Vestivano alla marinara di Franco Maria Puddu
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Breve panoramica sull’abbigliamento della gente di mare in pace e in guerra
arafrasando il celebre best seller autobiografico del 1975 di Susanna Agnelli, verrebbe da chiedersi il perché dello strano titolo: “Vestivamo alla marinara”. Il concetto ispiratore era stato una moda dell’infanzia dell’autrice, nata da una lanciata, nel 1846, dalla Regina Vittoria d’Inghilterra che aveva fatto ideare, per i propri figli, degli abiti simili a quelli dei marinai. La regale iniziativa aveva, naturalmente, avuto successo ed era stata imitata a corte, per divenire poi un vero cliché della moda infantile delle famiglie aristocratiche prima, di quelle della borghesia poi e, infine, di tutte quelle “bene” fino alla Seconda Guerra Mondiale. La Regina si era ispirata alla nascita delle prime divise della Royal Navy; ma fino a quel momento, come si erano vestiti i marinai, mercantili o militari che fossero? Esistevano particolari norme che ne regolamentavano l’abbigliamento rendendolo più idoneo o confortevole per la vita di bordo? Si e no; non esisteva una regola fissa anche se un po’ ovunque erano nate delle usanze abbastanza simili tra loro; in fin dei conti si trattava di abbigliare uomini comunemente destinati a lavorare nell’ambiente marino, anche se non con modalità identiche, perché il Baltico non è il Mar Rosso. Fra i primi navigatori egiziani, fenici, greci, cartaginesi e romani, stando alle testimonianze giunte fino a noi, il marinaio appariva più svestito che vestito, perché per poter lavorare agevolmente doveva essere libero. I romani indossavano il subligaculum,
un perizoma in lino legato alla vita, e, in caso, una corta tunica senza maniche (due panni cuciti insieme, dei quali quello della schiena era più lungo) stretta in vita da una cintura. Considerando che per secoli la navigazione si effettuava per lo più d’estate, lungo costa, di giorno ed evitando le tempeste, di rado si usavano vestiti invernali, ricorrendo tutt’al più ad una paenula, una tunica più pesante e dotata di cappuccio. Sino a quel momento, i traffici mercantili erano sovente vittime della pirateria, anche perché le operazioni militari si svolgevano solo tra unità da guerra che, fra l’altro, a parte le navi veloci o da collegamento e pattugliamento, uscivano dal porto solo per andare a dar battaglia. Ma con l’affermarsi della potenza romana e il diversificarsi delle azioni navali, sulle unità da guerra vennero imbarcati contingenti di soldati destinati alla vigilanza, al combattimento di artiglieria e all’abbordaggio delle unità avversarie (l’arrembaggio nacque secoli dopo, quando i fanti da mar veneti iniziarono a salire sulle navi nemiche utilizzando un palchetto prodiero delle galere chiamato “remba”, da cui arrembare e arrembaggio). Così, a bordo delle navi militari romane, dalle liburne alle poliremi, negli equipaggi solo il reparto combattente indossava una tenuta regolamentare.
