Istituto MEME associato a
Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
UNO SGUARDO ALL’ANSIA Scuola di Specializzazione: Relatore Contesto di Project Work: Tesista Specializzando:
Counselling Dott.ssa Roberta Frison OPG Reggio Emilia Giuseppe Ruggieri
Modena: 7 e 8 settembre 2013 Anno Accademico: 2012 – 2013 Matricola N° 3416
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“Ciò che colpisce al cuore s’incide nella memoria” (Voltaire)
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INDICE INTRODUZIONE…………………………………….……..……. p. 5 1. LE EMOZIONI…………………………………….……...……. p. 7 1.1 Indicatori di Processi Relazionali………………………...... p. 8 2. L’ANSIA…………………………………………………………. p. 12 2.1 I principali sintomi dell’ansia……………………………… p. 18 2.2 L’ansia: Teoria Cognitivo Comportamentale……………… p. 20 2.3 Interpretazioni che suscitano sentimenti di ansia………….. p. 22 3. IL RILIEVO DELL’ANSIA NEL PAZIENTE Esperienza di un gruppo sulla regolazione e alfabetizzazione emozionale con pazienti psichiatrici………………………………………...……. p. 23 3.1 INTRODUZIONE……………………………...……...……. p. 24 3.1.1 La malattia psichiatrica e le dinamiche di gruppo.............. p. 24 3.1.2 Il Counselling di gruppo…………………………………. p. 27 3.1.3 Il gruppo…………………………………………………. p. 28 3.1.4 L’alfabetizzazione e la regolazione emozionale…….……p. 30 3.2 DESCRIZIONE……………………………...………...……. p. 34 3.2.1 La tipologia dei pazienti………………………………… p. 34 3.2.2 La strutturazione e la metodologia del gruppo……..…… p. 35 3.2.3 Gli strumenti utilizzati…………………….……………... p. 41 3.3 CONCLUSIONI……………………………......……...……. p. 42 3.3.1 Il concetto di apprendimento secondo Bateson………….. p. 42 3.3.2 Considerazioni conclusive dell’esperienza gruppale……..p. 43 3.4 ALLEGATI……………………………...……………..……. p. 50
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3.4.1 Vocabolario emotivo.............……………………………. p. 51 3.4.2 Mappa delle emozioni………...………….……………... p. 52 3.4.3 Diario creato ad hoc………...…………………………… p. 53 3.4.4 STAXI-2 State-Trait Anger Expression Inventory–2…….. p. 54 3.4.5 STAI State Anxiety Inventori – Ansia di Tratto……...…. p. 55 3.4.6 Diario creato ad hoc..………………………...…………...p. 56 4. BIBLIOGRAFIA……………………………………………………. p. 57 5. SITOGRAFIA………………………….............................................. p. 58
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INTRODUZIONE Attraverso la semplicità del titolo che ho voluto assegnare alla mia tesina, voglio poter lasciare libera interpretazione rispetto ad un argomento così sentito nella società attuale. Il modo che ho scelto per provare a guardare all’ansia si è indirizzato in una prospettiva differente a quelli che sono i pregiudizi comuni, i quali attribuiscono a questa emozione una connotazione prettamente negativa; un’emozione da debellare. Se guardata in modo amichevole, valorizzandone i punti di forza (es. sensibilità ai campanelli dall’allarme) la connotazione può assumere un risvolto positivo. L’esperienza vissuta e la riflessione che ho potuto fare sull’argomento mi ha permesso di guardare anche alla mia ansia, rileggendo con una lente differente quegli aspetti che prima valutavo come difficoltosi. Le modalità gruppali mi hanno permesso di poter mettere in pratica quanto riflettuto durante la preparazione antecedente al gruppo, e valutarne l’effettiva
realtà
di
tale
emozione,
scollegandola
dai
pregiudizi
convenzionali che anche gli stessi pazienti hanno riportato durante il percorso. L’approccio iniziale con il gruppo ha portato anche me, in veste di conduttore, a entrare a contatto maggiormente con tale emozione, in quanto l’inesperienza nella conduzione di un gruppo mi ha condotto spesso a pensare come sarei riuscito ad affrontare le tematiche evidenziate dai pazienti ed a rinarrarle insieme in una connotazione positiva. Il clima empatico che si è creato all’interno del gruppo, proprio per la compartecipazione emotiva con i pazienti, mi ha permesso di condividere gli aspetti solitari che tale emozione porta con se, per arrivare ad accettare di impedirci di averne paura. C. R. Rogers definisce la tendenza all’avvio di un gruppo in un modo assolutamente non strutturato, limitandosi a un semplice commento: “Immagino che alla fine delle sedute di questo gruppo ci conosceremo
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molto meglio tra noi”, oppure: “Eccoci qui. Possiamo fare dell’esperienza di questo gruppo proprio quello che vogliamo”, o ancora: “Sono un po’ a disagio, ma in qualche misura mi sento rassicurato se vi guardo e mi rendo conto che siamo tutti sulla stessa barca. Da dove cominciamo?1”
1
C. R. Rogers, (1970), “Carl Rogers on encounter groups”, traduzione di A. Menzio, “I gruppi d’incontro”, Astrolabio, Roma, p. 51.
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1 LE EMOZIONI
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1.1 INDICATORI DI PROCESSI RELAZIONALI La parola emozione deriva dal latino exmovere o emovere, che significa "trasportare fuori" o "smuovere". Per tanto indica un moto dell'animo in risposta a stimoli esterni o interni a noi. Si tratta di una manifestazione fisica legata alla percezione di un evento che si verifica nell'ambiente (esterno) o nel nostro spazio mentale (interno)2. Le emozioni sono stati mentali fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. In termini darwiniani la loro funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell'individuo a situazioni in cui è necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza. Questa tipologia di reazione per tanto non utilizza processi cognitivi ed elaborazioni legate alla coscienza. Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni) e una funzione auto-regolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Lo psicologo americano Paul Ekman (1992) definisce che una caratteristica fondamentale delle emozioni è data dal fatto che vengano espresse universalmente, cioè da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili. Ekman come le espressioni facciali corrispondenti ad ogni singola emozione interessino gli stessi tipi di muscoli facciali e allo stesso modo, indipendentemente da fattori quali latitudine, cultura e etnia. Il volto e il linguaggio verbale possono quindi riflettere all'esterno le emozioni più profonde: una voce tremolante, un tono alterato, un sorriso solare, la fronte corrugata indicano la presenza di uno specifico stato emotivo. L'autore ha classificato le emozioni in base ai loro effetti sui muscoli del viso. La sua ricerca ha portato a individuare sei emozioni di base (Rabbia, 2
Kotson I., (2012), “Quaderno d’esercizi per l’intelligenza emotiva”, Antonio Vallardi Editore, Milano.
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Paura, Disgusto, Felicità, Tristezza, Sorpresa) presenti in tutte le culture e universalmente
identificabili
attraverso
delle
espressioni
facciali
caratteristiche che costituiscono una sorta di linguaggio emotivo3.
Figura 1: Espressioni.4
L'emozione ha inoltre effetto sugli aspetti cognitivi: può causare diminuzioni o miglioramenti nella capacità di concentrazione, confusione, smarrimento, allerta ecc... Per tanto possiamo definire tre livelli principali in cui le emozioni agiscono:
quello dei pensieri;
quello dei comportamenti;
quello delle relazioni sociali.5
3
Apparigliato M., Lissandron S., (2004), “Emozioni consuete e inconsuete in psicoterapia cognitiva”, Deleyva editore, Milano, cap. 1. 4 Mario Di Pietro, Monica Dacomo, (2007), ”Giochi e attività sulle emozioni”, Editore Centro Studi Erickson, Trento. 5 Andrè C., (2006), “La forza delle emozioni”, TEA, Milano, pp. 11-12.
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Invece ciò che scatena le emozioni non è universale e varia a seconda delle culture, dei contesti e degli individui.
Figura 2: La soggettività dell'emozione.6
Ciascuno di noi prova delle emozioni e le persone con cui ci relazioniamo provano e manifestano emozioni con le quali dobbiamo fare i conti, in quanto ci muovono, riempiono i nostri giorni di luce e ombra, ci rendono attori piuttosto che spettatori del nostro vivere. L'emozione è quindi un processo che ha inizio con un evento scatenante e la relativa percezione e decodificazione è valutata in relazione ai propri scopi o alle proprie “preoccupazioni”. Pertanto esse, stabiliscono priorità tra obiettivi e ci organizzano per intraprendere azioni precise. Importante è sottolineare la connotazione letteraria e non che diversifica le emozioni dai sentimenti. Col termine “sentimento” si fa riferimento a stati affettivi di bassa intensità, durevoli e pervasivi, senza una causa immediatamente percepibile, che hanno la capacità di influenzare eventi inizialmente neutri. “I processi di pensiero non vengono interrotti come succede talvolta con l'insorgenza dell'emozione, ma possono essere modificati dalla totalità prevalentemente piacevole o spiacevole di questi stati”.
