Documento unico di programmazione 2000 - 2006 della Regione Toscana
Analisi e ricerca sulla riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali
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Analisi e ricerca sulla riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali
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Documento unico di programmazione 2000 - 2006 della Regione Toscana
Analisi e ricerca sulla riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali
Febbraio 2006
Regione Toscana
Repubblica Italiana
Unione Europea
Analisi e ricerca sulla riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali Ricerca a cura di:
NOMISMA S.p.A. Società di Studi Economici www.nomisma.it
SCUOLA SUPERIORE SANT'ANNA LABORATORIO IN-SAT www.insat.sssup.it Per conto di: REGIONE TOSCANA Direzione Generale Sviluppo Economico Settore Programmi comunitari in materia extragricola Autorità di Gestione DocUP Obiettivo 2 Toscana 2000-2006 Settore Programmi Intersettoriali e Integrati. Industria dal seguente gruppo di lavoro: Supervisione Scientifica: Gianni Lorenzoni; Riccardo Varaldo. Gruppo di coordinamento: Massimiliano Bondi (Responsabile di progetto) Daniela Bastianelli; Nicola Bellini; Luca Ferrucci. Gruppo di lavoro: Costanza Arlotti; Laura Bonacini; Irene Martinez; Monica Merito; Maura Perillo; Valentina Pescatore; Paola Piccioni; Antonio Picciotti; Marco Sassatelli. Indagine telefonica: DEMETRA S.A.S. Pubblicazione cofinanziata dall’Unione Europea
Indice PREMESSA E GUIDA ALLA LETTURA
6
CAPITOLO 1. IL PERCORSO METODOLOGICO
8
1.1 Metodologia per l’identificazione delle imprese leader Box 1.1 Risultati e percezioni: due modi di dire leadership 1.2 Metodologia per l’indagine campionaria
8 16 18
CAPITOLO 2. IL DISTRETTO ORAFO DI AREZZO
24
2.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
24
2.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale 2.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore Box 2.1 La distribuzione orafa 1.3 Il ruolo del distretto aretino 2.1.4 La storia recente e le peculiarità del distretto Box 2.2 Oreficeria e pubblicità 2.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER 2.2.1 2.2.2 2.2.3 2.2.4 2.2.5 2.2.6 2.2.7 2.2.8
Elementi descrittivi Concorrenza e mercati Struttura e organizzazione d’impresa Fornitori e clienti La logistica Le risorse umane L’innovazione Le strategie future
2.3 UNA FOTOGRAFIA DEL DISTRETTO ORAFO ARETINO: L’INDAGINE CAMPIONARIA
2.3.1 I tratti essenziali 2.3.2 Un’analisi tipologica
24 31 35 37 44 46 49 49 50 53 56 59 59 60 62 65 65 75
CAPITOLO 3. IL DISTRETTO TESSILE DI PRATO
81
3.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
81
3.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale Box 3.1 L’Accordo sul Tessile e Abbigliamento 3.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore 3.1.3 Il ruolo del distretto pratese Box 3.2 La moda toscana a corto di capitali esteri? 3.1.4 La storia recente e le peculiarità del distretto 3.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4
Concorrenza e mercati Struttura e organizzazione d’impresa Fornitori e clienti La logistica
81 93 95 97 105 106 111 111 112 114 115
3.2.5 Le risorse umane 3.2.6 L’innovazione 3.2.7 Le strategie future 3.3 UNA FOTOGRAFIA DEL DISTRETTO TESSILE PRATESE: L’INDAGINE CAMPIONARIA
3.3.1 I tratti essenziali 3.3.2 Un’analisi tipologica
116 116 117 120 120 126
CAPITOLO 4. IL DISTRETTO CONCIARIO DI SANTA CROCE SULL’ARNO
133
4.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
133
4.1.1 4.1.2 4.1.3 4.1.4
I principali fatti nello scacchiere internazionale Una stilizzazione delle tendenze di settore Il ruolo del distretto conciario La storia recente e le peculiarità del distretto
4.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.2.6 4.2.7
Concorrenza e mercati Struttura e organizzazione d’impresa Fornitori e clienti La logistica Le risorse umane L’innovazione Le strategie future
133 140 142 149 153 153 154 155 156 157 157 158
4.3 UNA FOTOGRAFIA DEL DISTRETTO CONCIARIO: L’INDAGINE CAMPIONARIA160 4.3.1 I tratti essenziali 4.3.2 Un’analisi tipologica
160 168
CAPITOLO 5. LA FILIERA DELLE 2.3 RUOTE DI PISA
174
5.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
174
5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.1.4
I principali fatti nello scacchiere internazionale Una stilizzazione delle tendenze di settore Il ruolo dell’area pisana La storia recente e le peculiarità della filiera
5.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER 5.2.1 5.2.2 5.2.3 5.2.4 5.2.5 5.2.6 5.2.7
Concorrenza e mercati Struttura e organizzazione d’impresa Fornitori e clienti La logistica Le risorse umane L’innovazione Le strategie future
174 176 184 188 192 192 193 194 195 196 196 197
5.3 UNA FOTOGRAFIA DELLA FILIERA 2.3 RUOTE: L’INDAGINE CAMPIONARIA199 5.3.1 I tratti essenziali 5.3.2 Un’analisi tipologica
199 210
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: QUALI IPOTESI DI POLICY Principali evidenze imprese leader Principali evidenze dei sistemi locali
216 226 231
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
240
RINGRAZIAMENTI
243
APPENDICE STATISTICA
245
Orafo Lo scenario di riferimento Le imprese leader L’indagine campionaria L’analisi tipologica Tessile Lo scenario di riferimento Le imprese leader L’indagine campionaria L’analisi tipologica Conciario Lo scenario di riferimento Le imprese leader L’indagine campionaria L’analisi tipologica 2.3 ruote Lo scenario di riferimento L’indagine campionaria L’indagine campionaria L’analisi tipologica
245 245 250 259 264 277 277 289 310 314 327 327 331 353 358 369 369 373 391 397
PREMESSA E GUIDA ALLA LETTURA
La ricerca parte dall’esigenza di approfondire la conoscenza su alcuni motori del settore manifatturiero toscano, in relazione a importanti sistemi settoriali e territoriali in cui esso si articola. Oggetto di studio sono nello specifico: l’industria tessile localizzata nel distretto pratese, l’industria conciaria localizzata nel distretto di Santa Croce sull’Arno, l’industria dell’oreficeria localizzata nel distretto aretino, le attività riconducibili alla filiera delle 2, 3 ruote di Pontedera. Si tratta di una indagine che ha tra i suoi elementi fondanti l’analisi dell’evoluzione recente dei sistemi oggetto di indagine, della loro della loro struttura così come è andata affermandosi, e dell’organizzazione nonché del processo produttivo che sottende ognuna delle realtà territoriali. Ma si tratta anche di un’indagine che intende guardare con particolare attenzione alle strategie innovative seguite dalle imprese, indicandone le caratteristiche e le eventuali carenze. Tutto questo per giungere ad individuare i principali ambiti di intervento per le politiche regionali in materia di rafforzamento delle attività produttive. Questo il mandato a cui si è voluto dare un risposta nella consapevolezza che, di fronte agli sconvolgimenti per taluni epocali che stanno scuotendo le fondamenta dell’apparato produttivo mondiale, capire cosa sta accadendo rappresenta un’esigenza lecita e doverosa, ma anticipare i pattern sui quali si gioca e si giocherà la capacità di competere è un compito tutt’altro che agevole. La forte divaricazione esistente tra i diversi settori-territori ne ha imposto una trattazione in capitoli separati, dai quali si è giunti ad un momento di sintesi nella parte conclusiva del rapporto. Il documento di ricerca, più nel dettaglio, inizia con quella che è stata la metodologia utilizzata, ripercorrendo le fasi ed i criteri che hanno portato alla identificazioni delle aziende leader nei cinque sistemi locali; leader che vengono identificati non solo in funzione della dimensione dell’impresa, ma mettendo in relazione elementi di struttura e di performance con la percezione dei testimoni privilegiati. La parte metodologica riporta anche i dettagli dell’analisi sull’intero sistema di imprese, realizzata su base campionaria: criteri di identificazione e 6
dimensione del campione intervistato e metodi di elaborazione dei dati raccolti. Alla parte metodologica fanno seguito i singoli capitoli settorialiterritoriali, ognuno dei quali è articolato secondo i tre “livelli” di analisi principali: il settore a livello globale con i suoi percorsi e le sue strategie; le aziende leader a livello locale ed il sistema delle imprese nel suo complesso, così come emerge dalla analisi campionaria. Più nel dettaglio, nella trattazione delle aziende leader l’approfondimento riguarderà diversi elementi di analisi, che vanno dalla clientela di riferimento, alla catena del valore sino ad arrivare agli obiettivi che si sono preposte per i prossimi 24-36 mesi. L’analisi campionaria consta di due approcci descrittivi: quello afferente le connotazioni generali del campione; e quello che riporta una lettura tipologica delle aziende, realizzata con l’impiego della cluster analysis. Nella parte conclusiva sono invece riportati i principali risultati che emergono dai tre livelli di analisi principali e le considerazioni di policy che ne scaturiscono.
7
CAPITOLO 1. IL PERCORSO METODOLOGICO
1.1 Metodologia per l’identificazione delle imprese leader Quali sono le “imprese leader” presenti dei diversi distretti industriali? E quali sono le metodologie con le quali si può pervenire all’identificazione di tali imprese leader? In effetti, da diversi anni, si discute sulla forza e sulla direzione del cambiamento dei sistemi produttivi locali. Una parte della letteratura economico-manageriale ha messo in evidenza che le determinanti, la direzione e l’intensità del cambiamento distrettuale sono fortemente influenzate dalle scelte strategiche compiute da pochi attori imprenditoriali presenti nel contesto locale e capaci di perseguire e implementare soluzioni innovative ed originali in termini organizzativi, di mercato, tecnologici, di prodotto e quant’altro. Si tratta, insomma, di attribuire un ruolo centrale del cambiamento alle cosiddette imprese leader. Pur tuttavia, questa etichetta imprenditoriale, questa caratteristica qualitativa del modo di essere di alcune imprese, ossia la leadership, sulla base di quali argomentazioni economiche viene identificata? Sulla base di quali variabili si può enucleare? Da questo punto di vista, la stessa letteratura economico-manageriale non ha saputo andare al di là di un mero profilo descrittivo e qualitativo sull’essere leader, spesso espressione di un semplice riconoscimento ex post e mai ex ante rispetto al successo imprenditoriale. Ecco, dunque, un quesito chiave rilevante per le associazioni imprenditoriali, per i policy maker e per tutti gli altri attori che operano nel sistema produttivo locale: chi sono le imprese leader e come si identificano? A questa domanda si è risposto mediante l’individuazione di due diversi approcci metodologici che potremmo definire l’uno di tipo cognitivo e l’altro di tipo analitico. Il metodo cognitivo si basa sulle dichiarazioni rilasciate dagli opinion leader che, sulla base della loro esperienza professionale e della loro conoscenza del contesto territorio, hanno individuato realtà imprenditoriali che hanno saputo emergere dal resto del sistema per connotazioni organizzative, performance o innovatività. Tali peculiarità 8
hanno assunto dunque aspetti diversi in relazione alla sensibilità del testimone privilegiato di fronte alle specifiche realtà aziendali del territorio. A tale approccio è stato affiancato un metodo più oggettivo che ha studiato le performance delle imprese del distretto per ciascun settore. Dall’analisi dei principali indicatori di redditività e della dinamica del fatturato e dell’occupazione si sono individuate le imprese le cui performance caratteristiche superavano quelle del settore a livello nazionale. Questa scelta ha generato dei risultati in parte inattesi, sui quali si disserterà nel box di approfondimento a seguire. Il metodo analitico Il procedimento che ha dato origine ai dati sui settori orafo, tessile, concia, 2-3 ruote si è basato sulla banca dati Aida-Bureau Van Dijk. Si sono selezionate le imprese sulla base dei seguenti codici Ateco:
Tessile – Ateco 17000
Conciario – Ateco 36220
Orafo – Ateco 19100
Filiera 2 – 3 ruote – Ateco 35400, 28510, 28520, 27540.
Si sono calcolati il valore medio e le variazioni medie per gli anni 2003, 2002, 2001 delle seguenti variabili:
Ricavi delle vendite
Dipendenti
Roe
Roi
Le variabili indicate sono, quindi, in grado di rappresentare caratteristiche sia strutturali, sia comportamentali. I dati sui ricavi medi e sui dipendenti medi costituiscono infatti un indice dimensionale: più grandi sono le variabili indicate maggiore è la struttura operativa e produttiva dell’impresa. Questo vale in tutti i settori analizzati, anche se nei casi in cui l’incidenza della materia prima sul valore del prodotto è molto elevata (come ad esempio nel settore orafo) l’indicatore dimensionale fatturato può essere più aleatorio. Per questo motivo la 9
dimensione aziendale viene valutata anche attraverso l’indicatore dei dipendenti che risulta indipendente dal valore del prodotto. La dinamica di questi indicatori, inoltre, indica la propensione alla crescita dell’impresa: le imprese che crescono più rapidamente, sono anche quelle che possono svolgere una migliore funzione di traino per il sistema produttivo locale. La crescita è quindi valutabile in termini di mercato (approssimata dall’evoluzione del fatturato), e in termini strutturali (approssimata dalla crescita dei dipendenti). Anche gli indicatori di redditività esprimono indicazioni strutturali e indicazioni comportamentali. L’assunto, anche in questo caso è che la capacità di produrre reddito è una chiave importante per definire le imprese di traino del sistema. L’uso di due diversi indicatori (ROI e ROE) è finalizzato a definire due diversi modi di produrre reddito aziendale. Il ROI1 indica la remunerazione del capitale investito attraverso la redditività della gestione caratteristica, il ROE2 indica la capacità di remunerare il capitale proprio dell’azionista attraverso la gestione complessiva dell’azienda. Il primo è in sostanza un indicatore di efficienza industriale, il secondo e un indicatore di efficienza gestionale più generale. Nella determinazione del ROE incide anche la correttezza delle scelte finanziarie, legate alla forma delle fonti di finanziamento utilizzate per la gestione complessiva aziendale. Tale indicatore è quindi importante nella definizione delle aziende leader, proprio in virtù della necessità di scegliere aziende dinamiche: con la convinzione che il dinamismo non può prescindere da una equilibrata sostenibilità finanziaria. La variazione dei due indicatori esprime sostanzialmente l’evoluzione temporale delle performance. I guadagni di efficienza (aumento del ROI) e i guadagni di redditività globale (aumento del ROE) esprimono la certificazione di scelte di breve e medio periodo efficaci e concrete. Da questo punto di vista assume maggiore valore il fatto che le imprese non solo sono strutturalmente redditizie, ma che puntano al miglioramento continuo delle proprie performance, facendo leva sulla crescita e su una sempre maggiore redditività. 1
Return on Investment, si calcola dividendo il reddito operativo con il capitale totale investito. 2 Return on Equity, è ricavato dal rapporto tra l’utile netto ed il patrimonio netto dell’azienda. 10
Il metodo analitico utilizzato pertanto agisce secondo uno schema che confronta le variabili medie, selezionando come leader sono quelle aziende che per dimensione ed efficienza eccellono rispetto alla media di distretto ed a quella del settore in Italia. Allo stesso tempo sono state pensate come leader quelle aziende che hanno una dinamicità e trend reddituali superiori a quelli nazionali e distrettuali. Il calcolo è stato fatto per il campione a livello di distretto3 o sistema territoriale e per il totale Italia. Nello specifico, i comuni oggetto d’analisi sono riportati nella tabella a seguire. Tab. 1 I confini dei sistemi produttivi locali analizzati Sistema produttivo locale
Comuni e province
Distretto tessile di Prato:
Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Prato, Vaiano, Vernio (Prato) Calenzano, Campi Bisenzio (Firenze) Agliana, Montale, Quarrata (Pistoia)
Distretto conciario di Santa Croce:
Fucecchio (Firenze) Bientina, Castelfranco di Sotto, Monopoli in Val d’Arno, San Miniato, Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte (Pisa)
Distretto orafo di Arezzo:
Arezzo, Capolona, Castiglion Fibocchi, Castiglion Fiorentino, Civitella in Val di Chiana, Cortona, Foiano della Chiana, Latrina, Lucignano, Marciano della Chiana, Monte San Savino, Pergine Valdarno, Sabbiano (Arezzo)
Filiera 2,3 ruote:
L’intera provincia di Pisa
Nelle tavole a seguire sono inoltre riportati i valori medi, per ambito territoriale e settoriale analizzato, a confronto con quelli che il comparto registra a livello nazionale secondo le informazioni contenute nel data base Aida Bureau Van Dijk4. Il tessile pratese risulta in questo modo caratterizzato da aziende di dimensioni medie più contenute rispetto alla situazione nazionale e da livelli di efficienza gestionale altrettanto deficitarii. L’evoluzione recente denota un arretramento particolarmente marcato nel 2003 e più evidente rispetto al resto del sistema tessile nazionale. 3
Identificato sulla base dei confini riconosciuti nel 2000, dopo l’intervento del Ministero dell’Industria in merito ai criteri di individuazione dei Distretti (legge 140/99). 4 La banca dati olandese contiene infatti i bilanci completi di oltre 800 mila aziende italiane e ciò ha permesso di realizzare non soltanto un’analisi delle performance delle singole aziende ma anche un confronto delle stesse con le aziende di dimensioni simili e con la stessa specializzazione produttiva, andando quindi oltre le logiche nazionali e di distretto già riportate nel testo del rapporto (parte metodologica). 11
Le imprese orafe aretine appaiono invece in linea al resto del Paese, pur con un monte occupazionale mediamente più contenuto. Il carattere meno artigianale della produzione orafa aretina spiega il minore impiego di addetti e la maggiore efficienza gestionale, sebbene il quadro congiunturale evidenzi un progressivo deterioramento dei fondamentali. Proseguendo, il conciario pisano risulta a sua volta composta da aziende di dimensioni mediamente più contenute rispetto al quadro nazionale e da livelli di efficienza gestionale altrettanto deficitarii, fatta eccezione per il ROI. I segmenti di mercato del distretto restituiscono ancora un maggiore ritorno dagli investimenti effettuati, ma la sostenibilità sembra essere compromessa. L’indicatore arretra infatti negli anni. Dalle informazioni presenti su Aida, la filiera delle 2.3 ruote, infine, appare influenzata dalla presenza di Piaggio e di importanti fornitori di primo livello. Le difficoltà che il famoso gruppo di Pontedera attraversava in quegli anni pesano quindi sulla dinamica registrata nel valore della produzione. Già nel 2003 si osservano però alcuni segnali di recupero, testimoniati dalla evoluzione dell’occupazione e dai progressi del ROI. Tab. 2 Settore tessile - Ateco 17000: Principali indicatori Fatturato
Dipendenti
ROE
ROI
Variazione % media Fatturato Variazione % media Dipendenti Variazione % media ROE Variazione % media ROI
2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 numerosità del campione
Prato
Italia
5.680.280 6.444.327 7.282.766 28,1 30,1 31,8 -1,1 4,2 2,64 2,28 3,46 4,78 -11,86 -11,51 -6,64 -5,35 -126,19 59,09 -34,10 59,09 733
9.651.204 9.759.927 11.197.998 54,3 51,3 55,3 0,35 5,92 2,74 3,2 4,2 5,04 -1,11 -12,84 5,85 -7,23 -94,09 116,06 -23,81 -16,67 4.909
Fonte: elaborazioni su dati Aida – Bureau Van Dijk
12
Tab. 3 Settore orafo – Ateco 36220: Principali indicatori Fatturato
Dipendenti
ROE
ROI
Variazione % media Fatturato Variazione % media Dipendenti Variazione % media ROE Variazione % media ROI
2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 numerosità del campione
Arezzo
Italia
6.216.083 7.484.665 8.238.336 20,94 21,81 20,17 0,17 4,55 4,40 5,15 6,21 7,66 -16,95 -9,15 -3,97 8,13 -96,32 3,58 -17,05 -18,96 190
6.173.674 7.316.145 8.489.115 26,3 27,5 26,9 -1,77 3,43 4,95 4,21 5,40 6,58 -15,62 -13,82 -4,27 2,22 -151,70 -30,70 -21,98 -17,91 611
Fonte: elaborazioni su dati Aida – Bureau Van Dijk
Tab. 4 Settore conciario – Ateco 19100: Principali indicatori Fatturato
Dipendenti
ROE
ROI
Variazione % media Fatturato Variazione % media Dipendenti Variazione % media ROE Variazione % media ROI
2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 numerosità del campione
Pisa-Firenze
Italia
6.241.570 7.319.765 7.760.863 20,78 21,92 22,21 2,96 7,34 7,04 4,90 5,59 6,50 -14,73 -5,68 -5,19 -1,31 -59,72 4,26 -12,32 -13,94 280
8.764.348 9.242.118 10.323.864 30,6 29,8 30,9 3,14 9,10 8,19 4,51 5,34 6,14 -5,17 -10,48 2,73 -3,72 -65,51 11,14 -15,51 -13,15 687
Fonte: elaborazioni su dati Aida – Bureau Van Dijk 13
Tab. 5 Settore 2.3 ruote – DM 35.4: Principali indicatori Fatturato
Dipendenti
ROE
ROI
Variazione % media Fatturato Variazione % media Dipendenti Variazione % media ROE Variazione % media ROI
2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 2003 2002 2001 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 03/02 02/01 numerosità del campione
Pisa
Italia
149.692.315 148.043.652 154.708.367 564,83 456,83 479,67 -16,29 -15,53 5,86 2,22 1,13 -0,80 1,11 -4,31 23,64 -4,76 4,91 -364,93 96,31 -241,93 6
35.512.593 28.013.000 37.784.645 130,3 112,1 133,1 0,75 1,95 2,40 4,83 5,28 4,23 26,77 -25,86 16,27 -15,78 -61,60 -18,94 -8,57 24,74 177
Fonte: elaborazioni su dati Aida – Bureau Van Dijk
Il metodo cognitivo Per metodo cognitivo si è inteso l’insieme delle segnalazioni espresse dai testimoni intervistati, andando nello specifico a considerare quelle aziende che avessero avuto un riscontro multiplo, ovvero l’attribuzione di leadership da più di un opinion leader.
I “leader” individuati Il ricorso all’approccio analitico, così come appena descritto, ha restituito l’individuazione di 34 aziende classificabili come leader nei diversi ambiti territoriali. Dal confronto con i risultati ottenuti dalle interviste agli opinion leader (approccio analitico) il primo riscontro interessante è stato quello della distanza tra i due insiemi di aziende, che solo nell’orafo e nelle 2.3 ruote mostrava casi di aziende emerse con entrambi gli approcci. Il riscontro di lacune informative nella Banca Dati possono avere contribuito in minima parte a questo disaccoppiamento, ma è soprattutto nelle 2.3 ruote che si osserva tale fenomeno, settore dove 14
peraltro si registra il maggior numero di doppie segnalazione. Tredici delle aziende emerse dall’approccio cognitivo non erano infatti presenti in Aida o erano ricomprese ma senza tutte le informazioni necessarie (bilanci dal 2001 al 2003), impedendo di fatto l’approfondimento analitico. Delle 73 aziende potenzialmente leader, ci si è concentrati sulle che avevano tutte le caratteristiche necessarie e certificate come tali (60), la metà circa si è dimostrata disponibile ad una intervista diretta. Tab. 6 Il confronto tra i due approcci Approccio cognitivo
Approccio analitico
Sovrapposizioni
9
-
1
Prato - tessile
7
2
Santa Croce - conciario
7
8
-
3
Arezzo - orafo
7
7
4
4
Pisa - 2.3 ruote
17
11
6
Totale
38
34
10
Tab. 7 il resoconto delle interviste Imprese leader individuate
Intervistate
1
Prato - tessile
16
8
Perc. del totale 50%
2
Santa Croce - conciario
15
8
53%
3
Arezzo - orafo
10
5
50%
4
Pisa - 2.3 ruote
19
8
42%
Totale
60
29
48%
Bilanci e analisi di performance Relativamente alle aziende leader intervistate si è proceduto ad una rassegna di dettaglio sulla base delle informazioni di bilancio disponibili attraverso la Banca Dati Aida - Bureau Van Dijk. Attraverso gli indicatori di bilancio è stata predisposta, una “peer analysis” delle aziende. Per peer analysis confronto critico dell’azienda con altre imprese che medesimo settore e che hanno una dimensione in termini simile a quello dell’azienda analizzata.
nello specifico, si intende un operano nello di fatturato più
Per le aziende leader i cui bilanci sono risultati disponibili nella Banca Dati Aida, si è dunque proceduto alla elaborazione di peer group (schema di confronto con aziende simili) e di indicatori di bilancio che hanno definito le performance delle singole aziende. Nel dettaglio per ogni azienda vengono riportati: 15
•
Peer group: confronto dell’azienda leader intervistata con un gruppo di venti aziende dello stesso settore e dimensione simile, in serie storica dal 2000 al 2004 o per gli anni disponibili. Il confronto comprende una serie di variabili e indicatori di bilancio quali Ricavi delle Vendite, Valore Aggiunto, ROS, ROI, ROE e Dipendenti relativamente all’ultimo anno disponibile.
•
Indicatori di bilancio: sono stati rappresentati graficamente i principali indicatori e variabili analizzate quale Ricavi delle Vendite, ROI, ROE e Dipendenti per gli anni 2000-20045.
Non sarà però oggetto di approfondimento l’analisi della singola azienda, attività che non risulta funzionale agli obiettivi della ricerca. Questo parte del lavoro ha piuttosto l’obiettivo di dare massima informazione sulle aziende leader intervistate, in un contesto allargato ai sui concorrenti più prossimi, non soltanto nel distretto, ma anche al panorama nazionale. Gli esiti sono riportati in allegato al rapporto nella Appendice statistica.
Box 1.1 Risultati e percezioni: due modi di dire leadership Il confronto tra il metodo cognitivo e il metodo analitico per l’identificazione delle imprese leader ha portato a notevoli difformità. In altri termini, il cluster delle imprese leader ottenuto con il metodo cognitivo non si sovrappone, se non marginalmente, con il cluster ottenuto dall’applicazione del metodo analitico, in tutti i diversi territori esaminati. Questa divergenza di risultati tra i due metodi è sintomatica del diverso metodo di intendere, interpretare ed ottenere le imprese leader. Evidentemente, i testimoni privilegiati intervistati hanno propri codici cognitivi (informazioni, conoscenza, pre-giudizi, convinzioni) che li portano a rappresentare e a mappare il territorio, in termini di imprese leader, in modo diverso da quelle che riusciamo ad ottenere con l’utilizzo analitico di variabili di bilancio. Non si tratta di ritenere che uno dei due metodi sia errato ma piuttosto da riflettere sulla natura e sulle determinanti della loro divergenza. Perché dunque questa diversità dei risultati ottenuti nell’identificazione delle imprese leader?
Fondamentalmente
si
possono
proporre
tre
diverse
possibili
interpretazioni. Innanzitutto, i testimoni privilegiati possono privilegiare interpretazioni che riguardano profili economici, organizzativi e strategici che non sono direttamente 5
Il valore aggiunto è stato omesso in quanto spesso lacunoso e quindi graficamente poco esplicativo. 16
ed immediatamente riferibili a quelle della dimensione e della redditività. Ad esempio, un’impresa che persegue una strategia di ingresso in nuovi mercati emergenti, distanti in termini geografici e culturali da quello nazionale, viene colta dai testimoni privilegiati e non necessariamente dal metodo analitico in quanto la strategia perseguita non ha ancora prodotto risultati, né in termini di fatturato né in termini di redditività. In secondo luogo, i testimoni privilegiati possono essere sensibili nell’identificare le imprese leader a favore di quelle che manifestano un livello di partecipazione istituzionale nei vari contesti decisionali collettivi presenti all’interno del sistema produttivo locale. Ad esempio, la partecipazione di un’impresa, con taluni propri dirigenti, ad un consorzio presente nel territorio, agli organi collegiali di un’associazione imprenditoriale, ad attività seminariali e di discussione pubblica attivati dai policy maker locali o ad incontri periodici organizzati dalla locale CCIAA costituisce un segnale tangibile della presenza della stessa impresa alle attività istituzionali del territorio. Di conseguenza, i testimoni privilegiati sono portati ad identificare questa impresa e non altre che “appaiono” meno, che possono però registrare, nei propri mercati, performance competitive di gran lunga superiori. Infine,
i
testimoni
privilegiati
sono
portati
a
sottostimare,
anche
inintenzionalmente, nuove imprese particolarmente dinamiche ma che appaiono operare con prodotti, con tecnologie o in mercati che non rappresentano la caratteristica di fondo del sistema produttivo locale. Ad esempio, un’impresa nuova che crea un nuovo prodotto può suscitare diffidenza da parte di molti testimoni privilegiati sulla sua eventuale capacità futura di diventare leader rispetto alle imprese storiche presenti nel sistema produttivo locale. Pere tutti questi motivi, è dunque evidente che esistono due diverse “lenti” che ci portano ad identificare in modo diverso le imprese leader di un territorio. È dunque evidente che se, ad esempio, il policy maker regionale intende procedere ad implementare una politica industriale a favore delle imprese leader dovrà essere consapevole che l’adozione dell’uno o dell’altro metodo può portare a partizioni diverse, con tutte le conseguenze in termini di logiche di intervento, di strumenti di supporto, di finalità perseguite e di problematiche da affrontare.
17
1.2 Metodologia per l’indagine campionaria L’implementazione della indagine campionaria ha richiesto una serie di passaggi metodologici, primo tra tutti l’individuazione dell’ambito geografico da analizzare, aspetto non banale se si considera la diversità degli oggetti di analisi.
Il territorio Gli ambiti oggetto di analisi comprendono infatti tre distretti industriali ed una filiera produttiva, specificati in precedenza (Tabella 1). Per l’identificazione delle aree distrettuali si è fatto ricorso alla mappa dei distretti individuati dalla Regione Toscana6, mentre per la filiera 2.3 ruote, che ha una concentrazione specifica all’interno della provincia di Pisa, si è scelto di sottoporre ad analisi l’intero territorio provinciale.
Le specializzazioni produttive La popolazione universo di riferimento per l’indagine diretta è costituita dall’insieme delle unità locali presenti nelle quattro aree oggetto di studio. Sono state indagate sia le unità locali che operano nei settori produttivi di specializzazione dei singoli sistemi locali sia quelle operanti in comporti legati alla specializzazione distrettuale, quali, ad esempio, i comparti della fabbricazione di macchinari per la lavorazione dei prodotti orafi, conciari, e tessili. Per la filiera 2.3 ruote, non avendo una definizione esatta dei confini settoriali ricompresi, sono state prese in considerazione tutte le imprese che avessero in qualche modo una relazione potenziale con la fabbricazione di motocicli e biciclette. I settori di specializzazione (individuati secondo la classificazione Ateco 2002) presi in considerazione sono riportati nella tabella a seguire.
6
Il riferimento è alla mappa riconosciuta nel 2000, dopo l’intervento del Ministero dell’Industria in merito ai criteri di individuazione dei Distretti (legge 140/99). 18
Tab. 8 Gli ambiti settoriali analizzati Distretto Prato:
tessile
di
Comuni e province DB 17 – Industrie tessili DB 18 – Confezione di articoli di abbigliamento DK 29.54.1 – Fabbricazione e installazione di macchine tessili; di macchine e impianti per il trattamento ausiliario dei tessili, di macchine per cucire e per maglieria
Distretto conciario di Santa Croce:
DC 19 – Preparazione e concia dl cuoio; fabbricazione di articoli da viaggio, borse, articoli da correggiaio, selleria e calzature DK 29.54.2 – Fabbricazione e installazione di macchine e apparecchi per l’industria delle pelli, del cuoio e delle calzature
Distretto Arezzo:
orafo
Filiera 2, 3 ruote:
di
DN 36.2 – Gioielleria e oreficeria DM 35.4 – Fabbricazione di motocicli e biciclette DH – Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche DJ – Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo DK – Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, compresi l’installazione, il montaggio, la riparazione e la manutenzione DL – Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche ed ottiche
La popolazione universo di riferimento, costituita dunque dalle unità locali presenti nei territori oggetto di studio, è stata individuata sulla base delle risultanze dell’ottavo Censimento dell’Industria e dei Servizi, relativo all’anno 2001. Non esistendo un codice Ateco che identificasse nello specifico i produttori di macchine, attrezzature, componenti e fornitori di servizi per l’industria orafo-argentiera, si è proceduto all’individuazione di un elenco nominativo dei principali produttori presenti sul territorio, attraverso pubblicazioni specifiche e analisi di settore7.
Il piano di campionamento Per ogni singolo ambito territoriale, il campione è stato estratto seguendo lo schema di campionamento della stratificazione proporzionale, nella quale la popolazione viene suddivisa in sottopopolazioni strutturate in unità omogenee. La popolazione in oggetto è stata dunque suddivisa in strati sulla base della variabile “Comparto di attività dell’azienda”. 7
Le fonti utilizzate sono state: Gold Report – Speciale Macchinari; www.oromacchine.org; CCIAA Arezzo – Estratto dall’elenco ditte import-export. 19
All’interno del generico strato sono state poi campionate un numero di unità elementari direttamente proporzionali all’ampiezza dello strato stesso nella popolazione. Il campione così formato risulta rappresentativo a livello di ambito locale, producendo, a livello di confidenza del 95%, un errore campionario pari al 5%8. Inoltre, laddove le consistenze numeriche non raggiungevano la soglia minima individuata dalla teoria dei piccoli campioni si è applicato un riproporzionamento. Si è giunti quindi all’individuazione del campione, così come riportato nella tabella a seguire. Tab. 9 La popolazione universo di riferimento (Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi, 2001) ed il campione teorico
Distretto di Prato DB17 - Industrie tessili DB18 - Confezione di articoli di vestiario, preparazione e concia pellicce DK29.54.1 - Fabbricazione e installazione di macchine tessili, di macchine e di impianti per il trattamento ausiliario dei tessili, di macchine per cucire e per maglieria Distretto di santa Croce
Popolazio -ne 8.666 6.517
Campio -ne 368 277
Campione ripr. 368 250
1.961
83
83
188
8
35
1.940
321
321
1.880
311
291
DC19 - Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari DK29.54.2 - Fabbricazione e installazione di macchine e apparecchi per l'industria delle pelli, del cuoio e delle calzature Distretto di Arezzo
60
10
30
1.612
310
310
DN36.2 - Gioielleria e oreficeria
1.612
310
310
Filiera 2-3 ruote
1.163
289
291
69
17
31
518
129
115
275
68
68
286
71
62
15
4
15
DH - Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche DJ - Produzione di metallo e fabbricazione di prodotti in metallo DK - Fabbricazione macchine ed apparecchi meccanici; installazione e riparazione DL - Fabbricazione macchine elettriche e apparecchiature elettriche ed ottiche DM 35.4 - Fabbricazione di motocicli e biciclette
8
L’errore campionario è pari al 5% ipotizzando condizioni di massima variabilità della variabile oggetto di studio, quindi nella peggiore delle ipotesi. 20
La natura dell’indagine ha posto però la necessità che le imprese intervistate fossero in un certo qual modo “strutturate”, per cui si è deciso di campionare, all’interno di ogni singola sezione o sottosezione di attività economica, un maggior numero di imprese caratterizzate da una dimensione al di sopra dei 2 addetti.
Il reperimento dei nominativi e la tecnica di rilevazione Completate le fasi di stima del campione, si è poi passati alla fase di richiesta dei nominativi delle imprese da intervistare. Tali nominativi sono stati estratti dalle liste di oltre 5.200 aziende fornite dalla banca dati D&B (Dun & Bradstreet Italia). Le interviste sono state effettuate telefonicamente con metodologia CATI (Computer Assisted Telephone Interview).
Le elaborazioni Sulle imprese campionate è stata realizzata una prima elaborazione con frequenze semplici e cumulate, seguita da una cluster analysis, ritenuta strumentale per l’approfondimento di alcuni aspetti specifici. Il processo di cluster analysis9 utilizzato può essere così schematizzato: A) Scelta dell’algoritmo di raggruppamento. In questo caso l’algoritmo scelto è stato quello gerarchico aggregativo, in cui inizialmente ogni unità statistica viene considerata come gruppo a sé stante. Ciò significa che il primo passo del processo ha visto aggregarsi tra loro le due unità statistiche meno dissimili ottenendo così una ripartizione in n-1 gruppi, di cui n-2 formati da una sola unità e ed uno formato da 2 unità. Si è proceduto poi ripetendo il processo n-1 volte, fondendo assieme di volta in volta i 2 gruppi meno dissimili, finché non si è pervenuti alla riunione di tutte le unità in un solo gruppo.
9
La cluster analysis, o analisi dei gruppi, si configura come uno strumento di classificazione capace di suddividere un insieme eterogeneo di unità statistiche in gruppi omogenei al loro interno e tra loro separati rispetto ad un particolare insieme di variabili 21
B) Scelta del metodo di classificazione e della misura di prossimità in base alla quale valutare la dissomiglianza tra i singoli elementi da classificare. Il metodo di classificazione scelto, quello di Ward, ha riunito, ad ogni tappa del processo, i due gruppi dalla cui fusione derivava il minimo incremento possibile della devianza entro. Tale devianza, pari a zero al punto di inizio del procedimento, quando ciascuna unità forma un gruppo a sé aumenta di una quantità pari a ∆g a ciascun passo di aggregazione g fino ad eguagliare la devianza totale allorché tutte le unità sono riunite in un solo gruppo. Parallelamente, la devianza tra diminuisce della stessa quantità ∆g ad ogni passo. C) Scelta della trasformazione da operare sui dati prima di essere analizzati. Essendo i caratteri espressi in scale diverse, si sono operate delle trasformazioni che le hanno rese omogenee permettendo il calcolo della dissomiglianza. Il metodo utilizzato è stato quello della standardizzazione delle variabili, attraverso il quale si è ottenuto un nuovo insieme di variabili con valor medio aritmetico pari a zero e varianza unitaria, che ha quindi permesso di operare con variabili espresse in unità di misura direttamente confrontabili. D) Individuazione del numero ottimale dei gruppi10. Il criterio usato è consistito nel fermare il processo di aggregazione immediatamente prima del passo del processo che presentava, rispetto al passo precedente, il più alto incremento relativo della distanza di fusione. Laddove si registrano infatti salti consistenti, si può pensare che le tappe di aggregazione corrispondenti comportino un cambiamento rilevante nella omogeneità interna dei gruppi. E)
Scelta delle variabili rispetto alle quali si desidera vengano misurate le dissomiglianze tra le n unità statistiche. La scelta delle variabili è un’operazione delicata perché estremamente soggettiva e dalla quale dipende l’attendibilità dei risultati finali
10
Gli algoritmi gerarchici forniscono una serie di n partizioni concatenate, con un numero di gruppi che va da n ad uno; va evidentemente scelta una di queste partizioni per dare soluzione concreta al problema del raggruppamento. 22
dell’applicazione. Può infatti capitare da un lato di scegliere delle variabili che assumono valori simili i tutte le unità statistiche e quindi scarsamente selettive, dall’altro invece la scelta di variabili che presentano differenze consistenti, se non troppo rilevanti ai fini dell’indagine, può portare a risultati distorti. Proprio per questo motivo sono stati utilizzati diversi approcci analitici, prendendo come variabili discriminanti distinti fattori chiave per la competitività settoriale: 1. la vicinanza al mercato, i cui elementi caratteristici sono la destinazione delle produzioni (presenza di un mercato finale con o senza marchio proprio/ realizzazione di prodotti per altre aziende), le tipologie di committenti (grandi marchi/imprese che vendono senza marchio/altri produttori di semilavorati), la presenza di rete distributiva propria, la proiezione internazionale (approssimata dalla dicotomia esporta/non esporta). 2. la capacità innovativa, intesa come realizzazione di innovazioni sensibili di prodotto e di processo (introduzione sul mercato di prodotti tecnologicamente nuovi o migliorati; introduzione di processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi tecnologicamente nuovi o migliorati) 3. la struttura interna ed esterna, intesa come dimensione dell’azienda (per classi di fatturato e classi di addetti11), partecipazione a gruppi o a consorzi. 4. la densità di rapporti di distretto/filiera, intesa come inclinazione all’uso della fornitura (ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali) e localizzazione della fornitura (distretto o provincia/regione/Italia/estero) 5. la dinamica per struttura, clusterizzando cioè le imprese delle 5 aree per dinamica del fatturato e classe di addetti. Dei cinque approcci, solo quello costruito rispetto alla densità dei rapporti ha restituito risultati ritenuti poco esplicativi. L’analisi si è quindi focalizzata sugli altri quattro approcci.
11
Il fatturato è stato ripartito in tre classi (fino a 500 mila euro, da 500 mila a 1,5 milioni, oltre 1,5 milioni) e così gli addetti (0-9 addetti, 10-49, 50 e oltre). 23
CAPITOLO 2. IL DISTRETTO ORAFO DI AREZZO
2.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
2.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale Con l’inizio del nuovo millennio il panorama del settore sembra entrare in una nuova fase che per molti sistemi orafi significa l’apertura di una profonda crisi. E questo per diversi ordini di ragioni. È forse riduttivo attribuire le cause alla globalizzazione. È vero infatti che in anni recenti si sono accreditati una serie di competitors nuovi e già importanti, ma è altrettanto vero che segnali di cambiamento si intravedevano già nel decennio passato, ingenerati da un mutamento dei gusti e dei comportamenti di spesa dei consumatori. L’oro infatti perde rapidamente il ruolo di bene rifugio ed i prodotti di oreficeria si connotano sempre di più come oggetti di moda, con tutto ciò che ne segue in termine di strategie di produzione e commercializzazione. Il mutamento della geografia del settore in inserisce, ed è verosimilmente favorito, quindi da cambiamenti sostanziali nel lato della domanda. Una risultanza di ciò è che dalla fine degli anni novanta nel sistema orafo internazionale si assiste ad un rimescolamento in vetta alla classifica dei paesi esportatori. In un quadro di crescita dei valori commerciati, alcuni paesi leader ancora nel 1998, come l’Indonesia e Singapore, perdono rilevanza; la Germania non riesce a consolidarsi come polo esportativo, mentre guadagnano rapidamente terreno gli Usa, la Cina (grazie soprattutto all’annessione di Hong Kong) e l’India, paese che quasi quintuplica il valore dei beni esportati. Di recente si affaccia con forza anche la Turchia sulla scena orafa mondiale, grazie a sopraggiunte capacità produttive, favorite dagli investimenti stranieri attratti; mentre per la Francia si può parlare a ben vedere di un ruolo puramente commerciale, acquisito grazie all’ingresso dei grandi player della moda12. 12
Corbetta G., Carcano L., Strategie aziendali e redditività nel settore orafo italiano, SDA Bocconi, IV forum del gioiello, Milano 6 luglio 2005. 24
Il nostro Paese, ad oggi primo esportatore e secondo produttore mondiale di oreficeria13, è un testimone ed un protagonista di questa trasformazione, risultandone (suo malgrado) uno dei più spiazzati. L’evoluzione delle quote di mercato nazionali ben rappresenta il mutamento che il settore sta attraversando. Ancora nel 1999 il valore delle esportazioni italiane superavano la decima parte dei flussi mondiali di oreficeria. Dal 2000 tale quota è progressivamente diminuita e con ritmi impressionanti, se si considera che negli ultimi quattro anni è andato perduto circa un terzo del nostro peso relativo. Fig. 1 Andamento delle esportazioni di prodotti orafi (1997=100) 500,0 450,0 400,0 350,0 300,0 250,0 200,0 150,0 100,0 50,0 0,0 Italia
Regno
Svizzera
Cina
USA
Unito
Cina, Hong
India
Altri
Total
paesi
export
Kong 2000
2003
2004
Fonte: elaborazioni su dati Comtrade - Onu
13
Ente Fiera di Vicenza www.vicenzaoro.org.
(2005),
Gold
Report
-
aggiornamento
maggio
2005, 25
Fig. 2 Quote export dell’Italia (valori percentuali) 12,0
11,1
11,0
10,6
10,0
9,7
10,0
8,6 7,6
8,0
6,0
4,0
2,0
0,0 1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Fig. 3 I principali paesi esportatori del 2004 (miliardi di USD) 5,0 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 Italia
India
USA
Cina e Svizzera Hong Kong
Regno Unito
Cina
Turchia
Francia
Germania Altri paesi
Fonte: elaborazioni su dati Comtrade - Unctad
26
Fig. 4 Principali paesi esportatori del 1997 (miliardi di USD) 5,0 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 Italia
Regno Unito
Svizzera
Cina
USA
Cina, Hong Indonesia Kong
Singapore
India
Germania
Altri paesi
Fonte: elaborazioni su dati Comtrade - Unctad
Per l’orafo italiano è dunque in coincidenza della chiusura della espansiva del ciclo economico internazionale che la crisi si palesa. A partire dal 2001 le esportazioni per l'oreficeria italiana si riducono in maniera sensibile (-6%), situazione che si accentua negli anni seguenti, sino a diventare drammatica nel 2003, quando viene perso il 22% del valore delle esportazioni14. Solo nel 2004, secondo le stime più recenti, la situazione sembra essersi stabilizzata, sebbene la tendenza potrebbe risultare falsata da fenomeni di regolarizzazione fiscale più che da reali mutamenti di contesto15.
14
Come evidenziato dal Gold Report 2005, bisogna partire dalla premessa che le statistiche del settore incorporano un elevato grado di imprecisione. La produzione non dichiarata è una componente rilevante per tutta la filiera, sia nella fase di produzione che di distribuzione. L’elevato valore unitario del prodotto favorisce questa pratica, anche se chi esporta ne usufruisce in maniera meno accentuata. I controlli doganali non sembrano però escluderlo. 15 Il risultato, sia per le esportazioni sia per il fatturato, potrebbe infatti essere influenzato dall’introduzione degli studi di settore nell’orafo. Il rischio di accertamenti fiscali avrebbe spinto una parte delle aziende a far emergere parte del giro d’affari esistente, ma non dichiarato in precedenza. 27
L’affanno del nostro paese è dovuto in primo luogo al calo della domanda da parte degli Stati Uniti16, il principale mercato di sbocco, a cui va a sommarsi una concorrenza sempre più agguerrita da parte di alcuni Paesi in via di sviluppo, India e Turchia in testa; e, in terzo luogo, ad un aumento del prezzo dell'oro. Ma è sostanziale anche la presenza di restrizioni al commercio internazionale, fattore che sta giocando un ruolo decisivo sulla capacità di tenuta del nostro sistema orafo, soprattutto verso gli Stati Uniti. I dazi doganali attualmente in vigore sono circa del 6% ma, colpendo l’intero valore del bene, si riflettono sul valore aggiunto dovuto alle lavorazioni che è bassissimo rispetto al costo della materia prima. Considerando che l’oro utilizzato nella produzione di tali oggetti è interamente importato, l’esportazione diretta verso gli Stati Uniti è divenuta “quasi impossibile”, obbligando le imprese a fare una serie di triangolazioni, spesso, molto rischiose realizzando passaggi per Paesi tipo Panama, Colombia, ecc. Gli attuali competitors dell’Italia, invece, non presentano alcun tipo di problema in quanto i loro scambi commerciali con gli Stati Uniti vengono regolati da clausole di paese preferenziale17. La svalutazione del dollaro rispetto all’euro, inoltre, aggrava questo svantaggio, favorendo per converso tutti i principali competitors internazionali, in un settore in cui gli scambi sono da sempre regolati nella divisa statunitense. Ma le difficoltà del settore non vanno ascritte solo a questioni legali o monetarie, o a ragioni di ordine internazionale, ma sono da imputare a fattori interni, tipici del sistema orafo nazionale. Come la presenza di un tessuto produttivo troppo frammentato, in cui le aziende hanno una dimensione poco più che artigianale e che negli anni non hanno saputo o voluto modificare, anche per effetto di una domanda ancora trainante. Il fatturato per impresa, nel nostro paese, ha infatti oscillato lungo l’ultimo periodo tra i 500 e i 600 mila euro. Le difficoltà sono da imputare inoltre alla connotazione tipicamente produttiva delle aziende orafe, che rende poco conveniente crescere articolando la propria struttura su scala internazionale.
16
Il mercato statunitense, da solo, dal 2000 al 2004 riduce il valore della domanda di prodotti italiani di quasi 64 miliardi di euro, ovvero circa la metà dei 172 persi dal nostro paese a livello mondiale. Nei quattro anni considerati peggiora di più solo l’interscambio con il continente europeo, considerato però nel sua totalità (-83 miliardi). 17 Fonte: Interviste esperti di settore. 28
La delocalizzazione poi per le nostre aziende orafe è una scelta difficilmente praticabile, soprattutto per motivi di sicurezza del trasporto dei materiali lavorati. In anni recenti hanno avuto più fortuna alcune forme di collaborazione produttiva, grazie alle quali, tra l’altro, si è dato forza ai molti paesi emergenti, la Turchia in testa.
29
Var. perc.
-48%
-63,9
Fonte: elaborazioni su dati Ice
-60%
-50%
-40%
-30%
-20%
-10%
0%
Stati Uniti
Saldo (mil. euro)
-172,1
-35%
Mondo
0,7 0,6 0,5
-60
-200
-180
-160
UE 25
1997
1998
Spagna
1999
2000
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
0,0
0,1
0,2
0,3
-120 -140
0,4
-100
-80
0,8
-40
0,9
1,0
Italia
2001
2003
30
Regno Unito
2002
Fig. 6 Fatturato per impresa nei principali sistemi orafi europei (milioni di euro)
-20
0
Fig. 5 Andamento del commercio col mercato statunitense
Tra gli elementi che frenano il mercato va annoverata anche la sensazione che dalla metà degli anni novanta il mercato interno ha prima ristagnato, sono calati gli acquisti e gli acquirenti, con un giro d’affari inizialmente stazionario, per poi cedere negli ultimi anni. Non suffragata da dati certi, questa considerazione è piuttosto frutto delle indicazioni che vengano da esperti di settore. La tendenza sembra essere frutto di più elementi, primo tra tutti il fatto che in Italia sembra si stia andando verso un allineamento delle spese nazionali in oreficeria-gioielleria con i Paesi sviluppati, tendenza che si associa alla perdita, da parte dell’oro, dello status di bene rifugio. Si tratta di un allineamento in qualche modo ragionevole: a metà degli anni novanta gli italiani spendevano in oreficeria circa il triplo di quello che spendevano i tedeschi ed il doppio degli spagnoli.
2.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore Il settore orafo appare quindi scosso da sconvolgimenti che vengono in forte misura da cambiamenti di mercato, a cui vanno a sommarsi la pressioni generate da un ampliamento della geografia produttiva. L’oro tende a perdere il suo carattere di modernità, ma anche di bene rifugio, di tesaurizzazione dei risparmi. Ai prodotti orafi oggi i consumatori tendono a prediligere quelli tecnologici, come l’elettronica di consumo. Il suo appeal risiede ora, e sempre di più, nella capacità dei produttori di farlo percepire come un oggetto moda. Così, mentre una volta il gioiello era un regalo (per un anniversario, un compleanno..), oggi il prodotto orafo diventa un “auto-regalo”. Per cui quando l’acquirente sceglie un prodotto ha un’idea molto precisa di ciò che vuole ed è attratto da elementi immateriali, che danno uno status, una percezione di appartenenza.., più che da un valore determinato dalla preziosità della materia di cui è composto18. Elementi vincenti diventano perciò l’immagine e il design dell’oggetto di oreficeria, piuttosto che la percentuale di oro presente nel prodotto. Questa evoluzione è stata ben interpretata da imprese come Pomellato,
18
Si veda anche Bozzi G., I problemi del settore orafo, SDA Bocconi, IV forum del gioiello, Milano 6 luglio 2005. 31
Chimento, Damiani, Nomination, ma anche Breil, capaci di rendere il prodotto distintivo in funzione della diversa motivazione d’acquisto. Le pressioni dal lato costi della materia hanno generato iniziative vincenti anche da parte di chi ha saputo introdurre materiali più poveri, ma sempre puntando su un design innovativo. Essendo infatti il prezzo di accesso all’oro immodificabile da parte del singolo, si è fatto ricorso a prodotti compositi, dove l’oro rappresenta solo una parte dell’oggetto e a volte viene escluso del tutto. Da questo punto di vista hanno fatto scuola casi imprenditoriali come Pianegonda o Breil nell’argento. Grazie a questa innovazione si è aperto un nuovo spazio di mercato, completamente diverso per target di riferimento e caratteristiche dell’acquirente. Mentre l’oro si è da sempre rivolto a una fascia di consumatori di età e di reddito medio e medio-alto, il mercato di tali oggetti è costituito in prevalenza da una fascia giovane e che ha meno potere di acquisto. È bene comunque sottolineare che questo nuovo spazio di mercato, proprio per la minore capacità finanziaria, costituisce una opportunità per una parte delle aziende di riposizionare la propria attività ma, in termini di sistema, non può sicuramente garantire i numeri di cui il settore ha bisogno. Nei segmenti più tradizionali la situazione sembra andare verso una polarizzazione della domanda e quindi dei risultati di impresa. La fascia alta (nella gioielleria soprattutto) cresce nel tempo, così come avanza quella bassa, mentre accusa la fascia intermedia19. In un settore complessivamente in difficoltà cresce chi ha fatto una politica di marchio, mentre arretrano gli altri. Le aziende italiane di catename, poi, appaiono sempre meno a mercato. Pochi numeri riassumo il quadro. Dal 2001 al 2003 la gioielleria vede aumentare il fatturato del 3,9%, che diminuisce invece nell’oreficeria (-3,9%) e soprattutto nel catename (-5,7%). Scorporando le imprese branded, nella gioielleria la loro crescita è del 9%, nella oreficeria 3,3% a fronte di un arretramento delle unbranded (-4,4%)20. Si può quindi affermare che dal 2001 si è compiuta una frattura tra il sistema produttivo, storicamente attento alla qualità, o meglio alla eccellenza del prodotto, e quello orientato al mercato attratto da 19
Dove si colloca Arezzo. Corbetta G., Carcano L., Strategie aziendali e redditività nel settore orafo italiano, SDA Bocconi, IV forum del gioiello, Milano 6 luglio 2005. 20
32
contenuti fashion. Quanti non hanno saputo ricollocarsi in uno dei due segmenti si sono visti sottrarre progressivamente quote di mercato. La concorrenza dei paesi emergenti, Turchia e area asiatica in testa, si inserisce quindi in un sistema che si vede, in larga misura, spiazzato da una rivoluzione del suo essere. I produttori trovano spazio nei segmenti bassi grazie ai quali in pochi anni hanno raddoppiato la loro presenza nel mercato italiano21. Entrano nel mercato italiano facendo leva sulle produzioni unbranded, grazie al loro vantaggio di prezzo. Essendo la materia prima contrattata a livello internazionale, e quindi sostanzialmente uguale per tutti i trasformatori, il costo del lavoro incide in maniera non marginale prezzo finale. Dazi e dinamiche di cambio ampliano quindi uno svantaggio divenuto già strutturale per produzioni unbranded italiane. Conquistano mercato, non solo perché producono oggetti a prezzi più bassi, ma anche perché riescono a realizzare collezioni di qualità e con gusto compiutamente occidentale. Grazie alle politiche di cooperazione, più sopra citate, dall’Italia sono stati ceduti macchinari, ma soprattutto know how attraverso le consulenze di tecnici e designer italiani. Oggi in Turchia, in particolare, esiste un tessuto produttivo in grado di generare un’offerta molto competitiva anche sulla qualità. Grazie agli standard produttivi raggiunti dal paese dell’Anatolia, una tendenza recente dei buyers americani è quella di acquistare i campionari alle fiere italiane e di farli poi realizzare dai turchi. La trasformazione della oreficeria in prodotto di moda non solo ha determinato una trasformazione delle strategie vincenti, ma sta creando una vera rivoluzione nel settore non solo per chi produce, ma anche per chi vende. Semplificando, si può affermare che tradizionalmente per gli intermediari e i produttori era sufficiente realizzare le collezioni e portarle sul mercato per avere un riscontro positivo, situazione tipica dei settori supply-driven22. Ora non è più l’offerta a fare la domanda, ma è il cliente, e per catturalo servono delle iniziative che attirino la sua attenzione. Il nostro mercato interno da questo punto di vista è da sempre un osservatorio privilegiato per le tendenze del settore. L’Italia infatti era ed 21
Considerando i maggiori esportatori mondiali, ovvero Turchia, India, Cina e Hong Kong, il loro peso è cresciuto sull’approvvigionamento nazionale dal 9,7% del 2000 e 19,7% del 2004. 22 Certo c’erano degli sfasamenti tra produzione, vendita e incassi, i cui oneri erano generalmente sostenuti dal grossista/intermediario, ma il rischio era moderato. 33
è ancora il mercato guida a livello internazionale, non solo per la dimensione dei consumi, ma anche per la sofisticazione delle preferenze. Molti buyer internazionali guardano infatti alle tendenze in atto in Italia, soprattutto sul gusto per comprare la merce da collocare nei rispettivi mercati. Il “ribaltamento” delle logiche di settore orafo, ora trainato dalla domanda, hanno accresciuto la necessità di conoscere il mercato, magari anticiparlo e orientarlo, in un sistema produttivo strutturalmente distante dal consumatore. Storicamente sono gli intermediari commerciali (grossisti, supergrossisti, distributori, agenti, ecc.) a gestire i contatti con il mercato sia in Italia che all’estero. Questa situazione, consolidatasi nel tempo, ha impedito anche la costituzione di reti di vendita dirette che potevano costituire l’unica occasione di interazione con il mercato; semplificando, la logica di un produttore era: “perchè avere una distribuzione in proprio che richiede delle competenze diverse ed ha dei costi diretti ed indiretti se comunque sono in grado, sempre, di vendere tutto ciò che propongo a un grossista?” Di fronte da un sistema produttivo molto frammentato, poi, la distribuzione ha anche un ruolo di copertura rispetto alle forti esposizioni finanziarie che la vendita di una collezione comporta. Lo sfasamento tra l’acquisto e la trasformazione della materia prima, la vendita al consumatore e l’incasso può infatti avere tempi lunghi, che l’intermediario, operando su collezioni di più aziende, è in grado di affrontare meglio. Lo sfasamento, oltretutto, è acuito dalla presenza di una catena distributiva spesso molto lunga. Quando si opera sul mercato internazionale spesso si arriva anche a tre soggetti distinti. In questo caso, ad esempio, le PMI produttive vendono ad un grossista (supergrossista o raccoglitore), il quale vende al buyer internazionale che a sua volta distribuisce a chi si relaziona al cliente finale23. Ma oggi essere vicini al mercato rappresenta fattore strategico nelle logiche del settore, aspetto che rafforza il peso, già forte, dell’intermediazione. E cresce anche il ruolo del primo “sensore”, cioè di chi tiene i contatti col consumatore: la distribuzione finale.
23
Negli Usa, ad esempio, i principali canali sono le televendite (QVC, HomeShopping Network..), la grande distribuzione (in particolare Wal Mart, primo rivenditore di prodotti orafi) e le piccole catene (soprattutto per la gioielleria). 34
La trasformazione della gioielleria in prodotto di moda non solo ha determinato una trasformazione delle strategie vincenti, ma sta anche creando una vera rivoluzione per chi vende. E da questa trasformazione nascono problemi tanto della produzione quanto della distribuzione, soprattutto quella dettaglio. È vero che quest’ultima ha storicamente tenuto i contatti col consumatore, ma i cambiamenti hanno spiazzato pure i commercianti. Esperti di settore evidenziano infatti come “fino alla fine degli anni novanta si poteva vendere tutto ciò che si metteva in commercio, oggi no e il distributore fatica ad approcciare il cliente perché è abituato ad aspettarlo”24. Anche laddove il sistema produttivo adotta strategie più in linea con le nuove esigenze del mercato, si trova di fronte un sistema distributivo che ragiona con gli schemi che tradizionalmente erano suoi: ciò rallenta e complica un processo di trasformazione di per sé difficile. I mutamenti del sistema distributivo meritano quindi un approfondimento specifico nel box riportato qui di seguito.
Box 2.1 La distribuzione orafa Sintetizzando il percorso tracciato si può affermare che i mutamenti di mercato e l’inserimento
di
nuovi
players
rendono
necessario
attivare
strategie
di
differenziazione da parte delle aziende produttrici. Ciò si traduce nella necessità di attivare azioni di innovazione di prodotto, di creazione e rafforzamento di marchio e quindi in iniziative di comunicazione adeguate. Ma serve anche rivedere la distribuzione del proprio prodotto. Senza una politica distributiva coerente con le proprie strategie si rischia infatti di non servire adeguatamente il cliente. Non solo, si rischia addirittura di deluderlo, non solo allontanandolo dall’acquisto del prodotto specifico, ma dalla marca nel suo complesso. Adottare i principi della moda e dei prodotti di moda significa saper generare dei bisogni nei consumatori che al lato pratico si devono tradurre in una reperibilità del prodotto pubblicizzato, ma anche in una coerente visibilità al punto vendita. La
commercializzazione
sta
quindi
mutando
fisionomia
in
funzione
dei
cambiamenti citati. Le aziende produttrici si stanno muovendo verso un diverso approccio già nella rete commerciale. Stanno infatti perdendo peso i cosiddetti “viaggiatori”, cioè i rappresentati plurimandatari. “Oggi ogni rappresentante se non lavora in esclusiva poco ci manca” di questo avviso gli esperti di settore 24
Estratto dalle interviste realizzate durante la ricerca. 35
contattati. Per una valorizzazione adeguata del prodotto i rappresentanti sono portati a proporre 3-4 prodotti, possibilmente complementari, così da sviluppare una immagine adeguata già “all’uscita dalla azienda”. Tra i produttori più grandi poi si diffonde una progressiva internalizzazione della distribuzione, che per alcuni gioiellieri arriva alla costituzione di una rete di negozi monomarca (anche se i casi sono pochi, tra i quali Cartier e Bulgari). Cresce anche la tendenza a bypassare parte della filiera distributiva, attivando accessi diretti con i clienti. La pubblicità spesso è associata ad un numero verde al quale chiamare per avere informazioni sui punti vendita, prezzi.., limitata al momento alle aziende più dinamiche e dotate della capacità di realizzare campagne pubblicitarie. Si vuole quindi accorciare la catena distributiva, così averne un controllo migliore, ma il limite ultimo da superare è la frammentazione il sistema distributivo italiano. In Italia vi sono circa 25.000 negozi di oreficeria, rispetto ai 6.000 della Francia e agli 8.000 della Germania. In più tali operatori presentano una mentalità abbastanza “vecchia”25. Ne costituiscono un esempio il carente livello di rinnovamento delle vetrine e il deterrente psicologico all’acquisto costituito dalle particolari modalità di accesso alle gioiellerie tradizionali. Un’offerta spropositata associata ad una incapacità di rinnovamento sono i motivi per i quali il mercato nazionale, che assorbiva il 25% della produzione è attualmente fermo. La percezione tra i rivenditori di dover modificare il proprio ruolo è infatti di là dall’essersi radicata. Per molti è difficile accettare il passaggio da “consulente”, che portava il cliente all’acquisto, a valorizzatore di un prodotto che il cliente già conosce e desidera. Questo sta generando non pochi problemi nel settore orafo, dove molti distributori al dettaglio lamentano lo svilimento del loro mestiere, “sentendosi un semplice porgitore di prodotto”, e non considerando che nell’orologeria già funziona così da anni, dall’affermazione della Swatch sul mercato. Le difficoltà dell’orafo sono quindi ascrivibili anche alla arretratezza del sistema distributivo, soprattutto nella sua parte finale, poco propositivo e lento ad introdurre i correttivi nei comportamenti di vendita che il mercato richiede. Anche la distribuzione quindi “sta alla finestra” e non è in grado di condizionare i gusti e le tendenze del mercato. Le difficoltà di mercato non hanno spinto però ad integrazioni verticali, a parte qualche caso sporadico. La mancanza di accesso al mercato delle aziende di produzione non ha favorito l’acquisto o accordi strategici
25
Ibidem. 36
con i grossisti. Anzi è vero il contrario. Alcuni grossisti hanno infatti disegnato collezioni proprie facendole fare a terzi che in alcuni casi sono stati integrati. La maggior parte dei rivenditori (anche tra i grossisti) fatica ad indirizzare i prodotti innovativi verso i rivenditori capaci di valorizzarlo, per cui non è raro che un produttore investa nel design, nell’immagine (anche del packaging) per poi non vedersi proposto debitamente il prodotto. L’innovazione a volte si blocca quindi nella commercializzazione.
