Vasari e la Chiana A cura di Serena Nocentini
Ci sono due motivi per cui dedichiamo questo seminario a Giorgio Vasari. Il primo è puramente celebrativo, infatti nel 2011 ricorre il Cinquecentenario della nascita di questo glorioso personaggio; e ci sembrava opportuno omaggiarlo anche con questa iniziativa per offrire ai voi insegnanti alcune riflessioni. Queste potranno essere rielaborate nelle vostre proposte in concorso, di modo che anche voi possiate onorare l’aretino Giorgio Vasari. Il secondo motivo invece è del tutto storico-culturale. Vasari infatti ha lavorato anche in Valdichiana, ha scritto della Valdichiana, aveva possedimenti in questa terre e i suoi avi erano oriundi della Valdichiana. Nel 1467, nella città di Arezzo, sulla strada all’epoca nominata ‘da Perini al Canto di Baccio’ (oggi via Mazzini), aveva preso casa, assieme a tutta la famiglia, Lazzaro di Nicolò de’ Taldi da Cortona sellaio. Densi ragguagli su questo poco noto personaggio ce li racconta Vasari, nelle celebri Vite che, dove con impareggiabile acutezza, dedica un intero compendio proprio a Lazzaro. Leggiamo alcuni passi della biografia che Vasari gli dedica nel 1568: Lazzaro era “stato pittore famoso ne’ tempi suoi, non solamente nella sua patria, ma in tutta Toscana (…). Pittor aretino, amicissimo di Piero della Francesca dal Borgo a San Sepolcro, e sempre praticò con esso lui mentre egli lavorò, come si è detto, in Arezzo”. Il Biografo ci informa inoltre che “la prima opera in fresco fu in San Domenico d’Arezzo, nella seconda cappella a man manca entrando in chiesa, un San Vincenzio”. Questo dipinto, anche se la critica non lo attribuisce concordemente a Lazzaro, è l’unica tra le opere indicate da Giorgio Vasari che ad oggi si conserva di questo pittore ad Arezzo. Delle opere assegnate dal nipote a Lazzaro eseguite fuori dalla città si hanno, a mio parere, testimonianze non sicure. Come ad esempio quelle in “Castiglione Aretino una tavola a tempera in S. Francesco, et altre molte cose che per non esser lungo non accade raccontare, e particolarmente di figure piccole molti cassoni che sono per le case de’ cittadini.” Perché dunque Giorgio aveva dato così tanto risalto a questo poco noto personaggio? La risposta anche in questo caso possiamo forse trarla dalle Vite: “e quegl’uomini che nell’istorie trovano esser fatta onorata menzione d’alcuno de’ suoi passati, hanno pure, se non altro, uno stimolo alla virtù et un freno che gli ratiene dal non fare cosa indegna di quella famiglia che ha avuto uomini illustri e chiarissimi”. Lazzaro era il bisavolo del nostro Giorgio il quale poteva averlo idealizzato a tal punto da concepirne un mito per giustificare e confermare la propria vocazione artistica. In questa sede non entreremo in merito alla professionalità di Lazzaro, anche se un’attenta disamina dei documenti ci porta a pensare che egli potesse essere stato semplicemente un buon pittore di barde e, in margine, di cassoni nuziali. Le fonti vasariane sono spesso ‘di parte’, ovvero ideate e romanzatate dall’artista stesso, per ricostruire un’immagine di sé ad hoc da tramandare ai posteri. Lazzaro ebbe quattro figli, tra cui Giorgio che di mestiere faceva il vasaio ed esercitava questa attività nella bottega sottostante l’abitazione ‘presso el cantone de’ Perini’. È probabile che proprio con tale Giorgio la famiglia si nominò non più de’ Taldi ma dei Vasari. Giorgio ‘vasaio’ fu padre di ben dodici figli che intrapresero distinte professioni: alcuni seguitarono il mestiere del padre, altri 1
