ragione durante le fasi di posa è necessario predisporre frequenti punti di aggancio per il sollevamento e sostegni intermedi provvisori. Il secondo tipo è costituito da lastre dotate di tralicci metallici disposti longitudinalmente per raggiungere una maggiore rigidezza utile tanto a livello statico quanto nelle fasi di trasporto e di posa. La misura dei tralicci è compresa tra i 10 e i 15 cm e il loro interasse tra i 50 e gli 80 cm. Questa tipologia di elementi può essere utilizzata sia per realizzare solette piene in calcestruzzo armato ideali per sopportare carichi più elevati, sia solette alleggerite nel caso di edilizia residenziale. Il terzo tipo presenta nervature in calcestruzzo precompresse che ne incrementano notevolmente le capacità portanti rendendole ottimali per carichi notevoli, ma non convenienti in caso di luci modeste come quelle dell’edilizia residenziale. Come il laterocemento anche il solaio Prédalles necessita di un congruo massetto impiantistico le cui dimensioni variano in relazione al tipo di rete presente. Sotto il massetto deve essere prevista la barriera anticalpestio e l’eventuale strato di isolamento termico.
Sopra, stratigrafia solai a tralicci. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - massetto impiantistico - barriera anti-calpestio - getto di completamento in calcestruzzo - blocchi in laterizio - trave a tralicci con ala in calcestruzzo - rete portaintonaco - intonaco
Sotto, stratigrafia solai in cls alveolare. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - massetto impiantistico - barriera anti-calpestio - getto di completamento in calcestruzzo - barra di ancoraggio - pannello alveolare - rete portaintonaco - intonaco
Solai a tralicci È una soluzione che abbina elementi portanti a tralicci di acciaio, che costituiscono l’or dito, a elementi di alleggeri mento in laterizio che fungono da impalcato. Gli elementi autoportanti REP sono costituiti da un traliccio metallico a maglie quadrangolari sviluppate su un’ala di appoggio che può essere in acciaio o in calcestruzzo. Recentemente ne sono state realizzate alcune versioni con la parte inferiore dell’ala in laterizio per una migliore inte grazione con l’impalcato durante le fasi di finitura. I vantaggi di questa tecnologia sono rappresentati da un sostanziale incremento delle capacità strutturali in caso di luci e carichi notevoli, ma anche da una maggiore rapi dità di esecuzione che
non prevede l’uso di casseri e puntelli. Inizialmente utilizzato nelle strutture industriali e solo successivamente applicato agli altri settori, compreso quello residenziale, il sistema a tralicci con ala in calcestruz zo nasce dall’esigenza di pro teggere l’armatura metallica inferiore dal fuoco. Questo accorgimento ha, in un secondo momento, reso possibile una serie di vantaggiose modifiche che hanno esteso il suo campo di applicazione. Il dimensionamento è piuttosto articolato e richiederebbe un calcolo molto preciso in rela zione alla luce e al carico, ma, attualmente, ogni produttore mette a disposizione un pron tuario con il predimensiona mento di massima. Sebbene non sia frequentemente utilizzato nel settore residenziale, anche per ragioni di costo, questo sistema consente di realizzare anche i solai di un’abitazione convenzionale. Il passo delle travi e la dimen sione degli elementi di alleggerimento devono essere valutati in relazione al carico, ma sono generalmente conte nuti in uno spessore comples sivo di 25 cm. Il solaio deve, come nei casi precedenti, essere completato con barrie ra anticalpestio, strato isolante quando necessario, massetto impiantistico (da 4 a 12 cm) e pavimentazione (da 1,5 a 3 cm). L’uso di questa tipologia di solaio è fortemente sconsi gliata in caso di chiusure oriz zontali inferiori o di solai in corrispondenza di ambienti prossimi al suolo o molto umidi per gli effetti di ossidazione che potrebbero interessare le parti metalliche. Solai in calcestruzzo alveolare Questo sistema si basa sull’impiego di pannelli prefabbricati di calcestruzzo che ven gono realizzati con apposite cavità di alleggerimento. I pannelli autoportanti vengono giustapposti tra loro e solida rizzati con un getto di comple tamento che li connette mediante apposite barre ai cordoli di interpiano. Il particolare sistema di prefabbricazione di questo tipo di pannelli ne rende molto eco nomico l’uso in caso di grandi forniture. Per questa ragione il loro impiego era inizialmente limitato a spazi industriali o destinazione terziaria di grandi dimensioni, e sola mente di recente sono stati sperimentati anche nell’edili zia residenziale. In questo ambito il loro uti lizzo diventa particolarmen te conveniente quando si ha la necessità di realizzare un elevato numero di unità dalla geometria molto simile come nel caso di interventi di lottizzazione. I pannelli alveolari sono pro dotti con una larghezza stan dard pari a 120 cm mediante getti su piste dal fondo in acciaio. I pannelli contengono un’armatura in acciaio armonico in pretensione e presentano fre sature all’estradosso in corri spondenza degli appoggi per consentire la connessione con le strutture portanti. L’impalcato è completato da un getto di malta cementizia per la saturazione dei giunti e delle fresature e da una cappa collaborante superiore in calcestruzzo con rete metallica elettrosaldata fina lizzata a conferire un’elevata solidità e funzionalità alla struttura. Per le luci e i carichi di una normale abitazione la parte portante del solaio non supera generalmente i 20 cm di spessore ed è completata da una barriera anticalpestio, da un massetto impiantistico (dai 4 ai 12 cm) e dalla pavimenta zione. Il massetto può essere realizzato con materiale iso lante quando il solaio in calce struzzo alveolare sia utilizzato per separare il primo piano utile di un’abitazione dai garage sottostanti.
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n. 3-4/ 2007 rizzata alle sottostanti travi in legno mediante con nettori in acciaio. Il solaio può essere variamente completato con strati isolanti quando necessario o più semplicemente con una barriera anticalpestio e un ulteriore tavolato in legno di finitura.
Sopra, stratigrafia solai in legno. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - barriera anti-calpestio - tavolato strutturale - trave principale
Sotto, stratigrafia solai in lamiera grecata. Dall’alto verso il basso: - pavimentazione - strato di adesione - massetto impiantistico - barriera anti-calpestio - getto di calcestruzzo con rete elettrosaldata - lamiera grecata - telaio di fissaggio - controsoffitto
Solai in legno A differenza di quanto avviene per le precedenti soluzioni di solaio, quello in legno è carat terizzato da una tecnica di montaggio a secco che deriva da una lunghissima tradizione. Questa tipologia di solai risulta eccellente nel caso di abitazioni unifamiliari o di interventi di recupero in contesti storici o rurali, ma non altrettanto adatta a separare gli ambienti di diverse unità residenziali a meno di non aumentare in modo consistente la sua strati grafia con elementi di isola mento termoacustico. Per luci relativamente modeste e carichi di esercizio ordinari si ricorre, generalmente, a travi portanti con un’altezza di 24 cm (rapporto di sezione compreso tra 1/1,4 e 1/2) e passo tra gli 60 e 100 cm su cui si imposta, in direzione ortogonale un tavolato non inferiore ai 30 mm di spesso re. Questa struttura costituisce la parte portante del solaio e può essere incrementata da un ulteriore tavolato incrociato con fasce metalliche diagonali di rinforzo quando i carichi diventino particolarmente impegnativi. Tuttavia, va ricordata la straordinaria capacità di resistenza a flessione del legno che è in grado di sostenere carichi molto elevati, al prezzo di deformazioni consistenti. Per questa ragione è bene predisporre una stratigrafia capace di assecondare questo comportamento al fine di evitare fessurazioni e rotture in una pavimentazione eccessi vamente rigida. La travatura principale può anche essere realizzata in legno lamellare che, tuttavia, non appare molto conveniente per le dimensioni normalmente richieste in una normale abitazione. Nel caso sia necessario dal punto di. vista strutturale è anche possibile realizzare una cappa armata in calcestruzzo solida-
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Solai in lamiera grecata L’uso della lamiera grecata per i solai è tipicamente abbinato a scheletri portanti in acciaio. Analogamente al solaio Prédalles la lamiera grecata può fungere da cassero a perdere per la realizzazione di una soletta di calcestruzzo, ma anche essere utilizzata come elemento autoportante. La lamiera grecata è un ele mento in acciaio sagomato per profilatura a freddo e presenta, sulla sua superficie, nervature longitudinali a forma di onda. La lunghezza delle nervature deve essere pari alla luce dell’ossatura portante normalmente non superiore a 7 m. Lo spessore della lamiera e l’onda della grecatura sono parametri che variano a seconda del carico e della luce. Normalmente lo spesso re varia da 0,8 a 1,5 mm e l’onda ha un’altezza di circa 5 cm. Il peso è mediamente compreso fra 12 e 20 kg/mq. Il posizionamento della lamie ra grecata avviene ortogonalmente all’ossatura portante, accostando gli elementi di lamiera nel senso della lunghezza e unendoli con un coprigiunto che spesso è conformato per potervi aggan ciare gli elementi di sospen sione del controsoffitto o degli impianti. Nel caso si pensi di realizzare un solaio completamente a secco la lamiera deve essere calcolata con spessori adeguati alla portanza necessaria e lo spazio della greca deve essere saturato con materiale isolante non rigido che consenta l’eventuale posizionamento di reti impiantistiche. Quindi deve essere completato con elementi rigidi che permettano la posa della pavimentazione di finitura. Nel caso, invece, la lamiera sia completata con getto collaborante o alleggerito è necessario disporre elementi di chiusura lungo la testata del solaio per contene re la colata di calcestruzzo, in corrispondenza delle travi o dei setti. Il getto di calcestruzzo può essere pieno o presentare canali di alleggerimento, anch’essi metallici, lungo i quali possono scorrere gli impianti. Lo spessore della parte resistente varia in media tra 12 e 24 cm. L’uso di questa tipolo gia di solaio ricorre in edifici residenziali complessi in cui sono richieste elevate pre stazioni strutturali in rappor to a spessori minimi. L’aspetto non secondario di questa soluzione riguarda la protezione al fuoco degli elementi metallici e il limitato apprezzamento da parte dell’utenza per parti metalliche a vista. In relazione a ciò questa tipologia di solai prevede normalmente il ricorso a un sistema di controsoffittatura in cartongesso, legno o pannelli metallici. «Modulo»
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Tecnica delle costruzioni
I PAVIMENTI RADIANTI, COSA SONO E COME SI REALIZZANO di Vincenzo Gieri
I
pavimenti radianti sono sistemi di riscaldamento a pavimento che operano per irraggiamento utilizzando l’acqua circolante in una rete di tubi annegati nel massetto. Vediamo come si realizzano, le modalità d’impiego e quali sono i pregi del sistema. I pavimenti radianti sono sistemi di riscaldamento a pavimento che operano per irraggiamento utilizzando l’acqua circolante in una rete di tubi annegati nel massetto. Si ottiene così una ripartizione del calore in modo uniforme sulla superficie radiante, fornendo benessere alle persone nell’ambiente. La particolare ripartizione della temperatura dei locali, vicina ai valori ideali, permette inoltre di mantenere l’impianto a una temperatura di gestione più contenuta, riducendo sensibilmente i consumi. Come si realizzano I principali elementi costituenti il sistema sono l’isolante, la serpentina riscaldante e il massetto di finitura ai quali se ne aggiungono altri che, a seconda dei casi, possono essere omessi, come per esempio i sistemi di ancoraggio della serpentina, la rete antiritiro e l’additivo termofluidificante. L’isolante e la serpentina Per impedire le dispersioni di calore verso il basso generalmente viene collocato sul substrato esistente uno strato di isolamento termico realizzato mediante pannelli isolanti, che possono essere pre-sagomati, nei quali si inserisce la serpentina riscaldante (foto 1 e disegno 1).
Disegni 1 e 2 - Pannelli lisci e tubi fissati all’isolante mediante clips
strato isolante con argilla espansa Leca imboiaccata o impastata a cemento. Questa soluzione associa ottime proprietà di isolamento termico a elevati valori di resistenza a compressione, anche su alti spessori, realizzando un sottofondo idoneo anche per i carichi più gravosi (disegno 3).
