!
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIRITTO TESI DI LAUREA
“L’INATTENDIBILITA’ DELLE SCRITTURE CONTABILI NELLA DISCIPLINA DELL’ACCERTAMENTO DEL REDDITO D’IMPRESA”
RELATORE: CH.MO PROF. MAURO BEGHIN
LAUREANDA: LAURA SCARABELLO MATRICOLA N. 1035981
ANNO ACCADEMICO 2012 – 2013
“Dalla meta mai non torcer gli occhi” A. Manzoni
INDICE
•
INTRODUZIONE…………………………………………………………..………….1
CAPITOLO PRIMO IL RUOLO DELLE SCRITTURE CONTABILI NEL REDDITO D’IMPRESA
1.1. Le scritture contabili nella disciplina civilistica…………………………………………5 1.2. Le fonti e il procedimento di determinazione del reddito d’impresa……………………9 1.3. Le scritture contabili nella disciplina tributaria………………………………………….12 1.4. Scritture contabili ed evasione nel reddito d’impresa……………………………………17
CAPITOLO SECONDO I METODI DI ACCERTAMENTO DEL REDDITO D’IMPRESA
2.1. Aspetti generali, soggetti e finalità dell’attività di accertamento……………………....25 1.2. L’accertamento analitico-contabile………………………………………………….....32 2.3. L’accertamento analitico-induttivo…………………………………………………….35 2.4. L’accertamento induttivo-extracontabile………………………………………………36 2.5. Presunzioni, prova e motivazione nell’accertamento del reddito d’impresa………………………………………………………………………………38
2.6. La discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nella scelta del metodo di accertamento……………………………………………………………42 2.7. Le modifiche introdotte dalla disciplina degli studi di settore nell’accertamento del reddito d’impresa……………………………………………….…..44
CAPITOLO TERZO IL CONCETTO DI “CONTABILITA’ INATTENDIBILE”
2.1. Il concetto di “contabilità inattendibile” ex art. 39 del D.P.R. n. 600/1973…………...51 2.2. Il concetto di “contabilità inattendibile” nel D.P.R. n. 570/1996……………………..55 2.3.Le irregolarità formali e sostanziali e il concetto di “gravità” delle irregolarità riscontrate……………………………………………………………59 2.4.Il concetto di “contabilità inattendibile” nella giurisprudenza…………………………63 2.5.Le certificazioni fiscali sui dati contabili: il visto di conformità, l’asseverazione e la certificazione tributaria…………………………………………..70
•
CONCLUSIONI……………………………………………………………………….77
•
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………81
INTRODUZIONE La riforma tributaria del 1971 ha sancito il fondamentale principio della determinazione e dell’accertamento del reddito d’impresa sulla base della contabilità, al fine di consentire una tassazione del reddito effettivo nei confronti dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Ben prima della riforma degli anni ’70, erano già stati posti in essere alcuni interventi al sistema fiscale delle imprese, i quali hanno portato all’ampliamento della nozione di impresa sotto il profilo fiscale rispetto a quello civilistico, mediante l’attrazione in questa categoria di tutte quelle attività di confine fra lavoro autonomo e piccola impresa, e all’assimilazione alla figura dell’imprenditore di tutti quei soggetti che svolgono un’attività di natura commerciale, pur in assenza di una qualsiasi organizzazione in forma d’impresa. I citati interventi, con l’aggiunta dell’estensione a tutte le imprese del criterio di determinazione del reddito su basi contabili, hanno comportato l’assoggettamento a complessi obblighi contabili di una buona parte di soggetti passivi privi di una qualsivoglia organizzazione di carattere amministrativo e di interesse nei confronti dell’utilità derivante dalla tenuta di un’ordinata contabilità, con l’ulteriore conseguenza della moltiplicazione del numero di accertamenti contabili necessari alla verifica delle dichiarazioni di tutte quelle imprese di piccole e talvolta anche piccolissime dimensioni che, pur macchiandosi di evasione, presentavano scritture contabili tenute in modo formalmente regolare. Il mio elaborato, pertanto, si prefigge lo scopo di indagare sulla funzione delle scritture contabili e sui rapporti intercorrenti fra le stesse e le regole di determinazione del reddito d’impresa, nonché sulle fattispecie evasive poste in essere dalle imprese mediante interventi in tali scritture, e sulla nozione di “contabilità inattendibile” come elemento discriminante tra i metodi di accertamento della suddetta categoria di reddito. Nel primo capitolo mi soffermerò sul ruolo giocato dalle scritture contabili all’interno della categoria del reddito d’impresa, in particolare vagliando gli obblighi a cui gli imprenditori sono assoggettati in termini di tenuta di libri e registri contabili, sia sotto un profilo civilistico che tributario. Ad oggi, infatti, gli obblighi contabili previsti per gli imprenditori, nonché la nozione stessa di “imprenditore”, risultano differenti a seconda che li si osservi sotto la lente del legislatore civilistico o di quello fiscale; il primo, difatti, attribuisce alle scritture contabili una rilevanza prevalentemente interna, in quanto strumento di controllo dell’attività aziendale, mentre il secondo una marcata rilevanza esterna, ponendo le stesse come elemento di partenza per la determinazione e l’accertamento del reddito d’impresa. Nel prosieguo del primo capitolo, approfondirò le diverse fattispecie evasive poste in essere da piccole e grandi imprese e il ruolo giocato dalla contabilità nel merito del realizzo delle !
"!
stesse. Fermo restando che la definizione di evasione, intesa come inadempimento di una pretesa tributaria già validamente sorta in base a specifiche disposizioni legislative, vale per tutti i contribuenti, i privati, definiti come soggetti passivi non rientranti nella categoria del reddito d’impresa e di lavoro autonomo e quindi non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, e le imprese evadono ponendo in essere differenti schemi e modalità di nascondimento della ricchezza prodotta; e ancora, all’interno della medesima categoria reddituale, le piccole e le grandi imprese realizzano fattispecie di evasione ulteriormente differenti. L’evasione di chi svolge attività di piccole dimensioni nei confronti dei consumatori finali, per niente o poco interessati alla documentazione attestante l’operazione, infatti, consiste prevalentemente nell’omessa contabilizzazione degli incassi, spesso a fronte del sostenimento di costi non registrati e di una contabilità formalmente ineccepibile, mentre, nel caso di una grande impresa dotata di una complessa struttura amministrativa e organizzativa, l’evasione molto spesso deriva dalla manipolazione della contabilità mediante l’inserimento di documenti di spesa fittizi o l’utilizzo di tecniche più elaborate. A partire da queste considerazioni, giungerò poi ad evidenziare come la contabilità, nei confronti dei contribuenti di piccole dimensioni, non rappresenti più un’esigenza soggettiva allo scopo di verificare l’andamento della gestione, bensì un solo obbligo fiscale senza alcuna utilità gestionale, e come, di conseguenza, l’accertamento per queste categorie di soggetti passivi debba necessariamente distanziarsi, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili. Nel secondo capitolo prenderò quindi in esame i diversi metodi di accertamento del reddito d’impresa, a partire dalla distinzione tra accertamento contabile ed extracontabile, adottabili in base alla sussistenza o meno del requisito di attendibilità della contabilità, così come disciplinato dall’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973. Vaglierò, infatti, le singole ipotesi nelle quali l’Amministrazione finanziaria può procedere alla rettifica del reddito d’impresa, nell’ammontare dichiarato dal contribuente e derivante dalle scritture contabili, sulla base delle conseguenze delle eventuali violazioni contabili commesse e dei loro effetti sotto il profilo dei poteri di accertamento. Sottolineerò, quindi, come l’Amministrazione finanziaria può contrastare le risultanze contabili solo dimostrandone la falsità o l’inesattezza, ferma restando la possibilità di ricorrere eventualmente all’utilizzo di presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e come, ad oggi, sia sempre meno facile distinguere i confini fra rettifiche contabili ed extracontabili, considerata la sempre maggiore possibilità di utilizzare elementi presuntivi, anche quando la contabilità appare formalmente regolare. Nel tempo, infatti, l’accertamento del reddito d’impresa è diventato il risultato di una stratificazione di norme e procedure che si sono integrate a quelle inizialmente previste !
#!
dall’art. 39, cit., a causa dell’adozione, da parte del legislatore, di una serie di interventi mirati a ridimensionare via via il ruolo delle scritture contabili nell’accertamento di tale categoria di reddito e l’onere dell’Amministrazione di provare le irregolarità della contabilità, per merito dell’introduzione di una nuova tipologia di controllo basata su dati matematico-statistici, di volta in volta identificata con il termine di coefficienti presuntivi, parametri e studi di settore, secondo meccanismi sempre più perfezionati. A partire dal tema degli obblighi e delle modalità di tenuta delle scritture contabili, passando per i metodi di accertamento del reddito d’impresa, giungerò, nel terzo capitolo, alla trattazione della questione centrale dell’elaborato, ossia che cosa debba intendersi per “contabilità inattendibile”. Evidenzierò come il legislatore ne abbia dato una definizione soltanto in negativo, considerando le scritture contabili inattendibili quando vengono meno le garanzie proprie tipiche di una contabilità sistematica, a causa di omissioni, falsità, inesattezze o irregolarità, e a condizione che tali violazioni siano gravi, numerose e ripetute. Prenderò quindi in esame le regole dettate sia dalle norme civilistiche che tributarie con riferimento alle formalità inerenti la contabilità aziendale, fino a giungere alla conclusione della necessità di un ammodernamento dell’impianto legislativo in base alla realtà odierna, nella quale gli obblighi contabili sono assolti essenzialmente mediante strumenti informatici. Continuando, farò riferimento ad uno specifico regolamento emanato in attuazione delle norme che in via transitoria hanno disciplinato l’accertamento in base ai parametri presuntivi e agli studi di settore, il quale non è stato tuttavia in grado di delineare la nozione di “contabilità inattendibile” in modo univoco e valido nella generalità dei casi. Infine, prima di concludere con una breve trattazione degli istituti previsti dal legislatore per la certificazione fiscale dei dati contabili, procederò ad un’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale in merito alla citata nozione, nonostante anch’essa non sembri aver portato, ad oggi, a risultati definitivi, pur considerando il consolidamento di determinate linee interpretative in merito ad irregolarità causanti il suddetto giudizio di inattendibilità.
!
$!
!
%!
CAPITOLO PRIMO
IL RUOLO DELLE SCRITTURE CONTABILI NEL REDDITO D’IMPRESA SOMMARIO: 1.1. Le scritture contabili nella disciplina civilistica. – 1.2. Le fonti e il procedimento di determinazione del reddito d’impresa. – 1.3. Le scritture contabili nella disciplina tributaria. – 1.4. Scritture contabili ed evasione nel reddito d’impresa.
1.1. Le scritture contabili nella disciplina civilistica Le scritture contabili possono essere definite come quei documenti derivati, ossia di “secondo grado”, in cui vengono registrate le risultanze della documentazione di “primo grado” secondo determinate modalità e tecniche previste dalle scienze aziendali e contabili. L’annotazione contabile, infatti, si basa su ciò che risulta dalla documentazione originaria, cioè da tutti quei documenti immediatamente comprovanti l’accadimento di un fatto aziendale economicamente rilevante, quali, ad esempio, ricevute, fatture, quietanze o estratti conto1. L’insieme delle scritture contabili di un’impresa costituisce il c.d. sistema contabile aziendale, il quale identifica, in aggiunta, l’insieme dei principi, degli strumenti, dei metodi e delle procedure di tipo contabile utilizzati per rilevare, classificare e rappresentare le informazioni di natura varia e differenziata. Il sistema contabile può infatti riferirsi a situazioni di economicità globale, come nel caso del sistema finalizzato alla determinazione del capitale e del risultato economico di periodo; a situazioni parziali, finalizzate all’approfondimento di aspetti particolari della vita aziendale; e a situazioni attinenti al rapporto tra l’azienda e le principali categorie di interlocutori esterni2. Le risultanze delle scritture contabili, costituendo uno strumento amministrativo indispensabile per l’attività dell’imprenditore3, trovano la loro principale espressione nel bilancio d’esercizio 4 , ossia nel documento, di regola predisposto annualmente, che rappresenta nel dettaglio la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1
BOCCHINI E., Manuale di diritto della contabilità delle imprese, Torino, 1995, 5. CERBIONI F., CINQUINI L., SOSTERO U., Contabilità e bilancio, Milano, 2006, 13 s. 3 Si vedrà, nel prosieguo, come tale affermazione risulti particolarmente vera nei confronti dell’imprenditore di elevate dimensioni e più debole, al contrario, nei confronti dell’imprenditore medio-piccolo. 4 Il bilancio d’esercizio, in realtà, non può essere considerato una scrittura contabile in senso stretto, dal momento che lo stesso è disciplinato in tutt’altra parte del codice civile (art. 2423 ss.). Esiste tuttavia una 2
!
&!
Per poter parlare di scritture contabili vere e proprie, tuttavia, anche ai fini degli obblighi giuridici ad esse riferiti, è necessario che la base documentale delle stesse, sia essa cartacea o meccanografica, sia dotata di un contenuto. Le scritture contabili aziendali, infatti, risultano formate da due differenti elementi: il documento vero e proprio, costituito dalle scrittura stessa, e la registrazione, ossia la fondamentale annotazione dei dati contabili in essa. Considerato inoltre il fatto che le scritture hanno natura di manifestazioni di scienza imposte dalla legge, il cui contenuto risulta quindi obbligato a corrispondere a verità, è possibile dedurre che un errore nelle suddette scritture si avrà ogniqualvolta nella registrazione contabile non si abbia una corrispondenza al dato reale5. E’ possibile individuare due principali funzioni che le scritture contabili ricoprono all’interno di un’azienda: quella di fornire all’imprenditore stesso uno strumento di conoscenza e di verifica dell’andamento dell’attività della propria impresa, e quella di strumento di controllo per la tutela degli interessi dei terzi. La regolare tenuta delle scritture contabili, infatti, oltre che oggetto di un obbligo, come vedremo in seguito, costituisce anche, per l’imprenditore commerciale, un onere dal cui adempimento deriva il conseguimento di determinati vantaggi6. La disciplina concernente i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili e i libri contabili obbligatori è contenuta negli artt. 2214 e ss. del codice civile, nell’ambito delle disposizioni che costituiscono la normativa propria dell’imprenditore commerciale. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili, infatti, nella disciplina civilistica7, è imposto solo alla società o imprenditore che esercita un’attività commerciale8, con espressa esclusione dei piccoli imprenditori, degli imprenditori agricoli e della società semplice9. L'imprenditore commerciale "(...) deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite". Le scritture contabili necessarie per una più precisa e corretta contabilità, pertanto, variano a seconda delle dimensioni e del tipo di attività dell’impresa (scritture !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! connessione fondamentale tra lo stesso e le scritture contabili, dato che il primo non potrebbe venire ad esistere in mancanza delle informazioni contenute nelle scritture stesse. 5 COCO C., False scritture contabili e reddito d’impresa, Bari, 2004, 63 s.! 6 Idem, ivi, 65.! 7 Per la disciplina prevista dal legislatore tributario si veda il paragrafo 1.3. 8 Le attività considerate commerciali, ai sensi dell’art. 2195 c.c., sono le attività industriali volte alla produzione di beni o di servizi; le attività intermediarie nella circolazione di beni; le attività di trasporto; le attività bancarie e assicurative e le attività ausiliarie rispetto alle precedenti. 9 E’ considerato piccolo imprenditore il coltivatore diretto del fondo, l’artigiano, il piccolo commerciante e chiunque eserciti un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia (art. 2083 c.c.). E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse (art. 2135 c.c.). La società semplice non può svolgere attività commerciale (art. 2249 c.c.).
!
'!
contabili relativamente obbligatorie), mentre il libro giornale, il libro degli inventari10 e gli originali della corrispondenza commerciale risultano obbligatori per esplicita previsione normativa (scritture contabili assolutamente obbligatorie). Le scritture relativamente obbligatorie più frequentemente adottate sono il libro mastro, dove le singole operazioni sono raggruppate in ordine sistematico in base a determinati conti; il registro cassa, nel quale sono annotate le operazioni che hanno dato luogo a movimenti per contanti; e il libro magazzino, dove sono registrati per quantità i movimenti di entrata ed uscita delle merci, materie prime, etc.. Come ogni imprenditore commerciale, le società per azioni sono obbligate a tenere i libri e le scritture contabili indicate dall’art. 2214, cit.; tuttavia la legge richiede che, in aggiunta alle scritture relative alla gestione dell’impresa, tali società si dotino anche di una serie di libri contabili aventi la funzione di documentare ulteriori profili della vita societaria (art. 2421 c.c.): il libro dei soci, il libro delle adunanze e deliberazioni delle assemblee, del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e del comitato esecutivo, ed inoltre, qualora siano state emesse obbligazioni, il libro delle obbligazioni e il libro delle adunanze e deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti. Per le società a responsabilità limitata, invece, i libri considerati normativamente obbligatori sono il libro delle decisioni dei soci, delle decisioni degli amministratori e delle decisioni del collegio sindacale (art. 2478 c.c.)11. Sempre in base alla disciplina civilistica, le scritture contabili devono essere redatte e conservate nell’osservanza di precise formalità estrinseche ed intrinseche. Il libro giornale e il libro degli inventari devono essere, infatti, numerati progressivamente pagina per pagina12 e, affinché la contabilità possa essere giudicata ordinata, le scritture devono essere redatte senza spazi in bianco, interlinee e abrasioni, consentendo la leggibilità anche delle parole cancellate !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Il libro giornale (art. 2216 c.c.) contiene le operazioni relative all’attività d’impresa secondo un ordine cronologico. Non è tuttavia necessario che le annotazioni avvengano giornalmente, ma anche ad intervalli maggiori, purché sia rispettata la sequenza temporale. Il libro degli inventari (art. 2217 c.c.) è un registro periodico che deve redigersi all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno, includendo la descrizione e la valutazione delle attività e delle passività dell’impresa, nonché quelle personali dell’imprenditore ed estranee alla stessa. L’inventario si chiude con il bilancio, comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico, disciplinato dagli artt. 2423 ss., c.c.
10
11
VERNA F., VERNA G., Accertamento e processo tributario, le scritture contabili quali mezzi di prova, Milano, 2000, 5 s. ! 12 Ad oggi, per il libro giornale e il libro inventari (e anche per i registri IVA) è rimasto il solo obbligo, assolvibile dal medesimo soggetto utilizzatore, di numerare progressivamente le pagine. Al contrario, in passato, prima di iniziare ad utilizzare i registri obbligatori per legge, essi dovevano essere sottoposti a vidimazione iniziale da parte di un notaio o dell’ufficio del registro delle imprese. La vidimazione consisteva nella numerazione progressiva delle pagine del registro e nella loro bollatura. Alla vidimazione iniziale si affiancava, inoltre, una successiva vidimazione annuale. La vidimazione era richiesta, in alcuni casi dalle norme del codice civile (come per il libro giornale e per il libro inventari), in altri solamente dalle norme fiscali (come per i registri IVA). L’obbligo di vidimazione è stato soppresso per quasi tutti i registri contabili e rimane esclusivamente per alcuni registri tra cui vi sono i libri sociali previsti dal codice civile per le società per di capitali (art. 8, L. n. 383/2001).