esercitarono l’oreficeria e taluni seguirono la vocazione religiosa. Ma di questa numerosa famiglia vogliamo qui ricordare un figlio in particolare: Antonio, che di mestiere faceva il ‘treccolo’ ed era sposato con Maddalena Tacci; il 30 luglio del 1511, proprio nella dimora ubicata nella contrada ‘da Perini al Canto di Baccio’, Maddalena partorì un maschio al quale fu dato lo stesso nome del nonno ‘vasaio’, Giorgio Romolo. Il nostro illustre concittadino fu portato al fonte battesimale della Pieve, alla cui parrocchia apparteneva – e appartiene ancora oggi – questa strada; chiesa nella quale, egli nel secondo decennio del Cinquecento, costruì l’altare di famiglia, omaggiando anche lo stesso Lazzaro. Lazzaro oltre ad essere bisavolo del nostro, fu lo zio di un altro famoso artista cortonese, Luca Signorelli. Il padre di Luca, Egidio di Ventura Signorelli, aveva infatti sposato la sorella di Lazzaro. E anche in quest’occasione Vasari si prodigò per consacrare le sue doti artistiche, che certo non gli venivano dal padre che era un semplice commerciante. E nella Vita dedicata al Signorelli ricorda (o forse romanza) questo simpatico aneddoto: “Finalmente, avendo fatte opere quasi per tutti i prìncipi d’Italia et essendo già vecchio, se ne tornò a Cortona, dove in que’ suoi ultimi anni lavorò più per piacere che per altro, come quello che, avezzo alle fatiche, non poteva né sapeva starsi ozioso. Fece dunque in detta sua vecchiezza una tavola alle Monache di S. Margherita d’Arezzo, et una alla Compagnia di S. Girolamo, parte della quale pagò messer Niccolò Gamurrini dottor di legge, auditor di Ruota, il quale in essa tavola è ritratto di naturale inginocchioni dinanzi alla Madonna, alla quale lo presenta uno S. Niccolò che è in detta tavola; sonovi ancora S. Donato e S. Stefano, e più abbasso un S. Girolamo ignudo et un Davit che canta sopra un salterio; vi sono anco due Profeti, i quali, per quanto ne dimostrano i brevi che hanno in mano, trattano della concezione. Fu condotta quest’opera da Cortona in Arezzo sopra le spalle degl’uomini di quella Compagnia; e Luca, così vecchio come era, volle venire a metterla su et in parte a rivedere gl’amici e parenti suoi. E perché alloggiò in casa de’ Vasari, dove io era piccolo fanciullo d’otto anni, mi ricorda che quel buon vecchio, il quale era tutto grazioso e pulito, avendo inteso dal maestro che m’insegnava le prime lettere che io non attendeva ad altro in iscuola che a far figure, mi ricorda, dico, che voltosi ad Antonio mio padre gli disse: ‘Antonio, poi che Giorgino non traligna, fa’ ch’egli impari a disegnare in ogni modo, perché quando anco attendesse alle lettere, non gli può essere il disegno, sì come è a tutti i galantuomini, se non d’utile, d’onore e di giovamento’. Poi rivolto a me che gli stava diritto inanzi, disse: “Impara, parentino”. Disse molte altre cose di me, le quali taccio perché conosco non avere a gran pezzo confermata l’openione che ebbe di me quel buon vecchio. E perché egli intese, sì come era vero, che il sangue in sì gran copia m’usciva in quell’età dal naso che mi lasciava alcuna volta tramortito, mi pose di sua mano un diaspro al collo con infinita amorevolezza; la qual memoria di Luca mi starà in eterno fissa nell’animo. Messa al luogo suo la detta tavola, se ne tornò a Cortona, accompagnato un gran pezzo da molti cittadini et amici e parenti, sì come meritava la virtù di lui, che visse sempre più tosto da signore e gentiluomo onorato che da pittore.” Luca morirà nel 1521, all’età di 82 anni e grazie anche alla testimonianza del Vasari conosciamo molte delle sue opere realizzate in Valdichiana. A Cortona, sua città natale, dipinse “In S. Margherita di Cortona sua patria, luogo de’ Frati del Zoccolo, un Cristo morto, opera delle sue rarissima.” L’opera, firmata, si trovava a metà dell’800 nel coro della Cattedrale. Attualmente è conservata al Museo Diocesano, con suo gradino. “E nella Compagnia del Gesù nella medesima città fece tre tavole, delle quali quella ch’è allo altar maggiore è maravigliosa, dove Cristo comunica gl’Apostoli e Giuda si mette l’ostia nella scarsella.”
