UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA _________________________________________________ Dipartimento di Scienze Biomediche Sezione di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica
DOTTORATO DI RICERCA IN “EPIDEMIOLOGIA E SOCIOLOGIA DELLE DISUGUAGLIANZE DI SALUTE” (X CICLO) Direttore Chiar.mo Prof. Francesco Di Stanislao
DISUGUAGLIANZE DI SALUTE NEL PERCORSO ICTUS
Candidata: Dr.ssa Elisabetta Esposto
Relatore: Prof.ssa Emilia Prospero Correlatore: Prof. Francesco Di Stanislao
A coloro che mi hanno accompagnato nella crescita morale e professionale.
2
INDICE
BACKGROUND ........................................................................... 11 1. Diseguaglianze sociali di salute ............................................ 11 1.1 Ruolo delle variabili socio-economiche nelle diseguaglianze di salute ...................................................................................... 12 1.2 Reddito individuale nelle diseguaglianze di salute .................... 15 1.2.1 Relazione tra indicatori della Commissione Europea di misura del rischio di povertà ed esclusione sociale ..............................................17
2. Malattie non trasmissibili ..................................................... 21 2.1 Epidemia delle malattie non trasmissibili ................................ 21 2.2 Ictus cerebri: dati epidemiologici ed impatto sociale ................ 22 2.2.1 Promozione dell’assistenza all’ictus cerebrale in Italia ..................24 2.2.2 La conoscenza dell’ictus nella popolazione italiana .......................24 2.2.3 Costi sociali e bisogni assistenziali dei malati di ictus cerebrale ......25
2.3 Dalla normativa di riferimento al Percorso Ictus ...................... 30 2.3.1 Strategie di prevenzione .........................................................35
OBIETTIVO DELLA TESI ............................................................ 37 MATERIALI E METODI ............................................................... 38 RISULTATI ................................................................................ 45 DISCUSSIONE ........................................................................... 57 CONCLUSIONI .......................................................................... 60 BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 62 ALLEGATI ................................................................................. 68
3
Esistono tempi interiori- tempi di relazione- tempi di comprensione- tempi di accettazione - tempi di crescita molto diversi che separano il mondo dell’afasia da quello della “normalità”. Insieme a migliaia di altre persone nel mondo, noi afasici siamo andati a seminare messaggi, come nella parabola della semina: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava, una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un’altra parte cadde in un luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi, intenda.” (Vangelo secondo Matteo, 4-9). “Affiorano come da un lontano passato, uno dopo l’altro alla superficie, ricordi angoscianti… rivivo le molte fasi del completo abbandono in cui fui lasciata credendomi il mondo esterno, perfino medico, “un vegetale”. Questa percezione esterna che il mondo aveva del mio stato era in netto contrasto con la mia percezione interiore, rimasta sempre intatta, con lucidità e consapevolezza avvertivo l’arrivo dell’ictus sentendo l’immobilità dell’intero lato destro che si era paralizzato, l’impossibilità di parlare ,finanche di emettere un suono; con la percezione corporea scoprivo, nel toccarmi con la mano sinistra il viso, che il labbro superiore destro rigido e storto, assumeva quella tipica smorfia da ghigno degli afasici. Realizzai con terrore di essere entrata ufficialmente nella categoria degli anziani colpiti da trombosi, che ben conoscevo e che venivano semplicemente abbandonati al loro destino, non recuperati alla vita in considerazione del fatto che “tanto avevano già vissuto la loro vita”. Questo atteggiamento mentale, largamente diffuso e tuttora presente mi aveva sempre fatto rivoltare le viscere per la rabbia. E non molto diverso, nella sostanza, fu il trattamento riservato a me, nonostante la mia giovane età, 28 anni. Iniziamo col dire che l’evento ,verificatosi a prima mattina, si inserì nel quadro di uno sciopero ospedaliero ad oltranza del novembre 1978 - cosa allucinante per una società che si definisce civile- con le conseguenti difficoltà non solo di reperire un’ambulanza ma anche di trovare il posto idoneo a soccorrermi, nonché medici disponibili a venire a visitarmi. Lunghe ore interminabili vissute nell’attesa di un soccorso …..e altre ore vissute nei vani e disperati tentativi di comunicare con gli occhi a chi mi stava vicino, completamente in tilt, data la particolare situazione, del mio bisogno fisico di urinare e di avere un contatto umano, corporeo, emotivo con mio figlio piccolo che invece fu subito allontanato, nonostante avesse percepito la gravità della situazione ed avesse, proprio lui, chiamato il padre a soccorrermi. Misuravo il passare del tempo, essendo consapevole di non saper più leggere, né contare, né leggere l’ ora … l’orologio tanto familiare che regolava implacabile il ritmo frenetico della mia vita quotidiana, era diventato all’improvviso un oggetto estraneo ed incomprensibile… stesa sul letto nella mia forzata immobilità ,osservavo dal balcone della stanza da letto, il lentissimo passare del tempo dal cambiamento dei colori determinato dal variare dell’intensità della luce del sole…il passare del mio tempo interiore era associato al tempo della luce: dal chiarore della mattina, alla luce piena del mezzogiorno, alla luce che si riduceva quasi subito nel pomeriggio invernale, al buio della sera…. Assistevo impotente al frenetico andirivieni di persone sconosciute che, dopo essersi affannate a farmi domande alle quali non potevo rispondere, spaventate dalla mia gravità, impotenti nell’aiutarmi, mi abbandonavano al mio destino. Il suono del telefono che squillava in permanenza era il segnale di risposta alla richiesta disperata di aiuto che si affievoliva col passare delle ore, il tam tam della solidarietà si era mosso e rispondeva come poteva….. Eppure i mass media avevano dato ripetute assicurazioni, rispetto allo sciopero ospedaliero che sarebbe stata garantita comunque l’assistenza a situazioni di grave emergenza….. A tarda sera, l’arrivo dell’ambulanza, reperita a fatica e per effetto di una raccomandazione di un mio caro amico medico, nel classico stile clientelare del sud, il veloce caricamento sulla barella, il correre a sirene spiegate tra il traffico impazzito della città, l’arrivo in ospedale, dove fui semplicemente parcheggiata nell’antisala della rianimazione e nuovamente lasciata da sola. Non riuscivo a capire il passare del tempo perché ero all’interno, senza finestre ed avevo paura ,pensavo :”se muoio, qualcuno prima o poi se ne accorgerà? Saprà chi sono? avviserà qualcuno? ”….poi l’ingresso nella stanza di una vecchina, ospite come me in quel luogo strano, anticamera della morte, che si apprestava a dormire su un lettino improvvisato. Capii quasi subito che si trattava di una persona con problemi mentali, forse affetta da demenza senile, perché si comportava in modo strano, parlava da sola e si toccava in permanenza, aggirandosi nello spazio e studiando con molta attenzione il nuovo oggetto misterioso arrivato quando lei non c’era….. Il mio silenzio la irritava, mi toccava, mi scrollava per indurmi a parlarle,
4
facendomi quasi cadere dalla barella, non capiva perché ero muta, pensava che non volessi parlare con lei e urlava ed inveiva contro di me che ero assolutamente impotente….Le sue grida svegliarono un’infermiera che finalmente venne a vedere, capì la situazione di pericolo e si portò via la vecchina. Passarono altre ore in cui rimasi da sola rimpiangendo perfino la compagnia turbolenta dell'anziana signora, gelandomi nel lago di urina che la mia vescica aveva trattenuto fino al limite dell’umana resistenza, cosa già umiliante in sé , ma ancora più per l’etichetta di “incontinente” affibiatami dallo specialista che subito dispose che venissi cateterizzata. Il neurologo dell’ospedale, venuto all’alba del giorno dopo, corse precipitosamente ai ripari -dopo 24 ore trascorse nell’attesa di un soccorso medico- diagnosticò velocemente che ero in pericolo di vita e rischiavo di entrare stabilmente in coma, tutto questo senza rivolgermi nemmeno una parola di conforto. Ora si occupavano tutti di me col passare del tempo erano diventati una decina i medici intorno a me del mio corpo fisico esplorandolo tra punture lombari ed altre torture che non riuscivo a vedere, dato che operavano alle mie spalle. La sensazione più allucinante era la netta percezione dell’assenza di un rapporto umano. Tutti si comportavano con me come se fossi un vegetale, come se io non esistessi come persona , come se non fossi là ,come se non percepissi il dolore , come se non avessi un’anima, una sensibilità o emozioni e paure che non potevo esprimere. Mi fu chiaro che nessuno di loro percepiva che io ero lucida e comprendevo tutto e sentivo tutto in maniera amplificata perché gli altri sensi compensavano la mancanza della parola. Vissi per 21 giorni in uno stato di coma semicosciente, alternando brevi momenti di lucidità ad altri senza tempo, in cui mi sentivo leggera e mi vedevo volteggiare dall’alto sulla stanza e sul mio letto, non capendo se fosse realtà o stessi sognando. Per vent’anni ho taciuto sull’esperienza dell’incontro con la luce e con la voce nell’altra dimensione, e sul messaggio ricevuto che “era troppo presto, che dovevo tornare nel mio corpo, alla mia vita, che dovevo prima completare la mia missione sulla terra e poi tornare nella luce dalla quale venivo”, ma non mi fu detto quale lavoro dovessi completare per tornare a casa… Temetti a lungo di avere avuto una allucinazione provocata dai farmaci e dal mio stato…ma quell’esperienza si ripetè più di una volta e in seguito capii che con l’ictus si era attivato un canale particolare di comunicazione. Ai miei non dissi niente, temendo di essere considerata pazza e per molti anni mi sono chiesta quale fosse la missione. Da quel momento iniziò il mio calvario nei rapporti con gli operatori che fecero di me , o meglio del mio corpo, la cavia da loro preferita, oggetto di esami strumentali cruenti, di sperimentazioni di metodologie cliniche antiquate, nonché oggetto delle loro visite continue per studiare da vicino il caso “misterioso”. Era proprio nei momenti di maggiore sofferenza fisica ed interiore che si ripetevano le mie uscite dal corpo…. All’epoca, ero il più giovane caso di trombosi, rimasto senza spiegazione, in quanto ad accertamento delle cause che l’avevano determinato. Per dieci anni ho convissuto con la paura di un possibile secondo ictus, non essendo stata accertata la cause o le cause, per quanti esami sofisticati continuassero a fare su di me. Praticamente non ho vissuto mai pienamente la mia vita alternando stati depressivi a tentativi di suicidio per lo sfinimento che mi procuravano i tentativi di stabilire relazioni umane, fino a quando non ho incontrato sulla mia strada delle persone meravigliose , primi portatori di messaggi di luce e divulgatori di una concezione diversa della vita e dei rapporti. Iniziò il viaggio nella dimensione olistica, fondata sul rispetto della persona percepita nella sua interezza e cominciai a capire e a ricercare con lo studio della medicina orientale le cause che avevano determinato il mio ictus. Solo attraverso la conoscenza di sé stessi, si ottiene la consapevolezza dei nostri comportamenti dannosi per la nostra salute e per la nostra vita. Solo con il coraggio e la forza di volontà si attiva il processo di trasformazione che si chiama “guarigione”. Ricordo ancora con terrore,le visite di studio fatte con il corteo degli studenti al seguito, le dimostrazioni pratiche a base di forti pizzicotti che mi facevano dare al braccio destro immobile, livido e sempre dolente per mancanza di fisioterapia. Era allora malata l’unica fisioterapista regolarmente assunta per un ‘intero reparto che tra maschi e donne ricoverate in Neurologia, tutti bisognosi di trattamenti, ammontavano a una quarantina di persone. I medici, gli aiuti e gli assistenti provarono con tutti i loro “poveri” mezzi a farmi parlare. Uno di loro era convinto che prima o poi parlassi per effetto della sua tenace terapia di pizzicotti che avevano l’unico effetto di aggiungere altri lividi a quelli prodotti dalle flebo, vere e proprie bombe atomiche di farmaci tossici a base di cortisone, costantemente in vena, finanche nei piedi, notte e giorno per 21 giorni di semicoscienza prodotti dall’ingresso in coma vigile, più dei gemiti di dolore paragonabili più simili a urla animalesche che a vere parole non riuscì a far emettere dalla mia bocca. Un altro si metteva a piedi del mio letto e mi invitava ,tra i risolini degli studenti, a ripetere il verso della mucca facendomi continuamente questo verso che è rimasto impresso nella mente come un marchio a fuoco muuu….muuuu…muuuu, poi registrò il fallimento del suo tentativo e passò alla parola più gentile mamma dicendomi: “è facile, ripeta con me, maaaammmma, deve sforzarsi di parlare…”. Anche se avessi potuto
5
parlare, avrei preferito morire che entrare in relazione con un medico che non aveva il benché minimo rispetto della sofferenza. Dopo i suoi pochi tentativi andati a vuoto, sorridendo compiaciuto davanti ai suoi studenti, si allontanava,mentre il mio vomito verde usciva dalle mie viscere e il mal di testa aumentava dopo ogni loro visita e insieme al malessere fisico cresceva la mia disperazione. Mi sentivo oggetto da fiera, fenomeno da baraccone e ricordai le scene del film “L’uomo elefante” ,identificandomi in pieno con il protagonista. Il tempo non passava mai, soprattutto la notte, che trascorrevo insonne a contemplare il livello delle flebo, regolate apposta goccia dopo goccia perché finissero all’ora del cambio di turno degli infermieri prezzolati, che la povera mamma mia alimentava, su gentile loro richiesta, a tonnellate di salsiccie e friarelli, pur di ottenere il permesso di restarmi vicina, dormendo a tratti, su una scomoda sedia per tutte le 45 notti…..una notte cadde dalla sedia, si fece male, io non potevo parlare né suonare il campanello perché avevo il braccio sinistro con la flebo in vena, e fu soccorsa da una paziente nello stanzone della morte a dieci letti. Ogni persona che operavano, raramente superava l’intervento e c’era un ricambio continuo di persone gravemente malate, ma l’angoscia della morte produceva anche una grandissima solidarietà umana cementata dalla sofferenza e dal dover subire l’arroganza e la stupidità di comportamento della stragrande maggioranza del personale medico e paramedico. I miei occhi erano il solo mezzo di comunicazione di cui disponessi. Avevo dimenticato ogni codice di espressione gestuale. Parenti e amici erano costantemente impegnati a studiare le strategie per entrare in comunicazione con me e in questa ricerca pazzesca non erano supportati da nessun esperto di afasia. Mi sottoponevano ad estenuanti interrogatori per arrivare a capire di che avessi bisogno. Carlo aveva elaborato una sua personale strategia consistente nel procedere per capitoli generali, partendo dalle categorie fondamentali di domande: Hai fame? Hai sete? Hai dolore da qualche parte? Vuoi qualcuno? Vuoi qualcosa? A queste domande ero in grado di dare risposte affermative o negative solo movendo la testa. Da là iniziava il lungo viaggio articolato in sottocapitoli e paragrafi, molto estenuante per tutti soprattutto in relazione alla domanda vuoi qualcosa? Il risultato era la mia stanchezza enorme, la fatica nel seguire un itinerario razionale, in me proprio quello fortemente compromesso, per cui mi scoppiava il mal di testa, l’angoscia ed esplodevo in crisi di rabbia e di pianto ogni volta che dovevo subire questo terzo grado. Gli altri non erano pronti ed allenati alla relazione non verbale del mio sguardo. Con quello indicavo la direzione, le persone, l’oggetto astratto come quello pratico. Ricordo le ore interminabili impiegate per riuscire a far capire a Carlo che c’erano i panni lavati e pronti da stendere nella lavatrice che avevo timore fossero ammuffiti per la disattenzione per questo genere di cose … con gli occhi indicavo il crocefisso, unico simbolo presente nella stanza perché arrivassero a capire che dovevano chiedere alla suora , per giunta assente nell’orario delle visite, istruzioni ricevute dallo specialista per gli esercizi che i parenti dovevano praticare al mio braccio paretico, rigido come morto….Non riuscii a farmi capire, credevano che avessi bisogno di un sacerdote, che fossi diventata mistica, che volessi andare in chiesa……se non era per l’intervento provvidenziale di una paziente, presente al momento della conversazione tra il medico e la suora, che spiegò ai miei parenti l’importanza della terapia e il momento in cui potevano parlare con la suora, anche quel minimo di riabilitazione improvvisata del mio braccio, a carico di familiari e di amici disponibili, non ci sarebbe stata….. Quando le mie condizioni migliorarono passai alla comunicazione scritta…usavo le lettere dell’alfabeto magnetiche e con quelle componevo sulla apposita lavagna messaggi sgrammaticati ma almeno comprensibili perché leggibili. Cominciai anche a camminare per la stanza, poi per i corridoi, quella era l’unica fisioterapia possibile e disponibile in un reparto allo sbando. Ricordo che incedevo traballando sul piede destro incerto, sostenendomi ogni tanto al letto, al muro, alla parete….camminando sviluppai l’attenzione al microcosmo dell’ospedale e anche nella mia condizione di mutismo, nel silenzio osservavo, registravo e denunciavo al mondo esterno, quello che veniva in visita, tutti gli inconvenienti dell’assistenza , vigilavo sulla corretta applicazione delle terapie importanti delle altre pazienti ed avevo una lista nera sul comportamento eticamente scorretto di infermieri, caposala e medici nei confronti delle malate. Scansai per miracolo l’intervento di bypass, fatto solo a scopo di accrescere di un numero la statistica, grazie alla costante e la tenace pressione esercitata da Carlo, (in futuro sarebbe diventato mio marito) sul professore che praticava questo tipo di intervento . Sull’utilità del bypass il mondo medico era diviso e questo influiva non poco sui miei parenti disorientati sulle scelte da prendere sulla mia vita. Io non ero minimamente presa in considerazione. Nessuno mi interpellava. Era la mia vita in gioco e gli altri decidevano per me. Le pressioni esercitate dal mondo universitario mobilitato per scongiurare l’intervento unitamente alla tenacia di Carlo, convinsero il primario a ripetere l’angiografia, lo sblocco miracoloso dell’arteria che si apprestavano a bypassare. Il giorno prima dell’intervento poi saltato, il solito corteo di aiuto primario, di assistenti vennero a vedere le mie
6