!
(!
(art. 2219 c.c.). Le scritture, insieme alla corrispondenza commerciale, devono essere poi conservate per la durata di dieci anni, anche su supporti informatici (art. 2220 c.c.). Tutte le specifiche disposizioni e regole dettate dal codice in merito alla tenuta delle scritture contabili trovano una loro spiegazione, oltre che nella funzione informativa delle scritture nei confronti dei terzi portatori di interessi verso l’impresa, anche nel fatto che le stesse possono costituire mezzo di prova a favore o contro l’imprenditore. Nonostante le scritture siano principalmente documenti interni all’impresa, esse risultano dotate, in determinate ipotesi, di efficacia e rilevanza esterna. In particolare, l’art. 2709 c.c. stabilisce che i suddetti libri e scritture contabili possono fungere da prova contro l’imprenditore, fermo restando l’obbligo, per chi intende trarne vantaggio, di non scinderne il contenuto. Nell’articolo successivo, le scritture contabili sono invece configurate dal legislatore come prova obiettiva a favore dell’imprenditore stesso: i libri contabili, se regolarmente tenuti, possono infatti costituire prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. Tale principio si basa essenzialmente sul fatto che i rapporti intercorrenti tra gli imprenditori, in merito all’esercizio dell’impresa, trovano necessariamente rappresentazione nelle scritture contabili degli stessi13. Sotto il profilo civilistico, nonostante il concetto di regolare tenuta della contabilità sia citato nei suddetti articoli, non trova una specifica e precisa definizione, se non per l’indicazione dell’obbligo di evitare cancellature, abrasioni e spazi in bianco. Tale mancanza può essere spiegata dal fatto che la tenuta delle scritture contabili in un’impresa assume, sotto la lente del codice civile, una rilevanza prevalentemente interna, dovendo fungere per lo più da strumento di controllo dell’attività aziendale. In un ordinato sistema contabile, cioè quello tenuto “secondo le norme di un’ordinata contabilità” (art. 2219 c.c.), ad ogni operazione dovrebbe corrispondere un documento ordinatamente conservato e facilmente accessibile14. Ad oggi, la contabilità è considerata ordinariamente tenuta anche mediante l’ausilio di programmi informatici, essendo sufficiente la mera memorizzazione dei dati, purché stampati contestualmente alla richiesta dei verificatori. Se si adottano alcuni accorgimenti tecnici per impedire la manipolazione successiva, è consentito, infatti, omettere o distruggere la copia cartacea delle scritture contabili, a favore di una versione esclusivamente digitale15. Per quanto riguarda il comparto delle libere professioni, invece, il codice civile non prevede alcun obbligo di tenuta di scritture contabili, a prescindere dalla dimensione organizzativa. Anche un grande studio professionale, con decine di collaboratori e dipendenti, pertanto, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 13
COCO C., False scritture contabili, cit., 65 s. PINO C., Le scritture contabili, Milano, 2012, 7. 15 LUPI R., Evasione fiscale, paradiso e inferno, Milano, 2008, 82. 14
!
)!
risulta privo di obblighi contabili sul piano civilistico. Ai professionisti, ancora indipendentemente dalle dimensioni, e agli imprenditori piccoli o agricoli, è invece imposta la tenuta di una contabilità ai fini tributari16.
1.2. Le fonti e il procedimento di determinazione del reddito d’impresa Al fine di permettere una miglior comprensione di quanto esposto nel paragrafo che segue, in merito al ruolo delle scritture contabili nella determinazione e nell’accertamento del reddito d’impresa, dedico il presente paragrafo ad una breve descrizione dei tratti salienti della categoria del reddito d’impresa. La tassazione delle imprese nel nostro Paese è differenziata a seconda della natura giuridica delle stesse: imprese individuali e società di persone da un lato, assoggettate all’IRPEF, e società di capitali, assoggettate all’IRES, dall’altro17. Il regime ordinario prevede che, ai fini della tassazione, i redditi delle imprese individuali siano attribuiti all’imprenditore stesso, mentre i redditi delle società di persone a ciascun socio, indipendentemente dall’effettiva distribuzione, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili (c.d. “tassazione per trasparenza”, ex art. 6 del D.P.R. n. 917/1986)18. Esistono diverse situazioni al verificarsi delle quali il contribuente viene immesso nel circuito del reddito d’impresa, e, di conseguenza, più articoli del TUIR aventi la funzione di disciplinare le fonti di tale categoria reddituale19, ai fini dell’applicazione sia dell’IRPEF che dell’IRES. Le fonti del reddito d’impresa sono infatti identificabili secondo due possibili criteri: è possibile utilizzare un criterio soggettivo (o formale) legato, dunque, alla natura giuridica del soggetto passivo, o un criterio oggettivo, in funzione delle caratteristiche dell’attività esercitata. Il criterio soggettivo di identificazione delle fonti del reddito d’impresa è disciplinato dagli artt. 6 e 81 del TUIR, e presume l’esistenza di soggetti che producono, sempre e comunque, reddito d’impresa, a prescindere dall’attività in concreto esercitata. Sono, infatti, in ogni caso considerati d’impresa, indipendentemente dalla fonte e quale che sia l’oggetto sociale, i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 16
Si veda il paragrafo 1.3. E, in merito alla diversa definizione di imprenditore commerciale prevista dal legislatore tributario, il paragrafo 1.2. 17 L’imposta sul reddito delle persone fisiche, abbreviata con l’acronimo IRPEF, è un’imposta diretta, personale e progressiva, istituita con la riforma del sistema tributario del 1974, ai sensi del D.P.R. n. 597/1973. L’IRES, acronimo di imposta sul reddito delle società, è un’imposta proporzionale e personale con aliquota del 27,5%, istituita col D.Lgs. n. 344/2003. 18 Il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 è anche conosciuto come Testo unico delle imposte sui redditi (di seguito, TUIR).! 19 !Art. 6, primo comma, TUIR: “i singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie: redditi fondiari, redditi da capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi”.!
!
*!
redditi prodotti da società commerciali di persone (S.a.s. e S.n.c. residenti in Italia) e da società di capitali (S.p.a., S.r.l., S.a.p.a., società cooperative e società di mutua assicurazione, residenti nel territorio dello Stato). Per le suddette tipologie di società commerciali, secondo il principio dell’irrilevanza della fonte produttiva, qualsiasi ricchezza prodotta dall’ente è considerata, interamente, come reddito d’impresa. Pertanto, redditi che, in capo ad altri soggetti, sarebbero distintamente determinabili, quali ad esempio, redditi fondiari o di capitale, se conseguiti da una società commerciale perdono tale autonomia per diventare semplici componenti del complessivo reddito d’impresa. Per tutti i soggetti diversi da quelli sopra citati, quali persone fisiche e enti diversi dalle società, il criterio soggettivo viene abbandonato a favore di quello oggettivo, che identifica i soggetti titolari di reddito d’impresa attraverso la valutazione dell’attività esercitata. Per stabilire tale titolarità in capo ad una persona fisica, occorre pertanto guardare all’attività svolta, che, secondo quanto indicato nell’ art. 55, primo comma, TUIR, deve configurarsi come un’attività commerciale fiscalmente rilevante20. In questo senso, è considerato reddito d’impresa quello che deriva dall’esercizio, per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività, considerate commerciali, indicate nell’art. 2195 del c.c.: le attività industriali volte alla produzione di beni o di servizi, le attività intermediarie nella circolazione di beni, le attività di trasporto, le attività bancarie e assicurative e le attività ausiliarie rispetto alle precedenti. Dal testo dell’art. 55 emerge chiaramente come, ai fini della qualificazione fiscale, le attività sopra elencate costituiscano fattispecie rientrante nella categoria del reddito d’impresa solo se svolte con carattere di abitualità; nulla dice lo stesso, invece, in merito al requisito dell’organizzazione in forma d’impresa che, al contrario, risulta presente nella definizione civilistica di “imprenditore”, ex art. 2082 del c.c.21. L’esercizio abituale si pone come un requisito indispensabile, che, nel caso in cui venisse meno, ricondurrebbe i redditi derivanti dall’esercizio delle suddette attività commerciali nella categoria dei redditi diversi22. Tale elemento discriminante necessita di essere interpretato ed individuato di caso in caso: è possibile pensare all’abitualità come sinonimo di stabilità e continuità, opposta al carattere di occasionalità e straordinarietà che spesso caratterizza determinate attività. E’ possibile, inoltre, verificare la presenza di tali requisiti attraverso un’indagine basata, ad esempio, sull’esistenza o meno di una sede per lo svolgimento dell’attività o sul numero di transazioni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 20 !MANZON E., MODOLO A., Manuale breve: diritto tributario, Pordenone, 2008, 201 s. 21 !“E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082 c.c.). !Art. 67, primo comma, lettera i), TUIR: “sono redditi diversi i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”.!
22
!
"+!
riferibili ad un certo periodo temporale (le stesse attività commerciali stagionali possono costituire fattispecie di reddito d’impresa, il carattere abituale dell’attività può essere infatti circoscritto ad un arco temporale più ristretto rispetto al periodo di imposta23. Il requisito dell’organizzazione in forma d’impresa, non contemplato dalla definizione tributaria di imprenditore commerciale, diventa invece necessario e fondamentale nel momento in cui si debba determinare l’appartenenza o meno alla categoria del reddito d’impresa di tutte quelle attività, tipicamente prestazioni di servizi (art. 55, secondo comma, lettera a), TUIR), non riconducibili al citato art. 2195. L’organizzazione in forma d’impresa, che diventa quindi elemento discriminante tra la categoria del reddito d’impresa e del reddito da lavoro autonomo (art. 53 TUIR), coincide con una situazione fattuale, da stabilire anch’essa di volta in volta, che determina la spersonalizzazione dell’attività in oggetto (si pensi al caso della prestazione d’opera materiale24, che diventa quindi non più riferibile al soggetto, professionista specializzato, ma alla totalità della struttura dell’impresa). Le regole per la determinazione della base imponibile nel campo del reddito d’impresa sono quelle che disciplinano l’ambito IRES (art. 81 e ss TUIR), ma che si applicano, in forza di espressi rinvii e con alcune modifiche specificatamente indicate25, anche ai soggetti IRPEF (art. 56 TUIR). Rientrando, più precisamente, nel merito dell’argomento del capitolo, la base di partenza per il calcolo del reddito d’impresa è il bilancio: il reddito, misurato facendo riferimento ad un criterio di competenza26, è determinato apportando al risultato del conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, utile o perdita netta che sia, le variazioni in aumento e in diminuzione derivanti dall’applicazione delle specifiche norme che disciplinano tale categoria reddituale (art. 83 TUIR), secondo il c.d. “principio della derivazione parziale”. Tali variazioni in aumento e in diminuzione riflettono e correggono la discrepanza tra la norma civile e la norma fiscale, derivante dal nesso di dipendenza intercorrente tra il reddito imponibile e il risultato del conto economico. Infatti, il fatto di considerare come fiscalmente rilevante tale risultato di bilancio porta a considerare, a sua volta, indirettamente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 23
BEGHIN M., Diritto tributario, principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza, Torino, 2011, 245.! 24 !La riferibilità al soggetto professionista, quale medico o avvocato, non può in nessun caso venire a mancare quando la prestazione di servizi in oggetto, estranea all’art. 2195 c.c., abbia contenuto intellettuale. In questi casi, infatti, la prestazione d’opera intellettuale del professionista svolge sempre un ruolo indispensabile e principale rispetto alla struttura organizzativa. (BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 246 s.)! 25 La determinazione del reddito d’impresa nel campo IRPEF si discosta in particolare per quanto riguarda la disciplina dei dividendi e delle plusvalenze rientranti nel regime della cosiddetta esenzione da partecipazione, riservata alle società di capitali, e per la disciplina degli interessi passivi.! 26 !La competenza in oggetto è quella tributaria, che fissa nel momento della “maturazione” il periodo d’imposta nel quale le singole componenti positive e negative di reddito devono concorrere alla formazione dell’imponibile. Ciò non toglie che il reddito d’impresa, traendo origine dal risultato di CE, racchiuda in sé anche parte del principio civilistico di competenza previsto per il bilancio, ex art. 2423 bis del c.c..!
!
""!
rilevanti tutte le componenti positive e negative che concorrono a determinare quel risultato, ancorché non espressamente disciplinate dal legislatore fiscale. Le divergenze nei criteri di determinazione del reddito tra disciplina civilistica e tributaria possono essere in parte spiegate dalle diverse finalità a cui i due corpi di norme tendono: il legislatore civile è infatti più orientato a definire criteri che garantiscano i diritti dei terzi che intrattengono rapporti giuridici con l’impresa, mentre il legislatore fiscale a definire criteri coerenti con i principi della capacità contributiva o del beneficio27, e che, al contempo, riducano la possibilità di evasione dell’imposta28. Dal fatto di rientrare nella categoria del reddito d’impresa discendono, dunque, determinati obblighi formali previsti dal legislatore tributario al fine di porre una maggiore attenzione nei confronti della categoria in oggetto: la tenuta della contabilità secondo specifiche regole, la predisposizione del bilancio d’esercizio e la presentazione della dichiarazione tributaria per ogni periodo d’imposta, anche, al contrario di quanto accade nelle altre categorie reddituali, laddove il soggetto passivo si trovi a dover dichiarare non un reddito bensì una perdita.
1.3. Le scritture contabili nella disciplina tributaria Le scritture contabili assumono una particolare rilevanza all’interno dell’insieme delle disposizioni inerenti l’imposizione sui redditi. Tali scritture, infatti, sono disciplinate dal legislatore tributario secondo precisi criteri che solo in parte coincidono con quelli fissati dal codice civile, sia per quanto riguarda le scritture contabili obbligatorie, che per quanto concerne i soggetti obbligati alla tenuta delle stesse. Nella legge di delega al Governo per la riforma tributaria, n. 825/1971, le scritture contabili sono state oggetto di esplicito richiamo in merito alla disciplina della determinazione e dell’accertamento dei redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali e di arti e professioni. La volontà di applicazione a tali categorie reddituali del metodo di determinazione del reddito in base alle scritture contabili, nonché la volontà di procedere ad un perfezionamento del sistema di accertamento basato sulle stesse, hanno comportato, nel tempo, la ridefinizione dell’obbligo di tenuta delle scritture in relazione sia ai soggetti che alle modalità. Innanzitutto, all’art. 2 della citata legge, fu sancito il principio in base al quale la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 27 !Principio della capacità contributiva: “L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura del benessere”. Principio del beneficio: “L’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura dei benefici della spesa pubblica”. (LONGOBARDI E., Economia tributaria, Milano, 2008, 7 s.).! 28 BOSI P., GUERRA M., I tributi nell’economia italiana, Bologna, 2011, 84 s.!
!
"#!
determinazione del reddito imponibile derivante dall’esercizio di imprese commerciali sarebbe dovuta scaturire dal processo di adeguamento di tale reddito a quello calcolato secondo i principi di competenza economica, secondo quanto descritto nel precedente paragrafo. Tale metodologia di individuazione del reddito d’impresa implica, ancora oggi, che lo stesso derivi, in ultima analisi, da regole e tecniche economico-aziendali alla base della determinazione del reddito economico e quindi da modalità di rappresentazione basate sulle scritture contabili. Le regole contabili utilizzate al fine della determinazione del reddito d’esercizio, ovviamente, diventano regole rilevanti anche nella determinazione del reddito imponibile soltanto nella misura in cui le stesse risultino compatibili con la logica impositiva a cui il reddito d’impresa risponde. Tale compatibilità è quindi sempre da valutare in base anche ai principi costituzionali29 che vincolano la produzione delle disposizioni tributarie: il principio della riserva di legge (art. 23), della capacità contributiva (art. 53) e dell’uguaglianza (art. 3) 30. Nel tempo il legislatore tributario ha quindi provveduto a disciplinare adeguatamente l’obbligo di tenuta delle scritture contabili e il ruolo giocato dalle stesse all’interno della categoria del reddito d’impresa. Il sistema alla base di tale categoria reddituale scaturisce, oltre che dalla legge n. 825/1971, anche dalla legge di delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale, n. 80/2003, e si incentra, in via principale, sulla tenuta delle scritture contabili, le quali vengono dunque ad assumere una doppia valenza, sia sostanziale che di garanzia. I principi fondamentali caratterizzanti tale sistema e derivanti dalle suddette disposizioni prevedono, oltre alla determinazione del reddito d’impresa secondo criteri di adeguamento al reddito individuato in base a competenza economica, anche l’estensione delle modalità di individuazione di tale reddito, ossia in base alle scritture contabili, a tutti i redditi derivanti dall’esercizio di imprese commerciali, salva l’introduzione, per le piccole e medie imprese, di un sistema semplificato31. Il sistema prevede, ancora, la determinazione analitica dell’imponibile in base alle risultanze del bilancio, salvo il ricorso ad una determinazione sintetica laddove quella analitica non sia possibile, e il perfezionamento del sistema di accertamento, e delle relative garanzie, in base alla contabilità32. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 29
Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (…). Art. 23: Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Art. 53: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. 30 MENTI F., Le scritture contabili nel sistema dell’imposizione sui redditi, Padova, 1997, 1 s. 31 Si veda, nel continuo del paragrafo, la distinzione tra i regimi di contabilità ordinaria e semplificata. 32 PINO C., Le scritture contabili, cit., 33.
!
"$!
Il merito delle suddette riforme è stato dunque quello di introdurre, per tutte le imprese ed anche per i lavoratori autonomi, un principio uniforme di tassazione basato sull’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Tale obbligo, ai fini tributari, si basa essenzialmente sulla tenuta delle scritture già previste dalla normativa civilistica, integrate, necessariamente, da determinate annotazioni aventi natura prettamente fiscale. La funzione primaria di tale obbligo, infatti, consiste nel consentire all’imprenditore una corretta determinazione dell’ammontare del reddito d’impresa effettivamente prodotto e estende, pertanto, l’obbligo di tenuta delle scritture contabili anche a quei soggetti che, secondo la disciplina civilistica, ne sarebbero esonerati. Nel codice civile, infatti, la tenuta delle scritture dipende sostanzialmente dall’obbligo di redazione del bilancio d’esercizio, mentre, nell’ottica del legislatore tributario, esso deriva dalla produzione di un reddito d’impresa, indipendentemente, quindi, dalla forma giuridica o dalla qualificazione civilistica di imprenditore commerciale che possiede, o meno, chi produce tale reddito. L’allargamento del concetto d’impresa ai fini fiscali ha quindi comportato l’obbligo indiscriminato di tenere scritture contabili anche per i piccoli commercianti e gli artigiani, nonché per i liberi professionisti. Ovviamente, le disposizioni di legge che hanno posto a fondamento del sistema di determinazione del reddito d’impresa le scritture contabili hanno condizionato anche le modalità di svolgimento del potere di controllo e di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il Fisco, ad oggi, non può prescindere dalle scritture contabili e dalla loro funzione informativa oltre che probatoria. Conseguenza del rapporto fra obbligo contabile e determinazione del reddito è, infatti, l’identificazione delle scritture contabili sia con lo strumento che con l’oggetto principale del controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, al fine di procedere all’accertamento del reddito d’impresa. Se il reddito tassabile è dunque quello determinato secondo tali scritture, l’Amministrazione dovrà, innanzitutto, procedere ad un controllo delle stesse ed esprimersi, in seguito, sul fatto che esse siano o meno idonee a riflettere correttamente i fatti aziendali e quindi a rappresentare il reddito conseguito33. A completare il quadro delle disposizioni alla base del sistema di determinazione e di accertamento del reddito d’impresa, si pone, pertanto, il D.P.R. 600/1973, ossia il decreto in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Ai fini dell’accertamento, sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, a norma dell’art. 13, cit., le società soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche; gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale e sono soggette all’imposta !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 33
VERNA F., VERNA G., Accertamento e processo tributario, cit., 11 s.