Foto 1 - Pannelli pre-sagomati e serpentina riscaldante
Ove necessario si prevedrà uno strato di alleggerimento (tipo Lecacem) che inglobi gli impianti elettrico e idrosanitario sottostanti creando il piano necessario per la stesa dell’isolamento stesso, contribuendo anche all’isolamento termico. Nel caso di pannelli lisci, i tubi vengono fissati all’isolante mediante clips (disegno 2). L’eventuale strato elastico anticalpestio va posto al di sotto dello strato isolante. Nelle applicazioni per il settore industriale, dove l’isolamento mediante pannelli non garantisce la necessaria resistenza ai carichi di esercizio, è consigliabile realizzare lo
Disegno 3 - Sottofondo di pavimentazione industriale
Il massetto di finitura Il tutto viene poi ricoperto con il massetto di finitura (o il
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Tecnica delle costruzioni pavimento industriale) che diventa parte integrante del sistema. Infatti l’acqua che arriva dalla caldaia entra nelle serpentine dell’impianto e da queste cede calore per conduzione al massetto del pavimento che a sua volta cede calore all’ambiente. Per interventi di ristrutturazione sono disponibili sistemi di riscaldamento con spessori contenuti che in 5,5 cm consentono di installare l’isolamento, la serpentina e il massetto di finitura. Un prodotto specifico per realizzare il massetto di finitura di un sistema di riscaldamento a pavimento è il massetto mix PaRis che è un premiscelato fibrorinforzato a ritiro controllato che ha le seguenti caratteristiche: conducibilità termica, basso ritiro, resistenza, asciugabilità; è incombustibile, pratico, sicuro e pompabile. Conducibilità termica - L’elevato coefficiente di conducibilità termica (1 pari a 1,83 W/mK certificato) consente, nei sistemi a riscaldamento a pavimento, una migliore trasmissione del calore; grazie alle fibre metalliche amorfe inossidabili, inserite anche per il miglioramento delle prestazioni meccaniche, si ottiene una più omogenea distribuzione del calore senza aggiungere termofluidificanti. I tempi di messa a regime risultano più contenuti, si riducono le temperature di esercizio: tutto ciò si traduce in una maggiore economia dell’intero sistema. Basso ritiro - Grazie alla sua specifica composizione e alla presenza di fibre, consente di realizzare notevoli superfici anche senza l’uso di reti e/o giunti. Riquadri fino a un massimo di 100 mq. Resistenza - Le notevoli caratteristiche meccaniche (20 N/mm2 a compressione), determinate da aggregati e leganti in combinazione con opportuni additivi e speciali fibre flessibili in acciaio inossidabile, consentono la posa di ogni tipologia di finitura superficiale. Asciutto - Applicato in spessore di 4 cm a +20° C e 55% di umidità relativa, raggiunge valori di umidità residua di 2% in peso dopo 10 giorni dalla posa risultando idoneo all’incollaggio di qualunque tipo di pavimento. Incombustibile Totalmente a base minerale, quindi con reazione al fuoco “Classe 0”. Pratico e sicuro - L’imballo in sacchi consente di ottenere un prodotto con prestazioni costanti in ogni condizione di lavoro, tempi di lavorazione più brevi rispetto alla tradizionale sabbia/cemento con le normali modalità di lavorazione. Inoltre la pavimentazione può essere incollata direttamente sulla superficie una volta asciutto il sottofondo. Pompabile - Pompabile con le normali pompe pneumatiche da sottofondo. Voce di capitolato del “massetto mix PaRis” Massetto fibrorinforzato (fibre metalliche amorfe inossidabili lunghezza 20 mm) a ritiro controllato per massetto a elevata conducibilità termica (l=1,83 W/mK) “Massetto mix PaRis” idoneo per sistemi di riscaldamento-raffrescamento a pavimento. Resistenza a compressione pari a 20 N/mm2. Asciugamento di tipo veloce (2% umidità residua a circa 10 giorni dal getto per spessore 4 cm). Il massetto dovrà essere staccato dalle strutture perimetrali con materiali elastici dello spessore minimo di 0,5 cm e avere uno spessore non inferiore a cm 3. Fornito in sacchi, impastato con acqua secondo le indicazioni del produttore, steso, battuto, spianato e lisciato, nello spessore di cm ... Densità in opera > 2000 kg/m3. Modalità d’impiego Preparazione del supporto Il supporto (solaio o strato di alleggerimento) deve essere
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n. 3-4/ 2007 senza crepe e parti incoerenti, resistente alla compressione, privo di polvere, vernici, cere, oli, ruggine e sfridi di intonaci. Nel caso di applicazione diretta sui pannelli portanti le tubazioni, per i sistemi di riscaldamento a pavimento non ci sono particolari precauzioni in merito se non quelle di attenersi alle prescrizioni specifiche dei vari produttori. Preparazione dell’impasto Immettere il contenuto di uno o più sacchi interi nella betoniera; non superare il 60% della capacità nominale; aggiungere 2,5-3,0 litri di acqua pulita per sacco e mescolare per almeno 2 minuti fino a consistenza “terra umida-plastica”. I dosaggi di acqua sopra indicati sono quelli dettati dalla nostra migliore esperienza. Dosaggi superiori possono allungare i tempi di asciugatura, portare a resistenze inferiori e al limite a effetti di bleeding; se inferiori espongono il massetto al rischio di “bruciature”. L’operatore dovrà valutare attentamente oltre la consistenza dell’impasto anche le altre condizioni di cantiere; per esempio in estate può essere opportuno aumentare un po’ l’acqua e in inverno diminuirla. Non allungare i tempi di miscelazione. L’impiego di tradizionali pompe per sottofondi richiede, comunque, un maggiore quantitativo di acqua per l’impasto. Applicazione e finitura Il prodotto si posa con le normali tecniche dei massetti: fasce laterali e/o bollini per determinare l’esatta quota, stesura dell’impasto e sua compattazione, staggiatura per un esatto livello e infine fratazzatura a mano o con adatta macchina. È buona norma desolidarizzare il massetto dai muri perimetrali e/o dai pilastri con una banda in materiale cedevole di circa 5 mm di spessore. Prevedere giunti di dilatazione quando il rapporto lunghezza/larghezza del locale supera il valore di 3 e con superfici irregolari (forme L e/o simili). La dimensione dei riquadri non deve superare i 100 mq. Il massetto risulta molto compatto: pertanto l’assorbimento dell’acqua contenuta negli adesivi in dispersione acquosa è lento. In funzione quindi del tipo di legno e delle dimensioni delle tavolette, sono consigliabili colle viniliche con ridotti quantitativi d’acqua, o meglio colle esenti totalmente da acqua (per esempio bicomponenti). Consigli: costipare bene all’atto della posa. - Il prodotto non deve essere mescolato a mano; non si devono aggiungere altri materiali inerti, cemento, calce, gesso e additivi. - Il massetto appena posato non deve essere bagnato e va protetto da un eccessivo asciugamento specie nei mesi estivi e/o con forte ventilazione. - Una eccessiva lisciatura con fratazzatrice meccanica può comportare un allungamento dei tempi di asciugatura. - Se esiste la possibilità di risalita di umidità dagli strati sottostanti è consigliabile interporre tra il prodotto e lo strato sottostante una barriera al vapore. - Se è previsto l’inserimento di uno strato elastico per l’isolamento acustico al calpestio si consiglia di aumentare lo spessore del massetto in funzione dello strato elastico. - Non applicare con temperature inferiori a +5°C o superiori a +35°C. L’evoluzione del riscaldamento Le prime notizie dei pavimenti riscaldati risalgono a circa duemila anni fa quando gli architetti di quel tempo inventarono il riscaldamento a “ipocausto”, dal greco “riscaldamento dal
n. 3-4/2007 basso”: fumo e aria calda, provenienti da un focolare adiacente all’edificio, attraversavano appositi canali sotterranei costruiti sotto un pavimento rialzato e riscaldavano i pavimenti soprastanti. Anche nell’antica Roma, oltre a riscaldare l’aria in appositi locali caldaia, veniva utilizzato il sistema con l’energia geotermica per riscaldare i grandi ambienti e le terme predilette dai Romani. Vecchi pavimenti radianti metallici Si diffusero negli anni ’60 i primi impianti realizzati con tubi metallici che, soprannominati genericamente pannelli radianti, venivano posati quasi sempre nel mezzo delle solette, nel mezzo dei ferri dei travetti tra un blocco e l’altro, oppure sopra di esse senza alcun isolante. I tubi metallici erano generalmente posti a una distanza di 50 cm tra uno e l’altro e lo stesso circuito passava sotto diversi ambienti, per cui non vi era la possibilità di regolare in modo indipendente ogni stanza. Avendo una scarsa superficie di contatto con la caldana (2/3 metri lineari di tubo per metro quadrato di pavimento), era l’eccessiva temperatura dell’acqua che caratterizzava questi impianti e che raggiungeva persino i 60°C per avere i 20°C interni: i pavimenti erano caratterizzati da una insopportabile striscia bollente e una meno! Per cui: i piedi si gonfiavano; non era possibile regolare in modo indipendente la temperatura delle camere; i tubi metallici, patendo le correnti vaganti e l’acqua calcarea, si bucavano e si otturavano. Pavimenti radianti di materiale plastico L’avvento delle materie plastiche ha risolto parte dei problemi per la maggiore rapidità di posa e per la più facile possibilità di curvare i tubi, ma un impianto di riscaldamento a pavimenti radianti può dare problemi se non è calcolato nel migliore dei modi e se non viene installato con la massima scrupolosità da tecnici specializzati. Il grosso vantaggio dell’utilizzo dei tubi plastici fu quello di non avere giunzioni sotto il pavimento e di ridurre notevolmente l’interasse tra tubo e tubo. Comunque sono molti i tubi in materiale plastico utilizzati e ognuno di questi ha caratteristiche chimico-fisiche diverse. Generalmente la migliore scelta equivale a un costo più elevato, e spesso c’è chi posa tubi più economici e con caratteristiche non appropriate per garantire una lunga durata nel tempo. Per i pavimenti radianti vengono anche utilizzate diverse materie plastiche quali il polibutilene o il polipropilene che, nel tempo, sono caratterizzati da un improvviso invecchiamento e deperimento che nel grafico di curabilità presenta una caratteristica “curva a ginocchio”. Questo deperimento molecolare inizia già dopo una decina d’anni, fatto che invece non si verifica assolutamente con i tubi di polietilene reticolato a memoria termica1 e con barriera antiossigeno scelti e utilizzati per gli impianti dalle migliori ditte. Questo materiale è ritenuto il più duraturo in assoluto per gli impianti termici: annegati nel cemento dei pavimenti dureranno decine e decine di anni senza alcun problema. Questo stesso materiale è stato scelto per realizzare la guaina esterna protettiva dei costosissimi cavi sottomarini dell’alta tensione e delle linee telefoniche. La sola qualità del tubo impiegato non è sufficiente se un impianto di riscaldamento a pavimenti radianti non è calcolato nel migliore dei modi e posato con la massima scrupolosità da
Tecnica delle costruzioni tecnici specializzati. È noto, per esempio, che l’acqua che scorre sotto un ambiente abitato crei dei campi elettromagnetici che possono essere dannosi per l’uomo. Molti sostengono che ciò può essere vero soltanto quando lo scorrimento è di tipo lineare o “a serpentina”. Gli impianti di alcune ditte (per esempio, Deltasolar) sono, quindi, caratterizzati da un sistema di posa a chiocciola (foto 2) contrapposta con interasse variabile, per cui ogni circuito è realizzato da una spirale che gira in senso destrorso e un’altra che gira in senso sinistrorso: così, come accade in un circuito elettrico, i due campi magnetici si annullano. Per questa caratteristica è stato inoltre verificato che le due spirali contrapposte creano anche una barriera agli influssi negativi dei reticoli di Hartman migliorando ulteriormente la qualità abita-
Foto 2 - Circuito a doppa chiocciola con tubi alternati di andata e ritorno
tiva della casa. Metodo di calcolo Per fornire il giusto calore a un ambiente è necessario: a. analizzare le caratteristiche delle pareti disperdenti e delle vetrate per calcolare esattamente quanto calore occorre per garantire il benessere in ogni ambiente anche nei giorni più freddi; b. considerare le tipologie dei pavimenti, in quanto ogni materiale ha una resistenza termica che deve essere calcolata; c. analizzare le pareti e le vetrate più fredde per intensificare opportunamente nelle loro vicinanze i tubi sotto pavimento; d. calcolare l’esatta quantità di tubo da porre in ogni ambiente anche in considerazione della resistenza termica che ogni tipo di pavimento ha. In seguito alle considerazioni sopra elencate, per raggiungere la qualità totale degli impianti si stabilisce il metro lineare di tubo quale elemento riscaldante unitario per cui, con i dovuti coefficienti correttivi, in rapporto al tipo di pavimento e alla distanza tra tubo e tubo, l’interasse non è il punto di partenza, come alcuni fanno per semplificare, ma ne è la conseguenza micrometrica. Con questo sistema la lunghezza di ogni circuito e la distanza tra tubo e tubo sono quindi progettate e realizzate “su misura” per ogni ambiente. Non sono infatti determinate da moduli prefissati tramite “fun-ghetti” posti nei pannelli isolanti o tramite “griglie” elettrosaldate (metodi troppo empirici e approssimativi), ma l’interasse varia da centimetro a centime-
1. Una caratteristica specifica dei tubi di alta qualità è che, riscaldandoli a una temperatura di 134°C, viene eliminata qualunque deformazione alla quale il tubo era assoggettato. A questa temperatura il tubo piegato prima ad angolo acuto, purché non presenti tagli o fori sulle pareti, diventa trasparente e riacquista, in modo naturale e senza sollecitazioni esterne, la forma molecolare che aveva all’origine.