condizioni e di fronte a me, spiegavano agli studenti con dovizia di particolari il tipo di intervento, i suoi rischi e le probabili conseguenze . La prospettiva di finire muta e su una sedia a rotelle i miei giorni era alt . Ma davvero osavano parlavano di me, in mia presenza, in questo modo? pensai atterrita, poi capii che questo era il comportamento che spettava alla mia persona, da essere umano che soffre ridotta alla condizione di un vegetale. Quello fu l’ultimo colpo diretto al cuore. Per tutta la notte non dormii, non feci che piangere sulla foto di mio figlio Ivan. Mamma solo capì il mio dramma interiore e predispose il suo piano d’azione: dopo 35 giorni di degenza, qualche settimana prima di essere dimessa,era comparsa una giovane logopedista che riuscì, nelle rare volte che la incontrai,a farmi dire la parola che più mi stava a cuore: il nome di mio figlio Ivan che non vedevo dal giorno del mio ictus. Riuscii, dopo molta fatica e lunga preparazione a dire roboticamente Ifan. Prima dell’intervento, pur di farmi vedere Ivan, inscenammo una finzione, mi fasciarono il braccio destro , gli dissero che in seguito alla caduta nel bagno mi ero procurata una lesione alla bocca ,avevo i punti e non potevo parlare molto. Nonostante queste pietose bugie che non lo convinsero affatto e ancora meno quella penosa recita, la gioia di rivederlo per la prima volta dall’ictus, fu tale che non riuscii a pronunciare il suo nome solo dopo che se fu andato. Stemmo abbracciati tutto il tempo. Non c’era bisogno di parole: era amore puro. Una volta dimessa, tornai a casa, in attesa di partire per Milano, per essere sottoposta ai tests della comprensione, premessa indispensabile per l’impostazione di un programma di rieducazione del linguaggio proposto da quello che allora era il Centro Afasia più innovativo come metodologia, venne a rieducarmi a casa di mia madre per circa un mese, Pina una giovane logopedista allieva della scuola di foniatria. Nonostante la sua buona volontà e la sua tenacia, le leggevo negli occhi tutta la paura nel dover affrontare una situazione al di sopra dei suoi mezzi. Non aveva nessuna esperienza con pazienti afasici e si rendeva conto, con me che capivo tutto, dell’inadeguatezza delle sue conoscenze, avvertiva il suo limite e percepiva chiaramente tutto il mio disagio, il mio disinteresse, l’inutile sforzo nel farmi ripetere la parola pa-pe-ra. Intanto, ero diventata velocissima nella comunicazione con la lavagna e le lettere magnetiche e utilizzando con lei quello strumento fui in grado di correggere gli errori di ortografia e stabilire un minimo di contatto con la logopedista alla quale raccontavo della mia mole di problemi, da quelli pratici a quelli emotivi. L’instaurarsi della relazione umana non era però sufficiente a farmi progredire tecnicamente. Pina mi confortava però quando ero presa dalla disperazione, mi teneva la mano e mi accarezzava quando piangevo e volevo arrendermi, e capì quello che doveva fare solo osservando l’ambiente familiare in cui vivevo e le sue perverse dinamiche. Ero sposata ma separata da pochi mesi, con un bimbo piccolo di tre anni, ospiti entrambi della piccola casa materna dove ero costretta a stare perché non parlavo affatto ed ero totalmente inabile col braccio destro, mai trattato in ospedale. Il mio lavoro universitario all’epoca, era molto precario e pochissimo retribuito, per cui risultavo “clandestinamente assente dal lavoro”, coperta dai colleghi, avevo fortissime spese per la fisioterapia e logopedia a domicilio, la mia famiglia non era economicamente in grado di reggere per molto tempo. Infine problemi enormi con il bambino spaventato dalla situazione che voleva la sua casa, i suoi giochi e la sua tranquillità e invece si beccava le sgridate e l’ansia dei suoi nonni, affaticati dalla mole di un superlavoro a cui non erano preparati. Pina capì che doveva assolutamente colmare le lacune della sua preparazione, se voleva stabilire il contatto giusto con me; decise con grande coraggio, di partire anche lei per Milano dove iniziò la sua formazione, diventando pochi anni dopo il primo punto di riferimento “qualificato” per il sud. Ironia della sorte: lei che aveva la giusta preparazione, la motivazione, l’esperienza, la capacità di entrare in contatto umano oltre che tecnico con la persona afasica, è rimasta sempre fuori dai circuiti di assunzione ospedalieri e dei centri di riabilitazione. Tuttora lavora privatamente e poco con gli afasici adulti, molto con i bambini. Questo suo coraggio l’ha pagato in prima persona, restando anche lei ai margini di quel mondo dell’afasia che tanto l’affascinava, di quell’universo di afasici al quale sarebbe stata molto utile. Il primo approccio con la responsabile dottoressa Basso del Centro Afasia di Milano fu traumatico. Appena mi vide comunicare col mondo a velocità supersonica, digitando le lettere dell’alfabeto su un foglietto di carta che tenevo sempre con me, pronto all’uso, decise che non avevo più bisogno e me lo stracciò, dicendomi che ero là, lontano da casa, per imparare a parlare. Certamente era vero, ma in quel momento la consapevolezza di avere uno strumento in meno, mi fece sentire persa e scettica sulla decisione che dovevo prendere in pochi giorni se ritornare a Milano e restare per la rieducazione intensiva del linguaggio. Come potevo sostenere verbalmente le conversazioni che mi interessavano, non riuscendo neppure a dire una parola di senso compiuto,che fosse comprensibile? Il pericolo sottostante all’uso dell’alfabeto muto era il mio impigrimento e la demotivazione nella terapia. Ma il bisogno di comunicare, almeno con la mia famiglia, dovendo quanto prima tornare al mio lavoro universitario, era talmente importante da farmi decidere il trasferimento a Milano, dove
7
restai per la mia rieducazione circa 9 mesi, soffrendo nuovamente l’abbandono forzato degli affetti più cari. Iniziò un ennesimo calvario consistente nel vivere costantemente in una gara col tempo, nella ossessiva fretta imposta dai tempi veloci della rieducazione intensiva oltre che dalle mie limitatissime risorse economiche, dato che vivevo in pensione con mamma o con Susi, amica preziosa,una mia ex-studentessa dell’Università, ricordo che mangiavamo quando potevamo, e che ci sentivamo addosso sempre la tensione della responsabilità reciproca, la mia di impegnarmi al massimo, la loro nell’assistermi e sostenermi al massimo grado, questa sensazione incombente di non poter mollare mai, di dover fare tutto il massimo possibile nel minor tempo possibile. E tutti i miei familiari si interrogano (e mi criticano) ancora oggi sul perché della mia ansia, sul mio fare le cose subito, sul mio andare in tilt quando sono costretta a ricorrere agli accertamenti medici e mi vogliono curare l’esaurimento nervoso e calmare a tutti i costi, spegnere in me per forza quella rabbia enorme che provo, sempre di più, nei confronti di quella parte dell’universo medico-sanitario negligente e non preparato umanamente, rabbia per lo stato e per le sue istituzioni sempre latitanti e per le sue politiche miopi, perpretate sempre a danno delle classi meno abbienti, degli emarginati, degli extra-comunitari, dei malati , dei vecchi, dei bambini innocenti che muoiono mentre stanno a scuola, per la speculazione edilizia che ha sacrificato al facile guadagno la sicurezza e la prevenzione…. tutti trattati da pezzenti. Nel mare di rabbia e di sofferenza deglutita a fatica, a Milano incontrai una persona meravigliosa che, non a caso, ha cambiato lavoro molti anni dopo il nostro incontro. Si chiama Luisella, non ricordo più il cognome, forse non l’ho mai saputo. Quando,a distanza di 20 anni, l’ho cercata, non mi hanno saputo dire molto di lei. Scomparsa nel nulla; perfino le sue colleghe logopediste ne hanno perso le tracce. Luisella aveva una particolare predisposizione al contatto umano, intuito e grande compassione; in pochi minuti stabiliva con i suoi pazienti afasici un’empatia che aveva del magico. Il rapporto con la logopedista Luisella riguarda il tema della congruenza dell’intervento rieducativo. L’ipertesto solleva il problema del generale appiattimento della riabilitazione tecnica, in senso stretto, che produce spesso nelle persone affette da afasia una forte compressione e repressione del livello umano ed emozionale nella relazione con i riabilitatori con conseguente crollo di motivazione, perdita d’interesse, scarsa collaborazione o rifiuto a proseguire nel loro iter riabilitativo. La mia esperienza, per quanto lontana nel tempo, non è molto diversa dal vissuto riabilitativo degli afasici incontrati recentemente. Il tempo passa, le metodologie cambiano, si adeguano e perfezionano, ma la capacità di entrare in sintonia con una persona o la si possiede già interiormente o non la si impara dai libri e dall’utilizzo delle tecniche. Quando c’è quella dote, l’umanità, e la si coltiva nel proprio lavoro, si è in possesso di tutte le chiavi di accesso che fanno fruttare al massimo la preparazione e le tecniche funzionano, perfino le metodologie superate, se vengono utilizzate nel modo giusto e applicate ai diversi tipi di afasici. Luisella percepiva la mia rabbia dalla lettura del mio viso, la mia sofferenza e la mia impotenza dal tono della voce che tradiva il pianto che mi si strozzava in gola e induceva in me con poche parole o semplici gesti di contatto umano il pianto liberatorio prima di procedere con il suo lavoro. Capiva l’importanza per una persona afasica di poter liberare almeno le sue emozioni, per lo più, fatte di paure represse ed inespresse. Usava la mia rabbia per individuare le parole chiave che le davano l’accesso ai temi importanti nella mia vita per lavorare con me nelle sedute quotidiane: il figlio piccolo e lontano, la nostalgia di casa, l’università, il lavoro di ricerca e di insegnamento al quale non sapevo se sarei tornata , né quando,né come e con quali difficoltà, la paura di perdere il lavoro, la separazione legale, la famiglia spezzata, il concorso universitario per entrare in ruolo, erano tutti temi oggetto delle nostre sedute di lavoro. La mia rabbia si trasformava in grinta, in coraggio, in voglia di farcela, nonostante l’ictus, la paralisi al braccio destro, gli incespicamenti e gli errori di pronuncia che mi rendevano simile ad un robot parlante col suo ritmo lento,monotono e scandito. Ma la vera conquista per me era riuscire a parlare. Invece nei momenti in cui ero assente, la mia mente vagava, la mia attenzione non c’era, ero chiusa anche nella postura fisica e poco disponibile alla concentrazione forzata, Luisella mi rispettava ed aveva sempre l’intuizione giusta, mi mandava saggiamente a passeggiare all’aria aperta nei parchi o mi consigliava, finanze permettendo, di andare a vedere un film divertente, tanto sapevamo bene io e lei che in quelle condizioni la terapia sarebbe stata per entrambe inutile perdita di tempo e mi avrebbe aggiunto solo sensi di colpa e frustrazione. Il giorno dopo ero di ottimo umore e recuperavo velocemente quel tempo “perso” a riflettere, a passeggiare, o semplicemente utilizzato a spezzare il circuito perverso di pensieri ossessivi-paura-ansia-chiusura emotiva-altri pensieri negativi. Era una relazione costruita sul rispetto del mio tempo interiore. Nel fare leva sulle mie emozioni, sulle informazioni che aveva sul mio vissuto soggettivo, mi faceva esprimere verbalmente, lavorando con me al miglioramento del linguaggio e innescando velocemente il processo di apprendimento
8
e di avvio alla comunicazione basata sul reciproco scambio umano. Luisella non restava indifferente alla sofferenza dei suoi pazienti, gioiva e piangeva con loro, partecipava alla loro vita come un familiare o un amico figure centrali del suo lavoro, tutti attori protagonisti del mondo dell’afasia, tanti essenziali ed importanti anelli di congiunzione. Forse, per questo motivo, a lungo andare, Luisella che non aveva coltivato il distacco emotivo con la sofferenza altrui, non resse più e cambiò lavoro. Per gli afasici è stata una grave perdita. Anche nel campo della fisioterapia ebbi ,sempre a Milano, la fortuna di incontrare intanto una fisiatra, la Morosini fisicamente presente quotidianamente in ospedale che impostava, rivedeva e controllava il lavoro dei fisioterapisti con i degenti e con le persone ictate che venivano trattate in dayhospital. Fui affidata alle cure di una giovane allieva del Prof. Perfetti , che mi fece entrare in un altro mondo di relazione fondata sul rilassamento e la respirazione durante il contatto corporeo. Ricevevo attenzione e considerazione in quanto persona. Era perfettamente naturale nel loro ambiente di lavoro, per me costituiva l’ingresso in una dimensione bellissima e sconosciuta. Non ero più un vegetale, una cavia da esperimenti, un numero di letto ma una persona trattata con profondo rispetto verso la quale avere il massimo di attenzione e di disponibilità. Poco a poco entrai in quel mondo di sottile empatia e rilassandomi, scoprii di avere maggiore concentrazione , di riuscire a muovere molto meglio la mano destra, soprattutto nella precisione dei movimenti fini, (in questo consisteva il metodo Perfetti) come prendere la penna per scrivere o gli aghi e reimparare a fare i primi movimenti per cucire. Ero sempre più affascinata da questo mondo e dalla mia faciltà accresciuta dalla respirazione e dal rilassamento nel parlare, di entrare in relazione verbale con la fisioterapista e descrivere le sensazioni corporee, muscolari e nervose durante i trattamenti. Imparai a chiudere gli occhi e a usare anche la mente per sentire e riprodurre il movimento giusto. La fisioterapista di cui non ricordo più il nome, mi spronava con sapiente gradualità e mi ripeteva continuamente che dovevo sviluppare il massimo grado di attenzione, di concentrazione e di consapevolezza nel movimento che doveva essere il più perfetto possibile o il più possibile vicino alla perfezione, in modo da poter trasferire alle cellule vicarie del mio cervello perché imparassero gli stessi impulsi, gli stessi automatismi che erano precedentemente in possesso delle cellule morte. Quando si ricevono spiegazioni sull’importanza delle cose e se ne conoscono le ragioni del perché è tanto importante, si determina nel paziente un coinvolgimento totale, una consapevolezza che lo porta a sviluppare motivazione ed impegno nel corso della riabilitazione. Mi sentivo felice, ero gratificata nel poter fare, anche se con estrema lentezza, le piccole cose del quotidiano. Usavo il tempo libero del pomeriggio e tutto quello del fine settimana, ad esercitarmi. Questo tipo di relazione non l’ho più trovato se non dieci anni dopo nel mondo olistico. La tragedia per me fu il ritorno a Napoli dove era molto importante per recuperare la funzionalità della mano, che mantenessi i livelli quasi ottimali del lavoro fatto. Dovevo continuare nell’allenamento aiutata dal fisioterapista e controllata dal fisiatra. Quanto alla logopedia il cui trattamento intensivo era finito, avendo recuperato il massimo , era sufficiente l’esercizio continuo individuale nel parlare, che avrebbe migliorato nel tempo automaticamente la velocità, la precisione e la ricchezza del mio linguaggio. Iniziai per due anni, la mia peregrinazione in tutti gli ospedali e in tutti i centri privati di riabilitazione, passando vari mesi in ognuno, nel tentativo disperato che qualcuno fosse a conoscenza di quel metodo, inutile dire dal sud ignorato totalmente. La fatica era enorme aggiunta allo stress derivante dal dover raggiungere luoghi molto lontani da casa, una incredibile quantità di tempo utilizzata per gli spostamenti con i mezzi pubblici, tempi lunghi di attesa del mio turno, la depressione derivante dal ritornare ad essere nuovamente solo “un numero”, la superficialità degli operatori stanchi e demotivati che trattavano la mia mano o il mio braccio come se fosse trattato di un oggetto non appartenente a una persona, parlando tra di loro delle loro problematiche di lavoro o familiari,senza guardarmi, senza dirmi neppure buongiorno, come va?, come se io non fossi là, o non fossi più capace di intendere, di comprendere, di rispondere….ero ritornata nuovamente allo stato del vegetale che non merita né considerazione, né rispetto. In più dovevo allenarmi da sola a casa, cosa oltremodo impossibile tra i tempi assurdi sprecati negli spostamenti, la fatica enorme di gestire una casa, un figlio in età scolare, il tempo da dedicare al mio lavoro universitario, cento volte più difficile di prima, con scarsi aiuti in casa e sull’ambiente di lavoro, mi fecero quasi impazzire. Mi accorgevo che sempre più velocemente ed inesorabilmente stavo ricadendo nella stessa spirale infernale del dovere, del superlavoro, dell’ansia per dover gestire molteplici situazioni contemporaneamente, fattori predisponesti l’ictus, con la consapevolezza che non ero più come prima dell’ictus e che nessun’altro avrebbe potuto aiutarmi ad uscirne fuori. Tentai ancora un po’ di mesi di rieducare la mano destra ma mi beccai un forte esaurimento nervoso. La svolta venne da un colloquio con il fisiatra del Centro Traumatologico Ortopedico, dove tre volte a settimana regolarmente andavo, sprecando due ore e mezzo per gli spostamenti, essendo precisamente situato dalla
9
parte opposta a casa mia, quando mi disse che non c’era bisogno di applicare nessun metodo particolare per muovere la mano. Timidamente risposi: “ma mi accorgo di regredire ogni giorno di più… ho completamente perso l’opposizione delle dita della mano destra che sta ritornando come dopo l’ictus, sempre più in contrazione e con una forte spasticità dovuta al tipo di esercizio che sono costretta a fare”. Subito mi stoppò bruscamente e mi disse: “Muova la mano come può, anche storta, come va va, l’importante è che la muova, che la usi”. Lo guardai allibita….le mie illusioni erano crollate…era una lotta persa in partenza sensibilizzare, aprire la mente, dare informazioni, aggiornare su nuove metodologie….il metodo Perfetti forse sarebbe arrivato al sud tra altri vent’anni…e intanto nell’attesa che cosa avrei fatto? Ho realizzato che mi dovevo arrendere e ritornare alla vita, comunque fosse, con tutte le mie limitazioni e mutilazioni interiori. Ho scelto la vita….e da quel momento ho ascoltato il consiglio del fisiatra napoletano e ho deciso di non mettere mai più piede in nessuna struttura riabilitativa. Se dovevo muovermi, l’avrei fatto da sola. Mi sarei impegnata ad usare la mano sinistra per sopperire alla mancanza di aiuto e per compensare le deficienze della destra che non ho mai messo da parte, pur avendo forti problemi di accettazione per la sua ridottissima efficienza, ho imparato col tempo ad accettarla, ad amarla moltissimo soprattutto quando ho scoperto che è particolarmente dotata di intuizione e opera alla grande nei massaggi terapeutici, nello shiatsu, nel reiki . E’ una mano che sa trasmettere calore, amore, pressione, entrare profondamente, sedare, stimolare punti anche piccoli del corpo con una precisione che sembra dotata di un radar, una mano che ha doti particolari. Sono diventata in breve tempo abilissima con la mano sinistra in tutto ,dai lavori domestici a quelli del giardinaggio, tutti i lavori pesanti che farebbero entrare subito in spasticità la destra . Con lei faccio cose più gentili e delicate come le terapie. E dire che prima dell’ictus ero destrimane in tutto. In 24 anni , ho imparato ed inventato molteplici strategie per evitare di farmi male , per guadagnare tempo, per superare il problema del taglio tuttora impeditivi per me. Le mie strategie di compensazione o di sopravvivenza funzionano così bene, soprattutto in cucina dove sono molto creativa, che le hanno fatte proprie anche i miei familiari e le persone che hanno rapporti frequenti con me. Il mio ritorno alla vita nella sua pienezza, nonostante l'ictus che mi ha resa afasica,è dovuto unicamente alla qualità delle relazioni umane che mi hanno stimolata, sostenuta e fatto leva su quella "forza interiore" di ritorno alla vita che annegava in un oceano di paure. Dall'afasia si può guarire se non si è lasciati soli..... Le persone normali non sono preparate adeguatamente a convivere con l'handicap, non pensano mai che rischiano all'improvviso, da un momento all'altro, di dover affrontare in prima persona il problema della "diversità"; il mondo delle persone normodotate è spesso in fuga dai messaggi inquietanti e dalle testimonianze di sofferenza e di lotta di cui è pieno il mondo della disabilità. Strana parola questa disabilità: sottointende un concetto diminutivo di valore in persone che, invece, esprimono la loro abilità semplicemente in modi diversi e molto più creativi. Proprio per queste ragioni, per noi afasici, impediti nella comunicazione verbale con il mondo esterno, con il mondo della normalità, il nostro rapporto profondo tra di noi e con chi sa avvicinarsi a noi è speciale. Siamo portavoci di una ricerca interiore, di un percorso che facciamo insieme, il mondo di chi ci è vicino in una dimensione di normalità e noi nell’altra, TESTIMONI di in una splendida, magica e rara sinergia che incrocia “una tantum” questi due mondi, che procedono nella vita comune come treni su binari lontani e paralleli, due dimensioni di vita, due universi contrapposti, che raramente si incontrano e si fondono.”