6
Kotson I., (2012), “Quaderno d’esercizi per l’intelligenza emotiva”, Antonio Vallardi Editore, Milano, p. 6.
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Col termine "emozioni" si identificano, invece, stati affettivi intensi di breve durata, con causa precisa, interna o esterna, un contenuto cognitivo e la funzione di ri-orientare l'attenzione. Esse vengono definite come processi con un inizio, una durata e una fase di attenuazione accompagnati da modificazioni fisiologiche, manifestazioni espressive tendenze all'azione.7 La nostra educazione ha dato poco spazio all'apprendimento delle emozioni, infatti, spesso tendiamo a evitare, fuggire, combattere contro di esse contribuendo ad aumentare il nostro malessere nel lungo termine. Questo meccanismo ha come effetto quello di impedirci di imparare dalle nostre emozioni, perché tale processo può innescarsi soltanto se cominciamo ad accoglierle, a conoscerle. Cogliere le proprie emozioni è uno dei modi per prendere coscienza dei nostri automatismi, per creare una spazio di libertà nelle nostre vite. Tuttora che si presenta un'emozione/sensazione spiacevole, bisogna imparare a prendere coscienza dell'impulso automatico volto a evitarla e/o controllarla, per prendere il giusto tempo di osservarla, riconoscerla e di percepirla, in poche parole di accoglierla. “Quello che non si vuole sapere di se stessi finisce per arrivare dall'esterno come un destino.8” (Carl Gustav Jung)
7
Apparigliato M., Lissandron S., (2004), “Emozioni consuete e inconsuete in psicoterapia cognitiva”, Deleyva editore, Milano, cap. 1. 8 Kotson I., (2012), “Quaderno d’esercizi per l’intelligenza emotiva”, Antonio Vallardi Editore, Milano, p. 23.
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2 L’ANSIA
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“…Uno degli uomini più in vista della città raccontava di aver redatto una lista dei cinquanta avvenimenti che aveva più temuto accadessero negli ultimi dieci anni… ebbene, aveva concluso che sinora nessuno di questi si era verificato, ma il pensiero lo aveva fatto star male come se fossero realmente accaduti…9” (Shader, 1989)
Ormai tutti parlano di ansia, come si trattasse di uno stato affettivo di significato univoco, quasi una modalità di esistenza di una “tonalità di base” del vivere comune, di immediata compressibilità. Nel vocabolario l’ansia si connota come “agitazione dell’anima motivata da incertezza, trepidazione o desiderio affannoso”. Il termine ansia deriva dai vocaboli latini “anxius”, con il significato di agitazione e “angere” stringere strettamente o strangolare e individua parte del disagio soggettivo e fisico che l’ansioso può avvertire.10 Siamo tutti un po’ ansiosi anche se ci sono persone che lo sono più di altre, tanto di più da condurre una vita tragica. Robert Owen (‘700/’800) sottolinea che e molto più semplice accorgersi dei comportamenti “strani” degli altri che dei nostri in quanto sia pure con sfumature diverse, ciascuno di noi ha piccole manie, fissazioni, abitudini “ridicole”. Tutto dipende dal grado di comportamento: se è appena accennato, non solo non disturba, ma può anche essere accettabile e utile; mentre quando è troppo marcato, assorbe energie psichiche ed è decisamente limitante. Nelle Scienze del Comportamento l’ansia è prima di tutto una reazione di allarme propria dell’istinto di conservazione, un vissuto di attesa di qualche cosa di indefinito, avvertito più spesso come pericoloso, a cui generalmente si associano sia sintomi fisici che sintomi di tensione ed ipervigilanza.
9
www.medicina-chirurgia.uniss.it, consultato aprile 2013. Goracci A., Bossini L., “Le diverse espressioni dell’ansia e della paura”, SEE, Firenze, p. 27.
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Quando l’ansia supera un determinato livello, le cose cominciano a peggiorare producendo sintomi specifici che si diversificano in rapporto alla maggiore o minore vulnerabilità della persona. Le pulsioni di vita e quelle di morte agiscono le une contro le altre o, più spesso, si combinano in proporzioni
diverse
determinando
tutta
la
varietà
dei
nostri
comportamenti.11 Le manifestazioni sono simili a quelle della paura, ma mentre l’ansia anticipa il pericolo in assenza di un oggetto chiaramente identificato, la paura si riferisce ad uno stato d’animo di inquietudine e grave turbamento che si prova al pensiero o alla presenza di un pericolo. È la mancanza di uno stimolo definito, tale da giustificare lo stato emozionale derivato dalla percezione di una concreta minaccia, che distingue l’ansia dalla paura.12
Figura 3: Le differenze tra paura e ansia.13
L’ansia è cognitivamente più complessa della paura. La capacità di prevedere il pericolo a distanza di tempo e di spazio, cioè l’ansia, è presente solo negli organismi più evoluti. Analogamente ad un atleta che, prima di 11
Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna. Goracci A., Bossini L., “Le diverse espressioni dell’ansia e della paura”, SEE, Firenze, p. 28. 13 Andrè C., (2006), “La forza delle emozioni”, TEA, Milano. 12
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una competizione, mette in atto dei movimenti di riscaldamento allo scopo preparare adeguatamente l’organismo alla prestazione, la risposta ansiosa potrebbe avere un significato adattivo, quello cioè di “fare un riscaldamento” in vista di una prova da affrontare.
Figura 4: Disturbi d'ansia con oggetto e senza oggetto.14
L’ansia è un’emozione naturale che scaturisce da un processo di selezione finalizzata, in un ambiente ancestrale, all’adattamento, con funzione di allarme e prevenzione dei pericoli. Nell’ansia patologica la reazione di allarme perde il suo ruolo adattivo teso a preparare l’organismo alla gestione del pericolo e rimane costantemente attivata, anche in condizioni di non pericolo da cui l’aspettativa e l’anticipazione. Ad oggi parlare di ansia racchiude diverse correnti, alcuni sostengono che essa abbia una funzione protettiva; per altri, essa dimora nelle radici più profonde della nostra essenza umana; altri ancora, sono convinti che la nostra capacità di adattarci al mondo e di fare progetti per il futuro dipende proprio dall’ansia. Nel linguaggio comune noi intendiamo per ansia uno
14
Goracci A., Bossini L., “Le diverse espressioni dell’ansia e della paura”, SEE, Firenze, pp. 28-32.
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stato di apprensione, di malessere, di “eccitabilità generale”, come scriveva Freud. Ma questo è già l’ambito dell’ansia patologica, che ha superato certi limiti e che, dunque, attira maggiormente l’attenzione del profano e dello studioso (dx della curva); ma l’ansia c’è sempre, anche se in gradi molto bassi (sx della curva) e in gradi ottimali ha numerosi e vitali benefici (centro della curva).15
Figura 5: Grado dell'ansia.16
È difficile negare che il mondo contemporaneo e qualsiasi momento delle nostre giornate siano praticamente intrisi di tensione ansiosa. Proprio perché una porzione d’ansia è sempre presente, anche se in maniera più o meno sfumata, nella nostra vita quotidiana. È un’ansia “normale”, che si fa sentire in maniera più o meno lieve per avvertirci che qualcosa non ci va a genio o ci arreca preoccupazioni. Pertanto la storia di questa emozione coincide comunque con la storia dell’uomo, indipendentemente da culture o periodi storici particolari. Il filosofo arabo Ala Ibn Hazim (XI sec.) scriveva: “Ho sempre tentato di individuare lo scopo delle azioni umane che tutti considerano primario e che tutti perseguono e ho trovato che è quello di fuggire all’ansia. Non solo ho scoperto che tutta l’umanità ritiene ciò giusto e desiderabile, ma anche che nessuno è spinto ad agire o pronunciare una sola parola se non spera che quell’azione o quella parola serva ad allontanare l’ansia dal suo animo”. 15 16
Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna. Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna, p. 22.