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Tecnica delle costruzioni tro, in base a precisi dati di calcolo che, come abbiamo detto, sono determinati dai fabbisogni termici di ogni ambiente, dalle pareti fredde con le relative vetrate e anche dal tipo di pavimento. Graffette fissatubo A mio avviso il miglior sistema, che è stato brevettato dalla Deltasolar, è caratterizzato dalla possibilità di porre le graffette fissatubo senza alcun vincolo (foto 3). I sistemi di fissaggio sono principalmente due: 1. graffette avvitate su un sottofondo composto da pannelli isolanti; 2. graffette applicate su apposite rotaiette con isolante ridotto (per i casi particolari). Entrambe le soluzioni permettono al tubo di avere il massimo scambio termico: le graffette tengono i circuiti sollevati dall’isolante, quindi questo sistema, unico nel suo genere, dà la possibilità al tubo di scambiare calore al 100%. Il massetto circonda, inoltre, completamente il tubo anche nella parte inferiore e fa sì che la soletta sia più resistente
Foto 3 - Tubo e graffetta
ai carichi soprastanti. Pregi del sistema Riscaldamento ecologico - Funzionando con temperature normalmente variabili dai 30 ai 40 C, i nostri impianti possono funzionare anche con energie alternative come pompe di calore, energia solare o recupero di calore industriale. Sono particolarmente indicati per il teleriscaldamento in quanto, proprio per la bassa temperatura occorrente, vengono sensibilmente ridotte le dispersioni di calore nelle condutture interrate, lunghe anche parecchi chilometri. Precisiamo che nella maggioranza dei casi la produzione di calore per il nostro riscaldamento è affidata a semplici caldaie, anche murali, di buona qualità e funzionanti a GPL, metano o gasolio. Consumando il 25-35% di combustibile in meno, si inquina in misura minore l’aria che respiriamo e tutto ciò senza sacrifici ma con comfort ottimale e un risparmio considerevole. Vetrate e tende più pulite - I termosifoni vengono posti sulle pareti perimetrali vicino alle porte esterne o sotto le finestre e sono in genere coperti dalle tende. In questo modo, non soltanto il calore viene largamente ceduto all’esterno, ma viene sollevata la polvere che si adagia su tende e vetri. Con i pavimenti radianti tipo Deltasolar, tutto ciò non avviene: si riducono i lavori di pulizia, i tempi e i costi per tenere gli ambienti puliti. iente acari e parassiti sui pavimenti -Con i sistemi di riscaldamento convenzionali esistono sui pavimenti delle abitazioni piccolissimi animaletti quasi invisibili; sono gli acari e
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n. 3-4/ 2007 altri parassiti, cause di molte malattie, di allergie e di forme asmatiche. Prediligendo angoli e zone umide dei pavimenti, possono vivere in ambienti riscaldati con gli impianti tradizionali, ma non trovano l’ambiente a loro confortevole quando esistono i pavimenti radianti. Anche di notte il pavimento è tiepido - Anche quando l’impianto è spento da qualche ora, permane nell’ambiente la sensazione di tepore e non si sente freddo. Libertà per l’arredamento e massimo sfruttamento dei pavimenti e delle pareti - I termosifoni portano via spazio prezioso: penalizzano l’arredamento impedendo di porre un divano, un armadio o una libreria dove si vorrebbe. Nei negozi i termosifoni impediscono completamente la possibilità di esporre nel modo migliore la merce in vetrina, causando minori vendite. Senza l’ingombro dei termosifoni non soltanto la casa è molto più bella, ma è possibile disporre ogni mobile dove si vuole, senza alcun vincolo. In un’abitazione tradizionale possono esservi anche più di 10 termosifoni dove ognuno fa sprecare circa 1 mq: 10 mq sprecati per i termosifoni equivalgono a un “valore sprecato” della casa che può superare anche i 15 mila euro. iente baffi sui muri - I muri non si anneriscono più come con i termosifoni e rimangono puliti molto più a lungo, con conseguente risparmio delle opere di tinteggiatura. Raffrescamento estivo - Con questo tipo di impianti si può avere un raffrescamento estivo a bassissimo costo. Nei tubi si fa circolare acqua a 14-15°C, prelevandola o da un pozzo o raffrescandola con un apposito refrigeratore: la condensazione sul pavimento viene evitata attraverso apposite sonde e valvole miscelatrici che controllano costantemente il punto di rugiada. Temperatura distribuita uniformemente - Con un sistema come quello Deltasolar, tutto il pavimento costituisce il corpo scaldante: con i nostri progetti e il nostro metodo di posa è possibile avere in ogni parte della casa 20°C costanti (e anche più) con una temperatura del pavimento uniformemente distribuita. Il pavimento non risulta quindi caldo ma, essendo inferiore di circa 10°C rispetto al calore del corpo umano, fa percepire soltanto una piacevolissima sensazione di tepore. Riduzione dei moti convettivi - L’aria riscaldata con i pavimenti radianti sale con una velocità estremamente ridotta per cui, mentre sale, si raffredda gradualmente. Per questo motivo la temperatura nelle ì parti alte degli ambienti è minore di quella che c’è ad altezza d’uomo: non si solleva la polvere e vengono riscaldati con grande risparmio gli ambienti di grande altezza o con vani scala aperti che con i vecchi sistemi sprecherebbero il calore verso l’alto. iente polvere nell’aria - Per la bassa temperatura dei pavimenti radianti, la velocità dell’aria è estremamente ridotta e quindi i moti convettivi ascensionali sono insufficienti a sollevare la polvere che si deposita, assai di meno, sui mobili e suppellettili. Tale vantaggio è rilevante per quelle persone che soffrono di allergia alle vie respiratorie. essuna irritazione di gola per l’aria secca - Gli impianti non funzionano più con le alte temperature tipiche dei termosifoni, per cui l’aria degli ambienti non si essicca più e non occorre applicare le vaschette d’acqua o gli umidificatori. Di questo ne traggono beneficio non soltanto i mobili, serramenti di legno e parquet che non si fessurano più, ma soprattutto gli esseri umani che non avranno più problemi all’apparato respiratorio. Ottimo per qualsiasi pavimento e anche con parquet - Per
n. 3-4/2007 la bassa temperatura uniformemente distribuita da questo tipo di impianti e per l’aria non più essiccata, sia il parquet incollato quanto quello posato su magatelli non subirà quelle fessurazioni che avvengono con i termosifoni. I parquet posati ormai da parecchi anni su questi impianti hanno dimostrato la massima stabilità dimensionale e non hanno presentato quei “movimenti” sempre presenti in concomitanza dei riscaldamenti tradizionali. Alcune sale del Museo Egizio di Torino testimoniano questa affermazione. Indipendenza degli ambienti - Ogni ambiente ha uno o più circuiti che, a norma di legge, permettono la regolazione termostatica in modo indipendente, ambiente per ambiente: con l’installazione di opportuni cronotermostati ed elettrovalvole è possibile scaldare ogni ambiente in modo personalizzato con tempi e temperature differenti secondo le esigenze di ogni abitante. Materiali utilizzati - Per ottenere il miglior beneficio anche nell’ambito della bioarchitettura, la Deltasolar ha impostato le sue ricerche per utilizzare i materiali più naturali possibili ed è per questo che ha brevettato le sue graffette fissatubo che sono le uniche a poter essere applicate direttamente sui pannelli di sughero. In questo modo non occorre più applicare reti metalliche che, come gli studiosi sanno, creano una “gabbia di Faraday” che non permette il naturale fluire delle energie biologiche del corpo umano. Come fornire calore ai pavimenti radianti Generalmente il calore occorrente ai pavimenti radianti può essere procurato da: caldaie tradizionali ad alta temperatura; caldaie a condensazione; caldaie a biomasse (legna, pallets, mais ecc.); pompe di calore; geotermia; pannelli solari. Caldaie ad alta temperatura Sono generalmente utilizzate quando già esiste un impianto con termosifoni (centralizzato o con caldaietta murale indipendente) e si vuole fare un ampliamento dell’edificio riscaldandolo con i pavimenti radianti: in questo caso occorre installare una valvola miscelatrice per abbassare da 70-80°C a 30-40°C la temperatura dell’acqua. Molte ditte che eseguono pavimenti radianti vincolati alla quadrettatura definita da griglie elettrosaldate o pannelli isolanti sagomati con “funghetti” in rilievo, non avendo una varia tipologia, non riescono a porre i tubi radianti nei bagni per cui prevedono di utilizzare caldaie classiche ad alta temperatura per scaldare i bagni con i soli termoarredi e poi abbassare con valvole miscelatrici l’acqua per i pavimenti radianti. Questa scelta comporta considerevoli spese in più per una maggiore complessità dell’impianto, come le linee indipendenti dalla centrale termica ai termoarredi, valvole miscelatrici e soprattutto un maggior costo gestionale per colpa dell’alta temperatura: i fumi sono più caldi, le dispersioni maggiori e le caldaie consumano più combustibile. Caldaia a bassa temperatura a condensazione (murali o a basamento) Una tipologia ottimale per i pavimenti radianti è costituita, invece, dalle caldaie a condensazione che, facendo condensare il vapore acqueo nella caldaia e non nell’atmosfera, hanno un
Tecnica delle costruzioni rendimento fino al 107% e i fumi si aggirano a circa 40-50°C contro i 140°C delle caldaie tradizionali, il cui rendimento nei casi migliori arriva fino al 95%. Più la temperatura di esercizio è bassa e più avviene condensazione: oltre un litro per ogni metro cubo di metano bruciato quando si utilizzano i pavimenti radianti tipo Deltasolar e i gas inquinanti immessi nell’atmosfera sono ridotti al minimo. Alcune case produttrici costruiscono e garantiscono anche caldaie non a condensazione che possono funzionare a temperature dai 35°C in su: queste sono più economiche ma non hanno i vantaggi (specie gestionali) che possono invece offrire quelle a condensazione. La stessa caldaia può inoltre fornire acqua calda sanitaria in modo istantaneo oppure con serbatoio ad accumulo che riteniamo indispensabile quando si utilizzano bagni o docce idromassaggio oppure vi sia la necessità di poter utilizzare l’acqua calda contemporaneamente da più persone. Con le nuove tecnologie già ampiamente descritte, vengono posti i pavimenti radianti anche nei bagni e l’eventuale integrazione viene realizzata con un termoarredo di cui verranno calcolate le maggiori dimensioni perché funzionante a bassa temperatura. In questo caso non occorre che i tubi provengano dalla centrale termica ma, con tubi indipendenti, dallo stesso collettore dei pavimenti radianti. Il funzionamento è garantito e il risparmio di installazione, e soprattutto di gestione, è considerevole. Caldaie a biomassa Sono quelle funzionanti non con gasolio o gas, ma con legna, mais o altri materiali naturali. Possono funzionare da sole o anche collegate con caldaie tradizionali; occorre completarle con un serbatoio di accumulo e particolari accorgimenti tecnici per avere una ottimale regolazione e sicurezza. Ve ne sono di diversi tipi e usano come combustibile tronchetti di legna, pallets, legno cippato, mais e altre sostanze organiche. Il loro funzionamento può essere a caricamento giornaliero o completamente automatico. Per i pavimenti radianti è indispensabile installare una valvola miscelatrice. Pompe di calore Sono dei gruppi compressori che, comprimendo gas tipo freon ecologico, scaldano una parte dell’impianto raffreddandone un’altra. D’inverno possono scaldare i pavimenti radianti raffreddando aria o acqua, mentre le stesse apparecchiature, durante l’estate, possono essere utilizzate per raffrescare e deumidificare gli ambienti (scaldando aria o acqua). I modelli acqua-acqua funzionano con qualsiasi temperatura esterna, mentre quelli aria-acqua hanno un rapido calo di rendimento con temperature dell’aria sottozero. Geotermia (con pompe di calore) È questo un sistema molto diffuso nei Paesi nordici e consiste nell’utilizzare la temperatura naturale del sottosuolo, generalmente stabile tra i 12 e 14°C, e viene utilizzato soltanto con pompe di calore acqua-acqua. Un considerevole vantaggio è offerto dal medesimo impianto che serve sia per riscaldare gli ambienti durante l’inverno sia per raffrescare e deumidificare durante la stagione estiva con un risparmio energetico eccellente. Durante l’inverno la pompa di calore riscalda l’acqua dei pavimenti radianti e l’acqua sanitaria accumulata in un serbatoio, e l’acqua fredda che viene così prodotta viene mandata “a riscaldarsi” a 12-14°C attraverso una serie di tubi a circuito