Da “Storia di emarginazione nel mondo dell'afasia” di Olimpia Casarino
10
BACKGROUND 1. Diseguaglianze sociali di salute Non
tutte
le
differenze
nella
salute
possono
essere
interpretate
come
diseguaglianze. Il termine “diseguaglianza” possiede una connotazione morale ed etica assente nel primo caso: le diseguaglianze sono quelle differenze che si ritengono non necessarie ed evitabili e che, inoltre, sono considerate ingiuste. Nella letteratura anglosassone
tale
distinzione
è
linguisticamente
adoperata
tramite
i
termini
“inequalities”, che indica le differenze, e “inequities”, un termine che si arricchisce di un connotato morale ed etico quale l’italiano disuguaglianza (Kunst e Machenback, 1994). Allorquando ci si riferisce al concetto di equità nella salute si intende quella situazione ideale dove ogni individuo ha l’opportunità di raggiungere il proprio potenziale di salute. Non si deve ritenere pertanto che l’obiettivo dell’intervento pubblico sia quello di eliminare le differenze di salute affinché ognuno abbia lo stesso livello di salute; il fine dell’intervento della policy è piuttosto quello di ridurre ed eliminare quei fattori di svantaggio in capo ad alcuni gruppi di popolazione considerati ingiusti ed evitabili (Whitehead, 1990). Tabella 1. I fattori determinanti delle differenze di salute 1. Variazioni biologiche e naturali. 2. Comportamenti dannosi per la salute quando deliberatamente scelti,
quali
ad
esempio
la
partecipazione
a
certi
sport
o
passatempi. 3. Il temporaneo vantaggio di salute derivato ad un gruppo sociale che ha adottato per primo un comportamento virtuoso per la salute (nei
Scelte individuali e
variazioni
naturali
limiti in cui gli altri gruppi sociali possiedono i mezzi per adottare lo stesso cambiamento in tempi ragionevolmente brevi). 4. Comportamenti dannosi per la salute nei casi in cui il grado di libertà di scelta dello stile di vita è severamente ristretto. 5. Esposizione a condizioni di vita e lavoro insalubri e stressanti. 6. Accesso inadeguato ai servizi sanitari e altri servizi pubblici.
Ingiustizia
7. Meccanismi di selezione naturale e tendenza per i gruppi di popolazione malati e vulnerabili a muoversi in basso nella scala sociale. Fonte: ns. adattamento da Whitehead (1990)
11
1.1 Ruolo delle variabili socio-economiche nelle diseguaglianze di salute L’esistenza di disuguaglianze di salute implica l’evidenza di uno stato di salute peggiore, rispetto alla popolazione generale, all’interno di gruppi di soggetti accomunati da caratteristiche fisiche, psicologiche, economiche, sociali, ambientali che vengono a costituire i cosiddetti “fattori di svantaggio” o “determinanti delle disuguaglianze” (Costa, 2004b). Il ruolo dello svantaggio sociale, nello specifico, ha sulla salute un effetto che non ha eguali tra i singoli fattori di rischio biologico (Costa e Faggiano, 1994). Le evidenze suggeriscono l’esistenza di un “gradiente sociale” nella salute e del fenomeno che è stato denominato come “status syndrome”, tale per cui più elevata è la posizione sociale dell’individuo, migliore ne è la salute (Marmot, 2006). Negli Stati Uniti reddito, educazione e occupazione sono forti predittori della mortalità in particolare presso la popolazione con età inferiore ai 65 anni (McDonough et al, 1997). Recentemente, nuovi studi longitudinali hanno messo in discussione l’idea che l’effetto delle disuguaglianze sociali di salute diminuisca presso la popolazione anziana, rivelando come i precedenti studi (Huisman et al. 2003; Von Dem et al. 2003) soffrissero di un bias di selezione dovuto alla ipermortalità che affligge i ceti svantaggiati lungo tutto il corso di vita e quindi nel periodo precedente l’età anziana (Chandola et al. 2007; Chandola, 2009). Negli stessi paesi europei, dove diversamente dal contesto statunitense prevalgono sistemi di welfare sociale, esistono significativi e nel tempo crescenti differenziali nei tassi di mortalità tra gruppi sociali (Machenbach et al, 2003). Numerose ricerche (Costa e Carrieri, 2009; Spadea et al., 2010) hanno mostrato che, in Italia, la correlazione tra salute e condizione socio-economica è positiva: a più elevati livelli di istruzione o classe sociale sono associati più favorevoli indicatori di salute, a carattere sia soggettivo (stato di salute autopercepito) che oggettivo (speranza di vita, morbosità). Anche gli stili di vita e le abitudini alimentari che possono avere effetti negativi sulla salute sono maggiormente diffusi tra i gruppi sociali con basso reddito medio o con ridotti livelli di istruzione (Vannoni, 2009). Quando svantaggi socio-economici si associano a condizioni in cui è presente una patologia cronica o malattia mentale, le diseguaglianze si accentuano ulteriormente (Gresenz et al., 2001; Sturm e Gresenz, 2002). La ricerca scientifica in ambito clinico, epidemiologico e sociologico ha tentato di ricomporre i meccanismi generativi del fenomeno delle disuguaglianze sociali di salute,
12
muovendo dalla consapevolezza che la comprensione di tali meccanismi costituisca il punto di avvio per lo sviluppo di efficaci politiche di contrasto. La
classificazione
proposta
dall’Organizzazione
Mondiale
della Sanità nel
documento The Solid Facts, prevede nove determinanti sociali delle disuguaglianze di salute (Wilkinson e Marmot, 2003): il gradiente sociale; lo stress; le condizioni di vita nell’infanzia (“early life”); l’emarginazione sociale; il lavoro; la disoccupazione; il supporto sociale; l’abuso di sostanza e l’alimentazione. Questa classificazione pur essendo utile per l’analisi delle determinanti non tiene conto della sequenzialità delle relazioni causa-effetto che sottendono il manifestarsi delle
diseguaglianze
di
salute.
A
tale
scopo
è
utile
il
modello
proposto
dall’epidemiologo danese Diderichsen (2001).
13
Figura 1. Il modello dei “5 policy entry points”
contesto di politiche
STRATIFICAZIONE stratificazione SOCIALE sociale
controllo su risorse
posizione sociale
•materiali •status •legami
influenzare stratificazione
Agire sul miglioramento del contesto sociale
esposizione diminuire esposizione
dose di fattori di rischio •psico sociali •comportamentali •ambientali •accessibilità servizi
fattori rischio
vulnerabilità diminuire vulnerabilità
salute
danno
•morte •malattia •infortunio •disabilità •disturbo
funzionamento prevenire conseguenze ingiuste
contesto
conseguenze su risorse
conseguenze
•mobilità discendente •segregazione
sociale
Diderichsen, 2005
Ns. elaborazione da Diderichsen (2001) e Maciocco (2009)
Dal modello (riportato nella figura 1) si comprende come sia in primo luogo la collocazione dell’individuo nello spazio sociale (stratificazione sociale e conseguente posizione sociale) a determinare l’eventuale esposizione ai fattori di rischio; da una eccessiva esposizione ai fattori di rischio deriva una maggiore probabilità per chi è collocato nelle posizioni sociali subalterne, di conseguenza negative sulla propria salute. L’esposizione a questa molteplicità di fattori è quindi biologicamente mediata, finendo per incidersi nella fisiologia e nelle patologie del corpo (Marmot, 2006; Krieger, 1999). Nella Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2003-2004 si individuano due meccanismi di generazione delle disuguaglianze: un primo si esplica attraverso una diversa probabilità di insorgenza del problema di salute, un secondo si riferisce ad una diversa probabilità di soffrire delle conseguenze sfavorevoli di questi problemi in termini di salute percepita e di capacità funzionale (Costa, 2004a). In ultimo, Diderichsen evidenzia l’attivazione del circolo vizioso per effetto del quale gli individui con maggiori problemi di salute retrocedono lungo la scala sociale.
14
Oltre a possedere questa valenza esplicativa, il modello può fornire utili indicazioni pratiche, in quanto serve ad indicare i cinque “policy entry points”. La policy può attenuare, infatti, l’effetto delle disuguaglianze sociali di salute: 1) influenzando la stratificazione sociale; 2) diminuendo
l’esposizione
ai
fattori
di
rischio
nelle
popolazioni
svantaggiate; 3) diminuendo la vulnerabilità degli esposti; 4) prevenendo il verificarsi di conseguenze ingiuste per coloro che soffrono danni per effetto dello svantaggio sociale; 5) contribuendo a migliorare il contesto sociale di vita, favorendo tra l’altro il diffondersi di pratiche di promozione della salute.
1.2 Reddito individuale nelle diseguaglianze di salute Dal confronto tra gli Stati emerge inoltre che mentre nei Paesi più poveri ad un lieve aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL) corrisponde un notevole aumento dell’aspettativa di vita alla nascita, con l’aumentare del PIL questa relazione si attenua (World Bank, 1993). Qualora si confrontino tra loro i Paesi ricchi si nota, invece, una debole relazione tra reddito medio e aspettativa di vita, mentre nell’ambito di ciascun Paese c’è una stretta
relazione tra
reddito
individuale
e
aspettativa
di
vita
e
mortalità
(McDonough, 1997). In altri termini nei Paesi più avanzati esiste una apparente contraddizione poiché il reddito medio nazionale misurato come PIL è debolmente associato allo stato di salute della popolazione generale, tuttavia negli stessi Paesi, il reddito
individuale
è
chiaramente
correlato
alle
diseguaglianze
di
salute.
Probabilmente all’interno della società il reddito è un marker della posizione relativa. Si è dimostrato inoltre che il livello di diseguaglianze di reddito all’interno di un Paese è legato all’aspettativa di vita in quel Paese (Wilkinson e Pickett, 2008). Si potrebbe obiettare che ciò sia dovuto al fatto che i Paesi con grandi diseguaglianze hanno una maggiore quota di popolazione in stato di povertà, ma poiché l’associazione tra reddito e il tasso di mortalità non è lineare, in una situazione di diseguaglianza, il vantaggio per i ricchi è inferiore allo svantaggio dei poveri. Se il persistere delle disuguaglianze di salute fosse legato a problemi residui di scarsità di risorse materiali, la
ridistribuzione
del
reddito
in
maniera
più
egualitaria
potrebbe
migliorare
l’aspettativa di vita dell’intero Paese.
15
Analogamente aree metropolitane con grandi disuguaglianze di reddito hanno una maggiore mortalità di quelle con disuguaglianze minori (Ross et al, 2005). Nell’analisi della letteratura non si può non considerare che il concetto di povertà a tutt’oggi è cambiato così come le sue implicazioni, basti pensare alla transizione epidemiologica con la quale le cosiddette malattie dell’opulenza, principali responsabili della mortalità delle classi sovraordinate, sono divenute progressivamente «le malattie dei poveri che vivono nelle società opulente» (Wilkinson, 1996). Se è vero che nei Paesi più ricchi la distribuzione della salute rispecchia un gradiente socioeconomico sembra più appropriato parlare di deprivazione relativa piuttosto che di povertà (tabella 2). Tabella 2. Definizione di Deprivazione relativa Deprivazione relativa Le teorie più promettenti per spiegare le disuguaglianze di salute individuano nella sfera delle relazioni sociali, più in particolare in quelle che scaturiscono dai processi di strutturazione delle classi sociali il luogo del nesso tra posizione sociale e salute. L’esperienza di queste relazioni e, più in particolare, il loro impatto sui processi di genesi e mantenimento dell’identità personale, innescherebbero i processi biologici responsabili, in ultima istanza, delle patologie osservate. Il meccanismo cui più spesso si fa riferimento è la privazione relativa. Le differenze di morbilità e mortalità che separano gli individui in ragione della loro classe sociale troverebbero spiegazione nella privazione relativa subita da ciascuno, una privazione che, tenue nelle classi sovraordinate, crescerebbe con relativa regolarità muovendo verso le classi subordinate. Le teorie di matrice neo-weberiana individuano nella distribuzione differenziata delle opportunità di mobilità sociale cioè nella presenza di barriere di mobilità, uno dei più importanti processi di strutturazione dei rapporti di classe. Questa struttura delle opportunità modula il rapporto tra aspirazioni e realizzazioni, definendo con ciò l’intensità e le conseguenze del senso di privazione relativa. Per ciascun individuo le opportunità di vedere realizzate le proprie relazioni di ascesa sociale variano in relazione alla classe sociale cui appartiene e a quella cui appartengono (o appartenevano) i sui genitori. Inoltre un altro fattore che gioca un ruolo decisivo nel processo che conduce alla realizzazione delle aspirazioni di ascesa sociale è la qualità del capitale sociale che ciascuno può per così dire investire. Benché i confini delle reti di relazioni sociali che definiscono il capitale sociale di un individuo non coincidono con i confini delle classi sociali; tra posizione sociale e capitale sociale disponibile il legame è stretto, e del pari stretto è il legame tra la qualità del capitale sociale e chance di mobilità. Tutto ciò, la presenza di barriere di mobilità, la diseguale distribuzione delle opportunità di crescita professionale, le discontinuità qualitative nel capitale sociale su cui far conto, fa si che la distanza tra aspirazioni e realizzazioni, la “grandezza” della privazione relativa, cresca muovendo dalle classi sovraordinate a quelle subordinate. In una società nella quale il successo ottenuto attraverso una strenua competizione interindividuale costituisce un fine obbligante, un valore introiettato dai più, la percezione di uno squilibrio tra aspirazioni e realizzazioni non può esser priva di conseguenze per la salute. La consapevolezza di uno squilibrio mina l’autostima, così come la pressione ad adeguare realizzazioni e aspirazioni impone tensioni, carichi psichici particolarmente gravosi. Queste due esperienze hanno quale conseguenza una condizione di stress cronico, responsabile – con altre concause – delle disuguaglianze di salute osservate (Costa e Cardano , 1998).
16
1.2.1 Relazione tra indicatori della Commissione Europea di misura del rischio di povertà ed esclusione sociale Nel Rapporto sulle Politiche contro la povertà e l’esclusione sociale anni 20112012 (Ministero del lavoro e delle politche sociali, 2012), si considerano tre indicatori che, secondo Eurostat, definiscono il rischio di povertà o di esclusione sociale di un individuo la cui famiglia: (i) ha un reddito equivalente inferiore al 60% del reddito equivalente mediano; (ii) è in condizione di grave deprivazione materiale, ovvero riporta almeno quattro su nove sintomi di disagio; (iii) è a bassa intensità di lavoro, ovvero i componenti tra i 18 e i 59 anni hanno lavorato, nell’anno precedente, per meno del 20% del loro potenziale. L’intersezione
tra
reddito
e
deprivazione materiale
(figura 2)
divide la
popolazione in tre gruppi, due dei quali presentano uno solo dei sintomi e il terzo è identificato dall’area di sovrapposizione tra il rischio di povertà e la grave deprivazione, all’interno della quale gli individui hanno un reddito inferiore alla soglia e si trovano in una situazione di grave deprivazione: l’area di sovrapposizione identifica gli individui che possiamo chiamare “poveri” perché hanno sia un reddito basso che una grave deprivazione materiale. Gli altri due gruppi definiscono “zone d’ombra” poiché esiste contraddizione tra le due indicazioni. Un caso è quello degli individui che hanno un reddito basso ma non manifestano gravi situazioni di deprivazione, situazione che possiamo definire di “vulnerabilità”. È ad esempio il caso di un individuo che vive in una famiglia con reddito basso ma con un patrimonio che gli consente di mantenere un adeguato tenore di vita senza manifestare grave disagio; oppure il caso di una famiglia può aver avuto un reddito basso in un anno, che però è aumentato l’anno dopo. La seconda area d’ombra è quella degli l’individui che hanno un reddito elevato, ma denunciano una grave deprivazione materiale. Può essere il caso di una persona che nell’ultimo anno è uscita dal mercato del lavoro (per pensionamento o per altro motivo) e che ha per questo una caduta di reddito che ne limita il tenore di vita. Si può definire questa condizione di “privazione accettata” che, in questo contesto, può essere una scelta di vita dato che l’individuo avrebbe le risorse economiche per uscire da questa situazione.
17
Figura 2. Intersezione dei tre indicatori di povertà ed esclusione sociale nell’Unione europea e in Italia (popolazione in milioni e % sul totale). Anno 2010, per il rischio di povertà il riferimento è il 2009.
Fonte: elaborazione di dati EU-Silc (Eurostat, 2010).
Per evidenziare con maggiore dettaglio il legame tra reddito e deprivazione, si calcolano il tasso di deprivazione, il numero di persone coinvolte e il numero medio di sintomi per ciascun decile della distribuzione del reddito nazionale (Tabella 3). Con riferimento al reddito e alla deprivazione materiale, se i due indicatori fossero perfettamente sovrapposti, la quota di persone deprivate dovrebbe raggiungere il 100% nel primo decile e dovrebbe essere nulla o quasi nel decile opposto. Invece, questo non accade per i redditi molto bassi, dove tre persone su quattro non manifestano sintomi di deprivazione. Nel caso di individui che vivono in famiglie con reddito equivalente inferiore al primo decile (meno di 7.600 euro annui) si osserva, infatti, che solo un individuo su quattro vive in condizioni di grave deprivazione (circa 1,5 milioni individui, pari al 25,1% della popolazione con quel reddito). Per individui con reddito tra il primo e il secondo decile della distribuzione, il tasso di deprivazione quasi si dimezza (13,1%), al pari degli individui gravemente deprivati. In questa fascia
18
di reddito si colloca anche il 60% della mediana (9.558 euro), valore che identifica la soglia della povertà relativa. Per redditi superiori al secondo decile, la popolazione non è considerata a rischio povertà, però può mostrare ugualmente deprivazione per determinati tipi di consumi.
Tabella 3. Tasso percentuale e numero di individui in grave deprivazione, per decili della distribuzione del reddito familiare in Italia. Anno 2010. Decili della distribuzione del reddito familiare
Indicatori Cut-off del reddito (*) Popolazione deprivata (/000) Tasso % grave deprivazione Numero medio di sintomi
I 7534 1511 25,1 2,4
Decili della distribuzione del reddito familiare II III IV V VI VII VIII IX 9937 11929 13850 15929 18242 20896 24223 30654 789 497 396 353 217 185 128 73 13,1 8,3 6,6 5,9 3,6 3,1 2,1 1,2 1,9 1,5 1,2 1,1 0,9 0,7 0,5 0,4
X 24 0,4 0,2
(*) Il cut-off è il valore massimo di ciascun decile della distribuzione del reddito familiare nazionale. Per esempio, appartengono al primo decile della distribuzione le persone che hanno un reddito equivalente annuo inferiore a 7534 euro; fa parte del secondo decile chi ha un reddito annuo compreso tra 7534 e 9.37 euro, e così via. Fonte: elaborazione di dati Istat (2010b).