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Il cucciolo dell’uomo, per esempio, sa fin dai primi anni di vita quanto sia potenzialmente dannoso vivere separati dalle figure genitoriali e quanto siano da temere luoghi non familiari o condizioni ambientali avverse, quali il buio o la solitudine. L’ansia che ne consegue è espressa con comportamenti di protesta, pianto agitazione e/o sintomi somatici: queste reazioni, in un’ottica filogenetica, non possono che essere ritenute normali. Quindi un certo tipo di ansia è insito nella natura umana: lo è biologicamente, lo è socialmente, lo è esistenzialmente. Fino a certi livelli di intensità l’ansia sostanzialmente positiva perché, coerentemente alla sua funzione adattiva, aumenta la motivazione e facilita la concentrazione su un compito, migliorando il rendimento. A livelli più elevati diventa disfunzionale ed ostacola le prestazioni. Ma non è soltanto un problema di “quantità” che fa dell‘ansia, fenomeno normale, un fatto patologico. È essenzialmente un problema di “qualità” che fa dei fenomeni in questione, un’altra cosa. Da un punto di vista Cognitivo l’accento, oltre che sul soggetto, è posto sulle caratteristiche dell’avvenimento, le quali sarebbero suggestivamente rappresentate dalla “non controllabilità” e dalla “non prevedibilità”, con una conseguente connotazione negativa. In altre parole, mentre nell’ansia normale è l’evento che “costruisce” nell’individuo l’ansia, nell’ansia patologica è l’individuo che “costruisce” in modo ansioso gli eventi. Quindi l’ansia diviene patologica quando fa sentire deboli e dipendenti dagli altri, quando si manifesta come un forte disagio interiore accompagnato da un senso di impossibilità a condurre una vita normale. Ci sono comunque, anche a questi stadi, delle notevoli differenze di grado, che può essere più o meno alto da persona a persona e da momento a momento. Inoltre, la capacità di sopportare una certa dose di ansia è relativa: mentre ci sono persone che, pur con un’ansia considerevole, vivono in modo apparentemente accettabile, ve ne sono altre che crollano anche di fronte ad
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ansie che sembrano di poco conto. L’ansia è infatti un fenomeno personale e soggettivo. L’ansia è uno stato psichico prevalentemente cosciente, di un individuo caratterizzato da una sensazione di paura, più o meno intensa e duratura, che può essere connessa o meno ad uno stimolo specifico immediatamente individuabile (interno o esterno) ovvero dunque una mancata risposta di adattamento dell’organismo ad una qualunque determinata e soggettiva fonte di stress per l’individuo stesso. L’ansia è una complessa combinazione di emozioni negative che includono paura, apprensione e preoccupazione, ed è spesso accompagnata da sensazioni fisiche.17 2.1 I PRINCIPALI SINTOMI DELL’ANSIA Sintomi psico-emotivi Ansia, stato d’allarme senza motivo apparente. Tensione. Deterioramento cognitivo (minore capacità di attenzione, concentrazione, apprendimento, memoria, risoluzione dei problemi). Indecisione. Insoddisfazione di se. Disturbi del sonno. Incubi notturni. Perdita della gioia di vivere. Senso di disperazione. Incapacità di fare piani per il futuro. Diminuzione o disturbi della libido. Sintomi organici Debolezza, facilità di stancarsi. Abbondanti sudorazione, mani sudate. Capogiri, vertigini. 17
Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna.
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Disturbi visivi, ronzio alle orecchie. Tremori, dai più fini ai più evidenti. Cefalea da tensione, indolenzimento ai muscoli della nuca, del collo e delle spalle. Senso di testa vuota o di svenimento. Tachicardia. Difficoltà di respiro, peso o dolore al torace. Disturbi digestivi ed intestinali. Frequente bisogno di urinare. Sintomi psico-comportamentali Frequenti errori a causa del decadimento cognitivo. Peggioramento dei rapporti socio affettivi. Tendenza all’isolamento. Tendenza a criticare gli altri che “non capiscono” il suo male. Irrequieto tamburellare con le dita o pestare i piedi. Agitazione, irrequieto passeggiare avanti e indietro. Predisposizione ai piccoli e grandi incidenti. Suscettibilità. Balbuzie o farfugliamenti. Incapacità di amare di provare affetto e interesse sessuali. Consumo di sigarette, alcol, psicofarmaci o droghe. Tabella 1: I principali sintomi dell'ansia.18
L’ansia sembra avere varie componenti di cui una cognitiva, una somatica, una emotiva, una comportamentale:
La componente cognitiva comporta aspettative di un pericolo diffuso ed incerto.
Dal punto di vista somatico (o fisiologico), il corpo prepara l’organismo ad affrontare la minaccia (una reazione d’emergenza).
18
Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna, p. 31.
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Dal punto di vista emotivo, l’ansia causa un senso di terrore o panico, nausea e brividi.
Dal punto di vista comportamentale si possono presentare sia comportamenti volontari che involontari, diretti alla fuga o all’evitare la fonte d’ansia. Questi comportamenti sono frequenti e spesso non-adattivi, dal momento che sono i più estremi nei disturbi d’ansia. In ogni caso l’ansia non sempre è patologica o non-adattiva: è un’emozione comune come la rabbia, la paura, la tristezza e la felicità,
ed
è
sopravvivenza.
una
funzione
importante
in
relazione
alla
19
2.2 L’ANSIA: TEORIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE Secondo la teoria cognitivo-comportamentale, le preoccupazioni e le rimuginazioni possono essere normali o patologiche a seconda non dei loro contenuti, ma della loro frequenza e di come vengono valutate dalla persona. l’ansia patologica deriverebbe da peculiari valutazioni sia positive che negative delle proprie preoccupazioni e rimuginazioni. Generalmente, infatti, chi ha questo disturbo inizialmente presenta credenze positive sulle proprie preoccupazioni: pensando che proprio il preoccuparsi gli permette di riflettere e, dunque, di trovare soluzioni ai propri problemi o di prevenire catastrofi. Nelle fasi iniziali, dunque, la preoccupazione è deliberatamente ricercata dalla persona. In seguito, soprattutto a causa del fatto che nel frattempo le rimuginazioni sono diventate pervasive, spesso la persona inizia a valutare negativamente le proprie preoccupazioni: pensa di non riuscire a controllarle e che questo potrebbe essere pericoloso, per cui “si preoccupa di essere preoccupata” (metapreoccupazione) (es. “Starò male o impazzirò se continuo a preoccuparmi così”). In tal caso, le preoccupazioni 19
Farnè M., (2003), “L’ansia”, Il Mulino, Bologna.
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sono vissute come intrusive, disturbanti e difficili da interrompere. I comportamenti messi in atto, poi, per attenuare preoccupazioni e ansia (distrazione, controllo del pensiero, evitamenti, richiesta di rassicurazioni) momentaneamente le riducono, ma a lungo andare le mantengono e rinforzano perché lasciano inalterate le credenze disfunzionali su di esse. Le convinzioni positive e negative sulla rimuginazioni e i comportamenti disfunzionali per ridurla interagiscono tra di loro generando un circolo vizioso; così in questo modo il disturbo si mantiene. Nel trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo d’ansia viene utilizzato un protocollo che prevede l’impiego delle seguenti procedure:
ricostruzione della storia del disturbo;
formulazione dello schema di funzionamento del disturbo, a partire dall’analisi di recenti episodi nei quali la persona si è sentita preoccupata e ansiosa;
formulazione di un contratto terapeutico, che contenga, obiettivi condivisi da paziente e terapeuta e i loro rispettivi compiti;
psicoeducazione, cioè fornire al paziente informazioni relative al ruolo che hanno le credenze sulle preoccupazioni nell’insorgenza e nel mantenimento del disturbo;
individuazione dei pensieri disfunzionali;
apprendimento di tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia;
esposizione graduale ai pensieri ed agli stimoli temuti ed evitati.
Questo protocollo è applicabile sia alla terapia individuale, che a quella di gruppo. Rispetto alla terapia individuale, quella di gruppo consente ad ogni partecipante di confrontarsi con altre persone che soffrono del suo stesso disturbo, favorendo il ridimensionamento del problema e la riduzione della sensazione soggettiva di “essere anormale”.
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Il parlare di stati mentali e di emozioni da la possibilità di etichettare il vissuto
secondo
modalità
che
possono
identificarne
l'intensità
dell'emozione, la sua durata, il gradimento personale ecc. Per tanto diversi sono i nomi che facilitano la comprensione dei propri stati psicologici, attribuendo ad essi precisione, specificità e differenziazione.20 2.3 INTERPRETAZIONI CHE SUSCITANO SENTIMENTI DI ANSIA Credere di essere rifiutati, criticati, disapprovati o non amati da qualcuno. Ritenere possibile un fallimento, attendersi un fallimento. Credere di non poter ottenere l'aiuto che desideri o di cui pensi di avere bisogno. Credere di poter perdere l'aiuto e l'assistenza che hai. Credere di perdere qualcuno o qualcosa che desideri. Perdere il senso del proprio autocontrollo; ritenersi impotenti o incapaci. Perdere il proprio senso di padronanza e competenza. Credere di poter essere ferito o danneggiato, o di poter perdere qualcosa a cui tieni. Credere di poter morire, o sentire la morte vicina. Tabella 2: Sentimenti dell'ansia.21
20 21
www.terzocentro.it, consultato aprile 2013. Linehan M. M., “Trattamento cognitivo comportamentali del disturbo borderline”, Raffaello Cortina Editore.
