UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT
PROVA FINALE “LE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT: PROFILI CIVILISTICI E FISCALI. IL REGIME FORFETTARIO EX L. 398 DEL 16 DICEMBRE 1991”
RELATORE: CH.MO PROF. CAGGIANO GIOVANNI
LAUREANDO: FERRARO MANUELE MATRICOLA N. 1000439
ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013
Sommario Introduzione ............................................................................................................................................ 3 1. LE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT ............................................................................................ 4 1.1 Lo scenario attuale ........................................................................................................................ 4 1.1.1 Il settore non profit in Europa: il quadro generale ................................................................ 5 1.2 Definizioni..................................................................................................................................... 8 1.2.1 Disciplina civilistica ............................................................................................................... 8 1.2.2 Disciplina tributaria ............................................................................................................... 9 1.3 Le vicende dell’associazione ....................................................................................................... 12 1.3.1 Associazioni riconosciute ..................................................................................................... 13 1.3.2 Associazioni non riconosciute .............................................................................................. 15 2. IL SETTORE PROFIT E NON PROFIT: ANALOGIE E DIFFERENZE ....................................... 16 2.1 Attività di natura commerciale e non commerciale..................................................................... 17 2.2 Perdita della qualifica di ente non commerciale ......................................................................... 18 3. LA DISCIPLINA CONTABILE E FISCALE DEGLI ENTI NON PROFIT ................................... 21 3.1 Bilancio e rendiconto gestionale ................................................................................................. 21 3.2 La determinazione del reddito degli enti non commerciali ......................................................... 27 3.2.1 Disciplina tributaria degli enti di tipo associativo .............................................................. 27 3.3 Regimi contabili .......................................................................................................................... 30 3.3.1 Regime forfettario di cui alla legge n. 398/91...................................................................... 31 Conclusione ........................................................................................................................................... 35 Riferimenti bibliografici........................................................................................................................ 36
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Introduzione Nel corso degli anni Novanta, e in molti casi ancora oggi, le organizzazioni non profit si sono ritrovate improvvisamente al centro dell’attenzione di ricercatori, di politici e dell’opinione pubblica perché svolgono un ruolo sempre più significativo nel sistema sociale ed economico nazionale, soprattutto all’interno del modello di welfare state. Si tratta di organizzazioni molto diverse tra di loro eppure accomunate dalla caratteristica di non distribuire gli eventuali profitti che derivano dalla gestione delle loro attività ai soci o ai dipendenti ma di utilizzare queste risorse per aumentare la quantità e migliorare la qualità dei servizi erogati. È proprio questa una delle ragioni che ha permesso al settore di crescere molto velocemente: i consumatori sono alla ricerca di “protezione”, più in generale sono alla ricerca di situazioni che riducano l’asimmetria informativa, e l’assenza di scopo di lucro può fornire questo, perché si ha la rassicurazione che chi esercita il potere decisionale non sia spinto ad agire in modo opportunistico al fine di ottenere il maggior profitto (il risparmio di costi è la via più semplice), ma sia sensibile alle esigenze del bene comune e sia impegnato a promuoverlo. Nonostante al “terzo settore”, come viene comunemente denominato l’insieme degli enti non profit, siano state attribuite innumerevoli virtù e potenzialità, manca tutt’oggi una normativa comune. Un tentativo è stato fatto dal nostro legislatore con il d.lgs. 460/1997 che ha, tra le altre cose, istituito le Onlus e introdotto molte piccole novità legislative che hanno contribuito a regolamentare meglio questa o quell’altra organizzazione. Il quadro normativo del terzo settore italiano rimane tuttavia ancora incompleto. Principale obiettivo di questo lavoro, scelto dopo aver predisposto durante lo stage il prospetto per il Rendiconto degli incassi, dei pagamenti e Situazione Patrimoniale per una associazione locale, sarà l’esame dei regimi fiscali previsti per le associazioni, la forma giuridica maggiormente prescelta dalle organizzazioni non profit; in particolare, l’analisi si concentrerà sul regime forfettario di cui alla legge 398 del 16 dicembre 1991. Il tema verrà introdotto soffermandosi sull’inquadramento civilistico e tributario della disciplina delle organizzazioni non profit e analizzando brevemente il quadro europeo e le differenze rispetto alle aziende profitoriented.
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1. LE ORGANIZZAZIONI NON PROFIT 1.1 Lo scenario attuale1 Sulla base dei dati del Censimento ISTAT (1999) sulle Istituzioni no profit, risultano attive in Italia (cioè hanno svolto attività durante l’anno in esame) 221.412 istituzioni. La loro distribuzione territoriale risulta abbastanza disomogenea: il 51,1% delle istituzioni è presente nell’Italia settentrionale, il 21,2% nel Centro e il 27,7% è localizzato nel Mezzogiorno. La Lombardia vanta la presenza più consistente di unità istituzionali (31.120, pari al 14,1% del totale), seguita dal Veneto (21.092, pari al 9,5%). Le regioni con una minore presenza di istituzioni non profit sono la Valle d’Aosta, il Molise, la Basilicata, l’Umbria e la Calabria, che nel loro complesso ospitano poco meno del 6,0% delle unità istituzionali attive in Italia. In generale, le istituzioni non profit italiane sono di recente costituzione; il fenomeno iniziò infatti a dilagare a partire dagli anni ottanta, e le ragioni furono molteplici:
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la crisi della finanza pubblica e la conseguente diminuzione dell’intervento pubblico nei settori sociali (assistenza, sport, tempo libero);
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l’interesse da parte della società civile nei confronti delle aziende non profit a causa del ruolo strategico che queste ultime occupano nel modello del welfare;
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l’affermazione, a livello privato, di altre occupazioni che non siano necessariamente il lavoro e la famiglia;
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l’incremento del tempo libero;
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l’interesse a concretizzare le attività ricreative, culturali e sportive in strutture organizzative fondate sui principi associativi in cui ciascuno sia libero di esprimere le proprie opinioni;
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l’avanzamento culturale medio della popolazione e il desiderio di dare vita alle proprie aspirazioni;
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la volontà di socializzare e di creare momenti di ritrovo e di aggregazione.
In questi anni si è sviluppato un complesso universo di enti e organizzazioni, caratterizzati da una varietà di soggetti giuridici e di campi di attività (assistenza, sanità, cultura, istruzione, formazione, culto, ricerca, sport, ecc.). Le forme giuridiche adottate dalle aziende non profit in Italia sono le associazioni non riconosciute (63,6%) e riconosciute (27,7%), le cooperative sociali (2,2%), i comitati (1,7%), le fon-
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I dati statistici presenti in questo paragrafo sono ricavati da Istituzioni non profit in Italia, ISTAT (2001), non essendo ancora disponibili i risultati del censimento avviato nel 2011 e i cui risultati dovrebbero essere pubblicati nei prossimi mesi.
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dazioni (1,4%) e altre forme (3,6%) tra cui enti religiosi (sia cattolici che di altre confessioni), organizzazioni non governative (Ong), enti di promozione sociale. Con riferimento invece ai settori di attività, dal censimento Istat emerge che il settore in cui è attivo il maggior numero di istituzioni non profit è quello dello sport (26%), delle attività ricreative (19%) e delle attività culturali (18%) con, in tutto, una quota pari al 63% del totale. Il secondo settore è quello dell’assistenza sociale, nel quale è attivo l’8,7% delle istituzioni. Seguono i settori della sanità, dell’istruzione e ricerca, della tutela dei diritti e attività politica, dello sviluppo economico e coesione sociale, della promozione e formazione religiosa, dell’ambiente, delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi, della cooperazione e solidarietà internazionale, della filantropia e promozione del volontariato. Con le istituzioni non profit operano circa 4 milioni di persone. Si tratta prevalentemente di personale volontario (oltre 3 milioni), religiosi e obiettori di coscienza. A questi si aggiunge il personale retribuito, composto da lavoratori dipendenti e lavoratori a progetto.