19
Le soglie di povertà relative Le soglie di povertà relativa sono calcolate sulla base della mediana dei redditi disponibili equivalenti a livello nazionale. Rappresentano dunque un indicatore della complessiva condizione economica di un paese e come tali tendono a modificarsi nel tempo con il variare della situazione generale dei vari paesi. Nella tabella 4 sono messe a confronto le soglie di povertà 2010 per le famiglie con un solo componente e le variazioni % registrate nel periodo 2007-2010. Nei nuovi paesi membri, caratterizzati da condizioni economiche meno favorevoli, lo sviluppo economico negli anni precedenti la crisi economica aveva rapidamente innalzato le soglie di povertà, soprattutto nelle Repubbliche baltiche. Tra il 2007 ed il 2010, con il sopraggiungere della crisi, nella maggioranza dei nuovi paesi membri, eccetto Bulgaria, Slovacchia, Polonia e Romania, la crescita delle soglie di povertà si è mantenuta al di sotto del 20%; nei vecchi Quindici la crescita delle soglie ha raramente superato il tasso del 10% nel periodo considerato, assumendo un segno addirittura negativo in Regno Unito (-9,1%) e Irlanda (-8,7%). La soglia di povertà è fissata al 60% del reddito mediano equivalente. Tabella 4. Soglie di povertà 2010 (euro, in PPS(1)) e variazione % 2007-2010 (redditi 2006-2009)
20
2. Malattie non trasmissibili 2.1 Epidemia delle malattie non trasmissibili Dei 57 milioni di decessi registrati nel mondo nel 2008, ben 36 milioni, ossia il 63% del totale, sono stati causati da malattie non trasmissibili, principalmente malattie cardiovascolari, diabete, cancro e malattie respiratorie croniche. Poiché l’impatto delle malattie non trasmissibili è in aumento e la popolazione sta invecchiando, secondo le proiezioni il numero annuo di decessi dovuti a queste patologie continuerà a crescere in tutto il mondo, e l’aumento maggiore è previsto nelle regioni a basso e medio reddito. Sebbene comunemente si creda che le malattie non trasmissibili colpiscano soprattutto le popolazioni ad alto reddito, le evidenze scientifiche mostrano una situazione del tutto diversa. Circa l’80% dei decessi causati da queste patologie si registra nei Paesi a basso e medio reddito, e le malattie non trasmissibili costituiscono la causa più frequente di morte nella maggior parte dei Paesi, Africa esclusa. Persino nei Paesi africani, le malattie non trasmissibili sono in rapida espansione, e si stima che entro il 2030 avranno superato le malattie trasmissibili, materne, perinatali e nutrizionali come causa più comune di morte. I dati sulla mortalità e la morbilità evidenziano la crescita e l’impatto sproporzionato dell’epidemia nelle realtà più svantaggiate. Più dell’80% dei decessi dovuti a malattie cardiovascolari e diabete, e quasi il 90% di quelli causati da malattie polmonari ostruttive croniche, si verificano in Paesi a basso e medio reddito, come anche più dei due terzi di tutti i decessi per cancro. Inoltre, le malattie non trasmissibili causano la morte a un’età più precoce nei Paesi a basso e medio reddito, dove il 29% dei decessi ad esse dovuti si verificano prima dei 60 anni di età, mentre per i Paesi ad alto reddito questa percentuale è del 13%. L’incremento stimato della percentuale di incidenza del cancro per il 2030, rispetto al 2008, sarà maggiore nei Paesi a basso reddito (82%) e in quelli a reddito medio-basso (70%), rispetto a quello previsto nei Paesi a reddito medio-alto (58%) e alto (40%). Un’alta percentuale di malattie non trasmissibili si può prevenire, attraverso la riduzione dei quattro principali fattori di rischio comportamentali ad esse correlati: consumo di tabacco, inattività fisica, consumo dannoso di alcol ed errate abitudini alimentari.
21
I costi che i sistemi sanitari devono sostenere per le malattie non trasmissibili sono elevati, e si prevedono in aumento. Gli alti costi per gli individui, le famiglie, le attività, i governi e i sistemi sanitari producono nel loro insieme un impatto significativo sulla macroeconomia. Malattie cardiache, ictus e diabete causano ogni anno miliardi di dollari di perdite in termini di produzione di reddito nazionale nei Paesi più popolosi del mondo. Le analisi economiche suggeriscono che ad ogni aumento del 10% nell’incidenza delle malattie non trasmissibili corrisponde un abbassamento dello 0,5% dei livelli annuali di crescita economica. L’impatto
socioeconomico
delle
malattie
non
trasmissibili
sta
avendo
ripercussioni negative sui progressi per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: gli Obiettivi rivolti alla salute o ai suoi determinanti sociali, quali l’istruzione e la povertà, stanno subendo una battuta di arresto a causa della diffusione epidemica delle malattie non trasmissibili e dei fattori di rischio ad esse correlati.
2.2 Ictus cerebri: dati epidemiologici ed impatto sociale Nel mondo, ogni anno, 15 milioni di persone sono colpite da Ictus, di queste sei milioni muoiono. L’ictus cerebri costituisce la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza causa di morte nei Paesi del G8, preceduto soltanto dalle malattie cardiovascolari e dei tumori (Sarti C, 2000; Strong K, 2005). In Italia l’ictus è, per dimensioni epidemiologiche e rilievo sociale, uno dei più gravi problemi sanitari e assistenziali. Esso rappresenta, infatti, la prima causa d’invalidità permanente (Di Carlo A, 2003; Murray CJ, 1997; Marini C, 2004) e la seconda causa di demenza, nonché la terza causa di morte (ma si avvia a divenire la seconda), causando il 10-12% dei decessi complessivi. L’incidenza annua in Italia, in base ai principali studi epidemiologici disponibili, è di 1.79/2,92 nuovi casi per mille abitanti. Di questi, circa l’80% è rappresentato da ictus ischemici, mentre il restante 20% è costituito da emorragie (cerebrali e subaracnoidee). Secondo quanto riportato dalle Linee Guida italiane (SPREAD, 2010), ogni anno occorrono in Italia, secondo i rilievi del 1999, circa 186.000 ictus, di cui l’80% sono nuovi episodi (148.800) e il 20% sono recidive (37.200). Il numero di soggetti colpiti da ictus (dati sulla popolazione del 1999) e ad esso sopravvissuti con esiti più o meno invalidanti è, in Italia, di circa 870.000. Con l’invecchiamento della popolazione si stima che i soggetti affetti da ictus saliranno in
22
breve tempo, salvo che intervengano fattori di correzione, a circa un milione di persone con esiti più o meno invalidanti. Il rischio di ictus aumenta con l’età: in pratica raddoppia ogni 10 anni a partire dai 45 anni. Il rischio di recidiva varia dal 10% al 15% nel primo anno e dal 4 al 9 % per ogni anno nei primi 5 anni dall’episodio iniziale. L’incidenza aumenta progressivamente con l’età, raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni. Il 75% degli ictus, quindi, colpisce dopo i 65 anni, ma il 5% degli ictus si verifica prima dei 45 anni. Il tasso di prevalenza nella popolazione anziana (65-84 anni) italiana è del 6,5%, leggermente più alta negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%). Di quanti sono stati colpiti da ictus, il 20-30% muore entro tre mesi, il 40-50% perde in modo definitivo la propria autonomia, mentre il 10% presenta una recidiva severa entro 12 mesi, con costi sociali difficilmente sostenibili. Relativamente alla specifica situazione italiana, i cambiamenti della struttura demografica dei prossimi anni determineranno un aumento della popolazione nelle fasce più anziane ed una contestuale riduzione nelle fasce inferiori ai 55 anni. Ad incidenza costante, pertanto, il numero di nuovi ictus è destinato ad aumentare. Evoluzioni analoghe sono attese per la prevalenza. Le proiezioni basate sull’attuale incidenza dell’ictus indicano perciò un aumento della sua incidenza, anche se distribuito in maniera differente nelle varie età: una riduzione nei soggetti di età inferiore ai 55 anni, un incremento nei soggetti di età superiore ai 65 anni. Secondo alcuni autori, (La Rosa, 1993) il numero dei pazienti con deficit neurologici dopo primo ictus sarebbe aumentato fino al 2006 per poi ridursi come conseguenza della maggiore mortalità precoce che colpisce i soggetti più anziani (+29% di morti dopo 6 mesi a fronte di + 5% di nuovi disabili). Questi dati sembrano indicare la maggiore importanza della disponibilità di risorse economiche e sanitarie per fronteggiare la fase acuta dell’ictus rispetto alla cura ed al mantenimento dei pazienti con patologia cronica stabilizzata. Per altri autori, invece (Barker WH, 1997), l’aumento del tempo di sopravvivenza dopo l’ictus porterà ad un incremento della prevalenza di tale patologia e ad un corrispondente incremento della domanda di servizi sanitari per pazienti cronici stabilizzati con handicap neurologici. Sulla base dei risultati di ricerche cliniche, epidemiologiche e assistenziali, il ricovero
in
Stroke
Unit
e
la
terapia
trombolitica
sono
le
uniche
misure
significativamente efficaci, nella fase acuta, nel modificare mortalità e outcome dello stroke ischemico. In Italia la maggioranza dei pazienti colpiti da stroke, in accordo con le linee guida, viene ricoverato, ma meno del 10% è accolto in una Stroke Unit. Circa
23
un terzo dei casi è trasportato con i mezzi del 118, ma solo una minoranza arriva entro le tre ore dallo stroke.
2.2.1 Promozione dell’assistenza all’ictus cerebrale in Italia Il Progetto di ricerca “I costi sociali e i bisogni assistenziali dei malati di ictus cerebrale” (CENSIS, 2011) realizzato dalla Fondazione Censis in collaborazione con la federazione Alice Italia Onlus e del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Università degli Studi di Firenze, nell’ambito del progetto Ccm, Grant Capitolo n. 4393 del 2007 “Promozione dell’assistenza all’ictus cerebrale in Italia” ha analizzato su un campione di circa mille persone, rappresentativo della popolazione italiana, tramite interviste telefoniche, il grado di conoscenza dell'ictus cerebrale, delle sue cause, delle sue conseguenze e delle cure attualmente disponibili. Inoltre, sono stati intervistati circa 600 familiari di pazienti con disabilità legata all’ictus, residenti su tutto il territorio nazionale analizzandone il vissuto, i bisogni e i costi sostenuti dalle famiglie dei pazienti colpiti da ictus cerebrale in Italia. Si ritiene utile nel contesto della ricerca riportare alcuni risultati. 2.2.2 La conoscenza dell’ictus nella popolazione italiana L’ictus
risulta una patologia di
grande impatto
sull’immaginazione della
popolazione, il 77% degli intervistati dichiara di essere in grado di offrire una definizione puntuale della patologia, ma in realtà poco più della metà di essi è realmente in grado di identificarla. La conoscenza della patologia appare superficiale, rimanendo per una quota significativa di rispondenti, una patologia oscura sia nelle sue caratteristiche più semplici (sede anatomica interessata) che in quelle più complesse (fattori di rischio, profilo epidemiologico, riferimenti sanitari più adeguati) e risultano
altamente
ignorate
informazioni
essenziali
relative
alle
strategie
di
prevenzione e primo soccorso. Il livello di istruzione non sembra giocare un ruolo determinante nella capacità degli intervistati di individuare la malattia. Gli italiani percepiscono mediamente l’ictus come la quarta causa di disabilità nel mondo tra la popolazione adulta, in realtà nelle statistiche ufficiali ne è la prima causa. Analizzando la capacità di riconoscimento dei sintomi emerge una maggiore criticità nella fascia degli anziani ultrasessantacinquenni, riconoscendo come sintomo l’emiparesi nel 59,8% rispetto al 68,7% del campione. Mentre per quanto riguarda le
24
azioni da adottare nel caso di sospetti ictus, le stesse sono giuste: l’88,8% degli intervistati cercherebbe un ricovero in ospedale. La lettura dei dati rispetto alle conoscenze relative ai fattori di rischio specifici fa capire come l’ictus sia una patologia poco pubblicizzata come per esempio l’infarto del miocardio. L’unico fattore di rischio individuato e l’ipertensione (67,6%), mentre vengono ignorati la cardiopatia ischemica e la fibrillazione atriale. Circa la metà dei rispondenti individua nella dieta equilibrata lo stile di vita più importante soprattutto nella classe di età che hanno superato la soglia dei 30 anni. Per quanto riguarda la conoscenza dei fattori più importanti per la possibilità di cura dell’ictus, potendo segnare più risposte, il 71,9% dei rispondenti ha indicato la tempestività dei soccorsi, il 18,8% l’accuratezza della diagnosi, il 18,5% il ricovero i unità operative specializzate, il 18,0% la qualità delle terapie riabilitative, il 14,8% la terapia con trombolisi, il 10,3% le condizioni di salute generale del paziente. 2.2.3 Costi sociali e bisogni assistenziali dei malati di ictus cerebrale I soggetti coinvolti nell’indagine sono prevalentemente persone anziane e molto anziane. L’81,8% ha più di 65 anni e il 30,7% è ultraottantenne. Solo l’1,3% ha meno di 45 anni e il restante 16,8% ha una età compresa tra 45 e i 64 anni. I dati relativi all’assetto familiare, permettono di mettere in luce una differenza tra i pazienti uomini e donne, relativamente al grado del caregiver. Il 51,7% dei pazienti uomini, vive da solo con la moglie, mentre le pazienti donne che vivono con il marito sono il 24,4%. Se si prende in considerazione i pazienti con età maggiore ai 70 anni, questi vivono nel 32,6% con la badante. Al momento dell’insorgenza dell’ictus, il 70,7% dei pazienti era in pensione (80,2% dei maschi, contro il 60,1% delle donne). Le professioni esercitate, in linea con il basso tasso di scolarizzazione, vedono la prevalenza di mansioni manuali (27,6% operai; 10,2% coltivatori diretti; 8,6% braccianti; 19,7% impiegati; etc). La limitazione dell’autosufficienza prodotta dall’ictus, ha costretto i pazienti (19,3%) a rimodulare l’attività e la componente femminile è quella che ha subito più contraccolpi rinunciando nel 40% alla propria attività. Analizzando il profilo clinico dei pazienti, l’ictus ha lasciato una condizione di disabilità classificata secondo Rankin (tabella 5) nel 45,6% moderata, nel 39,8% moderatamente grave e nel 13% dei casi grave.
25
Tabella 5. Scala di Rankin 0. Nessuna sintomatologia 1. Nessuna disabilità significativa malgrado i sintomi: è in grado di svolgere tutte le attività e i compiti abituali 2. Disabilità lieve: non riesce più di svolgere tutte le attività precedenti, ma è autonomo/a nel camminare e nelle attività della vita quotidiana 3. Disabilità moderata: richiede qualche aiuto nelle attività della vita quotidiana, ma cammina senza assistenza 4. Disabilità moderatamente grave: non è più in grado di camminare senza aiuto né di badare ai propri bisogni corporali 5. Disabilità grave: costretto/a a letto, incontinente e bisognoso/a di assistenza infermieristica e di attenzione costante.
I caregiver sono soprattutto donne (75,7%); il profilo varia a seconda del genere del paziente: nel caso di pazienti maschi, il caregiver sono le mogli e quindi anch’esse mediamente anziane, nel caso di pazienti donne si tratta di figlie tra 46 e 54 anni. Il cargiver nel 43,6% sono figli, il 37,5% coniugi e conviventi, il 12,7% altri parenti. Oltre all’età e al genere, anche l’area di residenza influenza il profilo del caregiver, dove il ricorso alla badante è del 3,6% nelle regioni meridionali e centrali contro il 16,9% delle regioni del nord-ovest. Il 66,2% dei caregiver vive sotto lo stesso tetto con il paziente, situazione che va imputata sia all’appartenenza allo stesso nucleo familiare (come coniugi, e infatti tra i pazienti uomini il dato raggiunge il 71,2% contro il 61,2% delle pazienti donne), sia alla necessità di soddisfare esigenze di assistenza intensiva del paziente. Circa il 26,6% abita altrove, ma nello stesso comune del paziente. In media i cargiver visitano il paziente 6,5 giorni alla settimana. Il 44,1% dei caregiver lavora ed hanno un livello di istruzione maggiore dei pazienti assistiti (11% diploma di laurea, 30,2% diploma di scuola media superiore, 6,4% qualifica professionale e il 27,7% licenza media inferiore); di questi il 75,9% non ha avuto nessun impatto sul proprio lavoro, mentre nel 12,8% il caregiver ha dovuto ridurre parzialmente le ore lavorate o cambiare lavoro. A fronte del 26% di pazienti per i quali è stata accettata la domanda di accertamento di persona portatrice di handicap, solo il 15% ha avuto accesso ai benefici di legge in termini di permessi lavorativi.
26
Tabella 6. Interventi previdenziali a favore dei malati di ictus Assegno ordinario di invalidità Destinato ai lavoratori (dunque non in età pensionabile) la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo (67% di invalidità) a causa di infermità fisica e mentale. Pensione di inabilità Diretta a quei lavoratori per i quali viene riconosciuta l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa (invalidità al 100%). Tra le condizioni inderogabili per l’accesso alla prestazione economica figurano la cessazione di ogni tipo di attività lavorativa, la cancellazione dagli elenchi di categoria dei lavoratori e dagli albi professionali e la rinuncia ad ammortizzatori sociali quali disoccupazione ordinaria e ogni altro trattamento sostitutivo o integrativo della retribuzione. Indennità di accompagnamento Una misura rivolta a tutti coloro presentino un’invalidità totale e permanente del 100% (e che preveda l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e l’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita e conseguente necessità di un’assistenza continua) e slegata da qualsiasi vincolo anagrafico e reddituale.
L’accertamento dell’invalidità e l’accesso alle misure previdenziali per i pazienti oltre i 65 anni di età è un primo passo ben conosciuto dai cargiver che nel 63,1% dei casi hanno presentato la domanda, nel 6,0% richiesto l’aggravamento di una invalidità pre-esistente, il 5,7% era già in verifica di invalidità, il 2,3% ha visto respingere la domanda; mentre l’8,6% non ha provveduto a chiedere la verifica dell’invalidità e nell’1,3% dei casi non conosceva questa opportunità. Nell’88,2% dei casi oltre a presentare la richiesta di invalidità, hanno presentato la richiesta di indennità di accompagno che nel 70% dei casi si è tramutata in beneficio economico e nel 25,5% è ancora in attesa di definizione. L’accertamento dell’invalidità e l’accesso alle misure previdenziali per i pazienti di età inferiore ai 65 anni è una prassi ancora più conosciuta dai caregiver, nell’81,4% ha presentato la domanda per l’accertamento dell’invalidità e contestualmente nel 72,3% anche la domanda di accompagnamento. L’impatto dell’assistenza sulla qualità della vita del cargiver è devastante e nel 77,6% dei casi è peggiorata, soprattutto per i cargiver dei pazienti maschi. Gli sforzi richiesti dalla cura del malato di ictus possono contribuire a creare in colui che assiste ricadute importanti sul suo stato di salute. Nel 72,1% dei casi, i caregiver sottolineano di sentirsi fisicamente stanchi, con conseguenze serie rispetto alla loro salute. Da tenere in considerazione che il 28,2% dei caregiver ha più di 65 anni. Nel 20% dei rispondenti ha segnalato di aver iniziato ad assumere ansiolitici (44,3%) e
27
antidepressivi (41,8%); antidolorifici (20,3%); farmaci per le patologie croniche (20,3%) e sonniferi (19,0%). Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, ne usufruisce il 26,2% dei pazienti con differenza tra il nord ed il sud, con problemi riferiti di difficoltà all’accesso di questi servizi. La badante è la figura di supporto più diffusa, soprattutto per i pazienti più anziani, a ricorrervi per gestire i bisogni dei pazienti con ictus è il 38,7% degli intervistati. La badante è in genere una donna (93,5%) straniera (71,6%) con una età media di 46 anni. Il servizio di assistenza offerto dalla badante prevede nel 62,7% dei casi la presenza h 24 occupandosi in media durante la giornata circa sette ore ad attività dirette al paziente e sua cura (igiene, preparazione e somministrazione pasti, supervisione assunzione farmaci), poi circa 6,6 ore per la sorveglianza e quasi 2 ore al giorno per svolgimento di attività fuori dal domicilio 8commisiioni, accompagnamento alle visite mediche o riabilitative). Lo stipendio medio della badante è di circa 830 euro al mese e sia va dai 951 euro al Nord-Est ai 687 al sud ed isole. Analizzando l’assistenza ospedaliera, superata la fase acuta, il 45,9% dei pazienti subisce un nuovo ricovero, soprattutto i più giovani e con un quadro clinico complesso. Il nuovo ricovero è avvenuto nel 44,3% dei casi in strutture pubbliche o convenzionate con il SSN. Il 50,8% dei cargiver esprime piena soddisfazione per la qualità dell’assistenza sanitaria erogata presso gli ospedali, il 45,2% una valutazione molto positiva per le strutture riabilitative, mentre la percentuale cala al 24% per le strutture socio-sanitarie. I giudizi delle strutture sanitarie variano a seconda dell’area geografica con un gradiente Nord – Sud. Per quanto riguarda la riabilitazione, il 77,8% dei pazienti en usufruisce e la percentuale di chi non vi ricorre aumenta con l’età. Dai dati emerge che il 50,3% ha potuto contare su una terapia riabilitativa domiciliare, mentre il 35,1% hanno ricevuto cure ambulatoriali. Tra coloro che hanno ricevuto cure riabilitative al domicilio, il 47,3% sono state a carico del SSN, nel 46,1% hanno dovuto sostenere tali spese; solo il 5% delle terapie a pagamento erano integrative rispetto a quelle fornite dal SSN. La riabilitazione ambulatoriale risultano nel 66,1% dei casi a totale carico del SSN, nel 20% dietro pagamento di un ticket e nel 10% a pagamento nel settore privato. Anche nel caso delle prestazioni riabilitative i caregiver esprimono giudizi positivi sempre con un gradiente Nord-Sud. Il medico di medicina generale rappresenta il punto di riferimento primario per la cura dei pazienti (42,8%) specie nei giovani (54,2%) e autosufficienti (55,1%) a cui si affiancano gli specialisti pubblici (42,8%) e quelli privai (11,6%). Al campione è stato chiesto di giudicare le capacità del proprio medico di medicina generale nell’affrontare
28
le esigenze sanitarie poste dai malati di ictus e solo la metà è convinta delle capacità dello stesso, mentre nel 47,5% non si affida al MMG. Nel complesso tale studio, calcola il costo medio annuo per paziente, comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico della collettività, escludendo i costi a carico del SSN, il risultato è di circa 30.000 euro all’anno.
