Vari tipi di giustizia A) giustizia di tipo metafisico
B)
giustizia di tipo morale
C) giustizia di tipo giuridico
Giustizia metafisica Nemesi storica
Gli accadimenti del mondo hanno una razionalità
intrinseca
Giustizia morale Intenzioni buone
Immanuel Kant:
TEORIE DELLA GIUSTIZIA Chiedersi se una società sia giusta significa chiedersi
come distribuisce le cose a cui diamo valore: il reddito e la ricchezza, i doveri e i diritti, il potere e le occasioni, le cariche e gli onori. Dare a ciascuno ciò che gli spetta: ma cosa va
distribuito e come? (Sandel, p. 27)
Tre modi di vedere Vi sono tre modi di vedere il problema della
distribuzione dei beni: Il benessere
La libertà La virtù
Utilitarismo Jeremy Bentham (1748-1832): studioso di filosofia
morale, formulò la dottrina dell’utilitarismo incentrata su un’idea semplice e attraente al primo impatto: Il supremo principio dell’etica è accrescere al massimo
la felicità, in modo che nel bilancio complessivo il piacere superi il dolore.
Cos’è giusto? Per Bentham è giusto fare tutto ciò che può accrescere
al massimo l’utilità; e per utilità il filosofo intende qualunque cosa riesca a produrre piacere o felicità e qualunque cosa eviti il dolore o la sofferenza.
Supremi padroni Bentham approda al suo principio adottando la
seguente linea di ragionamento: Tutti siamo governati dalle sensazioni di dolore e di piacere che sono i “nostri supremi padroni”. Il criterio del bene e del male è “legato al loro trono”
Bentham, Introduzione ai principi della morale e della
legislazione
Il piacere come ideale collettivo Il piacere non è solo un principio morale individuale,
ma anche politico, collettivo. Accrescere al massimo l’utilità è un principio
dominante non solo per i singoli ma anche per i legislatori. Nel decidere quali leggi approdare o quali politiche perseguire, un governo deve adottare qualunque comportamento serva a rendere il più possibile felice la comunità nel suo insieme.
Cos’è una comunità per Bentham? La comunità è un corpo fittizio costituito dalla somma
degli individui che ne fanno parte. Perciò, nel decidere come deve essere la legge, cittadini e legislatori devono porsi la domanda seguente: se sommiamo tutti i benefici di questa linea di condotta e sottraiamo tutti i costi, il risultato sarà una felicità superiore a quella che si otterrebbe con l’altra procedura?
Non esistono motivi per respingere il principio di utilità “quando un uomo tenta di combattere contro il
principio di utilità, lo fa, senza rendersene conto, in base a ragioni tratte da quello stesso principio”. “E’ possibile per un uomo sollevare la terra? Si, ma
prima deve trovare un’altra terra a cui appoggiarsi”. A dire di Bentham, l’unica terra è il principio di utilità.
Panopticon Una prigione, dotata di una torre di ispezione centrale,
dalla quale il supervisore può sorvegliare tutti quanti i detenuti. Il Panopticon va gestito da un privato che dovrebbe
amministrare la prigione assicurandosi i profitti ricavati dall’attività dei reclusi (che avrebbero dovuto lavorare 16 ore al giorno)
Radunare i mendicanti La vista di un mendicante provoca fastidio I mendicanti sono improduttivi Ergo: vanno radunati in un unico spazio autogestito e
tenuti a distanza dalla società
Critiche al benthamismo: Obiezione I 1.
che ne è dei diritti individuali?
Bentham qualificava i diritti individuali nonsenso sui
trampoli, tuttavia l’utilità complessiva può pregiudicare i diritti di qualcuno Casi: gettare i cristiani in pasto ai leoni, la tortura (pp.
46-50)
Obiezione II. Esiste una moneta corrente in cui esprimere tutti i
valori? Es.: benefici del cancro polmonare, le ragazze di St.
Anne.
UTILITARISMO: BENESSERISMO (WELFARISM) AGGREGAZIONISMO
CONSEGUENZIALISMO
Richard Hare All’interno dell’utilitarismo vi sono tuttavia varie
posizioni. Seguendo lo schema proposto da Hare, tre sono le caratteristiche comuni alle varie teorie utilitariste:
il consequenzialismo il benesserismo (welfarism) l’aggregazionismo
Conseguenzialismo In quanto teoria consequenzialista, l’utilitarismo fa
dipendere la giustificazione degli enunciati morali esclusivamente dalla valutazione delle conseguenze: una certa azione è giustificata solamente se produce conseguenze migliori di ogni altra scelta praticabile, cioè se realizza il miglior saldo di bene sul male rispetto a qualsiasi azione alternativa. In questa prospettiva ciò che conta non è tanto l’agente che compie certi atti, né la natura più o meno buona degli atti in sé. Ciò che conta è lo stato di cose che risulta da certe azioni.
Welfarism L’utilitarismo ha sempre definito il bene come utile e
quest’ultimo come ciò che realizza la più quantità di benessere. Come afferma Jeremy Bentham, il principio di utilità “approva o disapprova qualunque azione a seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione”. L’utilità è quella proprietà di ogni oggetto per mezzo della quale esso tende a produrre beneficio, vantaggio, piacere, bene o felicità, che nell’interpretazione di Bentham si equivalgono.