Figura 1 - Persone impiegate al 31 dicembre 1999 per tipologia e ripartizione geografica
1.1.1 Il settore non profit in Europa: il quadro generale L'Unione Europea, se all'inizio del processo di integrazione non si è occupata direttamente della tutela dei diritti umani, rappresenta oggi uno dei soggetti coinvolti nella elaborazione di politiche di tutela dei propri cittadini. Ciò nonostante, il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) non prevedono alcuna competenza specifica dell’Unione in materia di enti non profit che, in ragione dell’art. 5 TUE, rimane in capo, per il principio di attribuzione, ai singoli Stati membri, secondo una scelta giustificata dallo stretto collegamento tra l’attività degli enti non profit e i sistemi di welfare. Ogni Stato è quindi libero di promuovere, concedendo vantaggi ad associazioni e fondazioni, il perseguimento degli interessi della propria popolazione. La Corte di Giustizia specifica però che tale libertà deve essere esercitata nel rispetto del principio di non discriminazione e della disciplina in materia di concorrenza; si punta quindi ad una c.d. integrazione negativa che mira ad eliminare le distorsioni piuttosto che ad armonizza5
re le discipline nazionali. Tale orientamento comporta alcune conseguenze per gli enti non profit. Con la sentenza “Stauffer”2 la Corte di Giustizia ha esteso le esenzioni da imposta previste da uno Stato membro per gli enti non profit con sede nel proprio territorio agli enti non profit stranieri che rispettino le condizioni previste per tali agevolazioni dal diritto di tale Stato membro. Con la sentenza non viene comunque previsto un meccanismo di mutuo riconoscimento ma nel caso in cui un ente non profit venga riconosciuto in uno stato membro e rispetti anche le condizioni stabilite dall’ordinamento di un altro Stato membro, le autorità di questo paese non possono negare a tale ente il diritto alla parità di trattamento. Successivamente, la sentenza “Persche”3 ha esteso la possibilità di dedurre le donazioni effettuate nei confronti di un ente non profit straniero nel caso in cui tale ente presenti caratteristiche analoghe a quelle previste dall’ordinamento nazionale di chi effettua la donazione. In entrambi i casi, la valutazione sulla comparabilità tra enti non profit spetta ai singoli Stati membri. Compete invece agli enti non profit provare l’esistenza delle condizioni per il riconoscimento nello Stato estero. Ciò comporta un incentivo alla trasparenza anche in prospettiva di una maggiore competitività internazionale. Con riferimento al rispetto della disciplina in materia di competenza, la Corte di Giustizia ritiene che viga il divieto per gli Stati di concedere aiuti agli enti non profit che esercitano un’attività economica (si pone l’accento sull’attività esercitata e non sulla classificazione del soggetto). Si vuole evitare che aiuti di stato favoriscano alcune imprese e minaccino di falsare la concorrenza. Come introdotto in apertura di paragrafo, manca una disciplina comune a livello europeo. Ciò comporta l’impossibilità di fornire una definizione condivisa di settore non profit, date le numerose espressioni utilizzate in Europa: third sector (il settore attivo tra lo stato e il mercato), nonprofit sector, voluntary sector, public-seervice sector, non-governmental organization, non-state organization, charity organization; nel Regno unito è denominato non-statutory sector (in quanto non richiesto dalla legge, non obbligatorio), in Francia économie sociale (termine usato sempre più nelle istituzioni europee), in Germania gemeinnützige Organisationen.
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CGCE, 14 settembre 2006, C-386/04 CGCE, 27 gennaio 2009, C-318/07
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Per superare la complessità che comprensibilmente ne deriva, il termine “non profit” viene utilizzato con un ampio significato: un insieme di organizzazioni private che non generano profitti e sono autogovernate, volontarie e organizzate. Risulta utile, a questo punto, un breve esame del settore non profit in alcuni paesi europei. La Germania vanta uno dei più grandi e sviluppati settori non profit d’Europa. Questo sviluppo è dovuto, in gran parte, alla necessità per la popolazione di trovare un’alternativa al capitalismo o al socialismo. Attualmente però l’ordinamento non fornisce una definizione di “non profit” anche se l’argomento è molto studiato nelle università e all’interno delle istituzioni. Ad oggi, le gemeinnützige Organisationen sono finanziate per circa i due terzi del loro fabbisogno da finanziamenti governativi e godono di incentivi e di un regime di tassazione favorevole. Un Paese molto simile al nostro è certamente la Francia, la quale vanta un fiorente settore non profit con le proprie radici nella Chiesa Cattolica che furono però distrutte durante la Rivoluzione Francese del 1789. Il governo diede vita ad un forte Stato centralizzato in cui l’esecutivo aveva il monopolio delle questioni di interesse pubblico e non c'era posto per le organizzazioni senza scopo di lucro. Nel 1901, fu emanata una nuova disciplina che regolava e riconosceva l'esistenza delle associazioni; il numero di queste organizzazioni è aumentato notevolmente nel corso del 1960. Nel suo insieme, il settore non profit francese forma la Économie sociale. Anche in Francia il governo nazionale svolge un ruolo fondamentale per quel che riguarda il finanziamento delle organizzazioni non profit (più di due terzi del fabbisogno totale). In linea con il resto dell’Europa risulta essere anche il Regno Unito. Il settore non profit ha iniziato a svilupparsi nel XVII secolo con la creazione di charitable organisation, alcune delle quali sono attive ancora oggi. Il settore è stato riformato nel 1960; da allora il Parlamento vigila sulle organizzazioni non profit e tiene un registro degli enti attivi. Negli ultimi anni la Gran Bretagna ha assistito ad una diminuzione del numero di volontari, che rimangono comunque superiori rispetto al numero del personale dipendente. Rispetto agli altri paesi analizzati, il governo fornisce circa il 50% delle risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle attività delle organizzazioni non profit. Infine, l’Italia trova la genesi delle organizzazioni non profit molti secoli fa, con la nascita di ospedali, Opere pie, musei e università. Alcune di queste sono ancora in vita mentre altre hanno cessato di esistere da tempo. Lo sviluppo delle attuali organizzazioni decollò nel 1980 e si caratterizza per essere una combinazione fra l’intervento di governo-privati-Chiesa. Le au-
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torità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale sono ancora le principali fonti di finanziamento per le organizzazioni senza scopo di lucro.
1.2 Definizioni La disciplina delle aziende non profit assume rilievo sia sotto il profilo civilistico che quello fiscale, che prevede però, come spesso accade, un modo differente di classificarle.
1.2.1 Disciplina civilistica Partendo dall’analisi del profilo civilistico, è significativo il fatto che la nostra Costituzione consideri meritevoli di tutela le associazioni e le altre formazioni sociali; all’art. 2 dispone infatti che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e all’art.18 afferma che i cittadini hanno il diritto di costituire liberamente un’associazione, anche senza autorizzazione, a patto che non persegua fini vietati dalla legge penale, non sia un’associazione segreta e non persegua scopi politici mediante un’organizzazione di carattere militare. Il codice civile disciplina, nel primo libro, le associazioni, le fondazioni e i comitati. L’associazione, mancando una definizione normativa, può essere definita come una organizzazione stabile di persone che persegue uno scopo non economico di comune interesse. Gli elementi necessari sono la pluralità di persone (elemento personale), il patrimonio (elemento patrimoniale) e lo scopo istituzionale (elemento teleologico). Le associazioni, che rappresentano la forma giuridica più comunemente adottata dalle aziende non profit, sono distinte innanzitutto in riconosciute e non riconosciute. Le prime trovano la loro disciplina agli articoli 14-35 c.c., mentre le seconde agli articoli 36-42 c.c.. Indubbiamente, le associazioni riconosciute trovano nel Codice civile una disciplina più puntuale e precisa anche a causa della necessità di regolamentare il riconoscimento giuridico del soggetto. Per quanto riguarda le associazioni non riconosciute, assumono fondamentale importanza gli accordi tra soci mentre le disposizioni disciplinanti le associazioni riconosciute vanno applicate solo in assenza dei citati accordi e solo se non incompatibili (Cass. 16 novembre 1976, n. 4252). Le associazioni riconosciute sono quelle che hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento giuridico. Con il riconoscimento, le associazioni acquistano personalità giuridica e quindi autonomia patrimoniale perfetta. La limitazione di responsabilità è subordinata all’adozione di 8
schemi previsti dalla legge al fine di dare ai terzi una protezione contro il pericolo che il patrimonio venga sottratto alle loro pretese creditorie. Tale patrimonio deve quindi essere autonomo da quello di qualsiasi persona fisica e deve essere diretto a realizzare un determinato scopo. La altre tipologie di organizzazioni normate dal Codice civile sono la fondazione che, secondo l’opinione dei commentatori, consiste in un patrimonio dedicato al perseguimento di uno scopo (elemento fondamentale è quindi l’esistenza di un patrimonio mentre l’elemento umano assume carattere solo secondario), e il comitato, considerato come un’associazione temporanea di persone che perseguono uno scopo raggiungibile in un arco temporale limitato.
1.2.2 Disciplina tributaria Oltre a quanto stabilito dalle norme civilistiche, gli enti non profit devono considerare anche quanto stabilito dalla disciplina fiscale, che in molti casi fornisce la definizione di tali enti all’interno del Testo Unico delle Imposte sui Redditi ( TUIR). La normativa tributaria stabilisce la seguente classificazione delle aziende non profit: -
enti non commerciali;
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associazioni;
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organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus);
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associazioni sportive dilettantistiche, associazioni senza scopo di lucro, pro loco;
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associazioni di promozione sociale.
La locuzione “ente non commerciale” è introdotta nel nostro ordinamento dall’articolo 73 comma 1 lettera c) del TUIR per individuare, tra i soggetti passivi di imposta, gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. L'oggetto esclusivo o principale dell'ente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Tuttavia la previsione di assenza dello scopo di lucro è condizione necessaria ma non sufficiente: la finalità andrà infatti individuata con riferimento all’attività concretamente posta in essere dall’ente non profit, in modo da non lasciare all’ente stesso la facoltà di scegliere il regime di tassazione più conveniente4.