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Tecnica delle costruzioni chiuso nel sottosuolo dentro appositi pozzi fino alla profondità di circa 60-100 metri. Durante l’estate il ciclo viene invertito: si porta il fresco in casa e il caldo nel sottosuolo, contribuendo a fare un accumulo stagionale pronto per la stagione fredda. Con questo metodo si ottengono 4 kW di calore pagandone soltanto 1 all’ENEL perché gli altri 3 sono ceduti gratuitamente dalla nostra Terra! Da qualche anno sono considerevolmente aumentate le installazioni geotermiche anche in Italia. Pannelli solari Sono di due categorie: termici e fotovoltaici. In questo caso, occupandoci di riscaldamento, accenniamo soltanto a quelli termici, utilizzati ormai da decenni in particolar modo nelle nazioni nordiche ma stranamente molto meno in Italia. In questi ultimi anni le tecnologie si sono perfezionate ed è stato raggiunto un ottimo rapporto costo/rendimento. Secondo la nostra esperienza è conveniente utilizzare i pannelli solari per riscaldare l’acqua calda sanitaria. Per il riscaldamento invernale con i pavimenti radianti vi è una convenienza (anche grande) se si può utilizzare l’acqua calda prodotta dai pannelli solari anche durante l’estate per usi vari quali docce per impianti sportivi, alberghi, piscine, cucine per mense ecc. Raffrescamento estivo e climatizzazione con i radianti Avvalendosi di nuove tecnologie, e di oltre 20 anni di esperienze con i sistemi di pavimenti radianti a bassa temperatura, si è riusciti a raggiungere gli obiettivi proposti dai ricercatori della bioarchitettura anche per la stagione estiva. Questi impianti brevettati, e riconosciuti dai vari Istituti di bioarchitettura, non soltanto permettono il riscaldamento invernale con il comfort migliore di ogni altro con un risparmio di combustibile di oltre il 25-30%, ma anche un raffrescamento estivo con rese e comfort ottimali senza gli inconvenienti tipici dell’aria condizionata. Essendo distribuiti sotto il pavimento con il criterio della chiocciola contrapposta e con passo proporzionalmente intensificato sulle pareti esterne, i pavimenti radianti distribuiscono in modo uniforme sia il calore sia il fresco per tutto l’ambiente, creando un piacevole senso di benessere. Tutto questo avviene poiché entra in funzione l’effetto di “irraggiamento” tra la temperatura del corpo umano e quella dei pavimenti che a loro volta raffrescano durante l’estate anche le pareti: per legge fisica, infatti, “un corpo caldo cede sempre calore a un corpo più freddo”. Il sistema di raffrescamento radiante a pavimento permette di ottenere un clima a misura d’uomo creando una sensazione simile a quella che si può sentire quando, in estate, si scende in cantina dove le pareti hanno una temperatura inferiore a quella esterna: il benessere è considerevole e raggiunge l’ottimale se si deumidifica anche l’aria. Dalle misurazioni effettuate nei nostri impianti abbiamo rilevato che d’estate, senza raffrescamento, il pavimento e le pareti hanno una temperatura anche superiore ai 29-30°C e negli ambienti il termometro segna anche i 33°C: è come entrare in un forno. Mandando nei pavimenti radianti acqua a una temperatura oscillante dai 15 ai 18°C in funzione dell’umidità relativa, si raffrescano i pavimenti portandoli a circa 19-20°C. In questo modo con una temperatura esterna di 37-38°C si riduce la temperatura interna di un ambiente dai 32-33°C a circa 2425°C con un eccezionale comfort e senza movimenti di aria. Anche il calore radiante del corpo umano viene assorbito dal pavimento (e anche dalle pareti) e si ottiene quindi un benessere naturale, senza i fastidiosi getti d’aria tipici dei condiziona-
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n. 3-4/ 2007 tori che producono una sensazione di fresco forzato e un fastidioso rumore di fondo. Il consumo energetico è circa la metà di un sistema tradizionale di condizionamento. Opportune sonde collegate a una particolare centralina elettronica permettono di regolare accuratamente le temperature dell’acqua per non creare condensazione sui pavimenti. Utilizzando un “killer” (gruppo refrigerante) per produrre acqua fresca, è possibile anche deumidificare l’aria ottenendo un controllo ottimale con un minimo consumo di energia: circa il 50% in meno dei sistemi ad aria fredda convenzionali. Raffrescamento Il sistema di raffrescamento con i pavimenti radianti non si avvale del criterio del moto convettivo che muove masse d’aria, ma è basato sull’irraggiamento. Un ambiente non trattato d’estate ha la temperatura dei pavimenti, delle pareti e dell’aria anche superiori a 30°C per cui il corpo umano, che non riesce a cedere il suo calore all’aria che non è più fresca, è costretto a dissipare la maggior parte del calore soltanto per evaporazione. Aumenta così la sudorazione, il battito cardiaco e anche la respirazione per cui gli abitanti in quell’ambiente hanno un grande senso di malessere. Raffrescando invece il pavimento a una temperatura di circa 19-21°C, viene assorbito il calore irraggiato dal soffitto e dalle pareti per cui si abbassa la temperatura dell’intero ambiente. Con la minore temperatura delle pareti il corpo umano, che si trova a circa 36,5°C, cede per irraggiamento una considerevole quantità di calore alle superfici dell’ambiente in cui vive e in particolar modo al pavimento più fresco. Questo benessere è determinato dalla legge fisica per la quale l’irraggiamento cresce in modo esponenziale con l’aumentare della differenza di temperatura dei corpi per cui, abbassando anche soltanto di pochi gradi la temperatura delle superfici, si ottiene un considerevole scambio termico con una netta sensazione di benessere. Il sistema del solo raffrescamento dei pavimenti è più economico ma l’umidità relativa presente nell’aria riduce la possibilità di diminuire ulteriormente la temperatura del pavimento stesso che può presentare problemi di condensazione: per evitare la rugiada sul pavimento è, infatti, necessario installare una opportuna centralina elettronica con le relative sonde e una valvola miscelatrice motorizzata per controllare con continuità la temperatura dell’acqua. Climatizzazione Oltre a mandare acqua fresca nei tubi sotto pavimento, con la “climatizzazione” si procede anche a deumidificare l’aria tramite appositi deumidificatori che, utilizzando l’acqua proveniente dal circuito primario del gruppo di refrigerazione a una temperatura aggirantesi dai 7 ai 12°C, fanno condensare l’umidità ambientale che verrà scaricata generalmente all’esterno o in un sifone degli impianti idrosanitari. In questi deumidificatori viene fatta passare l’aria a bassa velocità per cui non si sentono le fastidiose correnti d’aria gelida tipica degli altri sistemi e anche il rumore è praticamente impercettibile. Oltre a evitare l’eccessiva sudorazione, con l’aria meno umida si può inoltre abbassare anche la temperatura del pavimento per cui il beneficio ambientale è maggiore. Ovviamente, per una maggiore complessità dell’impianto e per una maggiore potenza del gruppo refrigerante, il costo è più elevato ma il risparmio gestionale è circa la metà di un sistema tradizionale di condizionamento e il benessere ottenuto è eccezionale.
n. 3-4/2007 - Caratteristiche termiche refrigeranti Raffrescamento e climatizzazione - La quantità termica necessaria a raffrescare un ambiente si aggira mediamente a circa 30-40 W/mq al pavimento che, secondo le caratteristiche di resa di una macchina produttrice di freddo, equivale al consumo di energia elettrica di circa 10-15 W/mq. In termini concreti significa applicare una potenza elettrica di circa 1,4 kW per raffrescare una superficie di circa 80-130 mq. Questa variabile è in funzione delle caratteristiche della casa, della coibentazione e delle superfici vetrate e, naturalmente, dalla tipologia del clima. Tre modi per ottenere il fresco necessario a raffrescare i circuiti: 1. il più economico e semplice è quello di utilizzare acqua fredda naturale proveniente o da pozzo o da un ruscello (fresco): in questo caso l’energia elettrica necessaria è soltanto quella indispensabile al funzionamento delle pompe di circolazione. Con questo sistema, secondo i vari casi, si abbassa la temperatura ambiente di alcuni gradi. Ottenendo in questo modo una temperatura dell’acqua non particolarmente bassa, si utilizza questo sistema per il solo raffrescamento dei pavimenti e non per la deumidificazione dell’aria; 2. quando non c’è disponibilità di acqua fresca naturale è indispensabile utilizzare una unità frigorifera per produrre il raffrescamento dell’acqua da inviare nei circuiti. Con questa soluzione si utilizza il circuito primario della macchina raffrescante anche per deumidificare gli ambienti; 3. esistono anche altri sistemi di energie alternative per raffrescare gli ambienti che vengono analizzati di volta in volta
Tecnica delle costruzioni secondo i casi, come per esempio la “geotermia”. È questo un sistema interessante e molto utilizzato nei Paesi nordici ed è costituito da una doppia serie di circuiti di tubi: una sotto i pavimenti degli ambienti da riscaldare o raffrescare e l’altra nel sottosuolo. Esistono due possibilità ed entrambe permettono una ottimale resa ecologica ed energetica: a. se c’è lo spazio adeguato, i tubi esterni possono essere inseriti sotto un prato sito nei pressi dell’edificio alla profondità di circa 150 cm: sfruttando anche l’apporto stagionale del sole si utilizza, quindi, il terreno quale serbatoio termico; b. l’altra possibilità di utilizzare la geotermia è di effettuare pozzi verticali del diametro di circa 15 cm e profondi fino a 100metri: con quest’ultimo metodo si sfrutta il calore sotterraneo che già a pochi metri è di circa 12-14°C. Con queste 2 possibilità e utilizzando una pompa di calore, si riscaldano gli ambienti interni raffreddando il sottosuolo che invece, durante l’estate e come un enorme serbatoio termico, verrà riscaldato per raffrescare le parti abitate. Anche in questo caso, come per la stagione invernale, su 4 kW resi all’impianto se ne paga soltanto uno all’Enel: gli altri 3 sono gratuiti perché vengono regalati dal nostro sottosuolo. Il raffrescamento e la climatizzazione estiva con i pavimenti radianti sono perfettamente compatibili con il riscaldamento invernale in quanto è sufficiente escludere con due valvole la caldaia (quando c’è) per deviare il flusso d’acqua al gruppo refrigeratore. «Consulente Immobiliare»
Scigliano (CS) “Ponte di Sant’Angelo, un ponte romano lungo Via Popilia (sopra il Savuto), tra Malito e Scigliano” (da Gerhard Rohlfs, La Calabria Contadina)
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Tecnica delle costruzioni
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PROTEGGERE I MURI Classificazione per funzioni e modalità applicative: da quelli tradizionali ai più innovativi, termoisolanti e aeranti di Elena Lucchi
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otato di una funzione protettiva ed estetica, l’intonaco è una malta costituita da un legante composto da un inerte minerale di mescolanza (sabbia) e da sostanze additive, quali cellulosa, amido, fumo di silice. Più correttamente detto corpo d’intonaco, forma un rivestimento compatto formato da più strati dotati di caratteristiche e funzioni diverse, che raggiungono uno spessore totale compreso tra 1,5 e 2 cm. Lo strato posto a contatto diretto con la muratura (rinzaffo, intonaco rustico o abbozzo) ha un’elevata resistenza alla sollecitazione fisica e con la sua granulometria grossolana crea delle zone ruvide che servono da aggrappante per gli strati successivi. Lo strato intermedio (stabilitura, arricciatura o intonaco civile) ha il compito di proteggere e di uniformare la superficie muraria, eliminando ogni assenza di planarità e di verticalità. La struttura funge anche da elemento portante per gli strati successivi. La finitura (rasante o stucco) ha una funzione ornamentale e protettiva rispetto alle condizioni climatiche esterne. Classificazioni La classificazione degli intonaci può essere ricondotta alla natura (inorganica o organica) e alla tipologia del legante impiegato (calce aerea, calce idraulica, cemento, silicato, ...), alla granulometria e alla qualità degli inerti (sabbie, cariche minerali, ...) e al tipo di produzione artigianale o industriale (quest’ultimo si distingue per la composizione pre-dosata e pre-miscelata delle malte e delle aggiunte di additivi). La classificazione più diffusa prevede la distinzione in base al legante utilizzato nelle seguenti categorie: - Intonaco a base di calce, dove l’unico legante è costituito da calce idraulica; - Intonaco calce-cemento, dove il legante è composto da una miscela di calce idrata e cemento Portland, con prevalenza di calce; - Intonaco cemento-calce, dove il legante è una miscela di calce idrata e cemento Portland, con prevalenza di cemento; - Intonaco a base di gesso, dove il legante è costituito esclusivamente da gesso; - Intonaco ai silicati di potassio, con cariche e pigmenti inorganici; - Intonaco termoisolante con una composizione a base minerale, con perlite e granuli di polistirolo espanso; - Intonaco traspirante a base di gesso o calce e cemento; - Intonaco macroporoso con l’aggiunta di additivi aeranti specifici. I sistemi di tinteggiatura e di pitturazione murale possono essere ulteriormente distinti in relazione alle modalità applicative e alla natura delle componenti utilizzate, in due categorie principali: - Sistemi di tinteggiatura non pellicolanti caratterizzati da un processo chimico-fisico di mineralizzazione e di adesione; - Sistemi di pitturazione pellicolanti caratterizzati da un processo fisico di adesione al supporto. I prodotti consentono di comporre un ampio campionario di