Piacere vs. preferenza Un’altra variante del benesserismo è il concetto di
preferenza, concetto che viene comunemente mutuato dall’ambito economico. La preferenza di uno stile di vita su un altro è simile alla preferenza per un prodotto piuttosto che un altro. Qualsiasi valutazione morale di altro tipo – che non risieda nell’utilità – viene normalmente estromessa.
Aggregazionismo L’utilitarismo aspira ad essere una teoria morale pubblica e
non soltanto un’etica privata – che ci suggerisce quale azione è meglio di un’altra per me. In quanto morale pubblica non può non riferire il concetto di utilità anche alla società nel suo complesso e non soltanto ai singoli individui. Quando un’azione è doverosa secondo l’etica utilitaristica? Se si prende a riferimento la società, occorre guardare all’azione che massimizza la felicità complessiva. Da qui il termine aggregazionismo, che implica che i desideri dei singoli vanno aggregati in qualche modo (o facendo la somma delle preferenze, o la media della preferenze) per arrivare al risultato migliore per la società.
Hare: Per dirla con un utilitarista piuttosto noto, Richard
Hare: “se un effetto produrrà benessere, ma lo distribuirà in
modo assai ineguale, mentre un altro ne produrrà meno, ma lo distribuirà più equamente, in base all’aggregazionismo, e perciò all’utilitarismo stesso, sarà il primo effetto quello che dobbiamo scegliere”.
Teoria dell’obbligo Utilitarismo dell’atto
Utilitarismo delle regola
Utilitarismo dell’atto (J. Bentham) Secondo l’utilitarismo dell’atto il calcolo scientifico per
capire quale azione sia doverosa va condotto sulla capacità di ogni singola azione di produrre il miglior risultato possibile: interpretando così il principio di utilità in senso immediatamente pratico. In questo senso non vi sono regole assolute, ma solo azioni, che sulla base di una valutazione di volta in volta effettuata, risultino doverose. Nessun dovere ha valore assoluto tranne quello di massimizzare la felicità I diritti sono non senso sui trampoli
Utilitarismo della regola Secondo l’utilitarismo della regola, l’utilità complessiva
è nel medio e lungo termine è meglio garantita se si seguono costantemente alcune regole. La doverosità di un atto dipende dunque dalla sua conformità a una massima che, in condizioni normali e nella maggior parte delle situazioni, produce un saldo positivo di felicità. Tale regola dovrà essere seguita anche in quelle situazioni in cui la sua violazione, date le speciali circostanza, massimizzerebbe il benessere o le preferenze.
L’argomento di Hume contro il naturalismo “Se disporre della vita umana fosse una prerogativa
peculiare dell'Onnipotente, allora per gli uomini sarebbe ugualmente criminoso salvare o preservare la vita. Se cerco di scansare un sasso che mi cade sulla testa, disturbo il corso della natura, prolungando la mia vita oltre il periodo che, in base alle leggi generali della materia e del moto, le era assegnato. Se la mia vita non fosse del tutto mia, sarebbe delittuoso sia porla in pericolo sia disporne!” (da Sul Suicidio, in Opere)
JOHN STUART MILL (1806-1873) Tesi a favore della libertà: On Liberty: le sole azioni per cui un individuo può essere chiamato a rispondere di fronte alla società sono quelle che si ripercuotono sugli altri. Finché non procuro un danno a nessun altro, la mia “indipendenza è, di diritto assoluta. Su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente l’individuo è sovrano” Principio del danno: nella misura in cui non danneggio
nessuno non posso essere chiamato a rispondere delle mie azioni
Utilità e lungimiranza La massima felicità umana non è ideale che va
misurato di volta in volta, ma un obiettivo a lungo termine. Continuando nel tempo a rispettare la libertà
individuale si arriverà al massimo della felicità umana: consentire alla maggioranza di mettere a tacere i dissenzienti può produrre felicità a breve termine ma non a lungo termine.
pluralismo Perché dovremmo dare ascolto ai dissenzienti e non
metterli a tacere? Secondo Mill vi sono varie ragioni: L’opinione dei dissenzienti potrebbe rivelarsi quella vera
e giusta; E anche se così non fosse, sottoporre l’opinione della maggioranza ad un energico dibattito di idee servirà a impedirle di fossilizzarsi nel dogmatismo e nel pregiudizio
Contro il conformismo E’ probabile che una società che costringa i propri
membri ad aderire a determinate usanze e convenzioni finisca con l’instupidirsi nel conformismo, provandosi dell’energia e della vitalità che stimolano la collettività a migliorare.
Oltre l’utilitarismo Costringere una persona a vivere secondo l’uso o la
convenzione o l’opinione dominante è un male perché impedisce al soggetto di conseguire il fine supremo della vita umana, ossia il pieno e libero sviluppo delle proprie facoltà umane.
Che uomini vogliamo diventare? “Solo quando si fanno delle scelte si esercitano le
facoltà umane della percezione, del giudizio, del discernimento, l’attività mentale e perfino la preferenza morale. Chi fa una cosa perché si usa farla, non fa alcuna scelta, non impara affatto né a scegliere né a desiderare il meglio. La forza mentale e quella morale, proprio come la forza muscolare, si sviluppano solo in chi le usa”…. “Quel che importa davvero non è solo che cosa
facciano gli uomini, ma che tipo di uomini lo fanno”.
Non siamo scimmie “Chi lascia al mondo o alla parte di mondo in cui vive il
compito di scegliere in sua vece il progetto della propria vita non ha bisogno di altre facoltà umane se non l’imitazione, la facoltà delle scimmie. Chi sceglie da sé il progetto della propria vita impegna invece tutte le proprie facoltà” J.S. Mill, La libertà, p. 144-145.