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Cfr. Cass., 4 ottobre 1991, n. 10409
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L’associazione è, dal punto di vista tributario, compresa tra gli enti non commerciali, in quanto si tratta di un ente diverso dalle società che non ha per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. Nell’associazione è determinante l’opera degli associati, i quali operano in qualità di unitario centro di interessi nei confronti dei terzi, per il perseguimento dello scopo istituzionale. Sono state introdotte dalla normativa tributaria, con il d.lgs. 460/97, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). Le ONLUS non sono tuttavia un nuovo soggetto giuridico, ma tale distinzione ha rilievo solo fiscale; questa categoria rappresenta infatti un sottoinsieme degli enti non commerciali ed è destinataria di particolari principi regolatori. Scopo della disciplina non è quello di agevolare tutte le organizzazioni senza scopo di lucro, ma solo quelle che svolgono determinate attività di interesse collettivo per il perseguimento di finalità di solidarietà sociale. L’istituzione di questa nuova categoria è dovuta alla necessità di riordinare la disciplina tributaria dei soggetti che perseguono scopi di utilità pubblica e rappresenta una prima risposta all’esigenza di rivitalizzare un settore economico (relativo soprattutto ai servizi alla persona) in forte espansione, fondamentale per lo sviluppo del paese. L’art. 10 del d.lgs. 460/97 stabilisce i settori di attività dei soggetti per poter assumere tale qualifica o per assumerla automaticamente, in presenza di determinati requisiti. Tra i vari settori, si ritrovano, ad esempio, assistenza sociale e socio-sanitaria, l’assistenza sanitaria, la beneficenza, l’istruzione, la formazione, lo sport dilettantistico. L’insieme delle associazioni racchiude al proprio interno molte tipologie di soggetti che trovano, in molti casi, una disciplina tributaria specifica. La categoria delle associazioni sportive dilettantistiche è stata introdotta dalla legge 398/91, modificata in seguito da più interventi normativi (art. 90 legge 289/02, art. 4 legge 128/04), che hanno esteso la disciplina tributaria delle associazioni sportive dilettantistiche alle società sportive dilettantistiche e hanno delineato i contorni giuridici specifici degli enti sportivi. Tali disposizioni non forniscono però una definizione normativa di associazione sportiva dilettantistica, ma indicano i requisiti necessari per la loro individuazione e delineano il contenuto dello statuto per poter accedere alle agevolazioni fiscali previste. L’associazione sportiva dilettantistica può comunque essere definita come un ente non profit che ha come finalità prevalente il soddisfacimento diretto di bisogni socialmente rilevanti (sportivi, ricreativi), rispetto ai quali lo scopo di conseguire un utile costituisce soltanto una finalità secondaria, strumentale al raggiungimento della prima. I requisiti essenziali per ottenere la qualifica di associazione sportiva dilettantistica sono:
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redazione dell’atto costitutivo e dello statuto nella forma dell’atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata;
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indicazione nella denominazione sociale della finalità sportiva e della natura dilettantistica dell’attività;
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forma giuridica di: associazione sportiva priva di personalità giuridica (disciplinata dagli art 36 e seguenti del C.c.), associazione sportiva con personalità giuridica (l’acquisto della personalità giuridica avviene con l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture o presso le regioni), società sportiva di capitali senza scopo di lucro. La forma più usata è quella priva di personalità giuridica;
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affiliazione alle federazioni sportive nazionali riconosciute dal Coni;
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esercizio di attività sportiva in forma dilettantistica;
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uniformità dello statuto all’art. 148 comma 8 del TUIR, che contiene le clausole dirette a garantire la non lucratività dell’associazione e la democraticità della struttura, oltre che la chiarezza e la trasparenza nella gestione;
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indicazione nello statuto e nell’atto costituivo dei seguenti dati: denominazione, oggetto sociale, attribuzione della rappresentanza legale dell’associazione, assenza del fine di lucro e divieto di divisione dei proventi tra gli associati, ordinamento interno ispirato a principi di democrazia, obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziario, modalità di scioglimento dell’associazione e obbligo di devoluzione del patrimonio ai fini sportivi;
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rispetto delle disposizione stabilite da appositi regolamenti;
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comunicazione di apposita opzione per l’adozione del regime contabile e fiscale scelto (regime ordinario, semplificato, forfettario ex art. 145 TUIR, forfettario agevolato di cui alla legge 398/1991) alla Siae competente e in sede di dichiarazione dei redditi.
La legge 398/91 si può applicare anche alle Pro loco e alle associazioni senza scopo di lucro in base alla previsione contenuta all’art. 9-bis della legge 66 del 6 febbraio 1992: alle associazioni senza fini di lucro e alle associazioni pro loco si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398. Un’ultima categoria, definita dalla disciplina tributaria, è quella delle associazioni di promozione sociale. Con la legge 383 del 2000 viene introdotta, nel nostro ordinamento, una nuova definizione che si sovrappone a quella fornita dal Ministero delle Finanze con una circolare. Sono considerate associazioni di promozione sociale quegli enti (associazioni riconosciute e non riconosciute, movimenti, gruppi e federazioni) costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati (scopo mutualistico) o di terzi (scopo solidaristico), senza fi11
nalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. Espressamente esclusi da questa definizione sono i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che si prefiggono la tutela esclusiva di interessi economici degli associati. Queste associazioni sono chiamate a iscriversi presso i Registri nazionali o regionali a seconda dell’ambito territoriale di attività e godono di molte agevolazioni fiscali in quanto considerate meritevoli di tutela da parte dello Stato, tra cui la non concorrenza delle quote e dei contributi incassati alla formazione della base imponibile e la possibilità, per gli enti locali, di ridurre i tributi di propria competenza. È utile specificare che il legislatore, nel disciplinare le ONLUS e le associazioni di promozione sociale, ha inteso aiutare tali enti con benefici fiscali e allo stesso tempo evitarne un utilizzo illegittimo. Le differenze tra le due tipologie di associazioni riguardano principalmente il tipo di attività esercitata: le Onlus operano obbligatoriamente in settori indicati dalla legge allo scopo di perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale; le associazioni di promozione sociale hanno un più ampio ventaglio di attività, con il solo limite dello svolgimento di attività di utilità sociale. Altre differenze riguardano i benefici fiscali previsti dalla normativa che tiene conto della valenza sociale delle predette associazioni; un esempio può essere la presunzione di non commercialità di alcune attività.
1.3 Le vicende dell’associazione Nelle vicende associative è fondamentale tenere presente che la disciplina civilistica e quella tributaria vanno considerate unitariamente, soprattutto per quel che riguarda la costituzione dell’ente stesso, che altrimenti rischia di non poter usufruire dei regimi fiscali agevolati. L’atto con il quale si costituisce un’associazione (il contratto di associazione) rientra nella tipologia dei contratti ed è quindi regolato dall’art. 1321 e ss. del Codice civile. Come previsto quindi, non è necessario alcuna forma solenne ma la costituzione può avvenire anche verbalmente o tacitamente. Tuttavia queste forme sono usate molto raramente in quanto l’assenza di documenti attestanti la costituzione preclude qualsiasi accesso ad agevolazioni e/o contributi pubblici. Il contratto di associazione si compone di due documenti: l’atto costitutivo e lo statuto. Nel caso in cui un’associazione intenda richiedere il riconoscimento, deve redigere l’atto costitutivo con atto pubblico e deve necessariamente inserire alcuni elementi nello Statuto.
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Altre vicende che riguardano la vita delle associazioni riconosciute, e non riconosciute in assenza di specifiche disposizioni, sono: il recesso dell’associato, la sua esclusione e l’estinzione dell’associazione. L’associato può sempre e in ogni caso recedere dall’associazione, a meno che non si sia obbligato a farne parte per un periodo determinato; tale recesso ha effetto allo scadere dell’anno sociale, purché comunicato con un anticipo di almeno tre mesi, mentre il recesso per giusta causa ha effetto immediato. Il socio che recede non può in alcun caso pretendere la restituzione della quota e dei contributi versati perché il patrimonio dell’ente non può mai essere devoluto agli associati. L’assemblea degli associati può, qualora ricorrano gravi e fondati motivi (illeciti penali, rifiuto di adeguarsi a delibere assembleari, mancato versamento dei contributi, ecc.), deliberare l’esclusione del singolo associato. Infine, l’associazione si può estinguere in modo automatico o per previsione dello statuto o dell’atto costitutivo. L’estinzione è automatica nei casi in cui lo scopo sociale sia stato raggiunto, sia divenuto impossibile o siano venuti a mancare tutti gli associati. Il patrimonio che residua, che non può mai essere suddiviso tra gli associati, è utilizzato prima di tutto per soddisfare i creditori e, per la parte che rimane, è devoluto secondo quanto previsto nell’atto costitutivo ovvero nello statuto.
1.3.1 Associazioni riconosciute Per le associazioni, così come per altre istituzioni come le fondazioni, il riconoscimento, che permette l’acquisto della personalità giuridica, è determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture o le regioni. In tale registro devono essere iscritte anche le successive variazioni dell’atto costitutivo e dello statuto. Con l’acquisto della personalità giuridica l’associazione ottiene anche l’autonomia patrimoniale perfetta; in questo modo viene a crearsi una netta separazione fra il patrimonio dell’associazione e quello del singolo associato, e gli amministratori godono del privilegio della limitazione della responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e per conto dell’associazione. Per ottenere il riconoscimento è necessario, come specificato in precedenza, che l’atto costitutivo e lo statuto contengano determinati elementi; i principali sono: -
la denominazione dell’ente, che deve consentire di distinguere l’ente dagli altri;
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lo scopo dell’associazione, che porta alla realizzazione degli ideali dei singoli associati e non può essere economico o lucrativo;
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il patrimonio;
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la sede; 13
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le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione che regolano il funzionamento dell’assemblea e i compiti degli amministratori;
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i diritti e gli obblighi degli associati che non devono contenere discriminazioni o disuguaglianze per poter godere dei vantaggi fiscali;
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le condizioni di ammissibilità degli associati.