! !
"%!
sul reddito delle persone giuridiche; le società in nome collettivo e in accomandita semplice che risiedono nel territorio dello Stato o che hanno per la maggior parte del periodo d’imposta la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale nel territorio italiano; nonché le persone fisiche che esercitano imprese commerciali. Obbligati alla tenuta delle scritture contabili sono inoltre le persone fisiche che esercitano arti e professioni e le società o associazioni fra artisti e professionisti, intese come esercizio in forma associata dell’arte o della professione ed equiparate alle società semplici, e gli enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche e che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. Le società, gli enti e gli imprenditori commerciali, a norma del successivo art. 14, primo comma, D.P.R. n. 600/73, sono obbligati a tenere i seguenti libri e scritture contabili ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi: il libro giornale, il libro degli inventari, nel quale è necessario indicare, oltre a quanto disposto dal codice, anche la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore, ed il valore attribuito ad ogni gruppo; i registri prescritti ai fini IVA; le scritture ausiliarie, preposte alla registrazione degli elementi patrimoniali e reddituali, e le scritture ausiliarie di magazzino. A norma del secondo comma, gli stessi soggetti devono inoltre tenere il registro dei beni ammortizzabili. All’interno del medesimo decreto n. 600/73, la disciplina sull’accertamento dei redditi determinati in base alle scritture contabili risulta interamente condensata nelle disposizioni dell’art. 39. La rettifica del reddito, o l’eventuale determinazione di questo sulla base di dati o notizie raccolti dal Fisco, è concepita sulla base del citato schema di determinazione del reddito e, conseguentemente, anch’essa poggiante sulle scritture contabili34. Si parla di accertamento analitico-contabile del reddito quando l’Amministrazione finanziaria procede alla rettifica delle singole voci di costo e di ricavo, così da mantenere inalterato lo schema di determinazione costituente il processo naturale attraverso il quale si giunge ad individuare il reddito imponibile. Tale metodo di accertamento presuppone che le scritture contabili alla base siano state redatte in maniera tale da riprodurre fedelmente la reale situazione reddituaria dell’impresa. Appare ovvio, pertanto, come l’Amministrazione non sia, al contrario, più tenuta a rispettare il suddetto schema di determinazione nel momento in cui le scritture contabili risultino inattendibili e quindi non più idonee a dare rappresentazione del reale reddito conseguito. In tali casi, quindi, all’ufficio incaricato del controllo viene riconosciuta la facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili, procedendo all’utilizzo di un metodo di determinazione del reddito di tipo induttivo-extracontabile, ricostruendo il reddito d’impresa “per masse”, desumendo, quindi, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 34
!
Si veda il capitolo secondo.
"&!
l’esistenza di costi o ricavi non dichiarati sulla base di elementi differenti35. L’inattendibilità delle scritture contabili diventa, pertanto, l’elemento di discrimine tra accertamento contabile ed extracontabile, nonostante l’art. 39, secondo comma, cit., facendo unicamente riferimento all’espressione “mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”, lasci molto spazio alla sensibilità di chi è preposto ai controlli nel valutare l’esistenza o meno di tale inattendibilità. L’art. 18 del citato decreto sull’accertamento delle imposte sui redditi, prevede, ai fini tributari ovviamente, la possibilità per le imprese minori di adottare un regime di contabilità semplificata. La figura dell’impresa minore, peraltro, non coincide con quella di piccolo imprenditore previsto dal codice, essendo al contrario il volume d’affari 36 a fare da discriminante nella scelta di quali regimi contabili adottare37. In Italia esistono in linea di massima tre tipologie di regimi contabili: il regime di contabilità semplificata, il regime di contabilità ordinaria e il regime dei contribuenti minimi38. Ad oggi, per volumi d’affari inferiori a ! 400.000, per le attività di servizi, è possibile decidere tra il regime di contabilità semplificata e quello di contabilità ordinaria (su opzione), mentre al di sopra di tale soglia il regime ordinario diventa obbligatorio. Tale ammontare di volume d’affari sale a ! 700.000, laddove si tratti invece di attività diverse da quelle di servizi. Inoltre, al di sotto di un volume d’affari pari a ! 30.000 è prevista la possibilità di optare per il regime dei contribuenti minimi, sia per imprese commerciali che di servizi e per professionisti. E’ necessario specificare, tuttavia, che per i lavoratori autonomi il regime contabile naturale, a prescindere cioè dal volume d’affari, è quello semplificato, ferma restando la possibilità di optare per quello ordinario. Al contrario, le società di capitali sono obbligate ad adottare sempre e comunque il regime di contabilità ordinaria. Le semplificazioni contabili, contenute nell’art. 18, consentono alle imprese che soddisfano i citati limiti in termini di volume d’affari di non tenere le scritture obbligatorie per le imprese in contabilità ordinaria (art. 14, cit.). Tali imprese sono obbligate a tenere, infatti, esclusivamente i registri IVA, integrati dall’annotazione delle operazioni non soggette a registrazione ai fini di tale tributo, potendo così attingere i dati necessari per la dichiarazione dei redditi direttamente da tali registri, assolvendo inoltre agli obblighi ai fini delle imposte !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 35
MENTI F., Le scritture contabili, cit., 15 s. Il volume d’affari è inteso come l’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate, registrate o soggette a registrazione con riferimento ad un anno solare (art. 20, DPR n. 633/1972). 37 Sempre dal punto di vista tributario, un altro elemento di discrimine tra piccolo e grande imprenditore è rappresentato dagli studi di settore (capitolo secondo). 38 Il regime dei contribuenti minimi è stato introdotto dalla l. n. 244/2007, ed è stato in seguito prorogato fino al 31.12.13. Il reddito viene determinato sulla base del principio di cassa, pertanto, i componenti positivi e negativi rilevano nel periodo d’imposta in cui si è realizzata la manifestazione monetaria, nonostante la competenza possa essere di altro periodo d’imposta. Dal punto di vista delle semplificazioni contabili, essi non sono obbligati a tenere il registro dei corrispettivi e il registro degli acquisti. 36
!
"'!
sul reddito e ai fini IVA con un’unica formalità contabile. Tale esonero, ovviamente, vale solo ai fini tributari, restando valide, dunque, nel caso non si tratti di soggetti anche piccoli imprenditori, le conseguenze previste dal codice civile per l’eventuale omissione dell’obbligo contabile39.
1.4. Scritture contabili ed evasione nel reddito d’impresa Dal principio di derivazione parziale del reddito d’impresa dal risultato di conto economico, esposto nel paragrafo 1.2., e dagli obblighi che da esso derivano, discende anche la possibilità, per i soggetti passivi della categoria, di ridurre l’imposizione fiscale realizzando un’evasione attraverso interventi diretti nella contabilità, tipicamente occultando proventi reali o contabilizzando costi inesistenti. Il contenimento dei suddetti particolari rischi connessi alla categoria del reddito d’impresa è affidato, dal legislatore tributario, al Fisco, che si vede dunque espandere i propri poteri in merito all’accertamento fiscale nei confronti dei soggetti che utilizzano la contabilità come punto d’appoggio per la redazione della dichiarazione tributaria40. In Italia, la storia tributaria risulta piena di tentativi del legislatore, più o meno riusciti, di introdurre meccanismi semplificati di controllo dei redditi delle imprese e dei professionisti, considerati, per le loro caratteristiche, come soggetti evasori per eccellenza. L’evasione fiscale nel nostro Paese è infatti in buona parte generata dall’occultamento dei redditi derivanti dalle attività economiche, anche se, al riguardo, appare necessario effettuare una netta distinzione fra piccola evasione generalizzata, propria delle piccole imprese e dei professionisti, e grande evasione derivante da sofisticate manovre evasive, tipiche delle imprese di maggiori dimensioni e di quelle a contatto con ordinamenti fiscali stranieri41. L’evasione fiscale, di cui manca nel nostro ordinamento una specifica definizione giuridica, è senza dubbio lo strumento più datato e diffusamente utilizzato dai contribuenti per alleggerire in tutto o in parte il carico fiscale. Tradizionalmente, con tale termine, si intende indicare ogni inadempimento, colpevole o non, della pretesa tributaria sorta con la realizzazione della determinata fattispecie, perpetrato dal soggetto passivo attraverso un comportamento fondamentalmente disonesto: l’inadempimento dell’obbligazione fiscale avviene, cioè, mediante comportamenti commissivi od omissivi che impediscono la conoscibilità del fatto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 39
VERNA F., VERNA G., Accertamento e processo tributario, cit., 52 s. A tal proposito, si veda il capitolo secondo. 41 FAZZINI E., Piccole e medie imprese e metodologie di accertamento, in L’evasione fiscale: una guerra ancora da vincere, Atti del convegno tenuto presso l’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss-Guido Carli di Roma, 2006, 68 s. 40
!
"(!
imponibile, o ne alterano il contenuto. In generale, l’autoliquidazione di un tributo dovuto allo Stato avviene sulla base di una dichiarazione tributaria in cui il contribuente espone determinati fatti economici, qualificati dallo stesso sulla base dell’interpretazione prima e dell’applicazione poi delle specifiche disposizioni tributarie, allo scopo di individuare l’imponibile su cui calcolare l’imposta da versare. Ogni qualvolta il contribuente non rappresenti tali fatti economici in dichiarazione (evasione totale), o li rappresenti solo in parte (evasione parziale), egli viola le specifiche disposizioni tributarie, ponendo in essere un’attività ingannatoria che fa ricadere lo stesso all’interno della fattispecie dell’evasione fiscale sul fatto42. La maggior parte dei comportamenti evasivi sul fatto consistono, dunque, in una mancata dichiarazione al Fisco di una ricchezza effettivamente percepita o maturata, sotto forma di reddito, di incremento patrimoniale o di acquisizione di un bene o di un servizio. Se al contrario, nel momento della compilazione della dichiarazione tributaria, il contribuente espone correttamente i fatti economici avvenuti per intero, qualificando però gli stessi sulla base di un’errata interpretazione delle disposizioni giuridiche di riferimento, a lui più favorevole in relazione all’ammontare dell’imposta da versare, egli ricadrà nella diversa fattispecie dell’ evasione fiscale sul diritto43. La distinzione tra queste due differenti tipologie di evasione riveste un ruolo fondamentale nello svolgimento della successiva eventuale fase dell’accertamento. Ogni avviso di accertamento deve infatti essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato (art. 42, D.P.R. n. 600/1973); nel caso in oggetto, la motivazione potrà quindi riferirsi all’esistenza di fatti controversi o all’esistenza di un’errata interpretazione. Inoltre, ulteriori conseguenze provocate dalla suddetta distinzione esistono anche nel campo della prova dell’accertamento: essa risulta non necessaria nella fattispecie dell’evasione sul diritto, essendo i fatti dati e non discussi come al contrario accade nella fattispecie opposta. Nell’evasione fiscale, dunque, il contribuente, sia esso impresa o meno, adotta uno o più comportamenti illegittimi da cui deriva un ammontare dell’imposta dovuta inferiore a quello previsto dalla legge: i soggetti passivi si sottraggono all’obbligo di corrispondere le imposte, violando la legge44, occultando la ricchezza prodotta o riducendone l’entità, avvalendosi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 42
BOSI P., GUERRA M., I tributi nell’economia italiana, cit., 96 s. – 243 s. Nulla toglie, ovviamente, che all’interno della medesima dichiarazione ed in relazione alla medesima fattispecie economica venga posta in essere evasione sul fatto ed anche sul diritto, non rappresentando, ad esempio, i fatti nella loro interezza e non tenendo conto, relativamente alla parte esposta, della corretta interpretazione delle disposizioni giuridiche qualificanti il determinato fatto. 44 Alla luce degli elementi caratterizzanti il fenomeno dell’evasione, quali la realizzazione dell’evento elevato dall’ordinamento a presupposto d’imposta e il tentativo di ridurre totalmente o parzialmente l’obbligo al pagamento dell’imposta per mezzo di omissioni e/o azioni, appare chiaro come ogni condotta evasiva configuri sempre una diretta violazione della disposizione tributaria, in quanto il contribuente non adempie all’obbligo 43
!
")!
anche di artifici o raggiri e, spesso, utilizzando documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa. Il sottrarsi del contribuente in tutto o in parte all’obbligo tributario, infatti, si presente generalmente come un comportamento doloso, in quanto il danno che si arreca all'erario è intenzionalmente voluto dal soggetto (omessa dichiarazione, presentazione di una dichiarazione falsa, simulazione di passività fittizie, tenuta irregolare della contabilità etc..), tuttavia è anche ipotizzabile un comportamento colposo, nel momento in cui l’evasione dipende da un’ignoranza scusabile di norme di legge oppure da errori involontariamente commessi dal contribuente45. Nonostante le modalità tramite le quali l’evasione delle imprese si realizza siano molto simili a quelle dei privati46, non si deve dimenticare, tuttavia, che chi dichiara reddito d’impresa è pur sempre obbligato alla tenuta delle scritture contabili specificatamente previste, nonché alla predisposizione, una volta l’anno, del bilancio d’esercizio. Considerato che il reddito ottenuto dallo svolgimento di un’attività economica tramite l’esercizio di un’impresa è determinato a partire dalla differenza tra i ricavi e i costi dell’attività così come rappresentati nel bilancio dallo stesso contribuente, appare facilmente comprensibile come un fatto economico realmente verificatosi assuma rilevanza ai fini dell’imposizione solo se precedentemente registrato nella contabilità. L’evasione fiscale tipica di tali contribuenti si realizza, infatti, occultando, in tutto o in parte, i proventi ottenuti, tramite la mancata emissione dei relativi documenti fiscali, oppure dichiarando costi formalmente o sostanzialmente inesistenti, che sono, cioè, stati sostenuti realmente ma che non hanno nulla a che vedere con l’attività economica esercitata 47 , oppure che non sono stati per niente sostenuti48. Al fine di comprendere al meglio le fattispecie di attività ingannatorie realizzate all’interno del circuito del reddito d’impresa, risulta necessario snocciolare, più nel dettaglio, i concetti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! sostanziale che la legge riconnette alla realizzazione della determinata fattispecie. Nell’evasione si realizza sempre, quindi, una vera e propria violazione della legge che imporrebbe al contribuente un determinato comportamento che, tuttavia, egli decide di non tenere o involontariamente non tiene, non rappresentando all’Amministrazione finanziaria fatti economici realmente verificatisi. ! 45 !CONTRINO A., Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996, 35.! 46 Per “privati” si intendono tutti quei soggetti che non esercitano attività d’impresa o attività liberoprofessionali, non obbligati, quindi, ad alcuna tenuta di scritture contabili, bilanci e libri o registri di ogni sorta: lavoratori dipendenti, pensionati, possessori di immobili diversi dalle società, ma anche cittadini soci di entità rientranti, quindi, nell’opposto comparto delle imprese. Le fattispecie di evasione realizzate dai privati ricadono sia nell’ambito dell’evasione sul fatto che in quello dell’evasione sul diritto: tipicamente si identificano in situazioni connotate dal nascondimento al Fisco, ottenuto con modalità ingannatorie, di ricchezza fiscalmente rilevante (il privato che concede in locazione un immobile in nero, il dipendente che accetta compensi fuori busta, il socio che beneficia dei proventi incassati al nero dalla società, etc..). 47 In tal senso, il principio dell’inerenza prevede che affinché un componente negativo possa essere preso in considerazione nel calcolo del reddito d’impresa, è necessario che rientri nell’ambito dello svolgimento dell’attività imprenditoriale e che non sia, quindi, riferibile ad interessi propri del socio o dell’ipotetico amministratore delegato della stessa. 48 SANTORO A., L’evasione fiscale, quanto come e perché, Bologna, 2010, 14.
!
"*!
chiave della sottodichiarazione dei ricavi e della sovradichiarazione dei costi, concentrando l’analisi sul legame esistente tra le modalità di evasione e il profilo organizzativo dell’impresa considerata: la piccola impresa evade in un modo, mentre la grande in un altro; tipicamente, infatti, il grado di sofisticazione delle attività evasive poste in essere aumenta al crescere della dimensione dell’impresa e del ruolo che le scritture contabili hanno all’interno della stessa. La struttura di una piccola impresa49, ancor più nel caso del piccolo esercizio commerciale in cui l’imprenditore opera a stretto contatto con i consumatori finali, permette generalmente di evadere con più facilità procedendo, comunemente, alla non registrazione dei corrispettivi incassati, rappresentante, spesso, l’altra faccia della medaglia di una mancata registrazione a monte di un costo.
Tali comportamenti illegittimi, messi in atto spesso con estrema
semplicità, sono resi possibili anche dal fatto che il consumatore finale, nel ruolo della controparte nelle operazioni di vendita, non dimostra interesse, il più delle volte, a richiedere l’emissione della relativa documentazione fiscale. L’evasione realizzata dalle piccole imprese si concentra quindi sul fatto, più che sul diritto, e tipicamente non lascia alcuna traccia sulla contabilità aziendale ufficiale che risulta, pertanto, anche ai fini degli accertamenti fiscali, apparentemente corretta, grazie all’esiguo ruolo che la stessa ricopre all’interno delle medesime. La fattispecie di evasione ascrivibile al piccolo imprenditore, dunque, può benissimo realizzarsi attraverso scritture contabili formalmente corrette: laddove il soggetto passivo decida di ridurre il proprio imponibile omettendo di rappresentare al Fisco la cessione di alcuni beni o la prestazione di alcuni servizi, egli si limiterà a non annotare tali fatti economici nei registri obbligatori, non intaccando in alcun modo la citata regolarità formale. Nei confronti delle imprese di piccole dimensioni, pertanto, la ricerca di ricavi non registrati o di costi fittizi nelle pieghe di una contabilità esteticamente corretta può rivelarsi, nella maggior parte dei casi, inutile50. Per le imprese di più grande dimensione, al contrario, la contabilità riveste un ruolo fondamentale per quanto riguarda la gestione dell’azienda stessa, tanto che, proprio all’interno di tali scritture, prendono spesso corpo molte fattispecie evasive tipiche. Le scritture contabili, per queste tipologie di imprese, rappresentano inoltre la base per la decisione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del tipo di accertamento fiscale da adottare ed, eventualmente, per la conduzione dello stesso in un secondo momento. Le !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 49
Una piccola impresa è tale se: possiede meno di 50 dipendenti; realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro. (Reg. CE n. 800/2008) A tal proposito, si veda anche la nota 37. 50 BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile” nella morsa degli studi di settore, in Riv. giur. trib., 2009, 966.