1.3 Il ruolo del distretto aretino Il distretto orafo aretino rappresenta uno dei principali poli produttivi ed esportativi nazionali. Negli anni ha visto inoltre aumentare la sua rilevanza sia in termini di unità produttive sia di occupati. Solo all’inizio dell’ultima decade ad Arezzo risiedevano il 10,7% delle unità locali orafe, dieci anni dopo il peso relativo era salito di 2 punti percentuali, grazie ad un trend espansivo pressoché ininterrotto. Una identica evoluzione ha segnato la base occupazionale, che concentrava il 18,2% della forza lavoro orafa italiana nel 1991 passata al 21,3% nel 2001. Ma il distretto aretino costituisce anche uno straordinario sistema esportativo, capace di dare alla forza al Made in Italy orafo sul mercato mondiale, nel quale però la crisi è dilagante. Ancora nel 2003 quasi il 30% del valore diretto all’estero veniva da Arezzo, percentuale non lontana dal dato storico26. La quota si è però erosa rispetto al 2000, anno in cui ha raggiunto il valore massimo, passando da quasi il 37% al 28,8% del 2004, sempre che le stime per l’anno vengano confermate. Ma è l’andamento in valore ad impressionare, con la perdita di quasi la metà dell’importo esportato (46%), sceso dai 2,1 miliardi di euro del 2000 agli 1,1 del 2004 (-978 milioni). Più modesto invece il ruolo di Arezzo come centro di approvvigionamento di prodotti orafi, anche se negli anni il distretto acquista un peso crescente, salendo dal 2,6% del 1997 al 4,3% dell’ultimo anno. Il 2004 si chiude quindi con 38,8 milioni di prodotti orafi in ingresso, 5,3 in più rispetto al 2000, che in termini percentuale rappresenta un incremento del 16%
26
Dal 1997 al 2004 (se le stime Istat saranno confermate) il distretto ha prodotto, in media, il 32,5% del valore esportato dal settore orafo nazionale. 37
L’orafo aretino, come del resto quello nazionale, dopo un decennio favorevole entra quindi in crisi nel 2001. In coincidenza con la fine dell’ultimo ciclo economico espansivo si materializza per il settore un mutamento improvviso che, come si è messo in evidenza in precedenza, ha una ragione principalmente strutturale, anche se aggravata da fattori congiunturali. Fig. 7 Il peso del distretto aretino nel sistema produttivo orafo nazionale 25% 19,9%
21,3%
18,2%
20% 13,7%
15% 10,7%
11,7%
10% 5%
Unità locali
Addetti
0% 1991
1996
2001
1991
1996
2001
Fonte: elaborazioni su dati Istat
Fig. 8 Il peso del distretto aretino nell’interscambio orafo nazionale 40,0% 35,0% 30,0%
36,9% 32,9%
30,5% 28,8%
25,0% 20,0% 15,0% 10,0% 2,6% 3,5%
5,0%
4,8% 4,3%
0,0% Esportazioni 1997
Importazioni 2000
2003
2004e
Fonte: elaborazioni su dati Ice 38
Fig. 9 L’evoluzione delle esportazioni orafe (1997=100)
160 150 140 130 120 110 100 90 80 1997
1998
1999
2000 Italia
2001
2002
2003 2004e
Arezzo
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Fig. 10 L’evoluzione delle importazioni orafe (1997=100)
310 260 210 160 110 60 1997
1998
1999
2000 Italia
2001
2002
2003 2004e
Arezzo
Fonte: elaborazioni su dati Ice
L’espansione del sistema delle imprese nell’aretino è comunque nel suo complesso incredibile, accusando segni di cedimento ancora modesti e limitati a questi ultimi mesi. 39
Negli anni novanta il numero di unità locali vive una vera e propria esplosione demografica (+38%), accompagnata da un aumento della forza lavoro altrettanto impressionante (+23,7%), chiudendosi con un distretto composto da oltre 1.400 unità locali e quasi 10.700 addetti. Per gli anni più recenti anche l’ente camerale fotografa una crescita del settore, che entra in crisi evidente solo nel 200327. Il numero di ditte, dopo sei anni di crescita ininterrotta, nel 2002 raggiunge le 1.699 unità, pari ad una crescita complessiva del 22,8%, e si indebolisce solo nel corso del 2003, chiudendo con 1.654 aziende attive (-1,6%). Anche l’occupazione dà segni di cedimento, più manifesti nel 2003. Dopo avere accelerato in coincidenza della ripresa economica del 2000, il numero di addetti tocca il massimo storico nell’anno successivo (10.481 occupati dichiarati), per poi assestarsi nel 2002 e incontrare un momento di ridimensionamento nel 2003; anno in cui chiude su un totale di 9.540 occupati, il 9,1% in meno rispetto al 2001. Fig. 11 L’evoluzione delle imprese orafe dal 2000 al 2003 (variazione complessiva) numero ditte al 31/12
unità locali
addetti dichiarati
0,0% -1,0% -2,0% -3,0%
-0,7% -1,6%
-4,0% -5,0% -6,0% -7,0% -8,0% -9,0% -10,0%
-9,0%
Fonte: elaborazioni su dati CCIAA Arezzo
Fig. 12 L’evoluzione della dimensione di impresa (addetti per unità locali)
27
CCIAA di Arezzo, Il settore orafo - argentiero aretino dati locali e nazionali, settembre 2004 su http://www.ar.camcom.it/. 40
6,10
6,05
6,00
6,00
5,89
5,90 5,80 5,70 5,60
5,50
5,50 5,40 5,30 5,20 2000
2001
2002
2003
Fonte: elaborazioni su dati CCIAA Arezzo
I problemi dell’orafo aretino hanno nella sua vocazione produttiva e nella struttura di impresa ragioni non recenti. Come si è anticipato in precedenza, è su quanti producono catename e prodotti unbranded che si sono concentrati i segnali di crisi, sia per fattori di mercato che di concorrenza da parte dei paesi a basso costo della manodopera. Il sistema aretino si confronta con questa nuova situazione con un tessuto di imprese senza dubbio più strutturato rispetto alla media nazionale, ma con tutti i limiti che le imprese di piccole dimensioni hanno confrontandosi con i mercati globali. La dimensione delle imprese orafe nell’aretino è di certo superiore a quella nazionale, in funzione di una produzione che ha maggiori economie di dimensione soprattutto rispetto alla gioielleria. Ma resta ancora distante da quella necessaria ad affrontare i mutamenti del mercato e le nuove pressioni competitive e oltretutto in via di ridimensionamento. Negli anni novanta si passa infatti da 8 addetti per unità produttiva a 7,2, con un trend che appare confermato anche nel nuovo decennio. La propensione esportativa inoltre appare superiore a quella nazionale, frutto della maggiore produzione, che negli anni sembra perdere terreno rispetto al resto del sistema. Mentre l’orafo italiano vede più che raddoppiato il valore medio esportato da ogni unità produttiva (+116%), quello aretino si ferma su un andamento più contenuto (+95%). Oltretutto il trend si inverte bruscamente, calando rapidamente nei primi anni del decennio in corso. 41
1991
4,7
8,0
Italia
7,4
Arezzo
1996
4,4
Fonte: elaborazioni su dati Istat
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 7,2
2001
4,6
Fig. 13 Numero di addetti per unità produttiva
1991
230
600
Italia
1028
Arezzo
1996
361
Fonte: elaborazioni su dati Ice-Istat
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
2001
495
1171
Fig. 14 Export per unità produttiva (migliaia di euro)
42
Il crollo del mercato statunitense, la prima destinazione geografica dei prodotti orafi nazionali ed aretini, è sintomatico delle difficoltà del distretto e delle ragioni della minore presenza estera. Dal 2000 il distretto vede diminuire il valore diretto verso gli Stati Uniti di 413 milioni di euro, concentrando quasi la metà della perdita nazionale (992 milioni). Diversamente da altri settori, appare difficile attribuire il calo del commercio orafo a logiche di sviluppo della filiera su scala internazionale. Le peculiarità del settore non favoriscono strategie di delocalizzazione produttiva, anche se negli ultimi anni si segnalano iniziative di questo tipo anche ad Arezzo. Dal distretto vengono particolari indicazioni rispetto a due Paesi: Turchia e Giordania. Pur non esistendo dati certi e trattandosi di cifre modeste, è tuttavia interessante notare un possibile avanzamento del secondo ed un arretramento del primo. Nel 2004 dalla Giordania giungono prodotti orafi per 3,7 milioni di euro, paese che solo tre anni prima non aveva alcun commercio con l’area aretina in questo tipo di produzioni. Nello stesso periodo la Turchia vede diminuire le sue esportazioni verso Arezzo di quasi 3 milioni di euro, soprattutto per effetto di un crollo verificatosi nell’ultimo anno e quindi da confermare, soprattutto in considerazione del fatto l’anno precedente muoveva ancora merci per oltre 10 milioni di euro. Fig. 15 Export per unità produttiva (migliaia di euro)
1.400,0
1.260,0
1.200,0 1.001,2 1.000,0
912,0 693,5
800,0 600,0 400,0 200,0 2000
2001
2002
2003
Fonte: elaborazioni su dati Ice-CCIAA di Arezzo 43
Fig. 16 Export per unità produttiva (migliaia di euro)
1.500 1.000
917 265
500 0 -500
-413
-1.000 -992 -1.500 Italia 2004e
Arezzo Diff. 2000-04
Fonte: elaborazioni su dati Istat
2.1.4 La storia recente e le peculiarità del distretto Arezzo non si è comportato né meglio né peggio rispetto al resto del settore nazionle, ma sconta due limiti altrove meno significativi: una tradizione produttiva nel catename, che sebbene in via di superamento, oggi pesa ancora molto anche in termini di immagine; una crisi di leadership interna. L’area aretina paga purtroppo per l’immagine che si è creata nel tempo di “distretto del catename”, dove si realizzano prodotti di scarsa qualità, ma su grandi volumi. L’area sembra dunque seguire la linea della qualità, ma a spiccare è anche l’immagine della quantità. In realtà, sostengono osservatori esterni, l’area si sta muovendo come il resto del settore, con casi di impresa interessanti: ad esempio, 7AR, Artlinea, Garzi, Sacchetti. La figura di Unoaerre resta forte fuori dal distretto, mostrando una certa inerzia percettiva, superata all’interno del distretto. Qui gli osservatori riportano una situazione di progressivo allontanamento dell’azienda dal resto del sistema. Quella che è stata l’azienda che ha dato origine al distretto, attraverso un processo di gemmazione imprenditoriale, ha attivato collaborazioni produttive con imprese localizzate in Paesi 44
mediorientali per la realizzazione di alcune linee di prodotto28. In questo modo, si è pensato di risolvere il problema di breve periodo, non considerando però le implicazioni che questa strategia può generare in futuro per la stessa azienda e per l’intero distretto. Distretto che ora si trova senza l’azienda leader per eccellenza, capace non solo di fare innovazione, ma soprattutto di trasferirla a una serie di sub-fornitori. Oggi, purtroppo, si stanno perdendo anche quelle aziende minori, ma in grado di fare da guida. La scomparsa di un’impresa con 50 dipendenti non può essere sostituita con la costituzione di 10 aziende di 5 dipendenti in quanto il ruolo rivestito per il distretto non è più lo stesso. Anche se la crisi che sta investendo il settore non ha avuto finora grosse ripercussioni dal punto di vista delle chiusure delle aziende e del licenziamento dei dipendenti, quello che fa paura sono le prospettive, perché sono legate ad una incapacità di fondo di rilancio riconducibile ad un individualismo imprenditoriale estremamente elevato. Anche ad Arezzo poi, il meccanismo di funzionamento del distretto, basato sul ruolo dei buyer internazionali si è profondamente modificato. In passato, tali soggetti, che fornivano direttamente la materia prima (conto lavorazione), richiedevano grossi quantitativi di prodotti. Oggi, invece, tendono sempre più ad osservare i modelli realizzati dalle imprese aretine, affidare alle stesse la produzione di tali oggetti in piccola serie, ma poi assegnare ad altri competitors internazionali la produzione su larga scala29. Uno dei canali alternativi che oggi si sta cercando di sviluppare ad Arezzo, in linea con il quadro nazionale, è quello dei grandi network televisivi americani che fanno vendite in diretta. Iniziative in tal senso sono state favorite dal sistema a supporto di istituzioni a supporto delle imprese. Tali operatori, a fronte anche di un finanziamento della Camera di Commercio che copre loro le spese, vengono nel distretto e si impegnano a fare una serie di acquisti già delineati. Il sistema aretino ha visto potenziare altre strutture a supporto del distretto, in particolare la Fiera. Una volta era una fiera per grossisti, in grado di muovere grandi quantitativi; oggi cresce il numero di dettaglianti 28
Dalle interviste ai testimoni istituzionali la direttrice geografica non appare univoca. I due paesi più citati risultano tuttavia la Turchia e la Giordania. 29 Soprattutto turchi visti differenziali di costo esistente e il livello qualitativo raggiunto da tale Paese grazie all’utilizzo di tecnologie italiane. 45
attenti ai prodotti di qualità dell’area e che quindi partecipano ad ArezzoOro. Altre azioni istituzionali sono state indirizzate verso il miglioramento della capacità delle imprese di fornire servizi all’estero. In tal senso sono state favorite forme di aggregazione che intendono investire, in strutture commerciali stabili nei paesi emergenti. È il caso del progetto Marco Polo, di respiro nazionale (mediante Assicor), nel quale sono coinvolte alcune imprese di Arezzo per la realizzazione di uno show room a Pechino con un partner cinese e la Camera della Gioielleria Cinese. Arezzo poi è stata tra le prime aree a innovare sul processo, grazie ad una rete di aziende attive nella costruzioni di macchine per la lavorazione dell’oro. La costruzione di macchine in grado di realizzare oggetti vuoti ha portato prodotti nuovi sul mercato ed è, in un qualche modo, antesignano rispetto alla tendenza recente che associa materiali poveri e oro. Dal punto di vista dell’innovazione un elemento qualificate del distretto dovrebbe essere la scuola orafa di recente istituzione. La scuola dovrà svolgere un’attività di formazione e qualificazione dei produttori orafi aretini, rivolgendosi in particolare al personale che opera all’interno delle imprese, per trasferire competenze in design e modellistica. Tuttavia, è bene avere chiaro che la formazione è una leva strategica che produce i suoi effetti solo nel medio periodo, mentre la crisi distretto presenta i connotati dell’urgenza da affrontare nel breve periodo.
Box 2.2 Oreficeria e pubblicità Per essere vincenti serve quindi essere visibili sul mercato con un marchio forte. I principali players del settore sembrano avere acquisito questa consapevolezza dando attuazione a politiche per l’immagine sempre più sofisticate. Nell’immagine è cresciuta la spesa, ma è cambiato anche il modo di fare pubblicità e di posizionarsi sul mercato. Sono rappresentativi in questo senso il caso di Damiani, dove si è associata una linea di prodotti ad una coppia del jet set hollywoodiano (Brad Pitt/Jennifer Aniston), ma anche il caso Pomellato/DoDo. Il marchio DoDo, legato ad una linea giovane, è stato lanciato associato a quello di Pomellato, poi, una volta affermatosi sul mercato è stato, è stata lanciata una intensa campagna pubblicitaria che lo vedeva separato da quello di Pomellato per non compromettere il marchio originario su fasce di mercato più economiche.
46
È cambiato anche il vettore della pubblicità, non più relegata a riviste specialistiche, ma sempre più presente su vettori generalisti. Tra questi, in testa, i canali televisivi; elemento che ha “spaccato” il mercato. Gli elevati costi di una campagna televisiva sono infatti appannaggio solo degli operatori più grandi. Ma anche la carta stampata risulta di difficile accesso, soprattutto ai piccoli e medi operatori dell’orafo, ovvero la quasi totalità del settore. Nel 2004 i top spender hanno pagato così circa 115 milioni di euro per pubblicizzarsi, con quasi 2400 uscite, per un valore unitario di 48 mila euro ad uscita30. Casa Damiani è stata la maggiore investitrice, con 21,4 milioni spesi per 445 uscite, seguita da Testi e Diamond con quasi 12 milioni. L’impegno sul marchio è ugualmente oneroso. I marchi più pubblicizzati (Rebecca e De Beers) hanno richiesto un impegno di quasi 12 milioni ciascuno. Si tratta senza dubbio di valori enormi, che in un certo qual modo costituiscono casi limite nel panorama del settore, ma il quadro che emerge tra i trenta top spender nell’oreficeria e nella gioielleria è di sicuro impressionante, soprattutto per distanza dalle possibilità di spesa media di una impresa orafa. L’investimento medio pubblicitario per i leader di mercato nel 2004 è stato infatti di 3,7 milioni, con un impegno per brand vicino ai 3 milioni di euro. Unoaerre, il leader storico del distretto aretino si colloca nelle ultime posizioni di questa classifica. Con una spesa di 118 mila euro, nel 2004 l’azienda ha acquistato solo 4 uscite per il marchio UnoAErre, nessuna per Flavia, altro marchio della casa aretina. Per un costo medio di 30 mila euro ad uscita, il marchio è stato pubblicizzato all’interno dei confini nazionali, limitatamente a periodici come Elle Italia, Marie Claire Italia, Gioia Sposa ed Anna. Una altra azienda aretina che sembra avere interpretato nel nuove esigenza del mercato sembra essere Artlinea. Scelta come testimonial una persona di spettacolo conosciuta a livello nazionale (Nina Moric) per la collezione del 200431, Artlinea sembra avere adottato un “piano media” ed un impegno simili a quelli di Unoaerre32. Nel 2004 si contano infatti quattro uscite su periodici come Glamour e Marie Claire, nell’ultimo bimestre dell’anno, risultato che lascia supporre un identico impegno di spesa rispetto al leader storico del distretto. Lo spazio ritagliato in questo box non è chiaramente esaustivo, ma rappresenta una prima evidenza della importanza attribuita alla immagine ed al marchio, e
30 I dati riportati nel box sono stati acquisiti da: Pambianco Strategie di Impresa, Monitor della Pubblicità, su www.pambianco.com/ 31 Informazione acquisita dal sito dell’azienda: http://www.artlineaspa.it/ 32 Le informazioni quantitative rappresentano delle stime, in quanto Pambianco non riporta il caso in esame. 47
dei costi che richiede una campagna pubblicitaria sui principali mezzi di comunicazione. È altrettanto evidente che si tratta di politiche attuabili solo da una piccola parte del sistema produttivo visto il settore in media è composto da aziende che fatturano 500-600 mila euro. Fig. 17 Immagine campagna Unoaerre 2004
Fig. 18 Immagine campagna Artlinea 2004
48
2.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER 2.2.1 Elementi descrittivi Nel distretto orafo di Arezzo sono state intervistate cinque imprese leader che svolgono attività differenziate. In particolare, il campione analizzato è costituito dalle seguenti tipologie di aziende: Tab. 1 Attività delle aziende leader intervistate Tipologia di attività
N. imprese
Realizzazione di prodotti finiti per il mercato finale con marchio proprio
2
Realizzazione di prodotti finiti per il mercato finale senza marchio proprio
1
Produzione di componenti e semilavorati
2
In termini di fatturato, tali imprese evidenziano, prevalentemente, un andamento positivo, registrando, nel periodo 2002-2004, un incremento di tale indicatore economico. Soltanto l’azienda che realizza prodotti finiti per il mercato finale senza marchio proprio denota una flessione del proprio fatturato. In un unico caso, relativo ad un’impresa che produce componenti e semilavorati, l’aumento del fatturato è attribuibile, tuttavia, ad una modifica delle condizioni di vendita. Infatti, alla diminuzione dei clienti nazionali, che fornivano direttamente, in conto lavorazione, l’oro impiegato nelle produzioni, è corrisposto l’aumento dei clienti esteri che non offrono tale servizio. Ciò comporta, per l’impresa, la necessità di procedere all’acquisto dell’oro e alla successiva fatturazione sia della lavorazione, sia della materia prima impiegata che, di fatto, determina l’aumento del fatturato, a fronte di una sostanziale stabilità dell’utile aziendale. La variazione degli addetti, nel periodo 2002-2004, conferma i risultati emersi dall’analisi del fatturato: tre imprese dichiarano di aver rafforzato il proprio organico, una di aver mantenuto gli stessi livelli occupazionali e soltanto l’impresa che realizza prodotti finiti per il mercato finale senza marchio proprio di aver proceduto ad una riduzione di personale. 49
Infine, un’ultima caratteristica strutturale delle imprese leader del distretto orafo di Arezzo è rappresentata dall’appartenenza delle aziende produttrici di prodotti finiti a gruppi societari. Mentre le imprese che realizzano componenti e semilavorati non mostrano alcun legame di tipo societario con altre aziende, le imprese “finali” presentano una maggiore strutturazione organizzativa. Questa strategia si manifesta secondo diverse modalità, riconducibili, nei casi specifici, alla:
realizzazione di una fusione tra cinque piccole aziende che, avvenuta nel 2002, è stata finalizzata alla costituzione di un’impresa di medie dimensioni;
incorporazione di un’impresa appartenente ad un precedete gruppo aziendale e alla successiva acquisizione di una partecipazione di minoranza in un’altra azienda distrettuale, a cui viene affidata, attualmente, la commercializzazione di una specifica linea produttiva;
costituzione di un gruppo (mediante il meccanismo delle partecipazioni incrociate) con un’impresa locale avente una lunga tradizione nella produzione di oreficeria da indosso. In questo modo, mediante la separazione tra funzioni commerciali, amministrative e direzionali da un lato e attività produttiva dall’altro, è stato possibile pervenire ad un elevato livello di specializzazione e al conseguimento di significative economie di scala.
2.2.2 Concorrenza e mercati Il mercato delle imprese leader del settore orafo di Arezzo è rappresentato dall’intero contesto internazionale. Questo dato è confermato anche dalla propensione all’export di tali imprese che si rivela elevata, indipendentemente dall’attività svolta dalle stesse. Sotto questo aspetto, infatti, non esiste una differenza sostanziale tra le diverse tipologie aziendali in quanto sia le aziende che realizzano prodotti finiti per il mercato finale, sia le imprese produttrici di componenti e semilavorati collocano circa l’80% della loro produzione sui mercati esteri 33.
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Soltanto una delle imprese intervistate, che realizza componenti, dichiara di esportare circa il 50% della propria produzione. Però, considerando che anche le vendite realizzate a livello nazionale hanno, presumibilmente, una destinazione internazionale (i componenti vengono assemblati in prodotti che sono a loro volta esportati, in quanto il mercato finale delle imprese italiane clienti è costituito, prevalentemente, da Paesi esteri), è possibile 50
In termini dinamici, la quota delle esportazioni presenta, inoltre, una tendenza all’aumento rispetto al 2002: ciò viene sicuramente registrato dai produttori di componenti mentre, tra le imprese finali, soltanto l’azienda che non commercializza prodotti con marchio proprio denota una diminuzione percentuale dell’export. Dall’analisi delle aree verso cui sono dirette le esportazioni, si assiste ad un generale cambiamento del ruolo dei diversi contesti internazionali. In relazione ai Paesi che hanno modificato il loro peso nelle esportazioni, vi è da evidenziare la flessione del mercato nord americano, dovuta sia ad eventi socio-politici, sia, soprattutto, a dinamiche di tipo economico, quali il rafforzamento valutario dell’euro rispetto al dollaro, la presenza di elevati dazi alle esportazioni e l’emergere di nuovi competitors internazionali (Turchia, India, Thailandia e Cina). Questi Paesi, con le loro produzioni, stanno, di fatto, sostituendo i flussi di importazione provenienti, in passato, dalle imprese italiane. D’altro canto, si registra la crescita dei consumi di prodotti orafi da parte dei Paesi asiatici che presentano un elevato sviluppo economico quali Cina, Indonesia, Singapore ed Hong Kong 34. Il mercato interno continua a rappresentare una significativa area di sbocco per le imprese leader di Arezzo (circa il 20% del fatturato). Questo dato riflette soprattutto la situazione delle imprese che realizzano prodotti finiti per il mercato finale. Le aziende che producono semilavorati e componenti presentano, invece, un continuo aumento della componente estera del loro fatturato 35. Per le ragioni esposte, le imprese orafe di Arezzo sono impegnate in un’attività di continuo riposizionamento su più mercati. In altri termini, le aziende cercano di captare, mediante l’attività dei propri responsabili ed addetti commerciali, i segnali provenienti dai clienti internazionali localizzati nelle diverse aree geografiche, in modo da poter predisporre immediate strategie di risposta ai cambiamenti del contesto competitivo.
affermare che la quasi totalità del fatturato dell’azienda è rappresentato, direttamente o indirettamente, dalle esportazioni. 34 Soltanto un’impresa produttrice di prodotti per il mercato finale con marchio proprio è riuscita a mantenere una certa stabilità ed omogeneità nella composizione del proprio fatturato tra le diverse macro-aree, collocando in ognuna di esse (Oriente, Italia, Unione Europea e USA) circa il 25% della propria produzione. 35 Ciò è dovuto al fatto che tali imprese, quali leader del mercato, stanno ricevendo ordinativi crescenti da parte di imprese finali (produttori e assemblatori) localizzate nei Paesi emergenti. 51
Non viene segnalata, inoltre, l’esistenza di particolari difficoltà nell’attuazione delle pratiche esportative. Le imprese, infatti, hanno acquisito una visione internazionale del mercato e maturato significative esperienze nella gestione commerciale ed amministrativa delle esportazioni36. Tuttavia, in due casi particolari, emergono alcuni aspetti problematici quali:
l’esistenza, in alcuni mercati (come in Russia), di barriere all’importazione che, di fatto, implicano la necessità di costituire stock di prodotti presso importatori dello stesso Paese di destinazione;
l’elevato grado di concentrazione dei soggetti intermediari che, traducendosi in un effettivo potere di mercato detenuto dagli stessi, richiede continui sforzi diretti al miglioramento delle relazioni commerciali.
Date le caratteristiche dei prodotti realizzati dalle imprese leader del distretto orafo di Arezzo, contraddistinti da un elevato livello qualitativo (in termini di progettazione e di realizzazione), a cui corrisponde una elevata capacità tecnologica, i principali concorrenti sono costituiti, prevalentemente da imprese locali e, in alcuni casi, da aziende nazionali 37. Infine, ad eccezione del livello qualitativo delle produzioni realizzate, le imprese leader denotano una percezione alquanto differenziata dei principali fattori rilevanti nella concorrenza del settore. In particolare:
in due casi, si ritiene che l’innovatività e il livello tecnologico delle produzioni siano le principali leve competitive. Il controllo dei costi e la capacità di investimento sono, d’altro canto, i presupposti per poter attuare politiche di sviluppo technology oriented38;
36
Le uniche difficoltà evidenziate sono di tipo congiunturale, direttamente riferibili all’attuale ed elevato grado di incertezza dei mercati esteri. 37 Un caso limite è rappresentato da un’impresa che produce componenti e che ha, come suoi unici concorrenti, due aziende aretine, caratterizzate, tra l’altro, da una struttura produttiva tipicamente artigianale. Date le caratteristiche tecniche dello specifico prodotto realizzato e della struttura del settore economico di attività (in cui opera un numero ristretto di fornitori di macchinari), esistono quindi, a livello internazionale, soltanto altre due imprese che realizzano lo stesso tipo di produzione ed entrambe sono localizzate ad Arezzo. 38 Una delle imprese leader, ritiene, invece che l’innovazione tecnologica non rappresenti una fonte di vantaggio competitivo. Questa posizione deriva dalla convinzione che, nel settore orafo, non sia possibile “inventare qualcosa di veramente nuovo” e, anche se ci si 52
in unico caso, il prezzo viene ritenuto il principale fattore concorrenziale. Una politica price-oriented non viene tuttavia considerata una strategia deliberatamente scelta dall’impresa ma, piuttosto, una risposta necessaria all’emergere di nuovi competitors internazionali che, rispetto alle imprese europee, godono di differenziali di costo nell’accesso ai fattori della produzione;
in altri due casi, infine, i principali fattori competitivi sono rappresentati dall’immagine del prodotto, dalla capacità di creazione di un brand e dal supporto pubblicitario che si riesce a garantire allo stesso. Questo aspetto non deve però essere ricondotto al semplice confronto o contrasto con alcune grandi aziende del settore orafo in grado di realizzare ingenti investimenti in comunicazione. Da un’analisi più approfondita del significato di tali fattori competitivi, emerge che l’unico aspetto che può contraddistinguere le produzioni delle imprese distrettuali è costituito dalla capacità di “mettere loro stesse” all’interno del prodotto, in modo da realizzare collezioni con un elevato valore aggiunto. In tal senso, queste imprese leader ritengono che il cosiddetto “italian style” sia l’unico fattore che gli altri concorrenti, soprattutto internazionali, non possono né imitare, né arrivare a simulare. È una questione di sensibilità sul prodotto. La capacità di trasmettere una fantasia, una creatività e una positività e, quindi, di generare un valore aggiunto è un fattore che può favorire le produzioni delle aziende orafe italiane.
2.2.3 Struttura e organizzazione d’impresa Le imprese leader del distretto orafo di Arezzo detengono al loro interno tutte le funzioni aziendali. Soltanto due aziende che realizzano prodotti finiti per il mercato finale si avvalgono di collaborazioni esterne:
in un caso è stata stabilita una collaborazione con disegnatori esterni che collaborano con quelli aziendali per la realizzazione delle attività di desing;
in un altro caso, vengono acquisiti dall’esterno alcuni servizi specialistici in relazione ad attività che richiedono specifiche conoscenze tecniche (come, per esempio, quelle di carattere
riuscisse, non vi sarebbe la possibilità di appropriarsi in modo esclusivo dei benefici derivanti da tale invenzione. 53
ambientale, per il trattamento dei materiali chimici) o particolari competenze professionali (collaborazione con studi e società specializzate nell’area del marketing e della comunicazione, localizzate a Roma e a Milano). Sotto l’aspetto produttivo, tutte le imprese organizzano le loro attività su unico stabilimento. Tuttavia, le aziende che realizzano componenti e semilavorati hanno costituito filiali commerciali nel distretto orafo di Vicenza, in modo da gestire direttamente gli stock di prodotti e garantire il servizio di fornitura alle aziende locali. Non vengono rilevate, infine, alleanze o partnership di carattere produttivo e/o commerciale, ad eccezione di un’impresa che produce per il mercato finale con marchio proprio, che ha strutturato rapporti commerciali, anche se non formalizzati, con alcuni distributori internazionali. In termini di organizzazione commerciale, le imprese leader dispongono, indistintamente, di una propria rete distributiva, costituita da personale interno dedicato in modo esclusivo alla commercializzazione dei prodotti sui mercati nazionali ed esteri. Un caso particolare è rappresentato dall’impresa che realizza prodotti finiti per il mercato finale senza marchio proprio che sta cercando di attuare una strategia di web marketing di tipo B2B (inserendo, all’interno del proprio sito internet, le immagini dei campioni realizzati e inviando i relativi file ai clienti per l’acquisizione di eventuali ordini). Gli strumenti di promozione risultano, invece, estremamente differenziati e dipendenti dalla tipologia di attività svolta dalle imprese. Le aziende che producono componenti e semilavorati partecipano a fiere nazionali ed internazionali e, contestualmente, realizzano campagne pubblicitarie su riviste specializzate. Anche l’impresa produttrice di prodotti finiti senza marchio proprio limita la propria attività promozionale alla partecipazione a fiere internazionali (Basilea, New York, ecc.). Le aziende che realizzano prodotti finiti con marchio proprio denotano, invece, strategie di marketing più complesse ed avanzate. In particolare, tali imprese attuano un approccio al mercato di tipo demand-pull: vengono dapprima predisposte campagne pubblicitarie su riviste di
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moda, utilizzando testimonial aziendali39, ed inviati opuscoli e depliant ai punti vendita al dettaglio (gioiellerie). Nel caso in cui tali rivenditori fossero interessati al prodotto o abbiano la necessità di soddisfare una domanda proveniente dai propri clienti (attivata dalla stessa campagna pubblicitaria dell’azienda), possono contattare i distributori di zona, indicati nel sito internet dell’impresa. Questi ultimi, a fronte delle richieste del dettaglio, comunicano direttamente con l’impresa che, detenendo stock di prodotti presso la propria sede, riesce ad evadere gli ordini in tempo reale. In questo caso, il rapporto di natura commerciale viene quindi detenuto esclusivamente con grossisti e distributori nazionali ed esteri, localizzati in aree geografiche differenti, a cui viene garantito sia il necessario supporto pubblicitario, sia un rapporto di esclusiva nella commercializzazione dei prodotti. In quest’ottica, assume una particolare rilevanza lo sviluppo di una politica di brand che, combinata con una strategia di continua innovazione di prodotto, favorisce la notorietà e l’affermazione dell’impresa sui mercati nazionali ed internazionali (come testimoniato dalle attuali richieste dei buyers americani)40. Infine, in relazione al decentramento produttivo, le imprese leader di Arezzo dichiarano di non realizzare, né tantomeno prevedere, forme di esternalizzazione all’Italia o all’estero delle attività di produzione. Nei confronti di tale problematica, le posizioni delle aziende, pur rivelandosi coincidenti, sono determinate da motivazioni differenti. Nello specifico, le imprese che producono componenti e semilavorati non ritengono praticabile una strategia di internazionalizzazione produttiva in quanto i processi produttivi interni risultano essere fortemente automatizzati. Uno spostamento delle produzioni all’estero, alla ricerca di vantaggi di costo legati alla manodopera (labour seeking), non comporterebbe, quindi, alcun vantaggio competitivo (in questo caso, il fattore lavoro denota, infatti, una bassa incidenza sul costo complessivo del prodotto). 39
Il ricorso a tali testimonial, costituiti prevalentemente da personaggi dello spettacolo, ha permesso ad un’impresa di incrementare le proprie vendite del 48% nell’anno di avvio della campagna pubblicitaria (2002) e del 30% negli anni successivi. 40 In un caso, l’imitazione dei prodotti da parte di altre aziende nazionali non viene considerato un problema, data l’elevata complessità tecnica delle produzioni realizzate, ma ritenuta, addirittura, un punto di arrivo, in quanto testimonia la capacità dell’impresa di aver realizzato un prodotto commercialmente valido che ha registrato una risposta favorevole del mercato. 55
L’impresa che realizza prodotti finiti senza marchio proprio sostiene che la delocalizzazione delle produzioni non può essere configurata come una strategia attuabile, a causa delle ridotte dimensioni aziendali e, soprattutto, della tipologia delle produzioni realizzate (elevata qualità dei prodotti e realizzazione di piccoli lotti quantitativi che richiedono una molteplicità di lavorazioni). Questa traiettoria di sviluppo, che comporta l’abbandono di produzioni a basso valore aggiunto, a favore dei nuovi competitors internazionali, viene confermata anche dalle imprese finali con marchio proprio: il posizionamento sul segmento di mercato dell’alta qualità, l’immagine del prodotto, la complessità delle lavorazioni tecniche e l’instaurazione di rapporti di commercializzazione esclusiva con i distributori internazionali configurano, infatti, l’unica opzione strategica che possa garantire un vantaggio competitivo nei confronti dei Paesi emergenti.
2.2.4 Fornitori e clienti I rapporti delle imprese leader di Arezzo con fornitori e sub-fornitori si presentano alquanto differenziati, in relazione alla tipologia di attività svolta dalle stesse. Le aziende che producono componenti e semilavorati non si rivolgono in maniera stabile ad una rete di fornitura in quanto tendono a sviluppare tutte le lavorazioni internamente (dall’adeguamento dei macchinari, alla realizzazione delle attività produttive). L’unica eccezione è rappresentata dell’acquisizione di attrezzature e di materiale di consumo. Inoltre, nel caso in cui vengano stabiliti rapporti di fornitura con imprese locali, tali relazioni industriali sono di carattere occasionale e non duraturo, caratterizzate da una bassa interazione. Le imprese che realizzano prodotti finiti per il mercato finale evidenziano, invece, una situazione opposta e detengono stabili rapporti di fornitura e di sub-fornitura con aziende localizzate esclusivamente nel contesto distrettuale. Le lavorazioni per le quali si ricorre all’esterno sono costituite, prevalentemente, dalle attività produttive più semplici, a minor valore
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aggiunto, mentre le fasi di produzione più qualificate, la finitura dei prodotti ed il controllo finale di qualità vengono realizzati internamente41. Questa strutturazione dei rapporti è determinata, soprattutto, dal livello innovativo e qualitativo delle produzioni e, quindi, dalla relativa impossibilità di esternalizzare fasi del processo produttivo che richiedono tecnologie adeguate e competenze tecniche elevate, non detenute dai fornitori. In un unico caso, la scelta di ricorrere alla fornitura esterna dipende dalla volontà dell’impresa di non integrare una particolare tecnologia, affidando ad altre aziende la realizzazione integrale di componenti. I principali fattori di selezione dei fornitori sono costituiti dal livello del servizio (in termini di rapidità e rispetto dei tempi di consegna) e dalla flessibilità produttiva degli impianti e dell’organizzazione interna per far fronte alle fluttuazioni di mercato. In relazione a quest’ultimo aspetto, il ricorso alla fornitura avviene nei momenti in cui si registra un picco della domanda e mentre, nella fasi di stabilità o di recessione della stessa, molte fasi di produzione vengono realizzate internamente. Queste specifiche esigenze delle imprese leader implicano, generalmente, un basso turnover del parco fornitori42. Si prevede, inoltre, che tali rapporti di collaborazione produttiva rimangano stabili nel tempo. Anche in relazione ai clienti, le imprese leader si differenziano in base al tipo di attività svolta. Le aziende che producono componenti e semilavorati denotano un elevato numero di clienti 43, costituiti, prevalentemente, da imprese finali o da assemblatori e, in un unico caso, anche da importatori esteri (soprattutto orientali, che permettono il superamento delle barriere 41
Un caso particolare è rappresentato da un’impresa che ricorre a tre distinte tipologie di fornitura: singola lavorazione, componente e prodotto finito da commercializzare. Questa azienda, infatti, oltre ai tradizionali rapporti di fornitura e di sub-fornitura (relativi all’esternalizzazione di lavorazioni e all’acquisizione di parti e componenti), commercializza anche collezioni ideate e prodotte integralmente da altre imprese aretine: ci sono piccole realtà che realizzano una loro specifica produzione ma che non hanno accesso a tutti i mercati. In questo caso, viene presentato, da parte di tali aziende, un campionario di prodotti che se, trova il gradimento degli addetti commerciali dell’impresa finale, viene commercializzato direttamente dalla stessa. 42 L’unica eccezione è costituita da imprese che realizzano lavorazioni specifiche, non necessarie alla realizzazione di prodotti richiesti dal mercato. In altri termini, aziende specializzate in una particolare fase produttiva (come ad esempio la satinatura) possono ricevere commesse dall’impresa finale solo nel caso in cui la collezione di quest’ultima preveda prodotti con quella determinata lavorazione (prodotto satinato e non lucido). 43 Un’impresa dichiara di aver un portafoglio costituito da circa 1.000 clienti mentre l’altra azienda da circa 100. 57
all’importazione e la distribuzione diretta delle componenti alle aziende produttrici). L’impresa che realizza prodotti finiti senza marchio proprio mostra anch’essa un elevato numero di clienti (circa 300, includendo in questo insieme anche quelli che hanno realizzato uno o pochi acquisti), rappresentati esclusivamente da aziende finali di marchio (come, ad esempio, Tod’s) e da gioiellerie con punti vendita internazionali (ad esempio, Tiffany). In questo caso, l’azienda si colloca su un segmento di mercato caratterizzato dall’elevata qualità, in cui le produzioni vengono vendute a “cartellino”. Infine, le imprese che realizzano prodotti finiti con marchio proprio presentano un basso numero di interlocutori (circa 30), costituiti da grossisti e distributori nazionali ed esteri. L’intervento dei clienti nelle produzioni delle aziende si concretizza, prevalentemente, in uno scambio e in un’interazione di natura informativa: i clienti riescono a captare e suggerire le tendenze e le esigenze del mercato, sulla base delle quali le imprese procedono alla progettazione e allo sviluppo di nuovi prodotti. Sotto l’aspetto tecnologico, infatti, sono le imprese che detengono il know-how e che riescono a trasformare, tecnicamente, tali istanze in nuove collezioni o in componenti innovative44. Un caso specifico è rappresentato dall’impresa che produce per aziende finali di marchio che distingue i propri clienti in due distinte tipologie: da un lato vi sono clienti che acquistano i prodotti proposti dall’impresa nei suoi due campionari annuali; dall’altro lato, ci sono aziende che chiedono la realizzazione di loro progetti specifici 45. In quest’ultimo caso, le produzioni vengono svolte internamente, sulla base delle loro particolari esigenze. Il prodotto così realizzato ha il carattere dell’esclusività, nel senso che non può essere proposto o realizzato per altre imprese.
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Soltanto un’impresa produttrice di componenti afferma di realizzare prodotti estremamente standardizzati. Per le caratteristiche tecniche di produzione, non è possibile quindi pervenire ad un significativo livello di differenziazione. 45 L’interazione con il cliente avviene nel momento della creazione dei modelli. C’è uno scambio di idee che prevede un’informazione tecnica da parte dell’impresa (suggerimenti e proposte relative alle specifiche di lavorazione) e un’esplicitazione delle esigenze commerciali da parte del cliente (caratteristiche estetiche del prodotto sulla base delle tendenze del mercato). Da una simile interazione, viene quindi generato il prototipo. Inoltre, nei rapporti con i dettaglianti, sono gli addetti commerciali dell’impresa che reperiscono, presso il cliente stesso, le informazioni necessarie per la realizzazione dei prodotti richiesti. 58
Negli ultimi anni, sono stati inoltre registrati diversi cambiamenti nel rapporto con i committenti. Tutte le imprese leader hanno evidenziato, infatti, una maggiore pressione sui prezzi, accompagnata da un peggioramento delle condizioni contrattuali (in termini di richiesta di minori tempi di consegna e di maggiore dilazione dei tempi di pagamento). Per le imprese che realizzano prodotti finiti, si è manifestata, inoltre, una maggiore attenzione verso il livello qualitativo delle produzioni. In risposta a queste istanze provenienti dai mercati, sono state attivate misure di adeguamento agli standard tecnici richiesti (da parte delle imprese produttrici di componenti e semilavorati) e agli standard qualitativi richiesti (da parte delle imprese finali), con una contestuale revisione delle politiche di prezzo e delle condizioni contrattuali.
2.2.5 La logistica La logistica non rappresenta una funzione critica per le imprese leader del distretto orafo di Arezzo. Questa attività viene gestita con personale interno. In particolare:
in termini di approvvigionamento, l’oro viene fornito direttamente dal cliente o dalle banche locali specializzate nel prestito d’uso, sulla base delle esigenze immediate di produzione (in quest’ultimo caso, la fornitura della materia prima è realizzata, infatti, nell’arco della stessa giornata in cui viene inoltrata la richiesta);
in termini di distribuzione, invece, le impresa gestiscono, mediante il loro magazzino interno, i prodotti da inviare ai clienti, affidando il trasporto a corrieri espressi specializzati che, oltre alla consegna immediata, garantiscono servizi aggiuntivi quale l’assicurazione della merce. In questo modo, le aziende riescono a garantire consegne ai loro clienti in 24 o 48 ore dalla ricezione dell’ordine.
2.2.6 Le risorse umane Le figure professionali strategiche per le imprese leader del distretto settore orafo di Arezzo sono rappresentate, principalmente, da personale 59
tecnico: progettisti, disegnatori, ingegneri di produzione, capi officina, operatori macchina ed esperti in meccanica e metallurgia. Soltanto in un caso, relativo ad un’impresa che realizza prodotti finiti per il mercato finale con marchio proprio, viene ritenuto di rilevanza strategica il reperimento e l’inserimento di professionalità nell’area marketing e comunicazione, in grado di gestire risorse e assumere responsabilità nell’ambito di progetti complessi. La formazione del personale aziendale avviene esclusivamente all’interno dell’impresa. In particolare, vi sono casi aziendali, caratterizzati da alcune specificità:
un’impresa finale che ha realizzato, dal 1993 fino al 2002, elevati investimenti nelle attività di ricerca e sviluppo e di engineering e desing (acquisizione di nuove tecnologie di progettazione CAD e CAM, di modellazione e di prototipizzazione) ha provveduto, parallelamente, all’assunzione e formazione interna di personale tecnico qualificato che attualmente opera a regime;
un’impresa che realizza componenti e che sviluppa internamente le proprie tecnologie ritiene necessaria non solo una preparazione di base ma, soprattutto, l’esperienza maturata nell’attività di produzione concretamente svolta. Per tale ragione, non vi sono sistemi e procedure formali per l’apprendimento delle competenze ma la trasmissione delle stesse avviene in modo tacito, mediante il lavoro e l’interazione continua tra i diversi dipendenti (formazione on the job);
un’ultima impresa finale evidenzia, invece, come le dimissioni di personale interno, in possesso di specifiche competenze tecniche maturate all’interno dell’azienda, possano provocare l’inevitabile perdita di un know how aziendale e la relativa difficoltà di ricostruzione, nel tempo, di tale patrimonio di competenze.
2.2.7 L’innovazione L’innovazione di prodotto viene sviluppata esclusivamente dalle imprese che producono per il mercato finale (con o senza marchio). In particolare,
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tali aziende predispongono, ogni anno, collezioni composte da un minimo di 150 ad un massimo di 1.500 nuovi modelli46. Queste performance possono essere considerate sia come il risultato degli investimenti realizzati in tecnologie di progettazione e modellazione47, sia come l’effetto del crescente coinvolgimento dei clienti nelle attività di sviluppo di nuovi prodotti. Sotto quest ultimo aspetto, è necessario però evidenziare come l’innovazione di prodotto avvenga esclusivamente all’interno dell’azienda, dall’attività congiunta di personale tecnico e commerciale. D’altro canto, soltanto le imprese che producono semilavorati e componenti attuano innovazione di processo. Mediante team interni specializzati nelle attività di ricerca, tali aziende riescono a progettare e sviluppare nuovi macchinari o procedere all’adeguamento di quelli già esistenti. Anche questo tipo di innovazione, tra l’altro, prevede un contatto continuo con fornitori e clienti che, segnalando i diversi problemi di produzione, costituiscono un’importante fonte di informazione, in un’ottica di miglioramento continuo. Di riflesso, le imprese finali sono beneficiarie di tali innovazioni di processo in quanto acquisiscono dall’esterno le tecnologie necessarie alla realizzazione delle loro produzioni, adeguando eventualmente le stesse alle specifiche tecniche di lavorazione. Una conferma di questa netta distinzione della capacità innovativa delle imprese leader è identificabile negli strumenti utilizzati per la tutela giuridica delle innovazioni. Infatti, mentre le imprese finali non detengono brevetti, le aziende che realizzano prodotti e componenti hanno provveduto alla brevettazione dei macchinari e delle componenti sviluppate. I metodi più utilizzati per proteggere le innovazioni di prodotto sono costituiti, invece, dalla registrazione internazionale del marchio di fabbrica e dei disegni ornamentali delle nuove collezioni. L’aumento della complessità della progettazione e l’incremento delle competenze sono ritenute, infine, da tutte le imprese, gli unici strumenti
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Per tali imprese, non possono essere sviluppate, nel settore orafo, innovazioni radicali, relative ad invenzioni di nuovi materiali o di nuovi processi produttivi. A tal fine, si ritiene che sia possibile soltanto il perfezionamento dei processi produttivi. A titolo di esempio, l’introduzione, in passato, del cosiddetto “oro nero” non era da considerarsi come l’invenzione di un nuovo materiale ma semplicemente come la realizzazione di un processo di finitura realizzato con acidi particolari. 47 Tali tecnologie hanno permesso, mediante l’utilizzo di leghe particolari e la diminuzione della percentuale di oro presente negli oggetti, la fabbricazione di prodotti più leggeri, ad elevato valore aggiunto, non riconducibili ad una produzione di serie. 61
in grado di garantire un’effettiva copertura dei rischi derivanti da comportamenti imitativi da parte dei concorrenti48. Il sostegno all’innovazione avviene prevalentemente con mezzi finanziari propri. Infine, le imprese non hanno rapporti di collaborazione con Enti o Istituzioni che sostengono e promuovono l’innovazione. L’unica eccezione è rappresentata da un’azienda che realizza prodotti finiti con marchio proprio che ha attivato forme di cooperazione con alcune Università. In riferimento a questo caso specifico, vi sono stati, tuttavia, relazioni che hanno prodotto risultati differenti. In particolare, mentre il rapporto con un’Università che aveva proposto un’attività di consulenza finalizzata alla ricerca e all’individuazione di finanziamenti pubblici non ha avuto buon esito (in quanto tale servizio non rispondeva alle esigenze dell’impresa), la collaborazione con una Facoltà tecnica di un’altra Università ha permesso lo sviluppo di concrete soluzioni produttive (il fabbisogno di competenze dell’impresa è inerente, infatti, discipline quali la chimica, la fisica, ecc.).
2.2.8 Le strategie future Le imprese leader del distretto orafo di Arezzo non prevedono la realizzazione di nuovi investimenti produttivi che possano modificare l’organizzazione aziendale e affermano di voler mantenere le produzioni negli attuali stabilimenti. Un’azienda sostiene, inoltre, di aver avviato azioni di innalzamento del proprio livello di efficienza interna, anche mediante l’introduzione di miglioramenti gestionali (come, ad esempio, l’utilizzo dei codici a barre). In relazione al prodotto offerto, le imprese finali stanno procedendo alla progettazione e sviluppo di nuovi prodotti del core business, senza considerare, nella maggioranza dei casi, la possibilità di diversificare le loro attività. Tra le aziende analizzate sussistono, tuttavia, alcune differenze di fondo:
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L’unico rischio reale rimane quello della fuoriuscita di personale specializzato che intende avviare una propria ed autonoma attività imprenditoriale. Attualmente, però, un simile evento ha una bassa probabilità di verificarsi in quanto, rispetto al passato, in cui vi era un’elevata domanda e il livello dei prezzi risultava essere più alto, si sono modificate le condizioni competitive del mercato che non rappresentano un incentivo all’ingresso di nuove imprese (il prezzo di vendita dei prodotti è talmente basso, da non permettere nemmeno il recupero degli elevati costi di investimento da sostenere per l’avvio dell’attività). 62
un’impresa basa la propria strategia su una costante innovazione di prodotto. Secondo questo approccio, soltanto le imprese che riescono a realizzare produzioni con un elevato valore aggiunto possono sopravvivere e distinguersi sia dai Paesi asiatici, costretti quindi ad “inseguire”, sia dalle altre aziende italiane che attuano strategie di imitazione;
un’impresa intende continuare ad operare all’interno di due distinti segmenti di mercato: uno relativo al prodotto “anonimo” e l’altro riferito al prodotto griffato o di brand.
La volontà di commercializzare il prodotto anonimo deriva dall’esistenza di larghe fasce di mercato che non possono essere raggiunte con la comunicazione (o che implicano la realizzazione di investimenti ingenti) e che non sarebbero in grado di recepire un valore aggiunto virtuale (brand equity). Il prodotto di brand, invece, permette di conseguire una maggiore visibilità, anche se le collezioni sono rivolte a specifici segmenti di mercato. Inoltre, la strategia di lancio del marchio potrebbe agevolare, in futuro, la realizzazione di politiche di brand extension in altri settori produttivi (ad esempio, profumi);
un’impresa, infine, già posizionata in un segmento di mercato contraddistinto da un elevato livello qualitativo, sta cercando di attuare strategie di ampliamento della gamma produttiva, inserendo nuove linee di prodotti (gioielleria).
Le imprese che producono componenti e semilavorati si pongono, invece, l’obiettivo di rinnovare le attuali linee di prodotto. In questo specifico segmento capital-intensive, il ruolo assunto dalle tecnologie, che costituiscono una barriera all’ingresso per le aziende concorrenti, permette, infatti, il raggiungimento di un maggior livello di specializzazione. Sotto l’aspetto commerciale, tutte le imprese stanno procedendo alla ricerca di nuovi mercati internazionali. In particolare, alcune imprese finali configurano differenti percorsi di sviluppo:
da un lato, vengono realizzate ricerche di mercato nei Paesi emergenti e, contestualmente, predisposte aggregazioni con altre aziende locali al fine di favorire la penetrazione commerciale in tali aree. Non si intende costituire, tuttavia, partnership con soggetti esteri per evitare gli elevati vincoli normativi presenti nei nuovi mercati emergenti, come Cina, India e Russia, ed i comportamenti opportunistici degli 63
operatori esteri che tendono ad acquisire il know-how al fine di realizzare, successivamente, le produzioni in modo autonomo ed indipendente dal partner italiano;
dall’altro lato, in risposta alle tendenze di concentrazione della distribuzione internazionale, si intende sia fornire un maggior livello di servizio agli intermediari esteri (in termini di completezza della gamma dei prodotti, di riduzione dei tempi di consegna e di flessibilità produttiva), sia stabilire accordi commerciali più strutturati con distributori che operano su specifici mercati. La figura del grossista tradizionale sta perdendo, infatti, sempre più la propria logica di esistere e stanno emergendo forme evolute di distribuzione che prevedono una forte interazione con le imprese di produzione.
Anche le imprese produttrici di componenti prevedono di realizzare, in risposta ai rapidi cambiamenti degli scenari competitivi, un potenziamento della rete distributiva internazionale, in modo da poter superare le barriere alle importazioni e presidiare efficacemente i nuovi mercati emergenti. Infine, in una visione di sintesi del contesto distrettuale, si ritiene che la situazione negativa che si sta attraversando comporti dei cambiamenti irreversibili. Questa crisi, infatti, non viene considerata un fenomeno congiunturale ma strutturale, che non porterà al ritorno dei livelli di produzione realizzati in precedenza. Per tale ragione, alcune delle imprese leader prevedono che ci sia la fuoriuscita dal mercato di alcune piccole aziende e la necessità, per quelle più importanti, di avviare o completare attività di ristrutturazione organizzativa, produttiva e commerciale, in un’ottica di sviluppo internazionale. Tuttavia, in termini di competitività internazionale, viene evidenziata la convinzione che via sia un pessimismo diffuso nel tessuto manifatturiero, a cui è necessario contrapporre una risposta da parte delle imprese locali che non devono più “giocare in difesa” ma realizzare investimenti in nuove tecnologie e, soprattutto, attuare strategie di sviluppo e di crescita sui mercati esteri (internazionalizzazione produttiva finalizzata al presidio dei mercati esistenti e alla penetrazione di nuovi mercati).
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2.3 UNA FOTOGRAFIA DEL DISTRETTO ORAFO ARETINO: L’INDAGINE CAMPIONARIA
2.3.1 I tratti essenziali L’immagine che ritrae il campione è quella di un settore che, pur con situazioni distinte e tipologie di aziende diverse, mostra elementi di grande omogeneità. L’omogeneità è nella struttura delle imprese, nei risultati purtroppo negativi dichiarati dalla quasi totalità degli attori, e questo a prescindere dal posizionamento di mercato, dalle caratteristiche della concorrenza, dai mercati serviti o dalle logiche di approvvigionamento, dalle strategie innovative e dalle configurazioni organizzative. È questo il dato più preoccupante che si riflette in uno spiazzamento degli attori, i quali faticano ad indicare strategie da adottare a breve per uscire dalla crisi. Questo prefigura una certa continuità della struttura distrettuale nel suo insieme, dove i canali commerciali attuali sembrano riconfermarsi come i riferimenti per una classe produttiva che resta ancorata alle sue logiche tradizionali. La filiera non sembra cambiare schemi di approvvigionamento, ma neppure la propria organizzazione di impresa, che vede i percorsi di crescita (fusioni, acquisizioni, gruppi, alleanze strategiche, ecc) come un passaggio lontano dai piani degli imprenditori orafi aretini. Articolando l’analisi nei suoi aspetti salienti si può affermare che emerge un sistema che si presenta sul mercato con marchio proprio (46%), sulla cui efficacia è lecito fare delle riflessioni, e in cui è contestualmente presente una vasta rete di aziende di terzisti (38,8%), mentre è raro trovare aziende che vendono sul mercato senza un marchio dichiarato. La filiera produttiva dell’oro appare comunque piuttosto corta, legata prevalentemente a fornitori di primo livello; solo una quota minoritaria lavora infatti per aziende che non si relazionano direttamente col mercato, o forse sarebbe più giusto dire con gli intermediari commerciali. Già perché l’intermediazione, come rilevato in precedenza è un passaggio obbligato per quasi tutti i produttori orafi, sebbene la metà (49,8%) dichiari di avere una rete distributiva propria. Grossisti (34%), 65
distributori (22%) e agenti (12,6%) rappresentano gli intermediari prioritari, anche se le aziende non sembrano legarsi ad un canale esclusivo. Fig. 19 Per chi produce l’azienda Mercato finale ma senza marchio proprio 15,2% Mercato finale con proprio
Altre imprese
46,0%
industriali
marchio
(*) 38,8%
(*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati Fig. 20 I destinatari della produzione (per chi non vende sul mercato finale)
Imprese industriali che svolgono
Grandi imprese di marchio 24,6%
lavorazioni intermedie 30,5% Imprese industriali che vendono sul mercato finale 44,9%
66
Nonostante il distretto sia caratterizzato da una impressionante apertura commerciale, molte delle relazioni restano limitate al suo interno. La clientela principale infatti è ancora tipicamente polarizzata tra la dimensione locale e quella nazionale (36% dei casi ciascuno), mentre è relativamente meno presente una relazione diretta con clienti stranieri importanti (21,4%). Il fenomeno di localizzazione nel distretto di molti intermediari commerciali, anche buyers internazionali, in una certa misura enfatizza il carattere autocontenuto del distretto. Fig. 21 Presenza di una rete distributiva propria
No 50,2%
Sì 49,8%
Fig.22 Localizzazione della clientela
Estero 21,4%
Distretto/ provincia 36,0%
Italia (escl. regione)
Regione (escl.
36,0%
provincia) 6,5%
67
Questa propensione è rafforzata anche dal fatto che buona parte della concorrenza si esaurisce nel distretto, che per la metà delle aziende è la sede dei principali competitors. La concorrenza estera, spesso enfatizzata nel dibattito attuale, condiziona in modo evidente non più del 20% delle aziende, al pari delle pressioni che vengono dagli altri poli produttivi orafi nazionali. Un dato allarmante che viene dalla analisi della concorrenza è che il vantaggio attribuito ai competitors è in maniera prevalente legato ai minori prezzi che sono grado di praticare. Di questo avviso sono quasi il 60% delle aziende del campione, mentre gli elementi estetici, la qualità delle lavorazioni o altri possibili fattori distintivi sono ritenuti del tutto secondari. In questa considerazione si scorge probabilmente un effetto “distorsivo” della clientela. La clientela ha infatti una importante funzione nella trasformazione del sistema produttivo distrettuale, ma non tutte le spinte vanno nella direzione che idealmente porterebbe ad una maggiore competitività delle aziende distrettuali. Le richieste della clientela sembrano indurre soprattutto una attenzione alla qualità e sui prezzi, mentre poco riflettono (ad esempio) uno scambio di informazioni su mercati. Soprattutto sembrano colpire la tenuta finanziaria delle aziende aretine chiedendo più frequentemente dilazioni dei pagamenti, contenimenti dei prezzi e quindi inducendo spesso contrazioni dei margini di profitto . Fig. 23 Gli effetti della clientela sull’azienda 100% 19,7
90% 80% 70%
36,4 50,0
3,4
38,5
41,7
50% 40%
11,0
64,3
37,2 76,9 51,7
30% 20%
65,8
72,2
60%
59,0
39,0
17,5
30,0
29,6
4,2
6,1
Professio-
Influenza
Qualità
nalità
cliente
richiesta
26,4
10% 0% T empi di consegna
Costi
Margine di profitto
6,7
10,3
T empi di
Scambio
pagamento conoscenze
2,6
manodopera
Diminuzione
Aumento
Stabilità
68
Anche se le aziende del campione risultano quantitativamente poco dipendenti dalla clientela, nel loro complesso, è vero comunque che il risultato economico è legato in misura non marginale alla flessione della quota del primo cliente. Ma soprattutto va tenuto presente che il 36,1% delle aziende delega al cliente la realizzazione del campionario. Per concludere la disamina sull’importanza della dimensione locale, oltre che per la clientela e per la concorrenza, per il distretto essa appare imprescindibile anche per il ricorso ad attività decentrate. Tra quanti ricorrono a fornitori esterni per la realizzazione di parti essenziali del prodotto (55,5% del campione), quasi il 90% si rivolge ad aziende della zona, nella quale hanno un sistema stabile e strutturato che coinvolge abitualmente più di quattro soggetti, ai quali viene chiesto principalmente di realizzare semilavorati o lavorazioni conto/terzi (42,4% dei casi) o dai quali si acquistano materie prime (30,3%).
69
No 44,4% Sì 55,6%
Fig. 24 Utilizzo di fornitori per parti essenziali del prodotto
Distrettoprovincia 88,2%
Regione (escl. provincia) 3,5% Italia (escl. regione) Estero 7,6% 0,6%
Fig. 25 Localizzazione della clientela
70
Sebbene solo la metà delle imprese risulti piuttosto integrata, la struttura organizzativa, o piuttosto funzionale, sembra essere alquanto omogenea. La parte prevalente delle aziende dichiara infatti di ricoprire tutte le principali aree di attività, gestendole tipicamente all’interno. Solo i servizi tecnici (Information technology, manutenzione, ecc.) sono sovente delegati a soggetti esterni. Ma ciò che più conta è che solo un quota minoritaria, ma non marginale (20-30% delle aziende), non implementa alcun tipo di progettazione o design del prodotto, o svolge attività di commercializzazione o di servizio post-vendita, evidenziando una assoluta distanza dal mercato. Questi appaiono casi limite di un sistema in cui, è bene rimarcarlo, la piccola dimensione lascia pensare che molte delle funzioni svolte lo siano in maniera non esclusiva. La stessa persona cioè sia obbligata a svolgere attività distinte in seno all’azienda. È sintomatico tuttavia che i cambiamenti di mercato, che pure sono straordinariamente evidenti, siano forse sottovalutati dalla grande parte degli imprenditori. Non si spiegherebbe diversamente il fatto che il 43,7% degli intervistati dichiara di non avere delle criticità all’interno dell’azienda, mentre sono solo una minima parte quelli che percepiscono nella distanza dal mercato un fattore di debolezza che viene enfatizzato anche dalla dichiarata carenza di competenze in funzioni come il commerciale, il marketing e le vendite (15,7%). Come sono largamente minoritari quelli che lamentano competenze insufficienti per sviluppare prodotti innovativi (14%). Superare il limite che viene dalla dimensione e dalle competenze disponibili internamente all’azienda non è però facile, anche se a livello locale è consolidata una certa pratica consociativa. Il sistema distrettuale aretino, così come lo ritrae l’analisi campionaria, appare largamente estraneo alle logiche di gruppo, solo il 9% ne fa parte; risultando piuttosto coinvolto in consorzi di vario titolo (25%). Le iniziative di questo tipo, sul territorio, hanno evidentemente raccolto molte adesioni e portato a risultati interessanti, anche in termini di innovazione49. Relativamente alle azioni innovative il campione si caratterizza per un diffuso coinvolgimento, soprattutto mirate alla introduzione di prodotti nuovi o migliorati (51% dei casi). Un poco meno diffusa l’introduzione di
49
L’analisi tipologica evidenzia infatti relazioni positive tra la partecipazione a consorzi, l’introduzione di innovazioni, alla vicinanza al mercato, ed alla performance economica degli ultimi anni. 71
innovazioni nel processo produttivo (45,5%). Tale impegno si è tradotto in azioni di tutela formale solo in misura minima. Al 31 dicembre del 2004 le aziende che avevano registrato almeno un brevetto erano il 13%, ma è bene sottolineare che il metodo di protezione verso cui è andata l’attenzione delle aziende aretine intervistate negli ultimi due anni sono stati invece i marchi di fabbrica, che vedono coinvolte il 38,4% del campione. Per il 16,8% del campione, inoltre, la tutela e in qualche misura l’innovazione si accompagnano ad un aumento della complessità progettuale così come ad un incremento delle competenze del personale (22,3%). Le pressioni per una maggiore qualità e le innovazioni non sembrano avere richiesto una certificazione né dei prodotti tanto meno dei processi, risultando introdotta solo in un 7,9% dei casi.
Fig. 26 Ha introdotto prodotti i processi tecnologicamente nuovi o rinnovati 100% 90% 80% 70%
No; 49,0
No; 54,5
60% 50% 40% 30% 20%
Sì; 51,0
Sì; 45,5
10% 0% prodotto
processo
72
Fig. 27 Possesso di almeno un brevetto al 31-12-2004
Sì 13,0%
No 87,0%
In prospettiva, almeno nei prossimi due-tre anni, la struttura distrettuale non sembra muterà i suoi tratti essenziali. In parte è logico che sia così, cambiare i pattern di un sistema è un processo lungo e, spesso, travagliato. In questo caso però fa riflettere il disorientamento che la crisi degli ultimi anni ha generato negli imprenditori, aspetto che contribuisce a ritardare i possibili assestamenti del distretto. Tra gli operatori prevale infatti la tendenza a legare le strategie future ad una considerazione sulle quote di mercato (36,6% dei casi). Il dubbio che sorge in questo caso parte da un interrogativo, ovvero quanti operatori sono in grado di misurare la loro quota di mercato relativa? Un’interpretazione possibile è che questo ragionamento sia legato ad atteggiamenti difensivi, ovvero di tenuta dei valori venduti. Le seconda strategia segue una logica tradizionale, quella di affermarsi o mantenere il venduto attraverso una riduzione dei costi, coerentemente con i fattori competitivi espressi durante l’intervista (15,9%). L’incertezza infine sembra muovere la terza strategia prioritaria. Di fronte a gusti che mutano e mercati che cambiano, ampliare la gamma di prodotto (13,2%) può aiutare a raggiungere uno spettro di preferenze e di segmenti di mercato più ampio, con la controindicazione che essa comporta costi più elevati.
73
È comunque vero che molti imprenditori hanno già interiorizzato la necessità, oltre che di innovare sui prodotti, di accorciare la catena distributiva, prendendo il controllo o potenziando la rete commerciale interna (36,8%). Fig. 28 I principali obiettivi (valori percentuali) 40,0 36,6 35,0 30,0 25,0 20,0 15,9
13,2
15,0
9,8 10,0 4,1
5,0 0,0 Proteggere/aumentare Ridurre costi quote di mercato
Ampliare
Accesso a nuovi
gamma/campionario
mercati
Diversificare attività
Fig. 29 L'azienda intende sviluppare/potenziare (per chi già ce l'ha) una rete distributiva propria
Sì 36,8%
No 63,2%
Distributori e grossisti, inoltre, restano i canali privilegiati dai produttori orafi, anche se iniziano a farsi strada casi in cui ci si rivolge direttamente ai dettaglianti. 74
La propensione a delocalizzare permane marginale, con un dato di incerto valore statistico visto il numero risicato di aziende coinvolte e non sempre, comunque, il riferimento è a logiche di sviluppo internazionale. Lo sviluppo a breve non sembra neppure includere ipotesi di crescita esterna. Le aziende coinvolte sono poco più del 13%, in funzione soprattutto di possibili alleanze strategiche con altri operatori (9,3%).
2.3.2 Un’analisi tipologica L’analisi tipologica costituisce il risultato dei diversi approcci di clustering descritti nella parte metodologica del rapporto. Pertanto si articolerà secondo i quattro cluster con una ipotesi di sintesi dei caratteri, salienti, trasversali ai diversi raggruppamenti. Si tratta di una lettura del campione orafo, visto da diversi punti di osservazione, riconducibili a quelli che sono i fattori chiave attorno ai quali ruota la capacità competitiva delle aziende del settore. Si tratta perciò di un esercizio di analisi che evidenzia quelli che sono gli elementi caratteristici delle aziende, prima, prendendo in esame quelle tipicità associabili a risultati positivi in un periodo difficile come quello che il distretto sta attraversando. Poi, individuando i tratti di quegli insiemi di imprese che si sono interrelate maggiormente col mercato, ma anche che si sono caratterizzate per intensità innovativa. Infine analizzando quali strutture di impresa restituivano esiti migliori in una fase di turbolenza dei mercati.
Performance Sebbene il sistema distrettuale manifesti performance economiche largamente negative, all’interno del campione spicca un insieme che nell’ultimo biennio ha consolidato esiti prevalentemente positivi50. Il gruppo dinamico ha le seguenti connotazioni:
pur prevalendo la piccola dimensione (10-49 addetti), si tratta di aziende di dimensioni superiori alla media. All’interno del cluster si concentrano infatti i pochi casi imprese di media grandezza (50
50
Il cluster contiene 77 aziende, pari al 25% del campione orafo. All’interno 38 aziende (51%) ha visto crescere il fatturato tra il 2002 ed il 2004. 75
addetti ed oltre), seppure al suo interno rappresentino un ristretta minoranza (7,8% dei casi presenti nel cluster).
Si tratta di aziende in cui la clientela di riferimento è nazionale (40,3% dei casi) o internazionale (42,9%).
Si relazionano con il mercato in maniera più diretta, facendo leva più spesso su una rete distributiva propria (68,8% dei casi) e delegando le fasi più a monte della filiera ad una sistema di fornitura in maniera più frequente alle altre tipologie di impresa (71,4% dei casi).
L’innovazione nella distribuzione sembra essere dettata anche da una più frequente introduzione di prodotti innovativi (72,7%), ma anche di processo (77,9%).
Più spesso che nelle altre tipologie di imprese, i “dinamici” hanno tutelato le innovazioni realizzate anche con brevetti (23,4%), ma soprattutto con un grande ricorso al brand (54,5%).
I risultati non sono tardati a venire, anche grazie ad una elevata proiezione internazionale (90,9% dei casi), che tuttavia non sembra essere un fattore determinate per la performance, quanto un esito delle scelte strategiche realizzate. Una conferma indiretta viene da un secondo cluster composto ugualmente da piccole imprese fortemente attive sui mercati mondiali (86% dei casi presenti nel cluster), ma tutte con un fatturato in ripiegamento rispetto al 2002.
Il controllo della rete distributiva, e quindi l’accorciamento della catena distributiva, costituisce presumibilmente un fattore decisivo del gruppo, che oltretutto manifesta una più frequente intenzione di acquisirne una propria (o di potenziare quella eventualmente già presente): questa almeno è ciò che dichiara il 53,2% delle aziende del cluster più dinamico.
Mercato Essere più vicini al mercato, possibilmente internalizzando parte delle attività a valle della filiera, costituisce senza dubbio un fattore vincente, come testimonia anche la seconda ipotesi di clustering. È vero infatti che il cluster dove si concentrano le imprese dotate di rete distributiva propria (59,9% del gruppo), il fatturato è aumentato in maniera più diffusa (24,7% dei casi contro il 15,1%) dell’altro cluster. 76
È evidente che da sola la vicinanza al mercato non garantisce risultati favorevoli. Certo le probabilità sono maggiori, ma ciò che può insegnare di più l’approccio “mercatistico” è indicarci quali meccanismi si accompagnano alle aziende che per qualche motivo hanno intrapreso una strategia vincente, stanti le indicazioni che vengono dallo scenario di riferimento. Le peculiarità principali si possono così schematizzare:
Innanzitutto emerge con chiarezza la tendenza ad andare sul mercato, ma con un marchio proprio (65,3% dei casi presenti nel cluster).
La clientela più importante è tipicamente nazionale (50,5% dei casi) o estera (33,7%).
La presenza estera pertanto è preponderante (85,6%), anche perché l’altro gruppo è composto da terzisti, per i quali le relazioni di mercato si fermano ad altre imprese distretto (86,2%).
Stare sul mercato con un marchio proprio, presidiando mercati internazionali, si accompagna ad una maggiore capacità creativa, ad una struttura commerciale più solida, a servizi al cliente anche dopo la vendita del prodotto e ad una architettura logistica più sofisticata. Questo si traduce in una presenza più frequente di queste funzioni internamente alle aziende del cluster, unitamente a personale coinvolto sviluppo e innovazione.
Ma la maggiore strutturazione di queste aziende trova un più diffuso supporto esterno nella partecipazione a consorzi (31,2% dei casi del cluster).
Pur essendo presenti più funzioni, si parla sempre di piccole imprese, per le quali il posizionamento più a valle nella catena del valore ha aperto margini per il ricorso a fornitori (66,5%).
Allo stesso tempo il maggiore impegno verso pratiche e prodotti innovativi, approssimabile anche con funzioni organizzative dedicate, si associa ad una più frequente introduzioni di prodotti tecnologicamente nuovi o migliorati (59,7% dei casi) e di processi di produzione o metodi di realizzazione altrettanto rinnovati (52,5%).
D’altra parte la spiccata presenza di aziende che vendono con un marchio proprio evidenzia una tutela dell’innovazione più spiccata, anche attraverso il ricorso alla brevettazione (17,9%), ma soprattutto il possesso di un brand (47,5%).
77
Innovazione Quella delle azioni innovazione è una prospettiva un poco più articolata, perché diversamente dagli altri esiti di clustering evidenzia due gruppi potenzialmente interessanti, con caratteristiche non sempre coincidenti.