Un altro requisito per ottenere il riconoscimento, oltre alla redazione dell’atto costitutivo con atto pubblico, consiste nell’esistenza di patrimonio sociale che deve essere sufficiente a raggiungere lo scopo dell’associazione. Il patrimonio dell’associazione è formato dai contributi degli associati, da sovvenzioni pubbliche e da liberalità di terzi (sia lasciti testamentari sia donazioni). Nelle associazioni riconosciute devono essere previsti obbligatoriamente due organismi sociali: l’assemblea e il consiglio direttivo. L’assemblea è convocata dagli amministratori almeno una volta l’anno per l’approvazione del bilancio, ma delibera anche sulle modifiche dell’atto costitutivo e sullo scioglimento dell’associazione e conseguente devoluzione del patrimonio. Il consiglio direttivo rappresenta l’organo esecutivo e gestionale dell’associazione ed è eletto dall’assemblea dei soci per un periodo non superiore ai tre anni. Gli amministratori devono accettare espressamente la carica e sono responsabili verso l’associazione in relazione alle norme che regolano il mandato. La disciplina civilistica non prevede l’obbligo, per le associazioni riconosciute, di tenuta dei libri sociali; ciononostante, nel caso in cui lo Statuto preveda l’istituzione di organi facoltativi, è necessaria la tenuta del relativo libro sociale. Va precisato che la tenuta di alcuni libri sociali è indispensabile in un’ottica di trasparenza dell’associazione verso i terzi. I libri sociali consigliati sono il libro dei soci, il libro delle adunanze e deliberazione delle assemblee, il libro delle adunanze e deliberazione del consiglio direttivo. I successivi adempimenti legati alla nascita dell’associazione riconosciuta consistono: nella domanda di attribuzione del codice fiscale o di partita IVA nel caso in cui l’ente associativo preveda la realizzazione di attività commerciale oltre all’attività istituzionale; nell’iscrizione al Repertorio economico amministrativo (REA), obbligatorio anche per le associazioni che svolgono, anche se in modo non prevalente, attività economica; nell’invio del modello EAS entro 60 giorni dalla data di costituzione, fondamentale per poter godere delle agevolazioni previste dall’art 148 TUIR.
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1.3.2 Associazioni non riconosciute Per le associazioni non riconosciute l’atto costitutivo non richiede particolari forme ma può risultare anche da accordo verbale purché venga espressa da più persone l’intenzione di svolgere in modo continuativo un’attività di comune interesse e di destinare a tale scopo un’organizzazione e i mezzi patrimoniali. È tuttavia obbligatoria la forma scritta qualora nel patrimonio vengano apportati beni immobili e l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata o registrata per accedere ai regimi tributari agevolati. A differenza delle associazioni riconosciute, il codice civile non dispone in merito agli elementi che devono essere obbligatoriamente inseriti nello statuto dell’associazione non riconosciuta, anche se è possibile individuare alcuni elementi consigliabili: scopo, condizioni per l’ammissione degli associati e regole sull’ordinamento interno e l’amministrazione. Pur non essendo obbligatorio l’elemento patrimoniale perché per le obbligazioni assunte rispondono illimitatamente e solidalmente coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione stessa (di regola gli amministratori), tutte le associazioni non riconosciute sono dotate di un patrimonio (Fondo comune) costituito dai contributi versati dagli associati e dai proventi per le prestazioni di servizi a soci o a terzi, separato da quello dei singoli associati. La normativa civilistica non prevede esplicitamente gli organi obbligatori o il loro funzionamento, ma si sopperisce a tali carenze facendo riferimento agli accordi stabiliti dagli associati o, in assenza degli stessi, considerando le disposizioni sulle associazioni riconosciute. In ogni caso non possono mancare l’assemblea dei soci e il consiglio direttivo, i cui componenti (gli amministratori) rispondono illimitatamente e solidalmente con il proprio patrimonio delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell’associazione. La tenuta dei libri sociali non è obbligatoria, anche se fortemente consigliata in un’ottica di trasparenza. Sarebbe infatti buona norma tenere: il libro dei soci, il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio direttivo e il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea. Dopo aver costituito l’associazione, il legale rappresentante deve procedere con altri adempimenti che corrispondono a quelli previsti per le associazioni riconosciute: domanda di attribuzione del codice fiscale, della partita IVA (solo nel caso in cui l’ente associativo preveda la realizzazione di attività commerciale), iscrizione al Repertorio economico amministrativo (REA) e invio del modello EAS entro 60 giorni dalla data di costituzione. Anche per quanto riguarda il recesso, l’esclusione dell’associato e l’estinzione dell’associazione, in assenza di specifiche disposizioni, possono trovare applicazione le regole proprie dell’associazione riconosciuta.
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2. IL SETTORE PROFIT E NON PROFIT: ANALOGIE E DIFFERENZE Esaminando ora le associazioni dal punto di vista economico-aziendale, la prima differenza che emerge riguarda lo scopo: l’impresa commerciale viene costituita infatti con lo scopo di perseguire situazioni di eccedenza dei ricavi sui costi; lo scopo di perseguire un utile rappresenta l’obiettivo di tutta l’attività, anche se altri scopi di natura ideale lo possono affiancare. Nelle associazioni, invece, così come in tutte le organizzazioni non profit, il perseguimento di situazioni di eccedenza dei ricavi rispetto ai costi costituisce solamente il presupposto che consente agli istituti in parola di perseguire nel tempo le finalità sociali in condizioni di autonomia economica. Se le entrate cd. Istituzionali (quote degli associai, contributi pubblici, liberalità, ecc.) non sono sufficienti, l’associazione deve necessariamente inventarsi un’attività strumentale e sussidiaria che abbia lo scopo di reperire fondi. Gli istituti che operano nel terzo settore si distinguono quindi dalle imprese in quanto non hanno, quale finalità prevalente, la remunerazione dei fattori della produzione secondo le dinamiche del mercato. Una ulteriore differenza consiste nel fatto che, in base a quanto previsto dall’art. 2215 c.c., solo i soggetti che svolgono attività di impresa commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c. sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, mentre nessun obbligo è previsto per chi non assume la qualifica di imprenditore commerciale. Ne consegue che, qualora l’ente non commerciale svolga anche attività commerciale, sorge l’obbligo di tenere i libri e i registri contabili. L’art. 144 comma 2 TUIR prevede che, relativamente all’attività commerciale esercitata, l’ente non commerciale abbia l’obbligo di tenere la contabilità separata. Ciò permette di rispondere all’esigenza di trasparenza della gestione e facilita la determinazione del reddito. L’obbligo di separazione della contabilità determina la necessità di imputare distintamente le spese e gli altri componenti negativi relativi all’attività istituzionale da quelli relativi all’attività commerciale. Il problema sorge con riferimento ai cd. Costi promiscui, cioè quelli riferibili contemporaneamente sia all’attività commerciale che a quella istituzionale (ad esempio utenze, materiali di consumo), che saranno ripartiti in base al criterio stabilito dall’art. 144 comma 4 del TUIR, il quale prevede che, in caso appunto di costi promiscui, la deducibilità vada determinata effettuando il rapporto tra l’ammontare dei ricavi e dei proventi derivanti dall’attività commerciale rispetto al totale dei ricavi e dei proventi. Come già esposto nei capitoli precedenti e in linea con la disciplina corrente, la tenuta dei libri sociali (in particolare del libro dei soci, del libro delle adunanze dell’assemblea, del libro delle adunanze del consiglio di amministrazione), anche se non obbligatoria per gli enti non commerciali, è ritenuta comunque opportuna per avere sempre una visione chiara e aggiornata di tutte le varie operazioni svolte dall’ente. 16
Il Codice Civile prevede all’art.2195 i soggetti che sono obbligati alla registrazione nel Registro delle Imprese. Tra questi soggetti non compaiono gli enti non commerciali e quindi gli operatori del settore non ritengono che detti enti debbano essere iscritti al Registro delle imprese. È nota invece l’esigenza di iscriversi al REA (Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative) istituito presso il Registro delle imprese, il quale raccoglie tutta una serie di dati relativi all'attività dei soggetti tenuti all’iscrizione. Mentre tutti i soggetti iscritti al Registro Imprese si trovano automaticamente ad avere una posizione aperta nel REA, gli altri soggetti tenuti all’iscrizione in tale registro devono chiederne l’iscrizione. Tali soggetti sono le persone fisiche esercenti attività economica che non sono obbligate all’iscrizione in albi, le imprese con sede principale al di fuori del territorio nazionale che aprano un'unità locale in Italia e, come già detto, gli enti non commerciali, ma solo nel caso in cui svolgano anche attività commerciale; oggetto della denuncia al REA infatti non è l’attività istituzionale, ma l’attività economica che viene svolta in modo strumentale. La pubblicità che si produce con l’iscrizione al REA ha solo carattere di pubblicità notizia.