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situazioni dotate di valenze applicative e di prerogative materiche distinte, da valutare di volta in volta verificando la qualità e la compatibilità d’impiego. Intonaci a base di calce Le pitture a base calce sono costituite da grassello di calce e da pigmenti inorganici resistenti all’attacco aggressivo della calce. Il grassello è composto da calce viva in zolle con contenuto di ossidi di calcio e magnesio non inferiore al 94%, mentre i pigmenti maggiormente utilizzati sono le terre naturali e gli ossidi, che offrono una gamma cromatica particolarmente ampia. Attualmente, le pitture a base di calce sono prodotte anche industrialmente e pronte all’uso. In questo modo si evitano eventuali errori di dosaggio delle materie prime, garantendo sempre prestazioni costanti del materiale. I prodotti a calce non devono essere applicati in condizioni ambientali estreme poiché sono sensibili alle intemperie e agli sbalzi termici. L’indurimento della tinta avviene secondo un processo di carbonatazione che si sviluppa quando la calce contenuta nell’intonaco entra in contatto con l’anidride carbonica dell’aria, formando un sale insolubile superficiale che ingloba con sé i pigmenti colorati.. La pittura in fase di consolidamento non deve essere esposta alla luce, all’aria e alla polvere al fine di evitare variazioni cromatiche indesiderate. Gli intonaci devono essere applicati a due o tre mani, a rullo o a pennello, con l’accortezza di stendere il colore con andamento parallelo e non incrociato. La tinta può essere trattata con varie finiture superficiali come la spugnatura, la macchiatura e l’effetto velatura. Per esaltare le caratteristiche di traspirabilità deve essere applicata su intonaci di tipo compatibile (a base di calce). L’applicazione dovrebbe avvenire a intonaco non ancora completamente indurito, in modo che le reazioni chimiche che si vengono a generare creino una solidarizzazione della pittura con il substrato sottostante. Quando si opera con materiali naturali che possono essere soggetti a dilavamenti a causa delle precipitazioni atmosferiche è necessario fare sempre una valutazione preventiva dell’edificio su cui si andranno ad applicare: le superfici non devono essere esposte alle intemperie ma protette da gronde, gocciolati, davanzali delle finestre, balconi e pluviali. I prodotti non si prestano a ritocchi successivi e, quindi, è preferibile applicarli su superfici sollevate rispetto al suolo o dotate di una zoccolatura. Per garantire l’omogeneità cromatica, il prodotto deve far parte di un’unica partita poiché è composto da materie prime completamente naturali che possono essere soggette a viraggi tonali. Intonaco ai silicati Le pitture ai silicati sono costituite da un legante a base di silicato di potassio (o silicato di sodio o da una miscela dei due), da cariche (calcite, quarzo, caolino, talco, barite, fibre, creta silicea, mica, silicato di alluminio) e da pigmenti inorganici (biossido di titanio, ossido di ferro, ossido di cromo, blu di cobalto,
n. 3-4/2007 verde di cobalto, blu oltremare, nero fumo, grafite e altro). Le pitture permettono di realizzare finiture a strato sottile o rivestimenti dì elevato spessore, dotati di un aspetto estetico velato o a marmorino, simile a quello degli intonaci antichi. Il processo di mineralizzazione (detto di silicatizzazione) deriva dalla reazione tra il silicato di potassio, l’anidride carbonica presente nell’aria e l’idrossido di calcio della muratura e serve per fissare le cariche e i pigmenti inclusi nelle malte e nelle pitture. Il processo rende solidali gli strati d’intonaco e svolge un’azione consolidante nei confronti del supporto murario. Contrariamente a quanto avviene nelle pitture composte da dispersioni acquose di resine organiche, la base del meccanismo di indurimento dei silicati è un fenomeno di natura chimica che richiede la presenza di valori termoigrometrici controllati e la protezione dal soleggiamento diretto. Le pitture devono assicurare un legame chimico stabile con l’intonaco sottostante al fine di evitare fenomeni di disfacimento in sfoglie del film coprente, di permettere la traspirazione del supporto senza produrre variazioni superiori al 5-10%, di contenere resine sintetiche in quantità inferiore al 5% e, infine, di risultare sufficientemente resistenti ai raggi ultravioletti, alle muffe, ai solventi, ai microrganismi e alle sostanze inquinanti. Le tinte ai silicati sono dotate di una buona traspirabilità, di una discreta resa estetica e di un alto grado di impermeabilità che le rende molto resistenti agli effetti di dilavamento e agli agenti atmosferici. Possono essere applicate su supporti di tipo minerale (a base calce e cemento) ma non su substrati a base di gesso o legno, ad eccezione di alcuni particolari prodotti ignifuganti. Le applicazioni sono compatibili con la presenza di intonaci tradizionali a calce e sabbia, che ne costituiscono l’ideale allettamento. Per questa ragione hanno avuto un’ampia diffusione nel restauro e nel recupero dell’edilizia storica: le uniche perplessità in questo campo sono legate alla forte saturazione del colore, poco diffusa nei trattamenti murali tradizionali. L’intensità cromatica può essere corretta schiarendo le tinte di base e circoscrivendo, specie per gli impieghi in ambienti storici, l’uso della tavolozza a colori che ricordano i sistemi a calce tipici della cultura materiale locale. Le pitture ai silicati sono di tipo bi-componente e mono-componente. Le prime si ottengono mediante un’accurata miscelazione del componente in polvere (pigmento) con quello liquido (legante), rispettando l’esatto rapporto consigliato dal produttore. La tinta in questo caso deve essere preparata almeno 12 ore prima dell’applicazione in modo da consentire una migliore miscelazione dei componenti. I prodotti mono-componenti sono già pronti per l’uso: la tinta viene impiegata immediatamente previa diluizione e miscelazione. La preparazione e la tinteggiatura degli intonaci esterni deve essere eseguita spolverando e pulendo accuratamente il supporto e asportando eventuali residui di precedenti tinteggiature effettuate con prodotti a base polimerica. Occorre poi stendere una prima mano di fondo, da effettuare esclusivamente con i diluenti forniti dal produttore. Nel caso di prodotti mono-componenti, la preparazione del supporto consiste nell’applicazione di un impregnante trasparente con funzione fissativa, consolidante e di diluizione del fondo e della finitura. Su intonaci a base di calce preesistenti sono necessari fondi fissanti a base di silicati di potassio che permettono di diminuire l’assorbimento e aumentare la resistenza all’acqua del supporto; su muri nuovi con intonaco civile è opportuno utilizzare dei fondi minerali (a base di fluosilicato di magnesio, ...), che neutralizzano
Tecnica delle costruzioni l’alcalinità delle calci idrauliche e dei cementi. In presenza di fondi troppo compatti, come cemento o calcestruzzo, o con facciate esposte agli effetti atmosferici deve essere data una mano di primer. Infine si procede con la tinta ai silicati nella tonalità desiderata. Le pitture devono essere applicate a pennello o a rullo per almeno due mani incrociate, in modo da esaltare le colorazioni. Tra i due strati è necessario lasciare passare un periodo di 12/24 ore. Il numero delle mani, i rapporti di diluizione, il tipo di fissativo e le modalità d’applicazione possono variare secondo le indicazioni. In particolare, il rapporto di diluizione varia in relazione allo stato di conservazione dell’intonaco: su intonaci particolarmente degradati o diffusamente microfessurati si deve aggiungere alla miscela contenente tinta e diluente, un fissativo minerale (di tipo chimicamente compatibile con il silicato di potassio) in un quantitativo non inferiore al 50% del volume della tinta base non diluita. Anche le tinte ai silicati, come quelle a calce, subiscono l’influenza della temperatura di applicazione, quindi devono essere posate a temperature comprese tra 5÷30°C. L’aria e il sole, infatti, accelerano l’evaporazione dell’acqua impedendo la penetrazione della tinta nel supporto e la conseguente formazione di una finitura solidale. Intonaco termoisolante L’intonaco termoisolante costituisce la soluzione ideale per l’isolamento termico dell’edificio, in quanto consente di realizzare superfici termoisolanti omogenee, prive di ponti termici e di fughe. Il sistema, a differenza dei cappotti interni ed esterni, può facilmente adeguarsi a tutte le forme geometriche del sottofondo, riuscendo a coprire gli angoli e gli spigoli più impervi. L’intonaco ha una composizione a base minerale, arricchita con perlite, granuli in polistirolo espanso, pori aerei e additivi specifici per migliorare la lavorazione e l’adesione al supporto. Il materiale è adatto per applicazioni interne ed esterne e, grazie al potere isolante e all’elevata permeabilità al vapore, mitiga il microclima. Inoltre, grazie alla formulazione naturale a base di silicato, rientra nella categoria dei prodotti con classe o di reazione al fuoco secondo la normativa italiana e nella categoria A1 secondo le norme tedesche DIN 4102 come materiale non combustibile. L’elevato grado di traspirabilità lo rende idoneo per l’isolamento di murature vecchie e nuove: può essere utilizzato come intonaco di fondo su murature in mattoni, blocchi in calcestruzzo e calcestruzzo grezzo e come sottofondo alleggerito per le pavimentazioni. Per un’adesione perfetta, la muratura deve essere libera da polvere, sporco, efflorescenze saline, tracce di oli, grassi e cera. Le superfici in calcestruzzo liscio devono essere asciutte e trattate con materiali aggrappanti oppure con un rinzaffo a base di sabbia e cemento con aggiunta di uno speciale additivo resistente agli alcali. Il prodotto è steso in più mani con la tecnica a spruzzo, fino a uno spessore massimo di 5 cm per volta. Le diverse applicazioni devono essere distanziate dal tempo di asciugatura. Le imperfezioni possono essere eliminate con il rabbott a prodotto indurito. Per garantire una maggiore resistenza ai danni meccanici si può applicare una mano di rasatura con speciali intonaci di compensazione e, se necessario, una rete di armatura. In questo caso si può utilizzare un intonaco di finitura idrorepellente. Intonaco aerante L’intonaco traspirante può avere una formulazione a base di gesso o a base di calce e cemento. Nel primo caso è un prodotto
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Tecnica delle costruzioni pre-miscelato in stabilimento e contiene una base di gesso addizionata di sabbia fine calcarea e perlite. Si ottiene un intonaco leggero, elastico e traspirante, applicabile a murature di qualsiasi tipo, calcestruzzo ruvido, calcestruzzo poroso e pannelli leggeri. La lavorazione avviene applicando il prodotto a spruzzo direttamente su parete o soffitto; non appena seccata, la superficie viene irruvidita con staggia o rabbott a griglia e, quindi, resa liscia con un prodotto di finitura. In alternativa è possibile ottenere direttamente una lavorazione a frattazzo subito dopo la presa. Lo spessore consigliato per questo prodotto varia tra 5-15 mm. Il secondo tipo contiene una base di calce e cemento, sabbia fine calcarea e perlite. L’intonaco è adatto per facciate, pareti interne e soffitti e come base per la posa delle piastrelle nelle cucine e nei bagni. La lavorazione avviene applicando il prodotto a spruzzo; dopo la presa la superficie viene frattazzata e successivamente levigata con un prodotto di finitura. In alternativa è possibile ottenere direttamente una lavorazione a fino, limitandosi alla semplice frattazzatura a feltro dopo la presa. Intonaco macroporoso Gli intonaci deumidificanti sono capaci di contrastare efficacemente l’azione dell’umidità e, grazie all’elevata traspirabilità, di deumidificare e di prevenire le patologie di degrado delle murature legate all’imbibizione e all’assorbimento di acqua capillare. Il materiale ha una struttura macroporosa che aumenta artificialmente la porosità dei normali intonaci, grazie all’aggiunta di additivi aeranti specifici che migliorano la traspirabilità della muratura su cui sono applicati. Il prodotto è caratterizzato anche da una buona capacità di coibenza termica e acustica e, una volta indurito, da una resistenza meccanica e da un modulo elastico simili a quelli delle murature, evitando di creare tensioni localizzate nell’interfaccia muratura-intonaco. Gli intonaci deumidificanti, in base alle proprietà fisico chimiche, alle modalità di applicazione e al tipo di azione esercitata, si suddividono in: intonaci monostrato, intonaci a doppio strato e intonaci monostrato con primer di fondo. I prodotti che appartengono alla prima categoria sono applicati a due riprese e in uno strato singolo, facendo variare la percentuale d’acqua nell’impasto. La prima ripresa ha una funzione di rinzaffo ed è