Il carattere Mill dunque replica alla prima obiezione mossa a
Bentham (che fine fanno i diritti individuali) con una tesi molto più complessa. Quel che contano non sono solo le azioni, ma anche il
tipo umano che scegliamo di essere: “Chi non ha desideri, né impulsi propri non ha carattere, non più di una macchina a vapore”.
Piaceri superiori Per Bentham l’utilità è il piacere ed il piacere è
semplicemente piacere. L’unico metro di misura è l’intensità e la durata del piacere, non la sua qualità: “Purché la quantità di piacere ricavato sia pari, dedicarsi alla lippa vale quanto dedicarsi alla poesia” (la lippa era un gioco per bambini) Mill è convinto che sia possibile distinguere piacere
superiori e piaceri inferiori. “Fra due piaceri il più desiderabile è quello a cui va decisamente la preferenza di tutti o quasi tutti coloro che abbiano esperienza di entrambi”
Meglio un Socrate… Stuart Mill ritiene che il vero benessere è l’autonomia
individuale – sicché stare bene significa sostanzialmente potere esercitare pienamente la propria libertà di scelta. Mill afferma: per un essere umano è meglio essere
inappagato ma libero: “Meglio essere un Socrate insoddisfatto che un maiale soddisfatto” Test: I Simpson vs. Shakespeare
IL LIBERTARISMO I libertari auspicano un mercato svincolato da
qualsiasi freno e sono contrari a ogni forma di regolamentazione imposta dal governo, in nome non dell’efficienza economica, ma della libertà degli esseri umani. La loro idea primaria è che ciascuno di noi ha un diritto fondamentale alla libertà, quello di usare le cose di sua proprietà in qualunque modo gli piaccia, purché rispetti il diritto degli altri a fare lo stesso.
Lo stato minimo Se la teoria dei diritti propugnata dai libertari è giusta,
molte attività esercitate dallo stato moderno sono illegittime in quanto attentano alla libertà senza giustificazione valida. Solo uno stato minimo è legittimo, e cioè solo lo stato
che regola le seguenti attività: Impone l’osservanza dei contratti
Protegge la proprietà privata dal furto Mantiene l’ordine pubblico
No al paternalismo I libertari sono contrari a leggi mirate ad impedire alle
persone di procurarsi un danno, come per esempio quelle che obbligano a usare le cinture di sicurezza oppure il casco per i motociclisti. Finché non si procura un danno a terzi lo stato non ha
diritto di stabilire a quali rischi il motociclista possa esporre la propria vita.
No alle leggi fondate su principi etici I libertari non vogliono che la forza coercitiva delle
leggi sia usata per imporre determinate concezioni della virtù e per patrocinare l’etica condivisa dalla maggioranza. Ad es: No a leggi contro l’omosessualità, contro la
prostituzione, contro certe pratiche sessuali.
No a ogni forma di redistribuzione della ricchezza La teoria libertaria dei diritti esclude ogni legge che
imponga ad alcuni di aiutare gli altri, e quindi anche i regimi fiscali finalizzati alla redistribuzione della ricchezza.
Libertarismo e colore politico Non è facile attribuire al libertarismo un colore
politico: da un punto di vista di politica economica si collocano vicino ai partiti di centro destro (laissez faire, capitalismo, Milton Friedman) Da un punto di vista bioetico sono vicini ai progressisti (si alle leggi sull’interruzioni volontaria della gravidanza, no alla preghiera a scuola, no alle leggi che fanno divieto di ricorrere a gravidanze surrogate o alla vendita di organi)
Filosofia del libero mercato Robert Nozick: Anarchia, Stato, Utopia (1976)
I diritti detenuti dagli individui sono così solidi e di
una tale portata da far sorgere la questione di cosa rimanga da fare allo Stato, ammesso che qualcosa rimanga. Solo uno Stato Minimo è legittimo: e cioè solo lo
Stato che protegga gli individui dalla sopraffazione, dal furto e dalla frode
Che fine fa la giustizia distributiva? La giustizia distributiva dipende da due requisiti: Che l’acquisizione iniziale della ricchezza sia compiuta
in modo giusto Che il trasferimento da un soggetto ad un altro avvenga
secondo giustizia
Titolo iniziale Come si acquisisce legittimamente ricchezza? Lavoro Investimenti (se ho investito un capitale che è diventato
enorme ne ho pieno diritto, a meno che il capitale iniziale non fosse frutto di una refurtiva ai danni di qualcuno) Donazione Acquisto
Come si trasferisce la ricchezza? Col consenso: Contratti Donazioni Testamenti
Ecc.. Purchè vi sia il consenso al trasferimento
Tassazione Trasferimento di somme senza consenso: in che modo
può essere giustificata? Solo nella misura in cui le somme prelevate
forzosamente (le tasse) siano necessarie per lo svolgimento dei compiti dello stato minimo. Qualsiasi forma di redistribuzione, ad esempio a mezzo di una pressione fiscale progressiva, è illegittima. Tassare il lavoro senza alcuna giustificazione significa imporre lavoro non retribuito e dunque significa renderci schiavi.
Diritto di proprietà su noi stessi Se sono proprietario di me stesso devo esserlo anche
del mio lavoro, ma se sono proprietario del mio lavoro, devo averne diritto di goderne i frutti
Es: può essere Michael Jordan costretto a giocare?