! !
#+!
modalità di evasione fin qui descritte per le piccole imprese diventano perciò via via più complicate da realizzare: l’imprenditore o l’amministratore delegato sarebbe qui infatti impossibilitato a procedere alla mancata annotazione dei proventi, o ad ordinare la stessa ad un dipendente, senza che gli altri soggetti impiegati nell’impresa ne vengano a conoscenza. In questi casi, quindi, gli ostacoli all’evasione provengono dall’interno, ossia dalla struttura organizzativa stessa, al contrario di quanto accade per i soggetti di piccole dimensioni per i quali gli ostacoli arrivano invece dall’esterno, cioè da possibili richieste dei clienti di documentare le operazioni o da eventuali segnalazioni51. Al crescere della dimensione aziendale, dunque, corrisponde una progressiva riduzione naturale delle possibilità di manipolazione dei dati contabili: all’aumentare dei clienti, delle operazioni economiche e della struttura amministrativa, i flussi reddituali che riguardano l’imprenditore sono più facilmente intercettabili da altri soggetti estranei alla proprietà, quali clienti, fornitori, lavoratori o consulenti esterni, e rendono, pertanto, più rischioso e complicato l’occultamento totale o parziale dei fatti economici52. Per quanto riguarda le imprese di grandi dimensioni, di conseguenza, vengono spesso adottate, oltre alla più classica evasione sul diritto realizzata individuando regole sulla base di schemi interpretativi non corretti, tecniche più elaborate che, in ombra, incidono direttamente nella contabilità su cui, in seguito, poggerà la determinazione del reddito d’impresa stesso. Infatti, nel caso in cui tali soggetti, oltre a puntare all’occultamento della ricchezza prodotta riducendone ad arte l’entità, utilizzassero o producessero anche documentazione materialmente e/o ideologicamente falsa, si rientrerebbe nella fattispecie della c.d. frode fiscale. Il metodo più utilizzato, infatti, costituente reato punito dall’ordinamento giuridico italiano con la reclusione da 18 mesi a 6 anni ai sensi dell’ art. 2 del D.Lgs. n. 74/200053, consiste nell’inserimento di elementi passivi fittizi nella contabilità, avvalendosi di fatture o di altri documenti relativi ad operazioni inesistenti. All’art. 4 del medesimo D.Lgs. si ritrova invece il caso della dichiarazione infedele, anch’esso costituente reato, che si realizza quando !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 51
LUPI R., Evasione fiscale, cit., 79.
!BEGHIN M., I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, in FALSITTA G., Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, 2010, 715.!
52
53
Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. 3. Se l'ammontare degli elementi passivi fittizi e' inferiore a lire trecento milioni, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.
!
#"!
in dichiarazione vengono indicati elementi passivi fittizi o elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo54. Accade spesso, dunque, che l’imprenditore, allo scopo di abbattere il proprio reddito, inserisca tra le fatture da registrare nelle scritture contabili55, fatture interamente false, facenti pertanto riferimento ad operazioni mai realizzatesi, o fatture contraddistinte da un falso materiale, collegate a transazioni reali dunque, ma affette da modificazioni documentali (l’imprenditore che aggiunge di nascosto qualche zero all’imponibile di una fattura attestante un costo per egli deducibile)56. E’ bene distinguere, a tal proposito, la fattura c.d. falsa dalla semplice fattura irregolare, in cui risulta errata, per esempio, solamente la forma del documento o l’aliquota IVA applicata, la quale, al contrario, è possibile regolarizzare attraverso rettifiche contabili o procedure amministrative57. La frode fiscale, quindi, si presenta come una particolare fattispecie, posta in essere, per lo più, da parte delle imprese, rientrante nel più ampio fenomeno dell’evasione fiscale. In particolare, secondo quanto previsto dal citato D.Lgs. n. 74/2000, la frode rappresenta un dolo specifico di evasione che può avere ad oggetto anche il conseguimento di un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, o ancora il pagamento solo parziale del tributo. La frode è caratterizzata da una condotta mirata alla predisposizione di una situazione diretta a trarre in inganno al fine di evadere, mediante l’utilizzo di artifici, raggiri o manipolazioni della realtà. La frode fiscale, pur essendo caratterizzata da un nucleo di elementi comuni, può essere posta in essere mediante molteplici modalità, nella maggior parte aventi ad oggetto una qualche manipolazione delle scritture contabili: come già accennato, essa può consistere nella falsificazione, ideologica o materiale, dei documenti che, in base alla normativa tributaria, sono idonei a provare determinati oneri o spese deducibili o detraibili (artt. 2 e 8), oppure nell’esposizione in dichiarazione di elementi passivi fittizi (art. 4); ma anche nella falsa rappresentazione contabile mediante mezzi fraudolenti idonei ad
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 54
Art.4. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, e' punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa e' superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, e' superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, e' superiore a lire quattro miliardi. 55 Anche in questo caso, tuttavia, è possibile che l’evasione venga realizzata senza intaccare la regolarità formale delle scritture contabili: laddove l’ imprenditore intenda avvalersi di costi per operazioni inesistenti, egli provvederà certamente a registrare, nel pieno rispetto delle forme, fatture che rappresentano fatti mai avvenuti, non temendo di incorrere, in tal modo, in possibili rilievi sul piano della forma. 56 BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 116 s. 57 MERLO P., Fatture false e fatture irregolari, in La Settimana Fiscale, 2012, n. 32, 40 s.
!
##!
ostacolarne l’accertamento (art. 3, delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) o nell’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10)58. Le caratteristiche peculiari che contraddistinguono, nel merito dell’evasione fiscale, le imprese dai privati valgono, con alcune piccole differenze, anche per i liberi professionisti59. Anche per tali soggetti, infatti, l’evasione consiste principalmente nell’omessa registrazione dei corrispettivi incassati, senza dimenticare la non meno frequente scorretta applicazione delle norme tributarie60.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 58
DI GREGORIO C., MAINOLFI G., RISPOLI G., Confisca per equivalente e frode fiscale, Milano, 2011, 6 s. Come già sottolineato, i privati si differenziano da tali contribuenti in quanto non soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili e, quindi, in quanto non realizzanti fattispecie evasive basate sulla manomissione o sull’occultamento della documentazione contabile. Tuttavia, le recenti vicende collegate al c.d. redditometro hanno suggerito come la tenuta di una dettagliata contabilità familiare, non prevista, sia chiaro, da nessuna disposizione tributaria, possa rivelarsi estremamente utile al privato contribuente, sul quale ricade l’onere di fornire prova contraria in merito alle conclusioni a cui l’Amministrazione finanziaria è giunta tramite l’applicazione di tale strumento accertativo. Una contabilità domestica che permetta, in qualsiasi momento, di reperire o di indicare la provenienza del denaro impiegato per il sostenimento di determinate spese, congiuntamente a scontrini e ricevute conservate nel tempo, può costituire una prova a favore del contribuente, al fine di dimostrare all’Agenzia delle Entrate che le spese desunte sono in qualche modo giustificate e, per di più, consentire allo stesso di uscire dal circuito della “prova diabolica” nel quale il redditometro inserisce tutti i soggetti accertati. (CIERNO R., I giudici tributari di Reggio Emilia: “il redditometro è illegittimo, va disapplicato”, in Il Sole 24 Ore, 19 aprile 2013). 60 BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 122 s. 59
!
#$!
!
#%!
CAPITOLO SECONDO I METODI DI ACCERTAMENTO DEL REDDITO D’IMPRESA SOMMARIO: 2.1. Aspetti generali, soggetti e finalità dell’attività di accertamento. – 2.2. L’accertamento analitico-contabile. – 2.3. L’accertamento analitico-induttivo. – 2.4. L’accertamento induttivo-extracontabile. – 2.5. Presunzioni, prova e motivazione nell’accertamento del reddito d’impresa. – 2.6. La discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nella scelta del metodo di accertamento. – 2.7. Le modifiche introdotte dalla disciplina degli studi di settore nell’accertamento del reddito d’impresa
2.1. Aspetti generali, soggetti e finalità dell’attività di accertamento Dopo aver vagliato il ruolo delle scritture contabili all’interno del procedimento di determinazione del reddito d’impresa, e prima di esaminare il ruolo delle stesse nell’accertamento riservato alla medesima categoria di reddito, vale la pena soffermarsi qualche istante sugli aspetti generali dell’attività di accertamento, al fine di comprendere al meglio quanto esposto nei paragrafi che seguono. L’accertamento tributario è il complesso degli atti della Pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive. Innanzitutto, tale attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici preposti, all’interno dell’ordinamento fiscale italiano, ha carattere meramente eventuale, essendo prevista la c.d. autoliquidazione 1 dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione tributaria2. L’Amministrazione finanziaria, infatti, interviene solamente nel caso di omessa presentazione delle dichiarazioni o allo scopo di rettificare quelle affette da irregolarità. L’attività di accertamento si presenta, pertanto, come una tipica attività amministrativa rispondente alla
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1
L’autoliquidazione consiste nel versamento diretto delle imposte, tipicamente delle imposte sui redditi e dell’IVA, dovute sulla base della dichiarazione, senza che ci sia l’intervento diretto dell’Amministrazione finanziaria. Oltre a indicare nella dichiarazione gli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile, infatti, il contribuente effettua anche il calcolo dell’imposta dovuta (liquidazione), che, in passato, era invece eseguito dall’Amministrazione finanziaria stessa. Fino alla riforma delle imposte sui redditi degli anni settanta, infatti, il sistema tributario italiano non conosceva né il versamento diretto da parte del contribuente né l’autoliquidazione dell’imposta. Tale sistema ha richiesto, nel tempo, l’elaborazione di una nuova forma di controllo, rivolta non più ad accertare la correttezza dei dati indicati in dichiarazione, bensì la stessa autoliquidazione operata dal contribuente. 2 FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2009, 176.
!
#&!
necessità di assicurare che tutti contribuiscano alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, così come sancito dall’art. 53 della Costituzione italiana. Nell’ambito dei soggetti pubblici chiamati a curare l’applicazione delle norme tributarie, l’Amministrazione finanziaria si affida a due componenti: una civile, rappresentata dall’Agenzia delle Entrate, e una militare, rappresentata dal corpo della Guardia di finanza3. Tali soggetti si avvalgono, tipicamente, di diverse tipologie di attività ispettive, finalizzate al controllo e all’individuazione di eventuali fattispecie evasive od elusive poste in essere dai soggetti passivi d’imposta4. L’attività di accertamento, che può riguardare tutte le imposte del sistema tributario, si sviluppa innanzitutto in precisi controlli che l’Amministrazione finanziaria provvede ad effettuare sulle dichiarazioni e sugli atti utilizzati dai contribuenti per autodeterminare e conseguentemente liquidare l’imposta dovuta. Tali controlli consistono in un riscontro cartolare della dichiarazione e degli atti presentati dal contribuente, c.d. controlli formali o controlli cartolari, e in un’attività d’indagine più pregnante sulla realtà sottoposta a verifica, c.d. controlli di merito o controlli sostanziali. Attraverso il controllo formale, l’Amministrazione finanziaria individua tipicamente errori di calcolo, errori materiali, sviste più o meno eclatanti, o ancora violazioni sul fronte dei versamenti; in ogni caso tutte situazioni riconoscibili mediante l’esame della dichiarazione e dei dati e degli elementi in possesso dell’Anagrafe tributaria (ad esempio, la data e l’ammontare dei versamenti effettuati dai singoli contribuenti). In questa fase, dunque, il Fisco non svolge alcuna attività estimativa, valutativa o interpretativa, non entrando nel merito dei fatti o delle qualificazioni giuridiche che sono state eseguite in ragione delle operazioni svolte. Al termine del controllo cartolare, pertanto, se non sono stati riscontrati errori od omissioni, il procedimento si considera concluso, altrimenti, se da tale controllo sono emerse irregolarità che hanno determinato un versamento d’imposta inferiore al dovuto, si procede alla liquidazione di quanto è ancora spettante al Fisco e alla comunicazione al contribuente di tale esito mediante un atto denominato avviso bonario 5 . Determinate dichiarazioni possono ulteriormente formare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 3
L’Agenzia delle Entrate è un ente pubblico non economico che svolge le funzioni relative alla gestione, all’accertamento e al contenzioso dei tributi con l’obiettivo di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali. E’ sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’economia e delle finanze, ed è una delle quattro Agenzie fiscali che svolgono le attività tecnico operative che precedentemente erano di competenza del Ministero delle finanze, insieme all’Agenzia delle Dogane, l’Agenzia del Territorio e l’Agenzia del Demanio. La Guardia di finanza è un organo bifronte che può assumere le vesti sia di polizia tributaria, con poteri amministrativi, sia le vesti di polizia giudiziaria. La legge attribuisce a tale componente militare specifiche competenze in materia di collaborazione con l’attività degli uffici finanziari nell’acquisizione e nel reperimento di elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi e dell’Iva e per la repressione delle relative violazioni (Idem, ivi, 297). 4 FANTOZZI A., Corso di diritto tributario, Torino, 2003, 203. 5 L’avviso bonario è appunto l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria ridetermina l’imposta dovuta, ponendo il contribuente nella condizione di versare il tributo originariamente dovuto con l’applicazione delle sanzioni in
!
#'!
oggetto di indagini di tipo selettivo, costituenti una seconda fase all’interno della categoria dei controlli cartolari, incentrate sul sorteggio delle dichiarazioni i cui dati esposti hanno attirato, secondo determinati schemi e moduli predeterminati, l’attenzione del Fisco in ragione delle loro caratteristiche qualitative e/o quantitative. I contribuenti sorteggiati sono poi invitati dall’Agenzia delle entrate a esibire la documentazione necessaria per il controllo della dichiarazione, nonché ad un contraddittorio in merito alla documentazione stessa presentata6. Quando dallo svolgimento del controllo formale vengono riscontrati determinati elementi che richiedono un ulteriore approfondimento investigativo da parte dell’Amministrazione finanziaria, viene tipicamente posto in essere anche un controllo di tipo sostanziale. Nell’ambito di questa tipologia di controlli, più incisivi dunque, il legislatore ha deciso di introdurre, con la L. n. 212/2000, il c.d. Statuto del Contribuente, ossia una sorta di carta dei diritti del contribuente atta a garantire il corretto svolgimento dell’attività accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, contemplando e tutelando, inoltre, il rispetto dell’attività e della persona del contribuente7. I controlli sostanziali vengono realizzati, principalmente, attraverso l’attribuzione al Fisco di particolari poteri di indagine, funzionali a un più preciso esame di quanto il contribuente avrebbe dovuto indicare in dichiarazione e non ha affatto indicato. La fase in cui i suddetti controlli vengono posti in essere da parte dell’Amministrazione finanziaria, detta fase istruttoria, è considerata preliminare e strumentale alle successive, in quanto in essa vengono raccolti gli elementi e i dati indispensabili al fine di rideterminare la base imponibile. La normativa fiscale, riguardante la fase istruttoria, è contenuta nel titolo V del D.P.R. n. 600/1973: i soggetti preposti ai controlli esaminano le dichiarazioni dei redditi dei contribuenti al fine di rilevare eventuali omissioni e liquidare le imposte dovute; vigilano sull’osservanza delle norme relative alla tenuta della contabilità, provvedendo ad irrogare, ove ne ricorrano i presupposti, le pene pecuniarie previste e a presentare il rapporto all’autorità giudiziaria per le violazioni sanzionate penalmente. Nello svolgimento dell’attività istruttoria, come già accennato, l’Amministrazione finanziaria si avvale di determinati poteri al fine di verificare, ed eventualmente rettificare, quanto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! misura ridotta. Tale avviso non è un atto impugnabile, in quanto contro lo stesso il contribuente non può presentare ricorso, trattandosi unicamente di una comunicazione preliminare da parte dell’Agenzia delle Entrate. 6 BEGHIN M., Diritto tributario, principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza, Torino, 2011, 99 s.! 7 Lo Statuto del Contribuente ha fissato i principi a cui si devono attenere i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, nonché le norme fondamentali che il legislatore dovrà tener presente in materia fiscale. La legge ha reso effettivo il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali tra i quali quelli all'informazione e all'assistenza, alla chiarezza delle norme tributarie, alla semplificazione degli adempimenti, alla tutela dell'affidamento, all'equità e ragionevolezza delle sanzioni, all'equo e regolare svolgimento delle procedure di accertamento.
! !
#(!
dichiarato dal contribuente. Le indagini istruttorie, di regola, vengono condotte sia presso la sede dell’ufficio dell’Amministrazione finanziaria, mediante la richiesta di documenti o la convocazione al fine di chiarire la posizione del contribuente, sia presso il contribuente stesso, attraverso accessi, ispezioni e verifiche. Nella prima ipotesi, l’Amministrazione richiede al contribuente, o ad altri soggetti interessati, dati e notizie che ritiene utili per l’espletamento dell’attività di accertamento, avvalendosi tipicamente di inviti a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti, di questionari da compilare e restituire debitamente firmati, inviati al contribuente o ad altri soggetti con il quale quest’ultimo abbia intrattenuto dei rapporti, e ancora della richiesta di esibire o trasmettere atti e documenti utili ai fini dell’indagine (art. 32, D.P.R. n. 600/73). Nella seconda ipotesi invece, per quanto riguarda cioè le indagini istruttorie svolte presso il contribuente, la legge disciplina dettagliatamente le modalità di svolgimento degli accessi, delle ispezioni e delle verifiche da parte dei funzionari dell’Amministrazione finanziaria o dei nuclei di polizia tributaria della Guardia di finanza (l’art. 33, D.P.R. n. 600/73, rimanda esplicitamente alle disposizioni dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972, il quale disciplina, a sua volta, l’attività di controllo svolta ai fini dell’imposta sul valore aggiunto). L’accesso da parte dei verificatori nei luoghi dove il contribuente svolge la propria attività commerciale, agricola o professionale, consente agli stessi di ricercare documenti, atti ed ogni altra informazione utile allo svolgimento dell’accertamento e alla ricerca di fattispecie di evasione o altre violazioni. Nell’espletamento di tale attività, l’Amministrazione finanziaria può avvalersi degli istituti dell’ispezione documentale e della verifica, al fine di ricercare atti e documenti, nonché esaminare la regolarità e la correttezza delle scritture, dei libri e dei registri contabili, accessibili anche in modalità informatica. Tutte le operazioni svolte durante tali accessi devono essere precisamente indicate al momento della redazione del c.d. processo verbale di constatazione 8 e, qualora l’accesso si protragga per più giorni, al termine di ognuno, dovrà essere redatto il c.d. processo verbale di verifica, dove dovranno essere analiticamente e cronologicamente indicate tutte le operazioni compiute in ogni specifico accesso9. Gli impiegati dell’Amministrazione finanziaria possono quindi effettuare ispezioni documentali, ricerche ed ogni altra rilevazione utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione o di altre violazioni nei locali destinati all’esercizio di attività !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 8
In caso di verifica fiscale presso la sede del contribuente, dunque, l’attività di controllo si conclude con la consegna di un processo verbale di constatazione in cui sono indicate le eventuali violazioni rilevate e i relativi addebiti. Il contribuente destinatario di un processo verbale di constatazione relativo a violazioni in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, atto non impugnabile autonomamente, può accelerare la definizione della contesa attraverso l’istituto dell’adesione al processo verbale di constatazione, ex D.L. n. 112/2008. 9 D’AMATI N., URICCHIO A., Corso di diritto tributario, Padova, 2008, 185.