2.1 Attività di natura commerciale e non commerciale A questo punto della trattazione appare ben evidente come tutto ruoti attorno alla natura commerciale o meno dell’attività svolta dall’ente. In base a questa distinzione infatti, si applicheranno regole diverse per la determinazione del reddito imponibile, regole che saranno oggetto di trattazione nel capitolo successivo. È fondamentale a questo punto ricordare il contenuto dell’art. 73 comma 1, lettera c), che individua come soggetti all’imposta sul reddito delle società (IRES) “gli enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale”. Ai fini della qualificazione dell’ente come non commerciale, va evidenziato che assume rilievo solo il fatto che l’oggetto esclusivo o principale dell’ente sia lo svolgimento o meno di un’attività di natura commerciale, mentre non assume alcun rilievo la natura pubblica o privata del soggetto, la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l’assenza di finalità lucrative (infatti, l’ente, sebbene dichiari finalità non lucrative, è considerato ente commerciale qualora l’attività essenziale per la realizzazione degli scopi primari sia di natura commerciale5). Per meglio specificare, nel caso in cui un ente svolga sia attività di natura commerciale che altre attività non commerciali, per una corretta qualificazione del soggetto è necessario fare riferimento all’attività che per lo stesso risulti essere essenziale.
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Circ. Min. finanze 12 maggio 1998, n. 124/E
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Spesso il confine esistente tra l’ente non commerciale che esercita attività commerciale e l’ente commerciale tout court è incerto, e tale incertezza si riflette nell’esigenza, da parte del legislatore, di tutelare due interessi contrapposti: evitare l’utilizzo indebito dello strumento associativo per lo svolgimento di attività commerciale, con l’unico scopo di eludere l’imposizione fiscale e tutelare gli enti non commerciali che perseguono finalità istituzionali non lucrative ma che sono obbligati a svolgere un’attività commerciali allo scopo di reperire liquidità. A fini di completezza, è necessario specificare che per verificare la prevalenza di un’attività rispetto ad un'altra si dovrà tenere conto anche del valore delle immobilizzazioni utilizzate per lo svolgimento dell’attività, dei proventi derivanti e delle spese sostenute per la medesima attività. È possibile, quindi, affermare che l’analisi per verificare l’attività prevalente va condotta sulla base di criteri sia quantitativi che qualitativi. Detto ciò, qualora l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari sia qualificata di natura non commerciale, l’ente deve annoverarsi fra quelli non commerciali sia ai fini delle imposte sui redditi che dell’imposta sul valore aggiunto. Riassumendo, esiste una analogia, o meglio un collegamento, tra ente non commerciale e reddito di impresa, nel senso che il legislatore ha reso possibile la compatibilità tra la qualifica di enti non commerciali e lo svolgimento di attività commerciali a carattere marginale e non prevalente, assoggettando quest’ultime alla disciplina del reddito di impresa, se abituali.
2.2 Perdita della qualifica di ente non commerciale Come già visto, l’ente non commerciale può svolgere, oltre all’attività istituzionale, anche attività di natura commerciale. Il legislatore, per evitare un utilizzo indebito dello strumento associativo, ha fornito alcuni indizi, contenuti all’art. 149 TUIR, idonei a far perdere la qualifica di ente non commerciale. È necessario tenere anzitutto in considerazione che l’attività istituzionale deve essere sempre presente e che l’eventuale attività commerciale, esercitata strumentalmente allo scopo di reperire fondi, non può essere prevalente. A tal proposito, il comma 1 del citato articolo prevede, con una presunzione legale relativa, che il soggetto perda la qualifica di ente non commerciale qualora, indipendentemente dalle previsioni statutarie, eserciti, per l’intero periodo di imposta, quale attività principale, un’attività commerciale in base all’art. 55 TUIR. Per la valutazione della commercialità o meno dell’ente, il secondo comma dell’art. 149 TUIR fornisce alcuni parametri che costituiscono “fatti indice di com-
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mercialità”, da prendere in considerazione insieme alle altre caratteristiche dell’ente stesso. I parametri stabiliti sono: -
prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale rispetto alle restanti attività;
-
prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
-
prevalenza dai redditi (ossia i componenti positivi del reddito d’impresa) derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali (intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative);
-
prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese.
Tali parametri non comportano, tuttavia, la perdita automatica della qualifica di ente non commerciale, ma sarà necessario tenere conto anche di altri elementi per verificare che l’ente abbia effettivamente svolto per l’intero periodo d’imposta prevalentemente attività commerciale. Non vanno, in ogni caso, computate, ai fini dell’applicazione dei parametri, le attività “decommercializzate” (ex art. 143 TUIR), le raccolte occasionali di fondi e le attività sociali in accreditamento, le attività agevolate per gli enti associativi previste dall’art.148 del TUIR. Sono inoltre previste, dallo stesso art. 149 TUIR, delle deroghe. Le norme sulla perdita della qualifica non trovano, infatti, applicazione nei confronti degli enti ecclesiali riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e delle associazioni sportive dilettantistiche; questi soggetti, quindi, non perdono la qualifica di enti non commerciali anche se i proventi di natura commerciale sono di ammontare superiore rispetto alle entrate di tipo istituzionale. Un esempio tipico è quello delle associazioni sportive dilettantistiche che, dietro compenso, sponsorizzano i marchi delle imprese sulle maglie degli sportivi o esibiscono cartelloni pubblicitari durante le manifestazioni sportive. Spesso le entrate derivanti dalle sponsorizzazioni sono superiori rispetto alle altre entrate (quote associative, contributi da enti pubblici, ecc.); tuttavia questa mancanza di equilibrio tra entrate commerciali e entrate non commerciali non snatura l’ente, che conserva il fine primario dell’esercizio di attività sportiva dilettantistica. Le conseguenze dovute alla perdita della qualifica di ente non commerciale consistono nel cambiamento delle regole da applicare per la determinazione del reddito (si applicheranno le regole del reddito di impresa), nell’assoggettamento ad IVA, in via retroattiva a decorrere dall’inizio del periodo d’imposta in cui vengono meno le condizioni che consentono di fruire 19
delle agevolazioni, di tutte le operazioni attive che rientrano nel campo di applicazione del tributo e nell’obbligo di includere tutti i beni dell’ente nell’inventario.
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3. LA DISCIPLINA CONTABILE E FISCALE DEGLI ENTI NON PROFIT Da qualche tempo ormai, tutti gli operatori del mondo non profit sono consapevoli della necessità di trasparenza e sono concordi nell’affermare l’importanza di fornire a tutti i soggetti interessati le informazioni sull’attività svolta nel modo più chiaro possibile, innanzitutto attraverso il bilancio di esercizio. Tuttavia è noto che gli enti non profit non possono redigere tale documento facendo riferimento alle regole e agli schemi previsti per le imprese a scopo lucrativo, ma devono adottare schemi adeguati alle proprie caratteristiche. Proprio per questo motivo l’Agenzia per il terzo settore, ex Agenzia per le Onlus (l’agenzia governativa con compiti di vigilanza, promozione e controllo del Terzo Settore) ha istituito una Commissione con lo scopo di predisporre un modello utile alla stesura di bilanci uniformi, che consenta anche confronti nel tempo e tra i vari soggetti. A seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 16 del 2 marzo 2012, l’Agenzia per il terzo settore è stata soppressa e le sue funzioni trasferite al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
3.1 Bilancio e rendiconto gestionale Per quanto riguarda le associazioni, l’unico adempimento previsto (dal momento che gli enti non commerciali, di cui le associazioni sono un sottogruppo, non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali nel caso in cui svolgano unicamente l’attività istituzionale) è quello disciplinato dall’art. 20 del Codice Civile che sancisce l’obbligo di convocare, da parte degli amministratori, l’assemblea almeno una volta l’anno per l’approvazione del bilancio. Non sono però previste, normativamente, regole per la sua predisposizione, che dovranno
quindi
essere
desunte
innanzitutto
dalle
norme
sull’ordinamento
e
sull’amministrazione previste dallo statuto. Solitamente gli enti non commerciali di piccola dimensione che svolgono solo attività istituzionali si limitano a tenere un rendiconto delle entrate e delle uscite mentre, se di maggiori dimensioni, ricorrono anche all’utilizzo della partita doppia. Occorre tenere presente che, qualora l’ente svolga anche attività commerciale, sarà soggetto a obblighi specifici per lo svolgimento di tale attività, tra cui l’obbligo di tenere la contabilità separata per l’attività commerciale esercitata e di redigere ed approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario. I libri ed i registri contabili obbligatori previsti sono il libro giornale, il libro degli inventari, i registri necessari ai fini IVA, il registro dei beni ammortizzabili.