Esempi di proprietà su noi stessi Vendita di reni
Suicidio assistito
Cannibalismo consensuale
Sintesi: qual è il fondamento dei diritti per i libertari? Non si devono utilizzare le persone come puri mezzi
per assicurare il benessere degli altri, perché così facendo si viola il diritto fondamentale della proprietà su se stessi: la mia vita, il mio lavoro, la mia persona appartengono a me soltanto: non sono a disposizione della società nel suo complesso
La proprietà è l’unico possibile fondamento? John Locke, teorico dell’idea che siamo proprietari di
noi stessi, comprese che però questo non era sufficiente a garantire l’esistenza di diritti fondamentali. Vi sono infatti diritti, come la libertà o la vita, di cui non si può disporre. Ricorse dunque all’idea che la teoria dei diritti fondamentali inalienabili chiama in causa Dio. Siccome si tratta di beni che ci vengono da Dio non possiamo privarcene.
Immanuel Kant (1724-1804) Immanuel Kant propone un’altra definizione dei
doveri e diritti che non si fonda sull’idea che siamo proprietari di noi stessi, né sull’affermazione che la nostra vita e la nostra libertà sono doni di Dio. Egli fa poggiare doveri e diritti sul principio che noi
siamo esseri razionali, meritevoli di dignità e rispetto.
Biografia Nato nel 1724 a Kőnigsberg, città della Prussia
orientale in cui morì prima di compiere gli ottanta anni. Famiglia con una posizione economica modesta. Il
padre era sellaio. I genitori erano pietisti, appartenevano ad una comunità protestante che esaltava la religiosità interiore e la dedizione alle opere di bene.
Carriera accademica Studente modello. Si iscrisse a 16 anni all’università di
Kőnigsberg e fu uno studente modello. A 31 anni gli diedero degli insegnamenti all’università –
e veniva pagato a numero di studenti. Tenne vari corsi – più di venti ore a settimana – fra gli altri metafisica, logica, etica, diritto, geografia, antropologia.
Alcune opere Critica della Ragion Pura (il primo libro importante
Kant lo pubblicò a 57 anni) (1781) Fondazione della metafisica del Costumi (1785)
Critica della ragion pratica (1788) Critica del giudizio (1790) La metafisica dei costumi (1798)
La Fondazione della metafisica dei costumi Qual è il principio supremo dell’etica?
Che cos’è la libertà? Kant rifiuta sia l’utilitarismo che l’etica della virtù e
rinviene il fondamento dei diritti fondamentali nella libertà. Ma il concetto kantiano di libertà è ben diverso da quello dei libertari (libertà del mercato)
Il Problema della massima felicità Kant addebita all’utilitarismo due difetti. Il primo è
quello di aver sacrificato i diritti fondamentali all’interesse generale; il secondo è quello di aver radicato l’utilità (e dunque l’etica) su mere considerazioni empiriche. Per Bentham, per Mill etc… le scelte etiche dipendono
dai nostri desideri, bisogni, preferenze. Ma, dice Kant, il principio utilitaristico della felicità non può mai fondare l’etica.
Ragion Pratica Ciascuna persona è degna di rispetto, non perché siamo
proprietari di noi stessi, ma perché siamo esseri razionali, capaci di usare la ragione. Siamo anche esseri autonomi, in grado di scegliere liberamente. Non siamo soltanto esseri senzienti, capaci cioè di provare
piacere e dolore (contro Bentham), ma anche esseri raziocinanti. La nostra capacità di raziocinio si collega alla nostra capacità di libertà. Perché, quando è la ragione a governare la nostra volontà, noi non siamo più guidati dal desiderio di ricercare il piacere e di evitare il dolore.
Cos’è la libertà? Noi spesso intendiamo la libertà come assenza di
impedimenti a far quel che vogliamo. Kant non è d’accordo, ne ha una concezione più esigente. Ecco il suo ragionamento: quando noi, al pari degli
animali, ricerchiamo il piacere o ci adoperiamo per evitare il dolore, in realtà non siamo liberi ma schiavi dei nostri appetiti e desideri. Perché?: Perchè in realtà quando cerchiamo di soddisfare i nostri desideri e appetiti, tutto quel che facciamo è di cercare di soddisfare un fine preesistente, esterno a noi. Faccio qualcosa per soddisfare la fame o la sete…
Schiavi delle preferenze Quando io rifletto per scegliere il gusto del gelato che
mi piace di più, in realtà non sto esercitando la vera libertà di scelta ma sto solo chiedendomi quale scelta risponderà meglio alle mie preferenze. Ma la mia preferenza non è essa stessa oggetto di scelta. Questo non significa che assecondare i propri desideri
non sia giusto, ma che non risiede in questa attività la libertà. I nostri desideri sono esterni a noi. Noi siamo schiavi dei nostri desideri. Es. pubblicità della Sprite: Obbedite alla vostra sete.
Qual è la fonte delle mie preferenze? Spesso si discute se le preferenze siano iscritte nel
patrimonio genetico (io sono geneticamente programmato per aver predilezione di prodotti zuccherati) ovvero se siano indotte da qualche fattore culturale o esterno (è la pubblicità che mi condiziona). Per Kant la questione non avrebbe alcuna rilevanza. In
entrambi i casi si tratta di fattori esterni al soggetto agente. In entrambi casi la scelta non è libera.