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3 IL RILIEVO DELL’ANSIA NEL PAZIENTE Esperienza di un gruppo sulla regolazione e alfabetizzazione emozionale con pazienti psichiatrici
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3.1 INTRODUZIONE 3.1.1 LA MALATTIA PSICHIATRICA E LE DINAMICHE DI GRUPPO L’applicazione della terapia di gruppo al contesto psichiatrico viene fatta risalire al lavoro di Edward Lazell, che nel 1919 iniziò a riunire in gruppo e trattare con una “terapia della parola” pazienti psicotici e Julius Metzl uno dei pionieri del lavoro di gruppo con pazienti alcolisti. Con i primi anni ’20, anche Alfred Adler, iniziò a svolgere trattamenti di gruppo. A metà degli anni ’40 alcuni psichiatri; Wilfered Bion, S. H. Foulkes, iniziarono a sperimentare delle forme di intervento in piccolo gruppo per i soldati traumatizzati. La buona efficacia clinica del modello usato, insieme alla sua notevole “efficacia” in termini di “rapporto numerico” tra i pazienti trattabili e terapeuti disponibili, segnarono una tappa decisiva nella diffusione e considerazione degli approcci clinici di gruppo. A prescindere dall’orientamento di base del gruppo terapeutico, diversi autori sostengono che ci sono dei fattori terapeutici generali validi per tutti gli approcci gruppali:
UNIVERSALITA’: il paziente trae beneficio dal rendersi conto che tutti i suoi sintomi possano essere condivisi.
INSTILLAZIONE
DI
SPERANZA:
il
farsi
coraggio
vicendevolmente mobilita la sensazione di potercela fare.
ACQUISIZIONE DI NUOVE INFORMAZIONI: la pluralità che caratterizza il gruppo è fonte, inevitabilmente, di notizie e chiarimenti sui problemi condivisi.
CAMBIAMENTO DEL COPIONE FAMILIARE: il gruppo condente la messa in scena, attraverso un delicato gioco di transfert e controtransfert, di vecchi drammi familiari, che con la presenza del
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terapeuta possono essere rivisti e cambiati al fine di raggiungere migliori livelli di benessere.
ALTRUISMO: i partecipanti al gruppo sperimentano l’importante vissuto di essere non solo bisognosi, ma anche competenti e in grado di soddisfare richieste altrui, attraverso le loro indicazioni o suggerimenti.
SVILUPPO DI TECNICHE DI SOCIALIZZAZIONE: il gruppo svolge una fondamentale funzione di specchio. I partecipanti attraverso
feedback
e
risposte
aiutano
e
sono
aiutati
nell’acquisizione di una più accurata auto percezione. La nuova consapevolezza è alla base per un successivo cambiamento di interazione sociale.
COMPORTAMENTO IMITATIVO: ogni paziente ha la possibilità di osservare e prendere a modello gli aspetti positivi del comportamento degli atri partecipanti e del terapeuta.
APPRENDIMENTO INTERPERSONALE: ogni partecipante, per migliorare la propria patologia, deve attraversare diversi stadi. In primo luogo è indispensabile rendersi conto delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri e su se stesso, quindi, deve modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione, nel gruppo, di nuovi comportamenti e infine deve verificare se essi risultano effettivamente più adeguati e rispettosi per tutti.
COESIONE DI GRUPPO: i partecipanti sperimentano la sensazione che qualcosa di importante sta per avvenire all’interno di un contesto protetto e accogliente. La coesione di gruppo altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “ pareti” sono formate da vari membri e dalla loro voglia di far parte del gruppo.
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CATARSI: il contesto gruppale sviluppa la potenzialità liberatoria attraverso l’immedesimazione nell’altro e nelle sue problematiche.
Alla base del buon funzionamento del gruppo vi sono delle regole, che consentono ad ognuno di rispettare la libertà degli altri: - la riservatezza e confidenzialità; - il tempo a disposizione fisso: che fa si che ognuno utilizzi il gruppo lasciando spazio agli altri; - esprimersi invece di dialogare; - il basta davvero: è una formula convenzionale pronunziata dall’interessato per interrompere il lavoro che si sta facendo su di lui; - l’esclusione di osservatori occasionali.22 Gli approcci terapeutici gruppali presentano alcuni vantaggi rispetto a quelli classici “duali”; in quanto permettono di trattare/intervenire su più persone con minori risorse soprattutto sfruttando specifici processi psicologici di gruppo all’interno della relazione clinica, per migliorare l’efficacia di alcuni tipi di intervento. In molte occasioni, il gruppo si pone infatti come “terzo elemento” della relazione terapeutica, permettendo ai pazienti osservare e comprendere meglio i propri pattern relazionali in un contesto più naturale e complesso rispetto alla semplice interazione diadica col terapeuta. L’osservazione delle interazioni altrui, e di quelle del gruppo nel suo insieme, permette inoltre di derivare importanti interferenze su dinamiche comunicative e di ruolo spesso di notevole rilievo clinico. Le dinamiche interattive del gruppo sono infatti in molti casi uno degli elementi fondamentali del materiale clinico utilizzato, assieme alle esperienze passate dei componenti del gruppo ed alle loro esperienze di vita al di fuori del gruppo.23 22 23
www.mentecorpomalattia.it, consultato aprile 2013. www.wikipedia.it, consultato aprile 2013.
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3.1.2 IL COUNSELING DI GRUPPO Quando alla coppia si aggrega un terzo individuo comincia a delinearsi il gruppo e si manifestano fenomeni di coalizione, di rifiuto, di maggioranza e di minoranza. Lewin (1936) definisce il gruppo come: "Una unità che esprime qualcosa di più della somma delle qualità dei suoi membri". Deutsch e Krauss (1972) sottolineano che: "Un gruppo è un insieme di membri che si percepiscono reciprocamente come interdipendenti in modo cooperativo e stimolante". Seguendo le riflessioni di Benson (1987) l'interazione e la reciprocità tra uno o più partecipanti con certi bisogni determinamo il comportamento del gruppo. Una progettazione appropriata e soddisfacente del lavoro di gruppo poggia sui bisogni dei singoli e del gruppo nella sua interezza. Pertanto le esigenze dei membri del gruppo sono alla base della sua formazione. L'autore inoltre parla di una fondamentale differenza tra contenuto e processo. Il primo si riferisce al COSA dell'esperienza di gruppo, è la sostanza dell'attività di gruppo e da ai partecipanti un contesto sociale nell'ambito del quale possono interagire. Mentre il processo si riferisce al COME dell'esperienza di gruppo, al modo in cui i componenti discutono o agiscono insieme. Pertanto è quello che accade sotto la superfice, la riflessione a livello psicologico delle operazioni di gruppo. Il counseling di gruppo consente di: - condividere le esperienze; - sviluppare le capacità di integrazione sociale; - ricevere supporto per poter negoziare il significato ed elaborare esperienze personali particolarmente pregnanti.
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Pertanto il counselling di gruppo offre la possibilità di sperimentare uno spazio psicologico protetto all'interno del quale esplorare un'ampia gamma di possibilità e potenzialità e il facilitatore deve adoperarsi per creare il clima del gruppo, perché ogni partecipante senta di poter fare affermazioni ed esplorare situazioni e dinamiche in ambiente sicuro. Una delle aree di lavoro, definite da Benson, come fondamentali è il lavoro con le emozioni, cioè identificarle come parti integranti dell'essere umano senza attribuirvi una connotazione positiva o negativa a priori, ma riconoscere che il piano connotativo è interconnesso alla nostra scelta di azioni e comportamenti relativi alle emozioni24. "... I sentimenti verranno considerati importanti, desiderabili e produttivi e aggiungeranno qualcosa ai rapporti anziché distruggerli o impoverirli." (Benson, 1987) 3.1.3 IL GRUPPO L’intervento gruppale appare uno strumento terapeutico legato alla comunicazione verbale e non verbale, che fa riferimento a vari orientamenti teorici suoi quali si articola in maniera diversificata. A prescindere da ciò, la strutturazione principale attorno a cui ruotano le dinamiche di gruppo sono gli obiettivi generali e quelli specifici, che si vanno a creare coi pazienti durante e attraverso l’iter gruppale. L’intervento di gruppo consiste solitamente in una terapia “verbale” che tratta con un certo numero di pazienti contemporaneamente. Durante le sedute l’attenzione è focalizzata man mano su ogni membro, mentre gli altri ascoltano e partecipano attivamente, rendendo possibile una forma di apprendimento.