29
2.3 Dalla normativa di riferimento al Percorso Ictus
Si sono susseguiti, sia a livello nazionale che regionale, una serie di documenti tecnici e programmatori che hanno fissato le linee su cui poi sviluppare gli interventi di prevenzione e cura delle patologie cerbrovascolari, tra cui l’ictus. Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 “Un Patto di solidarietà per la Salute” ispirato a tre principi fondamentali quali l’Universalismo, l’Eguaglianza e la Solidarietà,
mostrava
come
obiettivo
II
il
contrasto
alle
malattie
cardio
e
cerebrovascolari, registrando delle differenze nella incidenza e nella mortalità in relazione alle diverse aree geografiche e condizioni socioeconomiche dei diversi gruppi di popolazione; proponendo, pertanto, come obiettivi i seguenti: La mortalità derivante da malattie ischemiche del cuore dovrà ridursi di almeno il 10%. La mortalità derivante da malattie cerebrovascolari dovrà ridursi di almeno il 10%. Le diseguaglianze in termini mortalità fra aree geografiche e fra gruppi sociali dovranno ridursi. La qualità della vita del paziente affetto da patologie cardio e cerebrovascolari dovrà migliorare.
Il Piano sanitario nazionale 2001 – 2003 “Dalla Sanità alla Salute” all’obiettivo III si propone di contrastare, attraverso interventi di prevenzione primaria e/o secondaria, le principali patologie che colpiscono la popolazione italiana e provocano il maggior carico di disabilità e di morte, tra le quali l’ictus cerebrale, asserendo che il ricovero precoce presso unità dedicate (Stroke UNIT) riduce la letalità e disabilità per le malattie cerebrovascolari. È altresì necessario stimolare il precoce inizio di una adeguata prevenzione secondaria. Per quanto riguarda l’Iictus è da favorire il precoce ricovero, possibilmente in unità specializzate, dei pazienti con sospetto ictus onde facilitare il tempestivo ricorso a terapie mirate come la rivascolarizzazione farmacologia o chirurgica delle forme ischemiche e gli opportuni interventi neurochirurgici nelle forme emorragiche. È altresì necessario stimolare il precoce inizio di una adeguata prevenzione secondaria. Anche il Piano Sanitario Nazionale 2003 – 2005 ribadisce l’importanza del contrasto a questa patologia, prevedendo un percorso integrato di assistenza al malato che renda possibile sia un intervento terapeutico in tempi ristretti per evitare l’instaurarsi di danni permanenti, e dall’altro canto un tempestivo inserimento del paziente già colpito da ictus in un sistema riabilitativo che riduca l’entità del danno e favorisca il recupero funzionale.
30
Il Piano sanitario nazionale 2006-2008 focalizza l’attenzione in particolare alla prevenzione delle recidive e inizia a parlare di reti e di integrazione ospedaleterritorio, ponendo però più attenzione alle patologie cardiovascolari. Il Piano Sanitario nazionale 2011-2013 riconosce l’ictus cerebrale come patologia strettamente correlata con le patologie cardiovascolari con carattere di urgenza medica, rappresentando in Italia una delle principali cause di morte, e la prima causa di disabilità nell’adulto. Al fine di garantire la continuità dell’assistenza in emergenza, di fondamentale importanza è la realizzazione o il completamento della rete delle patologie acute ad alta complessità assistenziale, tra le quali l’ictus. Tra gli obiettivi, la promozione di campagne informative che contempli la disamina delle patologie associate o complicanti l’obesità quali: diabete, asma, tumori, infarto, ictus, ecc. Inoltre, a livello nazionale viene stipulato nel 2005 l’accordo, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano concernente “linee di indirizzo per la definizione del percorso assistenziale del paziente con ictus cerebrale” n.2195 del 3/3/2005). Il documento è organizzato in quattro capitoli relativi rispettivamente: alla prevenzione; alle prove di efficacia per la stroke care e la trombolisi; al
percorso
assistenziale
del
paziente
con
ictus
(declinato
nella
fase
preospedaliera, ospedaliera e post-ospedaliera); al monitoraggio della implementazione delle reti stroke regionali. In particolare, esso definisce che il ricovero del paziente con ictus debba avvenire in un ospedale: • inserito nella Rete Ictus; • con aree di degenza dedicate; • dotato di team multidisciplinare. Occorre infine ricordare i documenti monotematici elaborati su argomenti emergenti o per valorizzare esperienze positive nel campo dell’organizzazione ed erogazione dell’assistenza. In tale comparto rientrano i Quaderni del Ministero della salute: • Quaderno 2 “Organizzazione dell’assistenza all’ictus: le stroke unit”.
31
A livello Regionale, di seguito sono descritti i documenti programmatori riferiti al contrasto della patologia ictus. Il Piano sanitario regionale 1998-2000 pone le basi per l’organizzazione ospedaliera e territoriale e della prevenzione e non affronta in specifico la cura di patologie, ma individua delle aree di tutela. Nel documento PSR 2003-2006: Una alleanza per la salute un welfare marchigiano universale, equo, solidale e di qualità è previsto un impegno della Regione a promuovere entro il 2004 la messa a regime dei profili assistenziali per patologie/condizioni rilevanti (IMA, protesi d’anca, ictus, percorso nascita, nefropatie croniche, gravi insufficienze respiratorie), mediante la condivisione e l’adozione degli stessi su tutto il territorio regionale. Il PSR 2003-2006 prevede inoltre lo sviluppo della rete ospedaliera come sistema integrato attraverso il cosiddetto modello hub & spoke (mozzo e raggi), che prevede il collegamento tra una sede centrale di riferimento e più sedi periferiche per lo svolgimento di attività della stessa disciplina o della stessa area dipartimentale che in base alla loro complessità vengono distribuite tra le varie sedi con una unitarietà dei modelli
tecnico-professionali,
l’utilizzo
di
équipe
integrate
e
chiari
percorsi
assistenziali. È questo il modello delle reti cliniche che va sviluppato in tutti i settori a partire da quelli di alta complessità (emergenza, oncoematologia, patologia cardiovascolare, patologia neurovascolare, ecc.). È importante che le reti vengano sviluppate in ciascun settore con il coinvolgimento di tutte le discipline interessate. Nel PSR 2007-2009 sono stati individuati punti critici ed azioni finalizzate alla implementazione della Rete Regionale per l’assistenza del paziente affetto da Ictus cerebrale. Come previsto dallo stesso Piano, all’interno della Cabina di Regia Rete Ospedaliera è stato attivato uno specifico Gruppo di progetto. Il Gruppo di progetto ha dato indicazioni in merito alla: - Rete regionale per l’assistenza all’Ictus. L’organizzazione della Rete deve essere basata su due modelli organizzativi integrati in una ottica di Area vasta: Stroke Unit e Stroke team, secondo standard organizzativi, professionali e tecnologici di qualità per entrambi i due livelli. Nel 2009 inoltre è stata aggiornata la Rete Regionale delle strutture abilitate ad eseguire la trombolisi nei pazienti che risultano essere attualmente le seguenti: Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti” di Ancona; INRCA Ancona; Ospedale di Jesi; Ospedale di San Benedetto del Tronto;
32
Ospedale di Fermo; Ospedale di Fano. Nonostante
l’aggiornamento
delle
strutture
autorizzate,
l’implementazione
dell’effettuazione della trombolisi nei pazienti con Ictus che ne presentino l’indicazione è attualmente uno dei maggiori punti critici della Rete regionale, che dovrà essere potenziata con l'attivazione anche dell'Ospedale di Macerata. Per il triennio 2012-2014, secondo il Piano socio-sanitario regionale 2012/2014 “Sostenibilità, appropriatezza, innovazione e sviluppo” gli obiettivi da perseguire sono i seguenti: garantire, nei pazienti con Ictus Cerebrale che ne presentano l’indicazione appropriata, l’effettuazione della trombolisi; garantire la continuità dei percorsi e l’integrazione Ospedale – Territorio anche nella fase post-acuta in particolare per quanto riguarda la riabilitazione e la prevenzione secondaria; garantire la qualità delle prestazioni, la sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico; implementare i sistemi di monitoraggio e valutazione dei processi e degli esiti. Le principali azioni da realizzare coerentemente con gli obiettivi sopra indicati sono: mettere a regime anche in un’ottica di Area vasta la Rete regionale delle Stroke Unit e degli Stroke Team; aggiornare ed implementare i percorsi assistenziali integrati per i pazienti con Ictus cerebrale in articolare per quanto riguarda l’integrazione con la Rete dell’Emergenza
e
Urgenza
per
l’implementazione
della
trombolisi
e
l’integrazione con il Territorio per la fase post-acuta; definire e sviluppare in ottica di Area vasta la Rete per riabilitazione dei pazienti affetti da Ictus cerebrale; definire indicatori e standard di qualità e sicurezza strutturale, tecnologica e professionale per l’assistenza ai pazienti affetti da Ictus ed in particolare per le Stroke Unit e gli Stroke Team: implementare il sistema regionale di Audit per l’Ictus cerebrale; implementare la pratica dell’Audit clinico a livello aziendale. Decreto del dirigente del Servizio di assistenza ospedaliera n. 80/2005 Individua l’Unità operativa di neurologia - Servizio Stroke unit presso la Zona territoriale n. 12 di San Benedetto del Tronto quale centro autorizzato al trattamento dell’ictus ischemico acuto con la specialità medicinale Actilyse.
33
Decreto del dirigente del Servizio di assistenza ospedaliera n. 2/2005 Individuazione dei centri in possesso dei requisiti previsti dal Decreto 24 luglio 2003 al fine di ottenere l’autorizzazione all’impiego del medicinale Actilyse. •
Clinica neurologica dell’Università
Politecnica
delle Marche
presso l’Azienda
ospedaliera Ospedali riuniti di Ancona; • Unità operativa di neurologia - Servizio Stroke unit presso la Zona territoriale n. 5, Jesi; • Unità operativa di neurologia presso l’Ospedale INRCA di Ancona. Nel PSR 2003-2007 la Regione si impegna a promuovere entro il 2004, la messa a rete dei profili assistenziali per patologie/condizioni rilevanti (infarto del miocardio acuto, protesi d’anca, ictus, percorso nascita, nefropatie croniche, gravi insufficienze respiratorie), mediante la condivisione e l’adozione degli stessi su tutto il territorio regionale. Tra le funzioni che la delibera Giunta Regionale 1-2-2005 ha assegnato all'Agenzia Regionale Sanitaria vanno annoverati i seguenti compiti: Promozione e sviluppo dell’integrazione dei processi assistenziali tra le strutture sanitarie e socio-sanitarie dell’ASUR, delle Aziende ospedaliere e dell’INRCA Sviluppo delle reti cliniche, come supporto tecnico al DSPC, all’ASUR, alle Aziende Ospedaliere ed all’INRCA Promozione e sviluppo delle metodologie e strumenti dell’ EBM (Evidence Based Medicine) e del Technology Assessment nel SSR Monitoraggio e valutazione dei processi sanitari e delle reti cliniche Sviluppo e Integrazione dei processi assistenziali del Sistema dell’Emergenza Sanitaria come supporto tecnico al DSPC, all’ASUR, alle Aziende Ospedaliere ed all’INRCA. L’Agenzia costruisce la “Sintesi delle Raccomandazioni, Indicatori e standard Regionali per la Gestione dell’ictus cerebrale. VERSIONE GIUGNO 2004” (Allegato 1), grazie alle quali le allora zone territoriali e aziende elaborarono il loro profilo Ictus, come ad esempio la ex Zona territoriale n.7 di Ancona (Allegato 2) e nel 2006 la Centrale Operativa 118 di Ancona stabilì, in accordo con le Direzioni gnerali delle Aziende incidenti nel territorio di competenza, i criteri di invio agli ospedali di riferimento secondo l’età e la residenza dell’assistito (Allegato 3).
34
2.3.1 Strategie di prevenzione Secondo la relazione 2005 dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla sanità in Europa, in termini di anni di vita al netto della disabilità (DALY: disability-adjusted life year), le cause principali di malattia nella regione europea dell’OMS sono le malattie non trasmissibili (77% del totale), le cause esterne di lesione e gli avvelenamenti (14%) e le malattie trasmissibili (9%). Sette condizioni principali
(cardiopatie
ischemiche,
disordini
depressivi
unipolari,
malattie
cerebrovascolari, disordini dovuti all’abuso di alcol, malattie polmonari croniche, cancro del polmone e lesioni risultanti da incidenti della strada) rappresentano il 34 % dei DALY in Europa. I sette principali fattori di rischio (tabacco, alcol, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, sovrappeso, consumo insufficiente di frutta e verdura e inattività fisica) rappresentano il 60% dei DALY. Inoltre, le malattie trasmissibili, quali l’HIV/AIDS, l’influenza, la tubercolosi e la malaria, stanno anch’esse diventando una minaccia per la salute di tutta la popolazione europea. Con la Decisione n. 1350/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007 si istituisce un secondo programma d’azione comunitaria in materia di salute (2008-2013). Il programma integra, sostiene e aggiunge valore alla politica degli Stati membri e contribuisce a una maggiore solidarietà e prosperità nell’Unione europea tutelando e promuovendo la salute e la sicurezza umane nonché migliorando la sanità pubblica. Gli obiettivi da perseguire mediante le azioni indicate nel programma sono i seguenti: - migliorare la sicurezza sanitaria dei cittadini, - promuovere la salute, anche riducendo le disparità sanitarie, - generare e diffondere informazioni e conoscenze sulla salute. Le azioni di cui al primo comma favoriscono la prevenzione delle principali malattie e contribuiscono a ridurne l’incidenza, nonché la morbilità e la mortalità da esse causate, tra queste le malattie cerebrovascolari. La Word Stroke Campaign ha lanciato nel World Stroke Day 2011, che si celebra in tutto il mondo il 29 ottobre, in collaborazione con CDC e l’OMS, una campagna di prevenzione alla patologia dell’ictus “1 in 6”. Ogni 6 secondi, nel mondo, qualcuno muore a causa di un ictus e una persona su 6 rischia di subire questo evento vascolare nel corso della propria vita.
35
L’idea è di sottolineare che l’ictus non solo è prevenibile ma anche che le persone che sono sopravvissute possono recuperare una buona qualità della vita attraverso supporto e cura. La campagna mira a ridurre l’impatto dell’ictus agendo su sei punti: 1. conoscere i fattori di rischio personali: pressione alta, diabete e colesterolo alto 2. essere fisicamente attivi ed esercitarsi regolarmente 3. evitare l'obesità attraverso una dieta sana 4. limitare il consumo di alcol 5. evitare il fumo di sigaretta. Se fumi, fatti aiutare a smettere adesso 6. impara a riconoscere i segni premonitori di un ictus e come comportarti. La Giornata mondiale riunisce gruppi di sostegno, reti di pazienti sopravvissuti, gruppi di volontariato, autorità sanitarie, medici, infermieri, ma anche la società civile, con l’obiettivo di adottare un approccio collaborativo e integrale dell’ictus, alla sua prevenzione, al trattamento, all’assistenza a lungo termine e al sostegno dei malati.
36
OBIETTIVO DELLA TESI Il progetto di ricerca si pone come obiettivo generale quello di descrivere ed analizzare sia le caratteristiche e dimensioni delle evento ictus acuto nella Regione Marche per gli anni 2010 e 2011 ed in particolare per i residenti dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Area Vasta 2, che delle disuguaglianze sociali di salute presso un campione di popolazione colpita da Ictus, nel tentativo di fornire un contributo all’avanzamento delle evidenze scientifiche disponibili in questo ambito. A tale scopo, il lavoro della tesi, dopo la presente introduzione che è servita a presentare il contesto di indagine, si propone come obiettivo specifico quello di creare un modello logico indagando se l’esito dell’ictus è legato a variabili socio-economiche ed in particolare all’appartenenza ad una certa fascia di reddito individuale della persona colpita da ictus. Una più approfondita conoscenza dei suddetti aspetti potrebbe essere utile ai fini di rivalutare od integrare il Percorso Ictus a livello regionale e nazionale.
37
MATERIALI E METODI La fonte di informazioni utilizzata per soddisfare il primo obiettivo (analisi del contesto epidemiologico dell’evento ictus acuto) è costituita dai dati delle Schede di dimissione ospedaliera (SDO) della Regione Marche per gli anni 2010 e 2011. Sono stati selezionati tutti i ricoveri, in regime ordinario, con diagnosi principale di ictus (codici ICD9 CM 431 oppure 433.x1, 234.x1, 436) avvenuti in strutture ospedaliere, sia pubbliche che accreditate convenzionate, della Regione Marche con dimissione dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2011. Al fine di procedere ad una seconda analisi epidemiologica, sono stati selezionati tutti i ricoveri con DRG alla dimissione uguali al DRG 14 M- Emorragia intracranica o infarto cerebrale e al DRG 559 M-Ictus ischemico acuto con uso di agenti trombo litici. Le variabili prese in considerazione sono state le seguenti: -
DRG e/o ICD9-CM selezionati
-
residenza dell’assistito;
-
istituto di ricovero;
-
decesso;
-
disciplina di ammissione;
-
disciplina di dimissione.