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Anche questo dipinto, firmato e datato 1512 si conserva oggi al Museo Diocesano. Le altre due opere sono anch’esse al Museo diocesano attribuite alla sua scuola. “E nella Pieve, oggi detta il Vescovado, dipinse a fresco nella cappella del Sagramento alcuni Profeti grandi quanto il vivo, et intorno al tabernacolo alcuni Angeli che aprono un padiglione, e dalle bande un S. Ieronimo et un S. Tommaso d’Aquino.” Questi affreschi purtroppo sono andati perduti, forse nella prima metà del XVIII secolo, quando la chiesa fu ammodernata. “All’altar maggiore di detta chiesa fece in una tavola una bellissima Assunta.” Questa tavola fino alla metà dell’ 800 si trovava in collezione privata del cavalier Luca Tommasi di Cortona, così descritta: “Nostra Donna ascende in Cielo posando i pie sopra teste dì Serafini; mentre due Angioli la incoronano. In basso sono quattro Santi; dei quali San Pietro e San Paolo, grandi quanto il vivo, stanno sul davanti.” A Castiglion Fiorentino fece “sopra la cappella del Sacramento, un Cristo morto con le Marie”. La costruzione della Pieve Vecchia iniziò nel 1452. Sullo scorcio del Quattrocento Luca Signorelli dipinse ad affresco il Compianto su Cristo morto nella Cappella del Sacramento, dove si trovano anche il fonte battesimale in pietra serena, realizzato per Teodora Visconti alla metà del XV secolo, il rilievo in terracotta invetriata policroma rappresentante il Battesimo di Cristo di ambito robbiano. A Lucignano in San Francesco dipinse “gli sportelli d’un armario, dentro al quale sta un albero di coralli che ha una croce a sommo.” Questi sportelli dipinti da Luca non sono più in loco, e pare fossero sottratti nella soppressione di quel convento avvenuta nel 1810. La Pinacoteca comunale conserva una lunetta con San Francesco che riceve le stimmate che gli studiosi riconducono ad uno degli sportelli realizzati nel 1482 sull’armadio che, nella Chiesa di San Francesco, doveva contenere il celebre reliquiario detto “Albero della Vita” o “Albero d’oro”. Tuttavia si può ammirare ancora oggi il prezioso reliquiario. Esso è di rame dorato, ha la forma d'albero con imbasamento a tempietto gotico a croce greca. Ogni ramo ha varie foglie di bizzarra forma con vari pezzi di corallo innestati. All’estremità di ogni ramo c’è un castone, che di faccia presenta una miniatura in pergamena coperta di cristallo e nel rovescio, ha figure di niello. In cima dell'albero posa un pellicano a tutto tondo. Questo singolare lavoro di oreficeria fu cominciato nel 1350 e compiuto nel 1471 da maestro Gabbriele d'Antonio da Siena. Il Vasari poi aggiunge che in cima vi era una croce. E sempre dal racconto del Vasari, abbiamo notizia che Luca “da Cortona mandò dell’opere sue a Monte Pulciano, a Foiano la tavola dell’altar maggiore che è nella Pieve, et in altri luoghi di Valdichiana.” La tavola di Foiano rappresenta la Madonna col Bambino con angeli e santi in preghiera. Nell’archivio della collegiata di Foiano è conservata la ricevuta firmata da Luca Signorelli nella quale dichiara di aver terminato la tavola nel 1522 e di aver ricevuto il compenso di 90 ducati d’oro. Voglio infine raccontarvi un altro aneddoto, sempre tratto dalla Vita di Luca Signorelli. L'episodio si adatta bene alla nobilitazione che Vasari spesso riservava alle vite degli artisti, specialmente, come abbiamo già detto, a coloro che hanno influito sulla sua formazione artistica. Tanto più trattandosi del pittore che, nel suo disegno letterario, era destinato a prefigurare la vicenda del “divino” Michelangelo.