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n. 3-4/ 2007 generalmente più magra, mentre la seconda ha un maggiore contenuto d’acqua e uno spessore più consistente. Nel secondo gruppo, invece, rientrano i prodotti costituiti da un sottofondo di posa e da un intonaco di finitura. I due strati differiscono per le caratteristiche compositive e funzionali. Al terzo gruppo, infine, appartengono i prodotti che richiedono l’applicazione preventiva di un primer di fondo per agevolare l’adesione dell’intonaco al supporto e per impermeabilizzare la muratura esterna in modo da impedire il passaggio di umidità e contrastare la cristallizzazione salina. I prodotti sono quasi sempre premiscelati industrialmente. L’applicazione può essere realizzata a pennello, a spruzzo e a rullo, come accade per un intonaco tradizionale. In tutti i casi, la permeabilità al vapore acqueo in uscita non deve essere compromessa con tinteggiature superficiali che, nell’applicazione sulle murature esterne potrebbero impedire la traspirabilità e l’idrorepellenza all’acqua, mentre in quelle interne potrebbero limitare il controllo delle condizioni ambientali e portare all’insorgenza di fenomeni di condensazione superficiale. Allo stato attuale non vi è ancora la certezza sulla capacità che i prodotti siano in grado di operare autonomamente per la deumidificazione delle murature, anche se è sicuro che riescono a garantire un’elevata evaporazione dell’acqua. Inoltre, i sali idrosolubili sono fermati nei macropori e, quando arrivano a saturazione, potrebbe essere necessario operare un nuova stesura dell’intonaco. Per una perfetta azione dell’intonaco macroporoso è necessario eliminare l’intonaco preesistente per almeno un metro oltre la superficie umida, asciugare l’acqua in eccesso e pulire preventivamente la muratura con acqua in pressione o meccanicamente rimuovendo le parti incoerenti, i residui di intonaco, le incrostazioni di sali, le polveri, gli oli, i grassi e le vernici. Protettivi silossanici La resina silossanica è un polimero composto da una catena di monomeri di silice (o ossido di silicio) che, opportunamente trattati, si legano in una struttura continua. La polimerizzazione si ottiene partendo da un composto minerale e inorganico che rende la resina essiccata come un materiale microporoso e idrorepellente che, da un lato, consente la migrazione del vapore
n. 3-4/2007 contenuto nel supporto verso l’esterno, dall’altro impedisce alle gocce di pioggia e all’umidità di penetrare all’interno della muratura. Per il progettista: una chiave di lettura e di scelta Il mercato propone una vasta gamma di intonaci speciali che trovano largo impiego nel settore architettonico. La conoscenza delle caratteristiche chimiche e delle prestazioni tecniche di ciascun prodotto è necessaria per scegliere il materiale più opportuno per rispondere alle esigenze specifiche di ciascun progetto. Per facilitare il compito, di seguito, abbiamo individuato le prestazioni e le funzioni delle diverse tipologie di intonaci. Una sintesi della normativa sul tema, un glossario ragionato dei termini ricorrenti e le voci di capitolato completano l’informazione per il progettista. Glossario Rinzaffo: primo strato di malta grossolana che sì stende sul muro grezzo per livellarne la superficie. Arriccio: strato d’intonaco contenente sabbia e calce grossolana che costituisce lo strato intermedio dì malta, il cui spessore regola l’assorbimento dell’umidità. Di norma lo strato, più magro del susseguente, non supera i 2 cm di spessore e deve essere lasciato ruvido in superficie per consentire l’adesione dell’intonaco finale.
Tecnica delle costruzioni Intonaco, intonachino o velo: è l’ultimo strato di malta idoneo a ricevere la pittura. Si caratterizza per la finezza granulometri-ca del suo inerte e per lo spessore di pochi millimetri. Nell’applicazione tradizionale si esegue con stesura di 2 strati, ciascuno dei quali non superiore al millimetro. Frattazzo o panettone: strumento specifico che serve per la decorazione dello strato di finitura dell’intonaco. Ne esistono varie tipologie (quadrate o rettangolari) con impugnature e dimensioni diverse da scegliere in funzione del tipo di finitura che si vuole ottenere e del tipo di movimento di lisciatura (dall’ampio gesto rotario alla finitura più uniforme e serrata). Esiste anche una versione più piccola (detta “pialletto”) adatta per rifinire in modo più accurato e particolareggiato il velo, specialmente in presenza di specchiature a ridotta campitura, Voci di capitolato Intonaco al silicati di potassio Tinteggiatura a base di silicati di potassio miscelati con pigmenti selezionati, eseguita a rullo o a pennello, con imprimitura e successivo strato di finitura a perfetta copertura. Lo strato di imprimitura o mano di fondo in soluzione acquosa deve avere le seguenti caratteristiche: massa volumica ...gr/l; residuo secco in peso circa ...%, ph>....ll consumo consigliato a m² per mano deve essere pari a ...l/m². Lo strato di finitura in dispersione acquosa deve avere le
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Tecnica delle costruzioni seguenti caratteristiche: massa volumica ...gr/l; residuo secco in peso circa ...%; ph>.... Il consumo consigliato al m² per mano è di ...I/m², la permeabilità al vapore acqueo pari a .... Intonaco termoisolante Esecuzione di intonaco termoisolante per interni ed esterni a base di legante idraulico, inerti di polistirolo fortemente espanso e additivi specifici. Le superfici da intonacare si devono presentare sane, pulite e devono essere esenti da polvere, tracce d’olio o prodotti di scasseratura, efflorescenze saline o fuliggine. Le sporgenze eccessive vanno rimosse e i difetti di planarità devono essere ripresi. Parti incoerenti o in via di distacco devono essere asportate e ripristinate. Su queste superfici, dopo l’esecuzione delle fasce e il posizionamento dei paraspigoli, con l’apposita intonacatrice in continuo si procederà all’applicazione dell’intonaco di fondo termoisolante. La lavorazione superficiale avviene con staggia e lo spessore minimo d’applicazione è di ...cm. Il coefficiente di conducibilità termica deve essere inferiore a ...W/m°K. Intonaco deumidificante Esecuzione di intonaco deumidificante macroporoso tirato in piano su pareti verticali con malta a base di calce idraulica e aereanti o additivi porogeni o malte premiscelate aventi specifiche caratteristiche aereanti. La realizzazione dell’intonaco deumidificante sarà preceduta dalla applicazione di un trattamento per il controllo ed il contenimento dei sali solubili. Successiva applicazione a cazzuola di strato di aderenza (rinzaffo) su supporto preventivamente e accuratamente bagnato, con malta, di consistenza fluida, sabbie esenti da elementi fini e sostanze indesiderabili, tendenzialmente grossolane. Realizzazione di strato di corpo (arriccio) su supporto preventivamente indurito e bagnato, previa predisposizione di un numero sufficiente di fasce guida verticali. La applicazione verrà eseguita a mano con cazzuola e successiva regolarizzazione dello strato di malta mediante staggiatura per assicurare la planarità della superficie. Vernici trasparenti idrorepellenti a base di resine siliconiche Tinteggiature di superfici esterne con vernici del tipo idrorepellenti trasparenti a base di resine siliconiche disciolte in diluente, non formante pellicola ma incorporata dal supporto per impregnazione, applicata a pennello o a spruzzo in più applicazioni, non meno di tre, con grande quantità di prodotto, al fine di assicurare una buona penetrazione nel supporto, da applicarsi su intonaci civili, paramenti di cemento a vista, rivestimenti in laterizio e simili, per migliorare la resistenza di tali superfici agli agenti atmosferici e stabilizzare il colore della tinteggiatura. La mano di fondo deve essere costituita da un siliconato (diluizfone 1:30 o, per un supporto alcalino, una soluzione a
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n. 3-4/ 2007 base di resina siliconica con un contenuto di solido di circa il ...%). La prima e la seconda mano devono essere realizzate con una pittura sili-conica pronta all’uso (circa ...gr/m²). La quantità di fondo da utilizzare è legata alla capacità di assorbimento del supporto. ormativa di riferimento UI E 998-1:2004 “Specifiche per malte per opere murarie. Malte per intonaci interni ed esterni”: la norma analizza le proprietà delle malte per intonaci interni ed esterni che dipendono essenzialmente dal tipo o dai tipi di leganti utilizzati e dalle loro rispettive proporzioni. Si possono ottenere proprietà speciali in base al tipo di aggregati, additivi e/o aggiunte utilizzati. UI E 1015-12:2002 “Metodi di prova per malte per opere murarie. Determinazione dell’aderenza al supporto di malte da intonaco esterno e interno”: la norma analizza i metodi di prova per determinare l’aderenza al supporto delle malte da intonaco. UI E 1015-19:2000 “Metodi di prova per malte per opere murarie. Determinazione della permeabilità al vapore d’acqua delle malte da intonaco indurite: la norma analizza i metodi di prova per determinare la permeabilità al vapore d’acqua delle malte da intonaco. UI E 13279:2006 “Leganti e intonaci a base di gesso”: ia norma specifica le caratteristiche e la prestazione dei prodotti in polvere a base di gesso per impieghi in edilizia. UI E 13914:2005 “Progettazione, preparazione e applicazione di intonaci esterni e interni”: la norma specifica i requisiti e le raccomandazioni per la progettazione, la preparazione e l’applicazione di intonaci esterni. UI CE/TR 15123:2006 “Progettazione, preparazione e applicazione di sistemi interni di intonaci a base di polimeri”. UI CE/TR 15124:2006 “Progettazione, preparazione e applicazione di sistemi interni di intonaci a base di gesso”. UI CE/TR 15125:2006 “Progettazione, preparazione e applicazione di sistemi interni di intonaci a base di cemento e/o di calce”. UI E 1062-1:2005 “Pitture e vernici. Prodotti e cicli di verniciatura di opere murarie esterne e calcestruzzo”: la norma specifica un sistema generale per la descrizione di prodotti e sistemi di verniciatura per la conservazione, decorazione e protezione di opere esterne in muratura e calcestruzzo, nuove e vecchie, già verniciate o non. Include anche un sistema di classificazione basato su particolari proprietà fisiche. È applicabile a tutti i prodotti e sistemi di verniciatura per opere esterne in muratura e calcestruzzo compresi quelli da utilizzare in sistemi di isolamento termico esterno. «Modulo»
Tecnica delle costruzioni
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L’ISOLAMENTO TERMICO DELL’EDIFICIO PER RIDURRE I CONSUMI
U
n isolamento termico ottimale (che rallenta la dif fusione del calore attraverso l’involucro) si ottiene attraverso l’impiego di materiali caratterizzati da una bassa conducibilità termica (quantità di calore che viene trasmessa attraverso un mq di un materiale con uno spessore di 1 m se la differenza di temperatura è di 1° C) (vedi tabella). I progettisti devono rispettare una serie di nuovi adempimenti: - l’isolamento delle pareti esterne con almeno 7-8 cm di isolante traspirante nell’intercapedine; - l’uso di blocchetti solo se impiegati cori un cappotto interno di isolante rigido e traspirante da 5 cm; - l’isolamento del sottotetto con almeno 810 cm di isolante in località di pianura, 12-15 cm in aree collinari e 18-20 cm in zone di montagna; - l’isolamento dei sottofinestra; - la realizzazione di doppie finestre; - lo spostamento dei caloriferi dalla posizione tradizionale (sotto le finestre) vicino alle porte; - l’isolamento degli androni e dei porticati con isolante traspirante da 7-8 cm: - l’isolamento delle solette interpiano con almeno 5 cm; - l’isolamento delle tubazioni degli impianti di riscaldamento. Il tetto e i solai giacenti sui locali non riscaldati di un edificio rappresentano, fra tutte le superfici esterne, gli elementi più permeabili al calore, per cui necessitano di maggiore attenzione riguardo al loro isolamento termico. Anche se sono stati effettuati interventi specifici di coibentazione delle parti murarie e del tetto di un edificio, l’isolamento termico e il conseguente risparmio energetico possono migliorare ulteriormente intervenendo sulla riduzione delle dispersioni di calore attraverso le finestre. Descriviamo di seguito i sistemi più utilizzati nell’isolamento termico di un edificio: il sistema a cappotto o dall’esterno, il sistema di intercapedine e quello isolante dall’interno.