!
#)!
commerciali, agricole, artistiche o professionali, il tutto previa autorizzazione indicante lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. L’ispezione si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli che il contribuente ha redatto pur senza esserne obbligato. Spesso, infatti, si è presentato il caso in cui l’Amministrazione finanziaria, pur avendo ricevuto in esame dal contribuente una contabilità formalmente corretta, abbia rinvenuto una contabilità riservata sostanzialmente difforme dalla prima. L’utilizzabilità di una tale documentazione per accertare l’esistenza di un maggior reddito può permettere il superamento della presunzione che una contabilità sistematica, regolarmente tenuta, dà garanzia di attendibilità e quindi che, in mancanza di prove contrarie, non può essere disattesa10. Al termine dell’espletamento dell’attività istruttoria, in alcuni casi, l’Amministrazione finanziaria può ritenere utile procedere ad ulteriori accertamenti su quanto il contribuente ha dichiarato. L’accertamento che l’Amministrazione decide di porre in essere, a seconda dei fini e dei soggetti a cui è diretto, può assumere caratteristiche differenti. I metodi di accertamento, infatti, si identificano, di regola, con quei percorsi o schemi logico-ricostruttivi che l’Amministrazione finanziaria sceglie di impiegare allo scopo di ricostruire la fattispecie di evasione posta in essere dal contribuente, e, quindi, allo scopo di rettificare la dichiarazione sulla base di ciò che lo stesso, fin dall’inizio, avrebbe dovuto dichiarare. La scelta in merito a quale tipo di percorso seguire per la contestazione di quanto dichiarato, dipende, ovviamente, dalla quantità e dalla qualità delle informazioni che il Fisco ha acquisito tramite l’attività istruttoria11. Successivamente all’espletamento dei controlli nella fase istruttoria, dunque, laddove lo ritenga opportuno, l’Amministrazione finanziaria può far valere le proprie pretese mediante un atto denominato avviso di accertamento o atto di accertamento. L’avviso di accertamento, infatti, è l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria esercita il potere, conferitole dalla legge, di rettifica della dichiarazione presentata dal contribuente. Tramite tale atto, dunque, l’Amministrazione stabilisce l’ammontare dell’imponibile non dichiarato, calcola la relativa imposta non versata dal contribuente e irroga le sanzioni collegate al tributo. L’avviso di accertamento è dotato di carattere provvedimentale, nel senso che, se non impugnato nel termine previsto dalla legge, diventa suscettibile di consolidamento e, pertanto, l’imposta che risulti evasa sulla base del medesimo atto, dovrà essere versata al Fisco senza che vi sia ulteriore possibilità di contestazione della pretesa fiscale 12 . Il contribuente che riceve l’atto, infatti, dispone di 60 giorni dalla sua notifica per poterlo eventualmente impugnare, integralmente o parzialmente, mediante ricorso alla Commissione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 10
A tal proposito, si veda il paragrafo 2.5. BEGHIN M., Diritto tributario, cit.,175 s. 12 IDEM, ivi, 155.! 11
!
#*!
tributaria provinciale competente. Il contribuente gode però di diverse possibili alternative, quali la presentazione di un’istanza al fine di richiedere l’accertamento con adesione a chi di competenza, o la definizione in via agevolata delle sole sanzioni, o ancora il pagamento delle maggiori imposte accertate e delle sanzioni irrogate in misura ridotta. Se entro 60 giorni dalla notifica, tuttavia, il contribuente non pone in essere nessuna delle ipotesi citate, l’accertamento diventa definitivo e costituisce titolo per la riscossione delle maggiori somme dovute13. La natura provvedimentale dell’atto implica l’esistenza di una serie di disposizioni, vincolanti per l’Amministrazione finanziaria, che attengono al contenuto minimo dell’avviso. Tali specifiche disposizioni si ritrovano nella disciplina di ciascuna imposta, nella parte dedicata all’esercizio del potere accertativo. In generale, tuttavia, ai sensi dell’art. 42 e 43, D.P.R. n. 600/73, l’avviso di accertamento deve possedere, a pena di nullità, determinati requisiti essenziali. Innanzitutto, lo stesso deve arrecare l’indicazione dell’imponibile dichiarato, dei componenti di reddito rettificati, del maggior imponibile accertato, delle imposte liquidate e la scala delle aliquote applicate. Deve inoltre includere la sottoscrizione del capo ufficio o di un delegato dell’ufficio appartenente alla carriera direttiva, e, punto di cruciale importanza, la motivazione, ossia il percorso logico-giuridico che l’Amministrazione ha effettuato al fine di pervenire alla ricostruzione dell’imponibile non dichiarato e dell’imposta non pagata. Alla motivazione, infatti, è affidata la funzione di spiegare al contribuente le ragioni per le quali l’Amministrazione ha redatto e notificato l’atto di imposizione. Più precisamente, ai sensi dell’art. 42, secondo comma, cit., l’atto deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione finanziaria, con l’aggiunta della specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano l’eventuale ricorso a metodi induttivi o sintetici utilizzati. E’ ammesso che la motivazione possa essere esposta anche per relationem ad altri atti, fermo restando, ancora a pena di nullità, il dovere di allegare o riprodurre nelle sue parti essenziali l’eventuale atto sconosciuto dal contribuente a cui la motivazione fa riferimento14. La motivazione è quindi dotata di un’importante funzione informativa: se il Fisco, infatti, non indica i motivi per cui ritiene ci sia stata evasione, molto probabilmente il contribuente non sarà in grado di difendersi nel modo corretto, e, pertanto, verrà posto in essere un ricorso ai limiti della inammissibilità. La motivazione può riguardare il fatto economico che il contribuente ha occultato in tutto o in parte oppure il profilo dell’interpretazione della legge tributaria. In ogni
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 13 14
!
FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, cit., 223. RUSSO A., L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, in Il Fisco, 2010, I, 979.
$+!
caso, a seconda che la motivazione sia sul fatto o sul diritto15, il Fisco modificherà gli argomenti su cui far leva per comporre il proprio atto. E’ inoltre importante sottolineare la notevole differenza tra la motivazione dell’avviso di accertamento e la prova dell’esistenza del credito che, per il tramite di tale atto, il Fisco vanta nei confronti del contribuente. La differenza tra motivazione e prova si ritrova principalmente sul piano funzionale: la motivazione informa il contribuente circa le ragioni dell’azione amministrativa e la prova, per contro, convince il giudice quanto all’esistenza di un certo fatto16. L’avviso di accertamento, che deve inoltre indicare i termini per la notifica17, deve essere infine portato obbligatoriamente a conoscenza del contribuente tramite notificazione al domicilio fiscale, mediante messo notificatore o servizio postale. L’accertamento, con riferimento ai principali tributi, può essere effettuato sulla base di diversi metodi: analitico, sintetico, analitico-contabile, analitico-induttivo, induttivo puro, parziale e d’ufficio18. Gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 41, primo comma, D.P.R. n. 600/73, procedono d’ufficio all’accertamento nei casi di “omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazioni nulle”. Tale tipologia di accertamento è volta a determinare il reddito complessivo del contribuente, e viene eseguita sulla base delle notizie e dei dati di cui l’Amministrazione finanziaria è in possesso. In questo specifico caso è possibile utilizzare presunzioni, anche non gravi, precise e concordanti, ed è possibile prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze della dichiarazione, se presentata e considerata tuttavia nulla, e dalle scritture contabili, anche se regolarmente tenute. I poteri dell’Amministrazione in riferimento a tale accertamento sono dunque notevoli: è possibile infatti fare riferimento a circostanze isolate da cui si possa ricavare, anche in contrasto con eventuali scritture contabili regolarmente tenute, il ragionevole convincimento del possesso di maggiori redditi. Le regole probatorie sono analoghe a quelle dell’accertamento con metodo induttivo, tuttavia, per non trasformare questo accertamento d’ufficio in uno strumento punitivo, la ricostruzione può essere induttiva solo se non si siano rinvenuti elementi idonei per una determinazione analitica19.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 15
Si veda il paragrafo 1.4. BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 155 s.! 17 I termini ordinari sono il 31/12 del 4° anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione o il 31/12 del 5° anno successivo in caso di mancata presentazione della dichiarazione. Nel caso di violazioni che comportano una rilevanza penale, i termini ordinari sono raddoppiati. 18 I principali metodi di accertamento saranno trattati nel dettaglio nei paragrafi che seguono. 19 FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, cit., 221. 16
!
$"!
L’accertamento parziale, regolato dall’art. 41-bis, D.P.R. n. 600/1973, è al contrario un tipo di accertamento che si limita a rilevare una singola omissione e a rettificare il maggior reddito derivante unicamente dalla stessa, al fine di agevolare un rapido recupero dei tributi, senza operare, dunque, un controllo globale della situazione reddituale del soggetto. Tale rettifica di singole operazioni è tipicamente effettuata sulla base dei dati in possesso dell’Anagrafe tributaria o di segnalazioni pervenute dalla Guardia di Finanza aventi la caratteristica della immediata utilizzabilità20. L’accertamento parziale, ad esempio, può interessare redditi di partecipazione in società, redditi di fabbricati, deduzioni, esenzioni o agevolazioni non spettanti, e non esclude, in aggiunta, la possibilità di successivi controlli di carattere generale, sempre nel rispetto dei termini previsti dalla legge.
2.2. L’accertamento analitico-contabile Con la denominazione di accertamento analitico si individuano, di regola, due distinte tipologie di controllo disciplinate nel D.P.R. n. 600/1973: all’art. 38, cit., si ritrova l’accertamento analitico inteso come il metodo che, per le persone fisiche, determina il reddito complessivo imponibile con riferimento alle singole categorie reddituali, mentre all’art. 39, primo comma, cit., l’accertamento analitico per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, effettuato determinando o rettificando singole componenti di reddito, positive o negative. Mediante l’accertamento analitico, ex art. 38, D.P.R. n. 600/73, l’Amministrazione finanziaria determina il reddito del contribuente a partire dalle specifiche fonti, applicando le disposizioni riguardanti le singole categorie reddituali contemplate nel TUIR; ciascuna delle categorie, infatti, è caratterizzata da precise regole quanto, ad esempio, all’imputazione a periodo o alla rilevanza di determinati costi. L’analiticità di tale tipologia di accertamento, dunque, consiste nell’obbligo per l’Amministrazione, disciplinato dal legislatore, di procedere alla rideterminazione del reddito unicamente attraverso l’applicazione delle disposizioni riguardanti le singole categorie reddituali. Una volta individuato un illecito con riferimento ad una determinata categoria, infatti, l’Amministrazione procede, di regola, alla rettifica della dichiarazione tramite l’applicazione esatta delle specifiche disposizioni sostanziali violate21. L’accertamento analitico, nei confronti delle persone fisiche non soggette ad IVA, si presenta, in definitiva, come un accertamento volto a rideterminare il reddito imponibile complessivo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 20 21
!
IDEM, ivi, 216. BEGHIN M., L’accertamento contabile, schema della lezione tenutasi a Bologna il 10 giugno 2011, 1 s.!
$#!
mediante il ricalcolo di specifici elementi, individuati con riferimento alle singole categorie reddituali, e lo scomputo, in tutto o in parte, delle deduzioni e detrazioni non spettanti indicate dal contribuente in dichiarazione22. Tale schema analitico si ritrova anche con riferimento ai soggetti esercenti attività d’impresa e attività di lavoro autonomo; al contrario dell’accertamento analitico ex art. 38, cit., l’accertamento analitico ex art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600/73, viene effettuato, sia per le imposte dirette che per l’IVA23, sulla base dei dati risultanti dalle scritture contabili. In tal senso, infatti, quest’ultimo metodo di accertamento viene definito anche come accertamento contabile: lo stesso è infatti analitico in quanto presuppone la conoscenza della fonte e contabile in quanto interviene sulle singole componenti del reddito che poggiano sulla contabilità stessa24. Anticipando quanto verrà detto nel prosieguo, l’art. 39, D.P.R. n. 600/73, prevede in realtà due distinte metodologie di accertamento dei redditi dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, la cui adozione dipende essenzialmente dal grado di attendibilità della contabilità e si differenzia in base al maggiore o minore ricorso ad elementi di carattere presuntivo25. In via preliminare, tuttavia, è opportuno sottolineare come il testo dell’art. 39, cit., non contenga in realtà alcuna denominazione specifica in relazione alle tipologie di accertamento disciplinate. Senza mai definire l’accertamento come analitico o induttivo, oppure come contabile o extracontabile26, infatti, il legislatore si limita a prevedere, nel primo comma, alcune situazioni in relazione alle quali l’Amministrazione finanziaria può procedere alla rettifica del reddito d’impresa dichiarato dal contribuente, secondo modalità vincolanti determinate dalla norma stessa, e nel secondo comma, invece, alcune ipotesi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 22 !Per l'accertamento in rettifica del reddito complessivo delle persone fisiche, è prevista, ex art. 38, D.P.R. n. 600/1973, oltre all'identificazione delle singole categorie reddituali che compongono tale reddito, e delle deduzioni o detrazioni non spettanti, secondo il metodo analitico, anche l’identificazione delle ricchezze disponibili occultate sulla base dell’esame delle spese in consumi e in investimenti sostenute dal contribuente, secondo il metodo sintetico. Tramite l’accertamento sintetico, l’Amministrazione finanziaria, in via presuntiva, determina il reddito complessivo del contribuente persona fisica sulla base del tenore di vita dello stesso. In tale metodologia di accertamento, infatti, spesso le specifiche fonti del reddito risultano sconosciute al Fisco, non permettendo, quindi, l’utilizzo di una metodologia analitica, ma favorendo, al contrario, un’indagine sulle spese del contribuente allo scopo di quantificare la disponibilità economica alla base delle stesse, la quale potrebbe, appunto, rivelare l’esistenza di redditi non dichiarati. (LUPI R., Diritto tributario, parte generale, Milano, 2005, 189) Tale accertamento sintetico non rappresenta una forma di controllo secondario, a cui l’Amministrazione è tenuta a procedere solo successivamente alla rettifica del reddito tramite il metodo analitico. I metodi analitico e sintetico, infatti, non seguono uno schema gerarchico, ma si pongono come metodi alternativi, nel senso che il Fisco può discrezionalmente orientarsi verso quello che preferisce, a condizione che sussistano i presupposti per farlo. La sola conoscenza delle fonti non esclude, infatti, l’accertamento sintetico; deve conseguentemente escludersi che la legittimità del suddetto accertamento sia subordinata all'impossibilità di procedere all'accertamento analitico o che comunque la stessa debba essere supportata da specifica motivazione in tal senso. (BEGHIN M., L’accertamento contabile, cit., 3)! 23 Si vedano gli artt. 54 e 54-bis, D.P.R. n. 633/1972, in materia di IVA. 24 FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, cit., 242 s. 25 Si vedano i paragrafi 2.3. e 2.4. 26 L’accertamento denominato induttivo-extracontabile è disciplinato dall’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/73 (paragrafo 2.4.).
!
$$!
tassative. Di regola, dunque, in presenza di scritture contabili regolari e attendibili 27 , l’Amministrazione finanziaria pone in essere un accertamento di tipo analitico-contabile, basato su una contestazione delle singole poste contabili al fine di rettificare il reddito. L’ art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600/73, determina un accertamento analitico basato non solo sulle specifiche disposizioni della categoria in oggetto (reddito d’impresa o reddito di lavoro autonomo), ma anche sulle disposizioni che regolano le singole componenti del reddito, siano esse positive o negative. In questo caso, dunque, nel rettificare il reddito imponibile, recuperando a tassazione componenti positive occultate o elementi negativi illecitamente dedotti, l’Amministrazione finanziaria non mette in alcun modo in discussione la capacità rappresentativa delle scritture contabili, le quali rimangono, al contrario, il punto d’appoggio per la rideterminazione del reddito (da qui, ancora, la definizione di accertamento analitico-contabile, giustificata dal fatto che il controllo della dichiarazione e la determinazione dell’imponibile non prescindono dal contenuto delle scritture contabili, in quanto attendibili). Tale accertamento si sviluppa nel merito di una contabilità che offre un quadro soddisfacente della ricchezza prodotta dall’imprenditore e che, di conseguenza, non viene disatteso dal Fisco. Questa tipologia di accertamento, vincolata alla contabilità e basata sulla contrapposizione tra elementi positivi e negativi di reddito accertati, risponde pertanto al criterio di determinazione del reddito d’impresa su basi effettive, così come previsto dall’ordinamento tributario italiano sia nei confronti del contribuente, in sede di dichiarazione, sia, quindi, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo. Nell’accertamento analitico-contabile, dunque, la modalità di determinazione del reddito imponibile in base alle scritture contabili, applicabile alla generalità delle dichiarazioni, garantisce la parità di trattamento tra Amministrazione finanziaria e contribuente: il Fisco segue, di conseguenza, il percorso procedimentale al quale è obbligato il soggetto passivo, procedendo ai controlli sulla base della medesima analiticità con cui lo stesso determina il proprio reddito28. Pur rappresentando la tipologia ordinaria che l’Amministrazione finanziaria dovrebbe seguire per la rettifica dei redditi dei soggetti obbligati a tenere le scritture contabili, l’accertamento analitico-contabile non è esperibile sempre e comunque, ma deve trovare fondamento in specifiche circostanze di fatto. L’art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600/73, descrive infatti i presupposti tipici che consentono l’applicazione di tale metodo accertativo: la presenza di divergenze ingiustificate riscontrate tra i dati indicati nella dichiarazione dei redditi e quelli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 27 28
!
Per cosa si intenda per “scritture contabili attendibili”, si veda il capitolo terzo. BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 193.!