24
A. Di Fabio, Counseling, pp. 217-230.
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Inoltre
molti
traggo
conforto
e
sostegno
semplicemente
dalla
consapevolezza che anche altri hanno problemi simili ai loro. Un intervento gruppale è indicato per pazienti deficitari dal punto di vista del mantenimento di una corretta e costante relazione d’oggetto ed incapaci di verbalizzare in modo adeguato e sintono le proprie problematiche ed i vissuti emotivi, facendo risultare deficitaria ed inaccessibile una eventuale relazione terapeutica duale. Il gruppo funge quindi da mezzo per migliorare la capacità di cogliere i propri stati emotivi e affettivi, migliorare le modalità comportamentali e le capacità di relazioni interpersonali. Inoltre funge anche da contenitore, o luogo protetto, ove condividere e discutere in un setting ben definito, creato dagli stessi membri con la supervisione ed il coordinamento di un coach partecipante. Per tanto anche le modalità relazionali, attivamente partecipanti, tenute dal conduttore sono state pensate per fungere da mezzo di correlazione e confronto tra una quotidianità riportata dagli stessi pazienti e una socialmente più legata ad una realtà giornaliera standard. Nello specifico del gruppo dell'alfabetizzazione e regolazione emozionale, la partecipazione attiva e non giudicante di tutti i partecipanti ha portato a dinamiche di confronto potenzialmente utili come spunti di riflessione condivisa. In tale contesto la parola "condivisione" acquista un'accezione e un significato importante, in quanto può fungere da sfogo, strategia, confronto, sollievo e messa in gioco, quindi tutto ciò che può permettere hai soggetti non solo di esporsi con le proprie esperienze, ma anche di avere un feedback immediato anche laddove la partecipazione fosse di solo ascolto. Il gruppo perciò non appare solo come luogo dove riportare le proprie esperienze emotive, ma anche come vera e propria strategia comunicativa da usare e nella quale potersi testare.
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3.1.4 L’ALFABETIZZAZIONE E LA REGOLAZIONE EMOZIONALE “L’essenziale è invisibile agli occhi. Lo si vede bene solo col cuore25.” (A. De Saint-Exupéry)
Oggi lo sviluppo delle neuroscienze sa dirci quasi tutto sulle nostre emozioni, ma ancora non ci dice quel che Aristotele riferisce nella Retorica, là dove scrive “Le emozioni hanno relazioni con l’apparato cognitivo perché si lasciano modificare dalla persuasione 26 ”. Ciò significa che la nostra emotività può essere educata e, se vogliamo una società migliore, deve essere educata. Che c’entra tutto ciò con l’educazione delle emozioni? C’entra perché chi non sa sillabare l’alfabeto emotivo, chi ha lasciato dissecare le radici del cuore, si muove nel mondo pervaso da un timore inaffidabile, e quindi con una maggiore vigilanza, spesso non disgiunta da spunti paranoici che inducono a percepire il prossimo innanzitutto come un potenziale nemico. Oggi quel che succede in casa resta lì compresso e incomunicato, e quel che succede fuori è trattato con quelle maschere che ogni giorno indossiamo per non lasciare trasparire nulla dei drammi, delle gioie, e dei dolori che si vivono dentro le mura di casa ben protette. Nel deserto della comunicazione emotiva che da piccoli non ci è arrivata, e da grandi ci hanno insegnato a controllare, fa la sua comparsa, soprattutto quello violento, che prende il posto di quelle parole che non abbiamo scambiato né con gli altri, né con noi stessi per afasia emotiva. E allora prima del lettino dello psicoterapeuta dove le parole si scambiano a 25
A. De Saint-Exupéry, (1941), “Le Petit Prince”, traduzione, Bompiani, (1995) “Il piccolo principe”, Milano, p. 79. 26 Aristotele, (1378 a.), “Retorica”, Libro II.
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pagamento, prima dei farmaci che soffocano tutte le parole con cui potremmo imparare a nominare e a conoscere i nostri moti d’anima, dobbiamo convincerci della necessità e dell’urgenza di un’educazione emotiva preventiva, di cui sono scarsissime sono le occasioni in famiglia, a scuola e nella società. La conoscenza postuma che in età adolescenziale o in età adulta porta qualcuno dallo psicoterapeuta a cercar l’anima o direttamente in farmacia nel tentativo di sedar l’anima potrebbe essere attenuata se ci fosse maggior attenzione alla cura dell’emotività fin dal giorno della nascita, quando il neonato si attacca al seno materno e, insieme al latte, assapora l’accoglienza, l’indifferenza o il rifiuto. Poi si cresce, e nell’educazione della prima infanzia si vedono padri e madri che promuovono un’educazione fisica e intellettuale, ma non un’educazione emotiva, che è poi l’educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Tutte queste cose il bambino se le organizza da se e soprattutto con gli strumenti che non ha. Quel che si avverte è una sovrabbondanza di stimoli esterni e carenza di comunicazione, segnali di quell’indifferenza emotiva, oggi sempre più diffusa, per effetto della quale non si ha risonanza emozionale difronte hai fatti a cui si assiste o ai gesti che si compiono. Oggi l’educazione emotiva è lasciata al caso e le persone sono più soli, più depressi, più rabbiosi, più impulsivi, più ansiosi, perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia, secondo i quali si sarà capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare27. D. Goleman nell’importante libro sull’intelligenza emotiva presenta un gioco di ruoli svoltosi in una scuola elementare, ove l’insegnante durante l’appello, quindi chiamandoli per nome, i bimbi non rispondono con
27
U. Galimberti, (2007), “L’ospite inquietante”, Feltrinelli, Milano, pp. 43-53.
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l’inespressivo “presente”, ma con un numero che indica come si sentono; “uno” significa essere giù di corda, “dieci” sentirsi pieni di energia. Oggi il morale è alto: “Jessica” “Dieci. Sono su di giri, è venerdì” “Patrick” “Nove. Sono eccitato, un po’ nervoso” “Nicole” “Dieci. Sono serena e felice…” È una lezione di Scienza del sé, ove i sentimenti propri e quelli scaturiti dai rapporti con gli altri sono oggetto di argomentazione. I corsi di alfabetizzazione emozionale hanno radici lontane nei movimenti per l’educazione affettiva degli anni ’60. All’epoca si pensava che le lezioni psicologiche e motivazionali venissero apprese meglio se comportavano l’esperienza immediata di quanto veniva insegnato concettualmente. Il movimento per l’alfabetizzazione emotiva rovescia però completamente il senso dell’educazione affettiva, perché invece di usare l’affettività per educare, educa la stessa affettività. I contenuti dell’insegnamento comprendono l’autoconsapevolezza, ossia la capacità di riconoscere i sentimenti e di costruire un vocabolario per la loro verbalizzazione; cogliere i nessi tra pensieri, sentimenti e reazioni (ABC)28. Il
filosofo
J.
Dewey
riteneva
che
un’educazione
morale
fosse
massimalmente efficacia quando le lezioni venivano impartite in presenza di accadimenti reali e non astrattamente: e questo il modo dell’alfabetizzazione emozionale.29
28
D. Goleman, (1995), “Emotional Intelligent”, traduzine di I. Blum (parti I-IV) e B. Lotti (parte V e appendici), (1996), ”Intelligenza Emotiva”, Rizzoli, Milano, pp. 421-431. 29 S. C. Rockefeller, J. Dewey: Religious Faith and Democratic Humanism, Columbia University Press, New York, 1991.
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Per quanto concerne le abilità di regolazione emozionale l’autrice M. M. Linehan, ne tratta in un suo libro proprio tale argomento che considera come il presupposto teorico di diversi disagi emotivi. Definisce la regolazione emozionale come un’abilità che può essere insegnata, attraverso un training delle condizioni indispensabili quali; un contesto con un’atmosfera di validazione emozionale, un’osservazione non giudicante e una descrizione delle proprie risposte emotive del momento. ABILITÁ SPECIFICHE DI REGOLAZIONE EMOZIONALE
Identificare e denominare gli affetti.
Identificare gli ostacoli al cambiamento delle emozioni.
Ridurre la vulnerabilità alla “mente emotiva”.
Incrementare gli eventi a valenza emozionale positiva.
Incrementare
l’attenzione
consapevole
e
non
giudicante
della
sofferenza
(mindfulness) alle emozioni del momento.
Attuare comportamenti di segno opposto.
Applicare
le
tecniche
di
tolleranza
mentale/angoscia30.
30
Linehan M. M., “Trattamento cognitivo comportamentali del disturbo borderline”, Raffaello Cortina Editore, pp. 485-488.