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Malgrado, quindi, la mancanza di obblighi specifici per tutti gli enti non commerciali, comprese le associazioni, risulta comunque evidente la necessità di tenere una contabilità anche elementare e di predisporre annualmente un rendiconto che riassuma le vicende economiche e finanziarie. Recentemente è intervenuto in materia l’OIC che ha emanato il “Principio contabile per gli enti no profit n.1”, con lo scopo di sopperire alle carenze normative. Il principio contabile chiarisce in primo luogo le finalità del bilancio degli enti non commerciali, illustrando che consistono nel rispondere alle esigenze conoscitive dei diversi soggetti interessati e nel fornire una guida all’attività dei differenti organi dell’ente stesso e, in secondo luogo, le assunzioni su cui tale documento si basa, ossia la continuità aziendale e la competenza economica (per gli enti “minori” è possibile stilare il bilancio secondo il principio di cassa). Per quanto riguarda il contenuto del bilancio, l’Agenzia per il terzo settore fornisce, oltre agli schemi da utilizzare, anche alcune istruzioni operative per una corretta redazione del documento contabile. Innanzitutto, il bilancio di esercizio degli enti non profit si compone di quattro documenti: -
lo stato patrimoniale, il cui schema non differisce sostanzialmente da quello previsto dal Codice Civile per le società;
-
il rendiconto gestionale, il documento che informa sulle modalità con le quali le risorse sono state acquisite e impiegate nel periodo, con riferimento alle “aree gestionali”: attività tipica o di istituto, attività promozionale o di raccolta fondi, attività accessoria, attività finanziaria e patrimoniale, attività di supporto generale;
-
la nota integrativa, che deve fornire, come previsto per le società, le informazioni aggiuntive a completamento dei dati indicati nei prospetti numerici;
-
la relazione di missione, il cui compito consiste nel garantire un’adeguata rendicontazione sull’operato dell’ente e sui risultati ottenuti, con una prospettiva centrata sul perseguimento della missione istituzionale.
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STATO PATRIMONIALE PER MACROCLASSI6 ATTIVO Anno T PASSIVO A) Crediti v/associati versamento quote A) Patrimonio netto I - Fondo di dotazione dell'ente B) Immobilizzazioni I - Immobilizzazioni immateriali III - Patrimonio vincolato II - Immobilizzazioni materiali III - Patrimonio libero III - Immobilizzazioni finanziarie Totale A) Totale immobilizzazioni (B) C) Attivo circolante B) Fondi per rischi e oneri I – Rimanenze III – Crediti C)Trattamento di fine rapporto III - Altre attività finanziarie IV - Disponibilità liquide D) Debiti Totale attivo circolante ( C) D) Ratei e risconti E) Ratei e risconti TOTALE ATTIVO
Anno T
TOTALE PASSIVO
L’unica macroclasse che differisce rispetto allo schema di Stato patrimoniale previsto dal Codice Civile è quella relativa al patrimonio netto, che si compone di tre voci: -
il fondo di dotazione, presente se previsto dallo statuto e può essere libero o vincolato;
-
il patrimonio vincolato, composto da fondi vincolati per scelte del donatore o degli organi istituzionali;
-
il patrimonio libero, composto dai risultati gestionali e dai contributi liberamente utilizzabili.
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La tabella è tratta da Agenzia per le Onlus (2008)
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RENDICONTO GESTIONALE PER COMPETENZA7 ONERI Anno T PROVENTI 1) Oneri da attività tipiche 1) Proventi e ricavi da attività tipiche - acquisti - da contributi su progetti - servizi - da contratti con enti pubblici - personale - da associati - ammortamenti - da non associati 2) Oneri promozionali/raccolta fondi 2) Proventi da raccolta fondi - raccolta del … - raccolta del … 3) Oneri da attività accessorie 3) Proventi e ricavi da att. accessorie - acquisti - da attività commerciali accessorie - servizi - da contratti con enti pubblici - personale - da associati - ammortamenti - da non associati 4) Oneri finanziari e patrimoniali 4) Proventi finanziari e patrimoniali - su rapporti bancari - da rapporti bancari - su prestiti - da altri investimenti finanziaria - da patrimonio edilizio - da patrimonio edilizio 5) Oneri di supporto generale - acquisti - servizi - personale - ammortamenti Risultato gestionale positivo
Anno T
Risultato gestionale negativo
Per i soggetti con ricavi e proventi inferiori a € 250.000 sono previste delle agevolazioni che consistono nella possibilità di redigere, in luogo dello Stato Patrimoniale e del Rendiconto di Gestione, un Rendiconto degli incassi, dei pagamenti e Situazione Patrimoniale, predisposto secondo criteri di cassa e composto di due sezioni, la sezione A e la sezione B, riportate nelle tabelle che seguono8. Inoltre, detti soggetti possono scegliere di non redigere la Nota integrativa o di stilarla con uno schema ridoto o semplificato. La sezione A (incassi e pagamenti) riporta i flussi monetari in entrata e in uscita che si sono manifestati nel corso del periodo amministrativo, distinti a seconda che si riferiscano alla gestione corrente (ossia che si realizzino interamente durante l’esercizio) o alla gestione in conto capitale (per esempio investimenti, disinvestimenti, finanziamenti) e a seconda che si riferiscano all’attività istituzionale o all’attività commerciale. Le variazioni monetarie riconducibili alla gestione in conto capitale troveranno corrispondenza nella sezione B del prospetto.
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La tabella è tratta sa Agenzia per le Onlus (2008) Le tabelle sono tratte da Agenzia per le Onlus (2008), con un maggior grado di dettaglio per ogni voce
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SEZIONE A A1 INCASSI DELLA GESTIONE ATTIVITA' TIPICHE (ISTITUZ.) Quote associative Contributi pubblici Contributi provinciali Contributi comunali Contributi privati Donazioni Erogazioni liberali Contributi a fondo perduto Proventi finanziari Interessi attivi
INC ASSI E PAGAMENTI Anno T
A4 PAGAMENTI DELLA GESTIONE ATTIVITA' TIPICHE (ISTITUZ.) Tesseramento Acquisto tessere Acquisto affiliazioni
Anno T
Costi sede Affitto sede Spese manutenzione sede Attività e manifestazioni teatrali Spese utilizzo impianti Spese noleggio service Rimborsi spese di viaggio Alimenti e bevande Assicurazioni
ATTIVITA' ACCESSORIE (COMM.)
Manifestazioni Proventi da vendita biglietti Raccolta di fondi
Interessi passivi Spese bancarie Interessi passivi
Ricavi pubblicitari Ricavi da pubblicità Ricavi da sponsorizzazioni
ATTIVITA' ACCESSORIE (COMM.) Manifestazioni Costi di pubblicità Compensi
INCASSI STRAORDINARI ALTRI INCASSI SUB TOTALE A2 INCASSI IN C/CAPITALE INCASSI DA DISINVESTIMENTI INCASSI DA PRESTITI RICEVUTI SUB TOTALE A3 TOTALE INCASSI
DIFFERENZA (A3 - A6) A7 FONDI LIQUIDI INIZIALI A8 FONDI LIQUIDI A FINE ANNO
Oneri tributari Irap Ises Imposte intrattenimento IVA ATTIVITA' DI PROMOZIONE E DI RACCOLTA FONDI ATTIVITA' DI SUPPORTO GENERALE
Locazione Utenze Spese postali Spese bancarie Spese di pulizia Altre spese PAGAMENTI STRAORDINARI ALTRI PAGAMENTI SUB TOTALE A5 PAGAMENTI IN C/CAPITALE INVESTIMENTI RIMBORSO PRESTITI SUB TOTALE A6 TOTALE PAGAMENTI
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Il totale degli incassi (A3) meno il totale dei pagamenti (A6) permette di evidenziare la differenza, positiva o negativa, conseguita nell’esercizio, che sommata ai fondi liquidi iniziali fornisce l’ammontare dei fondi liquidi a fine anno. Tale voce andrà anche riportata nell’apposito spazio all’interno della sezione B. La sezione B fornisce le informazioni sulle voci più significative che compongono l’attivo e il passivo dell’azienda non profit. In particolare le attività sono suddivise in tre categorie (i fondi liquidi, le attività finanziarie e le attività detenute per la gestione dell’ente) mentre le passività esprimono i debiti dell’ente con evidenza dell’ammontare dovuto ed, eventualmente, della scadenza pattuita. SEZIONE B
SITUAZIONE ATTIVITA' E PASSIVITA' AL 31/12/T Euro
B1 FONDI LIQUIDI Cassa Banca C/c C/c postale
TOTALE FONDI LIQUIDI
=TOTALE SEZIONE A8
B2 ATTIVITA' MONETARIE E FINANZIARIE Crediti v/clienti Crediti v/soci Crediti diversi
SUB TOTALE B3 ATTIVITA' DETENUTE PER LA GESTIONE DELL'ENTE Fabbricati Mobili e arredi Attrezzature
F.do amm.