Nella seconda parte della tesi, è stato analizzato un campione di popolazione di pazienti con ictus acuto selezionato attraverso il codice patologia riscontrata C0404, corrispondente all’ictus, dai dati dei Dispatch della Centrale Operativa 118 di Ancona in un periodo di sei mesi: dal 15 novembre 2010 al 15 maggio 2011. È stato costruito un data base in ambiente Microsoft Office Excel® raccogliendo le informazioni presenti nel Dispatch dell’intervento del 118 Ancona, che per i disturbi neurologici focali ha predisposto un scheda di intervento ad hoc. La scheda rilevazioni dati Dispatch segue le indicazioni della rilevazione dati per la 1° Survey nazionale dell’ictus in fase pre-ospedaliera per le Centrali Operative 118 elaborata dalla Società Italiana Sistemi 118 Gruppo Gestione del Paziente con Ictus Cerebrale – GPIC (Allegato 4) . Il data base è stato integrato con i dati relativi al reddito individuale di ogni paziente raccolti tramite il sito dell’Agenzia delle Entrate dello Stato Italiano Siatel v2.0 – Punto Fisco. La consultazione delle banche dati dell'Agenzia delle Entrate può avvenire solo ed esclusivamente per finalità istituzionali e per ragioni strettamente connesse alla propria attività di servizio. In seguito alle disposizioni dell'Autorità
38
garante per la protezione dei dati personali emesse in data 18 settembre 2008, sulle pagine dell'applicazione PuntoFisco è stato introdotto un nuovo campo denominato "pratica lavorata" per collegare effettivamente gli accessi compiuti dagli operatori alle finalità loro consentite. Su questo campo è stata inserita la dicitura “Controlli per ricerca med”. La consultazione sul contribuente è stata eseguita tramite la ricerca per codice fiscale digitando lo stesso, ottenendo così le condizioni reddittuali e quindi le dichiarazioni fiscali. Ad ogni record è stato pertanto associato il reddito percepito dichiarato secondo i modelli di riferimento (modello 730, modello 770 semplificato etc). I dati sono stati inseriti nel database in ambiente Microsoft Office Excel® per codice identificativo così da rendere anonimo il record riferito al paziente. I dati sono stati analizzati in modo aggregato ed anonimo. Il disegno dello studio Il modello concettuale adottato è quello proposto dall’epidemiologo danese Diderichsen (2001) secondo il quale è la collocazione dell’individuo nello spazio sociale (stratificazione sociale e conseguente posizione sociale) a determinare l’eventuale esposizione a fattori di rischio; da una eccessiva esposizione a fattori di rischio deriva una maggiore probabilità per chi è collocato nelle posizioni sociali subalterne di conseguenze negative sulla propria salute. L’esposizione a questa molteplicità di fattori è quindi biologicamente mediata. In ultimo Diderichsen evidenzia l’attivazione del circolo vizioso per effetto del quale gli individui con maggiori problemi di salute retrocedono lungo la scala sociale. All’interno del modello concettuale sono individuabili quattro aree di indagine: I. II.
la posizione sociale degli individui; l’esposizione ai fattori di rischio (all’interno della quale vanno ricondotti sia i rischi di carattere ambientale che quelli di tipo comportamentale, cioè connessi agli stili di vita individuali);
III.
i pattern di utilizzo dei servizi sanitari;
IV.
gli outcome di salute individuali.
39
Per ognuna delle aree di indagine sono individuabili diverse variabili latenti, che a loro volta possono essere descritte attraverso indicatori semplici e compositi. Figura 3. Le aree di indagine
Fonte: ns. elaborazione da Diderichsen (2001) e Maciocco (2009)
I
Nei successivi paragrafi si procede ad una breve disamina su alcuni aspetti di carattere metodologico nell’ambito dello studio sulle disuguaglianze sociali di salute, con l’obiettivo di individuare quali tra gli indicatori rilevati nell’indagine Percorso Ictus possa essere adoperato efficacemente per raggiungere gli obiettivi del progetto di ricerca. 2.2.1. Lo status socio-economico: come collocare gli individui nello spazio sociale? Il concetto di posizione sociale sottintende all’esistenza di uno “spazio sociale” all’interno del quale gli individui si collocano e si muovono nel corso della loro vita (Cardano e Marinacci, 2004). Ai fini di rappresentare questo spazio, la ricerca sociale ha elaborato due strumenti distinti. Il primo fa capo al concetto di classe sociale e sottolinea le
40
discontinuità presenti in questo spazio, che portano alla generazione della struttura sociale. La classe sociale può essere definita quindi come “un insieme relativamente ampio di famiglie, o di individui, occupanti una posizione simile all’interno di alcuni cruciali rapporti di potere e nella connessa distribuzione dei privilegi” (Schizzerotto, 1988, p.15). Il secondo strumento elaborato dalla ricerca sociale è il concetto di stratificazione sociale, che rappresenta lo spazio sociale come un continuum di posizioni definite dalle risorse possedute dagli individui. In sintesi si può affermare che mentre nella prima prospettiva il fulcro dell’analisi è costituito dalle diseguaglianze relazionali – diseguaglianze di potere – nella seconda prospettiva l’attenzione si rivolge alle diseguaglianze distributive1. Nell’ambito della ricerca empirica la rappresentazione dello spazio sociale quale un continuum pone diverse difficoltà di carattere metodologico, tanto che una rappresentazione imperniata sul concetto di classe piuttosto che di strato sociale viene preferita da larga parte della letteratura (Addario, 1987; Cardano e Marinacci, 2004). Nulla esclude tuttavia che in un modello di studio possano essere impiegate variabili che si riferiscono ad entrambi le prospettive. La scelta delle dimensioni attraverso le quali viene misurata la stratificazione sociale può convergere infatti su una sola dimensione alla volta (analisi unidimensionale) come il reddito, il potere economico,
l’influenza,
il
prestigio,
o
raggruppare
più
dimensioni
(analisi
multidimensionale). Dall’analisi degli item presenti nell’indagine Percorso Ictus si è deciso di considerare il reddito individuale come proxy dello stato sociale. Il livello di reddito rappresenta il maggior fattore per determinare la collocazione lungo una scala di disuguaglianze sociali. Il livello di salute e le aspettative di vita, come ribadito più volte, sono strettamente correlate alla posizione sociale occupata dall’individuo così come asserito nella Teoria del gradiente sociale studiata da Marmot ed altri. autori. I soggetti sono stati riposizionati nelle diverse fasce di status considerando il reddito individuale rideterminando nuove fasce di reddito partendo dalla tabella 3 di riferimento a pag 19. La nuova variabile è stata denominata “ NewCutOffReddito”.
1 Da queste diverse interpretazioni discendono numerosi lavori teorici contenenti proposte di classificazione delle posizioni sociali che a partire dalla visione delle classi sociali in ottica conflittualista di Marx, Weber, passando per la recente contrapposizione tra Neomarxisti (come Wright) e Neoweberiani (come Goldthorpe), giungono all’innovativa opera di Bordieu che ridefinisce la classe sociale sui concetti di habitus e capitale. L’habitus si riferisce ad un insieme di disposizioni acquisite nel periodo della prima socializzazione mentre il capitale, accumulato nelle sue forme materiali ed immateriali durante la vita. Nello specifico Bordieu distingue tre tipologie di capitale: economico, culturale e sociale.
41
Tabella 7. Individuazione delle Nuove fasce di reddito individuale nei pazienti colpiti da ictus acuto.
Fascia reddito
Reddito individuale annuo
1° fascia
<7.534 euro
2° fascia
fino a 13.850 euro
3° fascia
fino a 20.896 euro
4° fascia
>20.896 euro
Fonte: ns. elaborazione
Importante
è
considerare
anche
le
relazioni
sociali
come
studio
delle
diseguaglianze di tipo relazionale. Una vasta produzione scientifica indaga il rapporto tra capitale sociale e salute (House et al., 1988; De Belvis et al., 2008). Tra i meccanismi esplicativi proposti per chiarire la relazione tra salute e capitale sociale vi è il ruolo positivo che quest’ultimo rivestirebbe nel diffondere conoscenze sulla promozione della salute, nel promuovere corretti stili di vita grazie all’effetto informale delle reti di controllo sociale, la promozione dell’accesso ai servizi pubblici, nonché i processi psicosociali positivi connessi al supporto emotivo derivante dal capitale sociale (Kawachi e Berkman, 2000). Esistono concrete difficoltà sia nella definizione che nella misurazione del capitale sociale. In
alcuni
studi
si
ricorre a indicatori
area-based, che misurano le
caratteristiche dell’ambiente di vita, o a indicatori individuali, riferiti cioè alle caratteristiche del singolo. Recenti soluzioni propongono modelli statistici in grado di combinare i due aspetti e di tener conto dell’effetto combinato dei fattori (Kim e Kawachi, 2006). Senz’altro, la possibilità di accedere a reti informali d’aiuto è un aspetto che concorre a determinare la qualità del capitale sociale individuale: la relazione tra questo aspetto e lo stato di salute è stata più volte confermata (Berkman, 1984).
42
Tabella 8. Le rete informale di aiuto
Nome variabile TipoComune
Descrizione Tipo di comune - Comuni centro di un’area metropolitana - Comuni aventi fino a 10.000 abitanti - Comuni con 10.001 -50.000 abitanti - Comuni con più di 50.000 abitanti
Fonte: ns. elaborazione Ulteriori aspetti rilevati riconducibili alla sfera del capitale sociale individuale sono inoltre le dimensioni dei nuclei familiari e la tipologia di comune di residenza, in termini di popolosità.
Variabili di salute ed accessibilità riguardanti il percorso Ictus Per quanto riguarda i servizi sanitari sono state scelte, tra le diverse variabili, le seguenti: - la descrizione dell’Ospedale di arrivo in seguito alla chiamata del 118: AOU Ospedali Riuniti di Ancona, INRCA AN, Ospedale di Jesi, Ospedale di Fabriano, Ospedale di Loreto, Ospedale di Senigallia. Di questi solamente i primi tre ospedali hanno autorizzate ed attive Stroke Unit e l’Ospedale di Loreto ha una Stroke Team; - il tempo intercorso tra chiamata al 118 ed il ricovero; - esito di salute (deceduto, vivo).
43
Analisi statistica Sono state svolte inizialmente analisi univariate e bivariate, utilizzando il test Chi Quadro per le variabili categoriche al fine di verificare se il l’esito di salute (decesso) fosse correlato alle variabili in esame. È stato costruito un modello di regressione logistica per ottenere Odds Ratio (OR) grezzi e standardizzati e verificare l’effetto di eventuali variabili di confondimento. Sono stati calcolati intervalli di confidenza al 95%. Per validare il modello multivariato ottenuto si sono considerate le variazioni dello Pseudo R² durante il model fitting. Tutte le analisi sono state svolte utilizzando il software per l’analisi statistica STATA, versione 10.1 (Stata Corp., College Station, TX, 2007).
44
RISULTATI Epidemiologia Ictus acuto della Regione Marche e dell’Area Vasta 2 La tabella 9 mostra i dati per il biennio 2010-2011 dei dimessi con diagnosi principale di ictus ischemico acuto nella Regione Marche considerando sia i residenti della nostra regione che la mobilità attiva. Sono state analizzate le schede di dimissione ospedaliera (SDO), considerando tutti i ricoveri, in regime ordinario, con diagnosi principale di ictus (codici ICD 9- CM 431 oppure 433.x1, 434.x1, 436), avvenuti in strutture pubbliche e private convenzionate della regione Marche, con dimissione dal 1/01/2010 al 31/12/2010 e dal 1/01/2011 al 31/12/2011. Nel 2010 sono stati dimessi presso le strutture ospedaliere della Regione 4.361 pazienti con ictus acuto contro 4.053 nel 2011. Considerando solo gli ospedali con un numero di dimessi pari ad almeno il 5% dei dimessi totali per ictus, si evidenzia per l’Area Vasta 1 gli Ospedali Riuniti Marche Nord che si attestano per l’anno 2011 al 12,8% (San Salvatore 6,4%: 260/4053 e Santa Croce di Fano 6,4%: 259/4053); per l’Area Vasta 2 l’Ospedale INRCA di Ancona dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 9,2%(402/4361) al 9,1% (362/4053), l’AOU Ospedali Riuniti di Ancona dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 6% (263/4361) al 6,6% (264/4053) e l’Ospedale di Jesi dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 5,8% (254/4361) al 5,9% (238/4053); per l’Area Vasta 3 l’Ospedale di Macerata dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 6,5% (282/4361) al 5,9% (257/4053); per l’Area Vasta 4 l’Ospedale di Fermo dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 5,5% (241/4361) al 5,1% (208/4053); per l’Area vasta 5 l’Ospedale di San Benedetto dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 5,5% (239/4361) al 4,3% (173/4053) e l’Ospedale di Ascoli Piceno dal 2010 al 2011 rispettivamente dal 5,1% (224/4361) al 5,6% (227/4053).
45
Tabella 9 - Dimessi con diagnosi principale di ictus ischemico acuto anno 2010 e 2011 nella regione Marche. Fonte SDO 2010-2011
Descrizione Istituto OSP. S.MARIA DELLA MISERICORDIA - URBINO OSPEDALE CELLI - CAGLI OSPEDALE LANCIARINI - SASSOCORVARO FOSSOMBRONE - OSPEDALE CIVILE OSPEDALE SANTA CROCE - FANO PERGOLA - OSP. SS DONNINO E CARLO SENIGALLIA - OSPEDALE CIVILE OSPEDALE GENERALE DI ZONA - CINGOLI OSPEDALI RIUNITI DI JESI VILLA SERENA - JESI OSP. S.ANTONIO ABATE - SASSOFERRATO OSPEDALE CIVILE 'E.PROFILI' - FABRIANO OSP. SS. BENVENUTO E ROCCO - OSIMO OSPEDALE M. MONTESSORI - CHIARAVALLE OSPEDALE SANTA CASA - LORETO VILLA ADRIA - ANCONA VILLA IGEA - ANCONA IST. S.TO STEFANO - POTENZA PICENA OSPEDALE CIVILE SANTA LUCIA - RECANATI OSPEDALE GENERALE DI ZONA - CIVITANOVA VILLA DEI PINI - CIVITANOVA DOTT.MARCHETTI SRL - MACERATA OSPEDALE DI TOLENTINO OSPEDALE DI TREIA OSPEDALE GENERALE PROVINCIALE - MACERATA OSPEDALE B.EUSTACCHIO - S. SEVERINO M. OSPEDALE S.MARIA DELLA PIETA' - CAMERINO OSPEDALE S.SOLLECITO - MATELICA OSPEDALE DI FERMO OSPEDALE DI MONTEGIORGIO OSPEDALE DI S.ELPIDIO A MARE VILLA VERDE - FERMO S.BENEDETTO - OSP.MADONNA DEL SOCC. STELLA MARIS - S.BENEDETTO VILLA ANNA - S.BENEDETTO OSPEDALE GEN.LE C.G.MAZZONI - ASCOLI OSPEDALE VITTORIO EMANUELE II - AMANDOLA SAN GIUSEPPE" - ASCOLI P. VILLA S.MARCO" - ASCOLI P. OSPEDALE SAN SALVATORE - PESARO OSPEDALE SANTA CROCE - FANO PRESIDIO OSPEDALIERO G.M.LANCISI PRESIDIO OSPEDALIERO UMBERTO I° OSPEDALE INRCA - ANCONA OSPEDALE INRCA - FERMO Totale complessivo
Autoprodotti Attiva FR Totale 2010 2011 2010 2011 2010 2011 166 149 8 9 174 158 36 41 2 2 38 43 38 32 0 2 38 34 29 25 0 0 29 25 270 0 18 0 288 0 27 17 1 1 28 18 143 167 10 5 153 172 10 13 0 0 10 13 252 232 2 6 254 238 43 24 0 0 43 24 2 0 0 0 2 0 82 87 5 5 87 92 22 29 1 1 23 30 15 9 0 0 15 9 107 132 3 2 110 134 0 1 0 1 2 7 0 2 2 9 6 1 0 0 6 1 73 52 1 0 74 52 90 107 2 4 92 111 125 113 1 1 126 114 7 8 0 0 7 8 92 118 0 3 92 121 84 60 1 4 85 64 279 253 3 4 282 257 86 86 2 2 88 88 55 58 1 6 56 64 36 31 1 0 37 31 237 204 4 4 241 208 5 4 0 0 5 4 12 16 0 0 12 16 24 42 0 1 24 43 204 150 35 23 239 173 4 12 1 0 5 12 6 12 4 1 10 13 216 214 8 13 224 227 61 49 2 4 63 53 1 4 0 0 1 4 11 20 2 1 13 21 357 249 18 11 375 260 0 255 0 4 0 259 46 57 2 6 48 63 247 252 16 14 263 266 394 357 8 12 402 369 190 147 7 4 197 151 4192 3895 169 158 4361 4053
% 2010 4,0 0,9 0,9 0,7 6,6 0,6 3,5 0,2 5,8 1,0 0,0 2,0 0,5 0,3 2,5 0,0 0,0 0,1 1,7 2,1 2,9 0,2 2,1 1,9 6,5 2,0 1,3 0,8 5,5 0,1 0,3 0,6 5,5 0,1 0,2 5,1 1,4 0,0 0,3 8,6 0,0 1,1 6,0 9,2 4,5 100
2011 3,9 1,1 0,8 0,6 0,0 0,4 4,2 0,3 5,9 0,6 0,0 2,3 0,7 0,2 3,3 0,0 0,2 0,0 1,3 2,7 2,8 0,2 3,0 1,6 6,3 2,2 1,6 0,8 5,1 0,1 0,4 1,1 4,3 0,3 0,3 5,6 1,3 0,1 0,5 6,4 6,4 1,6 6,6 9,1 3,7 100
46
Tabella 10 - Dimessi nella Regione Marche con diagnosi principale di ictus acuto residenti in AV2. Fonte SDO 2010-2011
104 Descrizione Istituto
105
106
OSPEDALE SANTA CROCE - FANO
1
0
PERGOLA - OSP. SS DONNINO E CARLO
1
1
118
158
1 10
13
OSPEDALI RIUNITI DI JESI
4
1
217
190
VILLA SERENA - JESI
1
0
38
23
SENIGALLIA - OSPEDALE CIVILE OSPEDALE GENERALE DI ZONA - CINGOLI
1
Totale
1
0
0
OSP. S.ANTONIO ABATE - SASSOFERRATO OSPEDALE CIVILE 'E.PROFILI' - FABRIANO
107
%
2010 2011 2010 2011 2010 2011 2010 2011 2010 2011 2010
1
4
8
2
0
72
76
2011
2
0
0,16
0,00
0,16
0,08
1
0
2
1
15
2
134
160
10
13
14
19
239
218
4
1
43
24
3,46
1,92
2
0
0,16
0,00
10,8 12,79 0,8
1,04
19,2 17,43
0
2
73
79
5,87
6,31
1
21
28
21
29
1,69
2,32
0
1
15 98
9 116
15 98
9 117
1,21 7,88
0,72 9,35
1
5
1
5
0,08
0,40
IST. S.TO STEFANO - POTENZA PICENA
1
0
1
0
0,08
0,00
OSPEDALE GENERALE DI ZONA - CIVITANOVA
0
1
1
3
0,08
0,24
OSPEDALE DI TOLENTINO
1
0
1
0
0,08
0,00
OSPEDALE DI TREIA
1
0
1
0
0,08
0,00
OSPEDALE GENERALE PROVINCIALE - MACERATA
0
2
1
5
0,08
0,40
OSPEDALE B.EUSTACCHIO - S. SEVERINO M.
0
1
0
1
0
0,08
0
1
0
0,08
0
1
0
0,08
OSP. SS. BENVENUTO E ROCCO - OSIMO
0
OSPEDALE M. MONTESSORI - CHIARAVALLE OSPEDALE SANTA CASA - LORETO VILLA IGEA - ANCONA
1
1
OSPEDALE DI FERMO
0
OSPEDALE VITTORIO EMANUELE II - AMANDOLA
0
1
OSPEDALE SAN SALVATORE - PESARO
1
1
0
1
PRESIDIO OSPEDALIERO G.M.LANCISI
4
3
6
4
0
PRESIDIO OSPEDALIERO UMBERTO I°
6
7
8
8
4
OSPEDALE INRCA - ANCONA Totale
2
3 1
2
0
3
2
0,24
0,16
1
11
18
21
26
1,69
2,08
1
174
202
192
218
15,4 17,43
382
339
30,7 27,10
2
2
3
1
3
0
374
336
139
174
286
247
86
86
732
744 1243 1251
L’Area vasta 2 nasce per unione di 4 zone territoriali (4-5-6-7) con sede legale a Fabriano e conta secondo i dati ISTAT al 31/12/2011 494.522 cittadini residenti si 52 Comuni, pari a circa il 31,6% della popolazione della Regione Marche. Gli Ospedali che intervengono nella gestione dell’ictus acuto per i residenti dell’AV2 sono l’INRCA di Ancona nel 2010 e 2011 rispettivamente il 30,7% (382/1243) e 27,10% (339/1251); gli Ospedali Riuniti di Ancona con il 15,4% (192/1243) e 17,4% (218/1251); l’Ospedale di Jesi con il 19,2% (239/1243) e 17,4% (218/1251); l’Ospedale si Senigallia con il 10,8% (134/1243) e 12,8% (160/1251); l’Ospedale di Loreto con il 7,9% (98/1243) e 9,4% (117/1251) e l’Ospedale di Fabriano con il 5,9% (73/1243) e 6,3% (79/1251).