Il primo cluster raccoglie tutte le imprese che hanno realizzato innovazioni nel processo produttivo, ma al suo interno l’81,6% delle imprese ha anche realizzato miglioramenti di prodotto.
Il secondo gruppo è quello partecipato da aziende che hanno realizzato esclusivamente innovazioni di prodotto.
Le aziende più innovatrici hanno una dimensione comunque modesta: quelle con oltre 50 addetti non superano il 3,5% del cluster, dove prevalgono le piccole (55,9%).
Più modesta la dimensione degli innovatori di prodotto in cui le microaziende (0-9 addetti) sono il 68,1%, così come tra i non innovatori.
Rispetto ai non innovatori, entrambi i gruppi si connotano per una maggiore presenza sul mercato finale con un marchio proprio, lievemente più marcata tra le aziende maggiormente innovatrici (54,5%). Queste ultime, poi, si relazionano più spesso col mercato facendo leva una rete distributiva propria (62%).
Entrambi i gruppi si confrontano con una clientela prevalentemente nazionale o estera, a significare che verosimilmente chi si posiziona nelle fasi più a monte, innova meno frequentemente.
L’innovazione ha una ragion d’essere anche in una attenzione maggiore verso l’organizzazione, dove i due gruppi presentano un più marcato impegno in design, progettazione, commerciale e post vendita.
La partecipazione a consorzi appare più frequente tra gli innovatori, soprattutto tra le aziende di qualità (34,3%), cluster che concentra anche quei pochi casi operanti in un gruppo.
In prospettiva appare forse degno di interesse il fatto l’innovazione si accompagni alla introduzione di nuove competenze (31-33% dei casi), con la speranza che esse possano attivare leve per affrontare le nuove traiettorie della scena orafa mondiale.
Un elemento interessante che emerge dalla lettura dell’innovazione viene dalla percezione del fattore prezzo. Poco percepita dalle aziende meno 78
innovative e più legate a logiche locali, rappresenta una strategia su cui nel futuro prossimo si impegneranno comunque quelle più innovative. La spinta innovatrice non sembra quindi tale da poter esentare le aziende intervistate dal considerare costi e prezzi elementi chiave per le proprie produzioni. Una prova in tal senso viene dalle performance registrate, da cui è facile rilevare che chi innova, a prescindere se sul prodotto o a “tutto campo” ha risultati relativamente migliori, ma mediamente tutt’altro che appaganti. Tra il 2002 ed il 2004 il fatturato cresce solo nell’11,8% dei non innovatori, ma negli altri due gruppi non va oltre al 25-28%.
Struttura Si è detto che la dimensione da sola non è indice di innovatività e di performance. Questa evidenza è confermata anche dall’approccio strutturale, che vede nelle aziende maggiormente dimensionate come attori più presenti sul mercato finale con un proprio brand, con una rete distributiva propria, con una forte proiezione internazionale, e una clientela di riferimento nazionale o estera. Punto per punto si può la cluster porta ad affermare che:
I tre gruppi più strutturati, è bene ribadirlo, sono composti in maniera prevalente da piccole aziende (10-49) che fatturano tra i 500 mila e gli 1,5 milioni di euro nel 2004.
L’innovazione è più frequente in questi gruppi, così come il possesso di marchi.
L’attenzione per i prossimi anni va, senza dubbio, ad una maggiore controllo delle fasi a valle, attraverso il potenziamento o la costruzione di una rete distributiva propria.
Tutti questi elementi connotano trasversalmente tutti i cluster dove sono imprese più dimensionate senza tutta caratterizzarli al loro interno, quasi ad omogeneizzare i comportamenti del sistema. L’unico elemento che connota un solo gruppo e che lo fa emergere in relazione alle performance è la partecipazione a consorzi. È solo in questo gruppo che si riscontra una dinamica marcatamente migliore del fatturato con ben il 42,3% delle aziende in crescita. Situazione che non si ravvisa nel cluster dove sono concentrate le imprese di gruppo, dove è solo il 23,1% la quota in accelerazione.
79
Elementi trasversali Come riportato più sopra i diversi approcci fotografano prospettive diverse, ma non esclusive. Nel senso che la stessa azienda può essere inclusa in più punti della “mappa”. Può essere dinamica, poco strutturata, innovativa ma lontana dal mercato. La visione prospettica è quindi utile per dare evidenza a certe connotazioni specifiche, magari per definire interventi di policy mirati, ma volendo ritrarre un quadro d’insieme è forse necessario fare un esercizio di sintesi. In questo quadro si è ritenuto di inserire tutti i fattori caratteristici presenti tre approcci o più. Per il distretto orafo ne deriva che i principali elementi virtuosi sono:
la presenza sul mercato finale con marchio proprio
la presenza di rete distributiva propria
la proiezione internazionale
la partecipazione a consorzi
il posizionamento più a valle con un utilizzo più frequente di fornitori
l’introduzione di nuovi prodotti
l’adozione di processi organizzativi e produttivi rinnovati
la tutela dell’innovazione attraverso possesso di marchi
in prospettiva, il potenziamento di una rete distributiva propria.
80
CAPITOLO 3. IL DISTRETTO TESSILE DI PRATO
3.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
3.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale Il volume degli scambi mondiali di prodotti tessili e di articoli di vestiario ha avuto un andamento moderatamente crescente tra il ’97 e il ’03 (in media +2,1%), con una crescita pari a circa la metà della dinamica complessiva degli scambi (+4%). Quello del tessile-abbigliamento resta comunque un settore importante negli scambi mondiali. I flussi commerciali generati da queste attività rappresentavano quasi il 6% delle esportazioni mondiali complessive realizzate nel 2003, per un ammontare di 353 miliardi di euro, 177 dei quali imputabili ai prodotti tessili. Il commercio di prodotti del tessile-abbigliamento riveste ancora un ruolo significativo nelle economie dei Paesi industrializzati, ma in progressivo ridimensionamento a favore di molte aree emergenti del pianeta. Le ragioni sono alquanto note. Esiste infatti una vasta letteratura sul vantaggio potenziale di cui godono queste aree. In settori ad elevato contenuto di manodopera, basso contenuto tecnologico e modeste barriere all’entrata il vantaggio competitivo comparato si allontana dalle aree a maggiore industrializzazione e così le relative produzioni51. Questo processo, tuttavia, procede in maniera non sempre lineare, con brusche accelerazioni seguite da momenti di “assestamento”. In un momento di straordinari cambiamenti, come quello che stiamo vivendo in questi mesi, percezioni e trasformazioni reali non sempre collimano. Nelle aree “incumbent”, dove cioè la tradizione tessile e dell’abbigliamento è messa a rischio dai nuovi competitor, le pressioni emotive a volte superano quelle competitive, rendendo non sempre facile un riflessione distaccata. 51
. A partire David Ricardo, all´inizio del diciannovesimo secolo, con la sua opera “Principi di economia politica e dell'imposta”, lo studio sui vantaggi assoluti e comparativi delle nazioni ha impegnato numerosi economisti teorici ed applicati. 81
Vale la pena perciò offrire un inquadramento dei recenti fatti che hanno riguardato tanto il settore tessile quanto quello dell’abbigliamento, che privilegi l’evoluzione degli ultimi anni, senza tuttavia focalizzarsi sulla congiuntura più prossima, caratterizzata da una sovrapposizione di informazioni contraddittorie e interpretazioni sovente condizionate dall’emotività. La recentemente conclusione dell’Accordo sul Tessile e Abbigliamento e dei relativi meccanismi protezionistici (vedi Box 1) ha infatti dato vita ad un’ondata di segnali allarmistici circa l’incapacità del settore di affrontare la concorrenza dei prodotti provenienti dai paesi emergenti, in particolare dalla Cina e sul tracollo del tessuto produttivo che ne sarebbe conseguito. Le pressioni hanno portato, nel corso del 2005, alla stipula di un assordo bilaterale tra Unione Europea e Cina per il contingentamento di alcuni prodotti che da alcune analisi apparivano più sensibili alla concorrenza cinese. È quindi verosimile che il quadro sia mutato negli ultimi mesi, ma la situazione appare ancora piuttosto confusa. Se si allarga l’orizzonte di analisi prendendo in considerazione gli ultimi anni per cui sono disponibili dati consolidati, quelli che vanno dal 1997 al 2003, è tuttavia significativo che la quota di produzione dei Paesi avanzati, complessivamente, non sia arretrata in maniera sostanziale e che anzi abbia mostrato anche segni di ripresa. Nel tessile, ad esempio, l’Unione Europea concentra ancora una forte capacità competitiva, testimoniata dal fatto che quest’area rappresenta ancora il secondo polo mondiale, dopo l’Asia Orientale. La sua quota di esportazioni, dopo l’erosione registrata in chiusura di secolo, ha segnato un recupero, chiudendo il 2003 con un peso del 32,5% sul totale dei flussi generati dal settore. L’Asia Orientale, da parte sua, vede oramai confermata la sua leadership, senza tuttavia “invadere” il resto del pianeta con i suoi prodotti tessili. Appare inoltre interessante constatare come il processo di internazionalizzazione della filiera tessile, soprattutto tra le imprese europee, abbia premiato i Paesi del Centro Europa, che vedono la propria presenza sui mercati esteri crescere in maniera continua, sebbene le rispettive quote di mercato siano ancora contenute (6,2% nel 2003). Il quadro consolidatosi nell’abbigliamento non appare divergere da quello del tessile, pur partendo da una situazione di maggiore parcellizzazione
82
geografica del mercato, dove ai due player principali (Asia orientale ed Europa) sia giustappongono altri quattro poli di riferimento. La Cina è leader assoluta tanto nel tessile quanto negli articoli di abbigliamento, guadagnando quote di mercato a scapito non solo dei paesi industrializzati, ma soprattutto spiazzando le altre economie asiatiche (vedi tabelle 1 e 2 in Appendice Tessile), fenomeno testimoniato dall’arretramento degli altri esportatori della zona sui mercati mondiali; Giappone e Corea del sud in testa. Nello specifico, le esportazioni tessili cinesi sono passate da poco più del 13% a oltre il 20% delle quote mondiali, mostrando una presenza crescente pure per gli articoli di abbigliamento, la cui quota è salita dal 24,4% al 27,9%. Fig. 1 Quote di mercato dei principali poli produttivi del tessile (percentuali) 50
42,143,542,7
45 40 35
35,7 31,832,5
30 25 20 15 6,2 4,6 5,1
10
6
7,3 6,5
5 0 Unione Europea
Altri paesi europei
America
Asia orientale
settentrionale 1997
2000
2003
Fonte: elaborazioni su dati Ice
83
Fig. 2 Quote di mercato dei principali poli produttivi dell’abbigliamento (percentuali) 41,9 41,7 40,8
45 40 35 30 25
26,2 25,1 22,6
20 15
10,3 8,3 8,5
10 5
5,7
5,4 3,2
9,8 8,1 7,7
6,1
7
6,7
1997
2000
Asia orientale
Asia centrale
meridionale
centro
America
America
settentrionale
europei
Altri paesi
Europea
Unione
0
2003
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Pur avendo contrastato in questi anni l’avanzata dei prodotti asiatici, il prezzo pagato dal tessile-abbigliamento europeo è stato senza dubbio elevato, ma ha portato ad una ampia e profonda ristrutturazione che ha coinvolto in maniera distinta le diverse anime che compongono il settore aprendo così scenari interessanti anche per il futuro. Desta preoccupazione il settore della maglieria, nel quale ai colpi degli ultimi anni si sommano prospettive tutt’altro che rosee. Nella maglieria si è assistito alla scomparsa di una larga parte del tessuto imprenditoriale, dove oltre 11 mila aziende (tre imprese su dieci52) non operano più nel comparto determinando un crollo del fatturato, che perde, secondo le stime più recenti, circa il 30% del suo valore iniziale; ed un tracollo della base occupazionale, che tra il 1995 ed il 2004 si stima abbia perso circa 252 mila addetti, il 40% della forza lavoro iniziale. Ma il dato forse più preoccupante è che negli anni non si rileva un processo di aggregazione delle aziende di maglieria, il cui fatturato medio resta abbondantemente sotto il milione di euro con investimenti in caduta libera (fig. 8). Molte le ombre che si allungano anche sul settore abbigliamento. A fronte di una tenuta complessiva del fatturato in Europa, si assiste ad un pesante ridimensionamento del tessuto produttivo, che perde oltre 18 52
Vedi tab. 3 Appendice tessile. 84
mila aziende (tab. 3 in Appendice tessile) e circa 405 mila addetti. Anche nell’abbigliamento questo processo non sembra avere portato però ad una significativa ristrutturazione, sufficiente almeno a contenere le pressioni dei nuovi produttori. Il mercato europeo appare infatti travolto delle importazioni non comunitarie, con un saldo commerciale che in pochi anni raddoppia il suo disavanzo. A fronte di una confermata competitività fuori dai confini comunitari, quindi, testimoniata dall’andamento delle quote di esportazioni, il mercato continentale sembra gradire i nuovi tipi di prodotti, mostrando una ampia permeabilità verso beni più economici. Contrariamente alla maglieria ed all’abbigliamento, il tessile marca una evoluzione complessivamente positiva. La tenuta delle quote internazionali si lega infatti ad una riorganizzazione del tessuto produttivo che alza i toni della sua capacità competitiva. La dimensione delle imprese tende infatti a consolidarsi, passando da un fatturato medio per azienda di 2,5 milioni di euro a 3,4, con un balzo vicino al 40%. Il fatturato del 2004 non risulta discostarsi così da quello di metà anni novanta, la dimensione del settore rimane sostanzialmente stabile (5% circa) e così l’occupazione relativa. Fig. 3 Andamento del fatturato nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (1995=100) 120 110 100 90 80 70 60 1995
1996
1997
Tessile
1998
1999
Maglieria
2000
2001
2002
2003
Abbigliamento
2004 e Totale
Per il 2004 sono riportate le stime presentate a giugno 200553 Fonte: elaborazioni su dati Euratex 53
Euratex, Key Figures 2004 - E.U. Textile & Clothing - June 2005. 85
Fig. 4 Andamento del numero di imprese nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (1995=100) 105 100 95 90 85 80 75 70 65 60 1995
1996
1997 Tessile
1998
1999
2000
2001
2002
Maglieria
2003
2004 e
Abbigliamento
Per il 2004 sono riportate le stime presentate a giugno 200554 Fonte: elaborazioni su dati Euratex
54
Euratex, Key Figures 2004 - E.U. Textile & Clothing - June 2005. 86
1995
1997
Tessile
1996
1998
Maglieria
1999
2000
2002
Abbigliamento
2001
2003 Totale
2004 e
55
Euratex, Key Figures 2004 - E.U. Textile & Clothing - June 2005.
Per il 2004 sono riportate le stime presentate a giugno 200555 Fonte: elaborazioni su dati Euratex
50
60
70
80
90
100
110
Fig. 5 Andamento del numero di addetti nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (1995=100)
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
1995
1997
Tessile
1996
1999 Maglieria
1998
2000
2002 Abbigliamento
2001
2003
Totale
2004 e
87
Fig. 6 Andamento della dimensione (fatturato per impresa) nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (milioni di euro correnti)
1997
Maglieria
1999
2000
2002
Abbigliamento
2001
2003
-40
-35
Euratex, Key Figures 2004 - E.U. Textile & Clothing - June 2005.
Fonte: elaborazioni su dati Euratex
Per il 2004 sono riportate le stime presentate a giugno 200556
56
Totale
2004 e
3
4
5
6
0
1
1998
-30
Tessile
1996
2
1995
7
8
1995
1996
1998
1999 Tessile&Maglieria
1997
2000
2001
2003 Abbigliamento
2002
2004 e
88
Fig. 8 Andamento degli investimenti nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (miliardi di euro correnti)
-25
-20
-15
-10
-5
0
5
10
Fig. 7 Andamento saldo commerciale nei Paesi dell’Unione europea a 15 Paesi (milioni di euro correnti)
Il nostro paese è senza dubbio uno tra quelli maggiormente colpiti dai progressi delle economie emergenti. Negli ultimi sette anni il tessile nazionale ha visto erodere la propria quota di un punto percentuale attestandosi nel 2003 sul 8,2%; un andamento simile comunque a quello mostrato dai principali concorrenti europei (Germania, Belgio, Francia e Regno Unito). Eguale segno ha avuto l’evoluzione nel commercio di articoli di abbigliamento, dove si è perso un mezzo punto chiudendo il periodo con una quota-paese del 6,3%. Come nel resto del continente, il settore sta attraversando una modificazione strutturale imponente. Dalla metà degli anni novanta, in particolare, si sono perse oltre 10.000 aziende (-12,0%) e oltre 115.000 addetti (-16,6%)57. Sono stati comunque numerosi i casi di imprese che nel settore hanno evidenziato di avere messo a segno delle contromisure efficaci e governare ancora alcune produzioni importanti in maniera vincente. La ricomposizione della divisione internazionale del lavoro appare peraltro danneggiare solo alcune produzioni nostrane. La contrazione delle quote tessili è infatti determinata dalla migrazione dei vantaggi che ha colpito principalmente la maglieria e le confezioni, ma non i filati o i tessuti, la cui presenza sui mercati internazionali tende anzi a progredire (tab. in Appendice tessile). Più critica la situazione nell’abbigliamento, dove è la parte più consistente del settore ad essere entrata in crisi sotto le pressioni dei paesi emergenti, mentre si salvano segmenti meno consistenti come le pellicce e la pelle, settore quest’ultimo in progressiva affermazione sui mercati mondiali. La rimodulazione dello scacchiere internazionale non lascia quindi indifferente il nostro Paese. Si è evidenziato infatti che le quote di mercato italiane stanno complessivamente deteriorandosi, e questo è un dato di fatto, ma è interessante rimarcare come il valore scambiato mantenga un trend di crescita negli anni, grazie ad un cambiamento del mix geografico di riferimento. Cala in maniera significativa il valore dei prodotti tessili diretti in Germania (il nostro mercato di sbocco più importante)58, dove dal 1997 al 2003 si perdono esportazioni per quasi 820 milioni di euro, pari ad un arretramento del 27%. Altri 320 milioni vengono persi nel commercio con il Regno Unito (-29%) e 186 milioni con 57
Istat, Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi 2001. Per quanto riguarda le quote 2003 detenute dall'Italia in Germania si nota chiaramente come la nostra presenza sia forte soprattutto nei filati, mentre nei manufatti tessili confezionati e negli articoli di maglieria i Paesi emergenti hanno ormai spiazzato la concorrenza dell'Italia.
58
89
il Giappone (-34%). Complessivamente l’export guadagna però valore per 410 milioni, pari ad un incremento del 3%, non molto in sette anni, ma costituisce pur sempre un avanzamento. Interessante la dinamica nel mercato nord-americano che nel 2003, per la prima volta dalla seconda metà degli anni novanta, registra una inversione di tendenza e la quota di mercato in valore detenuta dall’Italia non è diminuita. L’interruzione della perdita di quota dell'Italia in questa regione, nonostante i problemi di competitività legati alla svalutazione del dollaro, potrebbe essere il segnale che, usciti i prodotti di bassa qualità dal paniere dei beni esportati, i prodotti italiani di fascia medio-alta tornano a riscuotere il tradizionale successo in Nord-America. Cambiano i vantaggi e quindi muta la dislocazione geografica delle produzioni. Negli ultimi anni sono così aumentate le esportazioni di semilavorati (tessuti, sia a maglia che di altri materiali, e filati), mentre hanno perso terreno i prodotti finiti. Nel comparto dei prodotti finiti, alla concorrenza di prezzo esercitata dai produttori a basso costo del lavoro, si sono aggiunte le perdite di competitività dovute all’apprezzamento dell’euro. E il tessile italiano si è così ri-orientato verso quei Paesi che sempre di più concentrano poli produttivi della maglieria e dell’abbigliamento. Dal 1997 ad ora le nuove relazioni hanno visti coinvolti soprattutto i Paesi dell’Europa centrale verso i quali sono andate produzioni tessili per oltre 830 milioni di euro in più, assorbendo nel loro complesso 1,7 miliardi di euro di prodotti tessili. Ma crescono anche le relazioni verso paesi del Mediterraneo, Spagna in testa, ma anche Turchia e Tunisia. Scendono invece le esportazioni verso le aree dell’Asia Orientale, che gravitano sempre di più attorno alla piattaforma cinese59. Ma anche l’Italia appare sempre più permeata da flussi di merci entrata (+16%), soprattutto dai prodotti cinesi, che nel settore tessile diventa il secondo paese di approvvigionamento dopo la Germania (tab. 5 in Appendice tessile). Cresce anche il peso di altri paesi asiatici, India e Pakistan in particolare, mentre scende il peso diretto dei mercati tradizionalmente più vicini al nostro, Germania e Francia soprattutto. Sebbene sia evidente che l’Asia costituisce un concorrente sempre più agguerrito e competitivo, nella bilancia commerciale del settore tessile impressiona soprattutto l’aumentata importanza delle relazioni con i Paesi dell’Europa centrale ed orientale. 59
Tab 4 in Appendice tessile. 90
tessili
1997
2000
(*)
confe zionati
tessili
2003
te ssili
Altri prodotti maglia
Stoffe a maglia
Articoli a
(*) esclusi gli articoli di vestiario; (**) esclusi quelli in pelle e pellicce Fonte: elaborazioni su dati Ice
0
2
Manufatti
4
6
Tessuti
5
8
Filati di fibre
6
10
Totale
7
12
0
1
2
3
8
14
4
9
Totale
1997
Indumenti in pelle
2000
pelliccia 2003
accessori (**)
Pellicce, articoli in
Articoli di abbigliamento e
91
Fig. 10 Quote di mercato italiane dei principali segmenti dell’abbigliamento (percentuali)
16
Fig. 9 Quote di mercato italiane dei principali segmenti del tessile (percentuali)
Europea a 15
orientale
Europa
Centro-
-14% Unione
97%
58%
Turchia
Fonte: elaborazioni su dati Ice
-20%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
120%
Asia
-13% Africa
91%
3%
totale
Fig. 11 Come cambiano le esportazioni in valore di prodotti tessili dal 1997 al 2003, Paesi selezionati (variazione totale)
-100%
0%
100%
200%
300%
400%
500%
600%
700%
Europea a 15
Unione
-23%
orientale
Centro-
Europa
585%
Turchia
53%
Asia
63%
Africa
150%
totale
16%
Fig. 12 Come cambiano le importazioni in valore di prodotti tessili dal 1997 al 2003, Paesi selezionati (variazione totale)
92
I flussi commerciali sembrano quindi confortare quanto affermato da più parti: ovvero che nel settore è entrato in gioco un processo di rilocalizzazione delle imprese che ha visto nella internazionalizzazione delle sue filiere una strategia senza dubbio più consolidata, seppure al momento non compiutamente sviluppata60. Dalle informazione sui flussi commerciali, in particolare, la Romania appare assurgere a paese di riferimento per quelle imprese nazionali che si misurano con la internazionalizzazione del proprio processo produttivo. In sette anni passa infatti da sedicesimo a quinto mercato di sbocco del tessile italiano, vedendosi più che raddoppiato il valore di merci diretto in terra magiara. Gli scambi di perfezionamento passivo hanno anche determinato una moltiplicazione dei flussi provenenti da quel paese, che nello stesso periodo sono quasi quadruplicati. Sebbene il nostro Paese si trovi in una posizione di relativo ritardo da questo punto di vista, a livello mondiale continua a farsi strada la tendenza a crescere per via multinazionale anche attraverso fusioni e incorporazioni61. Il processo trova nelle medie aziende i fautori prioritari di questa strategia e che quindi vede penalizzato il nostro paese dove questa tipologia di impresa e meno presente che altrove62.
Box 3.1 L’Accordo sul Tessile e Abbigliamento Il fatto che nel dibattito attuale sovente vengano citati gli accordi mulitaterali e soprattutto il venire degli elementi protezionistici che essi comportavano per le economie più avanzate, con le relative implicazioni (danni) per la nostra economia rende interessante richiamarne in questa sede i tratti principali. Dal 1 gennaio 2005, il settore del tessile e abbigliamento è stato assoggettato integralmente alle regole del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT). Ciò
60
Un recente studio del Boston Consulting Group evidenzia infatti come ad avere investito all’estero, nel comparto moda italiano sono circa il 30% delle aziende con più di 250 addetti, quota che non supera il 7% nella categoria inferiore (50-250 addetti). Dati citati in Picchio N., “il solo marchio sul mercato Usa non basta più” Il Sole 24 Ore, 16/06/2005. 61 Secondo un studio di Pambianco Strategia di Impresa nei primi sei mesi del 2004 le operazioni realizzate sono state 93 contro le 95 del periodo corrispondente del 2003. In testa gli stranieri e settori come lo sportswear il tessile e l’abbigliamento. Si veda ad esempio: Crivelli G., “In calo fusioni e acquisizioni”, Il Sole 24 Ore, 07/07/2004. 62 Fabbri E., “fusioni e acquisizioni nella moda in crescita grazie alle medie imprese”Fashiomagazine.it, 15/01/2004; Crivelli G., “la moda fa shopping all’estero”, Il Sole 24 Ore, 16/01/2004. 93
ha determinato l’abolizione delle quote che dal 1960 limitavano le esportazioni da parte di molti paesi in via di sviluppo. Già a partire dal 1960, infatti, il settore del tessile e dell’abbigliamento godeva, in ambito GATT, di accordi separati dalle altre merci. Nel 1974, poi, Comunità Europea, Stati Uniti, Canada, Austria, Norvegia e Finlandia hanno aderito all’Accordo Multifibre (MFA), la cui applicazione prevedeva ulteriori restrizioni a tutte le importazioni del settore provenienti da alcuni paesi in via di sviluppo. L’MFA è rimasto in vigore fino al 1994, dopo essere stato rinegoziato per quattro volte nell’arco della sua durata. Accanto a questo, l’UE ha sottoscritto anche alcuni accordi bilaterali che limitavano l’importazione di tessile e abbigliamento da nazioni non appartenenti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), quali ad esempio la Cina. In considerazione del fatto che l’MFA produceva discriminazioni verso le nazioni in via di sviluppo ed era in aperta violazione del principio della nazione più favorita, nel 1995, è stata accordata la progressiva liberalizzazione del settore attraverso L’Accordo sul Tessile e Abbigliamento (ATC). L’ATC ha operato attraverso quattro fasi, in ognuna delle quali la limitazione alle importazioni è stata progressivamente ridotta fino al decadimento previsto per il primo gennaio del 200563. Tra le categorie merceologiche protette, una quota rilevante sono state considerate maggiormente sensibili alle pressioni competitive dei paesi terzi, rappresentando circa il 40% del
valore delle importazioni di tessile e
abbigliamento. Sebbene in ottemperanza (formale) agli accordi le quote sono state progressivamente liberalizzate, la maggior parte dei paesi ha visto bene di tutelare questi prodotti, aprendo maggiormente su quelle produzioni meno sensibili utilizzando tutti gli escamotages per mantenere le restrizioni in quelli più sensibili64. Ciò ha permesso di contenere l’impatto della liberalizzazione nel settore sino ad ora, posticipando gli effetti, ma soprattutto frenando il processo di riconversione del settore che oggi si trova spiazzato di fronte alla apertura totale. Certamente i dieci anni trascorsi si sarebbero potuti utilizzare in maniera più proficua per attivare iniziative a sostegno della competitività sia da parte dei policy makers sia da parte degli imprenditori del settore. Oggi ci si trova in una fase di regolamentazione che vede di fronte l’Unione Europea e la Cina. 63
Questa parte è stata mutuata da Isae, La liberalizzazione commerciale del settore tessile e abbigliamento, Nota Mensile, Marzo 2005 e da Buelens C. Trade Adjustments Following the Removal of Textiles ad Clothing Quotas, CEPS Working Document, n. 222, Mat 2005. 64 The Global Textiles and Clothing Industry post the Agreement on Textiles and Clothing”, (2004), WTO Discussion Paper n.5. 94
L’Accordo bilaterale firmato nel giugno di quest’anno (2005) rinnova il contingentamento sino al 2007, anche se per tutto l’anno successivo è previsto che l’EU possa ricorrere a misure di salvaguardia previste dal WTO. L’Accordo riguarda dieci categorie di prodotti per i quali sono stati fissati “tetti” variabili alle importazioni cinesi, che non potranno aumentare annualmente per valori limite oscillanti tra l’8% ed il 12,5%. In particolare l’Accordo prevede le limitazioni riportate nella tabella a seguire.
Tab. 1 Accordo bilaterale UE-Cina: quote per prodotto 2005
2006-7
Tessuti di cotone
12,5%
12,5%
Biancheria da tavola
12,5%
12,5%
Biancheria da letto
12,5%
12,5%
T-shirt
10%
10%
Abiti da donna
10%
10%
Reggiseni
10%
10%
Filati di lino
10%
10%
Pullover e giacche a vento
8%
10%
Calzoncini e pantaloni da
8%
10%
8%
10%
donna Camicie da donna
3.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore Ricomponendo quelle che risultano essere le principali peculiarità, un primo elemento risiede senza dubbio sul lato della domanda. La domanda di prodotti finali manifesta livelli di destrutturazione importanti e crescenti, che impattano in modo diretto e molto intenso sull’intera filiera tessile – abbigliamento – maglieria. Nuovi brand si affiancano a quelli storicamente più consolidati, ma altrettanto rapidamente tendono a scomparire od evolvere. Le politiche di brand riguardano non solo il prodotto finale, ma anche – in alcuni casi – i produttori di filati e tessuti. La maggiore complessità dei mercati di consumo, poi, ha portatole imprese ad ampliare visibilmente la gamma dei prodotti proposti nei loro campionari, con un impatto notevole sui costi economici derivante dalle nuove esigenze di progettazione tecnica e stilistica. Raramente questo sforzo ha determinato una vera innovazione di prodotto, in quanto la matrice tecnologie – materiali è stata mantenuta, ad eccezione che per i 95
grandi player della moda. Si è trattato piuttosto di una differenziazione basata su contenuti stilistici, tesi a valorizzare le competenze creative, oltre che tecniche, delle imprese. In terzo luogo, gli stessi grandi confezionisti europei hanno trasferito verso nuovi paesi, a cominciare dall’Est europeo, le proprie attività manifatturiere, contribuendo a creare un nuovo panorama competitivo su scala globale che interessa oggi tutta la filiera tessile – abbigliamento. I nuovi competitors mondiali oggi sono collocati ben oltre questa arena geografica e coinvolgono aree differenti dell’Asia. Mentre la prima direttrice geografica era dipendente dalle scelte di riposizionamento produttivo delle imprese occidentali, le nuove direttrici dipendono dalle enormi potenzialità che la domanda asiatica può esprimere e dalla forza crescente delle imprese del Far East, che non solo esprimono una particolare competitività di costo (specie del lavoro), ma anche risorse finanziarie e manageriali capaci di inserirsi all’interno dei grandi canali distributivi. La reazione di una parte delle imprese italiane è stata caratterizzata da un tentativo di difesa delle posizioni di fascia alta, ritenendo definitivamente persa la possibilità di presidiare le fasce basse del mercato. In alcuni casi aziende confezioniste hanno cercato (con risultati non uniformi) di acquisire e valorizzare brand di successo della moda italiana, che avrebbero rischiato di essere abbandonati col venir meno dello stilista fondatore. Tale integrazione non è invece sostanzialmente avvenuta rispetto al tessile. In quarto luogo, la filiera, che tradizionalmente aveva fatto riferimento ad una struttura al dettaglio altamente frammentata e di modeste dimensioni, si è trovata, anche a fronte delle iniezioni di liberalizzazione regolatoria nel settore distributivo, ad una crescente importanza anche nel nostro paese di catene distributive multinazionali (monomarca o non), evidenziando problemi nella capacità di relazione con questi distributori. Inoltre, si assiste all’introduzione di nuovi filati e tessuti high-tech che mettono in gioco nella filiera attori nuovi, tra cui anche grandi multinazionali, ad esempio del settore chimico, e spiazzano in parte i produttori tradizionali. Infine, la filiera subisce l’impatto di innovazioni tecnologiche settorialmente trasversali nella produzione manifatturiera, nella progettazione dei prodotti e nelle information technologies. 96
3.1.3 Il ruolo del distretto pratese Il distretto pratese rappresenta la maggiore concentrazione di questo tipo di produzione in Italia. I principali concorrenti nazionali nel settore del tessile-abbigliamento sono i distretti di Biella, Como, Asse Sempione, Olgiata, e Carpi. Il distretto è specializzato nella realizzazione di filati per maglieria, tessuti per abbigliamento, articoli tessili per l’industria dell’abbigliamento, calzaturiera, dell’arredamento e produzione di maglieria, ma si sta muovendo verso una maggiore diversificazione produttiva, che ha riguardato finora soprattutto l’ampliamento della gamma di fibre utilizzate. La lana, ed in particolare quella cardata, un tempo il fulcro delle manifatture pratesi, sta progressivamente perdendo di importanza in favore della lavorazione delle fibre sintetiche, del cotone e fibre artificiali e, in minor misura, del lino e della seta. Ad oggi la diversificazione non ha invece riguardato, se non in minima parte, i mercati di sbocco dei filati e tessuti65. All’interno dell’universo delle aziende tessili pratesi si possono distinguere le aziende finali committenti o lanifici, la cui attività consiste per lo più nella preparazione dei campionari e nella gestione del mercato e dei rapporti con i clienti finali nonché nel coordinamento delle diverse fasi di produttive, e le aziende terziste o subfornitrici, volte quasi esclusivamente alla produzione di norma altamente specializzata nella singola lavorazione. La maggior parte delle piccole e piccolissime imprese contoterziste, che rappresentano la tipologia prevalente delle imprese pratesi, sono dedite alla filatura e alla tessitura; nelle fasi finali (ovvero quelle della nobilitazione del filato e del tessuto) opera un numero molto inferiore di aziende, che però sviluppano quasi la metà del valore complessivo del fatturato e sono normalmente di medie dimensioni66. All’interno del distretto di Prato è presente anche un consistente gruppo di imprese operanti nel settore dell’abbigliamento che si differenzia in due comparti: quello della maglieria e quello delle confezioni. Le immagine che restituiscono i censimenti mostrano in particolare un distretto in evoluzione, in direzioni però che da un punto di vista macro
65
Si veda tra gli altri IPI (2003), Nuovi Orientamenti di Politica Industriale: L’esperienza di Prato nel Settore Tessile. 66 IPI (2003). 97
possono entrare in rotta di collisione con il nuovo ruolo dei paesi emergenti. Nel distretto di Prato, tra il ’91 e il ’01 si registra una costante diminuzione di addetti e di unità locali. I primi si riducono di 4.453 unità, a partire dai 45.400 occupati del ’91 e le seconde di 2.894 unità, arrivando nel ’01 a 6.517 unità locali di impresa (tabb 9 e 10 Appendice tessile). Le imprese tessili restano l’ “impalcatura” del distretto, nonostante per loro gli anni novanta abbiano rappresentano un periodo di grande difficoltà. La loro presenza nel distretto scende infatti da quasi il 90% del totale al 77,1% del 2001, a seguito di un pesante arretramento della loro numerosità: -29,6% pari ad una contrazione di quasi 2.400 unità produttive. Cresce invece il ruolo dell’abbigliamento, spinto da una continua espansione imprenditoriale e occupazionale, che per gli anni novanta marca un saldo complessivo di 743 aziende in più (+78,1%) per oltre 2.200 addetti acquisiti (+67,6%). Si osserva quindi una migrazione interna al distretto che penalizza le produzioni tradizionali a favore di attività a valle nella catena del valore. Fig. 13 Come cambia la composizione del distretto tessile pratese: unità locali (totale = 100) 100% 90%
10,5%
14,5%
22,9%
80% 70% 60% 50% 40%
89,5%
85,5%
77,1%
30% 20% 10% 0% 1991
1996 Tessile
2001
Abbigliamento
Fonte: elaborazione su dati Censimento Istat 2001
98
Fig. 14 Come cambia la composizione del distretto tessile pratese: addetti (totale = 100) 100%
7,7%
11,1%
13,2%
92,3%
88,9%
86,8%
1991
1996
2001
90% 80% 70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0%
Tessile
Abbigliamento
Fonte: elaborazione su dati Censimento Istat 2001
La tessitura e la filatura, in particolare, rappresentano le produzioni più colpite dopo la maglieria67, mentre a crescere sono soprattutto le produzioni di vestiario ed i relativi accessori (tab. 10 Appendice tessile). Ma il limite della struttura produttiva locale resta. Gli addetti medi per azienda tessile salgono nel decennio, restando però concentrati all’interno di strutture di micro dimensione (6,3 addetti contro i 4,8 del 1991). Più critica la situazione nell’abbigliamento, settore nel quale la dimensione tende addirittura a contrarsi (da 3,4 a 3,2 addetti). Emerge quindi la fotografia di un distretto che “lascia” i suoi settori tradizionali in cerca di attività più proficue e più vicine al mercato, una strategia che poteva anche essere vincente se non fosse sopraggiunta una netta e brusca redistribuzione dei vantaggi competitivi a favore delle economie emergenti, soprattutto di quella cinese, ma non solo. Il distretto si trova oggi più sbilanciato verso quelle produzioni che sono più deboli di fronte ai nuovi competitors e con una struttura imprenditoriale che non sembra avere l’assetto organizzativo capace di attivare quelle strategie competitive necessarie a fronteggiare le crescenti pressioni.
67
Il finissaggio al calo della prima parte della decade, contrappone una espansione in chiusura di periodo, così da registrare una saldo pressoché invariato. 99
-2500
-2000
-1500
-1000
-500
0
500
1000
171
-710
-1454
173
-47
59
175
232 72
177
-544
-2392 181
27
733
183
-17
743
Fig. 15 1991-2001: dieci anni a confronto per le unità locali del distretto pratese
Totale
-1649
100
171
-623
172
-3767 173
950
174
271
175
1812
176
394
Fonte: elaborazione su dati Censimento Istat 2001
171 - Preparazione e filatura di fibre tessili 172 - Tessitura di materie tessili 173 - Finissaggio dei tessili 174 - Confezionamento di articoli in tessuto, esclusi gli articoli di vestiario 175 - Altre industrie tessili 176 - Fabbricazione di maglierie 177 - Fabbricazione di articoli in maglieria 17 - industrie tessili
-4000
-3000
-2000
-1000
0
1000
2000
3000
177
-2053
17 - Tes s ile
-3016
182
183
-128
18 Abbigliamento
2209
Totale
-807
101
18 - confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce
181 - Confezione di vestiario in pelle 182 - Confezione di altri articoli di vestiario ed accessori 183 - Preparazione e tintura di pellicce; confezione di articoli in pelliccia
181
81
2256
Fig. 16 1991-2001: dieci anni a confronto per l’occupazione del distretto pratese
Una conferma dei limiti strutturali del distretto viene dalle relazioni commerciali degli ultimi anni. Dal 2001 al 2003 le esportazioni di tessile e maglieria calano, perdendo circa un quarto del loro valore, con una perdita di competitività del distretto soprattutto nel settore tessile, e un calo del peso dell’export pratese sulle esportazioni italiane. Dopo avere toccato il valore massimo raggiunto nel ’01 (2,4 milioni) si è infatti registrata una flessione nei due anni successivi che ha riportato l’export sui livelli del ’96 (1,8 milioni nel ’03)68. Contestualmente, la quota del distretto sul totale italiano è passata dal 14,9% del 2000 al 12,1% del ’03.
Fig. 17 Le esportazioni del distretto tessile pratese: un confronto col dato nazionale (1995 = 100) 180 170 160 150 140 130 120 110 100 90 1995
1996
1997
1998
1999 Italia
2000
2001
2002
2003
Prato
Fonte: elaborazione su dati Ice
68
Tab. 11 in Appendice tessile. 102
Fig. 18 Come cambia il peso del distretto tessile pratese: esportazioni provinciali su totale nazionale (*) 25,0%
20,0%
15,0%
10,0%
5,0%
0,0% 171
172
174
175 1995
2000
176
177
Totale
2003
(*) per le codificazioni dei segmenti del tessile si veda la nota alle figure 15 e 16 (p. 99) Fonte: elaborazione su dati Ice
Il calo repentino delle esportazioni maturato in questi ultimi anni è senza dubbio aggravato da fattori congiunturali. Il ciclo economico dal 2001 ad oggi è stato infatti debole per alcuni importanti partners commerciali pratesi, caratterizzati da una domanda interna modesta (Germania, Francia); il Regno Unito poi sembra progressivamente uscire dalla filiera moda, cedendo porzioni di settore e di produzioni di vestiario69. Tra i paesi tradizionali la Spagna rappresenta quello probabilmente più interessante, in linea con la crescita dell’export nazionale. Ma non basta a sostenere la domanda estera visto che anche sul fronte non europeo, per tradizionali acquirenti come gli USA e Hong Kong pesano gli effetti monetari della rivalutazione dell’euro sulle principali monete di riferimento, principalmente il dollaro americano e lo yen giapponese, ma anche lo yuan cinese ancorato alla divisa statunitense. Il brusco calo delle esportazioni pratesi non sembra derivare dal dispiegamento di filiere internazionali, fenomeno ancora confinato ad un insieme limitato di casi. Basti pensare che le azioni di internazionalizzazione realizzate da imprese, senza tenere conto quindi 69
Una testimonianza viene anche dalle sue quote mondiali di prodotti esportati, peraltro già modesta sul fine degli anni novanta (tab. 3 in Appendice tessile). 103
delle relazioni azionarie che hanno come protagonisti persone fisiche, dagli anni ’80 ad oggi sono state modeste. Alla fine del 2003 le aziende toscane che avevano partecipazioni all’estero erano non più di 27 nel tessile-maglieria e 57 nell’abbigliamento, con una predilezione per aree prossime come l’Europa centrale e il Nord Africa. Basti pensare poi che nell’intera regione in circa vent’anni le operazioni di M&A non hanno superato le 27 unità70, risultando attribuibili a soggetti di dimensioni medio-grandi71. La dimensione aziendale ha un’influenza importante anche sulla attrazioni di investimenti dall’estero (vedi box 2), così che si è venuto a determinare negli anni un certo ritardo all’interno della provincia e più in generale nella regione dal punto di vista dell’irrobustimento delle imprese del tessile-abbigliamento attraverso processi di crescita esterna, soprattutto per “via internazionale”.
Fig. 19 Imprese toscane con partecipazioni estere al 1.1.2004 (numero) 57
60 50 40 30
24
20
24
23
15 7
10 1
1
0
1
6 1
0
0
2
0
0 Unione
Europa
Altri paesi
Africa
America
Asia
Asia
Europea
centro-
europei
settentr.
settentr.
centrale
orientale
T otale
orientale Tessili e maglieria
70 71
Abbigliamento
Fonte: Banca dati Fusioni e acquisizioni Nomisma, dati aggiornati alla fine del 2001. Gucci e Ferravamo in testa. 104
Box 3.2 La moda toscana a corto di capitali esteri? Continuando l’analisi dei dati della regione Toscana, anche per quanto riguarda gli IDE in entrata, nel 2003 hanno raggiunto circa 300 milioni di euro, mentre nel 2002 erano pari a 289 milioni e nel 2001 a 288,972. In realtà, nonostante la presenza di capitali esteri sia aumentata, la realtà territoriale mostra una perdita di “appeal” del sistema poiché le piccole e medie imprese che lo rappresentano risultano poco appetibili alle grandi multinazionali. Dal 2000 ad oggi mancano infatti i grandi investimenti mentre sono cresciuti i centri distributivi dei gruppi già esistenti e le piccole filiali.73 Gli investimenti esteri ricadono non soltanto nei settori di punta dell’economia toscana ma anche in ambiti di nicchia: la componentistica per auto (Livorno), la chimica (prevalentemente nella provincia di Livorno e Firenze), la meccanica, gli apparecchi elettrici ed ottici (Firenze e Arezzo), il vinicolo (Siena, Firenze e Grosseto) il biotecnologico e il farmaceutico (soprattutto a Siena). Meno rilevante è , a ben guardare, il tessile – abbigliamento che invece ha da sempre rivestito un peso significativo nell’economia
della regione, sebbene le
condizioni del settore si siano logorate in termini di competitività. In effetti una visione alquanto di sintesi del settore in Toscana mostra una perdita piuttosto significativa in termini di valore aggiunto che nel 2002 ha perso circa 7 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Le dinamiche di internazionalizzazione in entrata risentono comunque anche del rapporto euro-dollaro, in cui il deprezzamento della moneta americana rappresenta un deterrente per gli investimenti delle multinazionali d’oltre oceano. Un’analisi dei soggetti che si sono dimostrati dinamici in termini di crescita nel contesto mondiale, dimostra ancora una volta come a definire i contorni dell’internazionalizzazione attiva della toscana siano le grandi imprese. In effetti, dai dati analizzati della Banca Dati Nomisma M&A, le principali acquisizioni sono state promosse da soggetti quali Salvatore Ferragamo Italia, che ha iniziato la sua attività di crescita esterna nel ’96 con l’acquisto della casa di moda francese Ungaro, e seguita nel ’98 rilevando il controllo dell’australiana Peter Burrow, e del 40% della giapponese FLBJ, entrambe distributori del marchio nei rispettivi paesi. Le dinamiche del settore, che vede sempre più l’allargamento delle attività verso gli accessori e la diffusione del marchio in ambiti diversi dal core business, ha inoltre portato Ferragamo al controllo delle attività di profumi che gestiva insieme a Bulgari. Questo è l’esempio forse più significativo della crescita di una
72 73
In questi dati figurano anche finanziamenti e sottoscrizioni di obbligazioni. Fonte: Italia Multinazionale 2004. 105
grande impresa del Made in Italy toscana, in termini di diversificazione, controllo della distribuzione e focalizzazione delle risorse seguendo i trend settoriali. Rientra
nell’ottica
della
diversificazione
e
dell’ampliamento
dei
prodotti,
l’acquisizione della svizzera Severin Montres, produttrice di orologi, da parte della Guccio Gucci, in linea con le dinamiche generali di strategie multibrand e di estensione del marchio in diverse aree d’affari. Altri sono i protagonisti della diffusione dei nomi dell’imprenditoria toscana all’estero. Alla fine degli anni ’90 la Targetti Sankey, specializzata nella produzione di sistemi illuminotecnici, rafforza la sua presenza nel territorio nazionale ma soprattutto concentra i propri investimenti in Francia, dove rileva 3 imprese, e negli Stati Uniti attuando la strategia di ampliamento della propria gamma produttiva e dei mercati di sbocco. Anche le dinamiche in entrata riflettono importanti cambiamenti nell’economia del territorio e mostrano l’evoluzione di alcuni settori. In effetti riprendendo in considerazione il settore del tessile abbigliamento, l’acquisizione della fiorentina Emilio Pucci da parte della francese Louis Vuitton-Moet Hennesy nel 2000 anticipa quella che è a tutt’oggi la tendenza più manifesta del cambiamento di struttura delle imprese del settore. Da laboratori artigiani ad imprese di successo a multinazionali del lusso: questi sono i passaggi in estrema sintesi che hanno portato alla formazione di holding strutturate e managerializzate con le caratteristiche del global player spesso quotato in borsa e con assetti di governo profondamente diversi da quelli tradizionali come lo stilista-imprenditore e dal modello familiare. In tal senso le grandi case di moda italiane, sono entrate spesso a far parte di conglomerali estere in cui il marchio continua comunque ad avere uno spazio e un ruolo determinante sui mercati.
3.1.4 La storia recente e le peculiarità del distretto Prato è (ed è ancora percepita dall’esterno) come una realtà produttiva che esprime livelli qualitativi e know-how di prim’ordine, da considerare per una qualsiasi strategia di filiera che permetta di coinvolgere produttori finali e produttori di tessuti in un’ottica necessariamente nazionale. La crisi di Prato non appare peggiore di quella di altri comparti del sistema moda e di altri distretti, per quanto forte sia la percezione locale (dovuta alla “novità” di un calo di fatturato mai così forte e concentrato nel tempo). A Prato è però anche attribuita una peculiare capacità di reazione, resa possibile anche dalla superiore diversificazione dei mercati di sbocco. Rispetto ad altre realtà italiane la forte caratterizzazione in termini dimensionali rappresenta motivo di debolezza 106
specialmente sul piano della capacità finanziaria (mentre non è necessariamente percepita come in crisi l’organizzazione a rete). Sempre più – invece - l’impresa vincente è percepita come quella che possiede una struttura di medie dimensioni, disponibilità finanziaria e professionalità. La crisi è percepita a Prato come il risultato di problemi di lunga data (ossia da quando si è perso il vantaggio della conoscenza del reprocessing), ma che si sono aggravati negli ultimi anni per l’effetto convergente di una serie di fattori: effetto Cina, effetto dollaro, caduta dei consumi, dipendenza dalla grande distribuzione. La pressione competitiva più forte proviene da parte dei paesi asiatici, soprattutto da parte di Cina ed India che vengono individuati come “paesi leader nell’offerta di prodotti a basso costo di produzione” con cui è ormai impossibile competere sul piano dei costi, ma con cui bisognerebbe poter ricercare forme di collaborazione. La pressione competitiva non è comunque solo esogena, ma, a fronte della riduzione dei livelli produttivi, anche all’interno del distretto pratese si assiste ad un’accentuata competizione, che porta a comprimere ulteriormente i margini. Questa competizione interna sembra accentuare gli elementi di dis-integrazione del distretto e rafforzare le tendenze individualistiche ed il divergere degli interessi delle varie componenti, che faticano a trovare una nuova sintesi. A Prato è chiara la percezione che il processo di ristrutturazione dovrà essere selettivo: non tutti sopravvivranno. D’altronde, trattandosi di un’area ad elevato tasso di presenza manifatturiera, un certo grado di deindustrializzazione è atteso come inevitabile. Restano però forti i fattori competitivi “vincenti” del distretto: la creatività, la fantasia, e la flessibilità nell’adattarsi velocemente a ciò che viene richiesto dal mercato (anche in termini di tessuto). La “capacità di produrre” e la flessibilità rappresenta il fattore vincente, per eccellenza, del distretto pratese rispetto ad altri distretti italiani, in quanto determina una velocità di risposta che soddisfa le varie richieste del “consumatore moderno”. Gli investimenti, da parte degli imprenditori dotati di risorse finanziarie, si concentrano sull’acquisizione di nuovi macchinari per far fronte al cambiamento frequente del prodotto da offrire. L’analisi relativa alle discontinuità radicali che esogenamente stanno impattando da anni sul tessile pratese sono chiare e non contestabili. In particolare, esse sono riconducibili all’emergere di: 1.
nuovi competitors a livello internazionale con un basso costo del lavoro; 107
2.
nuove tecnologie manifatturiere, di progettazione di nuovi prodotti (CAD) e di comunicazione tra imprese (ICT);
3.
un peso crescente, nella creazione del valore economico, del retail (grandi multinazionali che gestiscono catene distributive a livello mondiale).
Si discute, semmai, se due discontinuità ulteriori possano considerarsi rilevanti oppure no. In particolare: 1.
l’emergere di nuovi mercati di sbocco dei prodotti, diversi da quelli tradizionali (Nord America e EU occidentale);
2.
la destrutturazione dei mercati di sbocco, in termini di crescente variabilità ed imprevedibilità dei gusti dei consumatori.
Riguardo al primo aspetto, in effetti, siamo convinti che il PIL cresca in certe aree mondiali (Cina, ecc.) ma si discute se e in che misura questa crescita possa tradursi in capacità di acquisto dei beni finali provenienti dal tessile e dall’abbigliamento pratese. In altri termini, la logica dell’alta qualità dei prodotti pratesi è coerente con le logiche dominanti dei consumi dominanti in questi Paesi? È inequivocabile che queste nuove aree mondiali rappresenteranno i nuovi mercati di consumo ma quali siano i tempi e i modi di ingresso e di sviluppo negli stessi ancora oggi è difficile determinarlo. È indubbio che vi siano sforzi consistenti da parte delle associazioni di categoria, dei policy maker e degli industriali a penetrare in questi mercati ma i lotti produttivi acquistati da queste aree incidono ancora poco sul fatturato delle imprese tessili pratesi. Riguardo al secondo punto, è vero che vi sono state negli ultimi trent’anni numerose turbolenze della moda (griffe che nascono e griffe che muoiono) ma queste turbolenze hanno per molti anni avvantaggiato l’industria pratese e non l’hanno certo mortificata. Di conseguenza, dire che oggi la turbolenza e l’imprevedibilità dei mercati costituiscono un fattore negativo per il distretto di Prato è sicuramente interessante ma discutibile (anche alla luce delle doti di flessibilità e di credibilità che tali imprenditori si attribuiscono). Se comunque le tre discontinuità indicate sopra sono vere e condivisibili, come cambia il modo di essere del distretto? E quali sono le strategie vincenti di talune imprese?
108
Il distretto appare perdente nei comparti manifatturieri della filiera eccessivamente labour intensive (tessitura, orditura). Il distretto appare vincente nei comparti capital intensive, laddove la delocalizzazione per il costo del lavoro non darebbe vantaggi tangibili. In particolare, la presenza di un comparto capital intensive che, grazie alle tecnologie, genera nobilitazione del tessuto e differenziazione del prodotto, può costituire il presupposto per lo sviluppo di una strategia manifatturiera importante diretta a preservare la produzione tessile a Prato. I comparti con queste caratteristiche sono, ad esempio, la tintoria ed il finissaggio. C’è da dire, tuttavia, che a Prato, per preservare un cuore manifatturiero e recuperare margini di competitività sul costo del lavoro, si è assecondato un processo di innesto di un’isola produttiva cinese dentro il distretto. Nell’arco di un decennio, questo fenomeno va comunque esaurendosi nei sui effetti positivi. Questo fatto, inoltre, ha permesso di poter procrastinare o non perseguire, con adeguata tenacia, fenomeni di delocalizzazione manifatturiera nell’est Europa o in altre aree mondiali, come invece è stato fatto da altri distretti localizzati, ad esempio, nel nord est. L’ipotesi di fondo rimane in realtà quella di mantenere la capacità produttiva in Toscana. La strategia di delocalizzazione è ancora oggi vista con prudenza, quando non con scetticismo: potrebbe avere senso solo nella misura in cui si riuscisse a ricreare piattaforme produttive, ma – si sottolinea - anche per la delocalizzazioni ci vogliono aggregazioni robuste, con progetti unitari forti. Per altro ciò si colloca in un contesto di internazionalizzazione in cui la direttrice asiatica è ancora minoritaria, come debole è ancora la capacità di penetrazione dei nuovi mercati, a cominciare dalla Cina. Pur tuttavia, la presenza della comunità manifatturiera cinese ha contribuito a preservare a Prato un modello di specializzazione delle imprese basato sul nanismo dimensionale. Se, infatti, le imprese pratesi hanno potuto appoggiarsi al sistema manifatturiero in loco, hanno evitato processi dispendiosi ed impegnativi sia sul paino finanziario che organizzativo di delocalizzazione all’estero. Dunque, Prato ha potuto continuare ad essere un sistema produttivo territorialmente integrato più e meglio di altri distretti del nostro Paese, fondato su una ridotta dimensione delle imprese stesse e incapace di contaminarsi culturalmente ed economicamente rispetto a certe nuove frontiere dell’internazionalizzazione produttiva. C’è dunque un ritardo strategico che Prato sta attraversando rispetto alle nuove frontiere della competitività internazionale. 109
Una dinamica importante di un comparto che merita molta attenzione è quello della produzione di macchine per le lavorazioni tessili. A Prato, esistono competenze eccellenti in relazione alla produzione di taluni macchinari. È evidente che questo comparto si sta dissociando, in termini dinamici, rispetto alle sorti del distretto, inteso come contesto di produzione di filati e tessuti. Questi produttori commercializzano i loro macchinari anche nei mercati emergenti e non dipendono più, oramai da molti anni, da un mercato locale e nazionale di tipo captive. Questo comparto è dinamico perché la crescita mondiale del commercio di filati e tessuti non è affatto negativa e quindi ci sono, a livello mondiale, imprese che richiedono macchinari tecnologicamente avanzati. L’unità del distretto pratese si spezza, pertanto, nel momento in cui non vi è più una convergenza degli interessi strategici che tiene assieme tutti i comparti della filiera, compresi i produttori di macchine. Questo comparto richiede competenze scientifiche e tecnologiche di alto livello oltre che una capacità di marketing e di commercializzazione su scala globale; si tratta di capacità manageriali raramente presenti nel mercato pratese del lavoro. Con prudenza è vista anche la “discesa a valle” verso la distribuzione, ipotesi che è resa difficile da una incapacità anche culturale di ridefinizione della missione delle imprese. Sembra quindi “illusorio” pensare che la strategia vincente di Prato sia il modello Zara tout court. Illusorio non perché sia una strategia sbagliata, ma perché la storia pratese è una storia di tessile e non di abbigliamento e il modello Zara ha bisogno di una grande impresa capace di costruire: a) competenze manifatturiere nell’abbigliamento, b) competenze di marketing, di immagine, di griffe dell’abbigliamento e c) competenze di gestione di negozi monomarca a livello mondiale. Per altro, come rappresentato proprio dal citatissimo “modello Zara”, la strategia vincente sembra richiedere, al di là della dimensione degli attori, forti integrazioni di filiera, che permettano di ridurre in modo significativo le diseconomie che tuttora esistono e che impattano seriamente sulla struttura dei costi, a cominciare da quelli relativi ai magazzini.
110
3.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER
3.2.1 Concorrenza e mercati Nell’indagine effettuata. le imprese leader del distretto tessile si distinguono tra loro in relazione al tipo di organizzazione produttiva adottata ed alla tipologia di specializzazione seguita in una o più fasi del ciclo produttivo. Alcune imprese seguono la progettazione, lo sviluppo e la commercializzazione del prodotto facendo ricorso all’esterno per le fasi produttive intermedie, sviluppando rapporti di collaborazione e rapporti partecipativi con le piccole imprese “terziste/satellite” del tessuto locale o con le imprese collocate in altre realtà regionali o nazionali. Altre imprese sono specializzate anche in una sola fase del ciclo produttivo di un solo segmento di prodotto, con produzioni conto-terzi e rapporti di forte dipendenza con il committente/cliente finale. Questa tipologia di imprese opera per lo più a livello locale e/o regionale, poiché non presenta una struttura dimensionale adeguata e non è dotata di un potere finanziario in grado di esportare oltre i confini regionali e/o nazionali. Per quanto riguarda la posizione delle imprese nella concorrenza del settore, le imprese leader attivano spesso forme progressive di specializzazione nella produzione verso nuove tipologie di prodotto e nuove gamme di prodotto, nuovi materiali, (fibre di viscosa e fili di lana, seta, lino, e tessuti fantasia cashmere, mohair, alpaca, angora e fibre nobili per mischie pregiate, ecc.) nuove tecnologie avanzate, ottimizzazione delle tecniche di lavorazione, nuove progettazioni di colori, migliore rapporto qualità/servizio. Le imprese perseguono l’obiettivo strategico non solo migliorando gli standard qualitativi richiesti dalla clientela, ma anche offrendo un servizio creativo, flessibile ed attento alle esigenze dei clienti. La concorrenza di prezzo da parte, soprattutto, di produzioni estere costituisce il fattore critico per eccellenza anche per le imprese leader. Oltre al prezzo la competitività si gioca principalmente su fattori quali, la proposta qualitativa e il grado di innovazione del prodotto. 111
Negli ultimi anni la concorrenza, anche per le leader, si è particolarmente accentuata a causa della caduta della domanda e dell’accelerata competitività dei prezzi, considerando anche l’elevata capacità imitativa dei produttori asiatici. Le leader intervistate denotano un’estesa presenza sui mercati internazionali, coprendo un po’ tutto il panorama tessile internazionale (Europa, Usa, Asia), pur con evidenti differenziazioni. Le leader che seguono più di una fase del ciclo produttivo esportano anche all’estero, mentre quelle che si limitano a produrre solo semilavorati coprono il mercato locale e domestico (attraverso la vendita diretta al committente finale). Quelle che presentano dimensione adeguata e potere finanziario per poter agire e competere sui mercati internazionali hanno cercato di sviluppare una politica di forte crescita delle esportazioni internazionali, soprattutto nei paesi del sud est asiatico (soprattutto Cina, Giappone), pur mantenendo una forte presenza nei paesi europei (soprattutto Germania, Francia ed Inghilterra).
3.2.2 Struttura e organizzazione d’impresa Le imprese leader intervistate corrispondono quasi completamente al modello di impresa non verticalizzata che organizza all’esterno la produzione sulla base del processo produttivo prescelto. Il processo relazionale per alcune imprese leader (dotate di forte potere finanziario) con il committente finale e con le imprese terziste non si realizza in modo esclusivo attraverso l’intermediazione di una o più imprese terziste, ma può risolversi con la partecipazione o addirittura l’acquisizione delle stesse. In questo modo, l’impresa leader detiene il controllo diretto dell’intera filiera produttiva e previene eventuali forme arbitrarie di fornitura di semilavorati da parte di produttori localizzati nei paesi asiatici (cosiddetti paesi a basso costo), assorbendo i fattori strategici locali quali le competenze e le risorse. L’attività produttiva si svolge principalmente su un unico stabilimento anche se le imprese di maggiori dimensioni e quelle più organizzate strutturalmente hanno vari uffici e magazzini commerciali dislocati all’estero. Dall’analisi delle imprese leader emerge che in quasi tutti i casi le funzioni aziendali sono presenti all’interno dell’impresa. Pertanto non 112
sono presenti forme di decentramento delle attività produttive in senso stretto, ma come per la maggiore parte delle imprese che operano nel settore tessile, l’attività è organizzata nelle varie fasi del ciclo produttivo attraverso forme di collaborazione e di divisione del lavoro con le imprese esterne, cosiddette “terziste o satellite”. Le imprese analizzate pur presentando livelli medi di complessità strategica ed organizzativa, sembrano in grado di innescare processi di sviluppo sia potenziando alcune funzioni aziendali interne sia governando una fitta rete di rapporti con i fornitori selezionati. In alcuni casi le fasi a monte (approvvigionamento dei tessuti greggi) sono realizzate da imprese terziste collocate non solo in ambito locale, come avviene per la maggior parte delle imprese, ma anche a livello nazionale ed internazionale. Questo tipo di “alleanza produttiva” determina nei vari passaggi un valore aggiunto che si traduce in un incremento di tecnologia e di innovazione, favorendo la realizzazione di vantaggi competitivi. La politica di esternalizzazione di alcune fasi produttive all’interno di un network di imprese terziste crea vantaggi non solo in favore della riduzione dei costi e nell’abbattimento dei costi specifici che l’impresa dovrebbe sostenere per il controllo della qualità, ma viene utilizzata anche per fronteggiare i picchi stagionali e contingenti di domanda. Spesso esistono accordi con le imprese terziste per il finanziamento dei macchinari e/o accordi di compartecipazione per l’acquisto degli stessi. Fanno eccezione comunque alcuni casi in cui l’impresa leader partecipa con il proprio capitale in altre società attraverso accordi di vario genere e tipologia, determinando in questo modo una maggiore integrazione di filiera. Le forme di delocalizzazione produttiva vera e propria sono difficilmente adottate dalle imprese di piccole dimensioni poiché per questo tipo di operazioni sono richiesti investimenti cospicui, anche per sopportare i costi che derivano dall’organizzazione logistica complessiva. L’organizzazione commerciale viene gestita da personale interno all’impresa, pianificata anche attraverso agenti e rappresentanti all’estero, che seguono in maniera diretta i rapporti con i clienti e la vendita del prodotto. Per le imprese di dimensione più ridotta che non esportano all’estero, la parte commerciale dell’impresa prevede solo la gestione locale e può quindi essere seguita anche solo dal personale interno all’impresa. 113
L’attività promozionale avviene soprattutto attraverso la partecipazione a fiere del settore e contatti periodici continuativi con la clientela. Per alcune imprese, nel prossimo futuro sono previste politiche di rafforzamento di presidio con agenti e rappresentanti commerciali direttamente nei paesi interessati finalizzati all’acquisizione e allo sviluppo del portafoglio clienti esteri.
3.2.3 Fornitori e clienti I fornitori delle imprese leader sono localizzati in ambito nazionale ed internazionale e coincidono con i mercati di sbocco dei prodotti. Relativamente al contesto locale, la dinamica relazionale che si instaura tra l’impresa leader e le imprese terziste tende verso rapporti di interdipendenza di diverso grado. Nella maggior parte delle relazioni il committente definisce, ma non impone il modello così come definisce le specifiche di lavorazione accettando una sua collaborazione anche nella fase di definizione del modello del prodotto. Gli aspetti sui quali i leader lasciano poca autonomia riguardano soprattutto l’adeguamento agli standard qualitativi ed il controllo dei livelli di produzione (tempistica e competenza della manodopera). Tuttavia, il cliente può intervenire partecipando alla fase di progettazione quando si tratta di prodotti molto specialistici. II parco fornitori per le imprese leader del tessile si rinnova frequentemente con l’inserimento di nuovi fornitori sia in entrata che in uscita al fine di variare la produzione e proporre prodotti sempre più competitivi in relazione a ciò che il mercato richiede in un certo momento. Si tratta di politiche di turn over diffuse e finalizzate alla generazione di sintesi innovative di prodotto in relazione all’adeguamento delle tendenze moda. Tra i principali fattori di selezione dei fornitori, quelli più importanti riguardano il livello qualitativo del prodotto, che costituisce una condizione imprescindibile, la qualità del servizio offerto ovvero la rapidità ed il rispetto dei tempi di consegna; la capacità progettuale ed innovativa; la flessibilità degli impianti e dell’organizzazione interna per far fronte alle fluttuazioni del mercato. Il controllo di qualità viene effettuato principalmente in entrata da parte dell’impresa (solo in pochi casi in uscita da parte dei fornitori) e affidato a 114
centri di controllo localizzati sia a livello locale e nazionale sia internazionale. I centri di controllo, nella fattispecie, sono imprese terziste che effettuano una serie di controlli sulla qualità delle produzioni a richiesta dell’impresa (soprattutto per produzioni personalizzate e quindi non standard; ad esempio l’impresa Gap cura la progettazione, sceglie i campionari, acquista i tessuti prodotti in Cina e li importa in Usa). I clienti delle imprese leader intervistate sono presenti su quasi tutti i mercati di sbocco essendo spesso riconducibili a grandi marche (es. Dolce e Gabbana, Armani, Donna Karen, Escada) o imprese industriali che vendono sul mercato finale a grandi distributori (Zara, Max Mara). Il cliente di solito interviene solo attraverso la selezione della proposta stagionale, perché il prodotto viene proposto dall’impresa ed adattato alle varie esigenze del cliente. Per le imprese più piccole invece il cliente interviene sempre perché fornisce il modello del prodotto e le specifiche di lavorazione. I fattori che hanno determinato un cambiamento nei rapporti con i clienti sono dovuti alla maggiore pressione dei prezzi ed alla richiesta di minori tempi di consegna; infatti negli ultimi anni si segnala anche un accorciamento dei tempi di evasione degli ordini. Tra le principali difficoltà incontrate dall’impresa nel rapporto con i committenti si segnalano soprattutto i tempi di pagamento, fattore che viene accentuato dalla capacità immediata di liquidità nei pagamenti da parte dei produttori cinesi.
3.2.4 La logistica La politica di logistica delle aziende leader intervistate è principalmente organizzata secondo le modalità di consegne a tempi programmati su commessa oppure in relazione alla programmazione delle lavorazioni del prodotto. Solo in alcuni casi la logistica avviene con consegne di just in time (soprattutto per la fase finale del ciclo produttivo) e per questo motivo la flessibilità rappresenta un carattere fondamentale del processo di fornitura. La logistica è organizzata con personale interno dedicato. La logistica di approvvigionamento e di distribuzione delle merci sono gestite internamente all’impresa (franco fabbrica e franco domicilio), utilizzando 115
varie tipologie di trasporto: corrieri (su piccole partite), mezzi interni, trasporti in genere (su grandi partite) e solitamente scelti dal cliente. La funzione più critica nell’impresa è rappresentata dallo stoccaggio delle materie prime e dalla gestione del magazzino, poiché entrambe incidono sul costo e sulla conseguente difficoltà di gestione della merce.
3.2.5 Le risorse umane Per le aziende leader le figure più importanti sono quelle che operano nei reparti di ricerca, nell’engineering e nel controllo qualità. Quelle più difficili da reperire sono i tecnici di produzione e gli addetti commerciali. Il progettista, il designer, il commerciale, il responsabile della produzione, l’addetto al controllo qualità. I responsabili della tintoria e delle rifinizioni (che controllano anche i costi della tintura) rappresentano figure strategiche all’interno per una sola impresa tessile. All’interno delle imprese leader non emergono comunque figure professionali esplicitamente riconosciute come particolarmente critiche.