$%!
indicati in bilancio, nel conto economico dei profitti e delle perdite e nell’eventuale prospetto informativo (lett. “a”); l’inesatta applicazione delle disposizioni sul reddito d’impresa e di lavoro autonomo, in base all’attuale titolo I, capo VI, del TUIR (lett. “b”); l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione e allegati, risultante in modo certo e diretto da verbali di ispezioni o da indagini svolte nei confronti di altri soggetti, ovvero da altri atti e documenti in possesso dell’Ufficio (lett. “c”) 29. Va evidenziato, inoltre, che nel contesto dell’accertamento analitico, l’Ufficio può, relativamente al controllo dell’esistenza di attività non dichiarate o dell’inesistenza di passività dichiarate, avvalersi anche di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti, ex art. 39, primo comma, lett. d), cit30.
2.3. L’accertamento analitico-induttivo Come già anticipato, nel disciplinare l’accertamento analitico, l’art. 39, primo comma, D.P.R. n. 600/73, indica alla lettera d) la possibilità di disattendere una parte della contabilità accertando, in via presuntiva, alcune poste della stessa secondo un metodo analitico-induttivo. In questo caso si tratta, dunque, di un metodo analitico con inserzione di alcuni elementi induttivi, che, a differenza del metodo analitico-contabile puro, ha in più ad oggetto la ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi e passivi. La possibilità concessa all’Amministrazione finanziaria, di procedere invece ad un accertamento induttivo puro è subordinata a sua volta, ad una serie di condizioni esposte nel secondo comma della medesima norma. La formale regolarità delle scritture contabili può essere superata dall’Amministrazione, dunque, solo a mezzo di ragionamenti di carattere presuntivo, legittimati dal legislatore stesso con il vincolo della sussistenza delle presunzioni c.d. qualificate, ossia presunzioni semplici dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ex art. 2729, c.c.31. L’art. 39, primo comma, lett. d), cit., pertanto, soddisfa l’esigenza di pervenire ad un risultato il più vicino possibile alla reale capacità economica, mediante la valutazione di più elementi derivanti dalla conoscenza di fatti secondari, acquisiti al fine di dedurre l’esistenza di un fatto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 29
CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, in ANTICO G, CARRIROLO F., FUSCONI V., TUCCI G., ZAPPI A., L’accertamento fiscale, Milano, 2007, 92 s.! 30 Tale tipologia di accertamento è definita analitico-induttiva (paragrafo seguente), allo scopo di mettere in risalto gli elementi presuntivi che la caratterizzano e che, al tempo stesso, la differenziano in parte sia dall’accertamento analitico-contabile, che dall’accertamento induttivo-extracontabile, definito anche, in tal senso, come accertamento induttivo puro (paragrafo 2.4.). 31 La tematica delle presunzioni nell’accertamento tributario verrà approfondita nel paragrafo 2.5.
!
$&!
principale ignorato. Secondo tale logica, infatti, l’accertamento analitico-induttivo è consentito anche in presenza di una contabilità formalmente tenuta e ineccepibile, ma contestabile, in realtà, sulla base di valutazioni condotte per il tramite di presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano quindi seriamente dubitare della completezza e della fedeltà della contabilità esaminata32. La valorizzazione di tale metodo analitico-induttivo, in quanto metodo di accertamento misto, è stata indotta dalla difficoltà che ha condotto all’introduzione degli studi di settore stessi, riscontrata dall’Amministrazione finanziaria nel compiere accertamenti di tipo contabile nei confronti dei piccoli imprenditori che, di regola, non evadono attraverso le scritture contabili, bensì attraverso l’occultamento di fatti economici33. L’art. 62-sexies, D.L. n. 331/1993, ha infatti precisato che gli accertamenti di cui all’art 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/7334, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore, elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del medesimo decreto legge35. Nel merito della possibilità di superamento di una contabilità formalmente corretta, prevista dalla citata lettera “d”, si è riscontrata, infine, l’esistenza di una casistica di fattispecie ampia ed eterogenea36 a tal punto che, nel tempo, la giurisprudenza è stata costretta a compiere un notevole sforzo interpretativo riguardo alle situazioni legittimanti l’utilizzo del suddetto metodo analitico-induttivo37.
2.4. L’accertamento induttivo-extracontabile Il secondo comma dell’art. 39, D.P.R. n. 600/73, prevede un accertamento del reddito di tipo induttivo-extracontabile, che prescinde, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili e che pone alla base della determinazione del reddito del contribuente dati e notizie
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 32
RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili e opzioni normative di accertamento tra metodo analitico e induttivo, in Fisco, 2013, 1229 s.! 33 BEGHIN M., L’accertamento contabile, cit., 5. 34 Il tutto vale anche con riferimento all’art. 54, D.P.R. n. 633/72, in materia di IVA. 35 Si veda il paragrafo 2.7. 36
Ad esempio, la Corte di cassazione ha affermato, più volte, la legittimità di un accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/73, basato sul ragionamento del c.d. tovagliolometro. L’accertamento in oggetto, dunque, ricostruisce i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario di tovaglioli utilizzati (il numero dei tovaglioli lavati può servire, infatti, a ricostruire il numero dei coperti e, di conseguenza, il numero dei pasti erogati). (Cass., Sez. trib., n. 9884/2002, n. 8869/2007). 37 Si veda il paragrafo 2.6.
!
$'!
comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Ufficio, nonché presunzioni non necessariamente gravi, precise e concordanti. Al verificarsi di determinate ipotesi, sostanzialmente connesse alla materiale inesistenza o indisponibilità delle scritture contabili, o ancora alla sussistenza di una contabilità nel suo complesso inattendibile, l’Amministrazione finanziaria, dunque, può determinare il reddito d’impresa senza l’obbligatorio rispetto delle modalità vincolanti previste per l’accertamento analitico 38 . Se l’attendibilità delle scritture contabili del contribuente viene per qualche motivo a mancare, infatti, la ricostruzione del reddito non potrà chiaramente essere fondata sulle risultanze della contabilità, dovendo privilegiare, al contrario, altri elementi argomentativi di tipo extracontabile. Nel caso in cui la contabilità sia giudicata inattendibile, ma anche quando la stessa non sia stata nemmeno tenuta, l’Amministrazione finanziaria può dunque procedere ad una determinazione del reddito d’impresa basandosi su elementi, dati e notizie di cui è venuta a conoscenza, e potendo avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con facoltà39, pertanto, di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture contabili, laddove esistenti 40 . Nell’accertamento induttivo-extracontabile l’Amministrazione finanziaria non si occupa pertanto del recupero a tassazione delle singole componenti positive o negative del reddito, ma ricostruisce per masse, sulla base di stime, l’incremento patrimoniale ascrivibile al determinato contribuente. Accertare con metodologia induttiva significa che l’Amministrazione finanziaria dispone di un quadro contabile che, per gli errori e le omissioni che lo caratterizzano, non può costituire la base per il controllo del reddito dichiarato. Da ciò, appunto, deriva la possibilità di disattenderlo e di procedere alla ricostruzione del reddito attraverso presunzioni dette “semplicissime” 41. Nel secondo comma dell’art. 39, cit., è infatti prevista la facoltà di avvalersi di presunzioni semplici non qualificate, ossia non assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, rappresentanti, dunque, un minus rispetto alle presunzioni semplici disciplinate dal codice civile. Tali presunzioni possono trarre origine dalla conoscenza di un fatto sintomatico certo dal quale sia possibile far scaturire gli elementi che ragionevolmente conducono alla determinazione induttiva del reddito d’impresa, anche al di là delle specifiche ipotesi indicate nelle varie lettere del secondo comma stesso42. Si ritiene, tuttavia, che le suddette presunzioni, ricavate da caratteristiche esteriori dell’attività commerciale o !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
PINO C., Le scritture contabili e il controllo del reddito d’impresa, Padova, 2012, 170. ! In merito alla facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle scritture contabili, in presenza dei presupposti per condurre un accertamento induttivo, si veda il paragrafo 2.6. 40 BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 198 s. 41 BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile” nella morsa degli studi di settore, in Riv. giur. trib., 2009, 970 s.! 42 RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili, cit., 1230.! 38 39
!
$(!
professionale, debbano essere almeno assistite, in ogni caso, dal requisito della ragionevolezza, nel senso che il fatto presunto deve poter essere identificato come conseguenza logica e univoca di una determinata premessa. Tale controllo extracontabile, infatti, prende tipicamente in considerazione variabili esterne alla contabilità, ma pur sempre strettamente connesse all’attività esercitata, quali, ad esempio, le dimensioni dei locali, i beni impiegati e acquisiti, le retribuzioni, etc..43. Al fine di poter adottare tale accertamento induttivo-extracontabile, l’Amministrazione finanziaria, prima di procedere alla vera e propria ricostruzione del reddito d’impresa in base ai dati e alle notizie raccolti, è tenuta, al fine di poterle disattendere, a dimostrare che le scritture contabili dell’imprenditore non sono state in realtà mai tenute o risultano inattendibili. L’accertamento induttivo puro può essere effettuato, infatti, nel caso in cui il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione; se dal verbale d’ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all’ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; e, infine, se le irregolarità formali, le omissioni, le falsità e le inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d’ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture contabili44. In ogni caso, è bene ricordare come l’inattendibilità delle scritture contabili richiamata dal secondo comma, art. 39, cit., agisca sempre sul fronte dei soli presupposti per l’impiego della metodologia induttiva, e mai su quello dei percorsi da utilizzare per la ricostruzione del reddito del contribuente45.
2.5. Presunzioni, prova e motivazione nell’accertamento del reddito d’impresa Con la riforma tributaria del 1971, il cui principale scopo era quello di costituire un modello di determinazione e accertamento del reddito d’impresa basato sulle scritture contabili, sono state notevolmente rafforzate le garanzie inerenti la regolare tenuta della contabilità, con una conseguente limitazione della facoltà, in capo all’Amministrazione finanziaria, di condurre un libero accertamento, sostituito, a partire da quel momento, da un controllo sottoposto a determinati vincoli procedurali. Nello specifico, tali vincoli consistono nella preventiva verifica dell’attendibilità e della completezza delle scritture contabili, nella limitazione dell’utilizzo di modalità unicamente induttive per l’accertamento del reddito e nell’obbligo di utilizzo di presunzioni qualificate in presenza di scritture contabili regolari. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 43
FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, cit., 248. In merito a tale giudizio di inattendibilità delle scritture contabili, si veda il paragrafo 3.1. 45 BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile”, cit., 970 s.! 44
!
$)!
La conseguenza principale di tale impianto normativo è stata l’attribuzione di una particolare valenza alle scritture contabili, in grado di elevare le stesse, se regolarmente tenute, a mezzi di prova vincolanti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Se il reddito è determinato in base alle scritture contabili, infatti, prima di procedere alla rettifica del reddito con metodo induttivo, l’Amministrazione è tenuta a dimostrare che le scritture, nel loro complesso, sono inattendibili. Le scritture contabili regolarmente tenute e, pertanto, attendibili, costituiscono una presunzione a favore del contribuente, in virtù dell’ulteriore presunzione di identità fra reddito contabile e reddito effettivo. Tale presunzione di veridicità delle scritture contabili conferisce alle stesse, dunque, un pieno valore di prova nei confronti dell’Amministrazione, fermo restando che le stesse, ovviamente, non sono in grado di fornire alcuna prova certa dei fatti non contabilizzati dal contribuente o contabilizzati in modo difforme dalla realtà, al solo fine di occultare l’imponibile46. La corretta identificazione della tipologia di accertamento da eseguire, dunque, diventa fondamentale sia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, tenuta ad adempiere all’obbligo di motivare l’avviso di accertamento47, sia nei confronti del contribuente, al fine di consentire l’idoneo svolgimento della difesa dello stesso. In particolare, nel momento in cui l’Amministrazione decide di effettuare un accertamento di tipo contabile, essa è tenuta a dare prova unicamente dei presupposti specificatamente indicati nel primo comma dell’art. 39; al contrario, quando la stessa decide di operare all’interno del quadro dell’accertamento extracontabile, la motivazione del provvedimento amministrativo assume una forma più articolata: l’Ufficio è tenuto, innanzitutto, ad indicare le ragioni per le quali giudica la contabilità inattendibile e, in un secondo momento, ad argomentare in merito alla rideterminazione stessa del reddito 48 . Il fondamentale ruolo giocato dalla motivazione nell’ambito di un accertamento induttivo-extracontabile si spiega pensando a come tale metodologia di controllo rappresenti, per l’Amministrazione stessa, uno strumento accertativo di grande rilievo, in quanto in grado di superare la protezione, costituita dalla contabilità, offerta dal legislatore al contribuente. L’Amministrazione finanziaria, dunque, quando sussistono tutti i presupposti per procedere con un metodo induttivo-extracontabile, deve, in primis, fornire una motivazione in merito alla sussistenza delle condizioni che legittimano tale tipologia di accertamento. Essa dovrà pertanto dimostrare l’esistenza di uno dei presupposti elencati all’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/73, al fine di poter prescindere, del tutto o in parte, dalla contabilità stessa e di poter procedere alla rettifica induttiva del reddito complessivo, utilizzando a tal fine anche !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 46
PINO C., Le scritture contabili, cit., 162. Si veda il paragrafo 2.1. 48 BEGHIN M., L’accertamento contabile, cit., 5.! 47
!
$*!
elementi indiziari, sforniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza propri delle presunzioni semplici. Le presunzioni, così come definite nell’art. 2729 c.c., si identificano con le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto. Esse si distinguono in presunzioni legali assolute, ossia previste ex lege e per le quali non è ammessa prova contraria; presunzioni legali relative, previste anch’esse ex lege ma che ammettono prova contraria da parte del soggetto contro il quale esse sono stabilite49; e presunzioni semplici, ossia deduzioni che il giudice trae, in presenza di circostanze gravi, precise e concordanti, al fine di formare il proprio convincimento in relazione a fatti non provati. Nello specifico, come più volte accennato, le presunzioni semplici, ovvero gravi, precise e concordanti, possono costituire la base per desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, ai fini dell’accertamento analitico del reddito, ex art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/73. In base all'articolo 2729, c.c., tali presunzioni semplici sono «lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti». In sostanza, per le presunzioni semplici, e con riferimento al diritto tributario, i fatti sui quali esse si fondano devono essere provati in giudizio e il relativo onere grava sulla stessa Amministrazione finanziaria, la quale è tenuta, quindi, a dimostrare che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva sono dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza50. La gravità di una presunzione è di regola data dal rilevante grado di contiguità logica tra il fatto noto e quello ignoto, la precisione dall’oggettiva certezza del fatto noto e la concordanza dall’univoco significato di una serie di elementi indiziari. Negli anni, la giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che per gravi si intendono gli elementi presuntivi oggettivamente e intrinsecamente consistenti e, come tali, resistenti, alle possibili obiezioni, e per precisi gli elementi dotati di specificità e concretezza. E ancora, la stessa ha altresì evidenziato che il requisito della gravità risulta individuabile nella probabilità che il fatto presunto sia vero, quello della precisione nella certezza del fatto noto e quello della concordanza nella coerenza tra gli elementi posti alla base della rettifica. Va inoltre rilevato come le tre qualità richieste dalla norma possano risultare, in qualche caso, ridondanti, potendosi ritenere, infatti, di essere in presenza di presunzioni qualificate non solo quando vi sia un insieme di elementi
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 49
Le presunzioni c.d. legali sono quelle il cui valore probatorio è riconosciuto dalla legge e che da sole sono sufficienti a legittimare, ad esempio, la rettifica del reddito imponibile addossando, nel caso in cui esse siano relative, l’onere della prova contraria a carico del contribuente, che potrà quindi dimostrare, nel caso, l’insussistenza della pretesa impositiva. ! 50 IORIO A., Le presunzioni nell’accertamento tributario: studi di settore e antieconomicità delle scelte imprenditoriali, Perugia, 2013, 5 s.
!
%+!
presuntivi, ma anche uno soltanto in grado però di caratterizzare il fatto presunto da un elevato grado di probabilità51. Con riferimento alla necessità di avvalersi di presunzioni qualificate, esiste, all’art. 39, secondo comma, cit., come già anticipato, una particolare deroga, prevista nel caso di violazioni particolarmente gravi. In questo caso, appunto, all'Amministrazione finanziaria è consentito effettuare la rettifica del reddito anche sulla base di presunzioni non qualificate, sprovviste quindi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, ferma restando la necessità che il ragionamento presuntivo posto in essere contempli comunque un’elevata probabilità di esistenza del fatto presunto. Tutti gli accertamenti di tipo analitico-induttivo, effettuati a norma della lett. d), primo comma, art. 39, cit., disciplinano invece l’utilizzo di sole presunzioni qualificate al fine di dimostrare l’esistenza dei presupposti necessari a legittimare una rettifica del reddito del contribuente. La medesima norma limita, inoltre, l’utilizzo della suddetta prova per presunzioni, specificando, innanzitutto, che la stessa è ammissibile solo se, precedentemente, sono state poste in essere ispezioni sulle scritture contabili, e, in aggiunta, utilizzabile al solo fine di accertare l’esistenza di attività non dichiarate o passività inesistenti comunque dichiarate, e non per dimostrare una qualsiasi incompletezza o falsità delle scritture contabili stesse. La logica adottata dal legislatore, pertanto, prendendo corpo dalla principale presunzione di veridicità delle scritture contabili, non permette alle stesse di essere minate o smentite da prove più deboli, ossia costituite unicamente da presunzioni52. In conclusione, con riferimento alla disciplina dell’accertamento analitico, si comprende come la presunzione di veridicità delle scritture contabili regolarmente tenute abbia costituito la ratio che ha ispirato il legislatore nel prevedere tutte le ipotesi del primo comma, art. 39, cit. Le violazioni previste, infatti, non essendo così gravi da rendere l’intera contabilità inattendibile, consentono all’Amministrazione finanziaria di rettificare le dichiarazioni unicamente utilizzando i dati contabili e di eseguire correzioni solo in base a determinate prove di falsità, inesattezza od incompletezza di una o più poste, le quali possono consistere anche in presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 51
IDEM, ivi, 7. VOGLINO A., I presupposti degli accertamenti disciplinati dall’art. 39 del D.P.R. 600/1973 fra realtà normativa e strappi interpretativi, in Boll. trib., 1996, 1710 s.
52
!
%"!