Niente uniforme per i marinai L’abbigliamento del marinaio rimarrà per secoli un optional: dalla tunica del rematore romano, alle ca-
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In questo mosaico del II-III secolo a.C. dell’Antiquarium Comunale di Roma, rappresentante una nave che salpa, possiamo osservare il succinto abbigliamento di due marinai al posto di manovra; in apertura, un bambino “vestito alla marinara” all’inizio degli Anni 20
Capitani e ufficiali indossavano capi migliori e più curati, ma la situazione di base era simile per tutti. Il Medio Evo, periodo che va dal X al XIV secolo, non sarà forse stato quell’abisso oscuro che oggi, probabilmente a torto, si dice, ma per i naviganti vi si avvicinava molto. Non esistevano più le flotte; il concetto di potere marittimo era svanito; i capitani mantenevano segrete le loro tecniche di navigazione e si contendevano tra loro le rare carte; pirati, turchi, “saracini”, normanni e vichinghi erano sempre in agguato; tempeste e malattie falciavano vittime ogni giorno. Fino a che la marineria non tornò a rinascere con le grandi esplorazioni e navigazioni. Non migliorò, naturalmente, la situazione degli ufficiali, che provenendo da ceti elevati, vivevano già in uno status superiore sotto ogni punto di vista: un ritratto del 1591 di Sir Francis Drake ce lo
sacche nere dei marinai crociati, a quelle rosse dei galeoti (poi galeotti, i rematori delle galere), ai policromi abbigliamenti delle ciurme ottomane, ai panni dai colori smorti comuni a tutta la “bassa forza” dal Medio Evo in poi, quando per un avaro soldo, un vitto infame e una sistemazione peggiore, il marinaio conduceva una vita durissima comandato da superiori che spesso lo disprezzavano, sotto il maligno sibilo del “gatto”, la frusta con la quale i nostromi carezzavano schiene e toraci. Non crediamo avesse molta voglia di interessarsi di uniformologia. Vestiva panni simili a quelli dei contadini, ai quali l’usanza di andare a piedi nudi lo accomunerà a lungo, anche se lui rinunciava alle calzature per avere più “presa” sul ponte e salire meglio sulle griselle, mentre i “terrazzani” lo facevano per non rovinare il loro unico paio di scarpe. Per il resto vestiva panni grezzi (le tinture non erano al livello delle sue possibilità), copricapi di lana o feltro, camiNel’immagine dell’Arazzo di Bayeux qui illustrata si nota che l’abbigliamento dell’equipagciotti e giubboni. Niente ingio (il timoniere, l’uomo alle manovre e il comandante al centro e uno allo scandaglio a dumenti di pelle e cuoio, prora) si limita ad una tunica a maniche lunghe, mentre sotto questa i trasportati indossano troppo costosi. un altro capo del quale si vede il colletto
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mostra molto più simile a un dandy che a un comandante. Prima che si dessero le divise alla gente, i Royal Marines britannici, istituiti nel 1667 e imbarcati sulle navi, ricevettero delle giubbe rosse che servivano per riconoscersi nel combattimento e che li fecero soprannominare lobsters (aragoste) dai marinai, che, non combattendo, non ne avevano bisogno. Quando, qualche decennio dopo, nella Royal Navy gli ufficiali indossarono i primi capi blu, non fu per un omaggio al mare; nonostante tradizioni, velleità, e l’inno dei Royal Marines Un modello dell’interno del Gustavo Vasa: dall’alto, il ponte di batteria (a poppa è l’alloggio del comandante) e il primo ponte di corridoio con i cannoni, il secondo ponte di corridoio con l’inferche si intitolerà “Life on the meria e a poppa, due cannoni postati in ritirata, la cambusa, la sentina, la cucina protetta da matOcean waves” (Vita sulle toni refrattari; l’equipaggio, rappresentato da realistici manichini, veste panni confezionati con onde dell’Oceano), la comtessuti grezzi dai colori smorti che contrastano con lo sfarzo della nave, simili agli slop britannici parsa del blu fu dovuta a motivi molto più prosaici, eventi ne manterranno la continuità. e dipese dalla Guerra dei 7 Anni (1756 – 63). Il più noto è una striscia di pezze di lino grezzo cuCon questo