47
100
100
Tabella 11 –Tasso grezzo di mortalità (% deceduti/dimessi) per dimessi DRG 14 per zona territoriale di residenza. Fonte SDO 2010-2011
Dimessi Deceduti Zona Residenza 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 Totale complessivo
2010 197 281 365 131 260 109 723 269 384 151 510 211 249 3840
2010 40 33 54 15 32 7 106 39 51 17 54 34 30 512
Tasso grezzo di mortalità (% Deceduti / dimessi) 2010 20,3% 11,7% 14,8% 11,5% 12,3% 6,4% 14,7% 14,5% 13,3% 11,3% 10,6% 16,1% 12,0% 13,3%
Dimessi Deceduti 2011 215 246 317 174 222 109 770 314 383 133 452 197 251 3783
2011 25 20 46 19 30 9 103 49 46 10 53 34 25 469
Tasso grezzo di mortalità (% Deceduti / dimessi) 2011 11,6% 8,1% 14,5% 10,9% 13,5% 8,3% 13,4% 15,6% 12,0% 7,5% 11,7% 17,3% 10,0% 12,4%
Delta %
-42,73% -30,77% -1,92% -4,64% 9,80% 28,57% -8,76% 7,64% -9,57% -33,22% 10,74% 7,11% -17,33% -7,02%
Analizzando i dimessi con DRG 14 M- Emorragia intracranica o infarto cerebrale, come mostrato dalla tabella 11, la Regione Marche si attesta per l’anno 2010 su un tasso grezzo di mortalità ospedaliera per Ictus acuto di circa il 13,3% (512/3840) e per il 2011 di circa il 12,4% (469/3783), con una diminuzione percentuale di circa il 7%. Le tabelle 12 e 13 mostrano il numero dei casi dei pazienti con dimissione con DRG 14 per gli anni 2010 e 2011 per discipline di ammissione e dimissione nella Regione Marche. Si evidenzia per l’anno 2010, come le discipline che gestiscono tale patologia siano le Medicine generali con il 35,8% (1375/3840), le Neurologie con il 32,5% (1247/3840), le Lungodegenze con il 10% (386/3840), le Geriatrie con il 6,8% (261/3840) e le riabilitazioni funzionali con il 5% (194/3840). Per l’anno 2011, le discipline che gestiscono principalmente tale patologia sono le Medicine generali con il 37,6% (1423/3783), le Neurologie con il 32,6% (1233/3783), le Lungodegenze con il 9,1% (345/3783), le Geriatrie con il 5,3% (202/3783) e le Riabilitazioni funzionali con il 4,4% (168/3783).
48
06 - CARDIOCHIR. PEDIATRICA 08 - CARDIOLOGIA 09 - CHIRURGIA GENERALE 14 - CHIRURGIA VASCOLARE 19 - MALATT. ENDOCRINE,ECC. 21 - GERIATRIA 24 - MALATTIE INFETTIVE 26 - MEDICINA GENERALE 29 - NEFROLOGIA 30 - NEUROCHIRURGIA 31 - NIDO 32 - NEUROLOGIA 33 - NEUROPSICH.INFANTILE 34 - OCULISTICA 36 - ORTOPEDIA-TRAUMAT. 38 - OTORINOLARINGOIATRIA 39 - PEDIATRIA 40 - PSICHIATRIA 43 - UROLOGIA 49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE 50 - U.T.I.C. 51 - ASTANTERIA 56 - RIEDUCAZ.-FUNZIONALE 58 - GASTROENTEROLOGIA 60 - LUNGODEGENTI 64 - ONCOLOGIA 68 - PNEUMOLOGIA 75 - NEURO RIAB. Totale complessivo
Disciplina ammissione
1
1
09 - CHIRURGIA GENERALE
24
2
6
0
0
1
281
12
5
1416
0
1
5
1
23
1333
2
1247
10
12 3 31
1 1
1
21
3 1 15
0 0 9 3 18
1
0 3
1
3 2
3 1
24 - MALATTIE INFETTIVE
0
1
29 - NEFROLOGIA
0 0 4
0
26 - MEDICINA GENERALE
1 1375
30 - NEUROCHIRURGIA
1
4 1
0 3
32 - NEUROLOGIA
4
1 0
14 - CHIRURGIA VASCOLARE
1
6
19 - MALATT. ENDOCRINE,ECC.
261
2
21 - GERIATRIA
0
23
33 - NEUROPSICH.INFANTILE
4
0
4
0
0
Disciplina dimissione
36 - ORTOPEDIA-TRAUMAT.
Fonte dato SDO
4
4
49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE
108
0
95
5
3 1 1
1 2
1
1
0
38
38
56 - RIEDUCAZ.-FUNZIONALE
3 197
194
0
60 - LUNGODEGENTI
387
386
0
1
1
1
2
2
1
1
75 - NEURO RIAB.
68 - PNEUMOLOGIA 64 - ONCOLOGIA
62 - NEONATOLOGIA
51 - ASTANTERIA
50 - U.T.I.C.
39 - PEDIATRIA
08 - CARDIOLOGIA
06 - CARDIOCHIR. PEDIATRICA
Tabella 12. Numero di pazienti con ictus acuto per disciplina di ammissione e dimissione nella Regione Marche anno 2010.
1 1
1 28 9 6 0 264 7 1397 4 33 1 1258 4 0 3 5 4 0 1 119 7 100 194 1 386 2 2 4 3840
Totale complessivo
06 - CARDIOCHIR. PEDIATRICA 08 - CARDIOLOGIA 09 - CHIRURGIA GENERALE 14 - CHIRURGIA VASCOLARE 19 - MALATT. ENDOCRINE,ECC. 21 - GERIATRIA 24 - MALATTIE INFETTIVE 26 - MEDICINA GENERALE 29 - NEFROLOGIA 30 - NEUROCHIRURGIA 31 - NIDO 32 - NEUROLOGIA 33 - NEUROPSICH.INFANTILE 34 - OCULISTICA 36 - ORTOPEDIA-TRAUMAT. 38 - OTORINOLARINGOIATRIA 39 - PEDIATRIA 40 - PSICHIATRIA 43 - UROLOGIA 49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE 50 - U.T.I.C. 51 - ASTANTERIA 56 - RIEDUCAZ.-FUNZIONALE 58 - GASTROENTEROLOGIA 60 - LUNGODEGENTI 64 - ONCOLOGIA 68 - PNEUMOLOGIA 75 - NEURO RIAB. Totale complessivo
Disciplina ammissione
0
0
09 - CHIRURGIA GENERALE 18
6
5
9
9
0
221
8
8
1481
1
0
8
0
26
1324
0
1233
7
13 5 35
0 3 1
25
6 2 14
1 1 18 2 24
2
1 5
0
0 5
1 0
24 - MALATTIE INFETTIVE 3
1
29 - NEFROLOGIA
1 2 1
1
26 - MEDICINA GENERALE 0 1423
30 - NEUROCHIRURGIA
5
6 1
2 2
32 - NEUROLOGIA
4
0 1
14 - CHIRURGIA VASCOLARE
0
5
19 - MALATT. ENDOCRINE,ECC.
202
6
21 - GERIATRIA
1
17
33 - NEUROPSICH.INFANTILE 1
1
0
1
1
Disciplina Dimissione
36 - ORTOPEDIA-TRAUMAT.
Fonte dato SDO
2
2
91
2
74
5
6 0 3
0 1
1
0
1
65
65
56 - RIEDUCAZ.-FUNZIONALE 0 169
168
1
60 - LUNGODEGENTI 347
345
1
1
0
0
0
0
0
0
0 0
50
75 - NEURO RIAB.
68 - PNEUMOLOGIA 64 - ONCOLOGIA
62 - NEONATOLOGIA
51 - ASTANTERIA
50 - U.T.I.C.
49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE
39 - PEDIATRIA
08 - CARDIOLOGIA
06 - CARDIOCHIR. PEDIATRICA
Tabella 13. Numero di pazienti con ictus acuto per disciplina di ammissione e dimissione nella Regione Marche anno 2011.
0 19 14 5 9 209 8 1448 6 36 0 1249 0 1 7 1 2 1 1 110 7 136 168 0 345 0 1 0 3783
Totale complessivo
Analizzando i dimessi e deceduti con codice DRG 559 M-Ictus ischemico acuto con uso di agenti trombolitici per l’anno 2010 e 2011, si evidenzia che le persone sottoposte a terapia di fibrinolisi sono state nella Regione Marche per l’anno 2010 solamente 30 casi e per il 2011 28 casi. I pazienti che hanno potuto principalmente beneficiare di tale terapia sono stati i residenti della zona territoriale di Jesi. Il tasso grezzo d mortalità sui dimessi risulta pressoché sovrapponibile per i due anni di riferimento; per il 2010 del 6,7% (2/30) e per il 2011 del 10,7% (3/28). Tabella 14 –Tasso grezzo di mortalità (% deceduti/dimessi) per dimessi DRG 559 per zona territoriale di residenza. Fonte SDO 2010-2011
Dimessi Deceduti Residenza 102 103 104 105 106 107 109 110 Totale
2010 1 3 1 11 1 8 4 1 30
2010 0 0 0 2 0 0 0 0 2
Tasso grezzo di mortalità Tasso grezzo di mortalità Dimessi Deceduti (% Deceduti / dimessi) (% Deceduti / dimessi) 2010 2011 2011 2011 0,0% 2 0 0,0% 0,0% 1 0 0,0% 0,0% 0 0 18,2% 16 2 12,5% 0,0% 3 1 33,3% 0,0% 4 0 0,0% 0,0% 1 0 0,0% 0,0% 1 0,0% 6,7% 28 3 10,7%
Delta %
-31,25%
Come mostrato nelle tabelle 15 e 16 le Unità Operative che effettuano fibrinolisi sono le Unità di Neurologia sia per l’anno 2010 che per l’anno 2011 con numeri esigui rispetti ai casi di ictus trattati. Tabella 15. Numero di pazienti con ictus acuto per disciplina di ammissione e dimissione nella Regione Marche anno 2010. Fonte dato SDO
26 32 49 50 51 -
MEDICINA GENERALE NEUROLOGIA TER.INT. - RIANIMAZIONE U.T.I.C. ASTANTERIA
Totale complessivo
4
1 23 1 0 0
4
24
Totale complessivo
51 - ASTANTERIA
49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE
32 - NEUROLOGIA
Disciplina ammissione
26 - MEDICINA GENERALE
Disciplina Dimissione
1
0
5 24 1 0 0
1
30
1 0
60,71%
Tabella 16. Numero di pazienti con DRG 559 per disciplina di ammissione e dimissione nella Regione Marche anno 2011. Fonte dato SDO
26 32 49 50 51 -
MEDICINA GENERALE NEUROLOGIA TER.INT. - RIANIMAZIONE U.T.I.C. ASTANTERIA
Totale complessivo
1
0 23 0
25
1
1 23 1 1 2
2
28
0 1
1 1 1
Totale complessivo
51 - ASTANTERIA
49 - TER.INT. - RIANIMAZIONE
32 - NEUROLOGIA
Disciplina ammissione
26 - MEDICINA GENERALE
Disciplina Dimissione
0
Nell’Area vasta 2 (tabella 17) è l’Unità Operativa di Neurologia di Jesi che effettua, seppur in pochi casi, terapia con fibrinolisi. Tabella 17. Focus dimessi nella Regione Marche con DRG 559 residenti AV2 per Presidio ospedaliero. Fonte SDO 2010-2011 Senigallia Descrizione_Istituto OSPEDALI RIUNITI DI JESI OSPEDALE SANTA CASA - LORETO PRESIDIO OSPEDALIERO UMBERTO I° OSPEDALE INRCA - ANCONA Totale
Jesi
Fabriano
Ancona
Totale
2010 2011 2010 2011 2010 2011 2010 2011 2010 2011 1 0 11 16 1 2 1 0 14 18 1 0 1 0 4 3 4 3 1 0 1 0 1
0
11
16
1
2
7
3
20
21
52
Il campione Percorso Ictus Il campione selezionato tramite i dispatch degli interventi del Sistema 118 di Ancona con codice per patologia ictus in 6 mesi di rilevazione è costituito da 220 unità. Di queste, 25 unità sono state escluse in quanto non è stato possibile associare il reddito individuale per incompletezza dei dati. Complessivamente il decesso è più frequente tra le femmine (48,2% vs 30,1%) e aumenta con l’aumentare dell’età. La distribuzione dei pazienti rispetto alla tipologia del comune di residenza è abbastanza omogenea. Le variabili che mostrano un livello di significatività minore di 0,05 sono: il sesso, l’età, il reddito individuale e l’ospedale di arrivo. Al contrario non risulta avere un effetto sull’esito la tipologia del comune di appartenenza del paziente. I dati sono riportati nella tabella n. 18.
53
Tabella 18. Tassi di decesso stratificati per le caratteristiche sociodemografiche in un campione di pazienti che hanno allertato il 118 per ictus (n = 195) Esito ictus Variabili
Decesso(%)
Sopravvivenza(%)
Tasso grezzo
40,5
59,5
Maschio (n=83)
30,1
69,9
Femmina (n=112)
48,2
51,8
< 65 (n=13)
23,1
76,9
65-74 (n=38)
21,1
78,9
75-84 (n=66)
40,9
59,1
> 85Alto (n=78)
52,6
47,4
fino a 10.000 ab (n=58)
37,9
62,1
da 10.000 a 50.000 ab (n=76)
48,7
51,3
più di 50.000 ab (n=61)
32,8
67,2
< 7.534 euro (n=48)
72,9
27,1
fino a 13.850 euro (n=49)
38,8
61,2
fino a 20.896 euro (n=49)
28,6
71,4
> 20.896 euro (n=49)
22,5
77,5
Ospedale di arrivo
41,1
10,7
AOU OO.RR. Ancona (n=26)
11,5
88,5
Fabriano (n=12)
41,7
58,3
INRCA (n=67)
46,3
53,7
Jesi (n=43)
37,2
62,8
Loreto (n=13)
53,9
46,1
Osimo (n=3)
33,3
66,7
Senigallia (n=28)
57,1
42,9
p
Sesso 0,011
Fascia di età 0,006
Tipo di Comune 0,151
Fascia di reddito individuale
Rifiuta trasporto (n=3)
<0,001
0,021
100
p-value calcolato usando il Test Chi-Quadro di Pearson; livello di significatività < 0,05.
54
Tabella 19. Modello di regressione logistica per predire il rischio di morte nel campione di pazienti che hanno allertato il 118 per ictus.
n.osservazioni
188
LR Chi2
59,73
Pseudo R2
0,2347
Deceduto
Odds Ratio
[95% Conf. Interval]
P
sesso (F vs. M)
2,39
1,14
4,99
0,021
eta (+1 anno)
1,05
1,00
1,09
0,032
2° fascia reddito
0,26
0,12
0,59
0,001
3° fascia reddito
0,30
0,10
0,94
0,039
4° fascia reddito
0,26
0,47
1,44
0,123
Comune da 10.000 a 50.000 ab
1,69
0,72
3,96
0,228
Comune più di 50.000 ab
0,82
0,26
2,54
0,724
Fabriano
2,71
0,40
18,58
0,309
Inrca
4,65
1,08
20,11
0,040
Jesi
4,05
0,83
19,67
0,083
Loreto
2,87
0,46
17,82
0,257
Senigallia
9,01
1,68
48,22
0,010
1° fascia reddito
Comune fino a 10.000 ab
Ospedale di arrivo: AOU OO.RR. Ancona
ref
ref
ref
L’Odd ratio si riferisce al rischio di morire Vs.le altre variabili; livello di significatività < 0,05.
Nella tabella 19, sono mostrati i risultati della regressione logistica. Dal campione sono stati eliminati i 3 casi arrivati all’ospedale di Osimo e i 3 casi che hanno rifiutato il ricovero. Il modello di regressione logistica conferma che il sesso, l’età e il reddito sono associati con una maggior probabilità di morire a seguito dell’evento ictus. In particolare ad ogni aumento di anno di età si ha un aumento del 5% della probabilità di decesso (OR=1,05; [CI: 1,00 – 1,09]; p=0,032) e le donne hanno un rischio maggiore (OR=2,39; [CI: 1,14 – 4,99]; p=0,021). Per quanto riguarda il reddito individuale, risulta che percepire un reddito maggiore di 7.534 euro è un fattore protettivo
55
rispetto all’exitus, nello specifico gli individui che appartengono alla seconda e terza fascia sono significativamente a minor rischio di decesso, rispettivamente (OR=0,26; [CI: 0,12 – 0,59];
p=0,001) e (OR=0,30; [CI: 0,10 – 0,94]; p=0,039). La tipologia del comune di residenza non sembra essere associata al tasso di decesso. Per quanto riguarda l’ospedale di arrivo, rispetto all’AOU Ospedali Riuniti di Ancona, gli altri ospedali presentano tutti un rischio maggiore di decesso, ma tale risultato è significativo solo per l’INRCA e Senigallia rispettivamente (OR=4,65; [CI: 1,08 – 20,11]; p=0,004) e (OR=9,01; [CI: 1,68 – 48,22]; p=0,010). Poiché tale risultato può essere influenzato dall’età, si riporta di seguito la tabella 20 che mostra la distribuzione per ospedale dell’età media dei pazienti. Tabella 20. distribuzione per ospedale di arrivo dell’età media dei pazienti Ospedale di arrivo
Media
Deviazione standard
n.
ANCONA
70.73
8.93
26
FABRIANO
82.92
11.29
12
INRCA
83.99
6.52
67
JESI
78.88
10.14
43
LORETO
82.62
8.16
13
SENIGALLIA
79.71
10.01
28
Totale
80.21
9.67
189
Per quanto riguarda il tempo intercorso dalla chiamata al 118 all’arrivo in ospedale, questa variabile è stata esclusa dal modello logistico in quanto tutti i pazienti vengono trasportati all’ospedale di riferimento entro le 3 ore dall’insorgenza dei sintomi di ictus, con una media di circa 45 minuti, da un minimo di 8 minuti ad un massimo di 1 ora e 52 minuti.