Pareti verticali Cappotto esterno
L’isolamento termico dei fabbricati dall’esterno, comunemente detto “ a cappotto”, ha avuto le sue prime applicazioni alcuni decenni fa e ancora oggi costituisce uno dei sistemi di isolamento più efficaci sia per interventi sul nuovo che sull’esistente. È un sistema che può essere utilizzato per tutti i tipi di pareti (edifici civili ed industriali, silos o serbatoi) ed è conseguentemente utilizzato sia dal pubblico che dal privato. Dal punto di vista tecnologico, esso comporta l’applicazione di un rivestimento isolante sulla parte esterna delle pareti dell’edificio, così da correggere i ponti termici e ridurre gli effetti indotti nelle strutture e nei paramenti murari dalle variazioni rapide o notevoli della temperatura esterna. Il sistema consente di mantenere le pareti d’ambito a temperatura più elevata, evitando fenomeni di condensa e aumentando il confort abitativo. Inoltre, comportando un intervento dall’esterno, esso evita disagi agli occupanti le abitazioni stesse in cui è richiesto l’intervento. Nel dettaglio, la tecnica consiste nella preparazione preventiva delle superfici esterne dei manufatti, nell’applicazione su di esse tramite incollaggio, dei pannelli isolanti di natura, consistenza e spessore ritenuti più idonei, nella rifinitura con intonaco rasante a due strati da applicare “bagnato su bagnato” o in tempi immediatamente successivi l’uno dall’altro, con interposta rete in fibra di vetro di vario tipo, ed infine con trattamento superficiale di finitura. Infine, il sistema consente di resistere ad urti anche di una certa intensità (prova al perfotest), e di intervenire facilmente, qualora si verificassero danni che vanno ad interessare anche il coibente (mediante massellatura e ripristino dell’intonaco esterno).
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Tecnica delle costruzioni Pareti verticali Cappotto interno
n. 3-4/ 2007 dovrà essere posta al fine di ottenere una completa e regolare sigillatura degli spigoli e angoli laterali della controparete, onde realizzare un isolamento termico che non inneschi condensa zione con conseguenti formazioni di muffe. Come tutti gli isolamenti dall’interno, la tecnica ha il limite di non eliminare i ponti termici di soletta. Copertura a falde con isolante sotto il manto antimeteorico
Il sistema è applicabile sia sul nuovo che sull’esistente ma trova la sua naturale applicazione sugli edifici esistenti. Dal punto di vista tecnologico, esso consiste in un’applicazione mediante incollaggio di pannelli composti (p.e. isolante e cartongesso) sulla faccia interna delle pareti di tamponamento. Nel dettaglio, la tecnica comporta che il supporto non presenti difetti di planarità e fuori piombo molto accentuati e nel caso di interventi sull’esistente, che vengano rimosse mediante spazzolatura le finiture preesistenti che tendono a staccarsi e a sfarinare e che di conseguenza non assicurano un adeguato aggrappaggio per il collante. A differenza del cappotto esterno, questa tecnica non corregge i ponti termici e non consente di mantenere le pareti d’ambito a temperatura più elevata, con i vantaggi già visti nella coibentazione dall’esterno. Pareti verticali Isolamento sottofinestra
L’isolamento di una copertura a falda con isolante sotto il manto antimeteorico consiste nel porre in opera l’isolante subito sotto le tegole, i coppi o le la stre della copertura, sostenuto dalle falde inclinate del tetto. Dal punto di vista tecnologico, nelle solette piene in c.a. o laterocemento, l’isolante va posto sull’estradosso della falda, tra listelli di legno posati longitudinalmente nel senso della pendenza e a distanza di 50/60 cm l’uno dall’altro, con spes sore uguale o maggiore a quello dello strato iso lante stesso. Al di sopra, deve essere poi fissata una seconda orditura di listelli in senso normale alla “ prima, per l’appoggio del manto antimeteorico. Nel dettaglio, è bene che gli isolanti siano dotati sulla faccia inferiore di un foglio con funzioni di bar riera al vapore. Isolamento soffitti sopra locali non riscaldati Isolamento all’estradosso del solaio
Dal punto di vista tecnologico, il sistema prevede la posa in opera di un pannello coibente con barriera al vapore, da lasciare in vista nel caso che nel vano vada alloggiato un radiatore, e da completare verso l'interno del locale con cartongesso o con un controtavolato in tavelle, nel caso in cui esso sia a vista. Il sistema comporta che il supporto sia asciutto, non polveroso e friabile e privo di muffa. Inoltre, par ticolare cura
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L’isolamento del solaio che copre spazi cantinati o comunque non riscaldati, effettuato al suo estradosso, viene utilizzato negli edifici di nuova realizzazione. Può essere eseguito su qualsiasi tipo di sup-
n. 3-4/2007 porto (solai in laterocemento o in c.a. gettati in opera o prefabbricati), previa idonea preparazione. Dal punto di vista tecnologico, il sistema prevede la collocazione dell’isolante in corrispondenza della faccia superiore della soletta. L’intervento consente la correzione dei ponti termici, garantendo al tempo stesso elevata durata dell’intervento, forte resistenza agli urti accidentali, idoneo comportamento al fuoco, semplicità di posa in opera. Nel dettaglio, la tecnica consiste nella preparazione del supporto, che deve essere privato di asperità e materiali incoerenti, così da avere un’adeguata planarità per ricevere il materiale isolante; nella posa in opera dello stesso e nella sua successiva rivestitura, con finalità protettive, con un massetto in cls, in preferenza leggermente armato con una rete elettrosaldata di maglia 10*10, che costituisce il piano di posa della soprastante pavimentazione. Infine, nel caso in cui si utilizzi un isolante in pannelli, particolare cura va posta all’accostamento reciproco tra gli stessi. Nel caso di pannelli in fibre, l’adozione della tecnica comporta che sia necessario realizzare al di sopra di essi uno strato di tenuta all’acqua “a vaschetta”, in modo tale che il getto del massetto di calcestruzzo soprastante non causi la totale imbibizione del materiale isolante, con conseguente riduzione delle sue caratteristiche coibenti. Nel caso si adoperi massetto coibente in calcestruzzo alleggerito, è necessario che l’impasto posato sia omogeneo e di adeguato spessore. Isolamento solai su porticato Intervento di isolamento all’intradosso del solaio con sistema a cappotto
Tecnica delle costruzioni L’isolamento del solaio che si affaccia su porticato o spazi aperti, al suo intradosso, con sistema co munemente detto “a cappotto”, può essere utiliz zato sia per interventi sul nuovo che sull’esistente. Può essere eseguito su qualsiasi superficie, previa idonea preparazione e applicazione di adeguato collante. Dal punto di vista tecnologico, esso pre vede la collocazione dell’isolante in corrispondenza della faccia inferiore della soletta. L’intervento con sente la correzione dei ponti termici, garantendo al tempo stesso elevata durata dell’intervento, forte resistenza agli urti accidentali, idoneo comporta mento al fuoco, semplicità di posa in opera. Nel dettaglio, se il supporto è costituito da solaio intonacato con calce o malta cementizia che tende a sfarinare, asportata la finitura pittorica a calce, qualora presente, l’adozione della tecnica comporta un’opportuna spazzolatura della superficie e un ac curato lavaggio della stessa con impianto ad acqua calda in pressione, consolidando successivamente il tutto con applicazione di prodotti non filmanti che penetrino in profondità nell’intonaco, così da con sentire un buon ancoraggio alla stessa del collante cementizio. Viceversa, qualora il supporto sia costituito da so laio intonacato con calce o malta cementizia e fi nito con idropittura, rivestimento plastico o quarzo, in cattivo stato di conservazione, asportato com pletamente l’intonaco mediante sabbiatura, lavato il supporto con acqua calda in pressione, la tecnica comporta il consolidamento dello stesso con pit ture e silicati. Infine, particolare attenzione va prestata al tipo di collante, che deve essere funzione del tipo di iso lante usato. figure tratte dal sito dell’EEA http://efficienzaenergetica.acs. enea, it/tecnologie. htm «Il geometra veronese»
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CONTENERE LA TERRA di Elena Lucchi Complessità di calcolo e problematiche applicative risolte dai servizi progettuali dei produttori. Le alternative possibili per contrastare efficacemente lo spostamento dei terreni scoscesi Il contenimento del suolo tende a frenare il naturale spostamento di terra che si manifesta nei siti in declivio, attraverso l’inserimento di opportune opere murarie che hanno la funzione di contrastare l’azione esercitata dal terreno. La tettonica del suolo e quella del muro si bilanciano e si equilibrano a vicenda. La produzione commerciale comprende molteplici sistemi prefabbricati (una sorta di “prèt-à-porter geotecnico”), che possono essere posati direttamente in opera. Molte aziende offrono anche software di calcolo gratuiti o servizi progettuali interni per il dimensionamento statico delle opere di contenimento, facilitando notevolmente il compito dell’architetto. La vera difficoltà, però, sta nella scelta del sistema costruttivo più appropriato per soddisfare le particolari esigenze richieste da ogni specifico progetto. Di seguito sono illustrate le tipologie di contenimento del terreno più diffuse sul mercato. Le opere di sostegno possono essere suddivise nelle seguenti categorie: - Muri di sostegno; - Paratie (palanconate e diaframmi); - Strutture speciali di sostegno; - Armature degli scavi. Questa suddivisione è legata alle caratteristiche dell’opera di sostegno, ai movimenti esercitati dal terreno e dalla struttura architettonica e al funzionamento statico del sistema.