2.6. La discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nella scelta del metodo di accertamento Nonostante l’accertamento analitico e l’accertamento induttivo del reddito d’impresa 53 , rispettivamente ex art. 39, primo e secondo comma, D.P.R. n. 600/73, siano già specificatamente subordinati alla ricorrenza dei casi espressamente indicati dalla norma, nel tempo, la giurisprudenza di legittimità ha comunque sancito la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria nella scelta tra il metodo contabile e quello extracontabile. La Corte di cassazione ha infatti più volte affermato che l’art. 39, secondo comma, nel momento in cui consente all’Amministrazione di prescindere dalle scritture contabili per accertare il reddito imponibile, conferisce in realtà unicamente una facoltà, non imponendo, pertanto, alcun obbligo, e consentendo all’Amministrazione medesima di optare comunque per una rettifica di tipo analitico. Più precisamente, nella recente sentenza n. 1122/201354 in riferimento a tale tematica, la Corte Suprema ha affermato che, in presenza dei presupposti che consentono il ricorso all’accertamento induttivo, all’Ufficio non è preclusa la possibilità di procedere comunque ad accertamento analitico, rinunciando così ad una sua facoltà. La Corte ha inoltre dichiarato che nel caso opposto la discrezionalità non è al contrario prevista, nel senso che al ricorrere dei presupposti per l’accertamento in via analitica l’Amministrazione non è legittimata a procedere ad accertamento induttivo. Le gravità che affliggono le irregolarità delle scritture, tanto da renderle inattendibili, e che consentono all’Amministrazione finanziaria di adottare il metodo induttivo, prescindendo quindi dai dati delle scritture stesse, non impediscono, dunque, di condurre un accertamento analitico, o entrambe le opzioni contemporaneamente55. La Corte di cassazione, nella sentenza n. 8835/2001, nella quale è giunta alla medesima conclusione
della
suddetta
sentenza
del
2013
in
merito
alla
discrezionalità
dell’Amministrazione finanziaria nella scelta tra accertamento contabile e extracontabile, si è !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 53
Nel contesto dell’elaborato si preferisce far riferimento alla categoria del reddito d’impresa, tuttavia non si dimentichi che quanto disciplinato dai suddetti articoli vale in realtà anche per il reddito di lavoro autonomo. 54 In realtà, quella del 2013 non è stata la prima volta in cui la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nonostante siano presenti le condizioni di applicabilità dell’accertamento induttivo, l’Ufficio è comunque libero di determinare l’imponibile in via analitica. In tal senso, infatti, si veda Cass., n. 686/2002, e Cass., n. 8835/2001: “L’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo ai sensi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/73, non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico ex art. 39, primo comma, medesimo D.P.R., oppure di entrambe le metodologie”. E ancora Cass., n. 6945/2001: “ La legge attribuisce soltanto la facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e non impone l’obbligo di scegliere la via dell’induttivo. In presenza di presupposti che consentono l’accertamento induttivo, sulla base della maggiore gravità delle violazioni constatate, all’Ufficio non è preclusa la possibilità di procedere ad accertamento analitico, rinunciando ad esercitare una sua facoltà. Al contrario, in presenza dei presupposti che legittimano soltanto l’accertamento analitico, l’Ufficio non può procedere ad accertamento induttivo”. ! 55 RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili e opzioni normative di accertamento, cit., 1230.!
!
%#!
occupata, inoltre, della linea di confine esistente tra accertamento analitico-induttivo e induttivo puro, identificando la stessa nella fonte della pretesa. Nell’ambito di un accertamento ex art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/73, infatti, la pretesa deriva dalla presenza di presunzioni qualificate, mentre nel caso di un accertamento ex art. 39, secondo comma, cit., dalle specifiche e tassative condizioni descritte nella norma appena citata. In particolare, come già anticipato, le differenze tra l’uno e l’altro tipo di accertamento risultano principalmente rilevanti in sede contenziosa, dovendo l’Ufficio, nel secondo caso, sostenere il peso della prova della complessiva inattendibilità della contabilità, prova di cui il contribuente potrà contestarne anche l’effettivo raggiungimento. A tal proposito, nel tempo, si è sviluppato un dibattito in merito a quale tipologia di accertamento sia più correttamente adottabile nel caso del ritrovamento di una documentazione extracontabile presso il contribuente, ossia in grado di porre in discussione le risultanze della contabilità “ufficiale”. Pur riconoscendo piena validità alla suddetta documentazione extracontabile, perfettamente idonea alla ricostruzione presuntiva del reddito imponibile, infatti, parte della giurisprudenza di legittimità ha sostenuto nel tempo che la presenza della stessa faccia automaticamente “scattare” l’inattendibilità della contabilità ufficiale, mentre altra parte che tale documentazione extracontabile si configuri, in realtà, solo come presunzione qualificata, da utilizzarsi, quindi, nell’ambito di un accertamento analiticoinduttivo. In merito a tale seconda ipotesi, si segnala la sentenza n. 25610/2006 con cui la Corte di cassazione ha affermato che “gli appunti del contribuente, rinvenuti in sede di verifica, costituiscono documenti riepilogativi e costitutivi della situazione economica, patrimoniale e finanziaria del contribuente e, pertanto, è legittimo il loro utilizzo da parte del Fisco come strumenti indiziari forniti di gravità, precisione e concordanza”. E ancora la sentenza della Corte di cassazione n. 3222/2006: “Il rinvenimento di una contabilità informale tenuta su brogliacci, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, schede, agende costituisce un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento analitico-induttivo”56. Per quanto riguarda la linea di pensiero alternativa, invece, la Corte di cassazione, nella sentenza n. 17365/2009, ha affermato che “il ritrovamento da parte della Guardia di finanza, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al c.d. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 56
!
Sulla stessa linea, Cass., n. 10564/2011, n. 19902/2008, n. 3222/2007, n. 1987/2005 e n. 19598/2003.
%$!
accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600/1973, art. 39, comma secondo”. E ancora, nella sentenza n. 6949/2006, la Corte si è espressa come segue: “l’esistenza di una contabilità parallela comporta l’inattendibilità della contabilità ufficiale, con la conseguente possibilità di utilizzare presunzioni semplicissime, prescindendo dalle scritture ufficiali. In tal caso, l’accertamento acquista le caratteristiche di accertamento induttivo-extracontabile, e non quelle di accertamento analitico-induttivo”57. Pur nel caso in cui si adotti la linea di pensiero secondo cui dalla presenza di una determinata documentazione extracontabile deriva l’inattendibilità delle scritture contabili nel loro complesso, secondo quanto detto in precedenza, l’Amministrazione potrà in ogni caso scegliere di non effettuare un accertamento induttivo del reddito, bensì un accertamento ex art. 39, primo comma, cit., e, quindi, anche con metodo analitico-induttivo, procedendo, pertanto, ad una rettifica presuntiva non del reddito complessivo, ma di singole componenti positive o negative.
2.7. Le modifiche introdotte dalla disciplina degli studi di settore nell’accertamento del reddito d’impresa L’accertamento basato sugli studi di settore rappresenta una novità rispetto agli accertamenti ordinari, sia di natura contabile che extracontabile, in quanto si configura come un metodo di accertamento fondato su determinazioni matematico-statistiche, che non richiede, almeno in prima istanza, alcuna attività istruttoria da parte dell’Amministrazione finanziaria. Le motivazioni che hanno portato alla nascita di tale tipologia di accertamento possono essere ricondotte sia all’esistenza di una diffusa evasione, in particolar modo all’interno dei settori della piccola e media impresa e delle libere professioni, sia all’effettiva impossibilità da parte dell’Amministrazione di effettuare un numero di accertamenti sul campo sufficiente a contrastare il citato fenomeno. L’accertamento del reddito basato sulle scritture contabili, infatti, ha manifestato evidenti limiti soprattutto nei confronti dei contribuenti di minori dimensioni: gli stessi, infatti, come già accennato58, nella maggior parte dei casi presentano una contabilità formalmente regolare, pur realizzando evasione tramite l’omessa contabilizzazione dei fatti aziendali realmente avvenuti. Quanto descritto deriva dello stretto collegamento esistente tra l’attendibilità delle scritture contabili ed i criteri di rettifica dell’imponibile dichiarato, che ha spesso impedito all’Amministrazione finanziaria di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 57 58
!
Sulla stessa linea, Cass., n. 24206/2008, n. 27059/2006, n. 19598/2003 e n. 11459/2001. Si veda il paragrafo 1.4.
%%!
avvalersi della ricostruzione induttiva del reddito incentrata su elementi esteriori, costringendo la stessa, al contrario, a procedere ad una determinazione dell’imponibile esclusivamente su base analitico-contabile. Il discorso è differente, invece, nei confronti delle imprese di più elevate dimensioni, la cui evasione è essenzialmente riconducibile all’interpretazione o alla manipolazione della contabilità; rispetto ai suddetti contribuenti, infatti, gli accertamenti di tipo analitico-contabile risultano da sempre caratterizzati da un buon grado di utilità e efficacia. Le problematiche in merito all’accertamento delle piccole imprese sono state la diretta conseguenza della riforma fiscale del 1971, a seguito della quale è stato introdotto nel nostro ordinamento tributario il modello di determinazione del reddito d’impresa, incentrato sul risultato del conto economico, anche nei confronti degli imprenditori di più modeste dimensioni. La fase impositiva, di conseguenza, è stata incentrata sulla tenuta delle scritture contabili anche con riguardo a contribuenti in grado, comunque, di orientarsi sull’andamento della propria attività anche senza avvalersi dell’ausilio di libri e registri contabili. Allo scopo di superare il descritto ostacolo delle scritture contabili, nel tempo, il legislatore ha sviluppato differenti metodologie di accertamento relativamente alle quali l’Amministrazione finanziaria, a prescindere dal giudizio sull’attendibilità delle scritture contabili obbligatorie, ha la possibilità di stimare il reddito, il volume dei ricavi o dei compensi del contribuente sulla base di elementi, dati e notizie esteriori, tipicamente non desumibili dalla contabilità. Le suddette metodologie, infatti, sono state basate su predeterminazioni in grado di intercettare componenti positive di reddito mediante elementi esteriori individuati dalla legge, a cominciare dai coefficienti presuntivi, funzionali all’accertamento dei ricavi e del reddito, successivamente abbandonati e sostituiti dai c.d. parametri, a partire dai quali è poi emersa l’attuale disciplina degli studi di settore59. Il legislatore tributario, per il tramite dell’art. 62-sexies, terzo comma, D.L. n. 331/1993, convertito con modificazioni nella L. n. 427/1993, è giunto infatti a concedere spazio a controlli di tipo indiretto, basati su elementi esteriori non ricavabili dalle scritture obbligatorie: “gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, e successive modificazioni, e 54, D.P.R. n. 633/1972, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta (…)”. Tale metodo di rettifica può far leva, quindi, su elementi esteriori, consistenti in dati, elementi, notizie e, in generale, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 59
BEGHIN M., I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, in FALSITTA G., Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, 2010, 709.!
!
%&!
informazioni, che, per le loro caratteristiche, non si prestano ad essere desunti dalla contabilità, in quanto esprimenti non il corrispettivo o il valore di un’operazione o di un fatto economico, ma un suo particolare aspetto fattuale. Ad esempio, potrebbe trattarsi del monte ore riferito alla manodopera, dei metri quadrati di materiale consumato nella produzione di taluni beni, dei kilowatt impiegati nell’ambito del circuito lavorativo, dell’estensione dei locali adibiti all’attività economica, del numero delle prestazioni di servizi e così via60. L’art. 62-sexies, terzo comma, cit., contiene al suo interno anche il riferimento agli studi di settore, i quali si collocano ancora nel quadro dei controlli indiretti, in quanto esprimenti, con riferimento a particolari gruppi di imprenditori o di professionisti, dati di normalità economica: “gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, e successive modificazioni, e 54, D.P.R. n. 633/1972, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili (…) dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto”. Il funzionamento degli studi di settore, dunque, si basa in prevalenza su dati non ricavabili dalla contabilità, in cui il volume dei ricavi considerato “normale” è il frutto di una predeterminazione da utilizzare, in un secondo momento, quale punto d’appoggio per ragionare sulle gravi incongruenze rispetto ai ricavi dichiarati. Al contrario, nel caso di accertamenti che poggino sui citati elementi esteriori, anch’essi in ogni caso non suscettibili di registrazione contabile, invece, l’ammontare di ricavi ascrivibili al contribuente è frutto del diretto impiego di una presunzione semplice61. A tal proposito, è bene evidenziare come si riscontri una maggiore precisione di tali elementi esteriori, che tengono conto delle peculiarità dell’attività in concreto svolta e della particolare situazione dell’impresa o della professione, rispetto agli studi di settore, i quali poggiano pur sempre su dati di normalità economica riferiti ad una massa indistinta di operatori62. Il citato art. 62-sexies è il responsabile dell’introduzione nell’ordinamento italiano degli studi di settore e delle conseguenti numerose modifiche avvenute all’interno della disciplina dell’accertamento del reddito d’impresa. Tali modifiche, infatti, hanno implicato un ampio utilizzo di indici reddituali di natura esteriore con riferimento alle imprese di minori dimensioni. Tale norma, infatti, consente all’Amministrazione finanziaria, anche in presenza di scritture contabili formalmente ineccepibili, di presumere l’esistenza di evasione, e quindi di ricavi, compensi o corrispettivi occultati, nel caso in cui quelli dichiarati risultino !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 60
Si veda ancora l’esempio del “tovagliolometro” al paragrafo 2.3. Anche gli studi di settore, come si vedrà in seguito, sono comunque inquadrati tra gli accertamenti analitici fondati su presunzioni semplici dotate in re ipsa dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. 62 !BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile”, cit., 967.! 61
!
%'!
gravemente incongruenti rispetto all’andamento del settore in cui opera il contribuente. L’utilizzo dell’avverbio gravemente, come si vedrà in seguito, sottolinea la necessità che le eventuali discrepanze riscontrate siano tali da far ragionevolmente pensare che le stesse siano da attribuirsi a ricavi occultati, più che alle comunque possibili imprecisioni del calcolo posto in essere dall’Amministrazione, secondo quanto gli studi prevedono. L’art. 62-bis, D.L. n. 331/93, si occupa nello specifico dell’elaborazione degli studi di settore, al fine di riferire a determinati gruppi di imprenditori o di professionisti, dati di normalità economica. Gli studi di settore consistono nella determinazione dei ricavi potenziali riferiti alla specifica impresa, sulla base di variabili sia contabili che strutturali, mediante un confronto matematico-statistico con dati relativi a gruppi omogenei di imprese operanti nello stesso settore. Tali studi consentono, pertanto, sulla base dei dati citati, di rilevare situazioni di congruità o di non congruità dei dati dichiarati dal contribuente rispetto a quelli desunti dallo studio. In particolare, le diverse imprese vengono classificate in base al proprio codice di attività, e, mediante l’applicazione di tecniche statistiche, con riferimento ad ogni singola attività economica vengono creati i c.d. cluster, ossia gruppi omogenei di imprese con caratteristiche strutturali comuni. A seguire, per ciascun gruppo, è determinata una specifica funzione matematica, detta funzione di ricavo, al fine di rappresentare nel miglior modo possibile l’andamento dei ricavi delle imprese appartenenti, in relazione ai dati contabili e strutturali delle stesse. Infine, la singola impresa viene associata al gruppo omogeneo di più probabile appartenenza, allo scopo di determinare il ricavo puntuale di riferimento, ossia l’ammontare dei ricavi concretamente attribuibile alla singola impresa, ed il relativo intervallo di confidenza parametrale, ossia la quantificazione, in termini di minori ricavi attribuibili rispetto al ricavo puntuale, del grado di errore di cui la procedura statistica può essere affetta. Inoltre, tramite gli studi di settore, sarà possibile valutare la coerenza dei principali indicatori economici riferiti all’attività del contribuente rispetto alla forchetta di valori, minimo e massimo, assunti come normali63. La fase cruciale di determinazione del ricavo puntuale e del ricavo minimo ammissibile richiede necessariamente l’ausilio di un apposito software, denominato Ge.Ri.Co., attraverso il quale, immettendo i dati contabili ed extracontabili relativi alla singola impresa, si ottiene la valutazione della congruità e della coerenza. Nel caso in cui il ricavo dichiarato dall’impresa in oggetto non risulti congruo, il programma restituisce i valori relativi al ricavo puntuale e al ricavo minimo ammissibile. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 63
!
PINO C., Le scritture contabili, cit., 219 s.!
%(!
L’eventuale situazione di non congruità riscontrata mediante l’applicazione degli studi di settore potrebbe essere utilizzata dall’Amministrazione finanziaria allo scopo di inserire il contribuente nelle liste dei soggetti da controllare, il cui reddito dichiarato potrebbe quindi essere rettificato64. A tal proposito, agli articoli 62-bis e 62-sexies del citato D.L. n. 331/93 ha fatto seguito l’emanazione della L. n. 146/1998, la quale, all’art. 10, ha appunto fissato le modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento65. Il citato articolo 62sexies, infatti, richiede esplicitamente che, allo scopo di porre in essere gli accertamenti in esame, tra i ricavi dichiarati e i ricavi desumibili dallo studio di settore sussista una “grave incongruenza”. E’ necessario, pertanto, che lo scarto tra le due tipologie di ricavi sia caratterizzato da una certa gravità che l’Amministrazione finanziaria è tenuta ad argomentare, al fine di utilizzare la stessa per la rettifica della dichiarazione. In particolare, tali valutazioni sono da compiersi caso per caso, in quanto il legislatore non fornisce alcuna indicazione specifica in merito ai parametri da seguire per l’individuazione della sussistenza della citata gravità66. Il riferimento alle gravi incongruenze gioca un ruolo fondamentale all’interno della disciplina degli studi di settore; in tal modo, infatti, l’Amministrazione finanziaria è costretta a prendere contatto con la specifica situazione fattuale del contribuente, al fine di ricercare l’adattamento tra il suddetto dato di normalità e le caratteristiche individuali del soggetto passivo. Le gravi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 64
Se il contribuente risulta non congruo, egli può comunque adeguare i ricavi e i compensi risultanti dalla contabilità a quelli, maggiori, risultanti dallo studio di settore, versando oltre che l’imposta sul reddito che tiene conto dei maggiori ricavi, una maggiorazione che tiene conto della differenza tra i ricavi o compensi derivanti dall’applicazione degli studi di settore e quelli annotati nelle scritture contabili. Tale maggiorazione non è tuttavia dovuta se lo scostamento è inferiore al dieci percento dei ricavi annotati nella contabilità. A tal proposito, in merito al rapporto esistente tra gli studi di settore e gli altri metodi di accertamento del reddito d’impresa, è importante evidenziare le modifiche che sono state introdotte a partire dal 2007, in termini di priorità. In particolare, l’art. 1, comma 17, L. n. 296/2006, ha previsto che lo studio di settore possa essere superato da altre forme di accertamento unicamente nel caso specifico in cui lo stesso fallisca. Il suddetto articolo, infatti, prevede esplicitamente che la rettifica del reddito in base all’accertamento disciplinato nell’art. 39, primo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/73, non possa essere posta in essere nei confronti dei contribuenti che, sulla base degli studi di settore, hanno dichiarato, anche per adeguamento, ricavi pari o superiori al livello di congruità. Di conseguenza, nel caso in cui l’Amministrazione voglia procedere comunque con la rettifica, la stessa è tenuta ad evidenziare, nella motivazione dell’atto, le ragioni per le quali le risultanze degli studi di settore sono state disattese e pertanto considerate inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi del contribuente. (CARPENTIERI C., Studi di settore e accertamento analitico-induttivo a confronto, Corr. Trib., 2008, 865 s) 65 !Quest’ultima disciplina è stata poi significativamente modificata nel corso degli anni, soprattutto attraverso l’emanazione dei provvedimenti normativi del 2006, con i quali, ai fini dell’applicazione dei citati studi, è stata soppressa l’originaria distinzione tra soggetti in contabilità ordinaria per natura e per opzione ed è stato inserito l’art. 10 bis della L. n. 146/1998, avente ad oggetto le modalità di revisione ed aggiornamento. Altre importanti disposizioni sono state poi collocate all’art. 1, comma 14 e ss., L. n. 296/2006, legge finanziaria per il 2007. In particolare, il comma 23, art. 1, della legge finanziaria per il 2007, ha modificato il primo comma dell’art. 10, L. n. 146/1998, chiarendo che, per essere considerato legittimo l’accertamento a mezzo di studi, oltre allo scostamento deve tenersi conto anche di “gravi incongruenze” previste dall’art. 62-sexies, D.L. n. 331/1993. In aggiunta, in base alla L. n. 248/2006, art, 37, è stata stabilito il principio per cui se un contribuente dichiara anche per un solo anno un ammontare di ricavi inferiori rispetto alle risultanze GE.RI.CO. potrà essere immediatamente accertato, previo contraddittorio. ! 66 BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 203 s. !