Val. corrente
SUB TOTALE (valore corrente) TOTALE ATTIVO Scadenza
B4 PASSIVITA' Debiti v/fornitori Debiti v/enti Debiti diversi Finanziamenti Banche finanziamenti soci TOTALE PASSIVO
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3.2 La determinazione del reddito degli enti non commerciali Ai fini dell’imposizione il reddito è considerato come un incremento di patrimonio dell’ente, o in altri termini, come il flusso di ricchezza pervenuto all’ente in un determinato periodo di tempo, valutato a consuntivo. L’art. 143 TUIR stabilisce che il reddito complessivo degli enti non commerciali è formato dalla sommatoria dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque essi siano prodotti e qualunque sia la destinazione. Lo stesso articolo sottrae all’imposizione i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente e in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, che avvengono anche attraverso l’offerta di beni di modico valore e i contributi corrisposti dalle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato o in accreditamento di attività aventi finalità sociali, esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi. L’intento del legislatore è stato quello di assimilare il trattamento fiscale degli enti non commerciali a quello delle persone fisiche, mediante frequenti rinvii al titolo primo del TUIR. Affinchè il reddito prodotto non sia assoggettato alla normativa sul reddito d’impresa, non è sufficiente che lo statuto dell’ente riporti la dicitura “ente non commerciale”. L’esercizio di un’attività di prestazione di servizi, che non rientra nell’art. 2195c.c. esclude l’applicabilità delle norme sul reddito d’impresa solo nel caso in cui, per l’attività, ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: sia resa in conformità alle finalità istituzionali, senza una specifica organizzazione di persone e di mezzi e sia resa verso il pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione. L’intento è quello di limitare la non imponibilità ad un ristretto numero di attività che rispecchino la natura di enti non lucrativi. L’articolo 144 TUIR prevede, come già esposto in precedenza, l’obbligo di tenere la contabilità separata nel caso in cui si svolga anche attività commerciale abituale ma non prevalente (il reddito infatti è d’impresa, mentre se l’attività commerciale fosse occasionale, il reddito sarebbe inquadrato come “diverso” e non sarebbe dovuta la tenuta della contabilità), le regole da seguire in caso di costi promiscui e il rinvio a regole specifiche per gli enti religiosi.
3.2.1 Disciplina tributaria degli enti di tipo associativo Gli enti non commerciali di tipo associativo sono destinatari di uno speciale regime tributario di favore, sia ai fini delle imposte sui redditi che ai fini IVA. Tali enti sono, più correttamente, assoggettati alla disciplina generale degli enti non commerciali ma, relativamente all’attività svolta all’interno della vita associativa, fruiscono di un trattamento agevolato in presenza di 27
particolari condizioni previste dalla legge (art. 148 TUIR). È necessario che l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente sia redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata e che includa alcune clausole previste dallo stesso art. 148 TUIR dirette a garantire il perseguimento di finalità ideali e non lucrative all’interno di una struttura democratica. Tali clausole possono essere così riassunte: -
divieto di distribuire utili o avanzi di gestione;
-
obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente ad un’altra associazione con finalità analoghe in caso di scioglimento;
-
regime democratico nella partecipazione alla vita associativa (con diritto di voto per i maggiorenni);
-
obbligo di redigere e approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario;
-
intrasmissibilità della quota o contributo associativo, ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte.
Volendo ora analizzare l’art. 148, risulta utile commentare ciascun comma di cui si compone. Il primo comma analizza le attività “non commerciali”, definendole come quelle svolte dall’ente associativo nei confronti degli associati, sempreché siano conformi alle finalità istituzionali. Di conseguenza, anche le quote o i contributi associativi versati dagli associati non concorrono alla formazione del reddito complessivo, in quanto sono destinati alla copertura delle spese di funzionamento dell’ente e sono corrisposti indipendentemente da specifiche prestazioni. Nel secondo comma si disciplinano, invece, le attività che hanno natura commerciale; sono così definite le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati verso il pagamento di corrispettivi specifici a tal fine determinati. Questi corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito d’impresa se abituali o dei redditi diversi se occasionali. La norma fa comunque salvo quanto disposto all’articolo 143 dello stesso testo unico, che non considera commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., rese in conformità alle finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione. Il comma seguente dispone delle deroghe particolari a quanto previsto dal secondo comma, che si applicano al verificarsi, congiuntamente, di determinate condizioni: -
attività poste in essere da particolari tipologie di associazioni che il legislatore considera meritevoli di tutela per il particolare scopo sociale che si prefiggono (associazioni
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politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale); -
attività poste in essere rientrano nelle finalità istituzionali dell’ente (non rientrano quindi le attività accessorie) e sono effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici;
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i destinatari delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi sono, necessariamente, dei soggetti ben definiti (associati, partecipanti, iscritti, tesserati, altre associazioni che svolgono la medesima attività e che fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale). La norma non specifica cosa si intenda per soci, associati, partecipanti o iscritti, ma il Ministero è intervenuto affermando che la norma si applica a quei soggetti che possiedo lo status di socio a tutti gli effetti e quindi a coloro che possiedo la titolarità di tutti i diritti e i doveri e che partecipano in via continuativa alla associazione.
Le deroghe consistono nella decommercializzazione di dette attività, sia ai fini delle imposte dirette che dell’IVA. Il quarto comma statuisce la presunzione assoluta di commercialità di alcune attività, tra cui la cessione di beni nuovi prodotti per la rivendita, la somministrazione di pasti, l’organizzazione di viaggi, la cessione di pubblicazioni, le prestazioni alberghiere, di alloggio e di trasporto, ecc. Lo scopo della dettagliata enumerazione è sicuramente antielusivo e cerca di delimitare la sfera di applicazione delle disposizioni agevolative. I commi 5, 6 e 7 disciplinano alcune attività enumerate nel comma precedente: somministrazione di cibi, organizzazione di viaggi, cessione di pubblicazioni. Si tratta di attività sicuramente commerciali, ma che grazie a queste disposizioni subiscono una deroga al verificarsi di determinate condizioni. Volendo analizzare la più frequente, ossia la somministrazione di alimenti e bevande, le condizioni che devono essere verificate consistono nello svolgimento dell’attività da parte di associazioni di promozione sociale presso le sedi in cui si svolge l’attività istituzionale. L’attività di somministrazione deve essere strettamente complementare a quella istituzionale e deve essere svolta nei confronti dei soggetti indicati al terzo comma. L’ottavo comma stabilisce le condizioni per poter usufruire della disciplina fiscale agevolata di cui ai commi 4, 5, 6 e 7, che sono già state specificate in apertura di paragrafo. Infine, l’ultimo comma prevede che determinate disposizioni previste al comma 8 non si applichino alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato abbia stipulato patti o accordi, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria. 29
3.3 Regimi contabili Gli enti non commerciali, come più volte specificato, non rientrano tra i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili per lo svolgimento dell’attività istituzionale. L’obbligo sorge nel momento in cui l’ente mette in atto operazioni di natura commerciale. Per regime contabile si intende l’insieme della documentazione di cui è obbligatoria la tenuta ai fini delle imposte dirette e dell’IVA e le modalità di registrazione dei fatti gestionali dell’impresa. I regimi contabili, previsti dalla normativa tributaria, tra cui un ente non commerciale può scegliere sono quattro, e la loro adozione dipende dai volumi di ricavi realizzati: -
regime ordinario, obbligatorio se i proventi commerciali annui sono superiori a €400.000 per le prestazioni di servizi o a €700.000 per le altre attività;
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regime semplificato, che può essere scelto nel caso in cui non si superino i limiti sopra esposti;
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regime forfettario, ex art 145 TUIR, che può essere scelto dagli enti non commerciali che non superano i predetti termini e che consiste nel determinare il reddito di impresa applicando all’ammontare dei ricavi il coefficiente di redditività differenziato per tipo di attività, secondo la seguente tabella: ATTIVITA' DI PRESTAZIONE DI SERVIZI Ammontare ricavi Coefficiente di redditività fino a € 15.493,71 15% oltre € 15.493,71 a € 309.874,14 25% ALTRE ATTIVITA' Ammontare ricavi Coefficiente di redditività fino a € 25.822,84 10% oltre € 25.822,84 a € 516.456.90 15%
Al reddito risultante vanno sommate le plusvalenze patrimoniali, le sopravvenienze attive, i dividendi e gli interessi, i proventi immobiliari; -
regime forfettario ex L. 398/91.
La scelta del regime contabile da parte del contribuente è effettuata con il cd. “comportamento concludente” adottato dall’inizio dell’anno o dall’inizio dell’attività. È prevista soltanto la necessità di comunicare l’opzione o la revoca all’Agenzia delle Entrate nella prima dichiarazione IVA, da presentare successivamente a tale scelta. Nel caso in cui il soggetto sia esonerato dal presentare la dichiarazione IVA (ad esempio i soggetti che optano per il regime ex 30
L.398/91), la comunicazione del regime contabile scelto va effettuata in sede di dichiarazione dei redditi. 3.3.1 Regime forfettario di cui alla legge n. 398/91 Viene ora esaminato, in modo specifico, il regime contabile previsto dalla legge n. 398 del 16 dicembre 1991, che prevede un regime fiscale agevolativo in grado di unire una notevole convenienza economica ad una rilevante semplificazione amministrativa. I destinatari della legge in esame sono le associazioni sportive dilettantistiche, le associazioni senza scopo di lucro in possesso di determinati requisiti presenti nell’atto costitutivo o nello statuto (previsti dall’art. 148, comma 8 del TUIR), le Pro loco e, dal 2004, le associazioni bandistiche, cori amatoriali, filodrammatiche e associazioni di musica e danza popolare legalmente riconosciute e senza fine di lucro. Si ritiene che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui alla legge 398/91, i soggetti debbano effettuare apposita opzione, nelle forme previste; nel caso in cui il soggetto non intenda optare per tale regime, permane nel regime fiscale relativo al tipo di contabilità cui è obbligato, ovvero ordinaria o semplificata. Per poter accedere alle agevolazioni previste, è richiesto il possesso di presupposti soggettivi e oggettivi, che possono essere così riassunti: -
assenza del fine di lucro;
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affiliazione alle Federazioni sportive nazionali o agli enti di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle vigenti leggi, per le associazioni o società sportive dilettantistiche;
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realizzazione di proventi derivanti dall’esercizio di attività commerciali per un importo non superiore a 250 mila euro;
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esercizio dell’opzione per fruire delle disposizioni di cui alla legge n. 398/91, vincolante per un quinquennio.