Libertà come autonomia Agire liberamente per Kant significa agire in modo
autonomo, e agire in modo autonomo significa agire secondo una legge che io detto a me stesso, non in base ai termini della natura o delle convenzioni sociali.
Autonomia ed eteronomia: la palla da biliardo Un’azione compiuta in modo eteronomo è un’azione
compiuta seguendo determinazioni che vengono da fuori: Se una palla da biliardo per effetto di una mia spinta cade sul
pavimento, la palla non agisce liberamente: il suo moto è governato da leggi naturali (la forza di gravità). Se io cado accidentalmente dall’Empire State Building e atterro su un uomo uccidendolo nessuno mi riterrà responsabile. Il mio corpo è come la palla da biliardo. Siccome non c’è autonomia, non c’è responsabilità morale.
Libertà e responsabilità Agire liberamente non è scegliere il mezzo migliore
per raggiungere un dato fine (esterno a me stesso), ma è scegliere il fine stesso, per le sue stesse virtù. Si tratta di una scelta che gli esseri umani possono fare, mentre le palle da biliardi (e quasi tutti gli animali) non possono.
Persone e cose Per Kant rispettare la dignità umana significa trattare
le persone come fini in se stesse. Ecco perché non è giusto usare le persone per ottenere il benessere generale, come fa l’utilitarismo.
Che cosa è morale? Cercate il movente Il valore morale di un’azione, secondo Kant, non è dato
dalle conseguenze che ne scaturiscono, ma dall’intenzione con cui si compie l’azione.
Quel che conta è fare la scelta giusta perché è giusta, e non
per una qualche motivazione ulteriore. “La buona volontà è buona non per quel che produce o realizza”, è buona in sé. “Anche se questa buona volontà fosse del tutto priva del potere di realizzare i suoi intendimenti; se nonostante il massimo sforzo non riuscisse tuttavia a realizzare nulla, anche in questo caso risplenderebbe come una gemma per virtù propria, come una cosa che pieno valore in se stessa”.
Il movente è il dovere Perché una qualsiasi azione sia giusta occorre non solo
che sia conforme ad una legge morale ma che sia anche compiuta in nome di una legge morale. Se io faccio del bene per compiacere me stesso –
perché così mi sento più amato – ovvero per qualche altro secondo fine, allora l’azione non è buona.
Kant è severo La moralità di Kant è molto esigente.
Gli interessi personali, i bisogni profondi dell’uomo
vanno messi da parte perché l’unica cosa che conta è l’assoluto spassionatezza dell’azione. Ma è veramente possibile?
Il bottegaio disonesto e il Better Business Bureau Kant fa l’esempio del bottegaio che vende pane. Il bottegaio
potrebbe sfruttare la distrazione del cliente (magari di un bambino) e chiedere un sovrapprezzo. Però a lungo andare la gente se ne accorgerebbe e cambierebbe bottegaio. Se il bottegaio non imbroglia nessuno solo per timore di perdere la clientela non starebbe agendo moralmente. Da qualche tempo circola negli Stati Uniti (ma anche in
Italia) l’idea che la disonestà non ripaga. Il monito ad essere onesti è quindi funzionale anche al mantenimento dei profitti. Kant direbbe che questo tipo di messaggio non è morale.
Perché aiutare gli altri? Non per compassione Esistono persone, dice Kant, di indole altruista che
provano piacere nell’aiutare gli altri. Tuttavia, agli occhi di Kant, fare una buona azione perché si è spinti dalla compassione “per quanto giusto e gradevole possa essere” non ha valore morale.
Il misantropo morale Kant fa un esempio: immaginiamo che il nostro
altruista patisca una disgrazia tale da distruggere il suo amore per l’umanità, e da trasformarlo in un misantropo, privo di ogni slancio di comprensione e compassione. Quando questa creatura dal cuore di pietra si stratta alla propria indifferenza per venire in aiuto ai suoi simili – solo per dovere – allora in questo momento, il suo agire acquista un valore morale.
Qual è il principio supremo dell’etica Dovere contro Inclinazione Autonomia contro Eteronomia
Imperativi categorici contro Imperativi ipotetici
Essere capaci di libertà Ogni azione è governata da una legge, e se le nostre
azioni fossero governate solo dalle leggi della fisica, noi non saremmo affatto diversi dalla palla da biliardo. Dunque se siamo capaci di libertà, dobbiamo essere in
grado di agire non secondo una legge che ci è data o che ci è imposta, ma in base ad una norma che siamo noi stessi a darci. Qual è l’origine di una norma simile?
La ragione La norma ci viene dalla ragione. Noi non siamo
soltanto esseri senzienti, dominati dal piacere e dal dolore (Bentham), ma siamo anche essere raziocinanti. Se la volontà viene determinata dalla ragione, allora la
volontà diventa il potere di scegliere in autonomia rispetto ai dettami della natura o dell’inclinazione.
Pura ragione pratica Anche gli empiristi ammettevano che la ragione avesse
un ruolo nelle azioni umane, ma si trattava sempre di un ruolo subordinato alle passioni. La ragione era ragione strumentale (Hobbes, Hume): capace di scegliere i mezzi più adeguati per il fine stabilito dall’indole naturale. La ragione di Kant non è strumentale, ma di una “pura
ragione pratica, che legifera a priori indipendentemente da ogni obiettivo empirico.
Imperativi categorici e imperativi ipotetici Vi sono due modi in cui la ragione può comandare la
volontà. La prima è la modalità strumentale che si esprime nella formula dell’Imperativo Ipotetico: Se vuoi arrivare a X devi fare Y: se vuoi essere un
commerciante con una buona reputazione, devi agire onestamente con la clientela. L’imperativo categorico funziona diversamente.