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“Dicesi che essendogli stato ucciso in Cortona un figliuolo che egli amava molto, bellissimo di volto e di persona, che Luca così addolorato lo fece spogliare ignudo e con grandissima constanza d’animo senza piangere o gettar lacrima lo ritrasse, per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani, quello che la natura gli aveva dato e tolto la nimica fortuna.” Alcuni hanno voluto vedere nel Compianto sul Cristo morto di Cortona il ritratto del figlio nella figura del Cristo morto. Il Signorelli doveva comunque essere in stretti rapporti con Michelangelo, se nel 1513 il glorioso artista tentò di riavere da Luca un prestito, che gli valse una denuncia al Capitano di Cortona e una controversia legale della quale però non si conoscono gli esiti. Dai documenti pare dunque confermarsi il ritratto che Vasari fece di lui nelle Vite, quale uomo brillante, piacevole, estroverso, pieno di amici e amante del “vestir bene” e della vita agiata. Questo è solo un esempio di quante informazioni storico-artistiche possiamo ricavare dalla Vite del Vasari, che ci permetterebbero di compilare un viatico intitolato “La chiana nelle Vite del Vasari”. Abbiamo infatti notizie di importanti pittori, scultori e architetti che operarono in questa fervida vallata. Da Niccolò Pisano che lavorò a Cortona, agli architetti e scultori senesi Agostino e Agnolo che operarono a Cortona e a Monte San Sanvino. Il pittore Bartolommeo della Gatta lasciò sue opere a Castiglion Fiorentino e a Monte San Savino; il Beato Angelico dipinse la bell’Annunciazione a Cortona. E l’architetto scultore Andrea Sansovino, oriundo del Monte e particolarmente stimato a Firenze, lasciò nella sua terra numerose opere, tra le quali si ricordano, di fronte al palazzo Di Monte, l’elegante Loggia dei Mercanti e il chiostro di Sant’Agostino. E Vasari? Grazie alla mediazione di un prestigioso personaggio cortonese, Vasari poté dare una ‘svolta alla sua vita.’ Il potente Cardinale Passerini infatti lo introdusse in quella che all’epoca era tra le più prestigiose famiglie del panorama nazionale: i Medici. E ce lo racconta lui stesso nella vita del suo caro amico e compagno di lavoro Francesco Salviati: “L’anno 1523 passando per Arezzo Silvio Passerini cardinale di Cortona, come legato di papa Clemente Settimo, Antonio Vasari suo parente menò Giorgio suo figliuol maggiore a fare reverenza al cardinale; il quale veggendo quel putto, che allora non aveva più di nove anni, per la diligenza di messer Antonio da Saccone e di messer Giovanni Polastra eccellente poeta aretino, essere nelle prime lettere di maniera introdotto, che sapeva a mente una gran parte dell’Eneide di Vergilio, che gliela volle sentire recitare, e che da Guglielmo da Marzilla pittor franzese aveva imparato a disegnare, ordinò che Antonio stesso gli conducesse quel putto a Fiorenza. (…) Il Vasari intanto, non lasciando gli studii delle lettere, d’ordine del cardinale si tratteneva ogni giorno due ore con Ipolito et Alessandro de’ Medici sotto il Pierio, lor maestro e valentuomo.” E prosegue: “Standosi dopo i Medici fuori e con essi il detto cardinale di Cortona, Antonio Vasari ricondusse il figliuolo in Arezzo con non poco dispiacere di lui e di Francesco, che s’amavano come fratelli; ma non stettono molto l’uno dall’altro separati, perciò che essendo per la peste, che venne l’agosto seguente, morto a Giorgio il padre et i migliori di casa sua, fu tanto con lettere stimolato da Francesco, che tornò a Fiorenza.” (il cardinale Passerini - dal 1524 era governatore di Firenze per volere di Clemente VII - lasciò Palazzo Medici insieme ai rampolli di casa Medici suoi protetti, i giovani Ippolito, figlio naturale di
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Giuliano duca di Nemours, e Alessandro, figlio naturale di un altro membro di famiglia - si diceva fosse Lorenzo duca di Urbino, ma forse era lo stesso papa.) Dopo varie vicissitudini Vasari riuscì comunque a diventare l’artista di fiducia del granduca Cosimo I de Medici. Nonostante ciò continuò a lavorare ad Arezzo e in Valdichiana, e ad avere in queste terre le sue residenze più care, come apprendiamo dai suoi ricordi. A Frassineto (oggi frazione del Comune di Arezzo) “per essermi detto messer Luigi [fratello di quel Francesco che scrisse la Storia di Firenze] amicissimo et avermi fatto quell’anno, come mio amorevole, comperare, essendo commessario d’Arezzo, una grandissima tenuta di terre, dette Frassineto in Valdichiana; il che è stata la salute et il maggior bene di casa