Nel plafond di € 250.000 devono essere ricompresi i ricavi o proventi percepiti nell’ambito dell’attività commerciale non connessa agli scopi istituzionali dell’ente e le sopravvenienze attive sempre relative all’attività commerciale esercitata, mentre rimangono esclusi, tra gli altri, i proventi conseguiti nello svolgimento di attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, i proventi “decommercializzati” (art. 148, comma 3, TUIR, che è già stato esaminato), le plusvalenze patrimoniali e, naturalmente, tutti i proventi di natura istituzionale. L’ammontare dei ricavi va determinato secondo il principio di cassa. I soggetti che hanno optato per il regime in esame e che, nel corso del periodo di imposta, hanno superato il limite di € 250.000, dovranno applicare tale regime fino al mese in cui è av31
venuto il superamento e, dal mese successivo al superamento fino al termine del periodo di imposta, il regime tributario ordinario, con conseguente cessazione delle agevolazioni previste. Come già enunciato, l’opzione e la revoca per il regime viene effettuata con il comportamento concludente del soggetto interessato e con comunicazione all’Agenzia delle Entrate del regime prescelto. Tale comunicazione va effettuata compilando il quadro VO della dichiarazione IVA ad allegandolo alla dichiarazione dei redditi, in quanto tali soggetti sono esonerati dalla dichiarazione IVA. La norma prevede adempimenti contabili ridotti ed un sistema di tassazione di tipo forfettario sia ai fini delle imposte dirette che ai fini IVA. Per quanto riguarda gli adempimenti contabili, il contribuente fruisce dell’esonero dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili e della non obbligatorietà di determinati adempimenti, quali la fatturazione delle operazioni, la tenuta del libro degli acquisti, dei corrispettivi e delle fatture emesse. Gli adempimenti previsti, invece, consistono nell’obbligo di: -
emissione delle fatture per le prestazioni di sponsorizzazione, di pubblicità e per le cessioni di diritti radio-TV;
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numerazione progressiva e conservazione delle fatture di acquisto ed emesse, fermo restando l’esonero dall’obbligo di registrazione delle stesse;
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annotazione entro il giorno 15 del mese successivo a quello di riferimento dei corrispettivi e di altri proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali;
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effettuazione dei versamenti dell’IVA “forfettaria” entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento, senza maggiorazione degli interessi dell’1%;
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redazione di un rendiconto entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio;
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certificazione dei corrispettivi derivanti da spettacoli (sportivi, teatrali, ecc.) mediante rilascio di titoli di accesso;
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presentazione della dichiarazione dei redditi.
Con riguardo alla determinazione dell’IVA, relativamente ai proventi conseguiti dalle attività commerciali connesse agli scopi istituzionali, si applica, in base a quanto disposto dall’art. 74 del d.P.R. n. 633/1972, la “forfetizzazione” della detrazione in misura ordinariamente pari al 50% dell’imposta relativa alle operazioni imponibili. La norma in esame prevede inoltre le seguenti percentuali di detrazione:
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PERCENTUALI DI DETRAZIONE FORFETTARIA Sponsorizzazioni 10% Cessione di diritti radio e TV 33.33% Proventi commerciali generici (comprese le prestazioni pubblicitarie) 50%
In pratica, chi applica la L. 398/91 emette fattura per le operazioni di natura commerciale calcolando l’IVA nei modi ordinari e, al momento del versamento, determina l’IVA da versare applicando all’IVA a debito la detrazione forfettaria in base alla percentuale propria dell’attività posta in essere. La distinzione tra i proventi derivanti dalle sponsorizzazioni e quelli derivanti dalle prestazioni pubblicitarie è oggetto di un notevole dibattito. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (sentenze n. 428 e 429 del 1996), si ha pubblicità se l’attività promozionale è, rispetto all’evento, in rapporto di semplice occasionalità, mentre si parla di sponsorizzazione se fra la promozione di un marchio e l’evento viene istituito uno specifico abbinamento (es. nome dello sponsor sulle maglie). Con riferimento alle altre attività commerciali non connesse agli scopi istituzionali, l’IVA è calcolata con le modalità ordinarie (IVA a debito – IVA a credito); è quindi necessaria, al fine di tenere distinte le attività con detrazione forfettaria da quelle con detrazione ordinaria, la tenuta della contabilità separata. Inoltre, solo per le attività in cui l’IVA non viene calcolata in modo forfettario è necessario presentare la dichiarazioni IVA annuale. I soggetti che applicano la legge 398 del 1991 determinano il reddito imponibile ai fini IRES applicando ai proventi derivanti da attività commerciali, secondo il criterio di cassa, un coefficiente di redditività pari al 3% e aggiungendo le plusvalenze patrimoniali, determinate come differenza fra corrispettivo percepito e costo storico sostenuto per l’acquisto. Il reddito così determinato, ottenuto, è da precisare, senza la benché minima considerazione dei costi sostenuti, va assoggettato ad aliquota IRES del 27,5%. Un ulteriore beneficio, fruibile però dalle sole associazioni sportive dilettantistiche, consiste nel fatto che non concorrono a determinare il reddito imponibile i proventi realizzati nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali e le raccolte di fondi effettuate secondo quanto previsto dall’art. 143 comma 3, TUIR (vedi par. 4.2), se ricorrono due presupposti: le attività sono svolte per un numero di eventi complessivi non superiore a due all’anno e l’importo conseguito non è superiore al limite di € 51.645.69. Alcuni esempi di attività che rientrano tra i proventi non imponibili, sempre nel rispetto dei limiti appena stabiliti, sono la somministrazione di alimenti e bevande, le cene sociali, la vendita di materiale sportivo e di gadget. Ne consegue che se, ad esempio, l’associazione sportiva dilettantistica organizza tre eventi, i proventi della terza ma33
nifestazione concorreranno alla formazione del reddito imponibile, anche se l’importo complessivamente percepito fosse inferiore al limite stabilito. Alcune agevolazioni sono previste anche per la determinazione dell’IRAP; il valore della produzione netta può infatti essere determinato, per i soggetti che si avvalgono del regime forfettario di cui alla legge 398/91, aumentando il reddito, calcolato forfettariamente nella misura del 3% dei proventi commerciali, delle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, dei compensi spettanti ai lavoratori a progetto, dei compensi per le prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e degli interessi passivi, e diminuendolo della deduzione spettante per il lavoro dipendente. I costi promiscui dovranno essere presi in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile, solo per la quota riferibile alle attività commerciali, determinata dal rapporto tra ricavi e proventi relativi all’attività commerciale e l’ammontare complessivo dei ricavi e dei proventi. Alla base imponibile si applicherà quindi l’aliquota del 3,90%.
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Conclusione Il Terzo Settore, per l’importanza che ha raggiunto ai nostri giorni, è da più parti sentito come elemento imprescindibile, e non occasionale, dell’organizzazione sociale. È grazie all’esistenza di organizzazioni, alternative allo Stato e al mercato, che certi bisogni possono trovare, e trovano, il loro soddisfacimento. Le prospettive per il futuro del settore sono molto interessanti; lo sviluppo di nuove forme di organizzazioni (le cooperative sociali) e la riscoperta di vecchie (le fondazioni) lasciavano presagire uno sviluppo importante del non profit. Ed è, sulla base dei primi dati forniti dall’Istat sul “Censimenti dell’industria e dei servizi del 2011”, proprio quello che si è verificato: al 31 dicembre 2011 le istituzioni non profit attive in Italia sono 301.191, con una crescita pari al 28% rispetto al 2001. Tale crescita e, soprattutto, la crescita futura del settore, dipenderà da molte variabili. In primo luogo dalla capacità delle organizzazioni non profit di darsi una struttura economica solida, senza però perdere le caratteristiche che rappresentano la ricchezza del settore. In secondo luogo dalla direzione che prenderà la riforma dello stato sociale italiano, stretto dalla necessità di contenere la spesa pubblica, che determinerà una nuova formula di interazione tra enti non profit e pubblica amministrazione. In terzo luogo dal futuro sviluppo della normativa, che dovrà facilitare l’azione e garantire la trasparenza delle organizzazioni che operano nel settore.
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