Imperativo categorico Categorico, significa incondizionato.
“Se l’azione fosse buona solo in quanto mezzo per
arrivare ad un altro obiettivo, l’imperativo sarebbe ipotetico. Se l’azione viene rappresentata come buona in sé, e di conseguenza come necessaria per una volontà che di per sé si accorda alla ragione, allora l’imperativo diventa categorico” “TU DEVI”
Imperativo e forma “[l’imperativo] non riguarda la materia dell’azione e i
suoi presunti effetti, ma la sua forma e il principio da cui è originata. E quel che è il bene essenziale dell’azione consiste nella disposizione mentale di chi agisce, quali che siano le conseguenze”
Contenuto dell’imperativo categorico I.
dai alla tua massima un valore universale:
Agisci solo in base a quella massima di cui potresti nello
stesso tempo desiderare che diventi una legge universale. Ad esempio: una falsa promessa è sbagliata in quanto non è universalizzabile.
Imperativo categorico: continua II.
Trattare le persone come fini
“Io dico che l’uomo, cioè in quanto essere razionale,
esiste in quanto fine in se stesso, non come puro e semplice mezzo esposto all’uso arbitrario di questa o quella volontà”
E’ male mentire ad un assassino? Kant contro Benjamin Constant (filosofo
contemporaneo di Kant). La bugia è un male in sé, anche se utilizzata a fin di
bene.
Kant nel ventesimo secolo: John Rawls John Rawls (1921-2002) studioso americano di
filosofica politica. 1971: Una teoria della giustizia.
La società giusta si fonda su un contratto. Rawls ipotizza una situazione ideale, in base alla quale
– gli individui che si riuniscono per fondare una comunità politica non conoscono quale sarà la posizione che occuperanno nella società. Dice Rawls, sono coperti da un velo di ignoranza.
Due principi di giustizi Partendo da questa ipotetica premessa i cittadini
formuleranno i due seguenti principi di giustizia
Ogni persona ha lo stesso titolo indefettibile ad uno
schema pienamente adeguato di uguali libertà di base compatibile con un identico schema di libertà per tutti gli altri; Le disuguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, devono essere associate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità; secondo devono dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società (principio della differenza).
Ordine fra i due principi I due principi sono ordinati lessicalmente in modo che il
secondo principio non possa essere applicato in modi che implichino la violazione del primo: la libertà può essere limitata solo in nome della libertà stessa, e cioè o per rinforzare il sistema totale delle libertà condivise o in forza della libera accettazione di coloro a cui si impongono i vincoli. Le libertà fondamentali sono beni primari: fra questi la
libertà di espressione, di associazione, di movimento, poteri e prerogative connesse a responsabilità. La salute e le cure sanitarie non rientrano per Rawls fra i beni primari.
Etica della virtù: Aristotele Se il liberalismo propone innanzitutto una separazione
fra pubblico e privato e il predomino del principio di autonomia, il comunitarismo muove una critica all’individualismo liberale espresso in particolare dalle teorie neocontrattualistiche e dalle tesi libertarie. Il comunitarismo riprende la nozione antica di bene comune, ovvero del bene della comunità in quanto tale e asserisce che il perseguimento di una vita buona presuppone anche la condivisione di certi valori con gli altri membri della comunità.
Contro l’individuo astratto Lo stato ispirato a principi comunitaristi non soltanto rifiuta
l’idea della neutralità asettica della politica, ma muove altresì una critica ben più radicale al concetto di individuo astratto – coperto da un velo di ignoranza, e comunque capace di emanciparsi dalle proprie relazioni umane più comuni (sociali, culturali, razziali, religiose) quando entra nell’arena pubblica. Secondo il comunitarismo i cittadini entrano nella vita politica con una serie di vincoli e legami sia affettivi che culturali. Nelle teorie liberali della giustizia, infatti, si cerca di prescindere proprio da quegli aspetti (la concezione del bene, l’appartenenza culturale, i ruoli sociali, i vincoli emotivi) che costituiscono la sostanza dell’identità personale degli individui; le conclusioni che da tali teorie si possono ricavare, secondo i comunitaristi, risultano inadeguate perché esse non corrispondono ai valori realmente in gioco nelle situazioni concrete.
Caratteristiche dell’etica della virtù l’enfasi sull’agente (colui che compie l’azione) più che
sull’azione medesima; l’interesse per i motivi, le intenzioni, le emozioni e i desideri – in genere per il carattere della vita morale interiore e dei modelli di motivazione; l’enfasi sulla nozioni di narratività, vita buona e comunità; il ripudio del concetto di unencumbered self (di individuo decontestualizzato e privo di vincoli).
Giustizia, Telos, Onore 1.
la giustizia è teleologica: definire i diritti richiede di configurare il telos dell’attività sociale in questione
2. la giustizia ha a che fare con l’onore; ragionare sul
telos di un’attività significa ragionare su quali virtù sarebbe tenuta ad onorare o premiare.