mia, e sarà de’ miei successori, sì come spero, se non mancheranno a loro stessi; il quale ritratto, che è appresso gl’eredi di detto messer Luigi, si dice essere il migliore e più somigliante d’infiniti che n’ho fatti.” A Castiglion Fiorentino dipinse “a fra’ Mariotto da Castiglioni aretino per la chiesa di San Francesco di detta terra, in una tavola, la Nostra Donna, Santa Anna, San Francesco e San Salvestro.” A Cortona (dalla Vita di Cristoforo Gherardi) “ebbe licenza esso Vasari d’andare a starsi in Arezzo due mesi insieme con Cristofano. Ma non gli venne fatto di potere in detto tempo riposarsi, con ciò sia che non poté mancare di non andare in detto tempo a Cortona, dove nella Compagnia del Gesù dipinse la volta e le facciate in fresco insieme con Cristofano, che si portò molto bene, e massimamente in dodici sacrificii variati del Testamento Vecchio, i quali fecero nelle lunette fra i peducci delle volte. Anzi, per meglio dire, fu quasi tutta questa opera di mano di Cristofano, non avendovi fatto il Vasari che certi schizzi, disegnato alcune cose sopra la calcina e poi ritocco talvolta alcuni luoghi, secondo che bisognava. Fornita quest’opera, che non è se non grande, lodevole e molto ben condotta per la molta varietà delle cose che vi sono, se ne tornarono amendue a Fiorenza del mese di gennaio, l’anno 1555.” Nella sua autobiografia, abbiamo qualche notizia in più: “Mentre, dunque, che si lavoravano i legnami di detti palchi, avuto licenza dal Duca, andai a starmi due mesi fra Arezzo e Cortona, parte per dar fine ad alcuni miei bisogni, e parte per fornire un lavoro in fresco cominciato in Cortona nelle facciate e volta della Compagnia del Gesù. Nel qual luogo feci tre istorie della vita di Gesù Cristo, e tutti i sacrificii stati fatti a Dio nel Vecchio Testamento, da Caino et Abel infino a Nemia profeta; dove anche in quel mentre accomodai di modelli e disegni la fabrica della Madonna Nuova fuor della città. La quale opera del Gesù finita, tornai a Fiorenza con tutta la famiglia, l’anno 1555, al servizio del duca Cosimo.” A Monte San Savino, “mandandomi poi a chiamare in Val di Caprese fra’ Bartolomeo Graziani, frate di Sant’Agostino dal Monte San Savino, mi diede a fare una tavola grande a olio nella chiesa di Santo Agostino del Monte detto, per l’altar maggiore. (…) Le quali fatiche e studio quanto mi giovassero, si vide, tornato che fui in Toscana, nella tavola che io feci al Monte San Savino, nella quale dipinsi con alquanto miglior maniera un’Assunzione di Nostra Donna, e da basso, oltre agl’Apostoli che sono intorno al sepolcro, Santo Agostino e San Romualdo.” Questa tavola si sta restaurando attualmente presso il Comune di Arezzo. E a Monte San Savino disegnò per il Cardinale Dal Monte (futuro papa Giulio III) “molto mio patrone, il quale era allora legato di Bologna, l’ordine e pianta d’una gran coltivazione, che poi fu messa in opera a piè del Monte San Savino, sua patria, dove fui più volte, d’ordine di quel signore, che molto si dilettava di fabbricare.” 5
Nonostante poi non ne faccia menzione nei suoi ricordi si attribuisce a Vasari il progetto per il Tempietto della Vittoria, a Pozzo della Chiana, una frazione di Foiano, fatto erigere da Cosimo I a ricordo della sua vittoria con la repubblica senese. Con la battaglia di Marciano infatti il duca poté onorificiare del titolo di Granduca di Toscana. Nei dintorni di Lucignano si attribuisce al Vasari il progetto per il santuario di Santa Maria delle Querce (secondo un ricordo scritto dal nipote Giorgio Vasari il Giovane). Sempre secondo la critica è del Vasari il progetto dell’Oratorio della Madonna della Consolazione a Castiglion Fiorentino. E ‘vasariane’ sono ritenute le logge nel medesimo paese. Si narra che tra le iniziative intraprese per celebrare un evento fausto o prodigioso rientra quella della costruzione di una chiesa. È questo il caso dell’oratorio della Madonna della Consolazione a Castiglion Fiorentino, voluto – secondo la tradizione locale- dalla duchessa Eleonora che nel 1565 dopo aver riacquistato miracolosamente la vista di fronte ad una sacra immagine mariana. Questa tradizione è comunque smentita dagli avvenimenti, essendo Eleonora morta nel 1562, rimane tuttavia significativa la sostanza di quel racconto che attribuisce la costruzione alla famiglia regnante e al vescovo Bernardetto Minerbetti, particolarmente legato a quella famiglia e a Giorgio Vasari. Forse fu una svista del narratore, confondendo Eleonora con Giovanna. Sappiamo infatti che quest’ultima rientrò da Loreto verso Firenze nel 1573. Questo