3.2.6 L’innovazione Il tema dell’innovazione è molto importante per l’impresa leader che opera nel settore tessile, in quanto è determinante introdurre sul mercato prodotti tecnologicamente nuovi e migliorati ed offrire prodotti esteticamente sempre nuovi. All’interno delle leader intervistate, l’innovazione avviene fondamentalmente nella fase della campionatura: si studia la struttura del tessuto, vengono effettuate alcune prove in fase di tintoria e con la nobilitazione del tessuto si studiano le caratteristiche del prodotto. In tutto il processo è necessario disporre ed utilizzare macchinari adeguati al processo di produzione. Gli input provenienti dal mercato svolgono un fattore guida alla preparazione dei prodotti per le stagioni successive. Lo sviluppo dei prodotti e dei processi di produzione è demandato all’interno dell’impresa stessa che si avvale dei reparti di R&S interni oppure può avvenire in alcuni casi attraverso processi di sinergia con i fornitori. Tra il 2002 ed il 2004, la maggior parte delle imprese leader ha introdotto sul mercato 116
prodotti e processi di produzione nuovi e migliorati che nella fattispecie per i prodotti si traducono in modifiche estetiche e per i processi nell’introduzione di nuovi macchinari sviluppati all’interno degli uffici tecnici delle imprese. Il ricorso ai brevetti per proteggere le innovazioni di prodotto e di processo è poco frequente, poiché per le imprese del settore tessile non possono essere brevettati prodotti facilmente riproducibili attraverso la variazione di piccoli particolari (es. il colore o semplici modifiche estetiche). Le leader propendono piuttosto per l’adozione di marchi di fabbrica, aumento della complessità nella progettazione e l’incremento delle competenze rispetto ai concorrenti relativamente alla generazione di nuove idee. In due casi, le imprese hanno anche adottato procedure di segretezza o riservatezza. Le imprese leader finanziano le innovazioni quasi sempre internamente ovvero attingendo a mezzi propri, tranne per alcune di grandi dimensioni che talvolta possono usufruire di finanziamenti agevolati erogati dalle varie strutture.
3.2.7 Le strategie future L’accentuata concorrenza internazionale e l’attuale congiuntura economica negativa sono percepite e vissute come un pericolo da gran parte delle imprese, ma allo stesso tempo questi fattori sono ancora riconosciuti come un’opportunità per investire sul miglioramento nel design del prodotto e per proporre sul mercato prodotti più innovativi. La strategia più importante per combattere la concorrenza dei paesi asiatici (Cina in testa), dal momento che non è semplice competere sul prezzo, è indirizzata verso la specializzazione in fasce alte e nicchie di prodotto, verso il miglioramento continuo della qualità e la progressiva personalizzazione del prodotto abbandonando le produzioni di massa. Per alcune imprese leader una macro-strategia da seguire per difendersi dalla concorrenza è quella di rendere identificabile la tracciabilità del prodotto. Mentre per la maggior parte delle imprese leader, nel prossimo futuro, sarà importante mantenere l’attività e la struttura produttiva a livello domestico, per alcune invece una via d’uscita è quella di abbandonare 117
progressivamente le fasi di lavorazione e trasferirle all’estero (soprattutto in paesi come la Cina, l’India, il Pakistan), poiché per il futuro si prevede un continuo incremento dei costi dei manufatti. Non mancano strategie rivolte alla ricerca di nuovi mercati internazionali (Australia, Russia, Canada, Cina) per la commercializzazione dei prodotti, apertura di nuovi show room, compartecipazione con altre imprese nazionali ed internazionali; per quanto riguarda l’organizzazione della distribuzione invece la maggior parte delle imprese prevede cambiamenti nei canali distributivi attraverso la presenza di agenti e strutture commerciali nei paesi di riferimento. Per molte imprese leader l’attività produttiva nel prossimo futuro sarà orientata principalmente nello stesso settore ma in segmenti produttivi diversi (ad esempio nell’aguglieria e nell’arredamento) puntando sulla ricerca di un migliore rapporto qualità/prezzo. Negli ultimi anni alcune imprese leader, soprattutto lanifici, hanno completato il controllo dell’intera filiera produttiva sia attraverso l’acquisizione di aziende terziste sia tramite la partecipazione delle stesse. Questa modalità ha permesso di proporre il prodotto finito direttamente alla clientela senza intermediari e migliorando il servizio. In termini di organizzazione aziendale le imprese leader sono intenzionate ad acquistare nuovi impianti e/o revisionare i macchinari, ad effettuare una revisione della struttura nelle sue funzioni, ad ampliare la rete di subfornitura, ad acquisire imprese che producono una tipologia di prodotto diversa. Dal lato dell’innovazione le strategie di gran parte delle imprese leader prevede l’introduzione di innovazioni di prodotto e di processo (quelle di processo nascono durante le fasi di lavorazione svolte internamente oppure demandate ai fornitori e questo tipo di innovazione determina il più delle volte anche innovazioni di prodotto), rinnovamento e restyling dei prodotti esistenti, ed inserimento di nuovi prodotti (nuovi tessuti) nel settore di appartenenza per fronteggiare le difficoltà legate sia al caro dollaro sia alla contrazione della domanda. Per gran parte delle imprese leader non sono in programma né alleanze e/o partnership con altre imprese al fine di proteggere la segretezza del processo produttivo, e nemmeno strategie di diversificazione. Solo in un caso emerge l’intenzione di procedere verso forme di alleanze e/o partnership con altre imprese, con l’obiettivo di sfruttare nuove tecnologie capaci di portare ad una diversificazione di prodotto. 118
Tutte le imprese leader intervistate ritengono che i tre fattori fondamentali su cui puntare per le strategie future siano: ricerca e innovazione di prodotto; prezzo; mantenimento del livello qualitativo medio-alto del prodotto. Inoltre, sarà importante riposizionare l’impresa al fine di produrre quantitativi di “eccellenza” che il mercato riuscirà ad assorbire, migliorare le capacità di progettazione incrementando i controlli sulla qualità dei prodotti e generare nuove idee da proporre sul mercato (quella che alcuni imprenditori intervistati definiscono “strategia di sopravvivenza”).
119
3.3
UNA FOTOGRAFIA DEL L’INDAGINE CAMPIONARIA
DISTRETTO
TESSILE
PRATESE:
3.3.1 I tratti essenziali Il quadro che emerge dal campione è quello di un distretto ben lontano dal mercato, in cui le relazioni con l’acquirente finale sono a volte mediate da più fasi della catena del valore e dove l’attenzione alla funzione distributiva è di la da venire, ed il brand è un elemento sentito e vissuto da pochi. Si ha di fronte un distretto in cui l’innovazione, soprattutto nei processi produttivi, è una inclinazione di una minoranza di imprese, e sulla cui efficacia è lecito dubitare in quanto sembra essere legata ai dettami della clientela, ma anche perché negli anni non si è tradotta in alcuna forma di tutela. Il risultato è un distretto in cui nell’ultimo biennio, quindi tra il 2002 ed 2004, quasi la metà delle aziende dichiara un fatturato in diminuzione. Ripercorrendo i connotati principali del distretto, la relazione col mercato appare fortemente mediata da altri soggetti per il 60% delle aziende del campione, che realizzano lavorazioni contoterzi o prodotti semilavorati. Circa la metà di queste (44,9%) si trova ad essere fornitore almeno di secondo livello, operando quindi con committenti che a loro volta svolgono fasi intermedie. Tra quanti affermano di operare sul mercato finale, prevale poi la componente unbranded (20,7%).
120
Fig. 20 Per chi produce l’azienda Mercato finale con marchio proprio 19,3% Altre imprese industriali (*)
Mercato finale ma
59,9%
senza marchio proprio 20,7%
(*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati
Fig. 21 I destinatari della produzione (per chi non vende sul mercato finale)
Imprese industriali che
Grandi imprese di marchio 13,0%
svolgono lavorazioni intermedie 44,9% Imprese industriali che vendono sul mercato finale 42,1%
(*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati
121
Il brand, complessivamente, resta un elemento ancora alieno alle logiche operative delle aziende del distretto, direttamente o indirettamente. Direttamente perché dichiarato da meno di 2 imprese su 10, indirettamente perché tra quanti non si rapportano direttamente col mercato, solo per il 7,6% lavora a diretto contatto per grandi imprese di marchio74. Complessivamente si tratta quindi di un 26,9% del campione, eccezion fatta per quelle aziende che trovandosi nelle fasi più a monte della filiera non conoscono i destinatari finali della produzione e si trovano a sottostare a logiche che non riconducono al dualismo branded/unbranded. Il controllo della distribuzione appare un fatto acquisito per una parte minoritaria del distretto (35,7%), distribuzione che in generale è dominata dalla figura dell’agente (41% dei casi). Per le aziende del distretto, poi, il cliente svolge un ruolo decisivo. In primo luogo perché nel 45,6% dei casi realizza il catalogo o comunque impone il prodotto o la lavorazione. In secondo luogo perché il distretto lavora quasi sempre su ordine (90,8%). In terzo luogo perché rappresenta la fonte del cambiamento, di una mutazione che però sembra indebolire molte aziende del distretto. Nell’ultimo biennio le richieste della clientela impongono tempi di consegna ridotti (per il 40,4% delle aziende), con pagamenti più dilazionati (42,4%), costi più alti (44,4%) e una qualità maggiore (50,9%), pretese che portano ad una diffusa compressione dei margini (74,2% dei casi). Le imprese sembrano comunque aver interiorizzato, nella maggior parte dei casi, la necessità di non legarsi a logiche di mono-committenza. Il primo cliente pesa meno di un terzo del fatturato per quasi 6 aziende su 10 (59,1%) ed i clienti stabili sono di rado meno di quattro (23,9% dei casi).
74
Dato che corrisponde al 13% del sottogruppo che non vende direttamente sul mercato finale. 122
Fig. 22 Gli effetti della clientela sull’azienda 100% 90% 80%
29,6 47,7
22,5 3,3
70%
45,8
52,5 64,2
50%
11,9
44,4
40%
74,2
30% 20%
65,2
78,9
60%
42,4
23,6
40,4
9,2
25,9
10%
5,1
0% Tempi di consegna
Costi
Margine di profitto
Tempi di
50,9 27,1
11,9
12,3
7,6
Scambio
Professio-
Influenza
Qualità
nalità
cliente
richiesta
pagamento conoscenze
3,3
manodopera
Diminuzione
Aumento
Stabilità
Il distretto resta legato al distretto. I principali clienti si trovano infatti all’interno del suo perimetro, o presentano comunque una presenza locale per il 43,8% delle aziende del campione75. Nel distretto si trovano i maggiori concorrenti (57,8% dei casi)76, ma nel distretto si trovano anche i fornitori (45,2%), anche se le relazioni di approvvigionamento nazionali appaiono oramai di indubbia rilevanza per il 34,2% delle aziende77.
75
L’esportazione è un pratica ancora minoritaria, ma non marginale (39,7% dei casi), tipicamente destinata ai mercati dell’Area euro (65,8%). È interessante notare però come un 17,1% di aziende si relazioni con l’Europa centrale, area di grande rilevanza per i recenti modelli produttivi del settore tessile-abbigliamento. 76 La concorrenza estera è percepita da non più del 17,9% delle aziende intervistate. 77 Mentre sono meno del 10% quelli che si rivolgono a fornitori esteri. 123
Fig. 23 Utilizzo di fornitori per parti essenziali del prodotto Italia (escl. regione)
Estero 9,6%
34,2%
Regione (escl. provincia) 11,0
Distretto/ provincia 45,2%
Fig. 24 Localizzazione della clientela
Estero 13,9% Distretto/ provincia
Italia (escl. regione)
43,8%
28,8%
Regione (escl. provincia) 13,6%
Per le imprese del campione la concorrenza si gioca sul prezzo (60,5% dei casi) o tuttalpiù sulla qualità delle lavorazioni (12,4%), restando ancora 124
lontana dagli elementi immateriali che sembrano condizionare sempre di più il settore, come l’immagine, l’estetica; così come sembrano restare accessori i servizi logistici che le richieste dei clienti comunque sembrano imporre in maniera crescente. Questo si rispecchia in una struttura organizzativa in cui la progettazione manca in quasi 40 aziende su 100 (49,1%), il commerciale nel 27,4% dei casi, l’assistenza post vendita nel 42,5%. In un tessuto composto prevalentemente da micro e piccole imprese78, le diverse funzioni necessariamente non trovano aree organizzative formalizzate e la stessa persona spesso svolge quindi più ruoli. Tantopiù che le forme di “connessione” esterna sono limitate a pochi casi. Le imprese che fanno parte di gruppi sono infatti l’11,4% del campione e una percentuale poco più elevata caratterizza la partecipazione a consorzi (18%), restituendo quindi l’immagine di un distretto connotato da un grande individualismo imprenditoriale. L’individualismo caratterizza anche i processi innovativi, svolti quasi sempre “in solitudine” dagli imprenditori, almeno da quel 41,6% che ha dichiarato di avere introdotto prodotti tecnologicamente nuovi o migliorati; o da quel 36,4% che ha rinnovato i processi di produzione. Nonostante gli impulsi al cambiamento appaiano fortemente connessi ad elementi esterni, come i clienti, dalla collaborazione con altre aziende viene un’innovazione da meno di due casi su 10. Si tratta quasi sempre di innovazioni che non trovano una coerente tutela. Solo il 5,3% delle aziende afferma infatti di avere almeno un brevetto all’attivo alla fine del 2004, e nell’ultimo biennio non è stata adottata pressoché alcuna forma di protezione. Ma anche la qualità, tanto esaltata, sia come fattore imposto dai clienti sia come tratto rilevante della competizione di settore, non trova una corrispondente formalizzazione. Le aziende certificate o che hanno avviato le procedure per certificarsi non superano un modesto 7,6% del campione. La prospettiva che si apre per i prossimi due-tre anni non sembra indicare cambiamenti sostanziali. Per il futuro, le strategie prioritarie denotano una ampia incertezza sulla strada da percorrere che dà corpo ad un atteggiamento conservativo, come la protezione delle quote di 78
Il campione rispecchia questa tipicità, risultando composto nel 56% dei casi da aziende con meno di 9 addetti, e rappresentato solo nel 5% dei casi da aziende con più di 50 addetti. 125
mercato (36,5% dei casi), e in percorsi di breve respiro, come la riduzione dei costi (12,2%). Fig. 25 I principali obiettivi (valori percentuali) 40,0
36,5
35,0 30,0 25,0 20,0 15,0
12,2 9,3
10,0
8,1
7,0
5,0 0,0 Proteggere/aumentare Ridurre costi quote di mercato
Ampliare
Concentrarsi prodotto Diversificare
gamma/campionario
di punta
attività
Anche nel prossimo futuro, rimane minoritaria l’attenzione verso la fase distributiva, per la quale è il 23% dei casi a dichiarare l’intenzione di potenziarla o acquisirne il controllo, sostanzialmente assumendo degli agenti (22,5%). Così come appare modesta l’attenzione alla internazionalizzazione della filiera. Diversamente da altri poli della moda italiani, quello di Prato appare poco sensibile alle logiche delocalizzative, che nei prossimi 24-36 mesi dovrebbero interessare solo il 4,4% delle aziende del campione. Stabile anche la mappa della fornitura, che solo per una minima parte coinvolgerà in maniera crescente imprese estere (15,5%).
3.3.2 Un’analisi tipologica L’analisi tipologica raccoglie i risultati emersi dai diversi approcci di clustering descritti nella parte metodologica del rapporto. Si articolerà, pertanto, secondo le quattro formulazioni di clustering, a cui farà seguito una ipotesi di sintesi ragionata sui caratteri salienti che trasversalmente si ritrovano nella maggioranza dei raggruppamenti. 126
Si tratta di una lettura del campione pratese, visto da diversi prospettive di analisi, riconducibili a quelli che sono i fattori chiave attorno ai quali ruota la capacità competitiva delle aziende del settore. Rappresenta perciò di un esercizio di analisi che evidenzia quelli che sono gli elementi virtuosi, partendo dai gruppi che hanno avuto performance positive, emergendo da un tessuto produttivo in fase di ripiegamento di fronte alle difficoltà della congiuntura.
Performance All’interno di un sistema distrettuale complessivamente in difficoltà, l’indagine tipologica individua un insieme di aziende che nell’ultimo biennio hanno saputo fronteggiare le pressioni competitive, mettendo a segno performance positive. Costituiscono elementi positivamente legati alla crescita del fatturato:
Innanzitutto la presenza di una rete distributiva propria, presente in circa 40% delle aziende in ciascun cluster dinamico.
la posizione rispetto al mercato non è però univoca. Si tratta di soggetti ampiamente impegnati in produzione di semilavorati o in lavorazioni contoterzi (oltre la metà dei casi), dove i più piccoli si collocano più spesso a ridosso di imprese che vendono per il mercato finale, senza un marchio proprio (54,7%). Il secondo cluster si connota invece per la più elevata presenza di fornitori di secondo livello e oltre (53,2%).
Neppure la proiezione internazionale, e quindi la capacità operare su mercati che in questi anni sono stati senza dubbio più dinamici di quello domestico, è un elemento di dinamicità univoco. È infatti significativo solo per il gruppo degli operatori più strutturati, posizionati però nelle fasi più monte della filiera, grazie anche ad un maggiore inserimento in logiche di gruppo (23,1% dei casi).
Una elemento interessante che emerge da questo approccio di clustering è che nel pratese avere una dimensione rilevante non costituisce un pattern discriminante. Dei due cluster che denotano tendenze espansive in termini di fatturato, il primo è composto esclusivamente da microaziende (meno di 9 addetti), il secondo da piccole aziende (10-49 addetti). 127
È inoltre interessate constatare anche come i soggetti che teoricamente avrebbero dovuto registrare performance migliori, perché presenti direttamente sul mercato o perché collegati alle grandi imprese di marchio (che mediamente hanno retto bene la crisi del settore), versino in una situazione di maggiore difficoltà. Forse a segnalare l’esistenza di segmenti unbranded molto più redditizi per una filiera, probabilmente anche grazie a margini di informalità superiori rispetto a quanto non sia consentito nelle reti di fornitura dei grandi player di marca.
Mercato Coerentemente con il quadro emerso rispetto alle performance, non è detto che la presenza sul mercato con un marchio proprio sia la via obbligata per avere risultati positivi. Rispetto al posizionamento nella catena del valore, poi non emerge una netta contrapposizione di comportamenti tra soggetti che stanno anche in punti distanti della filiera. In un stesso cluster sono presenti infatti aziende posizionate su fasi a monte e valle della catena del valore. Si conferma però premiante il minore coinvolgimento, almeno diretto, con i grandi brand della moda.
Possedere una rete distributiva dedicata costituisce senza dubbio un fattore distintivo, come testimonia l’approccio di clustering “mercatistico”. All’interno del cluster in cui si concentrano le imprese dotate di rete distributiva propria, la percentuale di casi il cui fatturato è aumentato è quasi doppia (30,9% dei casi contro il 16,4% dell’altro cluster).
La clientela principale è tipicamente nazionale (43,1%), diversamente dall’altro cluster, caratterizzato dalla presenza prevalente di fornitori intermedi con un orizzonte locale (57,3%).
La proiezione internazionale è molto più accentuata nel cluster maggiormente impegnato sul mercato finale (71,8% dei casi rispetto al 20,8%).
La maggiore vicinanza al mercato si riflettere anche sulla struttura organizzativa, che nel cluster a mercato registra una maggiore presenza di funzioni quali il commerciale (81,2%), i servizi post vendita (70,2%), ma anche la ricerca e sviluppo (77,3%) e il design (67,8%). Come già rimarcato, non si tratta di aree organizzative formalizzate, quanto piuttosto di funzioni svolte, quindi spesso riconducibili ad una sola figura. 128
È altrettanto rivelatore della attenzione al mercato, il fatto che in termini di competenze, quelle commerciali siano ritenute maggiormente critiche (29,3% dei casi di cluster), a testimoniare una situazione in divenire, dove cioè molte imprese si stanno riposizionando, percependo però di non avere le conoscenze sufficienti.
Questo sembra prefigurare anche una maggiore inclinazione, in prospettiva per i prossimi 2-3 anni a potenziare o acquisire la funzione distributiva (41,5% dei casi entro gruppo).
Merita infine una considerazione particolare la propensione ad innovare. Le aziende del cluster più vicino al mercato mostrano senza dubbio una inclinazione maggiore, soprattutto nell’introduzione di prodotti tecnologicamente migliorati (52,5%), ma non sembra comunque emergere una situazione particolarmente idonea alle necessità. Le innovazioni prodotte non hanno infatti generato alcun tipo di tutela a riprova che probabilmente si tratta di elementi incrementali o non percepiti come sufficientemente distintivi, tali da richiedere investimenti difensivi.
Innovazione L’approccio innovativo evidenzia due gruppi potenzialmente interessanti, con caratteristiche non sempre coincidenti. Il primo raccoglie tutte le imprese che hanno introdotto migliorie nel processo produttivo, e che nel l’83,8% dei casi hanno anche sviluppato prodotti innovativi. Il secondo gruppo è quello composto da aziende che hanno realizzato solo migliorie tecniche di prodotto. I principali fattori legati alla propensione innovativa possono essere sintetizzati come nei punti a seguire.
Le aziende più innovative non si connotano per una dimensione superiore alle altre tipologie: gli operatori con oltre 50 addetti rappresentano il 4,5% del gruppo, dove prevalgono le microaziende (50%). Più modesta la dimensione degli innovatori di prodotto in cui le microaziende (0-9 addetti) sono il 66,1%, con una articolazione dimensionale più vicina ai non innovatori.
In termini di performance sono le aziende che implementano innovazioni anche processi migliorati a distinguersi favorevolmente (32,3% dei casi), mentre l’innovazione di prodotto non sembra da sola contribuire in maniera significativa.
129
Sono le aziende con processi innovativi, oltre che con prodotti rinnovati, quelle che più spesso controllano una rete distributiva (43,5%).
Questo anche grazie ad una più presente connotazione di gruppo (16,9%).
Essendo gli innovatori di prodotto quelli più presenti sul mercato finale (58,9% dei casi), trova conferma, una volta di più, che il posizionamento a valle non ha implicazioni di performance significative. È vero però che la vicinanza al mercato avviene in condizioni spesso non ottimali, visto che nel 37,5% della aziende lamenta competenze commerciali insufficienti.
Tra gli effetti dell’innovazione si segnala anche la crescita delle competenze interne, ma solo nelle aziende che innovano a “360° gradi”, a conferma, probabilmente, del modesto spessore dell’innovazione nel cluster degli innovatori di prodotto.
Sono gli innovatori, infine, che nel loro insieme si rivolgono più spesso a fornitori esterni per la realizzazione parti essenziali (oltre il 50% dei casi in entrambi i gruppi).
Struttura L’analisi per struttura conferma che la dimensione aziendale interna da sola non è foriera di innovatività e di crescita. Utilizzando l’accezione di dimensione di impresa più ampia, ovvero considerando le sue relazioni esterne il quadro muta.
Appare del tutto evidente infatti che la partecipazione a gruppi si associa in maniera forte a performance positive di fatturato. Nel cluster dove si concentrano tutte le partecipanti di gruppi di imprese il fatturato cresce (42,9% dei casi). Legame che non si rileva invece nel cluster dei partecipanti a consorzi.
Le relazioni di gruppo si accompagnano ad un diverso approccio col business specifico, che si sostanzia in una proiezione internazionale più marcata (59,2% dei casi).
Le relazioni di gruppo sono associate anche ad maggiore specializzazione funzionale, testimoniata da un minore coinvolgimento nella produzione diretta, esternalizzata dal 32,7% delle aziende del cluster, risultando più spiccato il coinvolgimento
130
diretto in fasi a maggiore contenuto di conoscenza, come la ricerca e sviluppo (83,7%).
Relazioni di filiera più intense. Il 54,2% delle aziende di gruppo fa infatti ricorso a fornitori per realizzare parte essenziali del prodotto.
La dimensione del “cluster dei gruppi” in sé piccola, caratterizzata dalla presenza di aziende con 10-49 addetti (66,5%)79 che fatturano tra i 500 mila e il milione e mezzo di euro (59,2% dei casi).
La forma di innovazione caratterizzante è quella di processo (51% dei casi).
Anche l’analisi dimensionale conferma una connessione positiva, pure in prospettiva futura, con il potenziamento o la costruzione di una rete distributiva propria. Il 38,8% delle aziende presenti nel cluster “dei gruppi” manifesta infatti questa intenzione nei prossimi 2-3 anni.
Elementi trasversali Le quattro cluster analysis inquadrano prospettive diverse di uno stesso insieme. L’approccio prospettico è risultato strumentale anche per superare il notevole grado di omogeneità del sistema. È quindi risultato utile per identificare le connotazioni specifiche e far emergere aspetti che nell’analisi descrittiva apparivano meno evidenti. Volendo ritrarre un quadro d’insieme è forse necessario fare un esercizio di sintesi, tratteggiando solo quegli elementi che connotano trasversalmente il distretto pratese80. Ne deriva che i principali fattori virtuosi sono:
79
Le microimprese rappresentano poi un altro 28,6% del gruppo. A tal fine si è ritenuto di utilizzare tutti quei fattori caratteristici presenti tre approcci o più.
80
131
la presenza di rete distributiva propria
la proiezione internazionale
la presenza di funzioni di R&D
l’utilizzo di fornitori
la partecipazione a gruppi
L’innovazione di processo.
132
CAPITOLO 4. IL DISTRETTO CONCIARIO DI SANTA CROCE SULL’ARNO
4.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO 4.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale Il commercio mondiale di cuoio e prodotti in cuoio ammontava a 93.605 milioni di dollari nel 2003, ma nonostante l’impennata di fine decennio ha visto ridotta la sua quota rispetto agli scambi complessivi dal 1,6% del 1997 al 1,3% di quell’anno. La Cina è il primo esportatore mondiale. Il dato è assolutamente impressionante se si considera che da solo questo paese genera quasi un terzo degli scambi mondiali (31,0% nel 2003). Rispetto ad altri settori sensibili alla competizione cinese, come il tessile-abbigliamento, la situazione appare qui essersi stabilizzata nel suo complesso su un “equilibrio geografico” che dal 1997 vede le posizioni relative delle singole aree pressoché immutate. Il colosso produttivo orientale è oramai leader assoluto del settore, ma la sua quota relativa non appare progredire negli anni, anzi è semmai l’Unione Europea, secondo polo esportativo mondiale, a guadagnare qualche lunghezza. Questo anche per una ristrutturazione di un settore che ha saputo decentrare le attività più sensibili al fattore prezzo. Un fenomeno recente vede infatti spostare parte delle attività europee nelle aree più orientali del continente, fattore che ha portato ad un avanzamento del ruolo di quei paesi nella scena mondiale. In Asia orientale sono piuttosto sono altri i sistemi esportatori di cuoio e prodotti del cuoio a progredire nello scenario di settore. Vietnam e Hong Kong guadagnano quote di mercato, soprattutto per il primo (+7 punti percentuali dal 1997 al 2003), rafforzando la vocazione dell’area. A livello europeo il cuoio fa perno sull'Italia, secondo produttore mondiale dopo la Cina, Francia, Germania e Spagna, detengono insieme una quota delle esportazioni mondiali più modesta: pari al 10,6% nel 2003. Il nostro paese da solo detiene nello stesso anno una quota del 14,9%. 133
Fig. 1 Andamento mondiale del commercio di cuoio e prodotti in cuoio (1995=100) 160 150 140 130 120 110 100 90 80 1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Totale
Preparazione e concia del cuoio
Fabbricazione di articoli (*)
Fabbricazione di calzature
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria Fonte: elaborazioni su dati
Fig. 2 Quote di mercato dei principali poli produttivi del cuoio e dei prodotti in cuoio 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Unione Europea
Europa centro
America centro
orientale
meridionale
1997
2000
Asia orientale
2003
Fonte: elaborazioni su dati
134
L'Italia resta quindi di gran lunga il principale esportatore europeo del settore, anche se la sua presenza negli scambi mondiali appare a rischio. Il rallentamento del ciclo economico sembra avere avuto un peso rilevante sull’erosione delle quote, riportandole sui valori precedenti la fase espansiva, ma colpendo anche in egual misura le importazioni. Analizzando la situazione nelle singole produzioni è possibile notare come negli ultimi anni difficoltà abbiano colto trasversalmente il cuoio e le calzature, ma non la pelletteria. Nelle materie prime e nei semilavorati, la presenza italiana nel mondo iniziato a scendere dal 2001 tornando su livelli vicini a quelli del 1997, con una quota del 19,8% del 2003. Terminata la spinta del ciclo economico internazionale, il settore sembra quindi ritornare su valori medi più contenuti. Ciò non toglie che oltre a fattori congiunturali stiano intervenendo altri elementi. Per produzioni nelle quali il prezzo riveste un ruolo fondamentale in termini di competitività, la rivalutazione dell’euro rispetto alle principali divise (dollaro, yen e yuan) rappresenta senza dubbio un elemento di freno, testimoniata anche dal fatto che nell’anno in cui inizia la corsa della moneta europea si materializza la flessione più evidente delle vendite estere (-16,2% tra il 2002 e il 2003). Forse più critica la situazione per prodotti finiti, come le calzature. Il settore registra infatti una perdita continua di quote sul commercio, chiudendo l’ultimo periodo con una incidenza del 15,2%, 1,2 punti in meno rispetto a sette anni prima. Il dato sembra rispecchiare una crisi del modello produttivo tradizionale del calzaturiero, evidenziando una crescente inadeguatezza del nostro “Sistema paese” a concentrare quelle fasi produttive che hanno nel prezzo un elemento di concorrenza forte, e quelle produzioni di fascia media e bassa. È interessante notare infatti come contestualmente al calo della incidenza delle nostre esportazioni nel mondo, cresca quello della Romania, Paese in cui un larga parte del nostro settore calzaturiero ha rilocalizzato attività di trasformazione. Dall’Europa centro-orientale proviene ormai stabilmente la metà delle importazioni dell'Italia, fomentate proprio dalle scelte di delocalizzazione dei produttori italiani. L’Italia acquista in media il 24% circa dei prodotti esportati dalla Romania e questa percentuale sale al 77% per i soli prodotti del comparto calzaturiero. L’intensificarsi dei rapporti commerciali tra imprese italiane e loro filiali estere e i dati sulla presenza italiana all’estero nel comparto del cuoio, delle calzature e della pelletteria (la maggior parte degli investimenti italiani proviene 135
naturalmente dalle regioni a più spiccata specializzazione settoriale81) contribuiscono a spiegare la tendenziale caduta delle quote italiane. È sintomatico inoltre che la quota rumena guadagni 1,2 punti percentuali, tanti quanti sono stati persi dall’Italia negli stessi anni. Per quanto riguarda in particolare il comparto calzaturiero, in realtà, è aumentata negli anni più recenti l’importanza relativa dei prodotti italiani nei paesi dell’area non euro; sembrerebbe che il Made in Italy di fascia alta sia ancora meno esposto rispetto concorrenti europei al forte apprezzamento della moneta europea nei confronti del dollaro. Sono invece in flessione i prodotti a valore medio unitario più basso, cioè quei segmenti di mercato dove l’Italia subisce la concorrenza pressante dei paesi emergenti e che risultano più esposti alle variazioni di competitività legate agli andamenti dei tassi di cambio. Questi prodotti stanno progressivamente aumentando la propria importanza relativa sulla domanda complessiva, a seguito dell’affacciarsi nel mercato mondiale di ampie fasce di consumatori a reddito più basso, ma anche di un cambiamento delle abitudini d’acquisito nei paesi industrializzati. A ben vedere l’impatto dei produttori extra europei e delle loro produzioni sembra essere quindi rafforzato dal cambiamento della domanda nei mercati più tradizionali. Poco sposta il fatto che anche il valore dei beni importati sia sceso negli ultimi anni. È facile infatti constatare che tale evoluzione deriva dal sensibile declino dei valori medi unitari applicati dai Paesi di approvvigionamento; e favorita dell’apprezzamento dell’euro sui costi delle materie prime di base, provenienti per la maggior parte dai paesi extra-UE82. Il risultato però non sembra avere rilanciato il settore nel suo complesso, al massimo gli ha concesso un po’ di respiro. Va perciò seguita con attenzione la dinamica dei prezzi unitari: da una parte può essere il segnale di un spostamento su fasce più alte di mercato, ma potrebbe anche essere il risultato della difficoltà di riformulare modelli organizzativi oramai superati. Questa situazione appare maggiormente critica per i due settori più esposti alla concorrenza orientale, dove cioè le quote relative hanno subito maggiori contraccolpi: il cuoio e le calzature. Il primo però sembra comportarsi come una commodity, seguendo una contrazione dei prezzi unitari coerente con i minori costi dei competitors. 81
In testa l’area nord-orientale dell’Italia con 81 operazioni, seguita della regioni del centro (35) su un totale settoriale di 149 aziende controllate da italiane alla fine del 2003 (fonte: Ice). 82 Istat-Ice, Rapporto ICE 2003-2004 (2004), L’Italia nell’economia internazionale. 136
Al contrario nella pelletteria e nelle calzature, a crescenti prezzi unitari delle esportazioni nazionali corrispondono contrazioni dei valori per i prodotti importati, portando ad un importante allargamento della forbice. Il prezzo degli articoli esportati è passato in media dal 49 euro al chilo, pari a 5,3 volte il valore di quelli importati, a 54 euro portando così il divario a 7 volte. Identica la dinamica nelle calzature per il quali il prezzo è salito da 17 a 21 euro in otto anni, mentre quello dei prodotti provenenti dall’estero è sceso nello stesso periodo da 13,8 a 12,9 euro. Allo stato attuale il mantenimento della quota di esportazioni in settori a più alto valore aggiunto, comunque, non consente la tenuta di posizioni nell’intero comparto. Complessivamente, le esportazioni italiane del settore, nel 2003, hanno subito la riduzione in valore (-9%) più ampia tra quelle registrate nei comparti di specializzazione delle esportazioni italiane. Questo ha fatto sì che, pur in presenza di una diminuzione degli acquisti dall’estero, l’avanzo del settore si è ridotto per il secondo anno consecutivo (da 7,2 a 6,2 miliardi di euro), attestandosi sul valore più basso degli ultimi dieci anni. Qualche variazione è comunque avvenuta, testimoniata ad esempio dalla graduatoria dei mercati di sbocco dell'Italia. Nel 2003 la maggior parte delle esportazioni (17,6%) era diretta verso l'America; gli USA hanno così superato la Germania come principale destinazione per i prodotti del cuoio. Il mercato francese continua a seguire per importanza quello tedesco; seguito dalla Romania oggi il quarto partner commerciale dell’Italia.
137
1991
1994 1995 1996
Cuoio (esclusi indumenti)
1992 1993
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Totale
2001 2002 2003 2004e
Calzature
1999 2000
Articoli (*)
1997 1998
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria
50
100
150
200
250
300
350
400
Fig. 3 Andamento delle esportazioni italiane di cuoio e prodotti in cuoio (1991=100)
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
2000
2003
(*)
del cuoio 1997
Fabbricazione di articoli
Preparazione e concia
calzature
Fabbricazione di
Fig. 4 Quote di mercato italiane per prodotto
138
1997
2000
di articoli (*)
concia del
cuoio
Fabbricazione
P reparazione e
2003
Fonte: elaborazioni su dati Ice
2004e
di calzature
Fabbricazione
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria
0
10
20
30
40
50
60
Totale
Fig. 5 Andamento dei prezzi unitari delle esportazioni italiane di cuoio e prodotti in cuoio (euro/kg)
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1997
2000
di articoli (*)
concia del cuoio
Fabbricazione
P reparazione e
2003
2004e
di calzature
Fabbricazione
T otale
139
Fig. 6 Andamento dei prezzi unitari delle importazioni italiane di cuoio e prodotti in cuoio (euro/kg)
4.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore La filiera cuoio – pelli – calzature sta subendo dalla fine degli anni ottanta taluni cambiamenti strutturali esterni (e non meramente congiunturali e di tipo valutario). Sinteticamente si possono identificare diversi fattori. In primo luogo, la domanda di prodotti finali della filiera in oggetto (quali calzature e articoli di pelletteria) manifesta crescenti livelli di destrutturazione, con l’emergere rapido (e l’altrettanto celere declino) di segmenti e nicchie di mercato, anche se il settore conciario risente in misura decisamente minore di questi effetti (grazie alla minore varietà del prodotto intermedio realizzato). La prevedibilità qualitativa e quantitativa delle preferenze e dei gusti dei consumatori è divenuta, in tutti i principali mercati di sbocco, molto problematica, con un’incertezza elevata sui trend dei consumi anche nel breve periodo. Nuovi brand legati a nuovi stili di vita si affacciano sul mercato, riscuotendo successi elevati in termini di quote di mercato, e solo dopo pochi anni tramontano in modo irreversibile: si tratta di brand relativi soprattutto la prodotto finale, mentre per la conceria assumono rilevanza i brand collettivi. Per effetto di questa maggiore complessità nell’evoluzione dei mercati di consumo, le imprese hanno reagito amplificando i prodotti proposti nei loro campionari, con sforzi economici nella progettazione tecnica e stilistica molto consistenti in rapporto ai loro fatturati complessivi, per quanto riguarda sia il prodotto finale che le componenti in cuoio e pelle. In secondo luogo, nello scenario competitivo sono apparsi, con crescente intensità a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta nuovi competitors mondiali, sia sul mercato delle calzature che su quello della concia. La reazione delle imprese italiane all’arrivo di questi nuovi competitors internazionali è stata duplice. Da un lato, molte imprese della calzatura – in particolare quelle più strutturate sul piano organizzativo e di dimensioni maggiori – hanno intrapreso strategie di delocalizzazione produttiva di alcune fasi di lavorazione nei Paesi con un minore costo del lavoro e con una maggiore vicinanza geografica e culturale, quali quelli dell’Est Europeo. Queste azioni strategiche hanno contribuito a recuperi di competitività sui prezzi da parte delle imprese calzaturiere ma hanno impattato negativamente su alcuni comparti a 140
monte della filiera, soprattutto quelli di tipo labour intensive, quali i suolifici o i tomaifici, e molto meno sulle concerie. Altre imprese calzaturiere, invece, hanno ritenuto di riqualificare il proprio prodotto finale. Si è trattato di una strategia importante che ha comportato una significativa crescita degli investimenti in innovazione tecnologica, stilistica e di marketing (brand, pubblicità, canali di distribuzione selettiva, ecc.). Per quanto riguarda le concerie, tuttavia, un crowding out competitivo è determinato, più che dal costo del lavoro, da un diverso peso dei costi ambientali. In terzo luogo, la struttura di commercializzazione al dettaglio dei prodotti calzaturieri (e, più in generale, dei prodotti moda) è cambiata radicalmente perlomeno nei Paesi Occidentali. Il tradizionale piccolo negozio al dettaglio è stato sostituito da tipologie commerciali molto diverse, con l’arrivo di grandi magazzini, ipermercati e catene di franchising. La concentrazione economica nel retailing è stata molto rilevante, con insegne oramai mondiali (come “Bata”), che acquistano, commercializzano e, talvolta, progettano prodotti calzaturieri con propri brand per i propri punti di vendita. In questo quadro, il rapporto tra i produttori calzaturieri e le strutture di retailing è cambiato profondamente. In quarto luogo, la tradizionale tipologia di calzatura fondata su componenti legate alla lavorazione della pelle e del cuoio è stata affiancata da prodotti che incorporano materiali radicalmente diversi, quali i materiali plastici, la gomma e i tessuti. Questo tipo di innovazioni porta a definire filiere sostanzialmente diverse da quella tradizionale, attivando relazioni nuove con soggetti esterni al settore conciario. Infine, la filiera cuoio-pelli-calzature ha subito l’impatto di innovazioni tecnologiche settorialmente trasversali. Nuove tecnologie elettroniche di produzione manifatturiera (quali il taglio laser del pellame) si sono associate all’avvento di nuove tecnologie di progettazione dei prodotti (quali i sistemi CAD) e di comunicazione tra imprese (tramite l’utilizzo del web nel campo dell’e-commerce o dell’e-procurement). Questa nuova ondata tecnologica ha sottoposto le imprese a sforzi di investimento finanziario assai consistente, talvolta sulla scorta di schemi comportamentali emulativi che non sulla scia di complesse e razionali valutazioni di opportunità economica. La strategia “tecno-centrica” delle imprese è stata, dunque, in molti casi, insoddisfacente laddove non 141
accompagnata da un’adeguata crescita organizzativa e dimensionale e delle competenze scientifico-tecnologiche possedute.
4.1.3 Il ruolo del distretto conciario L'area di Santa Croce sull’Arno è altamente specializzata nella produzione del cuoio, delle pelli e delle calzature, che da sola nel 2001 genera nei comuni appartenenti al distretto circa il 79% del totale degli addetti manifatturieri e il 69% delle unità locali83. Non solo: nello stesso anno la produzione di cuoio del distretto rappresenta il 35% del sistema settoriale presente nel paese e genera il 25% dell’occupazione conciaria nazionale84. Pelle e cuoio da suola per calzature rappresentano circa il 70% della produzione complessiva della zona, la pelletteria il 20%, mentre il restante 10% è destinato ad abbigliamento, arredamento ed altre produzioni. Il distretto produce da solo oltre il 90% della produzione italiana del Vero Cuoio Italiano da suola e il 70% di quella della Unione Europea. Una panoramica del distretto evidenzia inoltre che l’insediamento calzaturiero pisano è il secondo della Toscana, con una produzione orientata principalmente alle scarpe da donna di fascia medio-alta e alta e di sandali85. A livello territoriale le attività produttive legate al cuoio caratterizzano in modo netto i Comuni di Santa Croce e San Miniato, dove le unità locali di questo tipo rappresentavano nel 2001 rispettivamente il 93% ed il 68% del totale del settore considerato. Le calzature costituiscono una peculiarità produttiva di Castelfranco di Sotto (comune in cui nel 2001 le unità locali di questo segmento rappresentavano il 64% del totale del settore), Santa Maria a Monte (il 90%), Montopoli (il 83%). Il Comune di Fucecchio ha invece una caratterizzazione produttiva più equilibrata: nel 2001 le unità locali del cuoio erano il 36% del totale, quelle pellettiere il 22%, le calzaturiere il 42% 86.
83
Istat, Censimenti Generali dell'Industria e dei Servizi, anni 1991, 1996, 2001. Il dato fa riferimento alle sole attività conciarie. Se si considerano anche la produzione di articoli in cuoio e di calzature, la rilevanza del distretto si riduce ad un peso del 7,6% e 7,9% rispettivamente per le unità locali e per l’occupazione. 85 Associazione Conciatori di Santa Croce sull'Arno, www.assoconciatori.com 86 Istat, Censimenti Generali dell'Industria e dei Servizi, anni 1991, 1996, 2001. 84
142
A complemento del distretto, nel corso degli anni, si sono affiancate via via attività direttamente o indirettamente collegate, quali prodotti chimici, macchine per conceria, servizi, manifatture dell'abbigliamento, dando origine ad un'altra importante fonte di occupazione87. Questa è una delle ragioni che ha portato negli anni ad un ridimensionamento, seppure modesto, del ruolo del distretto all’interno del sistema locale. Rispetto al tessuto manifatturiero dei comuni distrettuali il peso delle attività tipiche del distretto perde 3 punti percentuali, parallelamente ad una minore incidenza sul monte occupazionale (-2 punti percentuali rispetto al 1991)88. Al contempo si osserva però anche una arretramento del peso del distretto su scala nazionale, dove in dieci anni si perdono 1-2 punti percentuali. A questa evoluzione ha senza dubbio contribuito la contrazione del sistema calzaturiero, che in dieci anni perde poco più di 40 aziende (-5,6%) ma circa 900 addetti; più di 1 addetto su 10 operanti nel settore nel 1991 (-11,4%). Così che la tenuta del distretto risulta legata alle attività conciarie che, nonostante le difficoltà della seconda parte della decade (-438 addetti), negli anni novanta continuano ad incrementare lo spessore dimensionale del distretto (+53 unità locali; +235 addetti). La ricomposizione interna vede perciò progredire l’anima conciaria rispetto a quella calzaturiera. La rimodulazione del mix produttivo del distretto non sembra però accompagnarsi a sostanziali mutamenti nella struttura d’impresa. A livello aggregato è vero infatti che la dimensione media delle aziende distrettuali resta modesta, andando addirittura verso un ridimensionamento della sua base occupazionale. Il numero medio di addetti per unità produttiva scende in dieci anni del 3% circa, fino agli 8,8 addetti nel 2001. Sebbene resti lievemente al di sopra della media nazionale (8,5 addetti per unità produttiva), il dato medio nasconde due andamenti opposti, quello della pelletteria, dove il numero medio di addetti per unità locale è aumentato da 4 a 5,3 tra il 1991 e il 2001, e quello negativo degli altri due comparti, passati rispettivamente da 9,1 addetti a 8,8 (cuoio) e da 10,1 a 9,5 (calzature).
87
Alcune di queste attività infatti rappresentano realtà importanti nel contesto nazionale, seppure all’interno di nicchie di mercato. Il settore delle macchine per conceria presente nel distretto rappresenta il 30% della produzione nazionale. 88 Istat, Censimenti Generali dell'Industria e dei Servizi, anni 1991, 1996, 2001. 143
Questa parcellizzazione della struttura di impresa è resa ancora più critica dal fatto che sono mancati sino ad ora processi di crescita esterni che in qualche modo sopperissero ai limiti della piccola dimensione. I gruppi di aziende, ad esempio, sono una minoranza, anche se i 10 più importanti rappresentano il 40-50% della produzione totale del distretto89. Le fusioni e acquisizioni non hanno rappresentato di certo una strategia rilevante, visto che nell’intera regione, in quasi vent’anni, non si sono registrate più di 17 operazioni90. Alla fine del 2003 poi le imprese toscane che avevano realizzato investimenti diretti all’estero non superavano le 25 unità, dieci delle quali orientate all’area centroeuropea. Risultano invece diffuse forme di relazionali meno costrittive, come i consorzi, oramai presenti nel distretto a vario titolo e in svariati campi. A Santa Croce sono presenti infatti Consorzi Export, che svolgono quindi un’attività di servizi specializzati alle imprese, funzionalmente allo sviluppo della presenza sui mercati esteri; ma anche Consorzi di Promozione (Vero Cuoio Italiano e Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale), attivi nella diffusione dei marchi di qualità, e nella promozione dell’immagine dei prodotti e delle aziende produttrici. Un più recente progetto prevede la valorizzazione della produzione conciaria locale con l’istituzione del marchio comune: “Pelle di Toscana”. Da tempo, poi, una questione importante per il distretto è quella ambientale; esternalità, l’ambiente, che ha portato le concerie attraverso le loro associazioni di categoria - alla costruzione di impianti di depurazione centralizzati, alla realizzazione di aree industriali, al recupero dei sottoprodotti di lavorazione, ed al riutilizzo dei fanghi reflui della depurazione; dando vita ad una articolata organizzazione di consorzi ad hoc91.
89
Associazione Conciatori di Santa Croce sull'Arno, www.assoconciatori.com Fonte: Banca dati M&A Nomisma, dati aggiornati a fine 2001. 91 Si tratta dei Consorzi di depurazione, il Consorzio Aquarno, il Consorzio Cuoiodepur, il Consorzio Recupero Cromo, l’Ecoespanso, il Consorzio Impianti Smaltimento, il Consorzio S.G.S., e i Consorzi di Urbanizzazione. 90
144
50%
60%
70%
80%
2001
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria; ITA = media nazionale, SC = media distretto Fonte: elaborazione su dati Censimento Istat 2001
Fabbricazione di calzature Fabbricazione di articoli (*) Preparazione e concia del cuoio
1996
0%
1991
10%
20%
0%
50,5%
10%
20%
50,4%
30%
53,7%
6,6%
39,7%
40%
7,9%
41,6%
30%
7,9%
41,7%
90%
100%
1991
50,3%
46,3%
1996
52,1%
3,5%
Fabbricazione di calzature Fabbricazione di articoli (*) Preparazione e concia del cuoio
3,5%
44,4%
2001
53,6%
42,5%
Fig. 8 Come cambia la composizione del distretto conciario di Santa Croce: addetti (totale = 100)
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Fig. 7 Come cambia la composizione del distretto conciario di Santa Croce: unità locali (totale = 100)
145
4,0%
4,9
1991
2001
1991
articoli (*)
S.C.
4,0
5,3
Fabbricazione di
ITA
5,8
P reparazione e
S.C.
9,1 8,8
concia del cuoio
ITA
11,5 11,2
S.C.
9,5
2001
calzature
Fabbricazione di
ITA
9,9 9,9 10,1
S.C.
TOTALE
ITA
8,8 8,5 9,1 8,8
0
5
10
15
20
25
30
centroorientale
Europa
Unione Europea
3
Fonte: elaborazione su dati Censimento Istat 2001
10
europei
Altri paesi
1
settentr.
Africa
4
merid.
centrale e
America
2
centrale
Asia
2
orientale
Asia
3
Fig. 10 Imprese toscane con partecipazioni estere (numero)
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria; ITA = media nazionale, SC = media distretto
0,00
2,00
4,00
6,00
8,00
10,00
12,00
Fig. 9 Come cambia la dimensione media delle aziende del distretto conciario di Santa Croce: unità locali (numero addetti)
146
Totale
25
Nel corso degli anni novanta si è quindi osservata una trasformazione del distretto, che non ne ha stravolto le caratteristiche e che ad oggi non sembra avere messo il sistema, nel suo complesso, nella capacità di affrontare le nuove espressioni della competizione. Il mutamento è stato frenato da riscontri di mercato positivi, manifestatisi durante il periodo attraverso un progressivo aumento della produzione92, seppur in presenza di diversi momenti congiunturali. Da quasi tre anni nel distretto si moltiplicano però i segnali di crisi, in linea peraltro con l'andamento nazionale del settore del cuoio, della pelletteria e delle calzature. Nel 2003 la produzione a livello provinciale è diminuita del 14,5%, il fatturato e le esportazioni hanno segnato un calo rispettivamente del 15,0% e del 15,1%93. In relazione al commercio estero la situazione appare anche più debole rispetto al quadro nazionale, ad eccezione che nella pelletteria. Sono infatti gli altri poli conciari nazionali a sostenere le esportazioni del Made in Italy che, secondo le stime più recenti, crescono di quasi il 36% rispetto al 1997. A Santa Croce si materializza invece un caduta del valore ceduto all’estero che, dopo il picco del 2000, perde progressivamente entità, ritornando sui livelli del 1997, e tra i più bassi degli ultimi dieci anni94. In caduta anche il calzaturiero che, nonostante le stime di ripresa relative al 2004, perde quasi il 20% del valore delle produzioni dirette all’estero, in un quadro coerente con quello nazionale. Il dato storico si chiude quindi con un calo di circa l’8% dell’interscambio con l’estero delle imprese distrettuali, a fronte di una tenuta del sistema nazionale, che guadagna un modesto +3,9% in sette anni.
92
CCIAA di Pisa (2004), Relazione sull'andamento dell'economia pisana nel 2003. Ibidem. 94 Solo il 1998 con 118 milioni esportati ha segnato un momento più basso di quello attuale (fonte Ice). 93
147
TOTALE
2004e
Fonte: elaborazione su dati Ice
(*) da viaggio, da correggiaio, borse e selleria;
2000
0,0
0,0
indumenti)
20,0
80,0
100,0
20,0
Calzature
92,7 90,7
120,0
40,0
2003
81,5 64,1
109,3
127,5
140,0
160,0
40,0
Articoli (*)
96,1
143,7 139,5
60,0
Cuoio (esclusi
101,7 97,0
135,7
indumenti)
Cuoio (esclusi
134,1 135,9 131,1
2000
Articoli (*)
127,8 126,2 118,5
2003
2004e
Calzature
89,0 82,8
104,1
TOTALE
148
114,8 103,9 106,5
Fig. 12 Le esportazioni nazionali di pelle, cuoio e calzature (1997 = 100)
60,0
80,0
100,0
120,0
140,0
160,0
Fig. 11 Le esportazioni del distretto conciario di Santa Croce: unità locali (1997 = 100)
Relativamente ai flussi commerciali il 75% delle materie prime, pelli grezze o semilavorate, provengono dal macello europeo e dall’Est Europa, il 15% da quello nazionale e il 10% da altri mercati soprattutto dell'America del Nord e America Latina. Quest'ultima quota è in continuo aumento. Le esportazioni rappresentano il 40% del fatturato totale. Il 25% è riservato al mercato comunitario, il 25% a Russia ed altri mercati europei, e il 50% ai mercati extraeuropei con Hong Kong, Cina e USA ai primi posti. Negli ultimi anni, i consumi sono calati in tutto il Sud-Est asiatico, e in particolare ad Hong Kong dove era diretto il 20% dell'export del distretto. Risultano in calo anche Medio Oriente e Sudafrica, mentre hanno retto Stati Uniti e Inghilterra. A soffrire di più sono le aziende (soprattutto quelle piccole) specializzate nella lavorazione delle pelli, che denunciano cali produttivi. Va meglio per il comparto del cuoio da suola, meno legato alle tendenze della moda, e per i pellami conciati al vegetale, dove le contrazioni di produzione e fatturato si fermano al 3-4%. I gruppi più grandi e strutturati hanno retto meglio, riuscendo a diversificare le esportazioni (puntando su Stati Uniti, Est Europa e Nord Africa)95. Dal lato degli approvvigionamenti delle materie prime, infine, il distretto ha cercato di rispondere alle diverse disponibilità di produzione di pellame grezzo con una diversificazione dei mercati di approvvigionamento e con una maggiore selezione dei fornitori.
4.1.4 La storia recente e le peculiarità del distretto Il distretto di Santa Croce sull’Arno è percepito come elemento essenziale del settore, con un suo posizionamento consolidato. Esso garantisce prodotti innovativi in piccole serie, secondo le esigenze specifiche dell’industria calzaturiera italiana. Non vi è stata dunque diversificazione, mantenendosi il focus su calzature e pelletteria. Il distretto rimane inoltre caratterizzato dalla presenza di imprese capaci di garantire un elevato grado di flessibilità anche grazie alle produzioni conto terzi. Se guardiamo al numero di addetti, si tratta di imprese piccole. Bisogna però considerare che queste imprese sono spesso capital 95
Associazione Conciatori di Santa Croce sull'Arno, www.assoconciatori.com 149
intensive: dunque con “grande dimensione” in termini di capitali investiti e di fatturato e basso numero di addetti. Inoltre, riguardo alla dimensione, a Santa Croce è andata consolidandosi un discreto livello di gruppificazione (poche famiglie imprenditoriali che gestiscono gruppi di imprese specializzate nei diversi stadi della filiera). In sintesi, le imprese sono piuttosto ben strutturate, ben organizzate, dotate di buone tecnologie rispetto a quanto riferibile ad altri distretti di altri settori. Le concerie producono pelle e cuoi e quindi due componenti fondamentali per le industrie calzaturiere e della pelletteria anche se ci sono tentativi in atto, per quanto non particolarmente visibili, di diversificazione dei mercati/clienti (per esempio, per il settore automobilistico e dei mobili). Il cambiamento più importante nel settore è consistito nella più stretta relazione tra gli imprenditori del settore conciario e quelli del calzaturiero. Se prima il ruolo del conciario era quello di presentarsi dal calzaturiere con il proprio campionario di materiali per la stagione successiva, oggi individua ed indica quelle che possono essere le possibilità applicative dei materiali stessi e i possibili trend della moda. Le competenze distintive del distretto conciario sono talmente rilevanti ai fini dell’innovazione del prodotto calzaturiero e della pelletteria che alcune grandi griffe (Gucci, ecc.) hanno deciso di comprare concerie localizzate nel distretto di Santa Croce. In altri termini, Santa Croce, senza esplicito marketing territoriale, ha attratto investimenti dall’esterno. In effetti, l’innovazione nella calzatura e nella pelletteria è di tipo push e nasce dall’apporto indispensabile dell’industria conciaria che ha le competenze, le informazioni e le capacità per sviluppare nuovi modelli di pellame e di cuoio. Ciò serve a sottolineare il ruolo fondamentale del conciario per le grandi firme del calzaturiero che si rendono conto che la pelle ha o può essere un interessante vettore di originalità e non solo un materiale per produrre scarpe. Questo “ruolo propositivo del conciario”, come vero e proprio “creatore di moda”, è fortemente dipendente dalla qualità delle risorse umane e dalla presenza di tecnici con una straordinaria conoscenza dei materiali e di stilisti che individuano le tendenze, le linee e i temi sui cui le varie case poi si specializzano. Il contesto distrettuale continua a caratterizzarsi per un forte grado di interazione, che ha registrato importanti realizzazioni (ad es. in materia di riduzione dell’inquinamento ambientale) e che vede ancora importanti fenomeno di “contaminazione” nei processi innovativi. In termini organizzativi anche il conciario identifica una strategia vincente 150
nell’ampliamento delle dimensioni aziendali e questo mette in evidenza le difficoltà delle fasce più deboli, incapaci di esprimere un autonomo contenuto di moda. Non mancano le pressioni competitive, da una parte, dai materiali alternativi al cuoio e, dall’altra, per l’emergere di produttori a costi inferiori e qualità discreta (Spagna, Argentina, Pakistan, India). L’andamento del valore del dollaro ha poi facilitato le produzioni dei paesi dell’area del dollaro. La concorrenza non proviene dall’Italia, in quanto gli altri due distretti legati ad attività conciarie realizzano prodotti diversi (pelli di grandi dimensioni e colori standard, per applicazioni non calzaturiere). Il principale fattore di crisi sta tuttavia, oltre che nello sfavorevole rapporto di cambio col dollaro, nel mercato a valle e nel generale calo dei consumi, specie in Italia (unito all’emergere di materiali alternativi). In questa prospettiva l’apertura del mercato cinese rappresenta un’opportunità a cui le imprese stanno guardando. Rifornendo con le nostre pelli questo mercato, sfruttando la loro manodopera a basso costo, si sostiene che si potrebbero realizzare “scarpe Made in China” ma con materie prime italiane. Una via simile potrebbe essere seguita anche dagli imprenditori del calzaturiero producendo scarpe per l’emergente classe borghese cinese che non si può permettere di acquistare prodotti delle grandi marche (per le quali, per altro, in Cina esiste già un mercato), ma che desidera comunque un prodotto italiano. Alle politiche industriali si richiede quindi soprattutto un’iniziativa di consolidamento dell’immagine dei prodotti di qualità, per costruire un brand che faciliti la vendita dei prodotti Made in Italy. Da parte dei calzaturieri emerge per altro un quadro dei rapporti con i conciatori non favorevole alla definizione di politiche di filiera. Pesano le difficoltà esistenti tra le due organizzazioni di settore a livello nazionale (che si ripercuote nell’assenza di rapporti significativi nell’ambito della ricerca e nel settore fieristico) e le tensioni nei rapporti commerciali (clienti che pagano lentamente etc.). I conciari tendono a non allinearsi alle richieste di protezione (ad esempio, in tema di marchio di origine) dei calzaturieri, che invece sono portati ad aggregarsi agli altri soggetti del Made in Italy (tessile e abbigliamento). Come già sottolineato, il distretto conciario ha maturato una vasta e consolidata esperienza in termini di cooperazione inter-aziendale e interistituzionale a livello locale. Questa capacità è dovuta, in primis, alla risoluzione di problemi di impatto ambientale che le concerie hanno evidenziato in passato e alla relativa necessità di apprestare soluzioni 151
consortili ad hoc. Questo fatto ha sviluppato una traiettoria tecnologica e dei rapporti inter-aziendali che hanno portato alla realizzazione di impianti di depurazione delle acque e di tecnologie di produzione a minor impatto ambientale. Questo significa che oggi, Santa Croce si pone a livello mondiale come un valido offerente, nei confronti ad esempio dei paesi emergenti, non di mero pellame conciato ma di una vera e propria fornitura chiavi in mano di impianti complessi di produzione di pellame a basso impatto ambientale e di depurazione delle acque. Come preservare questo know-how e valorizzarlo commercialmente, soprattutto nei parsi emergenti? In questa prospettiva non si tratterebbe dunque di vendere la pelle ai cinesi in modo da fare le scarpe in Cina ma di esportare e di radicare in questo Paese un ciclo completo di proprietà delle imprese italiane ed in questo è richiesto un elevato salto di qualità a tutto il distretto conciario.
152
4.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER
4.2.1 Concorrenza e mercati Per le imprese leader intervistate i maggiori clienti sono più spesso le imprese del settore calzaturiero, meno frequenti quelle che operano nel settore accessori e abbigliamento. I principali clienti delle leader sono imprese che operano sul mercato finale con marchio proprio che imprese senza marchio, prevalentemente localizzate in ambito locale o domestico. Tra le destinazioni estere, negli ultimi anni, sembra consolidarsi un cambiamento nei mercati di riferimento testimoniato da una contrazione delle quote di esportazione verso i paesi europei a favore di un consolidamento nei mercati dell’Estremo Oriente. Si tratta però di presidi che le leader della concia raggiungono grazie ad un effetto traino dei clienti. Il mercato cinese, ad esempio, è esplorato indirettamente ovvero attraverso le imprese clienti, che richiedono il semilavorato da produrre presso i propri stabilimenti decentrati. Sul piano della concorrenza, i principali concorrenti delle leader si trovano in Italia (all’interno del distretto stesso e ad Arzignano), ma anche in paesi europei quali la Spagna e la Turchia ed oggi anche in alcuni Paesi asiatici (Cina ed Indonesia). Oltre a rappresentare un mercato di sbocco di crescente importanza, l’Asia rappresenta anche una piattaforma produttiva nella quale si trova già grossi concorrenti anche per le imprese leader. Questo perchè il prodotto conciario che realizzano è più spesso di livello qualitativo medio e quindi facilmente imitabile dal punto di vista tecnologico. Da qui la sua riproducibilità e quindi la facile avanzata dei produttori cinesi. Per quanti lavorano invece pelle di rettile, la concorrenza è più prossima, localizzata oltre i confini nazionali (ad esempio in Francia per il coccodrillo). I fattori concorrenziali più importanti percepiti dalla maggior parte delle imprese sono la qualità delle materie prime, il prezzo e l’innovazione di prodotto e di processo. Il cuoificio, a differenza delle imprese che operano nel settore conciario non subisce l’influsso della moda e questa particolarità specifica 153
permette all’impresa di tenere costante la produzione ma con un livello di scorte molto elevato. Tuttavia per l’impresa non si registrano costi eccessivamente elevati associati a questo incremento nelle scorte. Il quadro congiunturale fa emergere comunque un diffuso pessimismo, da parte delle imprese leader, relativamente sia allo scenario competitivo attuale sia alla congiuntura negativa dovuta all’avvento dei mercati asiatici ed alla situazione di instabilità politica. Questo quadro d’insieme frena l’entusiasmo degli imprenditori sulle possibili strategie future da pianificare e da adottare, considerando l’incertezza internazionale.
4.2.2 Struttura e organizzazione d’impresa Dall’analisi della struttura ed organizzazione delle imprese leader del distretto conciario si conferma la tendenza ad esternalizzare anche importanti fasi del ciclo produttivo ad imprese terziste del distretto. E non solo per una ragione di costi. Spesso le imprese terziste presentano specializzazioni di fase che richiedono l’impiego di materiali particolarmente complessi e che necessitano macchinari specifici96. Non mancano comunque i casi di ricorso a terzisti per fronteggiare le sempre più frequenti oscillazioni della domanda. Per un numero ridotto di imprese leader l’attività produttiva si svolge principalmente su un unico stabilimento con l’obiettivo di raggruppare all’interno di un unico complesso gran parte delle fasi del ciclo produttivo della filiera della concia (dalla pelle grezza alla pelle conciata). Per queste imprese la scelta avviene non solo per motivi di convenienza economica, ma anche in merito a strategie finalizzate al miglioramento di qualità (un imprenditore intervistato ritiene che sia più facile controllare e garantire la qualità seguendo il processo dall’interno dell’impresa). Questa modalità organizzativa ha determinato una trasformazione parziale della struttura che si è accompagnata ad un incremento della forza lavoro. La politica di decentramento produttivo è poco praticata dalle leader, tranne che dalle imprese proprietarie di depositi all’estero, o di concerie fornitrici di pellami semiconciati.
96
Il ricorso a terzisti interessa sia per le fasi a monte (scarnatura, rasatura, spaccatura, sottovuoto, sforbiciatura) altre volte per quelle a valle (spalmatura, stiratura, serigrafia, stampatura, ecc.). 154
L’organizzazione commerciale viene gestita da personale interno all’impresa, pianificata tramite agenti e rappresentanti presenti sul territorio nazionale ed internazionale; mentre i clienti più importanti sono generalmente gestiti direttamente dall’impresa97. Anche se in realtà le imprese leader non utilizzano mezzi promozionali particolari l’attività promozionale in qualche caso avviene attraverso la partecipazione a fiere del settore sia a livello nazionale che internazionale (Linea Pelle a Bologna, poi Hong Kong, Tokyo, Cina, ecc.). Ipotesi di crescita esterna sono alquanto remote: le imprese leader non avviano accordi di alleanze o partnership con altre imprese, ma piuttosto attivano forme di collaborazione con altre concerie soprattutto sul piano commerciale e promozionale ad esempio utilizzando la stessa rete commerciale in occasione delle fiere più importanti con l’obiettivo non solo di creare delle sinergie relazionali, ma anche per contenere i costi di utilizzo dei vari stand che si dovrebbero sostenere partecipando singolarmente ad una fiera del settore.
4.2.3 Fornitori e clienti I fornitori delle imprese leader sono principalmente produttori di prodotti chimici, localizzati nel distretto e fornitori di pelli localizzati in Italia, in Europa (Spagna e Olanda) e a livello internazionale (India, Bangladesh, Pakistan). Per quanto riguarda la provenienza delle materie prime: le pelli bovine provengono principalmente da paesi europei quali la Francia, l’Olanda ed Est Europa (Ucraina per esempio), le pelli dei rettili quali il pitone dall’Asia, e i coccodrilli dall’Australia, dalla Asia e dagli Usa. Il parco dei fornitori per le imprese leader del conciario è tendenzialmente stabile negli anni, anche se si possono verificare variazioni in entrata ed in uscita dovute a ragioni di cambiamenti di prodotto, poiché la fornitura di un determinato tipo di pellame presenta caratteristiche specifiche che soltanto alcuni macelli sono in grado di offrire. Le modifiche nella politica di fornitura avvengono in relazione a fattori quali: il prodotto richiesto dalle imprese; la variazione delle esigenze di
97
In un solo caso l’impresa si è affida anche ai procacciatori d’affari, di solito segnalati dai clienti e non legati da veri e propri legami di rappresentanza. 155
mercato che determina una modifica oppure un adattamento della modalità nel processo produttivo (dinamicità del fattore moda). La scelta dei fornitori avviene soprattutto sulla base dei criteri di qualità e di prezzo e in base al livello di servizio in termini di tempi di consegna. Si nota che una delle difficoltà maggiori delle imprese leader è il reperimento di materia prima grezza sia in relazione al fattore qualità che relativamente alla caratteristica di stagionalità. I criteri di scelta dei fornitori avvengono soprattutto per il passaparola delle imprese. I clienti sono presenti su quasi tutti i mercati di sbocco, ma principalmente localizzati in Italia. Le imprese leader operano con grandi imprese di marchio (Prada, Ferragamo, Fendi, Gucci, Dior, Chanel, Stonfly, Geox, Diadora, Lotto). I clienti non hanno un ruolo attivo all’interno delle imprese leader. Infatti, le imprese presentano il prodotto o il modello ed i clienti di solito richiedono soltanto alcuni adattamenti fornendone le indicazioni generali. Alcuni clienti richiedono invece prodotti molto personalizzati, a prezzi ridotti e con tempi di consegna più ristretti. Spesso le imprese leader intervistate adottano una politica di diversificazione della clientela in modo da avere a disposizione più committenti.
4.2.4 La logistica La politica della logistica è gestita soprattutto con personale interno all’impresa, ed i mezzi di trasporto utilizzati i flussi in entrata sono scelti dall’impresa stessa per motivi di sicurezza legati alla tipologia del prodotto da inviare al cliente. Per le imprese leader intervistate l’incidenza nei costi da sostenere della logistica può risultare determinante, poiché i prodotti conciari presentano caratteristiche particolari che determinano una variazione nei costi finali98. La logistica in entrata è principalmente organizzata secondo i principi di just in time che costituisce uno dei maggiori vantaggi per le imprese leader, grazie al fatto che molti fornitori sono localizzati in zona. Per i 98
Le pelli bovine ad esempio pesano molto di più rispetto alle pelli dei rettili che vengono già essiccate e sono quindi più leggere. 156
prodotti di più largo consumo, invece, si operano approvvigionamenti tendenzialmente programmati. La logistica in uscita, che avviene soprattutto via terra e via aerea, è di solito a carico del cliente, il quale indica anche il tipo di trasporto da utilizzare (gli spedizionieri o i corrieri). Molte difficoltà legate alla logistica riguardano la tempistica di consegna della materia prima; mentre per quanto riguarda le performance il fattore tempo incide in misura maggiore rispetto al prezzo. I problemi di logistica riscontrati dalla maggior parte delle imprese leader intervistate riguardano sia la tempistica di consegna dei prodotti dall’estero sia la gestione complessiva dei costi dei trasporti.