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3.2 DESCRIZIONE 3.2.1 LA TIPOLOGIA DEI PAZIENTI Una delle principali aree in cui si è soffermata la nostra osservazione prima di stilare un programma di gruppo, fissando degli obiettivi generali, è stato quello di identificare dei criteri per la scelta dei pazienti. Tali criteri vertevano:
Sull'aspetto cognitivo; i soggetti identificati dovevano avere conservate abilità minime quali la memoria, l'attenzione e aspetti cognitivi generali nella media.
Spiccati comportamenti disfunzionali legati alla manifestazione/non manifestazione dell'emotività.
Marcate problematicità principalmente legate ad emozioni quali l'ansia e la rabbia; tale criterio risultava prevalente in quanto l'organizzazione
gruppale
avrebbe
previsto
alcuni
incontri
psicoeducativi sull'emozione in generale, ma il cuore dello sviluppo del gruppo sarebbe stato orientato in particolare su queste due emozioni. L'aspetto legato alla patologia non è stato citato come criterio per due motivazioni; la prima che l'orientamento del gruppo era specifico sull'aspetto emotivo e non sugli aspetti psicopatologici specifici dei vari pazienti; la seconda è legata alla funzione "terapeutica" del Counsellor, il quale non tratta la patologia, ma tratta le difficoltà ad aspetti relazionali, comunicativi, comportamentali e interpersonali.
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3.2.2 LA STRUTTURAZIONE E LA METODOLOGIA DEL GRUPPO Il gruppo si è articolato in diversi incontri, ognuno dei quali si è sviluppato inizialmente partendo da obiettivi generali, per poi arrivare a sviscerarne di più specifici orientati sulle esigenze dei pazienti, sulle esperienze riportate e sulle necessità rilevate in itinere dagli stessi o dal conduttore. Questa flessibilità ha permesso di fare emergere le emotività legate a situazioni realmente vissute e che gli stessi pazienti hanno riportato all’interno del gruppo, nello specifico concentrandoci sull’emozione dell’ansia. La metodologia non si è avvalsa unicamente di un aspetto psicoeducativo classico, ma si è cercato di creare confronto attraverso una comunicazione e un’interazione circolare all’interno del gruppo stesso. Gli obiettivi inizialmente identificati dal conduttore prevedevano una psicoeducazione volta a riconoscere l’importanza dell’aspetto emotivo generale (il nostro GPS interno) e nello specifico le caratteristiche, cambiamenti e aspetti legati all’emozione dell’ansia. Questo attraverso una maggior alfabetizzazione con i termini che esprimono tale emozione primaria. Durante l’evoluzione delle sedute si è sempre di più andata a creare una maggior necessità d’interattività tra i componenti e per tanto si è valutato indispensabile creare con gli stessi degli strumenti che potessero avere una valenza di appartenenza significativa. In relazione a questo si sono andati creando, durante i primi incontri, un vocabolario emotivo gruppale e una mappa concettuale specifica per ricostruire le sensazioni, i comportamenti ed i pensieri legate alle situazioni discusse in gruppo. La scelta di non avvalersi di tabelle o strumenti già preconfezionati ha permesso una buona coesione gruppale e un miglior sentimento di appartenenza da parte di ogni
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membro del gruppo. Questo perché il gruppo non si costituisce solamente in vista di uno scopo specifico, ma attraverso lo stimolo delle relazioni tra i membri che permette di evitare che alcuni soggetti possano essere emarginati in quanto entranti in conflitto con gli obiettivi generali. Il principio fondamentale è quindi quello di apprendere mediante il confronto e l’esperienza diretta che è possibile ottenere attraverso una ricerca di soluzioni a problemi complessi, una migliore conoscenza delle proprie emozioni e del modo in cui ci si mette in rapporto con gli altri. L’uso della domanda da parte del conduttore è stato volto a stimolare il dialogo tra gli stessi pazienti permettendo inoltre una migliore circolarità comunicativa. Considerato che ogni domanda che il conduttore pone deve avere uno scopo ben preciso e deve essere inserita in maniera opportuna rispetto alla fase gruppale in cui ci si trova in quel momento. La tipologia di domande è stata posta come stimolo di riflessione rispetto ad alcuni passaggi legati alla consapevolezza dell'emozione dell'ansia. Tale emozione è stata scorporata proprio attraverso domande specifiche, ma non intrusive in quanto il paziente poteva raccontare il proprio vissuto cognitivo (cosa penso?), comportamentale (cosa faccio?) e fisico (cosa sento?) in maniera democratica. Nello specifico alcune delle domande poste sono state:
Cos'è per voi l'ansia...
Come fate a capire quando provate ansia...
Quando provate ansia...
Come capite che è ansia e non un'altra emozione...
Quali sensazioni fisiche percepite in una situazione che vi provoca ansia... E in tutte le situazioni che vi provocano ansia percepite le stesse sensazioni fisiche...
Qual è il vostro pensiero che sta dietro l'ansia...
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Qual è il pensiero che nasce dopo l'emozione provata... Come comunichiamo all'altro il nostro bisogno, la nostra difficoltà e la nostra emotività stessa...
Cosa vorreste che facessero gli altri quando in una situazione provate ansia...
Cosa chiedereste a qualcuno per capire che emozione prova…
Queste sono state alcune delle domande ricorrenti che hanno accompagnato le dinamiche gruppali e che a un certo livello la coesione del gruppo ha permesso che gli stessi pazienti cominciassero a rivolgersi reciprocamente e autonomamente tali domande, durante “l’analisi” delle situazioni riportate, per meglio comprenderle. L’iter gruppale prevede 11 incontri a cadenza settimanale, della durata di 1 ora ciascuno e il gruppo è identificabile come “gruppo chiuso”, cioè non permette l’ingresso di altre persone oltre i soggetti partecipanti (pazienti e conduttore). Qualora uno dei soggetti devesse non partecipare a più di un incontro non potrà continuare la sua partecipazione al gruppo, in quanto l’argomento e la metodologia di sviluppo prevede un training sequenziale nelle diverse sedute. La conduzione iniziale è stata condivisa e sovrapposta da entrambi gli operatori in quanto l’argomento dei primi incontri verteva su una psicoeducazione emozionale generale e la creazione condivisa del vocabolario di gruppo (Allegato 1) e di una mappa dell’emozioni (Allegato 2) che sarebbe stata utilizzata per analizzare le situazioni e l’emozioni correlate. Successivamente i due conduttori si sono alternati nella conduzione, pur rimanendo presenti all’interno del gruppo come osservatori. Nello specifico gli incontri si sono suddivisi in tematiche riguardanti l’ansia e tematiche riguardanti la rabbia. La metodologia di affrontare tali argomenti è comunque rimasta coerente con gli obiettivi generali identificati
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inizialmente, in quanto la visione da parte del paziente doveva essere quella di un training sequenziale nell’arco di tutti gli undici incontri. Gli argomenti trattati nei diversi incontri sono stati sviluppati in generale come segue: Incontri
Argomenti PSICOEDUCAZIONE Condivisione della situazione di gruppo, attraverso la conoscenza reciproca. Spiegazione delle dinamiche, modalità
1°
e organizzazioni. Valutazione rispetto al coinvolgimento e alla motivazione dell’argomento che si andrà a trattare negli incontri successivi. Somministrazione test iniziale (STAXI-2 e STAI-Ansia di tratto) Psicoeducazione emotiva, attraverso la costruzione di un
2°
vocabolario emozionale del gruppo, che parte dalle categorie emotive principali (Rabbia, Felicità, Ansia, Tristezza) e la correlata intensità. Psicoeducazione emotiva, attraverso la discussione condivisa dei dubbi legati alla collocazione dell’emozioni nelle categorie
3°
principali (viene richiesto di pensare ad una situazione legata all’emozione in oggetto e al nostro pensiero correlato, che ha portato l’emozione ad una soggettiva intensità). ANSIA Partendo
da
una
situazione
riportata
dal
conduttore,
costruzione condivisa della mappa delle emozioni attraverso la 4°
valutazione dei cambiamenti fisici e mentali, l’osservazione del comportamento, per arrivare alla categorizzazione dell’emozione attraverso la sua intensità.