Aristotele (384-322) Aristotele (384-322 a.C.) nacque a Stagira, in Macedonia e
fu allievo di Platone ad Atene. Precettore di Alessandro Magno Fondatore del Liceo
Opere Le opere principali di politica e diritto sono: L’Etica Nicomachea (ed il quinto libro in particolare): in cui vi è un’ampia trattazione del concetto di giustizia La Politica: in cui vengono illustrate le forme di governo e viene spiegato il valore delle leggi La Retorica: trattato dedicato all’arte oratoria, in cui si dà ampio spazio all’analisi dell’eloquenza forense. Vengono illustrati gli argomenti di cui può fare uso l’avvocato, come l’appello al diritto naturale, alle leggi positive, all’equità.
La giustizia Aristotele distingue fra una giustizia in senso
assoluto – come somma virtù – e Giustizia particolare: giusto nella società (politikon dikaion) il quale ha luogo “tra coloro che vivono associati al fine di essere indipendenti, liberi, eguali” (Etica Nicomachea, V, 6 1134 a.).
Giustizia e virtù Dice Aristotele: che lo stesso comportamento è
virtù in quando disposizione in sé (cioè con riguardo al soggetto che agisce), mentre è giustizia in quanto riguarda gli altri (Etica Nicomachea V 1, 1129b-1130 a.) Pròs heteròn: ad alterum: l’essenza della giustizia
sta nell’intersoggettività.
Giustizia L’oggetto proprio della giustizia particolare è: dare
a ciascuno il suo: suum cuique tribuere. Bisogna procedere ad una adeguata divisione dei beni, in modo che ognuno non riceva né di più né di meno di ciò che esige una giusta misura.
Forme di giustizia Lo scopo che Aristotele si prefigge è quello di ottenere
o di preservare una certa armonia sociale, di perseguire ciò che il filosofo chiama un’eguaglianza, un’ison. Per comprendere in che cosa consista questa eguaglianza è utile distinguere due diverse operazioni, in entrambe le quali entra in gioco la giustizia. Aristotele distingue fra due forme di giustizia: la giustizia distributiva e la giustizia correttiva o commutativa. La giustizia distributiva per Aristotele ha una funzione superiore, ma noi cominceremo dalla commutativa.
Giustizia commutativa Giustizia commutativa o correttiva: La giustizia controlla la
correttezza degli scambi. Supponiamo che tutti i beni, gli onori, le cariche pubbliche siano stati distribuiti secondo la formula che verrà indicata di seguito (diapositiva successiva). Può capitare che questo equilibrio venga turbato, perché viene sottratta ad un patrimonio una frazione che gli era stata attribuita. Bisogna allora correggere questo squilibrio (giustizia correttiva: dìkaion diorthotikòn), il che si può fare solo restituendoti un biglietto di banca equivalente a ciò che hai perso. L’operazione, in fin dei conti, corrisponde ad uno scambio (commutazione, synallagma). Questo tipo di giustizia – detta correttiva o commutativa – è quella che viene utilizzata nel diritto per ripartire le responsabilità
Ripristinare l’ordine violato. Ma quale ordine? In virtù della giustizia commutativa o correttiva:
l’ordine violato va ripristinato. Lo stesso vale anche nel diritto penale, in cui infliggendo la pena al colpevole si restituisce l’equilibrio violato attraverso il crimine. Ma, ed è questo il nostro secondo tema, in che cosa consiste questo equilibrio? Eccoci arrivati alla seconda nozione di giustizia, che però costituisce un prius da un punto di vista logico:
Giustizia distributiva Giustizia distributiva: Il compito
principale della giustizia è quello di presiedere alla distribuzione dei beni, degli onori, delle cariche pubbliche tra i membri della collettività. E’ in questo ambito che essa soprattutto opera. Ma in che modo effettuare una distribuzione giusta? Aristotele non ammetterebbe mai che tutti gli individui e tutte le sue situazioni sono identiche. Dice Aristotele: “il giusto è qualcosa ed è relativo a certe persone: dicono pure che deve essere uguale in rapporto a persone eguali” (La Politica¸libro III, cap. 9, 1282b).
Ison e i flauti Eguali sotto quale aspetto? Questo dipende da quali
cose si intende distribuire e dalle virtù pertinenti a tali cose. Supponiamo di dover distribuire flauti; a chi dovrebbero toccare gli strumenti migliori? Risponde Aristotele: ai più bravi nel suonarli.
Qual è il telos di una cosa? Il modo di ricavare il criterio per la corretta distribuzione di
un bene suggerito da Aristotele si ottiene ragionando sul fine che quel medesimo bene da distribuire si propone di ottenere. Si tratta di un esempio di ragionamento teleologico (telos significa scopo). Aristotele afferma che per determinare la giusta maniera di distribuire un bene dobbiamo indagare sul telos, lo scopo del bene che si intende distribuire.
Pensiero teleologico. Noi questo modo di ragionare suona un po’ strano: noi difficilmente
parliamo dello scopo di qualche bene (la domanda sullo scopo del flauto ci sembra un po’ strana). Nel mondo antico però questo pensiero era molto radicato: Platone ed Aristotele credevano che il fuoco salisse verso l’alto perché mirava a raggiungere il cielo, la sua dimora naturale, e che le pietre cadessero perché tendevano ad avvicinarsi alla terra a cui appartenevano. Questo modo di ragionare lo troviamo oggi spesso nei bambini che attribuiscono fini ed intenzioni agli oggetti inanimati: cosa vuole il mio orsacchiotto? Perché è caduto? Perché si è sporcato? Ma nel pensiero adulto sembra assolutamente inappropriato almeno per le questioni poste dalle scienze naturali. Ma questo modo di ragionare può avere ancora un qualche valore in materia di etica e di politica. Infatti, mentre non ha molto senso chiedersi quale sia lo scopo ultimo di un albero o di una motocicletta, la domanda è pertinente se riferita alle istituzioni o alla comunità politica.