4.2.5 Le risorse umane Le figure professionali che risultano essere strategiche per le imprese sono:
gli addetti alle botti (è tra le figure più complesse poiché si occupa delle funzioni base della lavorazione del pellame),
il responsabile di conciatura e di rifinitura,
il direttore tecnico.
Uno dei fattori più rilevanti è la creatività, per cui le figure rintracciabili nei reparti di ricerca e delle nuove produzioni costituiscono un vero e proprio patrimonio interno all’impresa.
4.2.6 L’innovazione L’innovazione per le leader del conciario avviene di solito nella fase di campionatura per la quale le tendenze del mercato rappresentano il “must” da interpretare, considerando che la moda rappresenta un fattore critico per questo tipo di lavorazioni. Le imprese leader investono molto sia nell’innovazione di prodotto sia di processo. Le innovazioni di prodotto sono sviluppate non solo dal punto di vista funzionale, ma soprattutto estetico, dato che la materia prima (la pelle) si presta a particolari modifiche esteriori.
157
Lo sviluppo delle innovazioni avviene anche in sinergia e suggerimenti tecnici e produttivi dei fornitori di materiali chimici.
con
Il segreto industriale non costituisce un aspetto rilevante da difendere e inoltre si fa anche scarso ricorso a brevetti o ad altre attività di protezione delle proprie innovazioni, nella convinzione che il prodotto sia facilmente imitabile.
4.2.7 Le strategie future La Cina costituisce un elemento che divide le imprese leader. Alcune percepiscono le opportunità che il mercato cinese offre, in quanto mercato di enorme dimensioni quindi dove collocare i prodotti, ma anche dove creare sinergie di collaborazione con i produttori cinesi. Più spesso però viene precipita come un problema. La ricerca di nuovi mercati di sbocco viene riconosciuta da tutte le imprese leader intervistate come una delle strategie importanti da seguire. Tra le principali strategie delle imprese leader intervistate emerge quella di mantenere l’attività e la struttura produttiva stabile sul territorio locale, in modo da reggere la congiuntura negativa della contrazione della domanda del prodotto. In questo senso, gli sforzi sono legati a conservare la tradizione, nel senso di mantenere la produzione ad un livello qualitativo alto, introducendo innovazioni di prodotto nel contempo. Inoltre, la caratterizzazione dell’attività sempre più stagionale e sempre più ancorata ai grandi brand penalizza le piccole imprese, con un perdita si possibili “serbatoi” produttivi. Questo accentua i già notevoli problemi nella gestione dei picchi di produzione. Alcune imprese leader cercheranno di investire per migliorare la tempistica di produzione e nell’innovazione per la ricerca di nuove gamme di prodotto. Le imprese leader riconoscono comunque il vantaggio dei benefici derivanti dalle lavorazioni delle imprese terziste collegate, sia in termini di ottimizzazione dei costi sia in termini di maggiore personalizzazione dei prodotti. È solo a questa presenza che le leader vedono possibili un mantenimento addirittura un posizionamento del proprio prodotto su fasce più alte di mercato o nicchie sempre più specialistiche. 158
In termini organizzativi, le novità dovrebbero riguardare solo casi minoritari di acquisizione di concerie, in funzione di un riinternalizzazione di processi produttivi precedentemente esternalizzati, così da riprenderne il controllo e gestirne in maniera più efficace la qualità. La maggior parte delle imprese leader non ha in programma attività di brevettazione o di modifica del sistema logistico aziendale e nemmeno alleanze e/o partnership con altre imprese.
159
4.3 UNA
FOTOGRAFIA DEL DISTRETTO CONCIARIO: L’INDAGINE CAMPIONARIA
4.3.1 I tratti essenziali L’analisi campionaria ritrae un distretto in affanno. Distante dai “motori” del Made in Italy, le medie e grandi imprese con un brand affermato, il distretto di Santa Croce appare caratterizzato da aziende che svolgono componenti o semilavorati (69,2% del totale), tra le quali solo il 16,4% opera in filiere riconducibili direttamente a imprese di marchio99. Fig. 13 Per chi produce l’azienda
Mercato finale con marchio Altre imprese
proprio 15,1%
industriali (*) 69,2% Mercato finale ma senza marchio proprio 15,7% (*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati
99
Questa l’incidenza rispetto a quante non operano sul mercato finale. Sono invece l’11,3% del totale campione. 160
Fig. 14 I destinatari della produzione (per chi non vende sul mercato finale) Grandi imprese di marchio 16,4%
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie 41,4%
Imprese industriali che vendono sul mercato finale 42,3%
(*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati
Metà delle aziende utilizza una rete distributiva propria (50,3% del campione), composta prevalentemente da agenti. Le aziende del distretto lavorano quasi esclusivamente su ordine, più di nove su dieci, con una clientela di riferimento che in quattro casi su dieci è localizzata dentro il perimetro distrettuale o ha comunque una sede locale. I mercati nazionali ed esteri sembrano esprimere meno frequentemente la clientela prioritaria, così come denotano una minore rilevanza in termini concorrenziali. Per il 58,2% delle aziende la concorrenza ha infatti origine nel distretto.
161
No 49,7% Sì 50,3%
Fig. 15 Presenza di una rete distributiva propria
26,5%
Italia (escl. regione)
Estero 18,7%
Regione (escl. 15,6%
39,3%
Distretto/ provincia
provincia)
Fig. 16 Localizzazione della clientela
162
Molta parte della evoluzione del distretto è ancora auto-contenuta. Questo perché la clientela, che si detto ha una provenienza principalmente locale, ha una funzione importante per le dinamiche del distretto, e perché si rivolge ad un numero spesso cospicuo di aziende. Dalla clientela vengono infatti le spinte al cambiamento che, nell’ultimo biennio hanno significato più spesso un aumento dei tempi di pagamento (41,1%), dei costi (45,7% dei casi), anche per effetto della maggiore qualità richiesta (49,1%), ma soprattutto una riduzione dei margini di profitto (67,6%). Per un quarto delle aziende ciò significa anche un ingresso più deciso del cliente nella gestione interna dell’azienda e quindi nelle sue decisioni. Le pressioni che vengono dalla clientela mettono in moto un meccanismo di concorrenza interna al distretto molto forte, come si è detto, anche in funzione del fatto che le relazioni esclusive cliente-fornitore sono una eccezione. Solo il 9,2% delle imprese ha meno di tre clienti, il 60,6% ne ha più di dieci. Il primo cliente poi rappresenta meno di un terzo del fatturato nel 70% dei casi, con un peso relativo che negli ultimi anni si è addirittura contratta (42,6%) in una larga parte del tessuto distrettuale. Fig. 17 Gli effetti della clientela sull’azienda 100% 90%
31,0
80% 70%
51,1
44,7 1,4
46,8
55,3 69,4
73,7
60%
69,3
50% 40%
16,0 45,7
30% 20%
67,6
49,1
41,1
9,6
0% Tempi di consegna
24,3
8,1
11,1
6,4
Scambio
Professio-
Influenza
Qualità
nalità
cliente
richiesta
18,2
32,9
10%
19,4
Costi
3,7 Margine di profitto
Tempi di
pagamento conoscenze
4,1
manodopera
Diminuzione
Aumento
Stabilità
163
La densità delle relazioni è enfatizzata anche dagli schemi di approvvigionamento. Il 46,7% delle aziende distrettuali fa infatti ricorso a fornitori per realizzare parti essenziali del prodotto, tipicamente materie prime e semilavorati, coinvolgendo nel 42,6% dei casi aziende locali. Si tratta di reti molto ampie che coinvolgono stabilmente più di 10 imprese (68,2% dei casi). Fig. 18 Utilizzo di fornitori per parti essenziali del prodotto
No 53,3%
Sì 46,7%
Fig. 19 Localizzazione dei fornitori
Distrettoprovincia
Regione (escl.
42,6%
provincia) 23,0%
Estero 9,5%
Italia (escl. regione) 25,0%
164
La presenza sui mercati internazionali rappresenta una “cleavage” del sistema distrettuale che lo divide in parti pressoché identiche: le aziende esportatrici sono infatti il 47,7% del totale, presenti soprattutto nel mercato continentale (46,7% dei casi), ma anche in maniera non marginale in quello nordamericano (21,7%), affermandosi pure su quello asiatico (19,7%). La concorrenza si gioca ancora su fattori tradizionali, in via quasi esclusiva sul prezzo (62,9%), anche per effetto di un tessuto apparentemente poco incline a sviluppare prodotti dai connotati esclusivi. Appare prevalere la produzione su ordine specifico del cliente, il quale indica le specifiche ad aziende in cui nel 43,4% dei casi è assente una funzione riconosciuta di progettazione. Molti dei limiti della piccola dimensione, a livello distrettuali sembrano essere stati superati grazie alla partecipazione a consorzi (39,3% del campione), piuttosto che a relazioni strutturate come quella dei gruppi (5,9%). L’innovazione riguarda segmenti minoritari del sistema, risultando più diffusa quella di prodotto (42,6%) rispetto a quella di processo (38,6%). Tuttavia l’innovazione non sembra avere avuto dei contenuti sostanziali, tali da dover essere formalmente tutelati100. I problemi di compatibilità ambientale che presentano molte lavorazioni tipiche del distretto, nonché le pressioni sulla qualità che vengono testimoniate da numerosi imprenditori si traducono in procedimenti, avviati o conclusi, di certificazione (dei processi o dei prodotti) in non più del 12,2% del campione.
100
L’unico elemento di rilievo sembra venire da una piccola quota di aziende (18,3%) nelle quali l’innovazione si associa ad un aumento delle competenze interne, fattore che lascia supporre la realizzazione di un investimento dedicato. 165
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
Prodotto
Sì; 42,6
No; 57,4
Processo
Sì; 38,6
No; 61,4
Fig. 20 Ha introdotto prodotti i processi tecnologicamente nuovi o rinnovati
No 91,9%
Sì 8,1%
Fig. 21 Possesso di almeno un brevetto al 31-12-2004
166
La crisi che ha colpito una ampia parte del distretto, in presenza di una densità di relazioni così ampia e forte, ha scosso la fiducia del sistema, che appare spiazzato da questa situazione e incline soprattutto a logiche difensive. Per il 40,7% mantenere o eventualmente accrescere le proprie quote di mercato è la linea strategica da perseguire nei prossimi due-tre anni. Per un altro 14,1% la strategia futura è quella di ridurre i costi, risultando così inclini a ragionamento di breve respiro, soprattutto se si allarga l’orizzonte alla nuova geografia competitiva del settore. Non mancano comunque casi in cui l’incertezza della congiuntura spinge ad ampliare la gamma di prodotti, così da cogliere fette di mercato più ampie o incontrare il favore di più committenti (9,8%), ma è interessante evidenziare infine come una quota simile (9,5%) sia indirizzata verso nuovi mercati. Per il futuro prossimo non si prevedono quindi grandi mutamenti nel sistema, tantopiù che sia le relazioni con la clientela prioritaria che con la rete di approvvigionamento sembrano mantenere, mediamente, connotati simili a quelli appena delineati. Per il 56% delle aziende il primo cliente, ad esempio, manterrà il suo peso attuale; la delocalizzazione resta un percorso distante dalle logiche operative del distretto (5,6% dei casi), così come i processi di crescita esterna (fusioni, acquisizioni, alleanze strategiche, ecc.), prospettate solo da una azienda su dieci. In prospettiva sembra progredire soprattutto l’attenzione verso la rete distributiva (30,5% del campione), sempre attraverso la figura dell’agente.
167
Fig. 22 I principali obiettivi (valori percentuali) 45,0 40,0
40,7
35,0 30,0 25,0 20,0 14,1
15,0
9,8
10,0
9,5 5,2
5,0 0,0 Proteggere/aumentare Ridurre costi quote mercato
Ampliare gamma- Accesso a nuovi campionario
mercati
Diversificare attività
4.3.2 Un’analisi tipologica Alla analisi descrittiva del sistema campionato si vuole dare maggiore dettaglio attraverso una stilizzazione tipologica del distretto. Il processo di clustering, descritto nella parte metodologica del rapporto, rappresenta uno strumento voluto per enfatizzare possibili comportamenti virtuosi all’interno del campione nel suo complesso, ma non solo. Si è voluto realizzare delle istantanee del sistema distrettuale che potessero mettere in evidenza connotazioni importanti per le quali la “descrittiva” poteva avere celato o non evidenziato a sufficienza. Le ipotesi di clustering adottate partono da quelli che lo scenario di riferimento poneva come “angolazioni critiche”, la relazione con il mercato, la spinta innovativa, la struttura delle imprese, partendo da uno spaccato delle aziende che hanno avuto risultati positivi in un momento di grande turbolenza per il distretto. L’ultimo passaggio rappresenta un esercizio di sintesi sui caratteri che trasversalmente risultano significativi secondo i diversi approcci di clustering.
168
Performance Sebbene il distretto attraversi una fase difficile, al suo interno non mancano casi di imprese che hanno operato sapendo crescere anche in maniera decisa in quest’ultimo biennio. In questo caso si può dire che:
La cluster analysis rafforza la convinzione che non serve una dimensione straordinaria per avere performance positive. È vero anzi che il cluster dove sono concentrate le poche medie aziende presenti nel campione denota un netto arretramento del fatturato. Chi ha saputo progredire ha, più spesso, una dimensione piccola (10-49 addetti)101.
Complessivamente i virtuosi non sembrano avere connotazioni tipiche, se vogliamo esclusive, ad eccezione che per l’introduzione di innovazioni di processo che ha impegnato la metà del campione102. È nella processazione della materia prima che si guadagna un vantaggio rispetto ai concorrenti.
La presenza di una rete di distribuzione propria, ad esempio, è diffusa nella maggioranza delle imprese (54,2%), ma in linea con il cluster 4, l’altro raggruppamento di piccole imprese.
La fornitura diretta a grandi imprese di marchio è appannaggio del 24,2% delle aziende del cluster, con un’incidenza superiore agli altri, ma non distante dal 18% del cluster 4, evidenziando ancora una volta una connotazione della piccola dimensione aziendale.
Lo stesso si può dire della proiezione internazionale, diffusa in entrambi cluster nel 62,5% delle imprese.
E così, per concludere, per l’innovazione di prodotto (46-47% delle aziende) e per la partecipazione a consorzi, di cui fanno parte il 49% del cluster più dinamico ed il 47,9% dell’altro.
101
Il cluster 1, quello che verrà descritto in questa parte raccoglie solo aziende di piccole dimensioni. È quello dove è più presente una tendenza espansiva del fatturato, avendo al suo interno il maggior numero di aziende in crescita, che costituiscono il 42,7% del cluster. L’11,5% dichiara poi una crescita impetuosa: complessivamente superiore al 25%. È bene sottolineare che comunque la componente più presente è quella stabile (57,3%). 102 Rispetto al 41,7% del cluster 4. 169
Mercato L’approccio “mercatistico”, è bene metterlo in evidenza da subito, non aiuta ad isolare in modo chiaro comportamenti virtuosi. Il punto è forse che non emerge una netta separazione di performance tra terzisti e imprese a mercato, esistono però difformità sul piano della distribuzione, del rapporto col cliente, del peso della fornitura e dell’innovazione. Complessivamente:
Occupare una posizione più a valle della filiera, negli ultimi due anni, ha significato un incremento di fatturato solo nel 20% dei casi, più di quanto non abbiano si sia riscontrato tra quelli a monte (9,2%), ma non appare una strategia che di per sé abbia dato notevoli probabilità di risultato.
Rispetto al posizionamento lungo la filiera, nel cluster più vicino al mercato restano comunque prevalenti quanti producono semilavorati (58,8% dei casi). Chi vende sul mercato finale lo fa con un marchio proprio (23,2%).
Sembra piuttosto essere la presenza di una rete distributiva propria a segnare il confine. Nel cluster più vicino al mercato si concentrano infatti tutte le imprese dotate di rete distributiva propria, che rappresentano così il 79,4% dei casi entro gruppo.
Appare un cleavage del sistema, la presenza sui mercati esteri. Il cluster in questione riunisce infatti la quasi totalità degli esportatori, che al suo interno rappresentano il 74,7% del totale.
Il gruppo si connota per una maggiore autonomia nella scelta dei prodotti: il 51,3% realizza il proprio catalogo autonomamente;
Ha rapporti di filiera più lunghi, operando con una clientela nazionale (34,5%) o estera (30,9%), diversamente dal resto del campione, che ragiona su un perimetro tipicamente localedistrettuale. Anche per questo gruppo la concorrenza è “in casa” (49%), anche se accusa pressioni rilevanti dal resto del paese (17% dei casi) o dall’estero (14,9%).
Il posizionamento a valle, infine, apre spazi per un ruolo più incisivo della fornitura, fondamentale per la realizzazione di parti essenziali del prodotto per il 56,5% dei casi (rispetto al 29,7% del gruppo dei terzisti).
La vicinanza al mercato si associa ad una struttura organizzativa complessivamente più sofisticata. La realizzazione del 170
campionario si sposa ad esempio con una maggiore presenza interna di funzioni quali la progettazione (50%), la ricerca (76,3%), ma anche il commerciale (74,6%), i servizi post vendita (63,4%) e quelli logistici (91,2%); e con la presenza di attività di controllo di gestione nel 90,2% dei casi103.
È sintomatico che le competenze interne appaiono carenti nella ricerca e sviluppo (18,4% dei casi) e nel commerciale (16,1%), facendo pensare ad una percezione di inadeguatezza limitata, ma più frequente nei casi di impresa operano a valle.
L’inadeguatezza degli strumenti posseduti è testimoniata inoltre dal fatto che il 43,2% degli imprenditori del cluster sente la necessità di acquisire o potenziare la sua rete distributiva nei prossimi 24-36 mesi.
Innovazione L’approccio per attitudine all’innovazione identifica tre cluster ben differenziati. Il primo, quello dei più innovativi, concentra tutte le imprese che hanno introdotto processi nuovi, fatto che si accompagna spesso alla realizzazione di prodotti rinnovati (69,4% dei casi). Il secondo raccoglie imprese che hanno realizzato solo innovazioni di processo. Il terzo è costituito da aziende che non hanno introdotto alcuna innovazione, tra il 2002 ed il 2004. da questo approccio emerge che:
L’innovazione aumenta certamente le probabilità di avere avuto migliori performance, anche se in maniera non sostanziale, ma soprattutto non sembrano esserci differenze significative tra innovazione di processo e di prodotto. Tra più innovativi solo il 20% ha visto crescere il proprio fatturato nel biennio analizzato, percentuale che scende al 18,5% nel cluster degli innovatori di prodotto, mentre non va oltre il 10% tra i non innovatori.
Il risultato è spiegabile con il tipo di mercato degli innovatori. Questi più spesso degli altri lavorano a diretto contatto con grandi aziende di marca (26,3% dei casi), aziende che evidentemente incidono sulla inclinazione ad innovare dei propri fornitori, ma che altrettanto evidentemente non aiutano le performance.
103
Per l’atro gruppo questa funzione è presente internamente nel 60,8%. È curioso però che il 38,3% delle aziende l’abbia esternalizzata, forse interpretandola riduttivamente, magari come un servizio di buste paga. 171
Lavorare per i brand della moda significa agire all’interno di una filiera che trascende il sistema locale. Ad esempio confrontandosi con una concorrenza meno locale104 e con un clientela di riferimento che in oltre la metà dei casi è nazionale o estera.
L’innovazione si associa ad una rete di fornitura più densa e articolata, su cui appoggiarsi (59,7% dei casi).
L’innovazione si associa anche una partecipazione più frequente a forme consorziate (47,9% dei casi entro gruppo).
L’innovazione è legata inoltre ad un coinvolgimento superiore in iniziative di certificazione della qualità, che restano comunque appannaggio di un insieme limitato delle imprese più innovative (18,9% dei casi).
L’innovazione, in generale, si associa ad altri elementi caratteristici:
Un incremento delle competenze, segnalato dal 30% delle innovatrici solo di prodotto e dal 23,1% delle più innovative.
La presenza di una struttura organizzativa più articolata, nella quale sono più frequenti funzioni specifiche: ricerca e sviluppo, rilevata in non meno del 70% delle aziende nei due cluster; e design, presente in circa la metà delle imprese innovatrici.
Struttura La struttura rappresenta certamente un elemento premiante dal punto di vista della performance, ma perchè questa si lega ad altri fattori vincenti. Quando si parla di struttura il riferimento è a due cluster, composti prevalentemente da aziende di piccole dimensioni (nel 78-79% dei casi con 10-49 addetti) e con un fatturato compreso da tra i 500 mila ed il milione e mezzo di euro, in circa otto casi su dieci. Il terzo cluster è caratterizzato invece da aziende di micro-dimensioni (0-9 addetti e fatturato inferiore ai 500 mila euro). Complessivamente emerge che:
La maggiore dimensione si lega a performance migliori, soprattutto per le imprese più strutturate, che rafforzano cioè la struttura interna appoggiandosi a fattori esterni, come l’inserimento in gruppi o la partecipazione a consorzi di varia forma. Il fatturato nei più strutturati (inseriti in un gruppo e in
104
I principali concorrenti sono localizzati nel distretto nel 49% dei casi, percentuale che supera il 60% negli altri due cluster. 172
consorzi) è aumentato nel 27,8% dei casi, percentuale che scende al 18,8% per le piccole aziende partecipanti a consorzi, all’8,6% per il cluster dominato dalle imprese di microdimensioni.
Le aziende più strutturate sono più inclini a possedere una rete distributiva propria (63,2%).
Le piccole imprese sono in grado di esprimere una proiezione internazionale maggiore (73,7% dei casi).
Contestualmente hanno evidenziato un impegno più diffuso ad introdurre innovazioni di processo (52,6% dei casi)
Chi partecipa solo a consorzi, e non contestualmente a gruppi organizzati, presenta tipicità simili, seppure in maniera meno accentuata, ai più strutturati.
Elementi trasversali Le quattro proiezioni, ognuna per cluster analysis realizzata, inquadrano prospettive diverse di uno stesso sistema. Le quattro “angolazioni” sono state scelte per superare il notevole grado di omogeneità del sistema, nel quale prevaleva la presenza di una catena produttiva poco presente sul mercato finale, e in cui l’analisi descrittiva non evidenziava sufficientemente al suo interno segmenti particolarmente virtuosi. La visione prospettica è sta quindi utile per esaltare le connotazioni specifiche, e far emergere aspetti che nell’analisi descrittiva erano meno evidenti, ma volendo ritrarre un quadro d’insieme è forse necessario fare un esercizio di sintesi. Per identificare i tratti che connotano trasversalmente il distretto pisano si è scelto di utilizzare tutti i fattori caratteristici ripetuti in tre approcci o più. Così facendo, i principali fattori vincenti risultano:
La presenza di rete distributiva propria
La proiezione internazionale
L’innovazione di processo
La partecipazione a gruppi
La partecipazione a consorzi.
173
CAPITOLO 5. LA FILIERA DELLE 2.3 RUOTE DI PISA
5.1 LO SCENARIO DI RIFERIMENTO
5.1.1 I principali fatti nello scacchiere internazionale Il settore delle due ruote ha iniziato a sperimentare negli ultimi anni (a partire dal 1997-98) gli effetti di un processo di trasformazione significativa in grado di modificare sostanzialmente le strategie di mercato e produttive dei principali players mondiali. Gli elementi rilevanti dello scenario sono:
la crescita rapida del mercato statunitense, che in termini di valore per unità venduta si attesta come quello più ricco
la definitiva affermazione dei mercati cinese e indiano come quelli di maggiori dimensioni in termini di volumi, ancorché non particolarmente penetrabili sotto il profilo del commercio internazionale.
Per effetto di queste dinamiche il mercato europeo, che nel 1998 rappresentava circa il 24% del mercato mondiale, si è attestato nel 2002 al livello del 20%, mentre il mercato statunitense è passato dal 19% al 21%, e quello asiatico si è assestato su una quota del 41%. Si tratta di una tendenza destinata ad accentuarsi nei prossimi anni, tanto che la domanda mondiale è prevista in espansione ad un tasso medio annuo del 5,7% in termini di valore, e del 9,5% in termini di volumi. La composizione di tale dinamica tuttavia premia maggiormente il mercato asiatico, previsto in crescita del 6,3% in valore e del 10% in volumi, e di quello statunitense, che dovrebbe crescere del 6,9% in valore e del 9,4% in volume. Sarà quindi l’Europa a cedere quote con un tasso di crescita del 2,9% in valore e dello 0,7% in volume. Ancora all’interno di queste dinamiche è rilevante notare come sia principalmente il mercato indiano, quello in più rapida espansione, mentre il mercato cinese si assesterà come quello di maggiori dimensioni. Poiché si accentuano le differenze di tendenza considerando le previsioni in termini di valore e in termini di volume, si può ritenere che si assisterà 174
ad una progressiva specializzazione di mercato fra le aree la cui crescita in valore supera la crescita in volume (come Europa e Stati Uniti) e quelle in cui succederà il contrario (come Cina, India e Giappone). La possibilità di specializzare la domanda mondiale secondo criteri di maggiore valore o di maggiore volume, la tendenza relativa alla crescita delle diverse aree di mercato e la capacità di gestire la produzione in chiave globale rappresentano i fattori trainanti delle strategie delle imprese leader del mercato mondiale. Per le imprese la scelta sulle priorità di mercato condiziona la localizzazione della produzione. Honda e Yamaha ad esempio, che sono il primo e secondo produttore mondiale, hanno individuato come priorità di mercato Cina, India e Paesi Asean. In questo quadro si stanno predisponendo a realizzare i prodotti di bassa cilindrata in Asia (Honda produce in Cina lo scooter “Today”, mentre Yamaha ha stabilito a Taiwan il centro di produzione degli scooter del gruppo), oppure si utilizzano le facilities brasiliane per i prodotti destinati al mercato europeo e statunitense. Al contempo le attività nei paesi a più alto valore, sono concentrate nello sviluppo ed impiego delle innovazioni tecnologiche, più tipicamente collegate alle alte cilindrate (come negli Stati Uniti) o alle esigenze ambientali ed energetiche (come lo sviluppo in Italia di nuovi sistemi di iniezione per il risparmio di carburante). Gli effetti di questo percorso sono evidenti già da diversi anni nelle quote di mercato dei produttori. Quelli giapponesi hanno una quota di export mondiale che si attesta poco sotto il 50%, mentre il secondo esportatore rimane ancora l’Italia, con una quota del 10%. Entrambi i paesi hanno evidenziato una contrazione nel corso degli ultimi anni. Il Giappone ha perduto più del 10% di quota nell’ultimo decennio, mentre l’Italia ha iniziato a declinare significativamente a partire dal 1998, perdendo circa il 3% negli ultimi cinque anni. Tale contrazione di quote è andata a vantaggio dell’export statunitense e cinese, che si collocano in terza e quarta posizione con quote attualmente attorno al 7% del mercato. Mentre il sistema statunitense ha un andamento altalenante, in virtù dell’elevata gamma dei prodotti esportati da quel paese, la performance cinese ha evidenziato un significativo incremento nel corso del 2000, mantenuto poi negli anni successivi. Il processo di trasformazione delineato evidenzia che nella specializzazione dei diversi mercati le regole del gioco determinate dalle 175
strategie delle imprese leader, da un lato spingono l’attenzione sui mercati a maggiore tasso di crescita e quindi direzionano la produzione di massa prevalentemente nelle aree emergenti, dall’altro i mercati più ricchi vengono specializzati su prodotti su cui siano possibili margini unitari più elevati. In entrambi i casi le prospettive del mercato europeo sono di sofferenza in termini di volumi, ancorché ci siano prospettive in termini di marginalità e creazione di valore. Tab. 1 Peso dei principali mercati dei motocicli 1998 Valori assoluti Mln$
2002 Quote %
Valori assoluti Mln$
Quote %
Europa
4.383
23,85
4.889
20,36
Asia
7.754
42,21
9.880
41,14
Stati Uniti
3.456
18,81
5.055
21,05
18.370
100,00
24.012
100,00
Totale Mondiale Fonte: ANCMA
5.1.2 Una stilizzazione delle tendenze di settore L'Europa ha prodotto nel 2002 oltre 1,3 milioni di unità tra motocicli e ciclomotori, con una riduzione del 14,4% rispetto al 2001, che aveva già fatto segnare un calo della produzione del 20,5%, arrestando il trend positivo della seconda metà degli anni Novanta (i numeri che si riferiscono al 2003 sono ancora incompleti). I dati sulla produzione includono i veicoli fabbricati o assemblati da impianti di imprese giapponesi in Europa. L'Italia è di gran lunga il maggior Paese produttore dell'Unione Europea, con una quota del 56,9% sul totale dei veicoli fabbricati dai principali produttori europei nel 2002, che rappresenta un netto incremento (+17,8%) rispetto alla posizione del 2001. Seguono Spagna, Francia e Germania, sedi con l'Italia dei tre grandi gruppi produttori storici di PTW (Piaggio, Peugeot MTC e MBK, cui si aggiunge un costruttore integrato di auto e motocicli, BMW) che negli anni Novanta hanno rappresentato più del 60% della produzione di due ruote nell'Unione Europea.
176
1996
Italia
1997
1998
Spagna
1999
2000
Francia
Fonte: elaborazioni su dati ACEM
0,0
0,2
0,4
0,6
2001
2002
Germania 2003
Austria
0
100
200
300
400
500
600
1,0
0,8
700
Italia 1996
1997
Francia 1998
1999
Spagna
2000
2001
Germania
2002
177
Paesi Bassi
Fig. 2 Sell-in di ciclomotori in Europa – 1996-2002 (migliaia di unità)
1,2
Fig. 1 La produzione di motocicli e ciclomotori in Europa – 1996-2003 (milioni di unità)
Sommando i dati sul sell-in di ciclomotori e le immatricolazioni di motocicli, la domanda stimata di due ruote per il 2002 (in Italia, Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Belgio, Austria e Svezia) è di 1,7 milioni di unità, suddivisa in 1 milione di motocicli e circa 700.000 ciclomotori (i dati relativi al 2003 risultano ancora incompleti). Questo implica che le imprese dell'Unione Europea non soddisfano l'intera domanda di ciclomotori e motocicli; in particolare, in Europa si fabbricano tradizionalmente più scooter rispetto alla domanda, mentre la metà degli acquisti di motocicli è rivolta a prodotti fabbricati al di fuori dei confini dell'Unione. Fig. 3 Immatricolazione di motocicli in Europa – 1996-2003 (milioni di unità) 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0,0 Italia 1996
Germania 1997
1998
Francia 1999
2000
Regno Unito 2001
2002
Spagna 2003
Fonte: elaborazioni su dati ACEM
Per descrivere sommariamente il mercato delle due ruote, si è preferito in questa sede analizzare i dati sulle quantità prodotte di ciclomotori e motocicli perché le statistiche ufficiali disponibili sull'industria di PTW in termini di valore fanno riferimento a una definizione più ampia, che include anche il settore delle biciclette e i fornitori di componenti per queste ultime nonché per i ciclomotori e i motocicli. La quota di mercato italiana nel settore dei cicli e motocicli a livello mondiale è stata del 9,0% nel 2003, secondo anno di declino dopo la ripresa fatta registrare nel corso del 2001, quando l'Italia si è attestato al 9,6%, comunque lontano dalla quota del 10,9% del biennio 1997-1998. 178
L'andamento delle importazioni è stato fortemente crescente tra il 1996 e il 2000, per poi crollare nel biennio successivo, fino alla parziale ripresa del 2003. L'import, partito da circa 153.000 unità nel 1990, è più che raddoppiato in un decennio, raggiungendo le 405.000 unità nel 2000, per poi scendere di 185.000 unità tra il 2001 e il 2002, e aumentare di nuovo del 40,7% nel 2003. L'export è invece più che raddoppiato, passando da 217.000 a 499.000 unità, nella prima metà degli anni Novanta; poi il trend positivo è stato meno accentuato, segnando un +4,4% medio annuo tra il 1996 e il 2000, che ha permesso di raggiungere le 534.000 unità esportate nel 2000. Nel corso del 2001 è iniziata l'inversione di tendenza, con una riduzione media delle esportazioni del 10,7% all'anno tra il 2001 e il 2003 (-155.000 unità). Fig. 4 Trend di Import e Export italiano – 1996-2003 (migliaia di unità) 600 500 400 300 200 100 0 1996 1997 1998 1999 Import
2000 2001 2002 2003 Export
Fonte: elaborazioni su dati ANCMA
179
Fig. 5 Produzione italiana di motocicli e ciclomotori – 19912003 (unità) 900 800 700 600 500 400 300 200 100 0 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 Motocicli e motoscooters
Ciclomotori
Fonte: elaborazioni su dati ANCMA
La produzione nazionale di ciclomotori e motocicli ha seguito, nel corso degli anni novanta e nei primi anni del nuovo decennio, andamenti opposti. La produzione di ciclomotori si è costantemente ridotta a partire dal 1999, passando dalle 800.000 unità prodotte nel biennio 1997-1998 a meno di 300.000 unità nel 2003. La fabbricazione di motocicli, invece, partita da 128.000 unità nel 1991 e attestatasi intorno alle 220.000 unità tra il 1996 e il 1997, è cresciuta di 306.000 unità tra il 1997 e il 2000, per poi subire una brusca frenata nel 2001 (-27,0%) e recuperare solo parzialmente nel biennio successivo (+ 17.000 unità). I cambiamenti nella produzione dei due segmenti di mercato si sono riflessi col tempo sulla consistenza del parco circolante di motocicli e ciclomotori. Benché nel 2002 i ciclomotori in uso siano ancora in numero prevalente rispetto ai motocicli (6,1 milioni contro 4,0 milioni di veicoli), in soli tre anni la loro incidenza sul totale del parco circolante è scesa dell'8,2%, portandosi al 60,1%.
180
1996
1997
1998
1999
Ciclomotori
Fonte: elaborazioni su dati ANCMA
0
2
2000
2001
2002
Motocicli
Totale
0%
10%
20%
30%
40%
60% 50%
6
4
70%
80%
90%
100%
1996
69,4%
30,6%
Ciclomotori
2000
65,4%
34,6%
Fig. 7 Composizione del circolante
8
10
12
Fig. 6 Parco circolante italiano di ciclomotori e motocicli – 1996-2002 (milioni di unità)
Motocicli
2002
60,1%
39,9%
181
Dal VII Rapporto "Due Ruote" ACI – Censis 2004, redatto sulla base di un'indagine campionaria rivolta a 1.500 soci ACI, emergono alcune tendenze che presumibilmente rafforzeranno gli andamenti evidenziati sopra di ripresa della produzione e delle vendite del settore, trainate dall'affermarsi dei motocicli, e di contemporaneo declino dei ciclomotori. Lo studio si concentra su alcune importanti caratteristiche sociodemografiche e le preferenze di acquisto del campione di intervistati105. Dall'indagine ACI-Censis emerge che il fenomeno che ha più caratterizzato la mobilità negli ultimi anni è l’aumento progressivo del ricorso alle due ruote quale soluzione spontanea per fronteggiare la congestione urbana. Ciò spiega il consistente incremento delle due ruote, usate di più rispetto al passato dal 36% degli intervistati, contro il 26% registrato nell'indagine precedente del 2001. Rispetto a tre anni fa cresce il ricorso alle due ruote (47%) per esigenze pratiche di mobilità, cioè per beneficiare di vantaggi pratici legati alla facilità di parcheggio o alla mobilità nel traffico. Un ulteriore dato che conferma la tendenza a ricorrere alle due ruote è l’età dei nuovi utenti. La socializzazione alle due ruote sembra avvenire anche superati i quaranta anni e tra i nuovi utenti delle due ruote gli ultra 65enni sono più numerosi dei giovani fino a 34 anni. Questo fenomeno appare anche connesso alla crescita esponenziale del mercato del quadriciclo leggero, mezzo di trasporto che piace non solo agli ultra sessantenni, ma anche alle donne, ampiamente prevalenti tra i neoutenti e i fedelissimi delle due ruote. Il prossimo acquisto dovrebbe segnare il radicale declino delle piccole cilindrate, a tutto vantaggio delle moto. Inoltre, i fattori connessi all’estetica, alla facilità di guida, ai costi gestionali e di acquisto, alla funzionalità dei veicoli, nonché alla commerciabilità influiranno meno sulla scelta. Verosimilmente la proliferazione dell’offerta di nuovi modelli ha prodotto una sorta di omologazione dei prodotti, rispetto ai quali il consumatore non è capace o interessato a cogliere gli elementi di differenziazione. Rispetto a queste tendenze, che confermano il processo di specializzazione del mercato europeo ed italiano nella fascia a più alto valore, l’industria italiana ha la possibilità di giocare la propria specializzazione lungo due direttrici: 105
ACI – Censis (2004), VII Rapporto "Due Ruote". Il “patentino” per i nuovi… padroni del traffico. 182
focalizzare i prodotti finiti su segmenti di mercato e alcune nicchie ad alto valore aggiunto e alti contenuti stilistici e tecnologici;
sviluppare fornitori specializzati con elevata cultura ed esperienza tecnologico-ingegneristica e particolari sensibilità al risparmio di materiali, energia e consumo ambientale.
Questo considerando che già ora oltre la metà delle esportazioni nazionali del settore consiste in prodotti intermedi e non in prodotti finali. D’altra parte esiste su questo piano una concreta convergenza fra le vocazioni “di nicchia” dei produttori italiani, e le strategie di specializzazione dei leader mondiali del settore, che ricercano per prodotti di fascia alta e di maggiore innovazione tecnologica produttori di componenti ad elevata cultura, esperienza e competenza. Una conferma in questo senso viene anche dalle scelte strategiche di Honda, la quale sta delocalizzando le fasi di assemblaggio dei prodotti finiti, dal Giappone verso gli altri paesi dell’Asia, per rafforzare la produzione di componentistica in Giappone. D’altronde in questo settore la dominanza del Giappone non è così marcata come nel settore dei prodotti finiti. La quota di export mondiale giapponese di colloca mediamente attorno al 34%, mentre l’export italiano si attesta stabilmente nel corso del tempo attorno al 14%. Anche in questo caso, il fatto nuovo e significativo rimane quello della crescita delle esportazioni cinesi, la cui quota passa dal 4% del 1999 al 12,8% del 2002. Il gap con le performance italiane si riduce, ma nel complesso si può parlare di tenuta dell’export italiano. Naturalmente i due tipi di prodotto non possono essere messi in diretta concorrenza, poiché il vantaggio competitivo italiano si basa oltre che su elementi di qualità e innovazione tecnologica, anche su elementi di produttività106. Infatti, i prodotti italiani del settore della componentistica sono al di sotto di quelli statunitensi, tedeschi e giapponesi, tuttavia sono circa 7 volte maggiori a quelli cinesi. Una competizione diretta fra i due sistemi non è attualmente pensabile, mentre è certamente importante pensare di far fruttare il vantaggio competitivo nei confronti delle imprese degli altri paesi industrializzati, senza soffrire troppo la concorrenza spagnola.
106
I Valori Medi Unitari ($/Kg.) sono un indice di competitività. 183
Storicamente, ma anche concretamente i principali concorrenti dei componentisti italiani sono i produttori giapponesi. Le logiche sistemiche e di filiera con cui i produttori giapponesi di prodotti finiti si relazionano con i produttori di componenti rappresentano l’aspetto più rilevante del vantaggio competitivo; tuttavia l’evoluzione delle strategie dei leader di prodotto giapponesi induce una revisione delle modalità di rapporto e una diversa misurazione delle performance. In questa competizione i produttori italiani portano come punto di forza essenziale la flessibilità, mentre evidenziano punti di debolezza legati ai costi e alla ricerca e sviluppo. Non c’è dubbio che nello scenario strategico finora delineato, è proprio la capacità di ricerca e innovazione che dovrebbe essere premiante rispetto al posizionamento di mercato e rispetto al vantaggio competitivo. Nonostante i produttori italiani di componenti siano coscienti di questo aspetto, e colgano tutta l’importanza dell’innovazione per la competizione, rimane la difficoltà e l’onerosità dell’investimento in ricerca, poco adatte alla struttura tipica delle aziende italiane del settore. Infatti, i punti di debolezza delle imprese hanno un comune denominatore che può essere individuato nella scarsa dimensione produttiva e organizzativa. Tale ridotta dimensione non permette di mantenere sotto controllo i costi, perché sono molto limitate le possibilità di sfruttare eventuali economie di scala, e dall’altro la ridotta dimensione organizzativa e finanziaria non consente di mantenere sotto controllo il rischio e il costo associato all’attività di ricerca e innovazione. La flessibilità di risposta e il relativo vantaggio logistico (determinato dalla prossimità geografica con i produttori locali) si possono rivelare caratteristiche di vantaggio troppo effimere quando ci si confronta con concorrenti più strutturati ed organizzati, in grado di gestire al meglio la multilocalizzazione produttiva, e con mercati che via via si spostano e si allontanano assieme ai produttori locali.
5.1.3 Il ruolo dell’area pisana All’interno della piattaforma produttiva nazionale il polo di Pontedera detiene un rilievo primiario, anche se negli anni novanta ha sofferto più di altri le scelte della sua impresa leader: la Piaggio.
184
Ancora nel 2001 l’area pisana costituiva un sistema di produzione di motocicli e biciclette senza eguali in Italia, con 4.135 addetti all’attivo, impiegati nelle 15 unità produttive con sede nell’area. Bologna, secondo polo del settore, nello stesso anno non supera i 2.833 occupati, distribuiti però in un rete di aziende più ampia di quella pisana (84 unità locali). Nonostante il primato pisano resti indiscutibile, la geografia del settore muta in maniera sostanziale nell’ultima decade. Tra i due censimenti si assiste infatti ad una perdita di peso di aree a forte vocazione come Pisa, Padova e Milano. Vicenza tiene in termini occupazionali, mentre Bologna avanza sensibilmente. Si osserva inoltre l’emergere di nuove realtà delle 2.3 ruote come Rovigo, Venezia e Chieti. Fig. 8 Come cambia la geografia produttiva nelle province a maggiore vocazione 2.3 ruote: unità produttive 200
155 150 121 109 109 100
102 84
89 77
50 27 26 16
21
29 15
6
13
9 6
0 Padova
Milano
Bologna
Vicenza
Lecco
Unita' Locali 1991
Venezia
Pisa
Chieti
Rovigo
Unita' Locali 2001
Fonte: elaborazioni su dati Censimento Istat 2001
185
Fig. 9 Come cambia la geografia produttiva nelle province a maggiore vocazione 2.3 ruote: addetti 6.034 6.000 5.000 4.135 4.000 2.833
3.000
2.287
2.000
1.372 1.346
1.243
1.128
786
1.000
1.320 1.091
1.078 882
393
1.010
1.292 937
312
0 Pisa
Bologna
Vicenza
Rovigo
Venezia
Addetti 1991
Milano
Lecco
Chieti
Padova
Addetti 2001
Fonte: elaborazioni su dati Censimento Istat 2001
Per Pontedera è nella seconda parte del decennio che maturano i cambiamenti più evidenti. L’area pisana è stata infatti testimone del palesarsi di una trasformazione sostanziale in Piaggio, azienda in cui non da ultimo si è avuto un avvicendamento nel suo apparato proprietario e un mutamento strategico di fronte alle pressione competitive internazionali. Le difficoltà di mercato si sono tradotte in una contrazione della base occupazionale dell’azienda di 1.495 unità e che per il sistema locale si è sostanziato in una perdita secca di 1.957 addetti (un terzo della forza lavoro presente nel 1996 nel raggruppamento produttivo motocicli e biciclette). In dieci anni, l’incidenza della sistema pisano 2.3 ruote, in termini occupazionali, passa così dal 28,5% al 18,8%. Trend di questo segno e di tale intensità non si osservano altrove in Italia, con Padova che perde il 27% dell’occupazione (-355 addetti) ed il 22% delle unità produttive (-34) e Milano che mantiene stabile il suo sistema locale 2.3 ruote, pur cedendo il 17% della forza lavoro impiegata.
186
1991
28,5%
1996
27,0%
Fonte: elaborazioni su dati Censimento Istat 2001
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
25,0%
30,0%
2001
18,8%
Fig. 10 Incidenza dell’occupazione pisana sul sistema 2.3 ruote italiano
-60%
-50%
-40%
Pisa
-20%
Lecco
0%
Milano
-10%
Vicenza
Bologna
Padova
Unità l ocal i
-30%
Rovigo
10%
187
-40%
-30%
-20%
-10%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Fig. 11 Come cambia la geografia produttiva nelle province a maggiore vocazione 2.3 ruote
Addetti
5.1.4 La storia recente e le peculiarità della filiera All'interno del sistema locale della Valdera107 è possibile individuare una sub-area con specializzazione metalmeccanica, formata dai Comuni di Pontedera, Calcinaia, Bientina e Vicopisano. Questa area che si sviluppa intorno al capoluogo della Valdera contava 13 unità locali nel solo raggruppamento produttivo dei motocicli e delle biciclette, nei censimenti del 1991 e del 1996, ridotte a 11 nel 2001. Nel medesimo periodo gli addetti del settore sono passati da 5.828 nel 1991 a 5.676 nel 1996 e 4.115 nel 2001108. Nel complesso, il distretto delle due-tre ruote di Pisa, con circa 100 imprese e oltre 4.000 addetti fa registrare 1 miliardo di euro di fatturato annuo, ed esporta il 10% della produzione. I principali attori industriali nel settore metalmeccanico della Valdera comprendono, oltre alla grande casa produttrice Piaggio & C. S.p.A., che conta oggi circa 3.200 addetti, i fornitori di primo livello, costituiti da PMI del luogo o unità locali di grandi imprese nazionali e internazionali, e le PMI di piccole o piccolissime dimensioni che operano come subfornitori, per un totale di circa 50 aziende. L'indotto di primo livello è cioè rappresentato da PMI che hanno rapporti diretti con Piaggio, normalmente aziende sopra i 30 dipendenti dislocate entro una distanza compresa tra i 10 e i 15 km dallo stabilimento Piaggio, e alcune unità produttive di grandi imprese produttrici di componenti dedicate alla fornitura verso Piaggio. Il parco dei fornitori di secondo livello lavora completamente in regime di subfornitura di capacità e costituisce un riserva di outsourcing per Piaggio e per le imprese di primo livello. Queste ultime operano anch'esse prevalentemente in conto lavoro o su disegno di terzi, anche se diverse possiedono capacità propositive e di progettazione autonome sul prodotto. A partire dagli anni Novanta, le grandi imprese committenti del settore delle due ruote hanno modificato i loro rapporti con le aziende di subfornitura della componentistica e delle lavorazioni. Da un lato, hanno 107
Il riferimento è al Sistema economico locale individuato con delibera del Consiglio regionale 26 luglio 1999, n. 219 comprendente i Comuni di Pontedera, Bientina, Calcinaia, Capannoli, Casciana Terme, Chianni, Crespina, Lajatico, Lari, Palaia, Peccioli, Ponsacco, Terricciola, e Vicopisano. 108 ISTAT, Censimenti dell'industria e dei servizi, anni 1991, 1996, 2001, DWCIS. 188
cercato di esternalizzare parti del processo produttivo o delocalizzare le attività relative alle prime fasi della filiera produttiva, o ai prodotti più semplici, in Paesi a basso costo del lavoro. Dall’altro, hanno mirato a creare rapporti stabili e collaborativi con i fornitori ritenuti strategici, spingendoli ad orientarsi verso prodotti e servizi a maggior contenuto di conoscenza. Tra i fornitori particolarmente importanti rientrano a tutt'oggi le imprese locali, i cui maggiori vantaggi competitivi risiedono nella flessibilità di risposta alle esigenze produttive del committente e nella vicinanza territoriale. Per quanto riguarda la situazione in Valdera, la Piaggio ha ormai creato tre filiere complementari per l’approvvigionamento di componentistica meccanica. La prima riguarda la componentistica a maggior contenuto di conoscenza (per esempio impianti frenanti completi, fanaleria, ammortizzatori di alta gamma), in cui sono particolarmente rilevanti gli aspetti qualitativi, e che proviene dai mercati nazionali e internazionali. La seconda riguarda la componentistica a medio o basso contenuto di conoscenza (per esempio cavalletti, parti di telai, telai completi, lavorazioni meccaniche), o difficile da trasportare, che viene prodotta in Valdera, dal momento che in questo caso prevalgono aspetti legati al rapporto qualità/prezzo e all’affidabilità ed alla flessibilità delle tempistiche di consegna. La terza filiera riguarda prodotti a basso contenuto di conoscenza o di minimo ingombro che sono approvvigionati sui mercati internazionali a più basso costo del lavoro. Da un recente studio condotto sulla subfornitura meccanica di primo livello della Valdera109 emergono alcuni interessanti dati occupazionali, organizzativi e di performance delle imprese del comparto. L'elemento più interessante dal punto di vista occupazionale è rappresentato dal trend di forte crescita – che riguarda sia l’occupazione stabile che quella stagionale – per la PMI locale di tipo familiare e la parallela crisi delle unità locali di grandi gruppi di componentistica nazionali e internazionali. I dati indicano inoltre un aumento del ricorso al lavoro stagionale dalla seconda metà degli anni Novanta ad oggi, reso necessario dalla forte ciclicità del mercato due ruote. Nelle 14 imprese che costituiscono il campione di indagine della ricerca, dal 1995 al 2004 il numero complessivo di addetti si è ridotto del 2,9%: mentre gli addetti delle PMI sono aumentati del 45,2%, quelli delle unità produttive di grandi imprese sono diminuiti del 22,4%. Nello stesso arco temporale i 109
PonTech (2004), Analisi della Filiera 2 Ruote del Comprensorio Valdera. 189
lavoratori stagionali sono passati dal 7,6% al 20,5% del totale degli addetti. Le PMI locali, spesso a conduzione familiare, si dimostrano più competitive rispetto alle unità produttive di grandi imprese, sia dal punto di vista della crescita del fatturato che da quello di una minore dipendenza dal grande committente dell'area. In particolare, le unità locali di grandi imprese rappresentano stabilimenti dedicati a Piaggio e quindi sono strutturalmente poco attrezzate per attivare percorsi di diversificazione della clientela e dei mercati. Il fatturato del campione analizzato di fornitori di primo livello è salito da poco più di 100 milioni di euro nel 1995 a circa 160 milioni di euro nel 2003. In particolare il fatturato delle PMI è quasi raddoppiato nel periodo considerato, raggiungendo 87 milioni di euro nel 2003, mentre quello delle unità locali di grandi imprese è stato sostanzialmente stabile intorno a 70 milioni di euro a partire dal 2001. Le imprese della Valdera che operano nel campo della subfornitura sono aziende con prodotti a catalogo su ordine e con prodotti su commessa, su disegno proprio o del cliente, o eseguono lavorazioni e servizi conto terzi. Le imprese intervistate hanno esternalizzato in maniera sistematica attività non core come la logistica in uscita, la gestione delle risorse umane, i servizi alla produzione ed i servizi amministrativi e legali. Le funzioni di marketing e vendite, di gestione del rapporto con la clientela, di gestione degli approvvigionamenti di materie prime e semilavorati e di gestione e controllo della qualità sono invece presidiate da risorse interne. La R&S di nuovi prodotti, invece, risulta spesso esternalizzata verso studi specializzati regionali e nazionali. Per quando riguarda le relazioni interaziendali, dalle interviste con i principali imprenditori locali emerge che le relazioni e gli scambi hanno come principale contenuto lo scambio informativo o rapporti commerciali riguardanti specifiche lavorazioni: non sono diffuse partnership strategiche per lo sviluppo tecnologico e l’innovazione di prodotto e di processo. Nella primavera del 2004 l'Unione Industriale di Pisa ha lanciato, insieme ad alcune imprese locali, l'ICE e la Regione Toscana, un modello di diversificazione per lo sviluppo del settore della subfornitura meccanica. Infatti, malgrado alcuni importanti sforzi evolutivi, il livello di dipendenza dal principale committente risulta ancora molto alto tra le imprese della subfornitura meccanica in Valdera. La progettazione è ancora sostanzialmente presidiata dal grande committente e di solito la 190
subfornitura locale opera in sostanziale monocommittenza – quote di circa 70% del fatturato fanno riferimento a Piaggio – con pesanti ricadute anche dal punto di vista finanziario in presenza di difficoltà economiche da parte della grande impresa locale. Il progetto ha previsto inizialmente il coinvolgimento di sette aziende dell'indotto Piaggio (Ristori, Ilt, Pieracci Meccanica, D&D, Mpt, Esanastri, Soft Italia). L'obiettivo è di dimostrare che i processi produttivi della subfornitura possono essere destinati anche ad altri utilizzi. E' stata sviluppata una società temporanea di impresa composta dalle sette aziende su cui anche l'ICE ha investito per il marketing estero. Alcuni ordini di prova sono già arrivati dall'Europa e il mercato interno ha risposto con un'importante commessa in campo ferroviario110. Piaggio, pur mantenendo la propria sede principale a Pontedera e rafforzandosi sul mercato nazionale con operazioni quali l'acquisizione della casa produttrice Aprilia, punta ormai soprattutto sul mercato asiatico. In Cina nell'arco dei prossimi 5 anni il gruppo dovrebbe fabbricare circa 300.000 veicoli all'anno, grazie alla joint-venture con la cinese Zongshen e la municipalità di Foshan (lo stabilimento nascerà nella primavera del 2005). La Piaggio Forshan Motorcycle è la più importante iniziativa fuori dall'Italia della azienda di Pontedera e produrrà anche veicoli a tre e quattro ruote: l'investimento iniziale sarà di 50 milioni di euro, per conquistare un mercato che in Cina ha la maggior crescita del mondo, con volumi annui di 15,8 milioni di pezzi111. In India andrà invece la produzione di veicoli commerciali a quattro ruote112 Per Piaggio, secondo le informazioni più recenti113, Pontedera diventerà il “Polo motori” del gruppo, accentrando anche quelle produzione che venivano svolte a Barcellona. Dopo il lancio dei nuovi bicilindrici quattro tempi, prevista per la fine del 2005, le attività del gruppo dovrebbero quindi riprendere vigore, sebbene non sia al momento chiaro quale sia il livello per i prossimi mesi, e quindi quali implicazioni possono comportare per l’indotto locale.
110
Il Sole 24 Ore, 10/11/2004. Il Sole 24 Ore, 7/12/2004. 112 Peruzzi. C., Piaggio torna a vedere l’utile, Il Sole 24 Ore, 14/09/2005. 113 Ibidem. 111
191
5.2 ANALISI DELLE IMPRESE LEADER
5.2.1 Concorrenza e mercati Il mercato di riferimento delle imprese leader rappresentanti il distretto della meccanica di Pisa è prevalentemente il mercato regionale/nazionale. Solo parte delle imprese intervistate dichiara di esportare all’estero (Germania, Spagna) piccole quantità di prodotti. Il più delle volte esse si interfacciano sui mercati stranieri non direttamente, ma mediante le grandi imprese per cui lavorano e che hanno stabilimenti in altri Paesi europei. Infatti, tutte le imprese analizzate producono componenti finiti e/o semilavorati per imprese di grandi marchi e difficilmente arrivano direttamente col prodotto finito sul mercato. Nel corso del tempo ciò ha fatto sì che le aziende non abbiano prestato particolare attenzione all’innovazione sostenendo una concorrenza “spietata” sui prezzi tra subfornitori e specializzandosi in particolari fasi della filiera produttiva. Queste stesse aziende si trovano oggi a dover ricorrere alla versatilità e alla flessibilità andando ad esplorare nuovi settori totalmente diversi da quello del motociclo. Molte di esse operano nell’aerospaziale-navale; nel militare, nel farmaceutico, per Trenitalia. Per altre imprese la scelta strategica per rimanere competitivi sul mercato è quella di specializzarsi nella meccanica di precisione e tralasciare la fase di progettazione che richiede investimenti troppo elevati e a più alto rischio. Poiché le multinazionali ovvero le grandi imprese selezionano i fornitori in base al prezzo, per rimanere competitivi sul mercato si deve riuscire ad offrire dei prodotti a prezzi più contenuti. Quindi le aziende devono riuscire a reperire materie prime a costi più contenuti. Un’altra scelta strategica per alcune delle aziende leader è partecipare a dei consorzi piuttosto che a delle ATI locali di recente formazione con il tentativo di riuscire ad affacciarsi sui mercati internazionali, primi fra tutti Francia e Germania. I concorrenti sono ovviamente esteri. In particolare Cina e India. Il fattore rilevante nella concorrenza del settore è, in prevalenza, il prezzo a cui fa seguito in maniera sempre più critica la qualità. In merito ai mercati dei 192
Paesi emergenti, i costi per la sicurezza, per il personale e i costi di struttura non permettono comunque di sostenere la concorrenza di prezzo. La qualità ancora riesce a fare la differenza, tuttavia se gli ingegneri, i tecnici continuano ad andare nei Paesi dell’est, presto il gap che ora c’è verrà soppresso. Altri fattori ritenuti di rilievo nell’analisi della concorrenza sono: il livello tecnologico della produzione e il controllo dei costi.
5.2.2 Struttura e organizzazione d’impresa Le imprese leader della meccanica sono per lo più organizzate in un solo stabilimento. Alcune di esse, che operano in settori diversi, hanno più stabilimenti ognuno dei quali si occupa di un settore ovvero di alcune fasi. Questi stabilimenti sono esclusivamente localizzati in ambito distrettuale. Molte funzioni vengono svolte all’interno dell’azienda come il controllo della qualità, il rapporto con i clienti, la funzione degli acquisti. Diversa è la situazione per fasi come la R&S e il design. Nelle aziende che lavorano esclusivamente per la Piaggio queste fasi sono assenti in quanto è la Piaggio stessa che fornisce il design: il cliente partecipa alla progettazione, fornisce modelli e a volte anche la tecnologia. Nelle aziende che si occupano anche di altri settori o comunque che non lavorano esclusivamente per la Piaggio, queste fasi sono presenti soprattutto internamente all’impresa stessa. Esse presentano un organigramma completo volto a seguire tutte le fasi; dal prototipo alla fase finale. Quindi alcune aziende sono dotate di studi interni e basano molto la loro attività sulla progettazione oltre che sulla produzione. Rari i casi di chi collabora con università o con altre fonti esterne. Molte di queste aziende, inoltre, investono in macchinari e nel personale per mantenere ampia e innovativa la gamma dei componenti offerti; altre stanno predisponendo degli uffici tecnici separati, autonomi dall’officina per raggiungere un livello organizzativo quanto più possibile efficiente. Non molto sviluppata è la funzione commerciale. Fino al 2004 si è avuto del personale interno dedicato in modo esclusivo ovvero personale interno che svolgeva anche altre funzioni che se ne occupava. Successivamente, con la crisi del mercato si è dovuto apportare un taglio ai costi ed è scomparsa la funzione commerciale. Anche perché operando 193
la maggior parte delle imprese leader in subfornitura in realtà non possono neanche partecipare alle fiere se non indirettamente per mezzo, ad esempio, della Piaggio. Più che sulla vendita c’è la tendenza a concentrarsi, a spendere risorse nel fare un prodotto di buona qualità, un prodotto che poi si venda, di fatto, da solo. Nulla la presenza di agenti/rappresentanti, di commercio elettrico e ovviamente di punti vendita/filiali. Come strumento di promozione commerciale e di rapporti con il mercato si stanno facendo strada i consorzi spesso finalizzati alla ricerca di nuovi mercati. Rare sono le alleanze e le partnership commerciali e produttive; quelle che esistono sono a livello locale/distrettuale. Raramente, inoltre, si rileva l’esistenza di traffico di perfezionamento passivo o di forme di decentramento produttivo. Nei pochi casi rilevati, quest’ultimo viene concretizzato per lo più nei Paesi dell’Est. Infine si deve segnalare che solo le aziende leader appartenenti alla filiera Piaggio adottano il just in time, tecnica che permette loro di avere ancora qualche vantaggio sui concorrenti stranieri. La Piaggio fornisce persino programmi giornalieri cosa che con le imprese dei Paesi asiatici non può fare per motivi di lontananza.
5.2.3 Fornitori e clienti In linea generale il parco dei fornitori per le imprese del distretto della meccanica è tendenzialmente stabile anche se in certe circostanze si verificano delle variazioni. A volte i committenti richiedono cose “particolari” che implicano di rivolgersi a fornitori “particolari” che variano a seconda delle necessità. Ogni azienda ha in realtà pochi fornitori, né sono previste delle variazioni consistenti per il futuro. Per la metà delle imprese intervistate, la fornitura incide sui costi totali in una percentuale compresa tra il 41% e il 70%. Circa la localizzazione, la maggior parte dei fornitori sono nazionali pochi sono quelli regionali e quelli locali. Nessuno dichiara di averne all’estero. Le lavorazioni vengono commissionate principalmente a livello locale o comunque mantenute all’interno dei confini nazionali, raramente cedute ad aziende straniere (Cina ed Est Europeo) perché ciò comporterebbe alti costi di trasporto. Quando l’impresa ricorre alla subfornitura, è essa 194
stessa che controlla la qualità proprio per l’importanza che viene riconosciuta a questo fattore. Tuttavia aziende che un tempo davano parti delle lavorazioni in subfornitura hanno ripreso a realizzare il ciclo quasi completamente dall’interno; solo pochi trattamenti vengono ancora fatti fare all’esterno. La scelta dei fornitori avviene soprattutto sulla base della rapidità del servizio intesa come rapidità e rispetto dei tempi di consegna; sulla base della flessibilità degli impianti e della organizzazione interna per far fronte alle fluttuazione del mercato e sulla vicinanza geografica con le aziende. Le consegne da parte dei fornitori avvengono prevalentemente in just in time e, per metà del campione, anche mediante tempi programmati. Il controllo della qualità avviene soprattutto in uscita da parte dei fornitori; solo alcune aziende controllano la merce in entrata. Le aziende leader del distretto della meccanica hanno, in media, 3-4 clienti ciascuna. I clienti sono soprattutto provinciali e altri nazionali e sono, comunque, imprese di marchio (Piaggio, Ferrari/Maserati, Malaguti, Technogym, Avio, Azimut, Gruppo Alenia, FS…). Il cliente interviene molto sull’attività aziendale: fornisce il modello del prodotto e le specifiche di lavorazione; dà indicazioni generali sul prodotto desiderato; partecipa alla fase di progettazione; spesso fornisce la tecnologia del prodotto. Non effettua il controllo della qualità, che avviene quasi totalmente in uscita da parte dell’azienda leader; non suggerisce i fornitori di materie prime né nominativi di subfornitori. Negli ultimi anni i rapporti con i clienti sono cambiati soprattutto per ciò che riguarda il prezzo, la qualità (si richiede una qualità ancora migliore del prodotto), e i tempi di consegna. Ed è proprio la difficoltà di adattamento alle fluttuazioni delle commesse una delle maggiori difficoltà incontrate nel rapporto con i committenti stessi. Il flusso dei materiali tra azienda e cliente utilizza, in generale, sia il just in time che i tempi programmati, a seconda delle necessità.
5.2.4 La logistica La politica della logistica è organizzata con personale interno dedicato, non si ricorre quindi a società esterne. Sia la logistica di approvvigionamento che la logistica di distribuzione delle merci sono entrambe gestite internamente dall’impresa utilizzando varie tipologie di 195
spedizione che possono andare dall’utilizzo di trasportatori locali, quando i fornitori sono localizzati nella provincia o nel distretto, all’utilizzo di corrieri nazionali quando il fornitore si trova in atre regioni. E la logistica di approvvigionamento e la logistica di distribuzione sono gestite esclusivamente mediante uno schema a rete o network. Le performance della logistica di approvvigionamento e di distribuzione sono la maggiore affidabilità delle consegne, la riduzione dei tempi e dei costi. Nel caso dell’approvvigionamento c’è una tendenza a porre maggiore attenzione alla riduzione dei costi; nel caso della distribuzione si sottolinea una più ragguardevole concentrazione sulla diminuzione dei tempi di consegna. La funzione più critica nell’impresa è rappresentata dallo stoccaggio delle materie prime e dalla gestione del magazzino, poiché entrambe incidono sul costo e sulla conseguente difficoltà di gestione della merce. E’ per questo che le aziende leader tendono a farsi consegnare la merce prevalentemente just in time. 5.2.5 Le risorse umane Le figure professionali che risultano essere particolarmente critiche e strategiche per le imprese e che sono difficili da reperire sono costituite dalla manodopera specializzata. Le aree aziendali più in crisi in cui si collocano le figure di maggior rilievo sono, infatti, la produzione e la manutenzione degli impianti. Raramente si è rilevata una difficoltà a reperire figure professionali a livello dirigenziale. La formazione avviene quasi esclusivamente all’interno dell’azienda. Circa la formazione del personale, nella maggior parte dei casi essa avviene internamente. A volte vengono organizzati dei corsi specifici al di fuori dell’attività aziendale a cui partecipano alcuni dipendenti, soprattutto il personale dell’ufficio progettazione.
5.2.6 L’innovazione Tra il 2002 e il 2004 solo il 25% delle imprese leader intervistate ha introdotto sul mercato prodotti tecnologicamente nuovi o migliori. Tali prodotti sono stati sviluppati in parte dall’impresa stessa, in parte
196
dall’impresa stessa in collaborazione con altre imprese e/o istituti di ricerca. Quasi tutte le aziende hanno introdotto, negli ultimi anni, processi di produzione o metodi di realizzazione o fornitura di servizi tecnologicamente nuovi o migliorati, sviluppati tutti dall’impresa stessa. Alla fine del 2004 veramente piccola è la rappresentanza di imprese che aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o processo sviluppati al proprio interno. Bassa quindi la propensione delle imprese leader a brevettare i propri prodotti/processi; alta invece la quantità di innovazioni apportate ai processi di prodotto e/o alle tecnologie utilizzate. Le aziende leader del distretto della meccanica non hanno quindi la propensione a “proteggere” i loro prodotti in alcun modo. Anche perché, essendo per lo più imprese subfornitrici tendono maggiormente ad investire più costantemente sul processo anziché sul prodotto. Questo viene di fatto realizzato con l’acquisto e l’utilizzo di macchinari sempre all’avanguardia, con una crescente collaborazione col cliente e con maggiore attenzione al capitale umano. Il tutto per rimanere concorrente sul mercato a livello di componenti meccaniche ad alta tecnologia. Il sostegno dell’innovazione dal punto di vista finanziario avviene quasi esclusivamente con mezzi propri; non sono infatti molti i sostegni volti alla promozione dell’innovazione. Essi, qualora ci siano, sono diffusi dagli enti territoriali, dai consorzi e dall’università.
5.2.7 Le strategie future L’elevata incertezza internazionale ed il diverso posizionamento delle aziende leader della filiera influenzano le proiezioni a breve, restituendo un insieme di linee strategiche altamente variegato. In generale si può dire che le aziende leader tendano a puntare ancora sulla qualità dei loro prodotti e a questo si legano alcune innovazioni sul processo e sui prodotto. La maggior parte delle aziende è, però, orientata al rinnovamento dei prodotti sfruttando le linee già esistenti per cui i settori di riferimento, nel prossimo futuro potrebbero spaziare dal settore dell’attuale core business, al settore di altri segmenti produttivi differenti (ad esempio 197
macchinari per palestre o il settore farmaceutico) o a settori del tutto diversi dalla produzione attuale (es: Trenitalia). Le aziende tendono, inoltre, a ricercare nuovi mercati siano essi locali che nazionali che internazionali (in particolare si stanno studiando il mercato francese e quello tedesco) che extraeuropei. La maggior parte vorrebbe apportare modifiche alla propria struttura produttiva, confermando comunque la centralità del territorio pisano per le loro logiche localizzative: solo in due casi è stato pianificato un decentramento all’estero per attività di montaggio o la realizzazione semilavorati per motocicli. Non sono previste né partnership, né cambiamenti nell’organizzazione della distribuzione, né investimenti in logistica; né operazioni di finanza straordinaria.