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Utilizzo della mappa delle emozioni per confrontarci su situazioni riportate dagli stessi pazienti. Spiegazione della curva dell’ansia (quando è funzionale/produttiva e quando è problematica). 5°
Assegnazione di un compito (che sarà discusso insieme nell’incontro successivo):
collocare su
un termometro
emozionale le emozioni dell’ansia, condivise nel vocabolario di gruppo, e descrivere le situazioni a cui abbiamo pensato per identificarne tale intensità. Condivisione gruppale del compito svolto con particolare attenzione a quelli che sono stati i pensieri correlati, che hanno 6°
portato a percepire una determinata intensità emotiva e hanno conseguentemente scaturito un determinato comportamento. Identificazione di alcuni pensieri disfunzionali prevalenti, attraverso il confronto con le ipotesi di pensiero degli altri. “Condividiamo insieme l’esperienza fin ora fatta e se ha apportato qualcosa alla vostra quotidianità emotiva…” L’incontro è cominciato con questa domanda di gruppo che ha
7°
permesso di riflettere insieme sull’utilità degli incontri di gruppo e del confronto con l’esperienza degli altri e dell’ascolto in se stesso. Somministrazione del test (STAI-Ansia di tratto). RABBIA “cos’è la rabbia…” “perché ci si arrabbia…” “come capiamo che siamo arrabbiati…”
8°
Attraverso l’uso della domanda, come mezzo di confronto, introduzione psicoeducativa sul funzionamento della rabbia e di noi quando siamo arrabbiati.
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Utilizzo della mappa delle emozioni per confrontarci su situazioni riportate dagli stessi pazienti. Particolare attenzione 9°
ai pensieri correlati, che hanno portato a percepire una determinata intensità emotiva e hanno conseguentemente scaturito un determinato comportamento. “ Qual è il pensiero che sta dietro la rabbia…”
10°
partendo da alcune situazioni analisi dei pensieri correlati e intensità dell’emozione provata. Questo per differenziarne la comunicazione attraverso il comportamento conseguente.
11°
Feedback del gruppo. Somministrazione test (STAXI-2)
Tabella 3: Argomenti trattati in gruppo.
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3.2.3 GLI STRUMENTI UTILIZZATI Durante l’organizzazione pre-gruppo è emersa la necessità di annotare l’evoluzione gruppale di ogni seduta, per meglio ragionare sulle dinamiche e gli argomenti trattati, attraverso una scheda diario creata dagli stessi conduttori per tali esigenze (Allegato 3). L’obiettivo
generale
del
gruppo
verteva
su
un
training
legato
principalmente a due emozioni quali l’ansia e la rabbia, per tanto si è ritenuto necessario utilizzare due test standardizzati specifici di tali argomentazioni (State-Trait Anger Expression Inventory-2 e State Trait Anxiety Inventory-Ansia di Tratto) (Allegato 4 e Allegato 5). Tali strumenti sono stati somministrati la prima volta in contemporanea nella fase iniziale del gruppo e in momenti diversificati la seconda volta. Il loro utilizzo è stato pensato con due intenti predominanti; uno legato alla riflessione che il paziente avrebbe potuto avere durante la compilazione, in entrambe le due fasi e la seconda motivazione era legata al ragionamento che il conduttore avrebbe potuto fare per delineare le considerazioni finali legate ai singoli e al gruppo nella sua totalità. A tale riferimento si è creata una scheda ove annotare gli obiettivi specifici per ogni paziente su cui lavorare durante l’iter del gruppo e dove sono state raccolte informazioni sugli aspetti personologici di ogni soggetto (Allegato 6).
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3.3 CONCLUSIONI 3.3.1 IL CONCETTO DI APPRENDIMENTO SECONDO BATESON G. Bateson diede importanti contributi, che poi altri studiosi come Paul Watzlawick, Don Jackson e Jay Haley ripresero rendendoli operativi a livello di strategie terapeutiche, furono lo studio della schismogenesi, vale a dire la progressiva creazione di differenze attraverso l'accumulo dell'interazione tra persone e gruppi; lo studio dei vari livelli dell'apprendimento, con particolare enfasi sul concetto di deuteroapprendimento o "apprendimento ad apprendere" (l'acquisizione di pattern e strutture cognitive attraverso l'esperienza) ed infine, un trattamento del tutto originale del concetto di "mente" riconoscendo, e studiando, la tendenza dei sistemi di interazione a costruirsi come sistemi mentali sovra-individuali31. Il Deutero-apprendimento è un concetto che analizza il comportamento umano ed animale, per descriverne il processo, contestuale a quello dell'imparare, attraverso cui si "impara ad imparare"32. G. Bateson, in Verso un'ecologia della Mente, descrive due forme di schismogenesi e sostiene che entrambe siano autodistruttive per le parti coinvolte. Egli inoltre suggerisce che i ricercatori debbano escogitare un metodo per fermare la schismogenesi prima che essa raggiunga la fase distruttiva.
Schismogenesi complementare
Questo primo tipo di schismogenesi include tutti i casi in cui i comportamenti dei membri di due gruppi sono fondamentalmente diversi. Dati due gruppi sociali o due individui A e B, l'interazione tra loro si configura in modo che ad un comportamento X di A è associato un comportamento Y di B. La schismogenesi complementare è un processo che 31 32
it.wikipedia.org/wiki/Gregory_Bateson it.wikipedia.org/wiki/Deuteroapprendimento
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implica una dinamica esponenziale in questo tipo di configurazione tale per cui il comportamento A stimola un comportamento B, che a sua volta comporta un'accentuazione di A e così via. Questo processo, se non è regolamentato da processi volti al mantenimento dell'equilibrio, può portare al collasso del sistema. Nelle società occidentali la differenziazione complementare
si
comportamentali
manifesta di
più
frequentemente
autorità-sottomissione,
nei
binomi
assistenza-dipendenza,
esibizionismo-ammirazione. Ciò che è essenziale per la nozione di schismogenesi
è
la
struttura
formale
della
relazione:
le
azioni
reciprocamente stimolanti di un gruppo o di un individuo sono sostanzialmente diverse, ma reciprocamente appropriate.
Schismogenesi simmetrica
Si ha schismogenesi simmetrica quando le due entità coinvolte sono sullo stesso piano. Un classico esempio è la corsa agli armamenti (soprattutto nucleari) durante la guerra fredda tra USA e URSS. Ognuno dei due gruppi, nel desiderio di prevalere sull'altro, accumulava armi: un'attività chiaramente inutile ma apparentemente necessaria per entrambi i fronti33. 3.3.2 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE DELL’ESPERIENZA GRUPPALE Le considerazioni qui di seguito descritte sono orientate all’emozione dell’ansia, in quanto la mia conduzione si è svolta su tale argomento. L’obiettivo principe su cui mi sono orientato è stato quello di accompagnare il gruppo alla comprensione di alcune specificità legate a questa emozione. Nello specifico i cambiamenti neurofisiologici e i pensieri retrostanti alla situazione
analizzata
hanno
permesso
una
condivisione
e
una
psicoeducazione. 33
it.wikipedia.org/wiki/Schismogenesi
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La psicoeducazione proposta non è stata unidirezionale (conduttorepaziente), ma creata dal gruppo attraverso una comunicazione circolare. Secondo una definizione da letteratura il termine psicoeducazione indica una metodologia introdotta nel campo delle scienze della salute mentale negli anni '80 del ‘900, che punta a rendere consapevole la persona portatrice di un disturbo psichico, e i membri della sua famiglia, circa la natura della patologia di cui è sofferente e circa i mezzi per poterla fronteggiare. Sono stati applicati alcuni interventi, ricavati dal cognitivismo e dal comportamentismo, tesi a ridurre lo stress e il carico familiare con il rischio di favorire la ricaduta, come le abilità di comunicazione efficace (esprimere richieste in maniera positiva, esprimere sentimenti piacevoli e spiacevoli, ascolto attivo) e l'abilità di risolvere i problemi (problem solving)34. Il concetto di psicoeducazione che la conduzione di tale gruppo ha avuto come obiettivo, si discosta dal concetto classico che la vede in stretta relazione a un modello di apprendimento accademico. A tale proposito la metodologia ha previsto un’impostazione di co-costruzione (interazione umana, condivisione dell’esperienze) ove gli aspetti emotivi, la conoscenza culturale soggettiva e gli aspetti esperienziali, hanno creato apprendimento sull’argomento definendo in tale modo il concetto di psicoeducazione strettamente di tale gruppo. L’apprendimento attraverso una psicoeducazione condivisa, ha permesso a ogni membro di poter riflettere e attribuire alle emozioni per loro prevalenti un senso e un significato differente precedentemente utilizzato (ipotesi di una nuova narrazione di sé). Tale modalità comunicativa è avvenuta tramite l’uso di alcune domande, che anche gli stessi pazienti si sono rivolti reciprocamente: o Che cosa ha scatenato la nostra ansia? 34
it.wikipedia.org/wiki/Psicoeducazione