56
DISCUSSIONE La cura dell’ictus acuto, nella sue fasi perviste nel Percorso Ictus (preospedaliera e DEA, ospedaliera e post-acuzie) comporta un sostanziale cambiamento della prospettiva: da un modello in cui il malato ruota intorno a strutture erogatrici di servizi ad un modello in cui la struttura e i professionisti interagiscono assumendo come fulcro la persona assistita ed i sui bisogni. Ciò richiede interventi basati su valutazioni multidimensionali, in tutte le fasi dell percorso Ictus, dalla fase pre-ospedaliera, dove il tempestivo riconoscimento dei sintomi riferibili ad ictus tramite l’utilizzo della Cincinnati Prehospital Stroke Scale (allegato 5) e il tempestivo trasporto nella la struttura più idonea alle necessità del paziente, rappresentano uno degli snodi cruciali per l’esito dell’ictus acuto. Dato che il ricovero in strutture dedicate (stroke unit) può portare vantaggio al paziente,
sia
per
motivi
diagnostici
che
terapeutici,
è
necessario
il
pronto
riconoscimento di un sospetto ictus per porre indicazione e provvedere al ricovero. Una più avanzata educazione sanitaria, sia pubblica sia professionale, è essenziale nel ridurre il ritardo tra l'esordio dell'ictus, l'arrivo alla struttura assistenziale (Albert MJ, 1997; Barsan WG, 1994), e l'attuazione della valutazione iniziale e dell'eventuale trattamento. In proposito, bisogna considerare che, tuttora, i pazienti che giungono tardivamente in Pronto Soccorso, e quindi non sono eleggibili per i trattamenti di riperfusione mediante trombolisi, paradossalmente sono proprio quelli che potrebbero avvantaggiarsi di tale approccio in acuto (Re G, 1998). In generale, tutti i pazienti che giungono prima in una struttura dedicata, anche quelli più gravi, presentano un migliore esito neurologico (Davalos A, 1995). La realizzazione dell’indagine ha permesso di focalizzare alcuni aspetti di organizzazione, produzione ed outcome del Percorso Ictus nella Regione Marche in particolare nell’ASUR Area Vasta 2. Gli ictus acuti nella Regione Marche sono stati, nel 2011, 3.895 (depurando dei pazienti residenti fuori regione). Stante una popolazione nella Regione Marche nel 2011 (censimento) di 1.565.335 abitanti, si ha un’incidenza di 1 ictus ogni 401 abitanti (3.895/1.565.335) pari a 2.49 x 1.000 abitanti. Tale tasso è in linea con l’incidenza annua in Italia, in base ai principali studi epidemiologici disponibili, è di 1.79/2,92 nuovi casi per mille abitanti. L’Area vasta 2 si attesta ad un tasso di 2,53 x 1.000 abitanti (1.251/494.522).
57
I nostri risultati sono tendenzialmente in linea con la letteratura scientifica, in particolare si evince l’importanza di avere strutture ospedaliere adeguate alla gestione della patologia ictus e riconosciute come punti di riferimento. Dai dati risulta che il tasso di decesso più basso si ha nella AOU Ospedali Riuniti di Ancona, in parte spiegato dal fatto che a questa struttura accedono per protocollo pazienti con età media inferiore. Di converso, l’INRCA ha un alto tasso di decessi, ma bisogna tener conto che, per la sua mission, tratta gli over sessantacinquenni; infatti l’età media dei pazienti ricoverti è la più alta. Tali giustificazioni non possono essere addotte per l’ospedale di Senigallia, tale differenza potrebbe essere spiegata dal fatto che non è dotato di una Stroke Unit. Sul versante dell’organizzazione del sistema, il percorso risulta accessibile per quanto riguarda il ricorso al Sistema dell’emergenza 118. Da segnalare, pur riuscendo in tempi brevi dalla chiamata al 118 a trasportare il paziente con riconoscimento precoce dei sintomi di ictus all’ospedale di riferimento, solo in pochi casi viene effettuata la terapia con trombolitici. L’ospedale che effettua la gran parte degli interventi di fibrinolisi risulta l’ospedale di Jesi. La differenza può essere spiegata dalla variabilità dell’applicazione dei protocolli in essere e quindi di un mancato pre-allertamento dell’Unità di Neurologia (stroke unit) da parte del 118 nel caso di positivià alla Cincinnati Prehospital Stroke Scale e alla caratteristiche cliniche del paziente. Da valutare la necessità di rivedere il percorso Ictus rispetto agli ospedali di riferimento, proponendo di accentrare la cura dell’ictus esclusivamente nella fase dell’acuzie nelle Unità Osperative di Neurologia con Stroke Unit. Un limite della ricerca è il mancato studio del grado di disabilità post-ictus e l’analisi della fase post-acuzie. I dati dimostrano una relazione tra l’appartenenza ad una fascia di reddito più povera e la maggior probabilità di esito nefasto nella cura dell’Ictus e che gli sforzi dei policy maker dovranno essere rivolti principalmente a politiche integrate con l’ambito sociale e di supporto alle famiglie, cercando di compensare le differenze distributive e rafforzando il tessuto sociale. In particolare, in tutto il percorso Ictus, è importante tenere in considerazione, sia per la misura dei disagi che per gli interventi, il riferimento alla famiglia come unità entro la quale valutare la deprivazione. La famiglia è una “cassa di compensazione” dei problemi individuali, quindi è il luogo dove si può constatare se le persone sono povere o sono socialmente emarginate. Il riferimento alla famiglia, è quello che meglio può accompagnare azioni mirate alla rimozione delle cause di povertà e di esclusione sociale in Italia.
58
Un limite della tesi potrebbe essere l’utilizzo del reddito individuale della persona colpita da ictus come proxy della condizione socio-economica, in quanto il reddito di per sè non è sufficiente per spiegare la relazione tra la posizione sociale e la salute. Infatti, in alcuni studi vengono presi in esame altri fattori sociali connessi alla posizione e quindi allo stato di salute: il livello di educazione, la gerarchia occupazionale, i consumi, il contesto di riferimento. Per il contesto di riferimento, si è dimostrato ad esempio che il basso reddito o le disuguaglianze di reddito deprimono l’accesso ai servizi maggiormente in Canada che negli USA (Ross et al. 2000). Secondo Amartya Kumar Sen (1998), in una società in cui è garantito un buon supporto sociale attraverso la condivisione di beni e servizi pubblici il reddito è meno rilevante ai fini della partecipazione sociale e dell’accesso ai servizi. Tali considerazioni enfatizzano il ruolo che l’ambiente sociale esercita sulla salute. Alcuni autori ritengono che per definire la classe sociale di appartenenza di un soggetto non si debba limitare a considerare il livello individuale ma che debba essere considerato quello familiare (Barbagli, 1988): la maggior parte degli individui, infatti, non vive isolata ma all’interno di un contesto familiare che ne influenza la traiettoria di vita. L’età media avanzata dei pazienti colpiti da ictus contribuisce comunque a ridurre gli impatti dell’ictus sulla vita lavorativa, giacchè la stragrande percentuale dei malati al momento della fase acuta della malattia risultava già in pensione. Tuttavia, per quanti erano ancora attivamante coinvolti nel proprio lavoro, l’avvento della patologia ha significato compromettere in maniera decisiva questo ambito della propria vita. Un’altra criticità connessa allo studio è la difficoltà ad accedere a data base amministrativi e sanitari; in particolare la mancanza di una facile interfacciabilità dei sistemi informatici che rendono le azioni di linkage difficoltose e comunque con notevole dispendio di tempo. Dato l’elevatissimo impatto sociale ed economico dell’ictus, è indispensabile potenziare l’impegno per un’efficace prevenzione e per rendere disponibili a tutta la popolazione i trattamenti che si sono dimostrati più vantaggiosi.
59
CONCLUSIONI Le difficoltà economiche recenti hanno compresso i redditi e hanno cambiato gli stili di consumo della maggior parte delle famiglie italiane. La diminuzione delle disponibilità, soprattutto come conseguenza della riduzione delle attività economicoproduttive, la non-uscita dalle famiglie d’origine di quote importanti di giovani che pure possiedono titoli universitari, un tasso d’inflazione contenuto ma sempre positivo che testimonia prezzi crescenti, un prelievo fiscale elevato, la difficoltà di ottenere credito dalle banche, tutto ciò ha fatto lievitare il bisogno delle famiglie. Recentemente, è in parte cambiato anche l’atteggiamento delle famiglie nei confronti dell’iscrizione all’università come possibile ascensore sociale e come ambito per la qualifica delle competenze necessarie per la parte alta del mercato del lavoro. Questa “apnea dei consumi” e, in parte, l’erosione di risparmi hanno attutito l’effetto della crisi sulle famiglie. Il numero di persone che si è rivolto ai servizi di integrazione di bisogni sociali fondamentali (mense popolari, dormitori pubblici, docce pubbliche, distribuzioni di vestiario, ecc.) o che hanno chiesto integrazioni economiche è comunque cresciuto nell’ultimo anno (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2012). In questo contesto socio-economico, alla luce dell’evoluzione demografica italiana, l’ictus rischia dunque di diventare ancor più un’emergenza sanitaria del paese, sia per un prevedibile aumento dell’incidenza, cui consegue un aumento della domanda di prestazioni sanitarie in emergenza, che soprattutto, per l’aumento della prevalenza che determina l’aumento del carico assistenziale a medio e lungo termine delle famiglie. Le prospettive per contenere questa emergenza sono: la capacità del sistema di informare sulla malattia, e dunque di promuovere l’adozione di comportamenti in grado di prevenirla e ridurne l’incidenza; l’implementazione di una rete integrata territorio-ospedale per la gestione degli eventi acuti, con conseguente riduzione della disabilità residua e dunque del carico assistenziale familiare; l’implementazione di un sistema di assistenza integrato ospedale-territorio per la gestione della disabilità residua. Per dare risposta ad una crescente richiesta di assistenza a persone con patologie croniche disabilitanti ed ad una aumento di povertà è necessario ripensare i sistemi di welfare. Le politiche di contrasto della povertà richiedono, a livello finanziario, l’impegno massiccio dei governi e delle amministrazioni pubbliche,
60
chiamate ad un impegno crescente pur in situazioni (è il caso dell’Italia) di perdurante contrazione delle risorse economiche. D’altra parte il peso dell’assistenza per questi pazienti ricade in misura consistente sia sulle famiglie sia complessivamente sulla collettività e pertanto si rende sempre più urgente e strategico l’avvio di una profonda revisione dell’offerta di servizi e prestazioni soprattutto sotto il profilo socio-assistenziale. Concludendo, risulta acclarato che la gestione clinica di un paziente che ha avuto un ictus cerebrale, la prevenzione primaria e secondaria, l’organizzazione dei servizi dedicati alle varie fasi della malattia cerebrovascolare, sono temi di massima importanza nella medicina moderna. La possibilità di garantire continuità di cura ai cittadini con esiti da ictus cerebrale è attualmente una delle maggiori sfide per il sistema sanitario.
61
BIBLIOGRAFIA
Addario N. (1987) L’ordine della differenza. Per un approccio organizzazionale al concetto di classe sociale. Rassegna Italiana di Sociologia. 28. Alberts MJ, Perry A, Dawson DV, Bertels C. (1992) Effects of public and professional education on reducing the delay in presentation and referral of stroke patients. Stroke; 23: 352-356. Amartya Kumar Sen (1998) Il tenore di vita. Tra benessere e libertà. Marsillo editore. Barbagli M. (1988) Quando in famiglia ci sono due classi. Polis. 2(1):125-50. Barsan WG, Brott TG, Broderick JP, et al. (1994) Urgent therapy for acute stroke. Effects of a stroke trial on untreated patients. Stroke; 25: 2132-2137. Barker WH, Mullooly JP. (1997) Stroke in a defined elderly population 1967-1985. A less lethal and disabling but no less common disease. Stroke; 28: 284-290. Berkman L.F. (1984) Assessing the physical health effects of social networks and social supports. Annual Review of Public Health. 5:413-432. Cardano M., Marinacci C. (2004) La rilevazione della posizione sociale, in Costa G., Spadea T., Cardano M. (a cura di) Diseguaglianze di salute in Italia, Epidemiologia e Prevenzione. 28(3) Supplemento: 1-162. CENSIS (2011) I costi sociali e i bisogni assistenziali dei malati di ictus cerebrale – sintesi dei risultati – I quaderni di medicina – Supplemento al nuemro odierno de “il Sole 24 ore sanità, Roma, giugno 2011. Chandola T. (2009) Do inequalities in health increase at older ages? Paper presented at the conference “Short course on Longitudinal studies”, Turin 7th October.
62
Chandola T., Ferrie J., Sacker A., Marmot M. (2007) Social inequalities in self reported health in early old age: follow-up of prospective cohort study. British Medical Journal, 334:990. Comunità Europea (2007) Decisione N. 1350/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un secondo programma d’azione comunitaria in materia di salute
(2008-2013).
Bruxelles,
23
ottobre
2007
http://eur-
lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2007:301:0003:0013:it:PDF
[data
ultimo accesso 21 gennaio 2013]
Costa G. (2004a) Relazione sullo stato sanitario del Paese 2003-2004. Roma: Ministero della Salute. Costa G. (2004b) I determinanti
sociali. In Costa G., Spadea T. (a cura di)
Diseguaglianze di salute in Italia. Epidemiologia e Prevenzione, Supplemento (3) maggio-giugno. Costa G. (2008) Disuguaglianze di salute: dati, modelli esplicativi e ruolo delle politiche, seminario ad Ancona, 16 giugno. Costa G., Cardano M., De Maria M. (1998) Torino. Storie di salute in una grande città. Torino: Città di Torino. Costa G., Carrieri V. (2009) Povertà e salute nell’età. Conoscenze e politiche, cap. 5 in: Rapporto 2009 sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, Commissione di indagine sull’esclusione sociale, Roma: 201-226. Costa G., Faggiano F. (1994) L’equità nella salute in Italia. Milano, Franco Angeli. Davalos A, Castillo J, Martinez-Vila E. (1995) Delay in neurological attention and stroke outcome. Stroke; 26: 2233-2237. De Belvis A.G., Avolio M., Sicuro L., Rosano A., Latini E., Damiani G., Ricciardi W. (2008) Social relationships and HRQL: A cross-sectional survey among older Italian adults. BMC Public Health. 8:348.
63
Di Carlo A, Launer LJ, Breteler MM, Fratiglioni L, Lobo A, Martinez-Lage J, Schmidt R, Hofman A. Feigin VL, Lawes CM, Bennett DA, Anderson CS. (2003) Stroke epidemiology: a review of population-based studies of incidence, prevalence, and case-fatality in the late 20th century. Lancet Neurol; 2: 43-53. Diderichsen F., Evans T., Whitehead M. (2001). The social basis of disparities in health. In Evans T., Whitehead M., Diderichsen F., Bhuiya A., Wirthet M. (eds). Challenging inequities in health: from ethics to action. New York: Oxford University Press. Gresenz C.R., Sturm R. Tang L. (2001) Income and mental health: unraveling community and individual level relationships. J Mental Health: Policy Econ, 4 (4): 197203. House J., Landis K., Umberson D. (1988) Social Relationships and Health. Science. 241:540-545. Huisman M., Kunst A.E., Mackenbach J.P. (2003) Socioeconomic inequalities in morbidity among the elderly; a European overview. Social Science and Medicine. 57:861-73. Kawachi I., Berkman L.F. (2000) Social cohesion, social capitan, and health. In Berkman LF, Kawachi I. (eds.), Social Epidemiology. New York: Oxford University Press; 200: 174-190. Kim D., Kawachi I. (2006) A multilevel analysis of key forms of community and individual-Level social capital as predictors of self-rated health in the United States. Journal of Urban Health: Bullettin of the New York Academy of Medicine. 83(5). Krieger N. (1999) Embodying inequality: a review of concepts, measures and methods for studying health consequences of discrimination. International Journal of Health Services. 29:295-352. Kunst AE, Mackenbach JP. (1994) Measuring socioeconomic inequalities in health. Copenhagen: World Health Organization regional office for Europe.
64
La Rosa F, Celani MG, Duca E, Righetti E, Saltalamacchia G, Ricci S. (1993) Stroke care in the next decades: a projection derived from a community-based study in Umbria, Italy. Eur J Epidemiol; 9: 151-154. Machenbach J.P., Bos V., Andersen O., Cardano M., Costa G., Harding S., Reid A., Hemstrom O., Valkonen T., Kunst A.E. (2003) Widening socioeconomic inequalities in mortality in six Western European countries. International Journal of Epidemiology. 32:830-37. Marini C, Baldassarre M, Russo T, De Santis F, Sacco S, Ciancarelli I, Carolei A. (2004) Burden of first-ever ischemic stroke in the oldest old. Evidence from a populationbased study. Neurology; 62: 77-81. Marmot M. (2006) Status Syndrome. A Challenge to Medicine, Journal of American Medical Association. 295(11). McDonough P., Duncan G.J., Williams D., House J. (1997) Income Dynamics and Adult Mortality in the United States, 1972 through 1989. American Journal of Public Health. 87(9). Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2012) Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale Anno 2011-2012. Roma, 26 luglio 2012 [data ultimo accesso 21 gennaio 2013]
Murray CJ, Lopez AD. (1997) Global mortality, disability and the contribution of risk factors. Global burden of the disease study. Lancet; 349: 1436-1442. Re G., (1998) Stroke and the role of the emergency physician. Eur J Emerg Med 1998; 5: 199-200. Ross N.A., Wolfson M.C., Dunn J.R., Berthelot J.M., Kaplan G.A., Lynch J.W. (2000) Relation between income inequality and mortality in Canada and in the United States: cross sectional assessment using census data and vital statistics. BMJ;320(7239):898902.
65
Ross N.A., Dorling D., Dunn J.R., Henriksson G., Glover J., Lynch J., Weitoft G.R. (2005) Metropolitan income inequality and working-age mortality: a cross-sectional analysis using comparable data from five countries. J Urban Health;82(1):101-10. Sarti C, Rastenyte D, Cepaitis Z, Tuomilehto J.(2000) International trends in mortality from stroke, 1968 to 1994. Stroke; 31:1588-1601. Schizzerotto A. (1988) Classi sociali e società contemporanea. Milano: Franco Angeli. Spadea T., Zengarini N., Kunst A., Zanetti R., Rosso S., Costa G. (2010) Cancer risk in relationship to different indicators of adult socioeconomic position in Turin, Italy, Cancer Causes Control, 21: 1117-1130. SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion. Ictus cerebrale: Linee guida italiane di prevenzione e trattamento, stesura del 7 gennaio 2010; http://www.spread.it/files/SPREAD_6_2010_sintesi.pdf [data ultimo accesso 21 gennaio 2013].
Strong K, Mathers C, Leeder S, Beaglehole R. (2005) Preventing chronic diseases: how many lives can we save? Lancet; 366: 1578-1582. Sturm R., Gresenz C.R. (2002) Relations of income inequality and family income to chronic medical conditions and mental health disorders: national survey. BMJ, 324 (7328): 20. Paper. Vannoni F. (2009) Disuguaglianze socio-economiche e condizioni di salute attraverso l’Indagine multiscopo sulla salute. In: Brandolini A., Saraceno C., Schizzerrotto A. (a cura di) Dimensioni della diseguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione, Il Mulino, Bologna. Von Dem K.O., Luschen G., Cockerham W.C., Siegrist J. (2003) Socioeconomic status and health among the aged in the United States and Germany: a comparative crosssectional study. Social Science and Medicine. 57:1643-52. Whitehead M. (1990) The concept and principle of equity and health. Copenhagen: World Health Organization, Regional Office for Europe.
66
Wilkinson R.G. (1996) Unhealthy societies: the afflictions of inequality, London, Routledge. Wilkinson R.G., Pickett K.E. (2008) Income inequality and socioeconomic gradients in mortality. Am J Public Health;98(4):699-704. Wilkinson R., Marmot M. (eds.) (2003) The solid facts, WHO. World Bank (1993) World Development Report 1993. New York: Oxford University Press. World Health Organization (2005) The European health report 2005. Public health action for healthier
children
and
populations.
Summary.
ISBN92
–
890
–
1378
-8.
http://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0020/98300/E87399.pdf [data ultimo accesso 21 gennaio 2013]
67
ALLEGATI Allegato 1. Sintesi delle Raccomandazioni, Indicatori e standard Regionali per la Gestione dell’ictus cerebrale. Versione giugno 2004 Allegato 2. Profilo di assistenza per la gestione ed il tratatmanto del paziente con ictus cerebrale - ASUR Zona Territoriale 7 – anno 2009 Allegato 3. Protocollo ICTUS area Ancona Allegato 4. Scheda 1° Survey nazionale dell’ictus in fase pre-ospedaliera per le Centrali Operative 118 elaborata dalla Società Italiana Sistemi 118 Gruppo Gestione del Paziente con Ictus Cerebrale – GPIC Allegato 5. Cincinnati Prehospital Stroke Scale
68