198
5.3 UNA
FOTOGRAFIA DELLA FILIERA CAMPIONARIA
2.3
RUOTE: L’INDAGINE
5.3.1 I tratti essenziali Le aziende che operano per la filiera sono il 36% del campione114. Nel biennio 2002 -2004 hanno avuto un andamento variegato, complessivamente però migliore rispetto al sistema al di fuori della filiera115. Il valore delle vendite è aumentato infatti nel 39,8% delle aziende con punte di crescita superiori al 25% in una impresa su dieci. Parallelamente è diminuito in un terzo dei casi, con crolli superiori al 25% nell’8,5% dei casi. Fig. 12 Le imprese della filiera 2, 3 ruote
Sì 36,0% No 64,0%
114
Sulle modalità di costruzione del campione si rimanda alla parte metodologica del rapporto. 115 Il riferimento è alle imprese appartenenti ai medesimi settori che però hanno dichiarato di non lavorare direttamente o indirettamente per i settori delle 2.3 ruote. 199
Fig. 13 Andamento del fatturato 100% 90% 32,4
39,8
80% 70% 60% 50%
26,8
41,6
40% 30% 20%
33,5
26,0
10% 0% Filiera Diminuito
Non filiera Stabile
Aumentato
Nel sistema estraneo alla catena della 2.3 ruote prevale invece la stabilità; a crescere sono poco meno di un terzo delle aziende, mentre il 26,0% vede ridursi nel biennio il suo fatturato. La varietà di risultati riflette degnamente la presenza di una filiera molto variegata, come attitudini, posizionamenti, comportamenti e struttura, oltre che per performance. La filiera 2.3 ruote è composta nel 65,0% dei casi da aziende che realizzano lavorazioni o semilavorati o componenti per altre aziende, sebbene l’analisi campionaria evidenzi anche la presenza di imprese operanti sul mercato finale, con una quota rilevante in possesso di un marchio proprio (27,2%). Si tratta perlopiù di aziende che si relazionano con aziende che non vendono sul mercato finale (41,7%), trovandosi perciò in un sistema di fornitura articolato, dove occupano una posizione piuttosto lontana dall’acquirente finale. È vero comunque che un parte molto importante della filiera si trova a lavorare a diretto contatto con grandi imprese di marchio, occupando un ruolo di fornitore di primo livello (34,0%).
200
Non filiera
39,7
21,6
Altre imprese industriali Mercato finale ma senza marchio proprio Mercato finale con marchio proprio
Filiera
27,2
7,8
(*) Prodotti, componenti finiti e semilavorati
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
65,0
38,8
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
80%
100%
90%
6,1
39,6
54,3
Filiera Non filiera Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie Imprese industriali che vendono sul mercato finale Grandi imprese di marchio
34,0
24,3
41,7
201
Fig. 15 I destinatari della produzione (per chi non vende sul mercato finale)
100%
Fig. 14 Per chi produce l’azienda
Le aziende della filiera lavorano spesso a catalogo o campione (61,6% dei casi), ma sovente è il cliente che lo realizza per loro (45,3%), questo anche perché più frequentemente le intervistate svolgono lavorazioni conto terzi (65,9%), mentre solo nel 30,3% producono componenti. Hanno una clientela prevalentemente nazionale (44,4% dei casi) o distrettuale/provinciale (33,8%), mentre l’estero rappresenta un mercato del tutto marginale (1,8%). Fig. 16 Localizzazione della clientela 100% 1,8 80%
2,7 25,9
44,4
60%
40% 20%
34,5 20,1
33,8
36,8
Filiera
Non filiera
0%
Distretto/provincia
Regione (escl. provincia)
Italia (escl. regione)
Estero
La relazione con la clientela di riferimento è tutt’altro che univoca. Una parte importante della filiera si trova in una situazione di forte dipendenza dal cliente diretto, sia perché gli impone il tipo di produzione, ma anche perché ha una clientela concentrata. Per il 37,6% delle aziende, inoltre, il primo cliente contribuisce a creare oltre i due terzi del fatturato. All’interno della filiera coesiste però un gruppo altrettanto ampio (41,8% dei casi) che al primo cliente non deve più del 33% del fatturato e che opera stabilmente con oltre dieci clienti (24,5% dei casi). A dividere il sistema è anche la dinamica del cliente di riferimento. Il peso del primo cliente tende infatti a diminuire nell’ultimo biennio in quasi la metà dei casi (48,4%), restando comunque stabile per il 39,6% delle aziende della filiera.
202
È vero però che dalla clientela vengono pressioni rilevanti per le aziende. Negli ultimi due anni le richieste della clientela hanno determinato un aumento dei costi nel 57,4% dei casi, un incremento degli standard qualitativi nel 64,7% e una flessione della marginalità per l’80,4%. Il sistema delle 2.3 ruote si trova quindi sotto grande pressione, più di quanto non si osservi nelle imprese che ne operano al di fuori. Lavorare direttamente o indirettamente per un settore altamente internazionalizzato come quello dei cicli e motocicli impone quindi sforzi significativi che mettono a rischio la redditività delle imprese della filiera. Destinazione e concorrenza sembrano avere gli stessi confini geografici. Molta parte della competizione per il sistema pisano si gioca ancora in Italia. I principali concorrenti sono infatti nazionali (38,0%), anche se per quasi un terzo delle aziende l’arena competitiva a prevalentemente locale. La concorrenza estera appare quindi marginale, diversamente dai pronostici possibili. Fig. 17 Gli effetti della clientela sull’azienda 0,0 5,3
100% 90%
26,5
0
80% 70%
19,6
61,1
35,3
45,8
52,9
67,7
60% 50% 40%
57,4 5,3
94,7 80,4 40,7
30% 20%
64,7
43,3 29,5
33,6
10%
16,1
13,5
3,8
0% Tempi di consegna
Costi
Margine di profitto
Tempi di
Scambio
pagamento conoscenze
2,9
0,0
Professio-
Influenza
Qualità
nalità
cliente
richiesta
manodopera
Diminuzione
Aumento
Stabilità
203
Fig. 18 Localizzazione della concorrenza 100%
7,4
90% 80% 70%
38,0
11,1 21,7
60% 29,5
50% 40%
21,9
30% 20%
32,7
37,6
Filiera
Non filiera
10% 0% Distretto/provincia Italia (escl. regione)
Regione (escl. provincia) Estero
Si tratta di una concorrenza basata su fattori “tradizionali”, che ha nel prezzo inferiore secondo il 57% degli imprenditori del campione e nella qualità superiore delle lavorazioni (31% dei casi) le sue leve competitive. La struttura organizzativa delle imprese della filiera non si differenzia in modo sostanziale dal resto del sistema, eccezion fatta per una maggiore attenzione alla finanza ed una minore attività post-vendita, dettata verosimilmente dalla maggiore lontananza dal mercato finale. Le funzioni di ricerca e sviluppo ed engineering, in particolare, risultano presenti nella maggioranza delle aziende (63,2% e 57,0% dei casi rispettivamente). Ma è anche più evidente il coinvolgimento dei gruppi (16,5% dei casi) e questo potrebbe spiegare la maggiore attenzione alla finanza, relativamente difficile da riscontrare nelle piccole aziende. L’importanza della finanza è rafforzata anche dal fatto che risulta una delle aree ritenute più carenti e dove cioè le competenze presenti all’interno dell’azienda non corrispondono alle esigenze. Così anche per l’engineering e per il controllo di gestione. Un ultimo elemento connotante è la presenza più frequente di funzioni logistiche, influenzata probabilmente dal fatto che negli anni le pressioni
204
della clientela per una riduzione dei tempi di consegna è cresciuta in circa un terzo dei casi (33,6%). Oltre che per la presenza non marginale di relazioni di gruppo, la filiera sembra caratterizzarsi per una discreta propensione a partecipare a consorzi, dichiarata dal 23,4% dei casi, risultando molto più frequente rispetto alle aziende estranee alla filiera (14,1%). La densità della filiera è ben testimoniata anche da un ampio ricorso alla fornitura, che svolge un ruolo essenziale per la realizzazione del prodotto per il 65,5% delle aziende della filiera, che si rivolgono abitualmente a oltre 10 fornitori nel 71,6% dei casi per acquistare soprattutto componenti o parti. Anche la rete di approvvigionamento, infine, presenta una dimensione nazionale, così infatti nel 73,8% dei casi.
Fig. 19 Utilizzo di fornitori per parti essenziali del prodotto 100% 90% 80%
34,5
34,4
65,5
65,6
Filiera
Non filiera
70% 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% Sì
No
205
Fig. 20 Localizzazione dei fornitori 100% 1,5 80% 67,6
73,8
60%
40% 12,5 20%
17,9 19,9 6,8
0%
Filiera Distretto/provincia
Non filiera Regione
Italia
Estero
L’inclinazione ad innovare rappresenta un elemento senza dubbio distintivo, risultando complessivamente più diffusa rispetto alle aziende estranee alla filiera. Si tratta soprattutto di prodotti tecnologicamente rinnovati (51,8%), mentre appare meno presente l’innovazione di processo (40,7% dei casi). Si tratta però di innovazioni verosimilmente non sostanziali. Realizzate internamente alle aziende hanno portato ad una modesta formalizzazione dei risultati. Alla fine del 2004 le aziende in possesso di almeno brevetto era il 15,5%, con un’incidenza più contenuta rispetto al resto del sistema (22,3%). La tutela si è sostanziata piuttosto nell’adozione di procedura di segretezza (24,3%). Grande importanza ha invece la certificazione di qualità, presente o in fase di acquisizione del 48,6% dei casi.
206
0% Non filiera No
0%
Filiera Sì
10%
10%
20%
30%
30%
20%
40%
40%
45,5
50%
50%
51,8
60%
70%
60%
70%
80%
80% 54,5
90%
90%
48,2
100%
Filiera Sì
40,7
59,3
Non filiera No
32,5
67,5
Fig. 22 Introduzione di processi di produzione, o metodi di realizzazione tecnologicamente nuovi o rinnovati
100%
Fig. 21 Introduzione di prodotti tecnologicamente nuovi o rinnovati
207
Fig. 23 Possesso di almeno un brevetto al 31-12-2004 100% 90% 80% 70% 60%
84,5
77,7
50% 40% 30% 20% 10%
15,5
22,3
0% Filiera Sì
Non filiera No
Nonostante le manifeste dissomiglianze presenti nella filiera, come posizionamento, relazioni clientela, inclinazione innovativa, ecc. e nonostante performance spesso positive, la sensazione è di trovarsi di fronte ad un sistema “al bivio”. Metà delle aziende sembrano arroccate su posizioni difensive, che puntano ad una protezione delle quote di mercato (44,2%), quote importanti sembrano invece orientate a cercare clienti anche in altri settori, magari cercando di recuperare parte della redditività erosa dalle pressioni che vengono da un sistema iper-competitivo. Per altre l’incertezza, generata dal calo della domanda di aziende leader della filiera e da un dilagante senso indeterminatezza sulle prospettive future dei principali players, porta a dichiarare un ampliamento della gamma produttiva.
208
Fig. 24 I principali obiettivi (valori percentuali) 50,0 44,2 40,0 27,3
30,0
20,0 11,3
10,0
7,7 4,3
0,0 Proteggere/aumentare Diversificare quote mercato
Ridurre costi
attività
Mantenere ritmo Ampliare gammatecnologia
Filiera
campionario
Non filiera
Le prospettive, almeno in relazione al primo cliente, peri prossimi due-tre anni sembrano indicare un certa stabilità, almeno per metà della filiera. Il sistema sembra non andare, nel suo complesso, verso modificazioni sostanziali. In previsione, la delocalizzazione appare una scelta di pochi, anche se non pochissimi116, spesso orientata ad aree del mezzogiorno italiano per realizzare attività di assemblaggio. Non si ravvedono neppure segnali di mutamento sostanziale nelle reti di fornitura, che nonostante le pressioni sui costi di questi anni non sembrano portare le aziende a rivolgersi a paesi low cost (solo il 14,9% prevede di aumentarne il ricorso). La fornitura avrà verosimilmente un orizzonte più nazionale (almeno per il 19,5% delle aziende). Processi di crescita esterna riguardano il 20% delle aziende, con una predilezione per ipotesi di alleanze su specifici progetti. Meno rilevanti appaiono i casi di joint venture, fattore dettato senz’altro dalla modesta impronta multinazionale della filiera. È interessante infine l’emergere di una crescente attenzione per la tutela delle innovazioni, dimostrata dal 23,3% degli operatori.
116
Quelle interessante risultano il 17% del campione. È lecito tuttavia supporre che la ridotta numerosità aumenti il margine di errore. Il dato puntuale perciò richiede una cautela di utilizzo. 209
5.3.2 Un’analisi tipologica La necessità di indagare una filiera, piuttosto che un distretto (tali sono gli altri sistemi locali analizzati), ha implicato un procedimento metodologico diverso e quindi una trattazione in parte distinta dalle precedenti. Una impresa infatti appartiene al distretto quando vi è localizzata, ma nel caso della filiera la situazione è diversa. La presenza locale e l’appartenenza ad uno dei settori coinvolti, non significa giocoforza che una impresa operi all’interno della filiera oggetto dell’analisi. È vero che l’indagine campionaria ha identificato le imprese che dichiarano di lavorare in questo momento per la filiera 2.3 ruote, ma è altrettanto provato che la filiera manifesta una certa permeabilità. Innanzitutto, molte imprese non operano in maniera esclusiva per le 2.3 ruote. In secondo luogo, per le stesse ragioni, può essere benissimo che alcune aziende che prima lavoravano per una delle aziende del ciclo e motociclo, ora ne siano uscite. In terzo luogo, la tendenza a diversificare la propria attività rappresenta una strategia prioritaria per molte imprese, anche nel prossimo futuro. Per tutte queste ragioni l’analisi tipologica reintroduce il concetto settoriale oltre che di filiera, cercando di dare enfasi a quelle connotazioni che caratterizzano tutte le imprese operanti nei settori più rappresentativi della filiera, non volendo escludere a priori quei casi in cui l’entrata e uscita dalla rete di fornitura delle 2.3 ruote rappresentano oneri modesti e che quindi sono potenzialmente interessate da considerazioni, anche di policy, sulla filiera. Pertanto la trattazione qui di seguito evidenzierà i casi appartenenti alla filiera accertati in un contesto più ampio, quello di settore.
Performance L’analisi tipologica rafforza la percezione che gli appartenenti alla filiera abbiano giovato della forza trainante di imprese leader, in grado di aiutare un sistema in un momento delicato per molta parte dell’industria nazionale. Tuttavia solo una parte della aziende della filiera ha saputo o potuto cogliere questa opportunità, quelle con una dimensione più significativa. Complessivamente si può affermare che:
In termini di performance la cluster analysis evidenzia la presenza di tre gruppi, dai quali si desume che appartenere alla filiera 210
paga, ma solo se si hanno dimensioni sufficienti a saper rispondere “proattivamente” agli stimoli dei leader. A crescere infatti è sono, tendenzialmente117, le imprese del cluster composto da piccole e medie imprese, metà delle quali inserite nella filiera (52,2%); arretra invece la dinamica di quello formato da piccole aziende, anche in questo caso in grande parte inserite nella filiera (41,7%). Nel terzo prevalgono le aziende di micro-dimensioni (0-9 addetti) estranee alla filiera (84,8% dei casi).
Non serve invece vendere sul mercato finale (il 56,5% non lo fa) o occupare posizioni vicine al mercato, visto che la metà delle aziende del cluster opera come fornitore di secondo livello e più.
I clienti prioritari del gruppo dinamico sono più frequentemente nazionali (41,3%), mentre quanti lavorano per le 2.3 ruote locali (il cluster 3 nel 47,2% dei casi) sono quelli con dimensioni più contenute e che hanno consolidato risultati negativi.
I più dinamici hanno anche una maggiore proiezione internazionale (39,4% dei casi), grazie anche ad una organizzazione interna più strutturata rispetto agli altri cluster ed un sostegno che potrebbe venire anche da una partecipazione più frequente a consorzi (28,3% dei casi).
La dinamicità si accompagna anche ad in spinta innovativa più manifesta. Metà delle imprese del cluster affermano di avere introdotto prodotti tecnologicamente modificati, e il 45,7% di avere adottato metodi di produzioni nuovi, inclinazione che non si riscontra nell’altro gruppo, quello dei componentisti inseriti nella filiera locale, tra i quali la propensione ad innovare risulta la più modesta del campione118.
I più dinamici risultano inseriti oltre che in reti più lunghe, anche in sistemi di relazioni più dense. Essi stessi ricorrono spesso a fornitori per la realizzazione di parti essenziali del prodotto (73,9% dei casi), in un numero stabilmente superiore ai 10 soggetti
117
Il 56,5% delle aziende del cluster dichiarano un fatturato in crescita nel biennio 20022004. prevalgono invece performance stabili nel cluster 1 (63%) e quelle negative nel cluster 3 (100% dei casi entro gruppo). 118 L’innovazione sembra essere accompagnata anche ad una formalizzazione più spiccata, anche se le ridotte numerosità rendono incerta questa affermazione. Il dato puntuale è quindi da considerarsi con tutte le cautele del caso. Quanti hanno depositato almeno brevetto alla fine del 2004 sarebbero il 28,3% del cluster. 211
(76,5%), tipicamente nazionali (82,4%) più di quanto non emerga tra le imprese degli altri cluster.
I dinamici infine più spesso degli altri hanno introdotto, o stanno per farlo, processi di certificazione della qualità (63% dei casi); certificazione che invece è piuttosto rara tra quanti operano in una filiera locale.
Mercato L’approccio di clustering “mercatistico” evidenzia altre realtà interessanti del sistema pisano:
Emerge infatti un raggruppamento di aziende appartenenti ai settori tipici delle filiera 2, 3 ruote fortemente impegnate sul mercato finale (84,4% dei casi entro gruppo). A prevalere è la vendita con marchio proprio (62,5% del totale), nella metà dei casi con rete distributiva propria (53,1%)119.
La presenza sul mercato aiuta pertanto ad evidenziare alcuni comportamenti virtuosi, ma l’interesse viene soprattutto dal fatto che permette di delineare un gruppo di imprese, interessate, almeno potenzialmente, alla rete 2, 3 ruote, che però ne sono al di fuori nel nei due terzi dei casi, e crescono grazie alla forza di un marchio proprio.
Hanno una clientela prioritaria in ambito nazionale (62,5% dei casi), ma hanno una grande proiezione internazionale, esportando in 9 casi su 10.
Hanno una organizzazione più strutturata, in cui ricerca e sviluppo sono più presenti rispetto agli altri cluster, così come l’engineering, ma anche il commerciale e i servizi post vendita.
Utilizzano più spesso fornitori per realizzare parti essenziale del prodotto venduto (78,1%)
hanno nell’innovazione di prodotto la leva innovativa prevalente (62,5% dei casi), più di quanto non si rilevi negli altri gruppi.
119
La rete distributiva nei settori interessati, diversamente rispetto agli altri sistemi locali, appare modestamente rilevante anche per avere riscontri di performance positivi. Nel cluster 2, dove tutte le imprese hanno una rete propria, si rilevano anche le peggiori evoluzioni di fatturato. 212
Spesso l’innovazione si accompagna alla presenza di una tutela formale120.
Operare sul mercato finale sembra richiedere una qualche forma di certificazione della qualità, visto che il 59,4% delle aziende del cluster dichiara di esserne in possesso o di avere avviato la procedura per acquisirla.
Il futuro prossimo non sembra riservare strategie diverse dagli altri gruppi, a parte il maggiore sviluppo della rete distributiva interna per il 45,2% delle aziende del cluster a mercato.
Innovazione L’innovazione sembra avere pagato di per sé, a prescindere la tipo di innovazione realizzata. Non sembrano infatti esserci sostanziali differenze di performance tra chi ha fatto innovazione di processo e chi quella di prodotto. Tra i più innovativi il 40% ha visto crescere il proprio fatturato nel biennio analizzato, percentuale che scende al 38,4% nel cluster degli innovatori di prodotto, mentre non va oltre il 26,4% tra i non innovatori.
l’innovazione appare permeare tutto il sistema, anche se appare più presente tra le piccole e medie aziende (10 addetti e oltre).
La minore dimensione dei non innovatori si associa una articolazione funzionale inferiore, e quindi (per converso) la maggiore presenza di attività di ricerca e sviluppo ed engineering tra gli innovatori, soprattutto tra quelli impegnati sul prodotto.
Si può inoltre affermare il coinvolgimento lievemente più esteso da parte delle aziende operanti nella filiera 2.3 ruote. Il cluster meno innovativo presenta una quota di aziende coinvolte nella filiera vicina al 32%, che sale al 42% nel raggruppamento più innovativo121.
Anche l’approccio innovativo enfatizza l’importanza della certificazione di qualità, presente in oltre il 40% delle aziende innovatrici, mentre non supera il 24,6% nel cluster più estraneo all’innovazione.
120
La bassa numerosità impone una certa cautela nel trattare il dato puntuale che riporta una 43,8% di aziende in possesso di almeno un brevetto al 31 dicembre 2004. 121 Il dato relativo agli innovatori di prodotto appare purtroppo poco significativo, in ragione della modesta numerosità della aziende clusterizzate. 213
Entrando più nello specifico, il cluster più innovativo è composto da aziende con una dimensione lievemente superiore.
Sono presenti soprattutto produttori di semilavorati o di imprese di lavorazione conto-terzi (58% dei casi).
Nel 42% dei casi lavorano per la filiera 2.3 ruote.
In 4 casi su 10 esportano.
Usano fornitori per parti essenziali del prodotto (64% dei casi).
Hanno realizzato innovazioni di prodotto 7 volte su 10, e di processo nella totalità dei casi.
La certificazione è un risultato del 40,8% delle aziende.
Il secondo cluster, quello degli innovatori di prodotto, ha connotazioni molto diverse, non tanto per la dimensione della aziende presenti, prevalentemente piccole e medie, ma perché:
Sono presenti più aziende posizionate a valle della catena produttiva; il cluster si divide tra imprese che operano sul mercato finale con marchio proprio e che producono semilavorati o lavorazioni per altre aziende.
L’innovazione è fortemente connessa alla introduzione di nuovi prodotti nella totalità dei casi. Probabilmente dovuta al posizionamento rispetto al mercato che tra l’altro non sembra richiedere l’introduzione di innovazione nel processo.
Diffusa presenza di certificazione della qualità (61,9% dei casi).
Struttura L’approccio per struttura identifica quattro cluster poco differenziati. I risultati appaiono inoltre condizionati da numerosità limitate e risultati di incerta chiarezza. Limitandoci agli esiti che meritano più attenzione, si può azzardare che nel cluster dove si concentrano le microaziende la dinamica del fatturato è stata più modesta. Un ulteriore elemento che merita attenzione, ma che necessita di ulteriori conferme, è che la partecipazione a gruppi o a consorzi sembra aver pagato in termini di performance del fatturato. Si tratta, è bene ricordarlo, di evidenza “deboli”, che vanno valutate solo in funzione degli esiti più complessivi dell’analisi della filiera e dei riscontri avuti dagli altri approcci di indagine.
214
Elementi trasversali Ognuna delle quattro cluster analysis mette in luce prospettive diverse di uno stesso sistema. Le diverse inquadrature sono state scelte per valorizzare alcuni esiti dell’analisi descrittiva, ma anche per avvalorarne altri. La maggiore dinamicità della filiera rispetto al resto del sistema, alla luce della clusterizzazione per dinamica e per mercati soprattutto sembra portare a fotografie diverse. La visione prospettica ha restituito l’immagine di un sistema disomogeneo dove chi opera per i players locali ha risultati peggiori di chi è riuscito ad affrancarsi dal sistema locale e inserirsi in catene più lunghe. Ma emerge anche un sistema di imprese che operano sul mercato finale con un marchio proprio e che hanno risultati altrettanto positivi in un momento poco favorevole. La propensione ad innovare e il tipo di innovazione premiante sono altri elementi caratterizzanti, così come l’impegno nella certificazione di qualità. Complessivamente si può affermare che, confrontando i diversi approcci di clustering sul campione, i principali fattori vincenti risultano:
la partecipazione alla filiera 2.3 ruote
la proiezione internazionale
l’utilizzo di fornitori per parti essenziali
l’innovazione di prodotto
l’innovazione di processo
la certificazione di qualità.
215
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: QUALI IPOTESI DI POLICY
Questa ricerca si conclude in un momento che presenta motivi di rinnovata attenzione sul tema delle politiche distrettuali, poiché per la prima volta dall’ormai lontano 1991 il tema è oggetto di proposte a livello nazionale. In particolare quella elaborata nell’ambito del CNEL e propugnata in interventi pubblici dal prof. Sylos Labini, ripropone la questione della istituzione di un “organo di coordinamento e di indirizzo” del distretto riconosciuto, al quale assegnare un adeguato fondo di dotazione per svolgere alcune funzioni di primaria importanza (sportello per le imprese per tutti gli adempimenti amministrativi, con assistenza legale, amministrativa, tecnica, finanziaria e fiscale; attività di diffusione delle innovazioni e assistenza in progetti innovativi di grande rilevanza; gestione dei rapporti con l’Unione Europea; promozione sui mercati delle produzioni del distretto). In altri termini la proposta CNEL – Sylos Labini esprime l’esigenza di un rafforzato riconoscimento dell’identità distrettuale anche sul piano dei processi decisionali delle politiche. All’interno della Legge Finanziaria approvata per il 2006, (in particolare ai commi 366-372), il governo ha poi avanzato l’ipotesi di una serie di agevolazioni fiscali e finanziarie, misure di contenimento del rischio creditizio e semplificazioni burocratiche che privilegiano le forme di aggregazione distrettuale, con meccanismi per favorire l’accesso al credito delle piattaforme e delle imprese che ne fanno parte. Si ipotizza inoltre l’istituzione di un’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione. Non vi è dubbio che, al di là delle valutazioni che si possono compiere su queste proposte, esse vadano apprezzate se non altro per il fatto che ripropongono l’urgenza di una considerazione “in positivo” del patrimonio distrettuale, che parta – pur nella consapevolezza delle gravi minacce e dei motivi intrinseci di debolezza – innanzi tutto dalla constatazione del grande contributo che ha dato e dà alla crescita ed alla competitività dell’economia italiana. Anche in Toscana questo contributo è il punto di partenza imprescindibile per qualsiasi considerazione in ordine alle strategie di sviluppo dell’economia regionale.
216
Da questa ricerca emergono in effetti più di una conferma di questa forza e confermata è pure la vitalità di alcuni fattori competitivi, quali soprattutto: √
la qualità e l’innovatività dei prodotti, in ragione specialmente di alcuni contenuti caratterizzanti (tecnici, di moda, ecc.);
√
la capacità di specificazione dei prodotti, resa possibile da una grande flessibilità di gestione dei cicli produttivi e dall’arricchimento “neo-industriale” dei prodotti con contenuti innovativi di servizio;
√
l’affidabilità logistica di prim’ordine, determinata dalla capacità di contrarre e garantire i tempi di consegna.
Le imprese dei distretti analizzati, consapevoli di questi punti di forza, sembrano orientate a costruire il proprio futuro attorno a due principali orientamenti strategici. In primo luogo, si perseguono posizionamenti di nicchia, all’interno delle fasce di mercato a più alto valore aggiunto. Tuttavia questi posizionamenti risultano sostenibili nel tempo solo a condizione che siano espressi su ampia scala (tendenzialmente globale) e che siano gestiti con grande adattabilità e flessibilità al mutare delle condizioni di mercato (congiunturali e strutturali). Ciò implica, in secondo luogo, che le imprese possano contare su robuste filiere produttive, altrettanto robustamente connesse ad adeguati canali di distribuzione.
I comportamenti caratterizzanti Questa ricerca si è sviluppata, come già spiegato nel capitolo metodologico, su tre livelli di analisi: quello delle tendenze di fondo dei settori (come viste e percepite sia dall’interno che dall’esterno dei distretti da parte di alcuni “testimoni privilegiati”); quello dei comportamenti strategici delle imprese leader; quello dei comportamenti strategici delle imprese distrettuali nel loro complesso. Nelle tabelle che seguono le considerazioni conclusive abbiamo messo in evidenza alcuni comportamenti che riteniamo caratterizzanti le diverse tipologie di imprese esaminate. Sottolineiamo che trattasi di comportamenti caratterizzanti, non di ricette di successo. Nondimeno alcune valutazione trasversali alle diverse situazioni territoriali e distrettuali meritano, a nostro avviso, di essere poste all’attenzione del lettore. 217
Differenziazione e divaricazione: filiere e distretti Tra i risultati della ricerca emerge soprattutto il fatto che, nei sistemi territoriali analizzati, si registra una crescente differenziazione nei percorsi strategici perseguiti dalle singole imprese o da taluni comparti manifatturieri, differenziazione che non ha ovviamente significati solamente economici. In particolare, sono state osservate interessanti dinamiche, in termini di emersione di talune imprese leader che, con i loro comportamenti strategici, hanno attivato nuove fonti di competitività a loro favore e, più in generale, a favore del sistema produttivo locale. Inoltre, la ricerca ha evidenziato una crescente dissociazione evolutiva tra i diversi comparti della filiera distrettuale: ad esempio i destini competitivi dei produttori di macchine e impianti appaiono sempre meno dipendere dalle sorti delle imprese distrettuali locali e sempre più dall’emergere, in varie aree del mondo, di nuovi poli di specializzazione manifatturiera. Come si è formato e perché questa crescente varietà strategica interna al distretto? In particolare, che cosa ha portato all’emergere di imprese leader aventi comportamenti strategici differenziati tra loro? Un’ipotesi interpretativa che ci pare rafforzata dalle analisi sviluppate in questa ricerca è la seguente. Nel corso degli ultimi venti, trent’anni, la community economica ed intellettuale e i policy makers hanno alimentato un dibattito attorno al quale si sono formati modi comuni di pensare e di interpretare il cambiamento, suggerendo, per questa via, alle imprese distrettuali le uniche e possibili “one best way” strategiche. In altri termini, a fronte di una specifica discontinuità esogena e radicale verificatasi negli scenari competitivi, sono stati lanciati segnali alle imprese sulla direzione del cambiamento strategico che le stesse dovevano apprestare e perseguire, per la risoluzione dei loro problemi e per il perseguimento di determinati specifici obiettivi competitivi. Così, alla fine degli anni ‘70 in molti hanno iniziato a porre il problema di una nuova discontinuità di mercato legata alla destrutturazione della domanda in termini di maggiore variabilità, varietà e imprevedibilità della stessa. Come risolvere questo specifico e nuovo problema competitivo? La soluzione strategica proposta è stata rappresentata da un orientamento verso la differenziazione dei prodotti realizzati incorporando maggiori contenuti stilistici, di design e di creatività e ampliando, sostanzialmente, la gamma dei prodotti realizzati tramite opportune tecniche di differenziazione intrinseca. Di fatto, le imprese hanno perseguito queste 218
strategie di ampliamento del campionario e di differenziazione del prodotto. In definitiva, in questi anni si è andato affermando un attrattore nuovo, una sorta di slogan, di meta collettiva verso cui le imprese dovevano orientarsi e questa era rappresentata dalla cosiddetta flessibilità produttiva. Negli anni ‘80, il riposizionamento di taluni segmenti della domanda presenti nei mercati occidentali ha portato ad una maggior attenzione alle caratteristiche qualitative dei prodotti. Si è cercato di rispondere a una ricomposizione qualitativa della domanda dovuta ai maggiori livelli di benessere, al maggior livello di informazione e al maggior livello di attenzione del consumatore verso la qualità del prodotto, con un processo strategico nuovo che mette al centro dell’attenzione dell’impresa la qualità del prodotto. Si è dunque realizzato, a fronte di questa discontinuità della domanda una nuova “one best way” strategica. Non era più il mito della flessibilità ma il nuovo attrattore, il nuovo slogan era la qualità del prodotto. Come realizzare questo obiettivo, questo slogan? La “one best way” strategica di questa cultura della qualità del prodotto veniva mutuata, in buona misura, da tecniche e modelli di matrice giapponese, quali la lean production, il kanban, il Just In Time e il Total Quality Management. Ecco dunque questa nuova moda manageriale, questa nuova “one best way” strategica. Negli anni ‘90, si assiste ad una nuova discontinuità radicale esogena che viene, non dai mercati di sbocco, ma dalla tecnologia. Tutti parlano dell’emergere di nuove traiettorie tecnologiche, addirittura di nuovi paradigmi tecnologici applicati alla manifattura. Si pensi all’introduzione dell’elettronica nel telaio (il passaggio dal telaio meccanico al telaio elettronico) alle nuove tecnologie per la progettazione dei prodotti (tecnologie CAD), alle nuove tecnologie per la comunicazione tra gli attori (vale a dire la Information and Communication Technology). Gli anni novanta si delineano, quindi, come gli anni della discontinuità radicale esogena data dalla tecnologia. Qual’era la “one best way” strategica, questo nesso casuale tra la discontinuità e il comportamento strategico delle imprese? La discontinuità determina una cultura tecnologica delle imprese: grandi investimenti che vengono realizzati in questi anni sono mirati a potenziare le capacità tecnologie, spesso, però, con elevati vincoli organizzativi. L’attrattore è costituito quindi dalla tecnologia. Dalla seconda metà degli anni ‘90, qual è la nuova frontiera? Qual è la nuova discontinuità? La nuova discontinuità è l’emergere dei nuovi Paesi nello scenario mondiale che producono prodotti, ma anche nuovi Paesi 219
che consumano prodotti. Si afferma un nuovo scenario di globalizzazione che comporta l’emergere di nuovi imperativi strategici. Questa discontinuità di nuovi mercati, di nuovi produttori è una discontinuità forte, che comporta un nuovo imperativo strategico, una nuova “one best way” strategica rappresentata dall’avvio di processi evoluti di internazionalizzazione delle imprese. Sotto questo aspetto, internazionalizzazione delle imprese non vuol più dire solo esportare nei mercati tradizionali, ma cercare di conquistare queste nuove aree di sbocco per la commercializzazione dei prodotti realizzati per avviare processi di internazionalizzazione produttiva. Il nuovo attrattore è quindi quello della internazionalizzazione nei Paesi emergenti. Su questa logica, oggi si parla insistentemente e anche uniformemente della discontinuità generata dal retailing. In risposta ai cambiamenti che si sono verificati esogenamente al distretto, nei comportamenti di soggetti esterni, quali i distributori, sta emergendo una nuova “one best way” strategica per le imprese. In molti ritengono, infatti (e questa ricerca lo testimonia), che una discesa nelle attività a valle della catena del valore possa condurre, in futuro, a maggiori probabilità di successo sui mercati. Questo percorso storico, basato su un nesso tra le discontinuità esogene rilevate e i cambiamenti strategici perseguiti da talune imprese, ha portato all’emergere non solo di alcune imprese leader ma, soprattutto, di una crescente differenziazione strategica tra le stesse. In altri termini, un’impresa che nel corso degli anni ottanta ha fatto investimenti rilevanti specifici con una attenzione molto consistente alla cultura qualitativa del prodotto, è andata nel corso del tempo approfondendo questo sentiero strategico, migliorando l’organizzazione attorno a questo snodo strategico. È evidente che oggi tale impresa è riuscita a costruire la sua posizione di leadership in funzione del sentiero strategico perseguito, ossia della cultura qualitativa di prodotto maturata. Altre imprese hanno puntato su altri sentieri di crescita ed espansione come, ad esempio, l’internazionalizzazione oppure la tecnologia. Ecco dunque, come conseguenza di questo processo, l’emergere di una crescente varietà strategica delle imprese leader all’interno dei distretti, ma pur sempre nell’ambito del paradigma distrettuale e, forse, non esplorando pienamente nemmeno tutte le potenzialità della strategia perseguita. Non stupisce che le più dinamiche di tali imprese oggi si pongano in una prospettiva strategica che guarda decisamente oltre il distretto e che di conseguenza alla politica si richieda di accompagnare la loro crescita dimensionale, organizzativa, commerciale e tecnologica. E che questa si 220
rifletta sull’intero sistema. Non foss’altro perché una parte vitale riduce il suo radicamento nel sistema locale, o perché “trascina” i suoi fornitori strategici, o perché per meccanismi imitativi, tipicamente distrettuali, si è propagata verso altre realtà di impresa. Moltiplicando così la varietà di percorsi all’interno del sistema. Una varietà fatta anche dalla moltiplicazione dei settori fondanti il sistema, nati funzionalmente alla presenza del “main sector”, ma oggi sempre più orientati a strategie autonome e non necessariamente collimanti con esso. Appare quindi chiaro che la politica, se non vorrà disperdere i capitali di conoscenza e le eredità storiche dei sistemi locali, non potrà esaurirsi nel sostegno alle imprese leader, ma neppure limitarsi ad una logica che privilegi il main sector. Altrettanto importante ci pare che debba essere la consapevolezza dei rischi di disgregazione, che questa disomogeneità crescente di comportamenti strategici sta inducendo nei distretti e nei sistemi locali. E’ una disgregazione che non tarda a tradursi in perdita di “capitale sociale” ed in una crescente incapacità di individuare percorsi collettivi di crescita delle economie locali, oltre che di fornire adeguato sostegno “dal basso” alle leadership imprenditoriali emergenti. Si parla molto oggi, e ve n’è eco abbondante in questa ricerca, di politiche di filiera, ossia della necessità di sostenere connessioni più robuste e strette tra le diverse fasi del ciclo produttivo sino – come accennato poco sopra – alla distribuzione. E non vi è dubbio che il distretto tradizionale non possa essere un contenitore sufficiente ed efficiente delle relazioni di una filiera moderna, che nella maggior parte dei casi dovrà avere dimensioni tutt’altro che locali e invece globali. Ma riuscirà il distretto ad essere, se non contenitore, almeno snodo (e snodo strategico) di tali filiere? In questo il ruolo delle politiche può essere decisivo.
Le politiche dei capitali intangibili Le linee di tendenza discusse in questa ricerca hanno diverse implicazioni in termini di esigenze di policy, che si possono sintetizzare nella necessità di sviluppare le componenti intangible del processo produttivo: ⇒ capitale di conoscenza: Emerge l’esigenza di affrontare in modo prioritario e sistematico il problema della rigenerazione, codificazione e trasmissione dei “saperi taciti” dei distretti. I nuovi scenari della knowledge economy sono in stridente contraddizione 221
con lo stereotipo dell’impresa “senza cultura” che “agisce senza pensare” e pongono alla politica interrogativi spesso negletti sulla quantità e qualità della conoscenza prodotta e utilizzata nei distretti, a fronte della inadeguatezza delle tradizionali forme di sapere fondato sul fare. Il ruolo della politica su questi temi è reso ancor più incerto dall’evidente crisi delle istituzioni della “conoscenza collettiva” e pre-competitiva, quali i centri di servizi reali alle PMI. La questione non può essere affrontata solo con investimenti nella ricerca di base e applicata, ma anche attraverso un ripensamento più ampio del regional knowledge management ed in particolare della qualità delle relazioni esistenti tra i vari elementi dei sistemi territoriali (nazionale, regionale e locale) dell’innovazione; ⇒ capitale organizzativo: Si pone l’esigenza di sostenere senza remore e con efficacia le operazioni di aggregazione, partecipazione, concentrazione e fusione tra imprese, oltre che di crescita per via interna, a fronte di una realtà che denuncia una assoluta scarsezza delle operazioni di fusione ed acquisizione e di conseguenza un ritardo nei processi di internazionalizzazione finanziaria, produttiva e commerciale; ⇒ capitale relazionale: In alternativa e complemento alle strategie di crescita dimensionale tout court, sta il rafforzamento delle capacità relazionali delle imprese che devono permettere una varietà di forme di integrazione con i soggetti a monte ed a valle della catena del valore. La costruzione o ri-costruzione delle filiere si scontra per altro con l’esistenza di interessi talora tutt’altro che convergenti tra i soggetti collocati sulle diverse fasi della filiera stessa, tanto da richiedere un impegno di network building collettivo, che non può essere affidato alle sole dinamiche di mercato, ma richiede un ruolo attivo delle istanze associative e della politica. Legato a ciò è pure lo sviluppo di modalità di delocalizzazione evoluta, non mirata al semplice recupero a breve termine di vantaggi di costo (secondo il “modello Timisoara”). L’esigenza posta alle politiche è quella, invece, di valorizzare sinergie – spesso del tutto inesplorate – e avviare processi di apprendimento tra contesti produttivi diversi che permettano di costruire vantaggi comparati più solidi e duraturi, senza quei trasferimenti di fatto (e “gratuiti”) di conoscenza che in varie 222
forme sono avvenuti tra i distretti italiani e i paesi in via di sviluppo; ⇒ capitale umano: Snodo e vincolo per ogni strategia innovativa è la disponibilità di capitale umano adeguato a tutti i livelli. L’integrazione delle politiche della formazione in visioni condivise di sviluppo è confermata come esigenza preminente per dare credibilità alle strategie delle imprese distrettuali. Carenze evidenti emergono proprio nell’ambito delle risorse umane che dovrebbero essere dedicate alle relazioni con i nuovi mercati e con gli altri attori delle catene globali del valore. Tali carenze sembrano destinate ad accentuarsi in funzione di alcune scelte, come la tendenza al proliferare di poli di didattica universitaria pensati per “trattenere” giovani indigeni (con inevitabili fenomeni di selezione avversa) invece che per “attirare” giovani esogeni; ⇒ capitale digitale: L’esigenza di digitalizzazione e di investimenti sistematici nelle information technologies non appare tanto (o solo) mirato a migliorare le relazioni interne, ma soprattutto alle esigenze di gestione di filiere complesse e globalizzate, ossia come mediazione tecnologica di relazioni a grande distanza; ⇒ capitale finanziario: Emerge l’esigenza di superare una visione degli strumenti finanziari di supporto alle imprese (anche quando opportunamente mirati) come mero ossigeno di sopravvivenza in attesa di una ripresa congiunturale ed invece di ricostruire con modalità e contenuti aggiornati un rapporto strutturale virtuoso tra strategie di aggiustamento produttivo dei distretti e sistema finanziario. Ciò può avvenire attraverso lo sviluppo di strumentazioni finanziarie a supporto degli investimenti intangibili e con agevolazioni a strumenti di finanza innovativa, con particolare riferimento alla acquisizione (e all’eventuale dismissione) di partecipazioni di minoranza in PMI. Questa “lista di esigenze”, se analizzata sul piano della realizzabilità in termini di policies effettive, mette in evidenza tre ordini di problematicità che le politiche regionali sono chiamate ad affrontare. Queste problematicità riguardano rispettivamente le competenze, i contenuti e i metodi delle politiche. In primo luogo, si pone un problema di competenze. Non solo alcuni dei possibili strumenti eccedono le competenze dei governi regionali: ci 223
riferiamo in particolare a quelli che riguardano la regolazione dei rapporti con il sistema finanziario. Ma più in generale non sfugge che il problema dei distretti industriali e del loro futuro richiede ormai, accanto a (e possibilmente coordinata con) quella locale e regionale, una progettualità ed un intervento di ordine nazionale, se non altro per l’importanza che ha assunto la dimensione settoriale dei problemi e per l’esigenza di iniziative di stampo non localistico su temi quali l’innovazione tecnologica e l’internazionalizzazione. In secondo luogo si pongono problemi di contenuti, o meglio si pone il problema della non sostenibilità di politiche mono-tematiche e, per converso, la necessità di un approccio complessivo ai problemi di ristrutturazione e sviluppo dei distretti. Questo vale in modo particolare per le politiche della formazione e per le politiche promozionali, a cui dovrebbe richiedersi una forte coerenza con le strategie complessive di sviluppo. Sottolineiamo poi come la stessa innovazione tecnologica (oggetto di policy ormai conosciuto e praticato, seppure con alterni successi, in forme diverse) appaia sempre più condizione di competitività necessaria, ma non sufficiente. Così le politiche, mentre non possono deflettere dall’impegno a favore dell’innovazione, sono chiamate a confrontarsi con complementari esigenze di sviluppo delle relazioni con i mercati e più in generale di posizionamento delle imprese distrettuali nelle catene globali del valore. In terzo luogo, le metodologie di fondo delle politiche distrettuali devo essere rimesse in discussione. Non nuova è ad esempio la questione se la politica possa o debba avere come riferimento (unità di analisi che diventa “logicamente” unità di policy) il distretto in quanto aggregazione o le imprese distrettuali in quanto individualità, seppure caratterizzate dalla loro appartenenza al contesto distrettuale. E’ un tema delicato (anche perché ovviamente porta con sé problemi e scelte attinenti al sistema delle rappresentanze di interessi), ma che risulta accentuato in una fase in cui si rafforzano le disomogeneità di struttura, condotte e performance tra le imprese. Nemmeno nuova, ma sicuramente rafforzata, è la problematica della gestione dei mutamenti e delle “metamorfosi” distrettuali in cui entrano in gioco meccanismi ben conosciuti di lock-in funzionale, cognitivo e politico. Questi meccanismi sono necessariamente rafforzati da approcci bottom-up, ossia fondati su una incentivata progettazione diffusa: essa sicuramente può contribuire ad una maggiore e più concreta e pragmatica adesione alla varietà delle problematiche locali, ma rischia di 224
consacrare scelte di conservazione e protezione. Conseguenza di ciò è, in primo luogo, che il cambiamento tende ad essere affrontato in termini conservativi degli assetti produttivi e politici esistenti con modalità reattive piuttosto che pro-attive. In secondo luogo, le politiche, concentrandosi sull’esistente, possono risultare scarsamente attrezzate a sostenere le imprese nuove e i cluster proto-distrettuali e persino essere incapaci a riconoscerli. D’altronde, il distretto rimane unità di analisi e di politica rilevante, ma assolutamente non esclusivo, poiché esso – ripetiamo - è incapace di contenere tutte le relazioni produttive, cognitive e di mercato che oggi reggono una filiera robusta e competitiva. Di qui deriva una sfida, insieme concettuale e politica, a immaginare distretti “più che locali” ed al limite “de-territorializzati”, non solo evitando di penalizzare lo stabilirsi di relazioni che eccedono gli ambiti locali predefiniti, ma sollecitando e progettando una “politica estera” dei distretti che oggi appare altrettanto e forse più prioritaria delle tradizionali “politiche interne”.
225
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Vendono prodotti e semilavorati per altre imprese ma anche per il mercato finale Presenza di una rete distributiva propria; agenti e rappresentanti Fornitura a imprese di marchio Clientela prevalentemente nazionale e estera Funzioni Commerciale e Post vendita presenti frequentemente Promozione mediante partecipazione a fiere di settore. Frequenti contatti diretti e sviluppo portafoglio clienti esteri tramite agenti e rappresentanti all’estero
Prato
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Tab. 1 I leader ed il mercato
Vendono prodotti, componenti o semilavorati Fornitura di prodotto per imprese di marchio Presenza di rete distributiva propria; agenti e rappresentanti Clientela prevalentemente nazionale ed estera
Santa Croce
Principali evidenze imprese leader
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√ Vendono sul mercato finale o a imprese che vendono su mercato (distributori) Vendita con marchio proprio Presenza di rete distributiva propria Fornitura anche a imprese di marchio Clientela prevalentemente estera, o nazionale. Organizzazione commerciale con personale interno Distribuzione attraverso buyer e GDO Promozione con fiere, pubblicità e vendita diretta Nuovi canali distributivi Potenziamento rete distributiva
Arezzo
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√ Prodotti, componenti finite e semilavorati per altre imprese Vendono a grandi imprese di marchio Elevata dipendenza dal principale cliente (Piaggio) Pochi clienti-committenti Clientela prevalentemente nazionale e locale Commercializzazione con personale interno Promozione attraverso contatti frequenti con la clientela Il cliente partecipa alla progettazione, fornisce modelli e a volte tecnologia
Pisa
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226
Presenza di rete distributiva propria Clientela prevalente mente nazionale e estera
Totale
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Innovazione di prodotto, per chi opera sul mercato finale Innovazione di processo, per le aziende terziste L’innovazione avviene internamente all’azienda, soprattutto dagli input provenienti dal cliente Innovazione sostenuta da mezzi finanziari propri Limitato utilizzo di strumenti di protezione dell’innovazione tra i quali spiccano marchi di fabbrica e aumento di complessità nella progettazione
Prato
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Santa Croce
Innovazione di prodotto L’innovazione avviene internamente all’azienda Innovazione su imitazione Nessuno strumento di protezione dell’innovazione Innovazione sostenuta da mezzi propri
Tab. 2 I leader e l’innovazione
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√ Innovazione di prodotto L’innovazione avviene internamente all’azienda Possesso di brevetti Strumenti di protezione dell’innovazione: registrazione progetti industriali e marchi Innovazione sostenuta da mezzi propri
Arezzo
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√ Innovazione di processo L’innovazione avviene internamente all’azienda o trasferita dal committente Innovazione sostenuta da mezzi propri Nessuno strumento di protezione dell’innovazione Contributo dei consorzi nella diffusione dell’innovazione
Pisa
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227
Innovazione di prodotto Innovazione di processo Innovazione sostenuta da mezzi propri Nessuno strumento di protezione dell’innovaz ione
Totale
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Dimensione superiore ai 50 addetti Presenza di R&D, Engineering e Design Formazione del personale (interna ed esterna) Minimo decentramento produttivo Utilizzo consistente di fornitori Pluralità di fornitori (locali ed esteri) La funzione logistica è interna all’azienda
Prato
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Dimensione attorno ai 40 addetti Presenza di R&D, Engineering e Design, Controllo qualità Alcune fasi in subfornitura in ambito distrettuale Fornitori nazionali ed esteri Presenza di alleanze commerciali Logistica definita a volte dal committente Formazione del personale prevalentemente on the job
Santa Croce
Tab. 3 I leader e la loro struttura di impresa
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√ Dimensione superiore ai 40 addetti Produzione mono stabilimento Nessun decentramento estero Subfornitura in ambito distrettuale Fornitori locali con consegne a tempi programmati Partecipazione a gruppi
Arezzo
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√ Dimensione superiore ai superiore ai 40 addetti Scarsa la presenza di funzioni di R&D, engineering e design Certificazione di qualità Produzione mono stabilimento Non c’è decentramento produttivo Subfornitura in prevalenza localedistrettuale Pochi fornitori Presenza di alleanze in ambito distrettuale, finalizzate principalmente all’innovazione. Attenzione alla diversificazione produttiva. Frequente partecipazione a consorzi
Pisa
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228
Dimensione attorno ai 40 addetti Non c’è decentrame nto produttivo Alcune fasi in subfornitur a in ambito distrettuale
Totale
Proiezione internazionale Clienti prioritari nazionali ed esteri Concorrenza internazionale e nazionale Fattori rilevanti nella concorrenza: prezzo, qualità, livello tecnologico delle produzioni, innovatività
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Principali settori di destinazione: calzature e abbigliamento Proiezione internazionale Clienti prioritari nazionali ed esteri concorrenza nazionale ed internazionale vantaggi della concorrenza: prezzo e qualità
Santa Croce
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√ Elevata proiezione internazionale Clienti prioritari nazionali ed esteri Concorrenza locale e nazionale Fattori rilevanti nella concorrenza: immagine, rete distributiva, tecnologie nella produzione, qualità
Arezzo
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√
L’evoluzione per fatturato non evidenzia trend univoci, tendono invece a crescere gli addetti
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Prato
Tab. 4 Gli elementi caratteristici dei leader più dinamici Prevalente partecipazion a filiera 2-3 ruote Scarsa proiezione internazionale Concorrenza internazionale Fattori rilevanti nella concorrenza: su fattore prezzo, qualità e livello tecnologico della produzione
Pisa
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229
Proiezione internazionale concorrenza nazionale ed internazionale Clienti prioritari nazionali ed esteri vantaggi della concorrenza: prez e qualità
Totale
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Innovazioni e di processo, soprattutto acquisto e revisione macchinari Innovazioni di prodotto (sia progettazione nuovi prodotti, sia rinnovamento e restyling) Aumento della specializzazione produttiva Limitata propensione al decentramento all’estero Nessuna partnership né operazioni di finanza straordinaria Ricerca di nuovi mercati nazionali e internazionali (Australia, Russia, Canada, Cina) Apertura di nuovi show room all’estero (con altre imprese) Ricerca di un migliore rapporto prezzo/qualità Potenziamento rete distributiva
Prato
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Nessun cambiamento nell’organizzazione aziendale Nessuna diversificazione produttiva Innovazione di prodotto Nessuna partnership né operazioni di finanza straordinaria Diversificazione produzione (mobile e arredo) Ricerca di nuovi mercati (Cina/Ucraina) Potenziamento rete distributiva Miglioramento del time to market Riposizionamento verso fasce alte di mercato e nicchie di prodotto
Santa Croce
Tab. 5 Gli obiettivi delle imprese leader
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√
√ Pochi cambiamenti nell’organizzazione aziendale (ampliamento rete subfornitura, progettazione sistemi qualità e certificazione) Diffusa innovazione di prodotto Nuove linee di prodotto, rinnovamento e restyling Nessuna diversificazione produttiva Ricerca di nuovi mercati internazionali (EU e Extra-EU) Previste alcune partnership commerciali Marchi e immagine
Arezzo
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√ Revisione della struttura/funzioni Acquisto e revisione macchinari Diffusa innovazione di prodotto (rinnovamento e restyling9 Prevista attività di diversificazione produttiva e dei settori di sbocco Ricerca nuovi mercati nazionali Limitata propensione al decentramento all’estero Limitata propensione a partnership commerciali e produttive
Pisa
√
√
√
230
Innovazione di prodotto Limitata propension e al decentrame nto all’estero Ricerca nuovi mercati
Totale
Partecipazione a gruppi
Innovazione di processo Possesso di brevetti
Partecipazione a consorzi
Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Proiezione internazionale
Proiezione internazionale
Produzione decentrata
Presenza di rete distributiva propria
Santa Croce Fornitura di prodotto per imprese di marchio
Fornitura di prodotto a imprese non di marchio, o lavorazioni per altre imprese Presenza di rete distributiva propria
Prato
Partecipazione a consorzi Potenziamento futuro rete distributiva
Innovazione di prodotto Innovazione di processo Possesso di brevetti Tutela innovazione con marchio
Clientela prioritaria nazionale e estera Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori
Presenza di rete distributiva propria
Arezzo
Tab. 1 Gli elementi caratteristici delle imprese più dinamiche
Principali evidenze dei sistemi locali
Partecipazione a consorzi
Certificazione di qualità
Innovazione di prodotto Innovazione di processo Possesso di brevetti
Partecipazione a filiera 2-3 ruote Clientela prioritaria nazionale Proiezione internazionale Utilizza più frequente di fornitori
Pisa
Partecipazione a consorzi
231
Innovazione di prodotto Innovazione di processo Possesso di brevetti
Proiezione internazionale
Presenza di rete distributiva propria
Totale (§)
La propensione ad innovare è legata alla dimensione di impresa
Santa Croce √ Imprese piccole e medie
Arezzo Note
(*) relazione debole, (§) fattori emersi almeno da tre approcci di clustering
√
Prato √ Imprese medie e piccole
Pisa
Totale (§)
232
Potenziamento futuro rete distributiva
Funzioni di R&D, Design, Commerciale e Post vendita presenti più spesso
Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto
Limitata fornitura a imprese di marchio Presenza di rete distributiva propria Clientela prioritaria nazionale
Prato Vendono soprattutto sul mercato finale con marchio proprio
Funzioni di R&D, Design, Commerciale, Post vendita e Logistica presenti più spesso
Presenza di rete distributiva propria Clientela prioritaria nazionale, secondariamente estero Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori
Vendono prevalentemente prodotti intermedi
Santa Croce
Partecipazione a consorzi Potenziamento futuro rete distributiva
Tutela innovazione con marchio
Presenza di rete distributiva propria Clientela prioritaria nazionale, secondariamente estera Presenza di rete distributiva propria Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto Innovazione di processo Funzioni di R&D, Design, Commerciale e Post vendita presenti più spesso
Arezzo Vendono sul mercato finale con marchio proprio
Tab. 2 Gli elementi caratteristici delle imprese più vicine al mercato
Potenziamento futuro rete distributiva
Certificazione di qualità
Funzioni di R&D, Design, Commerciale e Post vendita presenti più spesso Possesso di brevetti
Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto
Presenza di rete distributiva propria Clientela prioritaria nazionale
Pisa Vendono sul mercato finale con marchio proprio
233
Potenziamento futuro rete distributiva
Funzioni di R&D, Design, Commerciale presenti più spesso
Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto
Presenza di rete distributiva propria Clientela prioritaria nazionale
Totale (§) Vendono sul mercato finale con marchio proprio
Nel commerciale le competenze più deboli Performance migliori
√
√
√
In R&S e commerciale le competenze più deboli Realizzano autonomamente il campionario Performance migliori
Santa Croce √
(§) fattori emersi almeno da tre approcci di clustering
√
√
Prato Performance migliori
Arezzo Note √ Solo il gruppo presente sul mercato con marchio proprio ha performance marcatamente migliori
Pisa
Totale (§)
234
Tutela innovazione con Incremento delle competenze
Tutela innovazione con Incremento delle competenze
Innovazione di processo
Possesso di brevetti Tutela innovazione con marchio Tutela innovazione con Incremento delle competenze
Innovazione di processo
Innovazione di prodotto
Utilizzo più frequente di fornitori
Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Utilizzo più frequente di fornitori
Clientela principale nazionale e estero
Presenza di rete distributiva propria
Arezzo Vendono sul mercato finale con marchio proprio
Proiezione internazionale
Concorrenza non locale
Più frequente fornitura di prodotto per imprese di marchio
Santa Croce
Proiezione internazionale
Presenza di rete distributiva propria
Prato
Tab. 3 Gli elementi caratteristici degli innovatori
Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Proiezione internazionale
Partecipazione a filiera 2-3 ruote
Pisa
Innovazione di prodotto Innovazione di processo
235
segue
Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori
Totale (§)
Innovatori di prodotto lamentano competenze insufficienti nel commerciale Il gruppo dei più innovatori di divide tra micro aziende (1-9 addetti) e piccole (1049) Il gruppo degli innovatori di prodotto è simile ai non innovatori, prevalgono le micro aziende
Partecipazione a consorzi
Certificazione di qualità
Santa Croce Funzioni di R&D e Design presenti più spesso
(§) fattori emersi almeno da tre approcci di clustering
√
√
√
Partecipazione a gruppi
Prato Funzioni di R&D e Design presenti più spesso
√
√ Il gruppo dei più innovatori è fatto di imprese piccole Il gruppo degli innovatori di prodotto è fatto di imprese micro e piccole
Potenziamento futuro rete distributiva Note
Partecipazione a consorzi
Arezzo Funzioni di R&D, Design, Commerciale e Post vendita presenti più spesso
√
Nel gruppo dei più innovatori sono meno presenti le micro imprese
Pisa Funzioni di R&D, Design, soprattutto tra innovatori di prodotto Certificazione di qualità
√
236
Prevalgono le piccole imprese (10-49 addetti)
Totale (§) Funzioni di R&D e Design, presenti più spesso
Partecipazione a gruppi Partecipazione a consorzi Potenziamento futuro rete distributiva
Partecipazione a gruppi Partecipazione a consorzi
Innovazione di processo
Innovazione di processo
Funzione R&D presente più spesso
Proiezione internazionale
Presenza di rete distributiva propria
Santa Croce
Proiezione internazionale Utilizzo più frequente di fornitori
Prato
Partecipazione a consorzi Potenziamento futuro rete distributiva
Certificazione di qualità
Innovazione di prodotto Innovazione di processo Tutela innovazione con marchio
Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Proiezione internazionale
Pisa
Partecipazione a filiera 2-3 ruote Proiezione internazionale
Arezzo Vendono sul mercato finale con marchio proprio Presenza di rete distributiva propria Clientela principale non locale
Tab. 4 Gli elementi caratteristici delle imprese più strutturate
Partecipazione a consorzi
Innovazione di processo
Proiezione internazionale
Totale (§)
237
Solo la partecipazione a gruppi è associata a risultati di fatturato migliori Le più dinamiche sono imprese micro e piccole che fatturano prevalentemente tra i da 500 mila a 1,5 milioni
√
√
Solo la partecipazione a consorzi è associata a risultati di fatturato migliori Imprese piccole che fatturano prevalentemente tra i da 500 mila a 1,5 milioni
Santa Croce √
Note Solo la partecipazione a consorzi è associata a risultati di fatturato migliori
Arezzo
(§) fattori emersi almeno da tre approcci di clustering
√
√
Prato √ Imprese piccole e medie che fatturano prevalentemente tra i da 500 mila a 1,5 milioni (*)
Pisa
√
√
238
Ad Arezzo e Santa Croce è la partecipazione a consorzi che si associa a performance migliori A Prato e Pisa è invece la partecipazione a gruppi che si associa a performance migliori
Totale (§)
Partecipazione a consorzi
Partecipazione a consorzi Potenziamento futuro rete distributiva
Tutela innovazione con marchio
Clientela prevalentemente nazionale e estero Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Arezzo Vendono sul mercato finale con marchio proprio Presenza di rete distributiva propria Proiezione internazionale
(§) fattori emersi almeno da tre approcci di clustering
Funzioni di R&D presenti più spesso
Innovazione di processo
Innovazione di processo
Presenza di rete distributiva propria Proiezione internazionale
Presenza di rete distributiva propria Proiezione internazionale
Utilizzo più frequente di fornitori
-
Santa Croce
-
Prato
Tab. 5 Gli elementi trasversali ai diversi approcci di clustering
Certificazione di qualità
Possesso di brevetti
Utilizzo più frequente di fornitori Innovazione di prodotto Innovazione di processo
Proiezione internazionale Partecipazione a filiera 2-3 ruote
-
Pisa
239
Innovazione di processo
Utilizzo più frequente di fornitori
Presenza di rete distributiva propria Proiezione internazionale
-
Totale (§)
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Textile,
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242
RINGRAZIAMENTI Sentiti ringraziamenti vanno a tutti coloro che hanno dedicato tempo e professionalità alla ricerca, senza coinvolgerli nella responsabilità per quanto scritto. Il nostro riconoscimento va in particolare a:
Pietro Faralli, Presidente CCIAA di Arezzo e Presidente ASSICOR;
Nicola Tosi, Direttore Federazione Orafo Argentiera – CNA Arezzo;
Giuliano Chini, Presidente Sez. Orafa Unione Industriali Arezzo;
Antonio Boncompagni, Presidente industriali dell’area aretina;
Roberto Castellucci, Direttore Istituzione dei distretti industriali dell’area aretina;
Claudio Tomassini, Direttore Confedorafi;
Marco Romagnoli, Sindaco di Prato;
Massimo Lugli, Presidente Provincia di Prato;
Luca Rinfreschi, Presidente CCIAA di Prato;
Giuseppe Gregori, Segretario CGIL di Prato;
Daniela Toccafondi, Pratofutura
Marco Pieragnoli, Confartigianato;
Paolo Rossi, Direttore Citer (Carpi);
Carlo Longo, Presidente Unione Industriali Prato;
Piero Maccanti, Direttore Assoconciatori di Santa Croce;
Leonardo Soana Direttore Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani;
Claudio De Viti, Responsabile settore moto – ANCMA;
Mario Levrini, Direttore Unione Industriali di Pisa; Maurizio Bandecchi, Responsabile settore meccanica CNA di Pisa;
Fabio Piazza, Pontech - Società per la ricerca tecnologica ed il suo trasferimento alle piccole e medie industrie (Pisa).
Istituzione
dei
distretti
243
La nostra gratitudine va inoltre a tutti gli imprenditori che hanno pazientemente risposto alle nostre domande, contribuendo fattivamente alla ricerca. Gli autori desiderano inoltre ringraziare il Alessandro Grandi (Università di Bologna) per i preziosi suggerimenti e commenti.
244
1.659
1.854
2000
71.414
2000
2004
41.236
924
867
183.964
100.192
-83.108.748
-63.938.286
2004
-49%
169.928.948
86.820.200
UE15
-48%
132.368.459
2000
2004 2000
68.430.173
2004
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Valore unitario
Var. perc. del valore Saldo del valore (euro) Quantità (kg)
Valore (Euro)
Stati Uniti
851
493
8.279
22.329
3.967.695
56%
7.042.590
11.010.285
Europa centro orientale
Tab. 1: esportazioni italiane in aree selezionate
Lo scenario di riferimento
Orafo
APPENDICE STATISTICA
1.524
3.798
26.280
9.797
-2.835.632
-7%
40.046.546
37.210.914
Altri paesi europei
1.884
1.711
96.203
55.613
-86.068.070
-47%
181.225.657
95.157.587
America
1.120
1.825
69.376
39.382
-5.853.284
-8%
77.717.332
71.864.048
Asia
675
1.688
59.531
20.507
-5.583.822
-14%
40.201.465
34.617.643
Medio oriente
245
1.205
1.204
403.843
261.129
-172.120.250
-35%
486.536.301
314.416.051
Mondo
Tab. 2: Importazioni italiane dai principali paesi low-cost 2000 Turchia
1.583.671
2004 provvisorio 2.913.178
India
3.568.049
3.363.791
3,7%
5,0%
Cina
2.193.575
4.899.767
2,3%
7,3%
Hong Kong
1.909.839
2.000.054
2,0%
3,0%
95.266.734
66.918.581
100,0%
100,0%
Totale
Peso % 2000
Peso % 2004
1,7%
4,4%
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Tab. 3: Informazioni anagrafiche Di cui artigiane 566
Unità locali
1985
Numero ditte al 31/12 754
Addetti dichiarati
769
Di cui dichiaranti 581
1986
871
640
888
705
5.602
1987
976
719
990
797
6.380
1988
1.048
798
1.061
907
7096
1989
1.133
853
1.153
991
7.520
1990
1.196
898
1.220
1.096
8397
1991
1.284
959
1.314
1.183
8.919
1992
1.336
987
1.373
1.238
9.586
1993
1.336
974
1.368
1.300
9.180
1994
1.343
974
1.441
1.383
9.156
1995
1.326
923
1.371
1.301
8.933
1996
1.383
965
1.425
1.318
9.236
1997
1.419
985
1.457
1.337
9.467
1998
1.470
1.020
1.516
1.424
9.454
1999
1.538
1.074
1.588
1.366
9.267
2000
1.618
1.147
1.673
1.434
10.122
2001
1.681
1.193
1.746
1.497
10.481
2002
1.699
1.226
1.770
1.469
10.433
2003
1.654
1.197
1.733
1.321
9.540
-27
4
-13
-176
-941
-1,6%
0,3%
-0,7%
-11,8%
-9,0%
Saldo 2003/2001 Var. 2003/2001
4.860
Fonte: elaborazioni su dati CCIAA di Arezzo
246
2.820.947 291.300 8.124.980 32.656.992
Medio oriente Asia centrale Asia orientale MONDO
218.532.424 550.161 106.382.678 1.748.137.351
19.507.198 838.230.562 325.465.263 2.772.168 431.324 8.333.045 30.997.506
640.467 5.962.385 11.536.537
8.220.832
4.339.532 132.281
import
19.021.621 728.926.555 318.804.500
66.759.811
425.880.359 19.242.176
export
209.967.837 1.144.829 107.691.834 1.614.162.692
2002
4.661.732 509.034 9.294.905 38.368.954
42.993 4.643.172 14.465.671
11.658.159
6.827.404 652.036
import
14.071.259 467.097.465 240.399.853
68.767.133
361.413.348 16.303.796
export
156.324.672 1.219.542 82.855.639 1.201.860.185
2003
7.343.156 982.189 11.081.968 38.806.680
16.516 3.528.736 19.407.313
5.435.094
9.002.217 1.231.878
import
4.570.988 550.865 2.748.923 7.809.174
UE15 Europa centro orientale Altri paesi europei AFRICA AMERICA ASIA
Medio oriente Asia centrale Asia orientale MONDO
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Diff. 2004-01 4.662.685 1.099.597 -2.785.738 -623.951 -2.433.649 7.870.776
PAESE
9% 1% 25% 100%
Comp. % 2001 17% 1% 23% 1% 23% 34%
export
172.102.169 2.394.406 83.900.919 1.129.342.370
14.130.660 360.765.494 258.397.494
74.770.260
365.197.568 24.526.331
2004 provvisorio
247
19% 3% 29% 100%
Comp. % 2004 23% 3% 14% 0% 9% 50%
Tab. 4bis: Interscambio commerciale di Arezzo: selezione delle principali aree del mondo (euro e valori percentuali)
Fonte: elaborazioni su dati Ice
363.897 7.562.006 11.237.227
69.204.769
7.527.113
export
446.073.856 17.600.892
2001
5.690.081 206.603
import
AFRICA AMERICA ASIA
UE15 Europa centro orientale Altri paesi europei
PAESE
Tab. 4: Interscambio commerciale di Arezzo: selezione delle principali aree del mondo (euro)
Tab. 5: Interscambio commerciale di Arezzo: paesi selezionati (euro)
Turchia India
2001
2002
2003
2004 provvisorio
Diff. 2004-01
6.337.783
7.550.368
10.500.939
4.565.365
282.048
424.702
509.034
978.724
2.985.003 554.022
Comp. % 2001 19%
Comp. % 2004 12%
1%
3%
Giordania
0
2.193
2.201.546
3.731.089
3.728.896
0%
10%
Tailandia
2.464.659
1.994.707
2.492.598
2.651.886
657.179
8%
7%
Cina
3.979.944
4.504.502
5.526.009
4.459.595
-44.907
12%
11%
7.009
65.324
10.582
110.337
45.013
0%
0%
Corea del Sud Hong Kong MONDO
1.240.008
1.226.858
859.277
3.320.198
2.093.340
4%
9%
32.656.992
32.656.992
30.997.506
38.806.680
7.809.174
100%
100%
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Tab. 6: La pubblicità nel 2004: le aziende orafe Aziende Casa Damiani Testi The Diamond Trading Recarlo Pomellato Worldgem Richemont Morellato Pasquale Bruni Schachter & Namdar Giorgio Visconti Bulgari Tiffany Faraone Broggian Giorgio Armani Gucci Zancan Nomination Calvin Klein LVMH Fashion Group - Louis Vuitton Chopard Audemars Piguet Chanel Christian Dior Paciotti Ralph Lauren Uno A Erre Hermès Tod's Binda Benetton TOTALE
N° uscite 445 195 289 206 141 129 94 96 96 107 81 69 80 48 30 51 44 51 28 14 26 18 13 9 5 1 4 3 1 2 2 2.378
% 18,7 8,2 12,2 8,7 5,9 5,4 4 4 4 4,5 3,4 2,9 3,4 2 1,3 2,1 1,9 2,1 1,2 0,6 1,1 0,8 0,5 0,4 0,2 0 0,2 0,1 0 0,1 0,1 100
Valore (.000 €) 21.437 11.900 11.717 9.017 8.374 7.337 5.441 4.515 4.463 4.309 4.034 3.573 3.044 2.177 2.116 2.096 1.997 1.710 1.652 1.187 912 444 434 337 177 129 118 112 52 33 28 14.871
% 18,7 10,4 10,2 7,8 7,3 6,4 4,7 3,9 3,9 3,8 3,5 3,1 2,7 1,9 1,8 1,8 1,7 1,5 1,4 1 0,8 0,4 0,4 0,3 0,2 0,1 0,1 0,1 0 0 0 100
Fonte: elaborazioni su dati Pambianco
248
Tab. 7: La pubblicità nel 2004: i marchi orafi Marchio Rebecca De Beers Salvini Damiani Recarlo Cartier Miluna Pomellato Morellato Pasquale Bruni Leo Cut Giorgio Visconti Bliss Dodo Bulgari Tiffany & Co. Emporio Recarlo Mimi' Kiara Emporio Armani Gucci Zancan Nomination CK Calvin Klein Alfieri St. John Louis Vuitton Chopard Audemars Piguet Chanel Dior Cesare Paciotti Ralph Lauren Yukiko Uno a Erre Hermès Tod's Nimei Breil Benetton Iwc
N° uscite 195 289 159 151 144 93 88 86 96 96 107 81 103 55 69 80 62 48 37 30 51 44 51 28 32 14 26 18 13 9 5 1 3 4 3 1 1 2 2 1
% 8,2 12,2 6,7 6,3 6,1 3,9 3,7 3,6 4 4 4,5 3,4 4,3 2,3 2,9 3,4 2,6 2 1,6 1,3 2,1 1,9 2,1 1,2 1,3 0,6 1,1 0,8 0,5 0,4 0,2 0 0,1 0,2 0,1 0 0 0,1 0,1 0
Valore (.000 €) 11.900 11.717 8.371 7.725 6.447 5.420 5.001 4.552 4.515 4.463 4.309 4.034 4.011 3.822 3.573 3.044 2.571 2.177 2.167 2.116 2.096 1.997 1.710 1.652 1.331 1.187 912 444 434 337 177 129 127 118 112 52 42 33 28 21
% 10,4 10,2 7,3 6,7 5,6 4,7 4,4 4 3,9 3,9 3,8 3,5 3,5 3,3 3,1 2,7 2,2 1,9 1,9 1,8 1,8 1,7 1,5 1,4 1,2 1 0,8 0,4 0,4 0,3 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1 0 0 0 0 0
Fonte: elaborazioni su dati Pambianco
Tab. 8: La pubblicità nel 2004: la Unoaerre Azienda
N° uscite
%
Valore (.000 €)
%
4
100
118
100
Uno a Erre Marchio Uno a Erre Flavia Testata Elle Italia Marie Claire Italia Gioia Sposa Anna Paese Italia
4 0 1 1 1 1 4
100 0
118 0
100,0 0,0
25 25 25 25
42 42 34 0
35,6 35,6 28,8 0
100
118
100
Fonte: elaborazioni su dati Pambianco
249
17
17
1.846
2,92
3,75
-2,02
47
3.416
4,55
7,49
1,17
119
17
17
17
11.031
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS, %) Return on Investment (ROI, %) Return on Equity (ROE, %) Dipendenti
n. soc. 17
Arezzo 1 11.118
2004 Media
Arezzo 1 - serie storica
Le imprese leader
77
-1,23
5,72
4,24
2.887
Arezzo 1 8.463
43
-1,27
3,52
3,3
1.769
11.054
2003 Media
17
19
19
19
19
n. soc. 19
79
0,13
5,24
3,11
2.800
Arezzo 1 11.255
43
5,2
6,21
4,34
1.915
12.930
2002 Media
19
19
19
19
19
n. soc. 19
44
1,5
5,28
2,39
1.800
Arezzo 1 13.113
36
4,5
8,91
5,06
1.781
13.689
2001 Media
17
16
17
17
17
n. soc. 17
55
1,2
4,98
2,15
1.635
Arezzo 1 11.995
36
8,13
8,33
4,54
1.730
13.440
2000 Media
21
21
21
21
21
n. soc. 21
250
AREZZO 1
Arezzo 1 – indicatori di bilancio selezionati
AREZZO 1
251
AREZZO 1
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
AREZZO 1
252
27.031
3.367
6,34
10,09
11,19
45
7.107
17,71
16,49
11,38
56
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Arezzo 2 27.685
Arezzo 2 – serie storica
16
16
15
16
16
2004 n. soc. 16
56
13,75
18,54
19,92
7.450
Arezzo 2 26.959
58
5,21
6,84
4,46
3.258
26.062
Media
18
18
18
18
18
2003 n. soc. 18
52
13,62
18,42
21,17
6.988
Arezzo 2 23.501
59
14,68
6,71
5,41
3.749
28.583
Media
18
18
17
18
18
2002 n. soc. 18
50
11,56
15,31
25,87
5.906
Arezzo 2 14.543
44
16,67
6,97
5,57
3.237
27.466
Media
12
12
10
11
12
2001 n. soc. 12
47
17,01
22,96
n.a.