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o Come capiamo che l’emozione provata è ansia? o La nostra emozione fa riferimento ad un oggetto? o Qual è il pensiero legato all’ansia? o Come ci comportiamo quando proviamo ansia? o Che risultati ci aspettiamo da noi e dagli altri? o Come comunichiamo la nostra emotività? Alcune di queste domande inoltre hanno permesso di differenziare, attraverso un apprendimento concreto su situazioni portate dagli stessi soggetti, il significato che diversifica l’ansia dalla paura. Questo perché spesso durante l’iter gruppale è emersa una confusione nel riconoscerle, che inevitabilmente falsava l’aspetto comunicativo a se stessi e agli altri. L'impostazione di gruppo è stata orientata al confronto su situazioni in cui gli stessi partecipanti ne erano protagonisti. Questo ha portato a una riflessione più approfondita, anche attraverso l'utilizzo della mappa emotiva, su i vari procedimenti cognitivi volti all'identificazione di tale emozione. Questa modalità di affrontare l'emozione dell'ansia, ha permesso di perturbare
anche
delle
convinzioni
personali
legate
al
tematica
dell'autostima. L'autostima è la valutazione che una persona da di se stessa, ed essendo un fattore dinamico che evolve nel tempo e subisce variazioni nell'arco della vita, è importante coltivarla per evitare che dimorino fattori di ostacolo, i quali non permetterebbero di percepirsi e rapportarsi a se stessi in modo realistico. Questo significa anche essere in grado di ammettere che c'è qualcosa che non va quando le circostanze lo richiedono. Uno degli obiettivi generali del gruppo si è orientato proprio su questo aspetto, la correlazione tra l'autostima e ansia. Rispetto a questa tematica il gruppo si è posto in maniera non giudicante, ma accogliente ascoltando e rinarrando le difficoltà espresse da alcuni dei soggetti. Questo ha permesso una ricostruzione degli eventi attraverso un
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arricchimento della propria prospettiva, proprio grazie all'apporto degli altri partecipanti. Il gruppo ha avuto anche funzione di rete di supporto consentendo di elaborare esperienze personali particolarmente pregnanti e di rinegoziarne il significato attraverso la condivisione dei pensieri conseguenti di tale emozione. L’aspetto comunicativo che si è sviluppato all’interno del gruppo ha apportato a ogni membro qualcosa dell’altro, in quanto i feedback avuti hanno fatto emergere riflessioni anche legate ad aspetti personologici finora ben consolidati nelle diverse strutture personali dei soggetti partecipanti. L’apprendimento è avvenuto attraverso le relazioni formatosi ad ogni incontro, grazie alla partecipazione attiva e non che comunque ha permesso ad ogni soggetto di avere un ruolo significativo per l’altro all’interno del sistema gruppale. In tale dinamiche il conduttore ha avuto un ruolo di facilitatore, approfondendo con domande le argomentazioni e le esperienze riportate, attraverso una compartecipazione empatica. Per quanto concerne la conduzione, inizialmente si sono presentate difficoltà legate alla mancanza di coesione e confidenzialità tra i membri e tra i membri e il conduttore. Di conseguenza per agevolare dinamiche volte ad una maggiore relazione si è utilizzato un metodo legato allo stimolo del paziente anche al di fuori degli incontri. Nello specifico diversi sono stati i compiti affidati: per esempio termometro emotivo, annotare situazioni legati all'ansia riscontrate nell'arco della settimana o riflessioni sugli episodi del passato. Questo ha permesso di testare il gruppo e conseguentemente alla risposta positiva data dal gruppo, ogni singolo è riuscito ad abbassare le difese e a esprimere in maniera più naturale le proprie difficoltà e i propri pensieri legati all'emozione dell'ansia.
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La specificità del gruppo non si è orientata unicamente a un’osservazione e discussione del gruppo nel suo insieme, ma in itinere sono stati identificati anche obiettivi individualizzati su ogni singolo soggetto. Questo
è scaturito
da una concomitanza d’informazioni
appresa
conseguentemente la somministrazione del test e al confronto con gli operatori che conoscono il paziente nella quotidianità. Inoltre l'aver identificato tali obiettivi ha permesso di spronare ogni singolo sulle difficoltà specifiche.
Paziente 1: l’obiettivo specifico sul paziente era orientato a una stimolazione e a una condivisione dei suoi vissuti emotivi, in quanto la percezione di se che emerge è un po’ ambivalente. Nel gruppo il paziente non si è esposto in prima persona “io non provo ansia”, ma in alcuni occasione è stato di supporto agli altri. In realtà a quanto emerso il paziente esprime ansia legata a un’aggressività latente. L’aiuto del gruppo per il soggetto menzionato, ha permesso di far riflettere lo stesso su alcuni pensieri che inizialmente dal test risultavano negativi (percezione di sé e dell’accoglimento dell’altro), modificandoli in una connotazione positiva.
Paziente 2: l’obiettivo identificato verteva principalmente sullo stimolare il paziente nel dialogo in gruppo. Le difficoltà sono state evidenti perché il paziente da un punto di vista emotivo è poco comunicativo, ma attraverso l’uso di compiti fuori dal gruppo si è trovata la chiave d’accesso per fargli condividere alcune situazioni ed emozioni (angoscia legata alla quotidianità, preoccupazione nelle relazioni famigliari).
Paziente 3: dato che è emerso una modalità comunicativa molto più legata agli aspetti fisici e dei comportamenti, l’orientamento individualizzato è stato volto a far riflette il paziente anche sui pensieri correlati all’emozione. Anche il supporto del gruppo è stato
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fondamentale nonostante il soggetto ancora fine iter gruppale faticasse ad esprimere secondo una modalità diversa da quella sempre utilizzata.
Paziente 4: già dai primi incontri ha manifestato di provare in diverse situazioni l’ansia anche ad intensità elevate, con conseguenti disfunzionalità. In seguito a ciò l’obiettivo individualizzato si è concentrato sull’aspetto cognitivo, nello specifico nella condivisione ai pensieri legati alle situazioni personali. Su questo si è potuto lavorare molto perché il paziente era molto disponibile alla condivisione gruppale e all’accoglienza delle ipotesi proposte dagli altri partecipanti. Il feedback avuto dal paziente a fine incontro è stato quello di un’attenuazione delle sue modalità comportamentali legate alla richiestività e alla ripetitività.
Paziente 5: l’obiettivo era quello di far comunicare l’emotività legata alle situazioni vissute. Il paziente è apparso ben coeso col gruppo e questo gli ha permesso di esprimere con maggiore partecipazione le sue esperienze personali. La funzionalità del gruppo nella sua totalità, per il soggetto è apparsa fondamentalmente per la sua produttività comunicativa.
Paziente 6: l’obiettivo si è indirizzato a stimolare il paziente nell’espressione di quello che prova senza false realtà. Per perseguire tale obiettivo nel gruppo diverse volte gli sono stati chiesti di condividere situazioni vissute in prima persona. Alla fine dell’iter gruppale il paziente è apparso quello meno partecipativo rendendo
evidente
al
conduttore
la
sua
riluttanza
nella
comunicazione e la sua coercizione nell’espressione.
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Concludendo posso dire che le difficoltà iniziali legate alla conduzione nello specifico, mi hanno portato a non tenere in considerazione quanto l’ascolto partecipante da parte del conduttore fosse un elemento indispensabile nella costruzione di una coesione gruppale. Infatti, cambiando la mia ottica comunicativa i risultati complessivi ottenuti, dal gruppo e dai singoli individui, hanno avuto un buon riscontro. Questo testimoniato anche dal feedback che ogni singolo partecipante ha condiviso.
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3.4 ALLEGATI
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3.4.1 VOCABOLARIO EMOTIVO
Figura 6: Vocabolario emotivo creato con i pazienti durante l'iter gruppale.
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3.4.2 MAPPA DELLE EMOZIONI
Figura 7: Mappa delle emozioni.
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3.4.3 DIARIO CREATO AD HOC
Figura 8: Diario creato ad hoc come mezzo di monitoraggio e osservazione di ogni incontro.
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3.4.4 STAXI-2 STATE-TRAIT ANGER EXPRESSION INVENTORY–2
Figura 9: Parte del test STAXI-235 utilizzato inizialmente per conoscere tratti dei pazienti e in itinere come osservazione di eventuali cambiamenti.
35
Spielberger C. D., (1979), “State-Trait Anger Expression Inventory-2”, Psycological Assessment Resources Inc., Odessa, FL, Adattamento Italiano di Comunian A.L.
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3.4.5 STAI STATE ANXIETY INVENTORI – ANSIA DI TRATTO
Figura 10: STAI-Ansia di Tratto36, utilizzato inizialmente per conoscere tratti dei pazienti e in itinere come osservazione di eventuali cambiamenti.
36
Spielberger, C. D., (1989), “State-Trait Anxiety Inventory”.
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3.4.6 DIARIO CREATO AD HOC
Figura 11: Diario creato ad hoc dove descrivere tratti caratteriali, osservazioni sui test e obiettivi dei singoli soggetti.
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