potrebbe coincidere anche con la tipologia architettonica, assai vicina al tempio della Vittoria. In altre occasioni sono invece proprio le istanze di un vescovo ad indirizzare la costruzione di un santuario verso esiti diversi da quelli della comunità. Rientra in questo ambito la chiesa della Madonna dell’Ellera (così la chiamano le fonti del ‘500), il santuario di Santa Maria Nuova a Cortona. Il progetto di questo edificio era stato assegnato da priori cittadini ad uno scalpellino locale, Battista di Cristofanello Sensi. Con questa costruzione la città intendeva onorare un’immagine della Vergine, oggetto di partecipata devozione che sorgeva sul poggio esterno alla mura, dalla parte opposta della città rispetto al celebre santuario del Calcinaio progettato da Francesco di Giorgio Martini. Nel 1554 la morte dello scalpellino significò l’abbandono del progetto, nonostante fossero già costruite le fondamenta e i muri perimetrali. Un nuovo progetto viene commissionato proprio a Giorgio Vasari, il quale nel giugno dello stesso anno consegna il modello. Quest’incarico viene messo in relazione dallo stesso Vasari nella sua autobiografia con la realizzazione degli affreschi del Gesù. Gli studiosi accettano questa ipotesi, ma Claudia Conforti, studiosa del Vasari architetto, sviscera meglio la questione. Infatti quando il Vasari realizza gli affreschi esiste già un progetto per il santuario e tanto più l’Opera che aveva commissionato il lavoro non possedeva grosse risorse finanziare, tanto che nel 1551 per pagare Battista è costretta a chiedere aiuto economico al Comune. Questa situazione economica precaria avrebbe dovuto scongiurare l’intervento di un artista ormai affermato e di conseguenza oneroso quale era all’epoca Vasari. Si può dunque ipotizzare l’intervento di un personaggio esterno all’Opera, ricco e potente quale l’allora vescovo di Cortona Giova Battista Ricasoli, consigliere particolare di Cosimo oltre che protettore di Giorgio Vasari. Tale ipotesi è inoltre suffragata da altre committenze documentate del vescovo al Vasari, quali un campanile a Cortona non meglio identificato e mai realizzato, i lavori per la realizzazione del santuario della Madonna dell’Umiltà a Pistoia, il presbiterio del Duomo nella medesima città e il disegno del monumentale ciborio. La chiesa di Santa Maria Nuova non dovette essere compiuta in tempi brevi, come confermerebbe una nota nella vita di Giorgio Vasari compilata dal nipote Marcantonio dove si ricorda che nel 1568 lo zio aveva fornito un disegno per quel santuario. Ancora alla fine del secolo infatti si lavorava alla costruzione degli altari. 6
Accettato il progetto vasariano dobbiamo pensare che la particolarità di questo edificio – anomalo non solo in Toscana, ma indubbiamente vicino allo stile veneto – possa essere dovuta al soggiorno del nostro in laguna. Il tempietto invece non è voluto dalla popolazione, bensì dal Duca in persona, per onorare Santo Stefano alla quale benevolenza il Granduca attribuisce la vittoria con i senesi. Questo santuario acquisisce inoltre un significato politico civile: un sacrario per i caduti nella battaglia, e al tempo stesso monito per l’invito alla pacificazione tra i due stati. Dopo la resa di Siena, nel 1555, il Granduca proclama subito un palio della vittoria da celebrarsi il 2 agosto (in contrapposizione al palio di Siena istituito dopo la rotta di Montaperti!) Si può ascrivere al Vasari un’altra architettura religiosa, anch’essa collegata in qualche modo alla battaglia contro Siena: il nuovo Santuario della Madonna della Querce presso Lucignano, cittadella già di dominio senese. I primi documenti della costruzione risalgono al 1564 e si riferiscono ad una supplica fatta dagli abitanti al duca Cosimo, nella quale si chiede di poter ampliare il piccolo oratorio mariano che sorge vicino alla fortezza che Cosimo sta edificando. L’assenso del Duca costituì forse una sorta di paterno perdono per gli spietati provvedimenti contro gli abitanti costretti spesso a lavorare gratuitamente alle nuove fortificazioni (a questi disagi va aggiunto il terribile episodio del 1556, quando un fulmine abbattutosi nel deposito delle munizioni distrusse gran parte del paese…) Forse fu proprio il Granduca ad offrire la collaborazione di Giorgio Vasari per la progettazione del nuovo santuario. La benevolenza del Granduca potrebbe inoltre essere testimoniata dall’affidamento del santuario all’Ordine fiorentino dei Servi di Maria che già avevano un ottimo legame con la famiglia Medici.
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