7.377
Arezzo 2 14.409
64
19,05
12,31
5
3.415
25.507
Media
16
16
15
14
16
2000 n. soc. 16
253
AREZZO 2
Arezzo 2 – indicatori di bilancio selezionati
AREZZO 2
254
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
AREZZO 2 AREZZO 2
255
18
5,27
45
22,44
43
18
7,03
10,17
18
18
2,67
3,56
18
1.847
1.699
2004 n. soc. 17.071 18
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Arezzo 3 17.497
Arezzo 3 – serie storica
30
16,43
13,62
3,24
1.527
Arezzo 3 15.548
47
3,01
7,11
3,79
2.213
20
21
21
21
21
2003 n. soc. 16.339 21 Media
24
48,51
11,81
2,79
1.092
Arezzo 3 12.293
43
10,74
7,08
3,24
2.777
20
20
18
19
20
2002 n. soc. 18.227 20 Media
10
34,58
2,96
1,98
375
Arezzo 3 4.021
41
18,19
7,65
4,17
2.050
16
16
15
16
16
2001 n. soc. 14.825 16 Media
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Arezzo 3 n.a.
41
17,27
11,46
4,65
1.779
14
13
14
14
14
2000 n. soc. 15.931 14 Media
256
AREZZO 3
Arezzo 3 – indicatori di bilancio selezionati
AREZZO 3
257
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
AREZZO 3 AREZZO 3
258
L’indagine campionaria Tab. 9: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Per il mercato finale con marchio proprio
46,0
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
15,2
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
38,8
Tab. 10: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Grandi imprese di marchio
24,6
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
44,9
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
30,5
Tab. 11: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? No
50,2
Sì
49,8
Tab. 12: Quali canali distributivi utilizza? Negozi
7,3
Filiali
0,5
Agenti
12,6
Concessionari o distributori
22,0
Grossisti
34,0
Vendita diretta
0,5
Catene GDO
0,5
Buyers
0,5
Tab. 13: Chi realizza il catalogo dei prodotti o delle lavorazioni? In proprio
46,2
Il cliente
36,1
Altro
0,8
Tab. 14: Quanti sono i clienti stabili dell'azienda? Meno di 3
27,5
Da 4 a 10
33,3
Più di 10
39,2
Tab. 15: Qual è la percentuale di fatturato legata al primo cliente? Meno del 33%
53,3
Tra il 33 ed il 66%
34,3
Oltre il 66%
12,4
259
Tab. 16: La quota del primo cliente è cambiata rispetto al 2002? Diminuito molto (oltre il -25%)
27,8
Diminuito poco (-25% / -5%)
32,2
Stabile (-5% / +5%)
35,7
Aumentato poco (+5% / +25%)
2,6
Aumentato molto (oltre il +25%)
1,7
Tab. 17: Dove sono localizzati i principali clienti dell'azienda? Distretto/provincia
36,0
Regione (escl. provincia)
6,5
Italia (escl. regione)
36,0
Estero
21,4
Tab. 18: Per quanto riguarda il rapporto con i clienti, come sono cambiati i seguenti fattori tra il 2002 e il 2004? Diminuzione
Aumento
Stabilità
Tempi di consegna
39,0
11,0
50,0
Costi
26,4
37,2
36,4
Margine di profitto
76,9
3,4
19,7
Tempi di pagamento
6,7
51,7
41,7
Scambio conoscenze
10,3
17,5
72,2
Professio-nalità manodopera
4,2
30,0
65,8
Influenza cliente
6,1
29,6
64,3
Qualità richiesta
2,6
59,0
38,5
Tab. 19: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Distretto/provincia Regione (esclusa provincia)
50,8 8,0
Italia (esclusa regione)
21,1
Estero
20,1
Tab. 20: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? No
44,4
Sì
55,6
Tab. 21: Se sì, di che tipo? (multipla) Sistemi Componenti o parti Fase
6,4 25,1 8,2
Lavorazioni/semilavorati
73,7
Materie prime
39,2
Altro
4,1
260
Tab. 22: Mi sa indicare la localizzazione geografica principale dei fornitori? Distretto/provincia
88,2
Regione
3,5
Italia
7,6
Estero
0,6
Tab. 23: A quanti fornitori si rivolge abitualmente? Meno di 3
17,2
Da 4 a 10
43,8
Più di 10
39,1
Tab. 24: In cosa si realizza il vantaggio competitivo dei concorrenti? Migliori materiali impiegati
5,7
Maggiore qualità tecnica delle lavorazioni/prodotti o tecnologia di processo che utilizzano Migliori caratteristiche estetiche o completezza gamma dei prodotti (forma, stile, decoro, colore, catalogo, collezioni,..) Prezzi più contenuti
15,5 2,8 58,3
Migliore reputazione o possesso di un marchio
4,2
Maggiore prossimità al cliente o rete distributiva più estesa
5,3
Altro
8,1
Tab. 25: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Interna
Esterna
Non presente
Ricerca e sviluppo
72,2
6,5
21,4
Engineering e design
65,4
10,0
24,6
Amministrazione e controllo di gestione
76,4
21,0
2,6
Finanza
65,1
25,1
9,8
Produzione
95,8
1,3
2,9
Commerciale e Marketing, vendite
66,5
11,3
22,3
Assistenza post vendita
55,5
6,2
38,3
Acquisti, logistica e magazzino
81,6
3,5
14,8
Servizi tecnici (IT, manutenzione…)
50,3
38,7
11,0
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
67,2
28,2
4,5
261
Tab. 26: In quali aree ritiene di possedere competenze non adeguate rispetto alle necessità dell'azienda? Ricerca e sviluppo
14,0
Engineering e design
7,7
Amministrazione e controllo di gestione
5,6
Finanza
5,2
Produzione
4,5
Commerciale e Marketing, vendite
15,7
Assistenza post vendita
0,7
Acquisti, logistica e magazzino
1,0
Servizi tecnici (IT, manutenzione)
0,7
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
1,0
Tab. 27: L'impresa fa parte di un gruppo? No Sì
91,0 9,0
Tab. 28: L'impresa partecipa a consorzi? No
75,0
Sì
25,0
Tab. 29: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? No
49,0
Sì
51,0
Tab. 30: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? No
54,5
Sì
45,5
Tab. 31: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? No
87,0
Sì
13,0
262
Tab. 32: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo svipluppate al proprio interno? No
Sì
Registrazione di progetti industriali
93,5
6,5
Marchi di fabbrica
61,6
38,4
Diritto d'autore
95,8
4,2
Adozione di procedure di segretezza o riservatezza
89,2
10,8
Aumento di complessità nella progettazione
83,2
16,8
Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
77,7
22,3
Tab. 33: Ha già attivato il processo di certificazione di qualità? No Sì
92,1 7,9
Tab. 34: Quali sono gli obiettivi dell'azienda? Proteggere e aumentare le quote di mercato
36,6
Diversificare le attività/strategie
4,1
Riposizionare la gamma dei prodotti
1,7
Concentrarsi su un prodotto di punta
3,7
Ampliare gamma / campionario
13,2
Uscire dal settore attuale
3,4
Espandere geograficamente la propria presenza
9,8
Mantenere il ritmo della tecnologia
3,7
Ridurre i costi Altro
15,9 7,8
Tab. 35: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? No
63,2
Sì
36,8
Tab. 36: Su quali canali distributivi intende puntare l'azienda? Negozi
10,8
Filiali
3,7
Agenti
9,8
Concessionari o distributori
18,9
Grossisti
14,2
Altro Nessun canale distributivo
5,4 37,2
Tab. 37: Avete previsto processi di delocalizzazione? Sì No
96,4 3,6
263
Tab. 38: L'impresa intende realizzare: Alleanze
9,3
Scambi di partecipazioni azionarie
0,7
Joint venture
0,7
Fusioni / acquisizioni
1,3
Entrare in un gruppo
1,7
L’analisi tipologica
Performance Tab. 39: Classe di addetti: Cluster 1
2
3
4
100,0
0,0
0,0
100,0
10-49
0,0
100,0
92,2
0,0
50 e oltre
0,0
0,0
7,8
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
0-9
Totale
Tab. 40: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
3
4
44,3
22,4
14,3
52,0
6,3
6,1
2,6
10,8
Italia (escl. regione)
35,4
46,9
40,3
24,5
Estero
13,9
24,5
42,9
12,7
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
distretto / provincia Regione (esclusa provincia)
Tab. 41: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
58,2
40,8
31,2
64,7
Sì
41,8
59,2
68,8
35,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
264
Tab. 42: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
54,4
40,0
27,3
61,4
Sì
45,6
60,0
72,7
38,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 43: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
63,3
51,0
22,1
73,5
Sì
36,7
49,0
77,9
26,5
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 44: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? Cluster 1
2
3
4
No
89,9
84,0
76,6
93,9
Sì
10,1
16,0
23,4
6,1
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 45: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo sviluppate al proprio interno? Marchi di fabbrica
Cluster 1
2
3
4
No
67,9
69,4
45,5
70,3
Sì
32,1
30,6
54,5
29,7
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 46: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
4
No
57,0
14,0
9,1
59,8
Sì
43,0
86,0
90,9
40,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
265
Tab. 47: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
63,5
51,0
46,8
79,8
Sì
36,5
49,0
53,2
20,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Mercato Tab. 48: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
Diminuito molto (oltre il -25%)
28,3
18,2
Diminuito poco (-25% / -5%)
30,2
25,8
Stabile (-5% / +5%)
26,4
31,3
Aumentato poco (+5% / +25%)
11,3
22,7
3,8
2,0
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Tab. 49: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
Per il mercato finale con marchio proprio
13,8
65,3
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
11,9
15,8
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
74,3
18,8
100,0
100,0
Totale
Tab. 50: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
90,8
6,9
Regione (esclusa provincia)
2,8
8,9
Italia (escl. regione)
6,4
50,5
Estero
0,0
33,7
Totale
100,0
100,0
distretto / provincia
266
Tab. 51: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
No
86,2
14,4
Sì
13,8
85,6
100,0
100,0
Totale
Tab. 52: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
Interna
51,4
84,7
Esterna
7,3
5,9
41,3
9,4
100,0
100,0
Interna
42,6
78,2
Esterna
12,0
8,4
Non presente
45,4
13,4
100,0
100,0
Interna
59,3
85,1
Esterna
36,1
13,4
4,6
1,5
100,0
100,0
Interna
49,5
73,9
Esterna
35,8
19,6
Non presente
14,7
6,5
100,0
100,0
Interna
91,7
97,5
Esterna
0,9
2,0
Non presente
7,3
0,5
100,0
100,0
Interna
42,2
80,7
Esterna
11,9
10,4
Non presente
45,9
8,9
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale Finanza
Totale Produzione
Totale Commerciale e Marketing, vendite
Totale
segue
267
Assistenza post vendita Interna
32,4
69,8
Esterna
7,4
5,4
60,2
24,8
100,0
100,0
Interna
69,7
89,1
Esterna
3,7
3,5
26,6
7,4
100,0
100,0
Interna
44,0
52,0
Esterna
36,7
42,1
Non presente
19,3
5,9
100,0
100,0
Interna
61,5
70,5
Esterna
28,4
28,0
Non presente
10,1
1,5
100,0
100,0
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Totale
Tab. 53: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster 1
2
No
87,0
68,8
Sì
13,0
31,2
100,0
100,0
Totale
Tab. 54: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
No
61,7
33,5
Sì
38,3
66,5
100,0
100,0
Totale
268
Tab. 55: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
No
62,0
40,3
Sì
38,0
59,7
100,0
100,0
Totale
Tab. 56: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
No
67,0
47,5
Sì
33,0
52,5
100,0
100,0
Totale
Tab. 57: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? Cluster
No Sì Totale
1
2
95,3
82,1
4,7
17,9
100,0
100,0
Tab. 58: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo svipluppate al proprio interno? Marchi di fabbrica Cluster 1
2
No
80,6
52,5
Sì
19,4
47,5
100,0
100,0
Totale
269
Innovazione Tab. 59: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
0,0
100,0
18,9
Sì
100,0
0,0
81,1
Totale
100,0
100,0
100,0
No
Tab. 60: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
100,0
100,0
0,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 61: Classe di addetti: Cluster 1
2
3
0-9
68,1
77,0
40,6
10-49
31,9
21,3
55,9
0,0
1,6
3,5
100,0
100,0
100,0
50 e oltre Totale
Tab. 62: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
Per il mercato finale con marchio proprio
48,9
37,2
54,5
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
23,4
10,7
15,4
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
27,7
52,1
30,1
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 63: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
No
53,2
63,9
38,0
Sì
46,8
36,1
62,0
100,0
100,0
100,0
Totale
270
Tab. 64: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
3
36,2
49,6
25,2
0,0
10,7
5,6
Italia (escl. regione)
38,3
28,1
39,2
Estero
25,5
11,6
30,1
Totale
100,0
100,0
100,0
distretto / provincia Regione (esclusa provincia)
Tab. 65: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
78,7
57,4
85,3
Esterna
8,5
8,2
4,2
12,8
34,4
10,5
100,0
100,0
100,0
Interna
80,4
54,1
72,0
Esterna
8,7
5,7
11,9
10,9
40,2
16,1
100,0
100,0
100,0
Interna
76,6
63,6
87,4
Esterna
23,4
29,8
12,6
-
6,6
-
100,0
100,0
100,0
Interna
54,3
54,5
79,6
Esterna
37,0
28,9
17,6
8,7
16,5
2,8
100,0
100,0
100,0
Interna
97,9
90,2
99,3
Esterna
2,1
2,5
0,7
-
7,4
-
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Non presente Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale Produzione
Non presente Totale
segue
271
Commerciale e Marketing, vendite Interna
74,5
46,7
82,5
Esterna
10,6
12,3
9,8
Non presente
14,9
41,0
7,7
100,0
100,0
100,0
Interna
70,2
36,1
71,1
Esterna
2,1
7,4
6,3
27,7
56,6
22,5
100,0
100,0
100,0
Interna
85,1
70,5
90,9
Esterna
4,3
4,9
2,1
10,6
24,6
7,0
100,0
100,0
100,0
Interna
51,1
44,3
54,5
Esterna
40,4
39,3
40,6
8,5
16,4
4,9
100,0
100,0
100,0
Interna
78,7
58,2
71,6
Esterna
19,1
32,8
27,7
2,1
9,0
0,7
100,0
100,0
100,0
Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Non presente Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
Tab. 66: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster 1
2
3
No
73,9
87,7
65,7
Sì
26,1
12,3
34,3
100,0
100,0
100,0
Totale
272
Tab. 67: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo sviluppate al proprio interno? Cluster Registrazione di progetti industriali
1
2
3
93,6
96,7
89,4
6,4
3,3
10,6
100,0
100,0
100,0
No
51,1
75,8
54,9
Sì
48,9
24,2
45,1
100,0
100,0
100,0
95,7
99,2
93,6
4,3
0,8
6,4
100,0
100,0
100,0
No
84,8
96,7
84,3
Sì
15,2
3,3
15,7
100,0
100,0
100,0
No
85,1
91,7
73,9
Sì
14,9
8,3
26,1
100,0
100,0
100,0
No
68,9
90,8
67,2
Sì
31,1
9,2
32,8
100,0
100,0
100,0
No Sì Totale Marchi di fabbrica
Totale Diritto d'autore No Sì Totale Adozione di procedure di segretezza o riservatezza
Totale Aumento di complessità nella progettazione
Totale Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
Totale
273
Tab. 68: Quali sono gli obiettivi dell'azienda? Cluster 1
2
3
31,9
38,8
34,8
Diversificare le attività/strategie
4,3
4,3
4,4
Riposizionare la gamma dei prodotti
2,1
0,9
2,2
Concentrarsi su un prodotto di punta
2,1
4,3
3,7
17,0
11,2
13,3
2,1
5,2
2,2
10,6
9,5
9,6
6,4
1,7
6,7
21,3
12,1
16,3
2,1
12,1
6,7
100,0
100,0
100,0
Proteggere e aumentare le quote di mercato
Ampliare gamma / campionario Uscire dal settore attuale Espandere geograficamente la propria presenza Mantenere il ritmo della tecnologia Ridurre i costi Altro Totale
Tab. 69: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
diminuito molto (oltre il -25%)
23,4
27,7
15,0
diminuito poco (-25% / -5%)
36,2
31,9
22,1
Stabile (-5% / +5%)
14,9
28,6
35,0
Aumentato poco (+5% / +25%)
23,4
10,1
24,3
2,1
1,7
3,6
100,0
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Struttura Tab. 70: Classi di addetti: Cluster 1
2
3
4
100,0
42,4
25,9
0,0
10-49
0,0
53,0
70,4
96,9
50 e oltre
0,0
4,5
3,7
3,1
100,0
100,0
100,0
100,0
0-9
Totale
274
Tab. 71: Classi di fatturato: Cluster 1
2
3
4
Fino a 500.000 €
64,4
24,2
22,2
12,5
Da 500.000 a 1.500.000 €
28,1
31,8
29,6
37,5
7,5
43,9
48,1
50,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Oltre 1.500.000 € Totale
Tab. 72: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
62,1
35,4
33,3
40,6
Sì
37,9
64,6
66,7
59,4
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 73: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
70,5
40,6
29,6
42,2
Sì
29,5
59,4
70,4
57,8
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 74: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo svipluppate al proprio interno? Marchi di fabbrica
Cluster 1
2
3
4
No
73,6
43,1
44,4
59,4
Sì
26,4
56,9
55,6
40,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 75: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
76,1
51,5
41,7
54,7
Sì
23,9
48,5
58,3
45,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
275
Tab. 76: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
0,0
63,0
100,0
0,0
100,0
37,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 77: L'azienda fa parte di un gruppo? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
100,0
0,0
100,0
0,0
0,0
100,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
276
9,2 6,9 4,2 4,3 3,2 1,6 1,9 1,4 1,2 1,9 2,7 1,7 0,6 0,5 6,0 5,0 1,3
Germania
Belgio/Lussemburgo
Francia
Regno Unito
Spagna
Paesi Bassi
Portogallo
Austria
Europa centro orientale
Altri paesi europei
Turchia
Africa settentrionale
Altri paesi africani
America settentrionale
Stati Uniti
Messico
35,7
Italia
Unione Europea
1997
1,5
5,2
6,3
0,5
0,6
2,0
3,0
2,1
1,3
1,5
2,1
1,9
3,2
4,6
4,3
7,5
9,5
37,9
1998
1,7
5,6
6,8
0,5
0,6
2,0
3,0
2,2
1,2
1,5
2,0
1,7
2,9
4,4
4,3
6,8
8,8
35,4
1999
1,8
6,0
7,3
0,5
0,6
1,9
2,8
2,3
1,0
1,2
1,6
1,7
2,5
3,9
3,8
5,9
8,4
31,8
2000
1,6
6,0
7,3
0,5
0,7
2,1
3,0
2,6
1,1
1,4
1,6
1,9
2,4
3,9
3,8
6,1
8,7
32,5
2001
1,6
5,9
7,1
0,5
0,7
2,3
3,1
2,7
1,1
1,4
1,8
1,9
2,4
3,8
3,8
6,1
8,3
32,2
2002
277
1,4
5,4
6,5
0,5
0,7
2,5
3,2
3,0
1,1
1,2
1,7
1,9
2,4
3,8
3,9
6,3
8,2
32,5
2003
Tab. 1: Quote di mercato dei principali concorrenti sulle esportazioni mondiali di prodotti tessili – Anni 1997-2003
Lo scenario di riferimento
TESSILE
2,4 2,1
India
Pakistan
6,9 3,4 1,5 1,3
Taiwan
Giappone
Indonesia
Oceania
Fonte: ICE
31,4
7,3
Corea del Sud
Unione Economica e Monetaria
7,4
Hong Kong
13,1
5,3
Asia centrale
Cina
0,7
Medio oriente
42,1
1,3
Messico
Asia orientale
3,1
America centro meridionale
33,5
1,0
1,5
3,0
6,2
6,4
6,9
12,7
39,3
2,1
2,4
5,3
0,7
1,5
3,1
31,3
0,9
1,4
3,4
6,3
6,8
6,6
13,6
40,9
2,1
2,5
5,5
0,8
1,7
3,5
28,2
0,9
1,4
3,4
6,3
7,0
6,7
15,7
43,5
2,1
2,5
5,6
0,8
1,8
3,9
29,0
0,8
1,4
3,1
5,4
6,3
6,6
16,5
42,2
2,3
2,5
5,9
0,8
1,6
3,7
28,7
0,8
1,3
2,9
4,9
6,0
6,4
18,3
42,7
2,3
2,5
5,8
0,8
1,6
3,7
278
28,9
0,7
1,2
2,9
4,2
5,3
5,9
20,5
42,7
2,2
2,4
5,7
0,8
1,4
3,5
segue
6,8 4,2 3,0 1,9 2,6 1,7 0,9 5,1 1,0 3,2 2,6 2,8 1,3 1,2 0,7 5,7 4,9 8,1 3,2 0,8
Germania
Francia
Belgio Lussemburgo
Regno Unito
Paesi Bassi
Spagna
Europa centro orientale
Romania
Altri paesi europei
Turchia
Africa settentrionale
Tunisia
Marocco
Altri paesi africani
America settentrionale
Stati Uniti
America centro meridionale
Messico
Medio Oriente
26,2
1997
Italia
Unione Europea
1997-2003
0,8
3,6
8,7
4,9
5,8
0,7
1,3
1,4
3,0
2,9
3,4
1,2
5,8
1,0
1,8
2,5
2,2
3,1
4,5
6,8
26,8
1998
0,9
4,3
9,6
4,5
5,4
0,8
1,3
1,4
3,0
2,9
3,4
1,2
5,7
1,0
1,7
2,3
2,3
3,1
4,3
6,2
25,7
1999
1,0
4,6
9,8
4,4
5,4
0,8
1,2
1,2
2,8
2,8
3,3
1,2
5,2
1,1
1,3
2,0
2,0
2,7
3,6
5,8
22,6
2000
1,0
4,2
9,4
3,5
4,5
0,8
1,3
1,4
3,0
3,0
3,5
1,5
5,8
1,2
1,5
1,8
2,2
2,9
3,8
6,3
23,6
2001
0,9
4,0
8,9
3,0
3,9
0,8
1,3
1,4
3,0
3,6
4,1
1,7
5,7
1,4
1,6
1,9
2,3
3,0
4,1
6,4
24,7
2002
279
segue
0,9
3,3
7,7
2,4
3,2
0,9
1,3
1,4
3,0
3,9
4,5
1,8
5,8
1,4
1,5
1,9
2,4
3,1
4,2
6,3
25,1
2003
Tab. 2: Quote di mercato dei principali concorrenti sulle esportazioni mondiali di articoli di abbigliamento – Anni
0,7 2,2 0,4
Vietnam
Corea del Sud
Oceania
Fonte: ICE
22,6
1,9
Indonesia
Unione Economica e Monetaria
5,0
Hong Kong
24,4
Cina
1,7
Bangladesh 40,8
2,4
India
Asia orientale
6,1
Asia centrale
23,2
0,3
2,3
0,7
1,8
5,0
22,0
38,2
1,9
2,4
6,2
22,2
0,3
2,5
0,7
1,9
5,2
22,0
38,8
1,9
2,4
6,3
19,5
0,3
2,4
0,8
2,0
5,1
24,4
41,7
2,2
2,6
7,0
20,7
0,3
2,0
0,8
2,1
4,9
24,5
40,9
2,3
2,6
7,0
21,6
0,2
1,7
1,1
1,8
4,3
25,9
41,0
2,0
2,6
6,6
280
22,0
0,3
1,4
1,5
1,6
3,8
27,9
41,9
2,1
2,6
6,7
63,3
Abbigliamento
1,2
7,4
Abbigliamento
Totale
2550,1
Totale
59100
Abbigliamento
132162
36344
Maglieria
Totale
36718
Tessile
Aziende :
1193,2
610,3
Maglieria
Abbigliamento
746,6
Tessile
Occupati :
6,1
Tessile&Maglieria
Investimenti :
182,5
28,7
Maglieria
Totale
90,4
206,5
Tessile
Fatturato :
- Tessile e abbigliamento
Consumi (esclusa IVA) :
1995
127296
56900
35000
35396
2459,0
1143,8
587,8
727,4
6,7
1,2
5,5
186,5
64,9
28,6
93,0
211,2
1996
124697
55933
34324
34440
2425,1
1134,9
590,7
699,4
7,3
1,2
6,1
194,5
67,9
30,4
96,2
214,8
1997
118481
52968
32554
32959
2343,6
1086,4
546,7
710,5
7,5
1,1
6,4
195,4
68,7
30,1
96,6
218,6
1998
Tab. 3: Il settore tessile-abbigliamento dei Paesi Ue a 15 in cifre
115721
52015
31867
31839
2274,4
1056,1
528,1
690,2
6,6
1,1
5,5
187,0
66,6
28,5
91,9
221,8
1999
111655
50142
30725
30788
2191,7
1001,3
513,3
677,1
7,4
1,3
6,1
194,7
67,6
28,5
98,6
226,4
2000
107747
48287
29657
29803
2105,6
952,2
473,8
679,6
6,4
1,1
5,3
192,9
68,5
26,3
98,1
229,4
2001
103232
45631
28305
29296
1996,5
902,6
437,3
656,6
5,7
1,0
4,7
186,0
66,8
24,3
94,9
231,0
2002
97260
43030
26662
27568
1858,9
840,5
411,5
606,9
5,15
0,93
4,22
174,5
63,1
22,9
88,5
228,5
2003
281
segue
92087
40664
25234
26189
1747,5
788,6
358,8
600,1
4,87
0,93
3,94
170,3
61,7
20,0
88,7
230,4
2004 e
12,9
28,9
42,3
Maglieria
Abbigliamento
Totale
0,15
3,56
Saldo commerciale Extra-EU: Tessile
Maglieria
Fonte: Euratex
-14,48
27,8
Totale
Totale
10,7
Abbigliamento
-18,19
16,5
Maglieria
Abbigliamento
0,63
Tessile
Esportazioni Extra-EU:
0,48
Tessile
Importazioni Extra-EU:
-14,39
-19,03
4,46
0,17
29,1
12,1
16,5
0,60
43,5
31,1
12,0
0,42
-19,46
-23,36
4,03
-0,13
32,8
13,1
19,4
0,37
52,2
36,4
15,3
0,50
-21,54
-24,89
3,67
-0,32
33,5
13,2
20,0
0,23
55,0
38,1
16,3
0,55
-25,07
-28,51
3,78
-0,34
32,9
12,9
19,7
0,23
58,0
41,4
16,0
0,57
-29,23
-33,36
4,21
-0,08
38,2
15,0
23,0
0,32
67,5
48,3
18,8
0,40
-29,41
-34,35
5,07
-0,13
40,8
16,4
24,1
0,24
70,2
50,8
19,0
0,37
-29,16
-34,83
5,75
-0,08
40,7
16,5
24,0
0,26
69,8
51,3
18,2
0,34
-30,84
-36,50
5,70
-0,04
40,2
16,7
23,2
0,26
71,0
53,2
17,5
0,30
282
-33,25
-38,50
5,20
0,05
40,3
16,8
23,2
0,31
73,6
55,3
18,0
0,26
5,6 6,5 15,1 9,2
Altri prodotti tessili
Stoffe a maglia
Articoli a maglia
Prodotti tessili
9,5
13,8
7,1
6,3
3,2
11,7
8,7
1998
8,8
12,2
7,0
5,9
2,9
11,0
8,6
1999
8,4
11,4
6,1
5,9
2,8
10,5
8,6
2000
6,8
9,0 6,8
Articoli di abbigliamento e accessori (esclusi quelli in pelle e pellicce)
Pellicce, articoli in pelliccia
Articoli di abbigliamento
Fonte: ICE
5,5
Indumenti in pelle
1997
6,8
9,4
6,8
6,5
1998
6,2
8,3
6,2
6,7
1999
5,8
8,3
5,7
7,1
2000
6,3
8,7
6,2
8,5
2001
8,7
10,7
5,9
6,1
2,8
11,8
8,8
2001
Tab. 5: Quote di mercato mondiali dell'Italia negli articoli di abbigliamento. – Anni 1997-2003
Fonte: ICE
3,2
11,1
8,1
Manufatti tessili confezionati, esclusi gli articoli di vestiario
Tessuti
Filati di fibre tessili
1997
Tab. 4: Quote di mercato mondiali dell'Italia nel settore tessile – Anni 1997-2003
6,4
10,3
6,3
8,9
2002
8,3
9,9
5,7
5,9
2,5
11,5
8,6
2002
283
6,3
8,9
6,3
7,8
2003
8,2
9,2
6,4
6,0
2,3
11,9
8,9
2003
136.958
420.202
333.844
224.081
Ungheria
Paesi Bassi
Grecia
Polonia
Fonte:ICE
Totale
14.388.313
228.142
355.424
Svizzera
Corea del Sud
353.840
Portogallo
181.446
396.562
Belgio Lussemburgo
272.684
542.495
Giappone
Austria
265.331
Turchia
Russia
269.377
Tunisia
318.179
Romania
479.787
788.116
Stati Uniti
Hong Kong
648.820
Spagna
1.123.936
1.762.259
Francia
Regno Unito
3.032.097
1997
Germania
Euro)
14.592.797
n.d.
285.019
172.469
240.092
317.718
412.243
170.509
373.207
380.908
415.351
405.158
276.084
310.033
406.017
1.098.233
368.781
841.520
756.763
1.892.160
3.060.803
1998
14.064.495
n.d.
272.770
131.283
222.721
303.128
400.805
187.510
354.736
399.293
391.924
331.689
242.273
339.870
382.186
999.197
408.428
880.153
863.352
1.795.606
2.900.830
1999
16.044.621
183.810
294.067
221.639
268.363
333.968
407.883
243.685
373.908
423.343
415.223
424.243
329.759
394.176
528.873
965.521
559.210
1.137.960
993.767
1.891.381
3.071.416
2000
16.865.350
220.268
282.542
286.958
301.045
319.030
398.089
332.253
409.497
412.666
425.678
474.111
322.904
497.537
620.468
985.806
702.875
1.107.104
1.003.326
1.936.017
2.927.901
2001
15.747.348
216.103
255.695
274.909
290.336
322.158
371.170
315.165
344.424
383.685
390.812
368.955
403.266
519.331
545.463
926.164
749.802
945.491
969.434
1.809.253
2.514.168
2002
14.798.221
199.446
242.667
267.903
287.385
292.411
327.504
329.438
337.272
339.051
344.049
355.662
418.298
514.146
536.013
799.120
809.937
815.638
989.646
1.658.483
2.214.153
2003
409.908
-28.696
-30.017
86.457
63.304
-41.433
-92.698
192.480
-18.152
-14.789
-52.513
-186.833
152.967
244.769
56.226
-324.816
491.758
27.522
340.826
-103.776
Saldo totale -817.944
284
3%
-13%
-11%
48%
28%
-12%
-22%
141%
-5%
-4%
-13%
-34%
58%
91%
12%
-29%
155%
3%
53%
-6%
-27%
Var.%
Tab. 6: Principali Paesi di sbocco della produzione italiana di prodotti tessili – Anni 1997-2003 (Valori in Migliaia di
Fonte: ICE
Totale
5.906.602
6.094.207
5.997.315
101.709
97.859
Pakistan
98.236
173.740
168.944
152.122
327.104
Austria
365.859
261.784
126.174
282.653
243.844
117.797
317.942
690.738
394.490
781.582
1999
103.075
400.886
Regno Unito
282.689
97.557
298.166
245.849
92.287
302.413
764.341
381.826
845.550
1998
Ungheria
303.878
Belgio Lussemburgo
86.627
Tunisia
76.328
Romania
277.467
271.373
Turchia
Spagna
751.476
Francia
233.379
367.847
Cina
India
860.323
1997
Germania
euro)
7.139.413
111.508
184.995
139.998
342.770
290.453
175.945
322.614
322.151
160.861
371.796
753.636
571.521
919.987
2000
7.472.771
133.688
187.479
196.295
302.130
275.021
220.633
351.951
313.634
243.949
439.859
670.802
623.862
903.844
2001
7.120.085
137.073
174.794
169.509
246.350
263.156
225.119
324.738
276.263
309.238
367.844
603.987
649.227
809.951
2002
285
6.854.150
152.762
153.747
166.969
208.298
209.191
216.653
272.944
285.672
355.674
415.891
539.076
698.164
740.653
2003
Tab. 7: Principali Paesi di approvvigionamento dell'Italia per i prodotti tessili – Anni 1997-2003 (valori in migliaia di
6.675
852
8.088
177 - Fabbricazione di articoli in maglieria 17 - Industrie tessili
182 - Confezione di altri articoli di vestiario ed accessori 183 - Preparazione e tintura di pellicce; confezione di articoli in pelliccia 18 - Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce Totale:
1.076 35 1.134 7.809
47 951
9.039
23
896
8
586
374
176 - Fabbricazione di maglierie
181 - Confezione di vestiario in pelle
303
184 430
252
163
174 - Confezionamento di articoli in tessuto, esclusi gli articoli di vestiario 175 - Altre industrie tessili
410
2.532
3.295 566
2.162
2.654
7.390
1.694
30
1.629
35
5.696
308
446
416
222
519
1.841
1.944
Unita' Locali (valori assoluti) 1991 1996 2001
173 - Finissaggio dei tessili
171 - Preparazione e filatura di fibre tessili 172 - Tessitura di materie tessili
Tab. 8: Il distretto di Prato
42.256
3.268
241
2.999
28
38.988
3.869
1.548
1.304
910
7.387
12.134
11.836
43.503
4.836
97
4.647
92
38.667
2.931
1.914
2.240
1.162
7.324
11.325
11.771
41.449
5.477
113
5.255
109
35.972
1.816
1.942
3.116
1.181
8.337
8.367
11.213
Addetti (valori assoluti) 1991 1996 2001
100%
10,5%
0,5%
9,9%
0,1%
89,5%
9,4%
4,1%
2,0%
1,8%
6,3%
36,5%
29,4%
100%
14,5%
0,4%
13,8%
0,3%
85,5%
7,5%
5,5%
3,9%
3,2%
5,3%
32,4%
27,7%
100%
22,9%
0,4%
22,0%
0,5%
77,1%
4,2%
6,0%
5,6%
3,0%
7,0%
24,9%
26,3%
Comp. % Unita' Locali 1991 1996 2001
100%
7,7%
0,6%
7,1%
0,1%
92,3%
9,2%
3,7%
3,1%
2,2%
17,5%
28,7%
28,0%
100%
11,1%
0,2%
10,7%
0,2%
88,9%
6,7%
4,4%
5,1%
2,7%
16,8%
26,0%
27,1%
Comp. % Addetti 1991 1996
286
100%
13,2%
0,3%
12,7%
0,3%
86,8%
4,4%
4,7%
7,5%
2,8%
20,1%
20,2%
27,1%
2001
182 - Confezione di altri articoli di vestiario ed accessori 183 - Preparazione e tintura di pellicce; confezione di articoli in pelliccia 18 - confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce Totale:
181 - Confezione di vestiario in pelle
17 - industrie tessili
177 - Fabbricazione di articoli in maglieria
176 - Fabbricazione di maglierie
553 -5 560 - 419
- 12 183 -1.230
12
-979
-278
180
15
-1.413
- 266
16
113
119 56
- 30
109
- 691
89
- 156
173 - Finissaggio dei tessili
174 - Confezionamento di articoli in tessuto, esclusi gli articoli di vestiario 175 - Altre industrie tessili
- 763
172 - Tessitura di materie tessili
171 - Preparazione e filatura di fibre tessili
-1.649
743
- 17
733
27
-2.392
- 44
72
232
59
- 47
- 1.454
Saldo Unita' Locali 1996 2001 2001 1991 1996 1991 - 492 - 218 -710
Tab. 9: Come cambia il distretto di Prato
1.247
1.568
- 144
1.648
64
- 321
- 938
366
936
252
- 63
- 809
1996 1991 - 65
-2.054
641
16
608
17
-2.695
-1.115
28
876
19
1.013
- 2.958
Saldo Addetti 2001 1996 - 558
- 807
2.209
- 128
2.256
81
-3.016
-2.053
394
1.812
271
3.767 950
2001 1991 - 623
-13,6
19,2
-25,5
20,1
187,5
-17,5
-31,2
15,0
64,7
54,6
-27,6
-23,2
-5,4
49,4
-14,3
51,4
52,2
-14,7
-47,4
3,7
37,3
-11,9
26,6
-27,3
-18,2
78,1
-36,2
81,8
337,5
-29,6
-63,8
19,3
126,1
36,2
-8,3
-44,1
Var. perc. Unita' Locali 1996 2001 2001 1991 1996 1991 -18,5 -10,1 -26,8
3,0
48,0
-59,8
55,0
228,6
-0,8
-24,2
23,6
71,8
27,7
-0,9
-6,7
-4,7
13,3
16,5
13,1
18,5
-7,0
-38,0
1,5
39,1
1,6
13,8
-26,1
-1,9
67,6
-53,1
75,2
289,3
-7,7
-53,1
25,5
139,0
29,8
12,9
-31,0
2001 1991 -5,3
287
Var. perc. Addetti 1996 2001 1991 1996 -0,5 -4,7
179.574.161 193.177.632 2.090.480.853
110.175.767
145.578.324
1.449.457.616
1999
2.027.078.799
195.609.830
193.486.709
173.557.882
26.239.529
1.271.754.592
166.430.257
2000
2.394.516.558
222.789.505
206.241.013
226.489.661
29.021.503
1.489.827.878
220.146.998
16.268.512 12.777.044 488.004.539
2.702.129
2.802.634
375.275.826
Fonte: Ice
1.602.476.314
51.339.379
28.941.896
1.074.181.790
9.164.703
95.766.067
5.106.338
74.395.806
1998 302.688.834
1995
261.327.023
(*) esclusi gli articoli di vestiario
Saldo
DB174Manufatti tessili confezionati (*) DB175-Altri prodotti tessili DB176-Tessuti a maglia DB177-Articoli di maglieria Totale
DB171-Filati di fibre tessili DB172-Tessuti
1.547.246.180
479.832.619
14.238.988
20.073.729
37.897.909
10.431.860
111.394.879
285.795.254
1999
1.784.479.623
610.036.935
18.270.614
32.288.731
48.207.845
9.523.975
140.413.217
361.332.553
2000
Tab. 11: Le importazioni del distretto di Prato (valori in euro correnti)
(*) esclusi gli articoli di vestiario Fonte: Ice
190.363.945
73.930.912
DB175-Altri prodotti tessili DB176-Tessuti a maglia DB177-Articoli di maglieria Totale
24.021.714
1.360.304.495
11.855.027
1.010.359.662
1998 143.038.906
97.557.924
1995
DB174Manufatti tessili confezionati (*)
DB171-Filati di fibre tessili DB172-Tessuti
Tab. 10: Le esportazioni del distretto di Prato (valori in euro correnti) 2001
1.810.096.181
602.170.280
24.578.925
38.417.791
46.989.297
9.034.859
156.777.798
326.371.610
2001
2.412.266.461
215.065.758
179.181.102
199.617.989
29.014.737
1.559.031.717
230.355.158
2002
1.465.865.233
565.816.913
32.977.288
44.735.542
38.865.218
7.410.364
156.331.151
285.497.350
2002
2.031.682.146
166.187.282
174.969.448
193.030.755
25.028.990
1.292.418.494
180.047.177
2003
288
1.297.465.316
499.463.391
36.985.930
28.878.732
29.519.946
7.365.117
150.584.874
246.128.792
2003
1.796.928.707
135.204.704
168.605.574
160.144.491
26.571.635
1.154.168.416
152.233.887
15
0,34
33
n.a.
n.a.
15
4
n.a.
15
15
2,39
n.a.
15
1.644
n.a.
2004 n. soc. 10.796 15
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Prato 1 n.a.
Prato 1 – serie storica
Le imprese leader
59
-4,74
0
0,27
1.771
Prato 1 10.736
42
8,74
6
3,88
1.639
17
16
16
16
17
2003 n. soc. 9.852 17
Media
65
0,63
2
1,71
2.118
Prato 1 11.954
43
1,71
3
1,57
1.697
18
18
18
18
18
2002 n. soc. 11.250 18 Media
65
6,7
7
5,84
2.876
Prato 1 16.061
50
-2,12
5
4,02
2.264
18
18
18
18
18
2001 n. soc. 11.737 18 Media
39
9,07
8
6,41
3.380
Prato 1 20.550
80
14,19
5
4,86
2.595
15
15
15
15
15
2000 n. soc. 12.782 15 Media
289
PRATO 1
Prato 1 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 1
290
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 1 PRATO 1
291
22.840
4.768
1,28
1,21
2
-0,45
115
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Indice di liquidità Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Prato 2 n.a.
Prato 2 – serie storica
7,26 113
13
8,05
7,68
0,82
6.691
Prato 2 26.067
13
13
13
13
13
2004 n. soc. 13
115
3,37
3,92
3,56
1,1
5.632
24.988
Media
20
21
20
21
21
21
2003 n. soc. 21
98
65,24
11,14
11,34
0,67
6.330
Prato 2 21.367
121
10,15
5,79
5,14
1,07
5.943
27.325
Media
21
21
21
21
21
21
2002 n. soc. 21
34
15,17
7,29
6,28
0,85
2.391
Prato 2 17.077
116
8,66
4,57
3,25
1,1
5.341
27.420
Media
21
21
21
21
21
21
2001 n. soc. 21
36
19,56
24,58
13,27
1,25
3.255
Prato 2 14.232
111
4,82
7,11
5,08
1,01
5.444
24.964
Media
292
21
21
21
21
21
21
2000 n. soc. 21
PRATO 2
Prato 2 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 2
293
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 2 PRATO 2
294
20 20
1,56
2,49
-2,43
99
2,89
2,26
35,84 89
20
20
20
4.181
4.386
2004 n. soc. 20
10.432
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Prato 3 8.887
Prato 3 – serie storica
152
0,46
6,63
6,7
5.414
Prato 3 11.316
117
5,35
4,14
3,45
4.406
11.135
Media
20
20
21
21
21
2003 n. soc. 21
155
0,54
5,64
6,99
5.417
Prato 3 10.087
108
11,36
6,72
6,19
4.529
10.856
Media
21
21
21
21
21
2002 n. soc. 21
154
1,85
5,81
6,22
5.428
Prato 3 10.890
107
0,72
5,75
4,95
4.219
10.349
Media
19
19
19
19
19
2001 n. soc. 19
154
7,99
6,83
6,32
5.544
Prato 3 10.297
121
9,73
4,49
4,75
4.448
10.595
Media
295
19
18
19
19
19
2000 n. soc. 19
PRATO 3
Prato 3 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 3
296
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 3 PRATO 3
297
1.389
3,44
4,77
11,29
33
1.478
-1,16
-1,15
-1,15
31
8.209
0,33 25
13
0,88
2,03
740
3.877
Prato 4
14
14
14
14
2004 n. soc. 8.101 14
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Prato 4
Prato 4 – serie storica
31
-4,21
4,06
3,05
1.286
17
17
17
17
17
2003 n. soc. 7.946 17
Media
48
0,03
1,45
1,18
1.471
9.736
Prato 4
31
0,52
3,71
2,57
1.297
19
19
19
19
19
2002 n. soc. 8.816 19
Media
41
1,59
4,31
3,16
1.512
11.217
Prato 4
29
4,18
4,86
3,58
1.372
19
19
19
19
19
2001 n. soc. 9.699 19
Media
34
-2,32
1,98
2,74
1.114
4.971
Prato 4
30
0,15
4,96
3,74
1.365
298
18
18
18
18
18
2000 n. soc. 9.153 18
Media
PRATO 4
Prato 4 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 4
299
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 4
PRATO 4
300
21 21
4,55
4,12
64
0,87
-2,83
100
20
21
1,46
1,35
21
3.260
3.907
13.833
2004 n. soc. 13.687 21
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Prato 5
Prato 5 – serie storica
150
0,56
3,29
2,81
5.783
23.336
Prato 5
87
7,82
4,11
3,19
3.502
20
18
20
20
20
2003 n. soc. 13.318 20 Media
142
-2,55
2,27
2,08
5.045
22.631
Prato 5
81
3,08
4,07
4,5
3.643
21
21
20
21
21
2002 n. soc. 13.155 21 Media
138
0,86
-0,73
-0,66
4.254
25.867
Prato 5
83
1,98
4,92
4,11
3.508
21
20
20
21
21
2001 n. soc. 13.799 21 Media
105
8,65
7,74
5,97
6.661
30.557
Prato 5
84
7,99
5,49
5,51
4.213
301
20
19
19
20
20
2000 n. soc. 15.793 20 Media
PRATO 5
Prato 5 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 5
302
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 5 PRATO 5
303
18 18
4,08
5,85
6,16
41
1,77
1,65
-4,4
67
18
18
18
2.154
2.433
2004 n. soc. 18
9.451
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl EUR Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Prato 6 9.432
Prato 6 – serie storica
71
-3,12
2,55
1,91
2.639
Prato 6 12.964
51
2,03
4,07
3,67
2.156
9.844
Media
19
19
19
19
19
2003 n. soc. 19
78
0,41
8,06
4,53
3.187
Prato 6 15.737
51
0,09
3,6
2,11
2.074
9.812
Media
19
19
19
19
19
2002 n. soc. 19
71
12,24
9,98
6,49
3.640
Prato 6 15.650
51
-1,68
2,03
2,25
2.335
10.337
Media
17
17
17
17
17
2001 n. soc. 17
66
3,07
4,84
4,04
3.221
Prato 6 16.160
54
4,97
4,3
4,03
2.568
11.665
Media
304
15
15
15
15
15
2000 n. soc. 15
PRATO 6
Prato 6 – indicatori di bilancio selezionati
PRATO 6
305
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 6
PRATO 6
306
2,84
4,15
-3,95
83
n.a.
n.a.
n.a.
4.134
n.a.
n.a.
25.301
n.a.
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR
Media
Picchi
Prato 7– serie storica
13
13
13
13
13
n. soc. 13
2004
131
0,8
4,87
3,83
5.505
25.701
Picchi
98
4,39
3,12
2,1
3.903
24.190
Media
16
16
16
16
16
n. soc. 16
2003
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Picchi
80
6,16
4,13
2,62
3.612
24.689
Media
18
17
18
18
18
n. soc. 18
2002
130
0,1
4,54
4,04
5.601
26.168
Picchi
82
11,81
5,19
3,06
3.874
27.336
Media
19
19
18
19
19
n. soc. 19
2001
127
0,02
2,67
2,57
6.055
25.449
Picchi
87
8,35
7,09
4,44
4.293
29.755
Media
307
19
19
19
19
19
n. soc. 19
2000
PRATO 7
Prato 7– indicatori di bilancio selezionati
PRATO 7
308
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PRATO 7
PRATO 7
309
L’indagine campionaria
Tab. 12 Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Diminuito molto (oltre il -25%)
21,9
Diminuito poco (-25% / -5%)
28,3
Stabile (-5% / +5%)
28,1
Aumentato poco (+5% / +25%)
16,4
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
5,3 100,0
Tab. 13: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Per il mercato finale con marchio proprio
19,3
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
20,7
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
59,9
Tab. 14: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Grandi imprese di marchio
13,0
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
42,1
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
44,9
Tab. 15: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? No
64,3
Sì
35,7
Tab. 16: Quali canali distributivi utilizza? Negozi Filiali Agenti
10,9 1,6 41,0
Concessionari o distributori
7,1
Grossisti
6,0
Vendita diretta
2,7
Catene GDO
0,5
Buyers
0,0
Tab. 17: Chi realizza il catalogo dei prodotti o delle lavorazioni? In proprio
25,3
Il cliente
45,6
310
Tab. 18: L'impresa realizza principalmente prodotti o lavorazioni: Su previsione (produzione con magazzino)
8,2
Su ordine
90,8
Altro
1,1
Tab. 19: Qual è la percentuale di fatturato legata al primo cliente? Meno del 33%
59,1
Tra il 33 ed il 66%
27,9
Oltre il 66%
13,0
Tab. 20: Quanti sono i clienti stabili dell'azienda? Meno di 3
23,9
Da 4 a 10
35,8
Più di 10
40,4
Tab. 21: Dove sono localizzati i principali clienti dell'azienda? Distretto/provincia
43,8
Regione (escl. provincia)
13,6
Italia (escl. regione)
28,8
Estero
13,9
Tab. 22: Per quanto riguarda il rapporto con i clienti, come sono cambiati i seguenti fattori tra il 2002 e il 2004? Diminuzione
Aumento
Stabilità
Tempi di consegna
40,4
11,9
47,7
Costi
25,9
44,4
29,6
Margine di profitto
74,2
3,3
22,5
Tempi di pagamento
5,1
42,4
52,5
Scambio conoscenze
11,9
9,2
78,9
Professio-nalità manodopera
12,3
23,6
64,2
Influenza cliente
7,6
27,1
65,2
Qualità richiesta
3,3
50,9
45,8
Tab. 23: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Distretto/provincia
57,8
Regione (esclusa provincia)
10,3
Italia (esclusa regione)
14,0
Estero
17,9
Tab. 24: Mi sa indicare la localizzazione geografica principale dei fornitori? Distretto/provincia
45,2
Regione
11,0
Italia
34,2
Estero
9,6
311
Tab. 25: In cosa si realizza il vantaggio competitivo dei concorrenti? Migliori materiali impiegati
5,6
Maggiore qualità tecnica delle lavorazioni/prodotti o tecnologia di processo che utilizzano
12,4
Migliori caratteristiche estetiche o completezza gamma dei prodotti (forma, stile, decoro, colore, catalogo, collezioni,..) Prezzi più contenuti
1,8 60,5
Migliore reputazione o possesso di un marchio
3,8
Maggiore prossimità al cliente o rete distributiva più estesa
6,8
Altro
9,1
Tab. 26: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Interna
Esterna
Non presente
Ricerca e sviluppo
63,0
7,1
29,9
Engineering e design
47,4
13,1
39,5
Amministrazione e controllo di gestione
74,7
23,4
1,9
Finanza
70,2
21,3
8,6
Produzione
78,2
20,2
1,6
Commerciale e Marketing, vendite
60,6
12
27,4
Assistenza post vendita
48,5
8,9
42,5
Acquisti, logistica e magazzino
82,8
3,8
13,4
Servizi tecnici (IT, manutenzione…)
54,3
34,2
11,4
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
72,5
22,3
5,2
Tab. 27: L'impresa fa parte di un gruppo? No
88,6
Sì
11,4
Tab. 28: L'impresa partecipa a consorzi? No
82,0
Sì
18,0
Tab. 29: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? No
58,4
Sì
41,6
Tab. 30: Chi ha sviluppato in prevalenza tali prodotti? L'impresa stessa o imprese dello stesso gruppo
74,3
L'impresa stessa in collaborazione con altre imprese o istituti di ricerca
18,4
Altre imprese o istituti di ricerca
7,2
312
Tab. 31: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? No
63,6
Sì
36,4
Tab. 32: Chi ha sviluppato in prevalenza tali processi? L'impresa stessa o imprese dello stesso gruppo
75,2
L'impresa stessa in collaborazione con altre imprese o istituti di ricerca
15,8
Altre imprese o istituti di ricerca
9,0
Tab. 33: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? No Sì
94,7 5,3
Tab. 34: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo svipluppate al proprio interno? Registrazione di progetti industriali
2,8
Marchi di fabbrica
9,0
Diritto d'autore
1,9
Adozione di procedure di segretezza o riservatezza
11,0
Aumento di complessità nella progettazione
11,8
Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
15,6
Tab. 35: Ha già attivato il processo di certificazione di qualità? No Sì
92,4 7,6
Tab. 36: Quali sono gli obiettivi dell'azienda? Proteggere e aumentare le quote di mercato
36,5
Diversificare le attività/strategie
12,2
Riposizionare la gamma dei prodotti
9,3
Concentrarsi su un prodotto di punta
8,1
Ampliare gamma / campionario
7,0
Uscire dal settore attuale
6,7
Espandere geograficamente la propria presenza
5,8
Mantenere il ritmo della tecnologia
3,8
Ridurre i costi
2,3
313
Tab. 37: Su quali canali distributivi intende puntare l'azienda? Negozi
7,0
Filiali
0,8
Agenti
22,5
Concessionari o distributori
9,0
Altro
13,2
Tab. 38: Avete previsto processi di delocalizzazione? Sì
4,4
No
95,6
Tab. 39: Come pensa cambierà il ricorso ai fornitori nelle seguenti aree geografiche? Aumenterà
Diminuirà
Nessuna variazione
Distretto/provincia
8,6
28,1
63,3
Regione
5,7
21,4
72,9
Italia
7,9
18,2
73,9
15,5
9,9
74,6
Estero
L’analisi tipologica
Performance Tab. 40: Classe di addetti: Cluster 1
2
3
4
100,0
100,0
0,0
0,0
10-49
0,0
0,0
84,9
100,0
50 e oltre
0,0
0,0
15,1
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
0-9
Totale
Tab. 41: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
4
Diminuito molto (oltre il -25%)
0,0
44,4
38,4
0,0
Diminuito poco (-25% / -5%)
0,0
55,6
54,7
0,0
Stabile (-5% / +5%)
59,0
0,0
5,8
50,5
Aumentato poco (+5% / +25%)
29,5
0,0
1,2
39,6
Aumentato molto (oltre il +25%)
11,5
0,0
0,0
9,9
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
314
Tab. 42: L’azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
59,8
72,4
68,6
59,3
Sì
40,2
27,6
31,4
40,7
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 43: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
4
Per il mercato finale con marchio proprio
22,3
16,3
25,6
27,5
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
23,1
17,8
16,3
20,9
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
54,5
65,9
58,1
51,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 44: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Cluster 1
2
3
4
Grandi imprese di marchio
10,9
6,9
26,0
14,9
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
54,7
43,7
32,0
31,9
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
34,4
49,4
42,0
53,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 45: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
4
No
54,9
74,1
55,8
44,0
Sì
45,1
25,9
44,2
56,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 46: L'azienda fa parte di un gruppo? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
92,6
96,3
82,6
76,9
7,4
3,7
17,4
23,1
100,0
100,0
100,0
100,0
315
Mercato Tab. 47: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
Diminuito molto (oltre il -25%)
23,3
18,9
Diminuito poco (-25% / -5%)
32,3
21,7
Stabile (-5% / +5%)
28,0
28,6
Aumentato poco (+5% / +25%)
14,8
20,0
1,6
10,9
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Tab. 48: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
distretto / provincia
57,3
24,3
Regione (esclusa provincia)
16,9
8,3
Italia (escl. regione)
18,5
43,1
Estero
7,3
24,3
Totale
100,0
100,0
Tab. 49: La sua azienda vende all'estero? Cluster 1
2
No
79,2
28,2
Sì
20,8
71,8
100,0
100,0
Totale
Tab. 50: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
Interna
55,0
77,3
Esterna
7,7
6,1
37,3
16,6
100,0
100,0
Interna
34,7
67,8
Esterna
15,4
11,1
Non presente
49,8
21,1
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Totale
segue 316
Amministrazione e controllo di gestione Interna
66,9
88,4
Esterna
30,4
11,0
2,7
0,6
100,0
100,0
Interna
66,1
78,9
Esterna
24,0
15,0
9,8
6,1
100,0
100,0
Interna
83,4
73,5
Esterna
14,7
24,9
1,9
1,7
100,0
100,0
Interna
48,5
81,2
Esterna
10,8
12,2
Non presente
40,8
6,6
100,0
100,0
Interna
37,3
70,2
Esterna
6,5
10,5
56,2
19,3
100,0
100,0
Interna
75,3
95,6
Esterna
5,0
1,7
19,7
2,8
100,0
100,0
Interna
51,5
60,8
Esterna
36,9
28,7
Non presente
11,5
10,5
100,0
100,0
Interna
68,5
79,0
Esterna
25,8
16,0
5,8
5,0
100,0
100,0
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale Produzione
Non presente Totale Commerciale e Marketing, vendite
Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
317
Tab. 51: In quali aree ritiene di avere competenze non adeguate rispetto alle necessità dell'azienda? Cluster 1
2
11,4
12,6
Engineering e design
3,0
2,4
Amministr. e controllo di gestione
5,5
4,2
Finanza
3,0
1,8
Produzione
5,9
4,8
10,5
29,3
Assistenza post vendita
0,4
0,6
Acquisti, logistica e magazzino
1,3
2,4
Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
4,2
0,6
Controllo qualita , ambiente, sicurezza
4,2
0,0
Altro
0,4
0,0
Ricerca e sviluppo
Commerciale e Marketing, vendite
Tab. 52: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster 1
2
No
88,3
58,5
Sì
11,7
41,5
100,0
100,0
Totale
Tab. 53: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
No
64,3
47,5
Sì
35,7
52,5
100,0
100,0
Totale
Tab. 54: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo sviluppate al proprio interno? Cluster Registrazione di progetti industriali No Sì Totale
1
2
98,4
93,8
1,6
6,3
100,0
100,0
segue
318
Marchi di fabbrica No
95,0
85,0
5,0
15,0
100,0
100,0
99,2
96,6
0,8
3,4
100,0
100,0
91,8
86,0
8,2
14,0
100,0
100,0
91,1
83,5
8,9
16,5
100,0
100,0
No
87,5
79,7
Sì
12,5
20,3
100,0
100,0
Sì Totale Diritto d'autore No Sì Totale Adozione di procedure di segretezza o riservatezza No Sì Totale Aumento di complessità nella progettazione No Sì Totale Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
Totale
Innovazione Tab. 55: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
0,0
100,0
16,2
Sì
100,0
0,0
83,8
Totale
100,0
100,0
100,0
No
319
Tab. 56: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
100,0
100,0
0,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 57: Classe di addetti: Cluster 1
2
3
0-9
66,1
64,5
50,0
10-49
32,1
33,3
45,5
1,8
2,2
4,5
100,0
100,0
100,0
50 e oltre Totale
Tab. 58: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
diminuito molto (oltre il -25%)
26,8
19,1
23,0
diminuito poco (-25% / -5%)
28,6
35,6
17,1
Stabile (-5% / +5%)
25,0
29,3
27,6
Aumentato poco (+5% / +25%)
14,3
12,9
23,7
5,4
3,1
8,6
100,0
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Tab. 59: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
No
66,1
70,5
56,5
Sì
33,9
29,5
43,5
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 60: L'azienda fa parte di un gruppo? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
96,4
90,4
83,1
3,6
9,6
16,9
100,0
100,0
100,0
320
Tab. 61: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
Per il mercato finale con marchio proprio
35,7
18,5
22,7
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
23,2
18,1
20,8
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
41,1
63,4
56,5
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 62: In quali aree ritiene di avere competenze non adeguate rispetto alle necessità dell'azienda? Cluster 1
2
3
10,4
12,0
11,9
Engineering e design
6,3
2,9
1,4
Amministr. e controllo di gestione
0,0
4,8
6,3
Finanza
0,0
3,8
1,4
Produzione
0,0
5,3
7,7
37,5
14,8
18,2
Assistenza post vendita
0,0
0,0
1,4
Acquisti, logistica e magazzino
2,1
1,9
0,7
Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
0,0
2,9
3,5
Controllo qualita , ambiente, sicurezza
2,1
3,3
1,4
Altro
0,0
0,5
0,0
Ricerca e sviluppo
Commerciale e Marketing, vendite
Tab. 63: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
71,4
54,4
76,0
Esterna
5,4
6,6
7,8
23,2
39,0
16,2
100,0
100,0
100,0
Interna
58,9
37,9
58,8
Esterna
8,9
14,5
13,7
32,1
47,6
27,5
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Non presente Totale
segue
321
Amministrazione e controllo di gestione Interna
87,5
70,6
79,9
Esterna
10,7
26,3
20,1
1,8
3,1
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
73,2
68,2
75,7
Esterna
19,6
21,5
18,4
7,1
10,3
5,9
100,0
100,0
100,0
Interna
76,8
78,4
81,2
Esterna
21,4
19,4
17,5
1,8
2,2
1,3
100,0
100,0
100,0
Interna
64,3
59,2
64,9
Esterna
12,5
11,0
11,0
Non presente
23,2
29,8
24,0
100,0
100,0
100,0
Interna
64,3
43,4
55,8
Esterna
3,6
8,3
10,4
32,1
48,2
33,8
100,0
100,0
100,0
Interna
89,3
77,1
91,6
Esterna
1,8
4,4
3,2
Non presente
8,9
18,5
5,2
100,0
100,0
100,0
Interna
57,1
51,8
60,4
Esterna
32,1
33,8
33,1
Non presente
10,7
14,5
6,5
100,0
100,0
100,0
Interna
76,8
66,2
81,2
Esterna
16,1
27,2
15,6
7,1
6,6
3,2
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale Produzione
Non presente Totale Commerciale e Marketing, vendite
Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
322
Tab. 64: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
No
44,6
67,0
47,3
Sì
55,4
33,0
52,7
100,0
100,0
100,0
Totale
Struttura Tab. 65: L'impresa fa parte di un gruppo? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
100,0
100,0
0,0
0,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 66: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
100,0
0,0
69,4
0,0
0,0
100,0
30,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 67: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
4
diminuito molto (oltre il -25%)
24,1
19,4
20,0
16,3
diminuito poco (-25% / -5%)
29,2
30,6
28,6
18,4
Stabile (-5% / +5%)
28,7
27,6
32,9
22,4
Aumentato poco (+5% / +25%)
13,0
19,4
12,9
32,7
5,1
3,1
5,7
10,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
323
Tab. 68: La sua azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
4
No
68,0
50,5
51,4
40,8
Sì
32,0
49,5
48,6
59,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 69: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
4
Interna
54,5
73,3
67,1
83,7
Esterna
8,6
5,0
5,7
6,1
36,9
21,8
27,1
10,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
42,3
56,0
50,0
54,2
Esterna
16,2
8,0
8,6
20,8
Non presente
41,4
36,0
41,4
25,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
65,8
84,2
88,6
85,7
Esterna
32,4
11,9
11,4
14,3
1,8
4,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
63,3
79,6
80,0
77,6
Esterna
28,9
14,3
10,0
10,2
7,8
6,1
10,0
12,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
79,6
80,2
82,9
67,3
Esterna
17,2
18,8
17,1
32,7
3,2
1,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
55,9
69,3
67,1
67,3
Esterna
13,1
10,9
1,4
18,4
Non presente
31,1
19,8
31,4
14,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale Produzione
Non presente Totale Commerciale e Marketing, vendite
Totale
segue 324
Assistenza post vendita Interna
48,2
45,5
61,4
57,1
Esterna
8,1
7,9
4,3
16,3
43,7
46,5
34,3
26,5
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
79,2
83,2
91,4
93,9
Esterna
5,9
1,0
2,9
0,0
14,9
15,8
5,7
6,1
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
49,1
50,5
70,0
71,4
Esterna
40,1
36,6
22,9
14,3
Non presente
10,8
12,9
7,1
14,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Interna
68,0
75,2
75,7
83,7
Esterna
26,6
19,8
18,6
10,2
5,4
5,0
5,7
6,1
100,0
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
Tab. 70: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
4
No
62,3
52,5
55,1
45,8
Sì
37,7
47,5
44,9
54,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 71: Classi di addetti: Cluster 1
2
3
4
100,0
0,0
38,6
28,6
10-49
0,0
92,1
55,7
65,3
50 e oltre
0,0
7,9
5,7
6,1
100,0
100,0
100,0
100,0
0-9
Totale
325
Tab. 72: Classi di fatturato: Cluster 1
2
3
4
Fino a 500.000 €
46,8
14,9
21,4
10,2
Da 500.000 a 1.500.000 €
35,6
33,7
32,9
30,6
Oltre 1.500.000 €
17,6
51,5
45,7
59,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 73: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
72,7
61,2
57,1
49,0
Sì
27,3
38,8
42,9
51,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 73: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
76,9
80,8
78,6
61,2
Sì
23,1
19,2
21,4
38,8
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
326
3,1 3,0 3,2 2,2 1,3 2,3 1,2 2,1 3,2 0,7 0,6 0,6 0,6 3,1 2,7
Germania
Spagna
Belgio/Lussemburgo
Paesi Bassi
Portogallo
Austria
Regno Unito
Europa centro orientale
Romania
Altri paesi europei
Africa settentrionale
Altri paesi africani
America settentrionale
Stati Uniti
15,6
Italia
Francia
34,8
Unione Europea
1997
2,8
3,2
0,5
0,7
0,6
0,9
3,5
2,0
1,3
2,3
1,4
2,5
3,5
3,4
3,3
16,1
37,0
1998
3,0
3,3
0,5
0,7
0,6
1,0
3,5
2,0
1,3
2,3
1,6
2,7
3,1
3,3
3,6
15,3
36,2
1999
3,0
3,3
0,5
0,7
0,6
1,1
3,5
1,8
1,2
1,8
1,6
2,5
3,1
3,0
3,4
15,2
34,4
2000
2,7
3,0
0,5
0,8
0,7
1,4
3,9
1,6
1,2
1,9
1,9
2,7
3,2
3,1
3,7
15,7
35,8
2001
Tab. 1: Quote di mercato dei principali concorrenti sulle esportazioni mondiali - Anni 1997-2003
Lo scenario di riferimento
CONCIARIO
2,4
2,7
0,5
0,8
0,6
1,6
4,3
1,6
1,3
1,8
1,8
3,0
3,2
3,5
3,8
15,2
36,2
2002
327
segue
2,7
2,9
0,4
0,9
0,7
1,9
4,7
1,4
1,5
1,7
2,1
2,7
3,1
3,5
4,0
14,9
35,9
2003
1,6
India
3,6 3,0 2,9 1,8 0,8
Corea del Sud
Indonesia
Taiwan
Tailandia
Oceania 34,4
0,7
1,8
2,5
2,4
3,0
2,7
2,0
29,4
45,1
1,6
2,4
0,2
2,7
6,0
Fonte: Ice
Calzature
Cuoio e prodotti in cuoio (comprese le calzature di qualsiasi materiale) Cuoio (esclusi indumenti) Articoli da viaggio, borse e simili; articoli da correggiaio e selleria
17,1
20,9 8,7
19,5 9,5 16,4
16,1
1998
15,6
1997
Tab. 2: Quote di mercato dell'Italia nel mondo – Anni 1997-2003
Fonte: Ice
32,2
2,9
Hong Kong
Unione Economica e Monetaria
1,8
Vietnam
30,1
2,4
Asia centrale
Cina
0,2
Medio Oriente
47,3
2,8
Brasile
Asia orientale
6,2
America centro meridionale
33,5
0,7
1,8
2,4
2,4
3,1
2,9
2,5
29,9
46,0
1,6
2,3
0,2
2,6
5,8
16,1
21,0 8,1
15,3
1999
15,4
21,8 8,7
15,2
2000
32,0
0,6
1,7
2,1
2,3
3,1
3,0
2,6
31,1
47,3
1,6
2,4
0,3
3,0
6,2
15,9
21,6 9,3
15,7
2001
33,7
0,6
1,7
1,7
2,3
2,6
3,1
2,7
30,0
45,6
1,8
2,7
0,3
3,2
6,0
15,4
21,1 8,8
15,2
2002
33,9
0,7
1,4
1,6
2,1
2,2
3,0
3,1
31,0
45,6
1,9
2,6
0,2
3,0
5,6
328
15,2
19,8 9,5
14,9
2003
33,7
0,7
1,3
1,4
1,7
1,8
3,2
3,5
31,0
45,6
1,9
2,6
0,2
3,0
5,3
7.099.098.759
7.235.111.114
11.167.775.362
1.255.302.043
1.416.924.261
11.472.763.374
1998 2.813.374.560
1997 2.820.727.999
17,7
10.954.591.531
6.863.989.040
1.281.195.180
1999 2.809.407.311
16,5
17,2 16,3
11,6 47,5
11,1 49,3
1.966.017.436
4.052.148.564
3.997.021.011
530.898.307
475.575.149
1.910.107.029
1998 1.555.232.821
1997 1.611.338.833
4.011.116.431
2.156.362.216
584.509.417
1999 1.270.244.798
5.478.967.360
2.613.385.104
729.923.764
7,1
13,9
4,2 9,2
3.069.536.767
797.521.171
2001 2.584.584.941
6,8
12,9
3,4 7,7
6.378.254.628
3.245.388.446
846.865.785
2,5
1,5
2,8 6,2
6.215.669.878
3.376.543.235
888.198.634
12.479.093.455
7.240.889.516
1.997.720.743
329
6.123.649.701
3.377.360.313
1.012.701.186
2004e 1.733.588.202
12.694.455.894
7.491.170.575
1.727.707.352
2004e 3.240.483.196
2,5
1,6
2,7 7,0
Esportazioni Importazioni 2003 2004e
2003 3.475.577.967
2,3
1,3
2,8 5,1
2000
2003 1.950.928.009
13.575.551.104
8.021.801.016
1.683.068.447
2,4
1,2
2,7 5,3
1997
2002 3.870.681.641
6,9
13,3
3,6 8,2
2002 2.286.000.397
14.565.013.938
8.463.354.274
1.887.652.768
2001 4.214.006.896
6,8
13,8
4,1 9,3
1997
Valori esportazioni euro/kg) 2000 2003 2004e
6.451.642.879
13.344.818.195
7.745.017.356
1.720.240.073
2000 2.135.658.492
(*) da viaggio, borse, marocchineria e selleria; e= dati provvisori Fonte:Ice
DC193Calzature TOTALE
DC191Cuoio DC192Articoli (*)
Tab. 5: Le importazioni italiane (euro)
17,0
20,7
9,4 54,4
2000 3.879.560.766
16,9
20,0
10,2 50,7
Valori esportazioni (euro/kg) 2000 2003 2004e
(*) da viaggio, borse, marocchineria e selleria; e= dati provvisori Fonte:Ice
TOTALE
DC191Cuoio DC192Articoli (*) DC193Calzature
Tab. 4: Le esportazioni italiane (euro)
Fonte: elaborazioni su dati Ice
Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari
191 - Preparazione e concia del cuoio 192 - Fabbricazione di articoli da viaggio, da correggiaio, borse e selleria 193 - Fabbricazione di calzature
1997
Tab. 3: Valori unitari del commercio estero
913 142 753 1.808
931 146 770 1.847
Fonte:elaborazioni su dati Istat
191 - Preparazione e concia del cuoio 192 - Fabbricazione di articoli da viaggio, da correggiaio, borse e selleria 193 - Fabbricazione di calzature DC - Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari
727 1.832
984 121
- 17 - 39
- 26 24
- 43 - 15
Saldo Unita' Locali 1996 2001 2001 1991 1996 1991 - 18 71 53 -4 - 21 - 25
Tab. 7: il distretto di Santa Croce
Fonte: elaborazioni su dati Istat
191 - Preparazione e concia del cuoio 192 - Fabbricazione di articoli da viaggio, da correggiaio, borse e selleria 193 - Fabbricazione di calzature DC - Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari
Unita' Locali (valore assoluto) 1991 1996 2001
Tab. 6: il distretto di Santa Croce
8 707
1996 1991 673 26
7.770 16.795
8.443 582
- 897 - 1.299
Saldo Addetti 1996 1991 - 438 36
7.778 17.502
9.116 608
62 - 889 - 592
2001 1996 235
6.881 16.203
8.678 644
Addetti (valore assoluto) 1991 1996 2001
41,6% 100%
50,5% 7,9% 39,7% 100%
53,7% 6,6%
-2,2 -2,1
-3,5 1,3
-5,6 -0,8
Var. perc. Unita' Locali 1996 1996 2001 1991 1991 1996 -1,9 7,8 5,7 -2,7 -14,8 -17,1
41,7% 100%
50,4% 7,9%
Comp. % Unita' Locali 1991 1996 2001
44,4% 100%
52,1% 3,5%
0,1 4,2
-11,5 -7,4
Var. perc. Addetti 1996 1996 1991 1991 8,0 -4,8 4,5 5,9
46,3% 100%
50,3% 3,5%
Comp. % Addetti 1991 1996
330
-11,4 -3,5
2001 1996 2,8 10,7
42,5% 100%
53,6% 4,0%
2001
13
4,54
2,7
47
7,2
5,19
52
13
2,89
6,89 13
13
2.507
3.310
13
2004 n. soc. 20.230 13
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Santa Croce 1 20.040
Santa Croce 1 – serie storica
Le imprese leader
61
10,76
6,71
4,4
3.216
Santa Croce 1 29.711
62
4,74
4,63
2,93
2.716
19
19
19
19
19
2003 n. soc. 21.281 19
Media
71
6,72
3,25
2,19
2.990
Santa Croce 1 38.148
62
-0,02
5,03
2,92
2.790
21
21
21
21
21
2002 n. soc. 23.042 21
Media
86
5,32
5,5
3,97
4.116
Santa Croce 1 39.652
68
1,47
5,49
2,82
2.973
17
16
17
17
17
2001 n. soc. 24.003 17
Media
90
3,9
7,94
6,06
4.904
Santa Croce 1 39.195
50
6,97
6,39
3,61
2.745
331
20
19
20
20
20
2000 n. soc. 20.181 20 Media
S.CROCE 1
Santa Croce 1 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 1
332
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 1
S.CROCE 1
333
9,57
5,36
6,67
n.a.