conflitto, l’Inghilterra aveva assunto cite fra loro, lunga 68,38 metri e alta 50 cm, ricamauna posizione dominante sulla Francia nel teatro ta con fili di lana in otto colori, nota, anche se non indiano, acquisendo, fra l’altro, il monopolio delha l’aspetto di un arazzo, come Arazzo di Bayeux. É l’indaco, una costosissima (come tutte le buone un lungo drappo, ricamato a Canterbury, per decotinture dell’epoca) sostanza vegetale. Per il suo rare il palazzo vescovile di Bayeux, secondo alcune basso costo, per la Corona, gli indumenti degli uffonti tra il 1066 e il 1082, secondo altre tra il 1070 e ficiali britannici inizieranno a colorarsi di blu, suil 1077; riproduce 126 personaggi in una sessantina bito imitati a caro prezzo (l’orgoglio non bada a di tavole, ciascuna corredata da una didascalia in laspese) da quelli delle altre Marine. Nel 1748 nella tino, che narrano la storia della conquista normanRoyal Navy comparve così una tenuta, regolamenna dell’Inghilterra avvenuta nel 1066. tata dall’Ammiragliato, che sarà la base di quelle Ordinato da Ottone di Bayeux, fratellastro di Gudegli ufficiali di tutte le Marine: abito blu scuro glielmo il Conquistatore, è un’opera minuziosa ed con panciotto, calzoni al ginocchio e calze bianesatta, che è per noi una fonte inestimabile di inche, cappello a tricorno. formazioni sui castelli, sul vestiario, sulle navi e Ma come facciamo a sapere quali foggia e colore sulle condizioni di vita di quell’epoca, delle quali avesse l’abbigliamento del marinaio, se non esistevaabbiamo pochissime notizie. no regole fisse? Chi ci ha tramandato queste notizie? Un altro importante evento avvenne il 12 agosto 1628, quando il galeone svedese Gustav Vasa, la Testimonianze dal passato più grande nave da guerra di allora, affondò per Dal periodo ellenico in poi, ci sono pervenute nuuna serie di circostanze al termine del varo. Per merose pitture, mosaici e cronache fino alla caduta rendere la cerimonia più sfarzosa, il Re di Svezia dell’Impero Romano (prima d’Occidente, poi d’Oaveva fatto portare a bordo quadri, arredi, vasellariente); da questo momento fino al XVII secolo me, armi e, nelle dotazioni, anche indumenti per questo “canale informativo” si inaridirà, ma alcuni
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l’equipaggio che, dopo il che erano rozzi, ma codisastro, caddero nell’omodi e funzionali. I giacblio con il Vasa, che giacconi erano privi di scoque per secoli sui fondali mode appendici, pantalodell’avamporto di Stocni e giubbe avevano ampi colma. spacchi su gambe e maniQui venne ritrovato nel che per essere arrotolati 1956, recuperato nel 1961 rapidamente, le asole dele, dopo lunghi anni di le giacche erano larghe e trattamento chimico per rinforzate in pelle perché consolidare il legname che i bottoni, a causa delle talo componeva, musealizglie approssimative, non zato e aperto al pubblico logorassero il tessuto. nel giugno del 1990, con La lunga strada tutta la sua preziosissima Questo giaccone pesante faceva parte del carico di indudei cambiamenti messe di reperti e, anche, menti rinvenuti a bordo del General Carlton; le tasche allenDalla fine del XVIII secodi scheletri di marinai tate e le asole dei bottoni sformate mostrano che il capo di lo i tempi iniziarono a morti nel disastro, rimasti vestiario non era nuovo, ma era già stato abbondantemente usato prima che affondasse con la nave cambiare, specie nella Ronello scafo con ancora gli yal Navy, cui facciamo indumenti addosso. tanto spesso riferimento anche perché, dopo la Importantissimo fu poi il ritrovamento del General sconfitta napoleonica, era divenuta la maggiore Carlton, un bark inglese colato a picco nel settemMarina del mondo. I suoi marinai, però, vivevano bre del 1785 sempre nel Baltico, scoperto e recupeuna vita durissima, malpagati, sottoposti ad angherato nel 1995 da archeologi polacchi che rinvennerie e punizioni continue; il malcontento era diffuro a bordo un carico di ferro e uno di indumenti. sissimo. Si pensi che dal 1658 al 1793 non erano Alla Royal Navy, perennemente affamata di marimai stati concessi