Terra rinforzata con geogriglia Italgrid. Si tratta di elementi geosintetici bidimensionali ottenuti da tessitura di filato di polistere ad alta tenacità (Greenvision Ambiente)
Muri di sostegno I muri di sostegno sono strutture costruite al piede di una
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scarpata o su un piano, per contrastare le forze orizzontali e oblique esercitate dal terreno. I sistemi si dividono in diverse categorie in relazione allo schema statico di riferimento: - Murature monolitiche in cemento armato costituite da muri a larga base che bilanciano l’azione tellurica con il proprio peso e con la spinta esercitata dalla massa di terreno che insiste sulla fondazione del muro stesso. Si dividono in sistemi gettati in opera e prefabbricati; - Muri a gravità che resistono alla spinta del terreno principalmente attraverso il proprio peso. Appartengono a questa categoria le barriere formate da pietrame a secco, le pareti con gabbie di pietra e ghiaia e i muri cellulari a gabbia in cemento armato prefabbricato o in legno; - Muri in terra rinforzata. Muri monolitici prefabbricati I muri di contenimento in calcestruzzo prefabbricato rappresentano la prima alternativa ai sistemi costruttivi tradizionali, costituiti dalla posa in opera di pareti di sostegno in pietra o in cemento armato gettato in opera. L’elevato livello di precisione dimensionale e la costanza delle caratteristiche meccaniche permettono di raggiungere alti valori di indeformabilità e coefficienti di sicurezza molto superiori rispetto ai sistemi tradizionali. Rispetto a un muro costruito in opera, inoltre, sono eliminate tutte le operazioni di casseratura e di disarmo, con una notevole riduzione dei tempi di posa e dei costi di cantiere. I muri prefabbricati sono costituiti da elementi modulari di dimensioni variabili in funzione delle specifiche richieste del progettista. Sono composti da due lastre collegate tra loro mediante tralicci elettrosaldati o con staffe orizzontali in ferro. Nelle due lastre, in fase di produzione, sono inseriti i ferri verticali di armatura che devono essere dimensionati dal progettista o dall’ufficio tecnico dell’azienda in base alle caratteristiche di resistenza meccanica del terreno e agli sforzi totali previsti. La superficie a vista può essere liscia, con fondo a cassero oppure rivestita in pietra di varia natura e pezzatura. La varietà delle finiture e dei rivestimenti superficiali facilitano l’impiego dei sistemi anche nei luoghi soggetti a vincolo ambientale o paesaggistico. La prima operazione da effettuare riguarda il getto e il consolidamento del cordolo di fondazione. In seguito, ciascun pannello viene posizionato in corrispondenza dei ferri di chiamata e opportunamente puntellato per conferire la necessaria stabilità. Si procede quindi al getto di completamento con un calcestruzzo dotato di adeguata resistenza meccanica. Il riempimento del terreno retrostante può avvenire entro pochi giorni dalla posa: i tempi di maturazione definitiva dipendono essenzialmente dalle caratteristiche del materiale impiegato. I muri prefabbricati sono adatti per tutti i tipi di contenimento del terreno, sia su superfici pianeggianti che in pendenza. Muri a gravità I muri a gravità possono essere di tipo drenante, quando uniscono le funzioni statiche e idriche, o non drenante, quando assolvono solo compiti strutturali. Le forze che agiscono su un muro a gravità sono legate al peso del muro (W), alla capacità
n. 3-4/2007 portante del terreno (Qf), alla spinta attiva sulla parete (Pa), alla resistenza allo slittamento lungo la base del muro (Rs) e alla spinta passiva del terreno al piede del muro (Pp). Le forze verticali devono essere sopportate dalla capacità portante del terreno di fondazione mentre le forze orizzontali, che tendono a spostare il sostegno in avanti, devono essere contrastate dalla resistenza allo slittamento del muro e dalla spinta passiva del terreno. Alla spinta attiva (che tende a fare ribaltare la parete) si contrappongono il peso del muro e le componenti verticali della spinta stessa. Pertanto, per controllare la correttezza del dimensionamento occorre eseguire la verifica al ribaltamento, allo slittamento e al carico limite. Muri cellulari a gabbia I muri cellulari a gabbia, detti anche crib-walls, sono nati dalla necessità di unire le prestazioni di sostegno e di mantenimento dell’equilibrio idrogeologico ambientale. Sono costituiti dalla sovrapposizione alternata di travetti longitudinali e trasversali in cemento armato vibro-compresso che formano dei contenitori grigliati. Questi ultimi, successivamente, sono riempiti con materiale incoerente dotato di una granulometria eterogenea che evita il dilavamento delle acque drenanti e conferisce il peso necessario per assicurare il drenaggio a monte e per assolvere le funzioni di muro a gravità. L’inserimento di materiale inerte lapideo a granolumetria differenziata, insieme alle larghe superfici aperte, assicura un effetto drenante che, nel calcolo di stabilità globale della struttura, permette di non considerare la spinta idrostatica (elemento da calcolare invece per le strutture monolitiche). Questa struttura favorisce, quindi, l’allontanamento delle acque di falda e meteoriche. I muri cellulari sono adatti per muri di contenimento, pareti di mascheramento di strutture esistenti e muretti di pulizia per opere stradali. L’incastro tra i blocchi frontali e retrostanti mantiene la continuità nel terreno di intasamento, permettendo alle piante di sviluppare in profondità l’apparato radicale e garantendo anche il rinverdimento. La particolare struttura ha anche buone prestazioni di fonoassorbimento: la forma degli elementi, il materiale di riempimento, l’inerbimento e le alberature sulla sommità dei cassoni attenuano le onde sonore provenienti dai mezzi di trasporto. Dal punto di vista statico, i muri cellulari hanno lo stesso comportamento dei muri a gravità tradizionali. Per il loro dimensionamento è necessario bilanciare il momento ribaltante (dovuto alla spinta attiva e ai carichi esterni applicati sul terreno) con il momento stabilizzante (fornito dal peso di riempimento insilato all’interno delle gabbie). Il calcolo della spinta esercitata dal terreno sull’opera di sostegno deve considerare la massima tensione efficace cui è sottoposto. Dopo avere eseguito il dimensionamento statico e le verifiche, si sceglie la composizione strutturale della gabbia che più si avvicina alle dimensioni trasversali ricavate dal calcolo. Questa struttura asseconda gli assestamenti differenziati del terreno e, quindi, si autorifonda nel tempo. Infatti, essendo realizzata per sovrapposizione alternata ortogonale di elementi prefabbricati appoggiati tra loro (non cementati), può articolarsi sugli incastri e seguire i movimenti di assestamento del terreno. Le caratteristiche modulari della struttura garantiscono la possibilità di ampliamenti, modifiche e recupero del materiale nel tempo. I muri cellulari non necessitano di particolari opere complementari, quali drenaggio o cunicoli di raccolta. Muri di
Tecnica delle costruzioni altezza sino a 10 metri, inoltre, non richiedono fondazioni specifiche o particolari poiché le pressioni distribuite sul terreno raggiungono valori inferiori a 1.50Kg\cnf. Per terreni particolarmente allentati è necessario prevedere uno strato di bonifica dotato di spessore ed estensione opportuni, così da ripartire il carico su una superficie maggiore. Infine, il peso relativamente modesto degli elementi modulari prefabbricati (intorno agli 80Kg) consente l’impiego di un esiguo numero di maestranze e non richiede l’ausilio di mezzi meccanici particolari. Muri cellulari in legno In commercio esistono anche muri cellulari a gravità realizzati con elementi prefabbricati in legno, particolarmente adatti per opere di sostegno e barriere antirumore da realizzare in luoghi di montagna o in aree soggette a vincolo ambientale o paesaggistico. Permacrib® (Harpo Group), ad esempio, è costituito da una serie di elementi longitudinali (correnti anteriori e posteriori) posizionati per mutuo incastro, grazie ad appositi intagli, su traverse a interasse fisso. A montaggio eseguito, il manufatto è strutturalmente suddiviso in una serie modulare di celle aperte, riempite con materiale inerte a granulometria variabile che contrasta le spinte esercitate dal terreno e da eventuali sovraccarichi. Le strutture hanno una buona risposta alle sollecitazioni sismiche e agli eventuali cedimenti differenziali del substrato. Il legno viene protetto dall’attacco di funghi, parassiti e muffe e la durabilità prevista è superiore ai 100 anni (con una garanzia di durata degli elementi in legno senza manutenzione pari a 50 anni). Il paramento frontale, parzialmente rinverdibile, può essere realizzato secondo diverse geometrie e successioni di terrazzamenti. Il sistema può essere utilizzato anche per mascherare strutture in calcestruzzo o come barriera antirumore auto-portante. Il calcolo strutturale avviene seguendo le stesse procedure attuate per i muri cellulari a gabbia in cemento armato vibrocompresso. Muri in terra rinforzata I fenomeni d’instabilità che si manifestano nel terreno generano tensioni di compressione e trazione che vengono contrastate dalle forze di attrito resistenti del terreno stesso. Quando il valore di tali forze viene uguagliato e superato dalle sollecitazioni, il terreno comincia a deformarsi e a innescare una vera e propria dilatazione. È necessario, quindi, intervenire con opportuni provvedimenti che aumentano la resistenza del terreno. II muro in terra rinforzata è costituito da un materiale composito formato dalla massa di terra e da rinforzi interni che contengono e ridistribuiscono nel piano la spinta del terreno retrostante. I rinforzi possono essere metallici (strisce d’acciaio galvanizzato ad alta aderenza) o sintetici (materiali geosintetici). L’attrito che si sviluppa all’interfaccia tra il terreno e il rinforzo porta alla formazione di azioni di trazione nel rinforzo stesso, aumentando notevolmente la resistenza meccanica e la deformabilità della terra. Particolarmente innovativo è il sistema che utilizza materiali geosintetici capaci di svolgere un ruolo costrittivo nei confronti del terreno, rendendolo meno sensibile alle deformazioni sotto carico. Il geosintetico deve essere dotato di elevate caratteri-
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n. 3-4/ 2007 livello successivo. Infine, quando prevista, si può operare l’idrosemina per avere la germinazione di un manto erboso. L’impiego di geosintetici a struttura di geocelle di spessore elevato è ideale quando si deve riportare e trattenere uno strato di terreno fertile su superfici sterili, come le scarpate rocciose e aride o sui manti impermeabili di lunghezza limitata.
stiche di resistenza a trazione, allungamento, permeabilità perpendicolare al piano e durabilità. Si ottiene utilizzando materiali con grossa grammatura, aventi un peso per unità di superficie uguale o superiore a 400g/m2. Il muro in terra rinforzata è adatto alla stabilizzazione di pendii, alla costruzione di rilevati stradali e ferroviari e di strutture di contenimento. Il sistema è utilizzabile su qualunque tipo di terra, ma aumenta le proprie prestazioni di stabilità e di resistenza in presenza di terreni granulari caratterizzati da elevati angoli di attrito interno (Φ). Nel caso in cui il terreno sia dotato di scarse qualità geomeccaniche, è raccomandabile aggiungere sabbia, ghiaia o spaccati di cava con pezzatura medio-piccola che aumentano la compattazione ed evitano i possibili danneggiamenti alle griglie di rinforzo. La posa del sistema svolge un ruolo particolarmente importante: materiali con alte performances meccaniche ma poco deformabili possono subire una forte riduzione delle prestazioni a causa del danneggiamento che si verifica per effetto di una messa in opera poco accurata. Il sistema è posato attraverso una casseratura che sostiene i livelli di terreno da rinforzare e dona maggiore planante al paramento. La casseratura può essere rimovibile, quando ritiene gli strati di terreno solo in fase costruttiva, o a perdere, quando viene lasciata in opera. Nel primo caso, i casseri vengono tolti quando si passa alla costruzione di uno strato successivo e il risultato finale è un paramento frontale disomogeneo, con evidenti “spanciamenti”. Il cassero a perdere, generalmente, è costituito da una rete elettrosaldata sagomata con all’interno una biostuoia o una georete che trattengono il fino per favorire il rinverdimento frontale. L’aspetto finale è omogeneo. Le fasi costruttive prevedono: - Preparazione del piano di posa tramite regolarizzazione e compattazione del terreno; - Posa del cassero frontale e degli eventuali tiranti; - Taglio dei geosintetici su misura e posa della geogriglia sul piano; - Posa del geosintetico di contenimento (biostuoia o biorete) all’interno della geogriglia per evitare il dilavamento della porzione fine di terreno e per costituire una superficie idonea per l’aggrappaggio dei semi; - Riempimento del sistema con inerti, da realizzarsi per sovrapposizione di strati compattati con appositi macchinari; - Risvolto della porzione terminale della geogriglia sopra il primo livello di inerte, con fissaggio tramite picchetti a U all’estremità di monte. Il nuovo piano così ottenuto costituisce la fondazione per il
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Paratie Le paratie sono costituite da una struttura verticale relativamente sottile, ammorsata nel terreno fino a una certa profondità sotto il piano di scavo in modo da ottenere un supporto sufficientemente robusto per contrastare le spinte del terreno, dell’acqua e di eventuali sovraccarichi. Le palancole metalliche, inoltre, possono essere utilizzate come opere provvisorie, in quanto permettono l’esecuzione di scavi di profondità a grandezza media e il successivo recupero della paratia. Strutture di sostegno speciali I sistemi speciali di contenimento sono utilizzati nelle opere marittime. Tra di essi si ricordano il “cofferdam”, formato da una doppia parete di palancole infisse nel terreno e collegate tra loro da una doppia rete di tiranti riempite di terra, e la “banchina danese”, formata da una soletta in cemento armato portata da pali verticali e inclinati e da una paratia come fronte d’accosto. Armatura degli scavi In molti casi, nelle operazioni di scavo del terreno è necessario realizzare opere di sostegno. Negli sbancamenti di larghezza superiore rispetto all’altezza (o scavi a cielo aperto), è necessario prevedere un sistema di protezione per i materiali a comportamento granulare solo se l’inclinazione della parete dello scavo è maggiore dell’angolo di attrito interno del terreno o se si supera l’altezza critica in materiali coesivi. Nel caso di scavi a sezione obbligata, in cui la profondità è maggiore della larghezza, occorre necessariamente armare lo scavo per evitare crolli e franamenti delle pareti. Fanno eccezione i casi in cui lo scavo non raggiunge la profondità di 1 metro o le pareti sono rocciose. Le strutture di sostegno devono essere installate a diretto contatto con la facciata dello scavo e, dove necessario, deve essere inserito del materiale di rincalzo tra la facciata dello scavo e l’armatura, per garantire la continuità del contrasto. L’armatura deve essere tale da resistere alle sollecitazioni indotte da: - Pressione del terreno; - Strutture adiacenti; - Carichi addizionali e vibrazioni (attrezzature, traffico veicolare, materiale di stoccaggio, ecc.). Le armature possono essere realizzate con elementi in legno o in metallo. Se si utilizzano puntelli di acciaio disposti perpendicolarmente ai montanti o ai pannelli in legno, occorre sempre verificare la compatibilità del carico trasmesso dall’acciaio al legno stesso. Le paratie vengono utilizzate per risolvere problemi di natura idraulica e statica di sostegno del terreno, specialmente lungo i fiumi, i canali e i porti. La struttura può essere formata da palancole prefabbricate e infisse, da pali trivellati accostati e da diaframmi in c.a. costruiti in opera. «Modulo»