Return on Sales (ROS,%)
Return on Investment (ROI,%)
Return on Equity (ROE,%)
Dipendenti
14
-2,25
1,93
2,68
660
2.963
Media
9
12
12
12
12
12
n. soc
2004
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 2 n.a.
18
-5,36
0,91
-0,37
500
2.972
Media
17
16
17
17
17
17
n. soc
2003
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 2 n.a.
18
10,26
3,12
-0,34
548
3.525
Media
16
15
15
16
16
16
n. soc
2002
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 2 n.a.
19
7,47
5,18
1,21
637
4.094
Media
15
12
14
15
15
15
n. soc
2001
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 2 n.a.
In mancanza di una serie storica relativa ai dati dell’azienda, per Santa Croce 2 non è stato possibile realizzare i cartogrammi relativi.
122
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
895
Valore Aggiunto migl. EUR
Ricavi delle vendite migl. EUR
Santa Croce 2 2.969
Santa Croce 2 – serie storica122
17
4,03
5,1
3,08
686
3.635
Media
334
14
14
14
14
14
14
n. soc
2000
10.286
1.278
2,49
5,31
9,58
26
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Santa Croce 3 n.a.
Media
13,33 41
13
15,78
11,26
2.357
10.301
Santa Croce 3
13
14
14
14
14
2004 n. soc.
Santa Croce 3 – serie storica
33
5,38
7,46
5,31
1.543
10.142
Media
17
19
19
19
19
19
2003 n. soc.
38
-8,05
1,89
1,88
1.245
Santa Croce 3 6.571
32
9,77
7,54
3,42
1.507
11.034
Media
19
18
18
19
19
19
2002 n. soc.
40
16,57
19,11
12,39
2.635
11.635
Santa Croce 3
32
15,98
8,67
5,83
1.723
11.519
Media
18
18
17
18
18
18
2001 n. soc.
36
9,35
9,62
7,74
1.767
Santa Croce 3 8.855
27
15,96
7,94
4,86
1.525
10.808
Media
335
16
16
16
16
16
16
2000 n. soc.
S.CROCE 3
Santa Croce 3 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 3
336
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 3
S.CROCE 3
337
31
36
11,69
5,76
2,92
3,54
4,21
1.722
1.663
4,45
14.377
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Dipendenti
Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%)
Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%)
Ricavi delle vendite migl. EUR
Media
Santa Croce 4 14.581
Santa Croce 4 – serie storica
14
14
14
14
14
14
n. soc.
2004
34
3,18
6,2
5,3
1.925
Santa Croce 4 15.037
46
1,55
2,88
2,31
1.923
14.230
Media
16
16
16
16
16
16
n. soc.
2003
31
-2,82
6,02
4,41
1.756
Santa Croce 4 16.192
42
8,49
5,01
3,71
2.198
15.558
Media
17
17
17
17
17
17
n. soc.
2002
31
9,41
7,31
4,19
1.659
Santa Croce 4 16.448
44
2,64
5,73
4,22
2.149
15.493
Media
17
17
17
17
17
17
n. soc.
2001
30
18,28
10,12
6,92
1.917
Santa Croce 4 13.694
46
6,02
5,85
4,19
2.195
14.977
Media
16
16
16
16
16
16
n. soc.
2000
338
S.CROCE 4
Santa Croce 4 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 4
339
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 4
S.CROCE 4
340
52.450
11.643
6,06
6,33
12,82
164
6.062
2,8
4,33
3,1
116
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Santa Croce 5 53.305
Santa Croce 5 – serie storica
20
20
20
20
20
20
n. soc.
2004
n.a.
2,16
3,96
3,79
5.391
Santa Croce 5 44.228
185
11,36
6,21
5,35
10.388
48.215
Media
17
19
19
19
19
19
n. soc.
2003
113
10,47
4,7
4,54
5.247
Santa Croce 5 37.336
208
14,57
6,69
5,82
11.412
50.421
Media
19
19
19
19
19
19
n. soc.
2002
107
34,26
6,18
4,64
4.638
Santa Croce 5 27.312
177
8,05
5,97
5,9
9.548
44.836
Media
18
18
18
18
18
18
n. soc.
2001
77
17,22
7,25
4,89
4.112
Santa Croce 5 25.536
189
9,52
6,89
5,47
10.711
47.138
Media
341
19
19
19
19
19
19
n. soc.
2000
S.CROCE 5
Santa Croce 5 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 5
342
S.CROCE 5
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 5
343
2.892
580
0
0,84
0,44
-7,36
19
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Risultato di esercizio migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Santa Croce 6
11
13
13
13
13
13
13
n. soc.
2004
Santa Croce 6 – serie storica
4
4,18
3,9
1,7
19
207
2.895
Santa Croce 6
18
-2,73
2,11
0,93
-15
530
2.997
Media
17
16
17
17
17
17
17
n. soc.
2003
3
21,5
6,36
4,62
73
274
3.167
Santa Croce 6
17
11,36
3,41
0,12
37
560
3.477
Media
18
17
17
18
18
18
18
n. soc.
2002
2
12,35
5,93
4,82
33
171
1.592
Santa Croce 6
19
8,26
4,62
1,23
-95
647
3.806
Media
17
13
16
17
17
17
17
n. soc.
2001
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 6
20
3,74
5,34
3,41
26
767
3.680
Media
14
14
14
14
14
14
14
n. soc.
2000
344
S.CROCE 6
Santa Croce 6 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 6
345
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 6
S.CROCE 6
346
9.945
1.193
2,72
5,22
4,03
25
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Santa Croce 7 n.a.
15
14
15
15
15
n. soc. 15
2004
Santa Croce 7 – serie storica
36
9,64
11,29
11,41
2.339
Santa Croce 7 10.017
29
5,75
7,12
5,24
1.462
9.886
Media
17
19
19
19
19
n. soc. 19
2003
39
67,87
27,52
23,61
4.669
Santa Croce 7 14.014
30
13,53
7,49
2,63
1.368
11.254
Media
20
18
18
20
20
n. soc. 20
2002
37
57,83
n.a.
19,2
3.233
Santa Croce 7 10.430
29
15,99
8,02
5,45
1.577
12.174
Media
19
19
18
19
19
n. soc. 19
2001
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Santa Croce 7 n.a.
24
17,9
7,19
4,37
1.345
11.674
Media
18
18
18
18
18
n. soc. 18
2000
347
S.CROCE 7
Santa Croce 7 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 7
348
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 7 S.CROCE 7
349
2.624
3,9
4,98
6,7
46
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
11
11
11
11
11
11
17.881
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl. EUR Valore Aggiunto migl. EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
n. soc.
Media
Santa Croce 8 n.a.
2004
Santa Croce 8 – serie storica
31
3,59
5,01
2,13
1.423
Santa Croce 8 18.308
63
4,28
4,49
3,38
2.780
19.280
Media
17
17
17
17
17
17
n. soc.
2003
30
6,72
6,17
2,27
1.491
Santa Croce 8 18.147
68
1,54
4,83
3,02
2.912
20.896
Media
19
18
19
19
19
19
n. soc.
2002
31
4,5
5,46
2,18
1.518
Santa Croce 8 22.300
69
9,72
6,22
3,7
3.149
23.540
Media
19
19
19
19
19
19
n. soc.
2001
28
8,63
5,18
2,67
1.434
Santa Croce 8 18.085
58
10,69
7,53
4,82
3.177
21.107
Media
20
20
20
20
20
20
n. soc.
2000
350
S.CROCE 8
Santa Croce 8 – indicatori di bilancio selezionati
S.CROCE 8
351
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
S.CROCE 8
S.CROCE 8
352
L’indagine campionaria
Tab. 8: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Per il mercato finale con marchio proprio
15,1
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
15,7
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
69,2
Tab. 9: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Grandi imprese di marchio
16,4
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
42,3
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
41,4
Tab. 10: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? No
49,7
Sì
50,3
Tab. 11: L'impresa realizza principalmente prodotti o lavorazioni: Su previsione (produzione con magazzino) Su ordine Altro
9,4 90,0 0,6
Tab. 12: Qual è la percentuale di fatturato legata al primo cliente? Meno del 33%
69,9
Tra il 33 ed il 66%
22,5
Oltre il 66%
7,7
Tab. 13: Quanti sono i clienti stabili dell'azienda? Meno di 3
9,2
Da 4 a 10
30,3
Più di 10
60,6
Tab. 14: Dove sono localizzati i principali clienti dell'azienda? Distretto/provincia
39,3
Regione (escl. provincia)
15,6
Italia (escl. regione)
26,5
Estero
18,7
353
Tab. 15: Per quanto riguarda il rapporto con i clienti, come sono cambiati i seguenti fattori tra il 2002 e il 2004? Diminuzione
Aumento
Stabilità
32,9
16,0
51,1
9,6
45,7
44,7
67,6
1,4
31,0
Tempi di pagamento
3,7
41,1
55,3
Scambio conoscenze
8,1
18,2
73,7
11,1
19,4
69,4
Influenza cliente
6,4
24,3
69,3
Qualità richiesta
4,1
49,1
46,8
Tempi di consegna Costi Margine di profitto
Professio-nalità manodopera
Tab. 16: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Distretto/provincia
58,2
Regione (esclusa provincia)
11,3
Italia (esclusa regione)
17,6
Estero
12,9
Tab. 17: La quota del primo cliente è cambiata rispetto al 2002? Diminuito molto (oltre il -25%)
17,5
Diminuito poco (-25% / -5%)
25,1
Stabile (-5% / +5%)
44,5
Aumentato poco (+5% / +25%)
10,0
Aumentato molto (oltre il +25%)
2,8
Tab. 18: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? No
53,3
Sì
46,7
Tab. 19: Se sì, di che tipo? Sistemi Componenti o parti Fase
3,4 32,4 3,4
Lavorazioni/semilavorati
36,5
Materie prime
61,5
Altro
4,1
Tab. 20: La sua azienda vende all'estero? No
52,3
Sì
47,7
354
Tab. 21: Qual è il prevalente mercato di sbocco all'estero? Paesi Area Euro a 15
46,7
Altri Europa
11,8
Nord America
21,7
Asia
19,7
Tab. 22: Mi sa indicare la localizzazione geografica principale dei fornitori? Distretto/provincia
42,6
Regione
23,0
Italia
25,0
Estero
9,5
Tab. 23: In cosa si realizza il vantaggio competitivo dei concorrenti? Migliori materiali impiegati
5,5
Maggiore qualità tecnica delle lavorazioni/prodotti o tecnologia di processo che utilizzano
16,5
Migliori caratteristiche estetiche o completezza gamma dei prodotti (forma, stile, decoro, colore, catalogo, collezioni,..) Prezzi più contenuti
3,4 62,9
Migliore reputazione o possesso di un marchio
1,4
Maggiore prossimità al cliente o rete distributiva più estesa
4,8
Altro
5,5
Tab. 24: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Interna
Esterna
Non presente
Ricerca e sviluppo
64,2
8,4
27,4
Engineering e design
42,2
14,4
43,4
Amministrazione e controllo di gestione
78,8
19,9
1,2
Finanza
67,3
23,9
8,8
Produzione
91,6
7,8
0,6
Commerciale e Marketing, vendite
62,2
10,3
27,5
Assistenza post vendita
49,1
8,1
42,8
Acquisti, logistica e magazzino
84,4
4,0
11,5
Servizi tecnici (IT, manutenzione…)
37,8
55,0
7,2
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
54,8
39,3
5,9
Tab. 25: L'impresa fa parte di un gruppo? No Sì
94,1 5,9
355
Tab. 26: L'impresa partecipa a consorzi? No
60,7
Sì
39,3
Tab. 27: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? No
57,4
Sì
42,6
Tab. 28: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? No
61,4
Sì
38,6
Tab. 29: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? No
91,9
Sì
8,1
Tab. 30: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo svipluppate al proprio interno? No
Sì
Registrazione di progetti industriali
97,2
2,8
Marchi di fabbrica
88,4
11,6
Diritto d'autore
98,8
1,3
Adozione di procedure di segretezza o riservatezza
88,8
11,3
Aumento di complessità nella progettazione
91,2
8,8
Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
81,7
18,3
Tab. 31: Ha già attivato il processo di certificazione di qualità? No
87,8
Sì
12,2
356
Tab. 32: Quali sono gli obiettivi dell'azienda? Proteggere e aumentare le quote di mercato
40,7
Diversificare le attività/strategie
5,2
Riposizionare la gamma dei prodotti
3,3
Concentrarsi su un prodotto di punta
4,9
Ampliare gamma / campionario
9,8
Uscire dal settore attuale
1,6
Espandere geograficamente la propria presenza
9,5
Mantenere il ritmo della tecnologia
3,9
Ridurre i costi Altro
14,1 6,9
Tab. 33: Come ritiene sarà il peso del primo cliente per i prossimi 2-3 anni? In aumento
23,5
In diminuzione
20,5
Stazionario
56,0
Tab. 34: Avete previsto processi di delocalizzazione? Sì No
94,4 5,6
Tab. 35: L'impresa intende realizzare: Alleanze
6,4
Scambi di partecipazioni azionarie
2,2
Joint venture
3,5
Fusioni / acquisizioni
3,8
Entrare in un gruppo
4,2
Tab. 36: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? No
69,5
Sì
30,5
Tab. 37: Su quali canali distributivi intende puntare l'azienda? Negozi
6,7
Filiali
1,3
Agenti
31,0
Concessionari o distributori
8,0
Altro
9,9
Nessun canale distributivo
43,1
357
L’analisi tipologica
Performance Tab. 38: Classe di addetti: Cluster
0-9 10-49 50 e oltre Totale
1
2
3
4
0,0
100,0
100,0
0,0
100,0
0,0
0,0
89,6
0,0
0,0
0,0
10,4
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 39: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
4
Diminuito molto (oltre il -25%)
0,0
0,0
53,5
41,7
Diminuito poco (-25% / -5%)
0,0
0,0
46,5
55,2
Stabile (-5% / +5%)
57,3
84,6
0,0
3,1
Aumentato poco (+5% / +25%)
31,3
13,5
0,0
0,0
Aumentato molto (oltre il +25%)
11,5
1,9
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 40: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
50,0
76,9
69,0
58,3
Sì
50,0
23,1
31,0
41,7
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 41: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
4
No
45,8
57,7
64,3
43,8
Sì
54,2
42,3
35,7
56,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
358
Tab. 42: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Cluster 1
2
3
4
Grandi imprese di marchio
24,2
15,4
7,1
18,0
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
37,1
48,7
46,4
39,3
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
38,7
35,9
46,4
42,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 43: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
4
No
37,5
75,0
76,1
37,5
Sì
62,5
25,0
23,9
62,5
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 44: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
4
No
53,7
62,7
64,8
53,1
Sì
46,3
37,3
35,2
46,9
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 45: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster 1
2
3
4
No
51,0
71,2
77,5
52,1
Sì
49,0
28,8
22,5
47,9
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Mercato Tab. 46: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Cluster 1
2
Grandi imprese di marchio
12,6
20,2
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
48,5
36,0
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
38,8
43,9
100,0
100,0
Totale
359
Tab. 47: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
diminuito molto (oltre il -25%)
28,3
22,5
diminuito poco (-25% / -5%)
26,7
27,7
Stabile (-5% / +5%)
35,8
29,8
Aumentato poco (+5% / +25%)
7,5
14,7
Aumentato molto (oltre il +25%)
1,7
5,2
100,0
100,0
Totale
Tab. 48: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
0,8
23,2
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
12,5
18,0
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
86,7
58,8
100,0
100,0
Per il mercato finale con marchio proprio
Totale
Tab. 49: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster
No
1
2
100,0
20,6
0,0
79,4
100,0
100,0
Sì Totale
Tab. 50: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
95,0
25,3
5,0
74,7
100,0
100,0
No Sì Totale
Tab. 51: Chi realizza il catalogo dei prodotti o delle lavorazioni? Cluster 1
2
L'impresa stessa
21,4
51,3
Il cliente
38,8
27,4
Altro ( o non fanno catalogo)
39,8
21,2
100,0
100,0
Totale
360
Tab. 52: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
Distretto / provincia
74,2
17,0
Regione (esclusa provincia)
12,5
17,5
Italia (escl. regione)
13,3
34,5
Estero
0,0
30,9
Totale
100,0
100,0
Tab. 53: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Cluster 1
2
Distretto / provincia
73,1
49,0
Regione (esclusa provincia)
10,9
12,0
Italia (escl. regione)
10,9
21,4
Estero
5,0
17,7
Totale
100,0
100,0
Tab. 54: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
No
70,3
43,5
Sì
29,7
56,5
100,0
100,0
Totale
Tab. 55: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
Interna
44,2
76,3
Esterna
11,7
6,7
Non presente
44,2
17,0
100,0
100,0
Interna
29,4
50,0
Esterna
12,6
16,0
Non presente
58,0
34,0
100,0
100,0
Totale Engineering e design
Totale
segue
361
Amministrazione e controllo di gestione Interna
60,8
90,2
Esterna
38,3
8,8
0,8
1,0
100,0
100,0
Interna
51,3
77,2
Esterna
35,3
16,6
Non presente
13,4
6,2
100,0
100,0
Interna
94,2
89,7
Esterna
4,2
10,3
Non presente
1,7
0,0
100,0
100,0
Interna
41,7
74,6
Esterna
10,0
10,9
Non presente
48,3
14,5
100,0
100,0
Interna
25,2
63,4
Esterna
6,7
8,8
68,1
27,8
100,0
100,0
Interna
74,2
91,2
Esterna
4,2
3,6
21,7
5,2
100,0
100,0
Interna
32,5
40,4
Esterna
55,8
55,4
Non presente
11,7
4,1
100,0
100,0
Interna
52,5
56,7
Esterna
36,7
40,2
Non presente
10,8
3,1
100,0
100,0
Non presente Totale Finanza
Totale Produzione
Totale Commerciale e Marketing, vendite
Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Totale
362
Tab. 56: In quali aree ritiene di avere competenze non adeguate rispetto alle necessità dell'azienda? Cluster 1
2
Ricerca e sviluppo
2,8
18,4
Engineering e design
1,9
5,2
Amministr. e controllo di gestione
8,3
2,3
Finanza
2,8
2,9
Produzione
5,6
2,3
Commerciale e Marketing, vendite
5,6
16,1
Assistenza post vendita
0,9
1,1
Acquisti, logistica e magazzino
1,9
1,1
Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
4,6
2,3
Controllo qualita , ambiente, sicurezza
3,7
2,9
Tab. 57: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster
No Sì Totale
1
2
90,4
56,8
9,6
43,2
100,0
100,0
Innovazione Tab. 58: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
100,0
0,0
30,6
0,0
100,0
69,4
100,0
100,0
100,0
Tab. 59: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
100,0
100,0
0,0
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
363
Tab. 60: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
diminuito molto (oltre il -25%)
23,8
24,0
26,7
diminuito poco (-25% / -5%)
30,1
30,0
23,3
Stabile (-5% / +5%)
35,7
28,0
30,0
Aumentato poco (+5% / +25%)
8,4
12,0
15,0
Aumentato molto (oltre il +25%)
2,1
6,0
5,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 61: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Cluster 1
2
3
9,8
14,3
26,3
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
55,9
31,4
30,0
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
34,3
54,3
43,8
100,0
100,0
100,0
Grandi imprese di marchio
Totale
Tab. 62: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
3
Distretto / provincia
44,8
36,0
33,1
Regione (esclusa provincia)
13,1
24,0
15,7
Italia (escl. regione)
24,8
24,0
28,9
Estero
17,2
16,0
22,3
Totale
100,0
100,0
100,0
Tab. 63: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Cluster 1
2
3
63,6
62,0
49,2
7,0
18,0
14,2
Italia (escl. regione)
13,3
8,0
26,7
Estero
16,1
12,0
10,0
Totale
100,0
100,0
100,0
Distretto / provincia Regione (esclusa provincia)
364
Tab. 64: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
No
62,5
58,0
40,3
Sì
37,5
42,0
59,7
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 65: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster 1
2
3
No
66,9
62,0
52,1
Sì
33,1
38,0
47,9
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 66: Ha già avviato il processo di certificazione di qualità? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
91,7
91,8
81,8
8,3
8,2
18,2
100,0
100,0
100,0
Tab. 67: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo sviluppate al proprio interno? Cluster Incremento delle competenze
1
2
3
No
89,7
70,0
76,9
Sì
10,3
30,0
23,1
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 68: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
55,2
70,0
72,7
Esterna
9,0
10,0
6,6
35,9
20,0
20,7
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale
segue
365
Engineering e design Interna
34,5
53,1
47,1
Esterna
11,0
22,4
14,9
Non presente
54,5
24,5
38,0
100,0
100,0
100,0
Interna
75,9
78,0
83,5
Esterna
22,1
22,0
15,7
2,1
0,0
0,8
100,0
100,0
100,0
Interna
66,9
62,0
70,6
Esterna
22,1
32,0
21,8
Non presente
11,0
6,0
7,6
100,0
100,0
100,0
Interna
90,3
94,0
91,7
Esterna
8,3
6,0
8,3
Non presente
1,4
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
54,2
70,0
68,6
Esterna
9,7
18,0
8,3
36,1
12,0
23,1
100,0
100,0
100,0
Interna
37,9
62,0
57,5
Esterna
9,7
6,0
5,8
52,4
32,0
36,7
100,0
100,0
100,0
Interna
78,6
86,0
90,9
Esterna
4,1
4,0
3,3
17,2
10,0
5,8
100,0
100,0
100,0
Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale Finanza
Totale Produzione
Totale Commerciale e Marketing, vendite
Non presente Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale
segue
366
Servizi tecnici (IT, manutenzione..) Interna
35,2
38,0
40,0
Esterna
53,8
60,0
55,0
Non presente
11,0
2,0
5,0
100,0
100,0
100,0
Interna
49,7
56,0
61,2
Esterna
40,7
42,0
35,5
9,7
2,0
3,3
100,0
100,0
100,0
Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
Struttura Tab. 69: Classi di addetti: Cluster 1
2
3
0-9
21,1
16,5
76,9
10-49
78,9
78,0
23,1
0,0
5,5
0,0
100,0
100,0
100,0
50 e oltre Totale
Tab. 70: Classi di fatturato: Cluster 1
2
3
0,0
5,5
24,8
Da 500.000 a 1.500.000 €
21,1
12,1
57,3
Oltre 1.500.000 €
78,9
82,4
17,9
100,0
100,0
100,0
Fino a 500.000 €
Totale
Tab. 71: L'impresa fa parte di un gruppo? Cluster 1
2
3
0,0
100,0
100,0
Sì
100,0
0,0
0,0
Totale
100,0
100,0
100,0
No
367
Tab. 72: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster 1
2
3
No
36,8
37,4
100,0
Sì
63,2
62,6
0,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 73: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
diminuito molto (oltre il -25%)
27,8
20,0
31,6
diminuito poco (-25% / -5%)
16,7
27,8
28,2
Stabile (-5% / +5%)
27,8
33,3
31,6
Aumentato poco (+5% / +25%)
22,2
14,4
6,0
5,6
4,4
2,6
100,0
100,0
100,0
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Tab. 74: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
No
36,8
46,2
60,3
Sì
63,2
53,8
39,7
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 75: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
No
26,3
40,1
75,2
Sì
73,7
59,9
24,8
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 76: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
No
47,4
57,1
70,1
Sì
52,6
42,9
29,9
100,0
100,0
100,0
Totale
368
1.716.237
1.875.388
86
15.100
18.652
58.712
413.848
299.732
1.077.705
1997
2.079.708
476
16.900
19.558
60.678
471.596
382.310
1.127.788
1998
590.597
Italia 61.936
177.327
Germania
Paesi Bassi
220.705
28.785
Belgio/Lussemburgo
Francia
14.010
Austria
1996
67.079
702.300
139.499
215.978
35.757
15.905
1997
Tab. 2: Sell-in di ciclomotori in Europa (migliaia di unità)
Fonte: ACEM
TOTALE
73
13.200
Regno Unito
Svezia
15.912
Austria
398.692
Francia
40.553
255.374
Spagna
Germania
992.433
Italia
1996
69.231
688.224
127.897
189.694
38.518
16.357
1998
1.932.962
600
20.800
21.647
76.029
468.970
312.558
1.032.137
1999
71.386
564.381
115.583
195.746
38.732
17.818
1999
1.951.864
65
25.600
29.208
112.590
451.406
284.811
1.048.184
2000
Tab. 1: La produzione di motocicli e ciclomotori in Europa (milioni di unità)
Lo scenario di riferimento
2.3 RUOTE
66.941
323.748
85.649
192.273
21.355
2000
1.446.833
177
29.809
40.088
120.790
358.115
253.420
749.000
2001
56.203
186.761
106.085
184.666
13.192
20.459
2001
1.327.452
290
15.000
53.440
121.704
158.562
223.733
754.600
2002
369
segue
50.857
175.423
94.577
165.809
17.368
16.278
2002
1.161.741
nd
31.500
55.957
nd
154.764
209.020
710.500
2003
1.283.688
3.420
181.277
9.051
1.420.016
4.856
230.916
12.582
1.472.799
7.118
320.322
22.556
271.771 115.958 31.175 27.253 5.607 15.694 17.010 21.144 23.279 1.304 2.412 3.020 n,a, 1.155
D
F
E
GR
S
B
NL
AU
P
SF
IRL
DK
CZ
GDL
Fonte: ACEM
TOTALE
688.072
n,a,
91.962
I
N
59.328
UK
1996
1.228.158
n,a,
1.040
n,a,
3.258
2.717
2.329
12.180
20.861
16.466
17.694
8.672
34.055
41.835
147.890
313.669
114.905
80.707
1997
1.394.270
n,a,
1.097
n,a,
3.397
1.474
3.793
14.805
24.978
15.085
21.553
10.988
45.307
56.121
172.346
289.879
228.346
97.855
1998
12.551
335.726
35.447
1.563.955
n,a,
1.255
n,a,
4.216
2.387
5.751
19.165
27.276
17.971
26.061
13.930
63.483
68.635
192.744
282.463
373.784
1.647.231
n,a,
1.259
n,a,
3.311
3.485
5.167
17.721
23.775
19.626
25.319
15.199
64.042
72.022
179.552
252.616
524.619
121.908
2000
1.374.819
117.244
1999
Tab. 3: Immatricolazione di motocicli in Europa – (milioni di unità)
Fonte: ACEM
TOTALE EU
Svezia
Spagna
Regno Unito
1.505.838
n,a,
n,a,
n,a,
1.714
3.616
4.408
17.087
19.952
17.562
21.229
21.074
66.833
64.129
179.590
226.958
420.355
123.897
2001
986.763
248.633
48.164
1.426.845
n,a,
n,a,
n,a,
2.631
3.247
4.920
14.218
16.687
16.845
21.503
23.052
56.069
62.225
168.754
204.129
392.763
1.233.914
2002
789.260
6.633
176.489
45.405
370
1.121.187
n,a,
n,a,
n,a,
n,a,
2.853
675
11.198
17.930
16.737
20.986
23.170
59.137
74.758
176.006
191.262
407.127
119.348
2003
674.085
3.747
113.756
36.270
239.316 381.652 395.326 405.171 322.984 220.668 310.500
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
128.450 153.150 120.600 149.390 180.200 218.600 227.125 296.435 369.900 533.000 389.000 416.500 406.000
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
-
-
-
ckd : veicoli scomposti ed incompleti destinati all'export Fonte: ANCMA
Motocicli e motoscooters 138.825
Anno 1990
10.380
6.233
24.212
26.368
57.480
61.661
40.816
40.850
49.600
88.126
ckd 187.874
291.000
320.000
360.000
490.000
640.000
800.000
800.000
700.000
720.000
580.000
440.000
425.000
500.000
Ciclomotori 530.000
Tab. 5: Produzione italiana di motocicli e ciclomotori – 1991-2003 (unità)
Fonte: ANCMA
212.985
1996
Import
Tab. 4: Trend di Import e Export italiano – 1996-2003 (migliaia di unità)
-
-
-
14.804
16.004
7.141
24.212
16.353
139.212
71.866
83.860
81.076
42.250
ckd 38.200
371
697.000
736.500
749.000
1.048.184
1.032.137
1.127.788
1.077.705
992.433
1.101.073
842.072
685.310
708.826
758.826
Totale 2 ruote 894.899
378.481
445.793
505.888
533.898
524.960
525.454
508.250
499.257
Export
5.150.000 5.250.000 5.300.000 5.375.000 5.790.000 6.060.000 6.218.000 6.395.000 6.375.000 6.231.000 6.106.237
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
4.049.540
3.729.890
3.373.094
2.967.906
2.612.390
2.595.551
2.554.672
2.530.750
2.539.835
2.526.761
2.560.037
2.500.000
Motocicli
16
Totale
Fonte: ISTAT
2 0 0 13 0 15
1
351 - Industria cantieristica: costruz. navali e riparaz. di navi e imbarcazioni 352 - Costruzione di locomotive e di materiale rotabile ferro-tranviario 353 - Costruzione di aeromobili e di veicoli spaziali 354 - Fabbricazione di motocicli e biciclette 355 - Fabbricazione di altri mezzi di trasporto n.c.a. 35 - FABBRICAZIONE DI ALTRI MEZZI DI TRASPORTO
34 - FABBRICAZIONE DI AUTOVEICOLI, RIMORCHI E SEMIRIMORCHI
Unita' Locali 1991
1
16
2 0 0 13 0 15
Unita' Locali 1996
2
17
4 0 0 11 0 15
Unita' Locali 2001
5.846
3 0 0 5.828 0 5.831
15
Addetti 1991
2
5.681
3 0 0 5.676 0 5.679
Addetti 1996
Totale
10.155.777
9.960.890
9.748.094
9.362.906
8.830.390
8.655.551
8.344.672
7.905.750
7.839.835
7.776.761
7.710.037
7.600.000
372
4.162
4 0 0 4.115 0 4.119
43
Addetti 2001
Tab. 7: Distribuzione delle unità locali e degli addetti nei comuni di Pontedera, Calcinaia, Bientina e Vicopisano. Censimenti Industria e Servizi 1991-1996-2001
Fonte: ANCMA
5.100.000
1991
Ciclomotori
Tab. 6: Parco circolante italiano di ciclomotori e motocicli – 1996-2002 (milioni di unità)
4.360
1.285
5,07
5,92
3,62
32
811
5,87
5,22
11,21
10
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl EUR Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Pontedera 1 4.356
Pontedera 1 - serie storica
L’indagine campionaria
18
18
18
18
19
n. soc. 18
2004
10
25,06
5,85
5,83
693
Pontedera 1 5.087
36
4,78
3,37
1,97
1.170
3.989
Media
19
19
19
19
18
n. soc. 19
2003
8
90,7
8,29
4,99
570
Pontedera 1 5.806
34
11,15
5,55
4,22
1.242
4.253
Media
19
19
19
19
18
n. soc. 19
2002
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Pontedera 1 n.a.
34
7,86
6,84
5,22
1.270
3.920
Media
18
18
18
18
17
n. soc. 18
2001
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Pontedera 1 n.a.
31
11,21
8,57
6,41
1.377
4.045
Media
373
16
16
16
16
15
n. soc. 16
2000
PONT. 1
Pontedera 1 – indicatori di bilancio selezionati selezionati
PONT. 1
374
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 1 PONT. 1
375
1.324
2,84
3,8
9,34
31
1.664
-2,76
-2,65
6,99
62
4.136
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl Eur Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media peer group 4.127
Pontedera 2
Pontedera 2 – serie storica
19
19
19
19
19
19
n. soc.
2004
n.a.
7,01
1,83
1,75
1.840
4.195
Pontedera 2
33
3,68
4,9
3,77
1.315
Media peer group 3.916
17
19
19
19
19
19
n. soc.
2003
60
51,22
6,66
6,48
2.200
4.791
Pontedera 2
33
14,36
7,72
5,35
1.262
Media peer group 3.657
18
18
18
18
18
18
n. soc.
2002
59
6,84
4,4
4,91
2.223
4.484
Pontedera 2
31
7,4
6,48
6,13
1.230
Media peer group 3.720
16
16
16
16
16
16
n. soc.
2001
57
7,35
5,29
4,78
1.993
4.102
Pontedera 2
29
14,51
6,51
6,62
1.314
Media peer group 3.721
376
13
13
13
13
13
13
n. soc.
2000
PONT. 2
Pontedera 2 – Indicatori di bilancio selezionati selezionati
PONT. 2
377
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 2 PONT. 2
378
6.514
2.093
6,26
7,19
8,72
35
4.777
15,48
8,23
7,11
85
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl EUR Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Pontedera 3 6.519
Pontedera 3 – serie storica
19
19
19
19
19
n. soc. 19
2004
100
7,5
9,67
17,5
4.627
Pontedera 3 6.581
45
11,77
7,67
7,76
1.988
6.071
Media
16
16
16
16
16
n. soc. 16
2003
96
9,43
10,6
18,59
4.685
Pontedera 3 7.183
43
8,33
7,83
7,6
2.062
6.251
Media
18
18
18
18
18
n. soc. 18
2002
91
18,05
20,51
0
5.269
Pontedera 3 7.124
38
14,57
8,82
9,09
2.308
5.868
Media
15
15
15
15
15
n. soc. 15
2001
96
18,36
22,84
0
5.200
Pontedera 3 6.742
36
13,26
8,89
6,65
1.948
6.565
Media
379
16
16
16
16
16
n. soc. 16
2000
PONT. 3
Pontedera 3 – Indicatori di bilancio selezionati
PONT. 3
380
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 3 PONT. 3
381
11.500
3.554
6,11
5,06
12,41
64
2.707
3,7
4,48
3,65
64
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Pontedera 4 11.506
Pontedera 4 – serie storica
17
17
17
17
17
n. soc. 17
2004
66
7,94
8,11
5,84
2.868
Pontedera 4 11.254
85
7,18
4,93
4,25
2.950
9.961
Media
17
19
19
19
19
n. soc. 19
2003
57
8,63
8,27
7,07
2.647
Pontedera 4 9.645
77
8,33
4,5
2,66
2.808
10.798
Media
19
19
19
19
19
n. soc. 19
2002
57
22,33
16,12
11,42
3.055
Pontedera 4 10.051
72
13,61
5,8
5,66
2.765
10.162
Media
19
19
19
19
19
n. soc. 19
2001
65
23,7
14,89
9,93
2.880
Pontedera 4 11.002
19
19
19
19
19
n. soc. 19
382
58
8,42
6,56
5,41
2.384
8.392
Media
2000
PONT. 4
Pontedera 4 – indicatori di bilancio selezionati
PONT. 4
383
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 4 PONT. 4
384
9.401
2.499
2,8
4,09
-4,36
55
2.928
3,41
4,81
11,37
63
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl EUR Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Media
Pontedera 5 15.470
19
19
19
19
19
n. soc. 19
2004
Pontedera 5 – serie storica
n.a.
20,06
-0,45
-0,48
2.019
Pontedera 5 8.062
85
0,46
4,6
3,16
3.121
14.229
Media
17
20
20
20
20
n. soc. 20
2003
64
0,89
3,96
3,87
2.659
Pontedera 5 7.928
74
10,7
7,64
5,29
3.239
14.693
Media
21
21
21
21
21
n. soc. 21
2002
71
-68,68
-7,34
-7,51
2.006
Pontedera 5 7.388
64
13,01
6,23
4,62
2.824
12.843
Media
21
21
21
21
21
n. soc. 21
2001
46
2,88
5,1
3,92
2.871
Pontedera 5 9.565
55
15,79
9,12
6,13
2.952
12.387
Media
385
18
18
18
18
18
n. soc. 18
2000
PONT. 5
Pontedera 5 – indicatori di bilancio selezionati
PONT. 5
386
PONT. 5
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 5
387
18
15
8,06
8,1
22,22
15
6,01
5,43
15,68
27
18
18
551
788
18
2004 n. soc. 1.340 18
Media
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
Ricavi delle vendite migl EUR Valore Aggiunto migl EUR Return on Sales (ROS,%) Return on Investment (ROI,%) Return on Equity (ROE,%) Dipendenti
Pontedera 6 1.339
Pontedera 6 – serie storica
n.a.
3,86
4,95
4,7
743
Pontedera 6 1.218
15
15,92
5,14
3,66
503
15
17
17
17
17
2003 n. soc. 1.494 17
Media
27
12,86
9,3
7,24
786
Pontedera 6 1.213
15
16,47
5,85
6,04
516
18
18
18
18
18
2002 n. soc. 1.495 18
Media
23
8,04
7,07
4,34
725
Pontedera 6 1.108
14
30,66
5,51
4,97
546
11
11
11
11
11
2001 n. soc. 1.319 11
Media
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Pontedera 6 n.a.
18
13
8,31
4,87
558
388
5
5
5
5
5
2000 n. soc. 1.854 5 Media
PONT. 6
Pontedera 6– indicatori di bilancio selezionati
PONT. 6
389
Fonte: Aida – Bureau van Dijk
PONT. 6
PONT. 6
PONT. 6
390
L’indagine campionaria Tab. 8: L'azienda realizza prodotti destinati (direttamente o indirettamente) ai settori delle 2,3 ruote? Sì
36,0
No
64,0
Tab. 9: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Filiera
Non filiera
8,4
11,8
Diminuito poco (-25% / -5%)
25,1
14,3
Stabile (-5% / +5%)
26,8
41,6
Aumentato poco (+5% / +25%)
29,4
25,2
Aumentato molto (oltre il +25%)
10,4
7,2
Filiera
Non filiera
27,2
39,7
7,8
21,6
65,0
38,8
Filiera
Non filiera
Grandi imprese di marchio
34,0
6,1
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
24,3
39,6
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
41,7
54,3
Diminuito molto (oltre il -25%)
Tab. 10: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Per il mercato finale con marchio proprio Per il mercato finale ma senza marchio proprio Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
Tab. 11: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono:
Tab. 12: L'impresa realizza principalmente prodotti o lavorazioni: Filiera
Non filiera
5,1
10,5
94,9
88,2
0,0
1,4
Filiera
Non filiera
Distretto/provincia
33,8
36,8
Regione (escl. provincia)
20,1
34,5
Italia (escl. regione)
44,4
25,9
1,8
2,7
Su previsione (produzione con magazzino) Su ordine Altro
Tab. 13: Dove sono localizzati i principali clienti dell'azienda?
Estero
391
Tab. 14: Qual è la percentuale di fatturato legata al primo cliente? Filiera
Non filiera
Meno del 33%
41,8
72,0
Tra il 33 ed il 66%
20,5
23,9
Oltre il 66%
37,6
4,1
Filiera
Non filiera
Meno di 3
10,8
9,3
Da 4 a 10
64,7
27,9
Più di 10
24,5
62,7
Tab. 15: Quanti sono i clienti stabili dell'azienda?
Tab. 16: La quota del primo cliente è cambiata rispetto al 2002? Filiera
Non filiera
5,5
13,6
Diminuito poco (-25% / -5%)
42,9
14,6
Stabile (-5% / +5%)
39,6
51,2
Aumentato poco (+5% / +25%)
9,3
17,7
Aumentato molto (oltre il +25%)
2,7
3,0
Diminuito molto (oltre il -25%)
Tab. 17: Per quanto riguarda il rapporto con i clienti, come sono cambiati i seguenti fattori tra il 2002 e il 2004? Filiera
Non filiera
Diminuzione
Aumento
Stabilità
Diminuzione
Aumento
Stabilità
Tempi di consegna
33,6
5,3
61,1
27,6
14,1
58,3
Costi
16,1
57,4
26,5
6,7
47,9
45,4
Margine di profitto
80,4
0,0
19,6
67,3
0,0
32,7
Tempi di pagamento
3,8
43,3
52,9
6,3
40,5
53,3
Scambio conoscenze
0,0
5,3
94,7
0,0
16,6
83,4
13,5
40,7
45,8
8,6
35,6
55,8
Influenza cliente
2,9
29,5
67,7
5,2
19,2
75,6
Qualità richiesta
0,0
64,7
35,3
0,0
46,7
53,3
Professio-nalità manodopera
Tab. 18: Dove sono localizzati i principali concorrenti? Filiera
Non filiera
Distretto/provincia
32,7
37,6
Regione (esclusa provincia)
21,9
29,5
Italia (esclusa regione)
38,0
21,7
7,4
11,1
Estero
392
Tab. 19: In cosa si realizza il vantaggio competitivo dei concorrenti? Filiera 8,9
Non filiera 5,1
13,5
10,7
3,9
1,2
48,2
47,0
Migliore reputazione o possesso di un marchio
9,8
10,0
Maggiore prossimità al cliente o rete distributiva più estesa
9,8
16,8
Altro
6,0
9,2
Migliori materiali impiegati Maggiore qualità tecnica delle lavorazioni/prodotti o tecnologia di processo che utilizzano Migliori caratteristiche estetiche o completezza gamma dei prodotti (forma, stile, decoro, colore, catalogo, collezioni,..) Prezzi più contenuti
Tab. 20: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Filiera Ricerca e sviluppo
Interna
Esterna
Engineering e design
55,3
Amministrazione e controllo di gestione
Non filiera Interna
Esterna
7,9
Non presente 36,8
58,1
3,5
Non presente 36,8
45,4
11,5
43,0
47,2
11,0
41,8
Finanza
74,9
25,1
0,0
78,9
19,1
2,0
Produzione
59,4
38,8
1,8
72,5
17,5
10,0
Commerciale e Marketing, vendite
81,8
16,4
1,8
89,1
9,0
2,0
Assistenza post vendita
71,6
4,5
24,0
72,8
9,1
18,1
Acquisti, logistica e magazzino
53,2
1,8
45,0
65,8
11,3
22,9
Servizi tecnici (IT, manutenzione…)
95,8
1,8
2,4
85,2
5,7
9,1
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
74,7
16,7
8,6
72,6
21,6
5,8
Altro
79,1
14,1
6,8
80,3
13,4
6,3
Tab. 21: L'impresa fa parte di un gruppo? Filiera
Non filiera
No
83,5
96,1
Sì
16,5
3,9
393
Tab. 22: In quali aree ritiene di possedere competenze non adeguate rispetto alle necessità dell'azienda? Filiera
Non filiera
Ricerca e sviluppo
8,2
9,6
Engineering e design
1,9
5,2
17,2
6,2
Finanza
4,2
7,6
Produzione
0,0
3,5
Commerciale e Marketing, vendite
5,3
10,6
Assistenza post vendita
1,8
1,4
Acquisti, logistica e magazzino
8,0
1,0
Servizi tecnici (IT, manutenzione)
1,8
1,0
Controllo qualità, ambiente, sicurezza
6,8
3,3
Amministrazione e controllo di gestione
Tab. 23: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Filiera
Non filiera
No
34,5
34,4
Sì
65,5
65,6
Filiera
Non filiera
Meno di 3
3,7
9,4
Da 4 a 10
24,7
33,7
Più di 10
71,6
56,9
Filiera
Non filiera
4,2
1,5
Componenti o parti
65,8
48,5
Fase
16,1
0,0
Lavorazioni/semilavorati
52,8
22,8
Materie prime
24,0
55,7
9,1
5,8
Tab. 24: A quanti fornitori si rivolge abitualmente?
Tab. 25: Se sì, di che tipo? Sistemi
Altro
Tab. 26: Mi sa indicare la localizzazione geografica principale dei fornitori? Filiera
Non filiera
6,8
19,9
Regione
17,9
12,5
Italia
73,8
67,6
1,5
0,0
Distretto/provincia
Estero
394
Tab. 27: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Filiera
Non filiera
No
48,2
54,5
Sì
51,8
45,5
Tab. 28: Chi ha sviluppato in prevalenza tali prodotti? Filiera
Non filiera
L'impresa stessa o imprese dello stesso gruppo
79,6
93,3
L'impresa stessa in collaborazione con altre imprese o istituti di ricerca
13,9
6,7
6,5
0,0
Altre imprese o istituti di ricerca
Tab. 29: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Filiera
Non filiera
No
59,3
67,5
Sì
40,7
32,5
Tab. 30: Chi ha sviluppato in prevalenza tali processi? Filiera
Non filiera
L'impresa stessa o imprese dello stesso gruppo
80,0
86,6
L'impresa stessa in collaborazione con altre imprese o istituti di ricerca
17,7
9,1
2,4
4,2
Altre imprese o istituti di ricerca
Tab. 31: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? Filiera
Non filiera
No
84,5
77,7
Sì
15,5
22,3
Tab. 32: Nel triennio 2002-2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) ha utilizzato uno dei seguenti metodi per proteggere le innovazioni di prodotto, servizio o processo sviluppate al proprio interno? Filiera
Non filiera
15,5
22,3
Marchi di fabbrica
6,9
13,6
Diritto d'autore
3,4
2,0
Adozione di procedure di segretezza o riservatezza
24,3
6,0
Aumento di complessità nella progettazione
13,0
13,4
Incremento delle competenze rispetto ai concorrenti
14,0
24,9
1,0
2,9
Registrazione di progetti industriali
Altro
395
Tab. 33: Ha già attivato il processo di certificazione di qualità? Filiera
Non filiera
No
51,4
70,1
Sì
48,6
29,9
Filiera
Non filiera
Proteggere e aumentare le quote di mercato
44,2
32,3
Diversificare le attività/strategie
27,3
12,2
Riposizionare la gamma dei prodotti
2,5
0,6
Concentrarsi su un prodotto di punta
0,0
6,5
Ampliare gamma / campionario
4,3
5,5
Uscire dal settore attuale
0,0
4,6
Espandere geograficamente la propria presenza
0,0
5,5
Mantenere il ritmo della tecnologia
7,7
9,6
11,3
16,7
Tab. 34: Quali sono gli obiettivi dell'azienda?
Ridurre i costi
Tab. 35: Come ritiene sarà il peso del primo cliente per i prossimi due tre anni? Filiera
Non filiera
In aumento
22,2
38,5
In diminuzione
23,6
19,2
Stazionario
54,2
42,2
Filiera
Non filiera
Sì
17,2
7,7
No
82,8
92,3
Tab. 36: Avete previsto processi di delocalizzazione?
396
L’analisi tipologica
Performance Tab. 37: Classe di addetti: Cluster 1
2
3
100,0
0,0
0,0
10-49
0,0
69,8
100,0
50 e oltre
0,0
30,2
0,0
100,0
100,0
100,0
0-9
Totale
Tab. 38: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
Diminuito molto (oltre il -25%)
0,0
0,0
38,9
Diminuito poco (-25% / -5%)
0,0
4,3
61,1
Stabile (-5% / +5%)
63,0
39,1
0,0
Aumentato poco (+5% / +25%)
26,1
45,7
0,0
Aumentato molto (oltre il +25%)
10,9
10,9
0,0
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 39: L'azienda realizza prodotti destinati (direttamente o indirettamente) ai settori delle 2,3 ruote? Cluster 1
2
3
No
84,8
47,8
58,3
Sì
15,2
52,2
41,7
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 40: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
Per il mercato finale con marchio proprio
22,2
28,3
40,0
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
31,1
15,2
8,6
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
46,7
56,5
51,4
100,0
100,0
100,0
Totale
397
Tab. 41: Le imprese per cui lavora, principalmente, sono: Cluster 1
2
3
Grandi imprese di marchio
14,3
26,9
11,1
Imprese industriali che vendono sul mercato finale
33,3
23,1
44,4
Imprese industriali che svolgono lavorazioni intermedie
52,4
50,0
44,4
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 42: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
3
Distretto / provincia
47,8
28,3
47,2
Regione (esclusa provincia)
32,6
26,1
27,8
Italia (escl. regione)
17,4
41,3
25,0
Estero
2,2
4,3
0,0
Totale
100,0
100,0
100,0
Tab. 43: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
No
76,1
60,9
80,6
Sì
23,9
39,1
19,4
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 44: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
50,0
65,2
50,0
Esterna
4,3
10,9
5,6
45,7
23,9
44,4
100,0
100,0
100,0
Interna
32,6
47,8
41,7
Esterna
10,9
17,4
19,4
Non presente
56,5
34,8
38,9
100,0
100,0
100,0
Interna
63,0
93,5
77,8
Esterna
34,8
6,5
19,4
2,2
0,0
2,8
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Engineering e design
Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale
segue 398
Finanza Interna
55,8
87,0
69,4
Esterna
32,6
10,9
25,0
Non presente
11,6
2,2
5,6
100,0
100,0
100,0
Interna
82,6
95,7
88,9
Esterna
13,0
4,3
8,3
4,3
0,0
2,8
100,0
100,0
100,0
Interna
60,9
82,6
66,7
Esterna
6,5
6,5
8,3
32,6
10,9
25,0
100,0
100,0
100,0
Interna
56,5
58,7
55,6
Esterna
6,5
8,7
11,1
37,0
32,6
33,3
100,0
100,0
100,0
Interna
80,4
95,7
86,1
Esterna
4,3
2,2
8,3
15,2
2,2
5,6
100,0
100,0
100,0
Interna
69,6
71,7
63,9
Esterna
21,7
23,9
30,6
8,7
4,3
5,6
100,0
100,0
100,0
Interna
76,1
82,6
69,4
Esterna
8,7
17,4
30,6
15,2
0,0
0,0
100,0
100,0
100,0
Totale Produzione
Non presente Totale Commerciale e Marketing, vendite
Non presente Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Non presente Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
399
Tab. 45: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
95,7
71,7
83,3
4,3
28,3
16,7
100,0
100,0
100,0
Tab. 46: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
No
56,5
50,0
63,9
Sì
43,5
50,0
36,1
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 47: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
No
60,9
54,3
69,4
Sì
39,1
45,7
30,6
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 48: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
95,7
71,7
88,9
4,3
28,3
11,1
100,0
100,0
100,0
Tab. 49: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
No
41,3
26,1
50,0
Sì
58,7
73,9
50,0
100,0
100,0
100,0
Totale
400
Tab. 50: A quanti fornitori si rivolge abitualmente? Cluster 1
2
3
3,7
5,9
5,6
Da 4 a 10
48,1
17,6
33,3
Più di 10
48,1
76,5
61,1
100,0
100,0
100,0
Meno di tre
Totale
Tab. 51: Mi sa indicare la localizzazione geografica principale dei fornitori? Cluster 1
2
3
Distretto / provincia
37,0
11,8
11,1
Regione
18,5
2,9
27,8
Italia
44,4
82,4
61,1
Estero
0,0
2,9
0,0
Totale
100,0
100,0
100,0
Tab. 52: Ha già attivato il processo di certificazione di qualità? Cluster 1
2
3
No
77,8
37,0
77,8
Sì
22,2
63,0
22,2
100,0
100,0
100,0
Totale
Mercato Tab. 53: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
Per il mercato finale con marchio proprio
12,1
27,0
62,5
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
12,1
27,0
21,9
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
75,9
45,9
15,6
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 54: L'azienda vende attraverso una rete distributiva propria? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
100,0
0,0
46,9
0,0
100,0
53,1
100,0
100,0
100,0
401
Tab. 55: Dove sono localizzati i principali clienti? Cluster 1
2
3
Distretto / provincia
48,3
54,1
6,3
Regione (esclusa provincia)
32,8
32,4
21,9
Italia (escl. regione)
19,0
13,5
62,5
Estero
0,0
0,0
9,4
Totale
100,0
100,0
100,0
Tab. 56: La sua azienda vende all'estero? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
96,6
86,5
9,4
3,4
13,5
90,6
100,0
100,0
100,0
Tab. 57: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
39,7
54,1
84,4
Esterna
10,3
5,4
3,1
Non presente
50,0
40,5
12,5
100,0
100,0
100,0
Interna
15,5
45,9
78,1
Esterna
19,0
16,2
12,5
Non presente
65,5
37,8
9,4
100,0
100,0
100,0
Interna
75,9
73,0
84,4
Esterna
22,4
24,3
15,6
1,7
2,7
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
68,4
72,2
77,4
Esterna
22,8
22,2
22,6
8,8
5,6
0,0
100,0
100,0
100,0
Totale Engineering e design
Totale Amministrazione e controllo di gestione
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale
segue
402
Produzione Interna
93,1
86,5
84,4
Esterna
5,2
10,8
15,6
Non presente
1,7
2,7
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
56,9
75,7
90,6
Esterna
6,9
8,1
6,3
36,2
16,2
3,1
100,0
100,0
100,0
Interna
43,1
56,8
84,4
Esterna
6,9
10,8
9,4
50,0
32,4
6,3
100,0
100,0
100,0
Interna
82,8
86,5
96,9
Esterna
5,2
5,4
3,1
12,1
8,1
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
62,1
70,3
78,1
Esterna
31,0
24,3
15,6
6,9
5,4
6,3
100,0
100,0
100,0
Interna
72,4
81,1
78,1
Esterna
20,7
13,5
18,8
6,9
5,4
3,1
100,0
100,0
100,0
Totale Commerciale e Marketing, vendite
Non presente Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Non presente Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Non presente Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
Tab. 58: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
No
43,1
43,2
21,9
Sì
56,9
56,8
78,1
100,0
100,0
100,0
Totale
403
Tab. 59: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
No
63,8
58,3
37,5
Sì
36,2
41,7
62,5
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 60: Al 31 dicembre 2004, l'impresa (o il gruppo di cui l'impresa fa eventualmente parte) aveva almeno un brevetto valido per proteggere le innovazioni di prodotto (beni o servizi) o di processo sviluppate al proprio interno? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
98,3
89,2
56,3
1,7
10,8
43,8
100,0
100,0
100,0
Tab. 61: Ha già avviato il processo di certificazione di qualità? Cluster 1
2
3
No
70,7
69,4
40,6
Sì
29,3
30,6
59,4
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 62: L'azienda intende sviluppare / potenziare (per chi ce l'ha già) una rete distributiva propria? Cluster 1
2
3
No
89,3
73,0
54,8
Sì
10,7
27,0
45,2
100,0
100,0
100,0
Totale
Innovazione Tab. 63: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha introdotto sul mercato prodotti (beni o servizi) tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
No
30,0
100,0
0,0
Sì
70,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Totale
404
Tab. 64: Tra il 2002 e il 2004, l'impresa ha introdotto processi di produzione, o metodi di realizzazione o fornitura di servizi, tecnologicamente nuovi o migliorati? Cluster 1
2
3
0,0
100,0
100,0
Sì
100,0
0,0
0,0
Totale
100,0
100,0
100,0
No
Tab. 65: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
8,0
14,0
9,5
diminuito poco (-25% / -5%)
18,0
21,1
14,3
Stabile (-5% / +5%)
34,0
38,6
38,1
Aumentato poco (+5% / +25%)
30,0
21,1
28,6
Aumentato molto (oltre il +25%)
10,0
5,3
9,5
100,0
100,0
100,0
diminuito molto (oltre il -25%)
Totale
Tab. 66: Classi di addetti: Cluster 1
2
3
0-9
46,0
59,6
57,1
10-49
38,0
31,6
28,6
50 e oltre
16,0
8,8
14,3
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 67: Indicare se le seguenti funzioni aziendali sono interne all'azienda (nel suo complesso) o se vengono acquisite all'esterno Cluster Ricerca e sviluppo
1
2
3
Interna
60,0
45,6
71,4
Esterna
10,0
3,5
9,5
Non presente
30,0
50,9
19,0
100,0
100,0
100,0
Interna
42,0
33,3
57,1
Esterna
20,0
10,5
19,0
Non presente
38,0
56,1
23,8
100,0
100,0
100,0
Totale Engineering e design
Totale
segue
405
Amministrazione e controllo di gestione Interna
78,0
75,4
85,7
Esterna
22,0
21,1
14,3
0,0
3,5
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
70,8
75,4
60,0
Esterna
27,1
15,8
30,0
2,1
8,8
10,0
100,0
100,0
100,0
Interna
92,0
84,2
95,2
Esterna
6,0
12,3
4,8
Non presente
2,0
3,5
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
72,0
63,2
85,7
Esterna
8,0
8,8
0,0
20,0
28,1
14,3
100,0
100,0
100,0
Interna
62,0
45,6
76,2
Esterna
6,0
10,5
9,5
32,0
43,9
14,3
100,0
100,0
100,0
Interna
92,0
80,7
95,2
Esterna
0,0
8,8
4,8
Non presente
8,0
10,5
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
70,0
66,7
71,4
Esterna
26,0
22,8
28,6
4,0
10,5
0,0
100,0
100,0
100,0
Interna
82,0
75,4
66,7
Esterna
16,0
15,8
28,6
2,0
8,8
4,8
100,0
100,0
100,0
Non presente Totale Finanza
Non presente Totale Produzione
Totale Commerciale e Marketing, vendite
Non presente Totale Assistenza post vendita
Non presente Totale Acquisti, logistica e magazzino
Totale Servizi tecnici (IT, manutenzione..)
Non presente Totale Controllo qualita , ambiente, sicurezza
Non presente Totale
406
Tab. 68: L'azienda realizza prodotti destinati (direttamente o indirettamente) ai settori delle 2,3 ruote? Cluster 1
2
3
No
58,0
68,4
66,7
Sì
42,0
31,6
33,3
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 69: Ha già avviato il processo di certificazione di qualità? Cluster 1
2
3
No
59,2
75,4
38,1
Sì
40,8
24,6
61,9
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 70: Principalmente l'azienda realizza prodotti: Cluster 1
2
3
Per il mercato finale con marchio proprio
18,0
32,7
47,6
Per il mercato finale ma senza marchio proprio
24,0
20,0
4,8
Prodotti, componenti finiti e semilavorati per altre imprese industriali
58,0
47,3
47,6
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 71: L'azienda vende all'estero? Cluster 1
2
3
No
60,0
84,2
66,7
Sì
40,0
15,8
33,3
100,0
100,0
100,0
Totale
Tab. 72: Per realizzare i suoi prodotti nel 2004 l'azienda ha fatto ricorso a fornitori di componenti o parti essenziali? Cluster 1
2
3
No
36,0
47,4
19,0
Sì
64,0
52,6
81,0
100,0
100,0
100,0
Totale
407
Struttura Tab. 73: Tra il 2002 e il 2004 qual è stato l'andamento complessivo del fatturato? Cluster 1
2
3
4
8,1
12,9
0,0
16,7
diminuito poco (-25% / -5%)
16,2
21,0
27,3
11,1
Stabile (-5% / +5%)
32,4
43,5
27,3
27,8
Aumentato poco (+5% / +25%)
35,1
16,1
27,3
38,9
8,1
6,5
18,2
5,6
100,0
100,0
100,0
100,0
diminuito molto (oltre il -25%)
Aumentato molto (oltre il +25%) Totale
Tab. 74: L'impresa fa parte di un gruppo? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
100,0
0,0
100,0
0,0
0,0
100,0
0,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Tab. 75: L'impresa partecipa a consorzi? Cluster
No Sì Totale
1
2
3
4
100,0
100,0
72,7
0,0
0,0
0,0
27,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
408
Note
409
410
411
412
413
414
415
416