aumenti alla miserrima paga denai che, vessati da una vita durissima, disertavano gli equipaggi, molto inferiore a quella dell’Esercito di continuo, molti ne procacciavano le press gang, e ancor più a quella della Marina mercantile. bande di arruolatori (meglio razziatori) militari dai metodi criminali, alle quali, ancora nel 1795, il Quota Act, legge che fissava la quota minima di personale che doveva essere sempre “in tabella”, permetteva l’arruolamento forzato di tutti gli uomini tra i 18 e i 55 anni che vivevano lungo i fiumi o sul mare. Per questi sventurati, rapiti nei pub, nei bordelli o per strada, gli opifici dell’Ammiragliato preparavano abiti da lavoro in taglie standard detti slops, ossia “mutandoni”, perché comprendevano i larghi pantaloni di tela al ginocchio (slops) portati allora dai marinai, tanto che la cala vestiario, sulle navi da guerra, era detta slop room. Il quadro del pittore americano Mark Churms sulla morte di Nelson, mostra la situazioLe acque del Baltico conservarono ne del vestiario degli equipaggi: Nelson, ferito a morte, è soccorso da un ufficiale in divisa, forse il comandante del Victory, mentre un sottufficiale dei Royal Marines lo sorregil prezioso carico di indumenti di ge e un Marine carica il suo moschetto. Un ufficiale dei Marines è sulla scala del cassero, marina del General Carlton, la più dove un allievo sta urlando un ordine; alle loro spalle, su una nave nemica accostata al completa collezione mai rinvenuvascello, sulle griselle si intravede un marinaio francese con cappello “tondo”, giacca ta, dalla quale abbiamo appreso blu e pantaloni a righe. I cannonieri e i marinai inglesi, invece, non hanno divisa
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Un gruppo di “Jack Tar” in una illustrazione di George Thomas del 1854, pubblicata dal London News, indossa la prima divisa fornita agli equipaggi britannici dall’Ammiragliato
Marina sardo – piemontese: nocchiere di 4ª classe al fischio con cappello “tondo” del 1844 e marinaio del 1850 in tenuta invernale ma con cappello “militare”; è evidente quanto la tenuta del marinaio abbia influenzato le scelte dell’Ammiragliato britannico
Alla fine avvenne l’inevitabile: nel 1797 i marinai della Channel Fleet, la flotta cui era preposto il vitale controllo del Canale, ossia la Manica, si ammutinarono in massa, e nel 1806 un episodio simile si ripeté, coinvolgendo anche un certo numero di ufficiali. Corona, Governo e Ammiragliato dovettero ammettere, controvoglia ma apertamente, che bisognava porre rimedio a questa situazione insostenibile. Tuttavia occorsero anni e calma: dapprima vennero migliorate le condizioni di bordo e il vitto, poi diminuiti i maltrattamenti e alleggerite le punizioni, quindi furono aumentate le paghe, con reciproca soddisfazione delle parti. La coesione tra marinai e marines, ferma restando la divisione che li separava negli incarichi, aumentò, e l’Ammiragliato concesse le uniformi anche alla gente di bordo, ma senza regolarizzarle come quelle dei fanti da sbarco e degli ufficiali. Per questo, a volte i comandanti provvedevano al vestiario, come alcuni nobili che equipaggiavano a proprie spese i reggimenti dell’Esercito che ottenevano dalla Corona, pagando, assieme al grado di colonnello. Avvenne così che i marinai del HMS
Vernon nel 1830 ricevettero delle tuniche rosse che, quando la partita di indumenti arrivò agli sgoccioli, vennero mantenute solo per la guardia in porto e sostituite in servizio da altre, blu, meno costose. Sul HMS Blazer l’equipaggio ebbe pesanti camiciotti di lana blu profilati di bianco, poi sostituiti da giacche blu a un petto con bottoni dorati che i civili chiameranno blazer (al proposito ricordiamo che dalla passione per il lavoro a maglia di Lord Ràglan, comandante le forze britanniche nella guerra di Crimea, nacquero le maniche alla raglàn, un soprabito per cavalcare della metà dell’800, il reading coat, diventerà la redingote e l’impermeabile da trincea, trench coat, della Grande Guerra darà origine al trench). La goccia che fece traboccare il vaso fu però la decisione del comandante Wilmott dell’HMS Arlequin, uno sloop da 16 cannoni, che nel 1853 richiese dei costumi da Arlecchino per abbigliare i suoi marinai: la stampa insorse e l’Ammiragliato capì che era il momento di occuparsi seriamente della divisa di Jack Tar, ossia “Giovannino catrame”. Nel Regno Unito il marinaio era infatti indicato, con affettuoso disprezzo, con questo nomignolo, sia