Qual è il telos della politica? Quando noi oggi parliamo di giustizia distributiva., ci
occupiamo in primo luogo della distribuzione del reddito, della ricchezza, delle opportunità: per Aristotele la giustizia distributiva non riguardava in primo luogo il denaro, bensì le cariche pubbliche e gli onori. Mentre Platone identifica il giusto con la virtù, Aristotele mette in evidenza un’altra nozione di giusto che per lui è principale: il giusto è piuttosto l’equilibrio realizzato nella collettività, fra i diversi individui liberi che ne fanno parte. La collettività è composta da uomini liberi, che hanno interessi diversi e che si disputano onori e beni: è tra costoro che entra in gioco il giusto politico (diakaion politikon), la forma principale della giustizia.
Chi deve governare? Il fine della politica non è stabilire un quadro di diritti
che sia neutrale fra i vari obiettivi, ma è formare buoni cittadini e coltivare una buona indole I cittadini: questi non sono riuniti in una comunità “solo per vivere, ma per vivere bene […], né per un’alleanza militare, onde evitare possibili offese, né per scambi e affari reciproci” (Politica, Libro III, cap. 9, 1280a). Il fine della politica è nientemeno che consentire alla popolazione di sviluppare capacità e virtù caratteristiche
L’etica della cura L’etica della cura prende le mosse dal decisivo rilievo
per i soggetti concreti dell’aspetto relazionale, della dipendenza da altri, dell’appartenenza alla famiglia o ad altri gruppi. L’etica della cura rifiuta pertanto la morale kantiana che si fonda su un individualismo impersonale.
Con voce di donna Alle origini della riflessione sulla cura vi stanno alcune
intuizioni di Carol Gilligan e Nancy Chodorow tratte dalla psicologia morale. La Gilligan ad esempio rifiuta la teoria dello sviluppo morale di Lawrence Kohlberg il quale asserisce che le femmine raggiungerebbero uno sviluppo morale decisamente inferiore a quello dei maschi.
I sei stadi di sviluppo morale Livello Pre-convenzionale I: Stadio 1: moralità eteronoma Stadio 2: individualismo, scopo strumentale e scambio
Livello Convenzionale II Stadio 3: aspettative interpersonali Stadio 4: sistema sociale e coscienza Livello Post Convenzionale III Stadio 5: contratto sociale e diritti individuali Stadio 6: principi etici universalistici
Quattro su sei Sulla scala a sei stadi di Kohlberg, le femmine si
fermerebbero al terzo o al massimo quarto livello. Mentre i maschi in età adulta si dimostrano capaci di ragionare in termini astratti di diritti universali, di teorie della giustizia e di principi generali a prescindere dalle particolarità individuali e dai legami sociali, le femmine mostrano la tendenza a non staccarsi troppo dal contesto, dalle responsabilità di chi agisce verso coloro che sono coinvolti, dai sentimenti e dai legami affettivi. La formazione dell’identità personale dei maschi sembra seguire un percorso che va dalla dipendenza alla separatezza, alla singoralità e all’autonomia, mentre nelle femmine questo cammino sarebbe interrotto o impedito dal peso dei vincoli affettivi.
Contro Kohlberg Gilligan contesta l’idea di Kohlberg (suo maestro)
secondo cui lo sviluppo morale delle femmine sarebbe incompleto, sebbene riconosca che le femmine hanno una psicologia morale diversa dai maschi: “l’imperativo morale che emerge ripetutamente nei colloqui con le donne è un’ingiunzione a prenderci cura della vita, la responsabilità di cogliere e alleviare i problemi reali e riconoscibili del mondo. Agli uomini invece l’imperativo morale si presenta piuttosto come ingiunzione a rispettare i diritti altrui per tutelare così da ogni interferenza il diritto di vivere e realizzarsi. (C. Gilligan, Con Voce di Donna).
Etica della cura e bioetica La riflessione femminista è tradizionalmente favorevole sia
all’aborto che alle pratiche di procreazione assistita, che all’eutanasia. Tuttavia si è già fatto cenno alla diffidenza con cui una certa dottrina (La teoria della congiura) guarda alle nuove tecnologie. L’etica della cura, benché si ponga sul solco dell’etica dei diritti, aggiunge qualche ulteriore riflessione alle tematiche bioetiche, enfatizzando sia l’aspetto della sollecitudine nei confronti della parte debole (il malato, il moribondo, il feto), ma anche il dramma umano di chi deve compiere la scelta.
Il mito della cura Il mito, riportato originariamente da Igino, nel II sec. d.C.
racconta della dea Cura come di colei che attraversando il fiume raccoglie penosa del fango a comincia a dar forma a un uomo. Quasi inconsapevole del proprio operato, mentre rifletteva su ciò che aveva fatto, le si avvicina Giove, al quale essa chiede di dare al fango formato lo spirito chiamato vita, ottenendolo prontamente. Si accende però una disputa, in cui interviene anche la Terra, da cui era tratto il fango, su chi abbia il diritto di dare il nome all’uomo, cioè di compiere l’atto simbolico che indica l’appartenenza della creatura al Creatore. Eretto Saturno giudice, si stabilisce che, dopo la morte Terra riabbia il corpo e Giove lo spirito, ma che Cura possegga l’uomo finché egli vive.