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perché era sempre sporco di catrame (usato a bordo per calafatare i comenti di tutta la nave), sia perché, almeno fino al 1830, in molte Marine, Royal Navy compresa, vigeva la moda di tenere ordinati i capelli fermandoli dietro la nuca in un codino catramato. La tenuta era semplice ma funzionale: scarpe nere, calzoni lunghi e giacchetta in velluto nero o blu scuro con bottoni dorati e solino, camicia bianca con fazzolettone nero, cappello in cuoio a larghe tese con un nastro recante il nome della nave ricadente in due code sulla nuca. Nelle altre Marine il percorso fu simile: anni dopo gli ufficiali anche gli equipaggi ebbero la divisa. Solo in Francia il matelot l’aveva già da prima della Rivoluzione, e nel periodo napoleonico aveva indossato una giacca aperta blu con camicia bianca e gilet rosso, pantaloni bianchi a righine blu o rosse e copricapo in cuoio a cilindro. Negli Stati preunitari italiani la piccola ma agguerrita Marina Sarda, che nel 1861 cambierà nome in Regia Marina, aveva avuto uniformi di derivazione francese fino al 1850 circa, poi la loro foggia si avvicinerà a quelle britanniche; da queste deriveranno quelle rimaste in uso nella Marina Militare fino alla fine della seconda metà del secolo XX. L’Austria Ungheria seguirà tendenze, tempi e mode britanniche, con l’eccezione dei copricapi di ufficiali e marinai. Del resto molti particolari varieranno spesso un po’ ovunque, dal cappello in Italia detto “tondo” (a cilindro) a quello detto “militare” (di Jack Tar); quest’ultimo prima in cuoio, poi anche in fibra di palma o paglia, finché non diventerà “berretto”, in tessuto con armatura interna (tutti, comunque, con nastro nero a due code), al solino, più o meno grande, a cravatte o fazzoletti neri, ai pantaloni, sempre molto larghi, a volte a campana o, più di rado, a “tubo” dal ginocchio in giù. In alcuni casi, come nella Marina degli Stati Confederati durante la Guerra Civile americana, per motivi contingenti le divise saranno confezionate con il panno dell’Esercito. Contemporaneamente le Marine mercantili, a partire dalla nascita del traffico passeggeri, svilupperanno una propria linea di uniformi per il personale di bordo, derivata da quella militare. Dopo l’epopea delle Marine delle Indie e dei clipper, con i primi piroscafi e poi con il periodo d’oro dei transatlantici, le Società di navigazione si faranno un punto d’onore di rivestire equipaggi, personale di coperta e di cabina delle loro unità, con eleganti uniformi che parafrasavano sulla stoffa quelle militari, con gradi e spalline, mentre sul berretto troneggia-
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In questa cartolina della Grande Guerra per la sottoscrizione di buoni a favore della Marina Imperiale, la divisa del marinaio ha subito una completa evoluzione: il cappello è diventato l’attuale berretto, il giacchetto è un pratico camisaccio con solino decorativo e non più funzionale
va lo stemma socetario. Molte volte esageravano con questa quasi identificazione tra militare e civile, ma a quei tempi l’apparenza aveva la sua importanza, tanto che spesso era uno specchio di sentimenti profondamente radicati; ne abbiamo un esempio lampante se pensiamo al captain Edward John Smith, l’ufficiale della Marina mercantile comandante il Titanic, che, affondando con il transatlantico nella notte del 14 aprile 1912, esattamente 100 anni fa, mentre nell’aria gelida si spengevano le ultime note dell’orchestra di bordo, esortò, rivolgendosi a quanti, sgomenti, attendevano la fine sul ponte, dicendo loro: “Siate inglesi”. Furono quelle le sue ultime parole, che precorrevano anche la fine di ■ un’epoca.