!
%)!
incongruenze, pertanto, costituiscono il punto di contatto tra il dato di normalità economica, rappresentato dallo studio di settore, e la situazione effettiva nella quale versa il contribuente sottoposto al controllo, considerato che lo studio stesso, a causa delle modalità mediante cui è generato, non è in condizione di cogliere alcuni elementi di ordine soggettivo, in grado di poter essere riferiti unicamente alla specifica realtà in oggetto e non ad altre. Le gravi incongruenze, quindi, consentono all’Amministrazione di disattendere le risultanze delle scritture contabili, nonostante le stesse appaiano formalmente regolari, senza che l’equiparazione degli studi di settore a presunzioni semplici comporti un’automatica applicazione delle risultanze degli stessi, dovendo in ogni caso l’Amministrazione tener conto di tutti gli altri elementi rilevanti di cui sia venuta in possesso nella fase istruttoria al fine di operare un adattamento concreto di quanto emerge dagli studi di settore, ossia una verità che si adatta a masse di contribuenti, alla realtà economica specifica del soggetto passivo67. Il significato attribuibile alla ricostruzione proposta dagli studi di settore si presenta come una presunzione semplice che, per giurisprudenza consolidata68, non può costituire da sola l’unico elemento fondante della motivazione di un avviso di accertamento. A tal proposito, inoltre, risulta determinante anche il ruolo del contraddittorio obbligatorio, ex art. 10, comma 3-bis, L. n. 146/1998, inteso come la fase durante la quale l’Amministrazione finanziaria e il contribuente dovranno provare, rispettivamente, la credibilità del risultato ottenuto e l’inesattezza dello stesso, passando da un piano generale rappresentato dallo studio di settore a quello che interessa lo specifico contribuente, considerando, quindi, tutte le peculiarità che possono legittimare lo scostamento rispetto al dato standard69. Pertanto, se l’Amministrazione riscontra uno scostamento significativo, essa è tenuta, prima della notifica dell’avviso, ad invitare il contribuente a comparire per instaurare un contraddittorio obbligatorio, al fine di verificare la fondatezza delle presunzioni stesse. Il contribuente, poi, una volta ricevuto il suddetto invito, può ovviamente scegliere di presentarsi ed instaurare il suddetto contraddittorio, e comportarsi come sopra descritto, non presentarsi e attendere l’avviso di accertamento, oppure ancora aderire al contenuto dell’invito a comparire. L’applicazione delle suddette disposizioni riguardanti gli studi di settore, proprio in base all’esigenza a cui gli stessi rispondono, ossia quella di valutare la capacità delle singole attività economiche di produrre ricavi, sulla base di determinati fattori interni o esterni all’attività, quali processo produttivo, situazioni di mercato, andamento della domanda, livello dei prezzi e concorrenza, riguarda unicamente i contribuenti di dimensioni relativamente !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
BEGHIN M., I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, cit., 737 s.! Cass., sez. unite, n. 26635/09, 26636/09, 26637/09 e 26638/09. 69 GAVELLI G., VALCARENGHI G., Accertamento induttivo e studi di settore: un approccio più ragionevole, in Corr. Trib., 2012, 955 s. 67 68
!
%*!
modeste, lasciando inalterate, dunque, gli ordinari metodi di accertamento per i contribuenti di più elevate dimensioni. Come già detto, infatti, è in relazione alle imprese più piccole che si è posto maggiormente il problema della incompletezza e/o della irregolarità sostanziale delle scritture contabili, a fronte di libri e registri ineccepibili sul versante formale. Inizialmente, allo scopo di individuare i contribuenti ricadenti nella disciplina degli studi di settore, l’art. 10, quarto comma, L. n. 146/98, aveva fissato in 10 milioni di lire la soglia dei ricavi70 oltre la quale doveva essere inibito l’impiego degli studi in sede accertativa. Tale soglia è stata poi elevata all’importo di 5,5 milioni di euro71, secondo l’art. 1, comma 16, L. n. 296/2006, nonostante sia proprio la modesta dimensione dell’attività economica dei soggetti a cui il modello si riferisce a giustificare una ricostruzione dei ricavi facente leva su elementi esteriori utilizzati nello schema della predeterminazione72. Riassumendo, la difficoltà nel provare omesse contabilizzazioni nei confronti delle piccole imprese, le cui operazioni di vendita sono frammentate e di modesto valore, ha condotto il legislatore, attraverso l’applicazione degli studi di settore, a prevedere il progressivo affievolimento del ruolo e dell’importanza delle scritture contabili nella determinazione del reddito, seppur unicamente con riferimento ai soggetti passivi a cui gli stessi sono applicati. L’utilizzo degli studi di settore per accertare il reddito di alcune categorie di contribuenti, dunque, consente all’Amministrazione finanziaria di calcolare l’ammontare complessivo dei ricavi mediante un metodo 73 che appare più convincente rispetto a quello applicato dal contribuente stesso74.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 70
Si intendono, ovviamente, i soli ricavi riferiti alla cessione di beni o alla prestazione di servizi di cui all’oggetto dell’attività, oltre ai ricavi derivanti dalla cessione di materie prime, sussidiarie e semilavorati. 71 In base all’art. 10-bis, L. n. 146/98, gli studi di settore devono essere revisionati e aggiornati ogni tre anni. L’art. 10, quarto comma, L. n. 146/98 stabilisce, inoltre, che gli studi di settore non trovano applicazione nei confronti di soggetti che hanno iniziato o cessato l’attività nel periodo d’imposta, e di coloro che versano in un periodo d’imposta di “non normale svolgimento dell’attività”. ! 72 BEGHIN M., I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, cit., 712. ! 73 !L’accertamento basato sull’applicazione degli studi di settore non appare, tuttavia, esente da limiti; da quanto descritto precedentemente, infatti, risulta comprensibile come i principali limiti siano connessi specialmente all’approccio matematico-statistico che ne caratterizza la costruzione, e che, quindi, ne condiziona l’utilizzo. Gli studi di settore, al contrario degli accertamenti disciplinati nell’art. 39, D.P.R. n. 600/73, prescindono, in linea di massima, da qualsiasi controllo preventivo sulla regolare tenuta delle scritture contabili da parte dell’impresa, e non richiedono alcuna indagine preliminare o altra attività istruttoria da parte dell’Amministrazione. Non è da escludersi, dunque, che il contribuente possa in qualche modo falsare i dati dichiarati ai fini degli studi di settore, ad esempio includendo determinati costi, rilevanti ai fini del calcolo del ricavo presunto, in categorie non corrette e, soprattutto, irrilevanti ai medesimi fini. A tal proposito, il D.L. n. 16/2012, c.d. decreto semplificazioni fiscali, ha stabilito che nei confronti dei contribuenti che omettono o indicano in modo infedele i dati necessari per l’elaborazione degli studi di settore rimane la possibilità di esperire accertamento induttivo, ma alla condizione che si rilevi uno scostamento di oltre il 15%, con un massimo di 50.000 euro, tra i ricavi ottenibili con i dati corretti e quelli con i dati inesatti. (GAVELLI G., VALCARENGHI G., Accertamento induttivo e studi di settore, cit., 955 s)! 74 FAZZINI E., Piccole e medie imprese e metodologie di accertamento, in L’evasione fiscale: una guerra ancora da vincere, Atti del convegno tenuto presso l’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss-Guido Carli di Roma, 2006, 68 s.!
!
&+!
CAPITOLO TERZO
IL CONCETTO DI “CONTABILITA’ INATTENDIBILE” SOMMARIO: 3.1. Il concetto di “contabilità inattendibile” ex art. 39 del D.P.R. n. 600/1973. – 3.2. Il concetto di “contabilità inattendibile” nel D.P.R. 570/1996. – 3.3. Le irregolarità formali e sostanziali e il concetto di “gravità” delle irregolarità riscontrate. – 3.4. Il concetto di “contabilità inattendibile” nella giurisprudenza. – 3.5. Le certificazioni fiscali sui dati contabili: il visto di conformità, l’asseverazione e la certificazione tributaria.
3.1. Il concetto di “contabilità inattendibile” ex art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 La tenuta di una corretta contabilità ordinaria rappresenta, per un’impresa, sia il presupposto per la redazione di un bilancio d’esercizio veritiero, sia un importante strumento di difesa nel caso di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. In quest’ipotesi, infatti, l’Amministrazione non può trascurare le risultanze di una contabilità correttamente tenuta, ed è quindi obbligata a fornire prova della necessità e validità delle eventuali rettifiche che la stessa intende applicare a quanto dichiarato dal contribuente. Come descritto nel capitolo precedente, tuttavia, quando ricorrono determinate condizioni, la contabilità giudicata inattendibile da parte dell’Amministrazione può essere dalla stessa disattesa a danno del contribuente. A questo proposito, l’art. 39, secondo comma, lett. d), D.P.R. n. 600/73, traccia una definizione generale di contabilità inattendibile, affermando che la stessa si rileva “quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma, ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”. Tale articolo, dunque, delinea i fatti da cui far dipendere l’inattendibilità delle scritture contabili, riferendosi, nello specifico, alla perdita delle garanzie offerte da un sistema contabile che, in quanto tale, solitamente descrive l’andamento dell’attività d’impresa nel suo complesso. Affinché tali garanzie insite nella struttura del sistema contabile vengano compromesse, e quindi, affinché la contabilità venga ritenuta inattendibile, devono esistere irregolarità formali, omissioni e false o inesatte indicazioni, gravi, numerose e ripetute tanto da consentire, dunque, il superamento della presunzione, propria di una contabilità che viene elevata a sistema, di !
&"!
attendibilità dei contenuti. L’articolo, in aggiunta, equipara la fattispecie di scritture contabili inattendibili al caso in cui il reddito d’impresa non venga indicato in dichiarazione o il contribuente non abbia tenuto le scritture contabili, o ancora le stesse non siano disponibili per causa di forza maggiore1. Ad esempio, infatti, anche lo smarrimento incolpevole dei libri obbligatori genera il medesimo effetto, in quanto, nel caso di specie, il contribuente non è comunque in grado di consentire l’ispezione delle scritture contabili da parte dell’Amministrazione finanziaria2. Secondo il D.P.R. n. 600/73, dunque, il Fisco può disattendere le scritture contabili e procedere induttivamente ad una determinazione del reddito d’impresa, basata su notizie e dati raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, laddove le stesse siano formalmente irregolari o riportino annotazioni incomplete o non corrette, tali da superare una determinata soglia di rilevanza oltre la quale i verificatori sono indotti a giudicare la contabilità complessivamente inattendibile. Il riferimento ad irregolarità formali o annotazioni incomplete rappresenta, tuttavia, solo una mera enunciazione di criteri generali e genera, di conseguenza, sia una casistica di applicazione della norma molto ampia, ma da verificarsi concretamente caso per caso, sia, dal fronte opposto, maggiori possibilità per il contribuente di difendersi in sede di contenzioso3. L’inattendibilità delle scritture contabili dovuta alle gravi irregolarità e inesattezze rappresenta, in certo senso, il ponte di passaggio tra accertamento analitico, effettuato sulla base dell’osservazione delle scritture contabili, e accertamento che da queste prescinde, giungendo alla ricostruzione in via induttiva del reddito. Pertanto, la garanzia ordinariamente offerta dalle scritture contabili regolari viene a mancare se le scritture stesse, per i vizi e le falsità da cui sono caratterizzate, non si presentano come attendibili. Al contrario, in mancanza di tali gravi irregolarità, la legge ritiene le scritture contabili attendibili, ossia in grado di rappresentare correttamente la realtà aziendale, e idonee a determinare quantitativamente l’imponibile tassabile. Tale idoneità a rappresentare le operazioni aziendali alla base, secondo il citato articolo, deve essere valutata in base al riscontro della regolarità formale delle scritture contabili, della completezza delle annotazioni e della correttezza, intesa come esattezza e veridicità, delle singole annotazioni effettuate. La possibilità, concessa all’Amministrazione finanziaria, di disattendere in tutto o in parte la contabilità e di procedere, dunque, ad un accertamento di tipo induttivo, è subordinata al soddisfacimento di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1 2
MENTI F., Le scritture contabili nel sistema dell’imposizione sui redditi, Padova, 1997, 22.! Si veda il caso relativo allo smarrimento del libro degli inventari (Cass., sez. trib., n. 9201/2011).
3
GIULIANI F.M., Accertamento induttivo e mala gestio come indice presuntivo d’inattendibile contabilità, in Dir. Prat. Trib., 2002, 954.
!
!
una serie di condizioni che permettono al Fisco di superare la formale ineccepibilità delle scritture contabili. La vaghezza della disposizione tributaria (art. 39, cit.) implica che tale superamento venga posto in essere anche sulla base di ragionamenti di carattere presuntivo4 e, quindi, tramite un confronto tra eccezione e regola che, nel tempo, ha costretto la giurisprudenza5 a compiere un notevole sforzo interpretativo nell’ambito di una casistica fattuale estremamente eterogenea6. Da ciò deriva quindi la possibilità per l’Ufficio di rettificare la situazione reddituale dichiarata secondo una propria ricostruzione, fondata sulle evidenze comunque reperite nell’attività istruttoria. E’ altresì ovvio che legittimare il Fisco alla determinazione del reddito d’impresa prescindendo dalle scritture contabili significa anche consentire il superamento delle valutazioni civilistiche, il cui impatto è certamente contenuto nel sistema contabile dell’impresa, non essendo altro il reddito imponibile d’impresa che un derivato del reddito che risulta dal conto economico. E’ pertanto necessario comprendere quale sia il reale significato da attribuire al concetto di inattendibilità delle scritture contabili, al fine di evitare di incappare in accertamenti induttivi eseguiti in assenza di tale presupposto e, quindi, illegittimi. Un accertamento induttivo privo del presupposto, ma incentrato ugualmente sui mezzi di prova tipicamente utilizzabili al riguardo, quali presunzioni “semplicissime”, infatti, risulterà illegittimamente incentrato su un percorso di ricostruzione del reddito d’impresa che presuppone l’inutilizzabilità delle scritture contabili ai fini del controllo della dichiarazione7. Come già anticipato, l’art. 39, cit., pone la specifica fattispecie di inattendibilità della contabilità sullo stesso piano delle scritture contabili inesistenti, quindi mancanti, non tenute, e delle scritture per le quali, in sede ispettiva, sia stata rifiutata l’esibizione. In merito ad un accertamento induttivo del reddito, dunque, il legislatore non prevede alcuna differenza tra scritture il cui accesso, nello svolgimento dei controlli, è stato negato all’Amministrazione finanziaria, scritture non tenute e scritture inattendibili. Tale equiparazione implica, senza dubbio, l’impossibilità per una contabilità giudicata inattendibile di fungere da punto d’appoggio per il controllo e per la successiva eventuale rettifica del reddito dichiarato, e la sovrapposizione, in concreto, tra il termine “inattendibilità” e “inutilizzabilità” delle scritture8. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 4
Si ricorda che l’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/73, prevede la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di procedere all’accertamento induttivo anche avvalendosi di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma, ossia di presunzioni non gravi, non precise e non concordanti. Si veda il capitolo secondo. 5 Si veda il paragrafo 2.4. 6 RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili e opzioni normative di accertamento tra metodo analitico e induttivo, in Fisco, 2013, 1229. 7 CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, in ANTICO G, CARRIROLO F., FUSCONI V., TUCCI G., ZAPPI A., L’accertamento fiscale, Milano, 2007, 95 s.! 8 BEGHIN M., L’asserita “forza espansiva” dell’irregolarità dello stato patrimoniale quale presupposto per l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2011, 647 s.
!
&$!
Al fine di affermare l’inattendibilità delle scritture, dunque, il Fisco dovrà necessariamente dimostrare l’impossibilità di utilizzare le stesse all’interno dell’attività ispettiva, in quanto non in grado, complessivamente, di rappresentare la situazione economica sottostante e, quindi, le operazioni attraverso cui l’impresa stessa si è sviluppata ed i relativi risultati conseguiti, in termini di utile o di perdita dell’esercizio. E’ possibile, pertanto, presupporre l’esistenza di scritture contabili inattendibili quando le operazioni concretamente poste in essere da parte dell’imprenditore non sono adeguatamente rappresentate nelle stesse, in tutto od in parte, da un punto di vista qualitativo o quantitativo, determinando, di conseguenza, una storpiatura del risultato economico alla base del calcolo del reddito d’impresa. Un punto non meno importante sul quale soffermarsi, inoltre, è la differenza esistente tra il concetto di contabilità inattendibile nel suo complesso e di singola scrittura contabile inattendibile; solo nel momento in cui si riscontri la prima, infatti, sarà possibile procedere ad un accertamento di tipo induttivo, ferma restando la possibilità che la complessiva inattendibilità delle scritture derivi da una singola scrittura inattendibile che tuttavia gioca un ruolo fondamentale nel garantire una corretta rappresentazione della situazione economica sottostante. Laddove ciò, invece, non si verifichi, sarà sempre possibile, comunque, condurre un accertamento di tipo analitico dopo aver proceduto all’espunzione dei singoli dati inattendibili. Ciò che è possibile concludere, dunque, è che il riscontro delle richieste violazioni gravi, numerose e ripetute dovrà necessariamente essere valutato in concreto, fattispecie per fattispecie, tenendo conto delle specifiche caratteristiche delle irregolarità riscontrate, quali i relativi importi e il rapporto tra dimensione della violazione e fatturato complessivo9. Nonostante la disposizione dell’art. 39 non sia chiara, è sicuramente possibile comprendere come
l’inattendibilità
delle
scritture
contabili
non
dipenda
automaticamente
ed
esclusivamente dall’esistenza di irregolarità formali, ma anche da irregolarità sostanziali da cui può derivare, quindi, una ancor più falsata rappresentazione della realtà economica sottostante. Le irregolarità sostanziali, infatti, incidono sulla vera e propria rappresentazione qualitativa e quantitativa del fenomeno sottostante, falsando la ricchezza fiscalmente rilevante percepita. Se l’errore è dato, per esempio, dall’aver invertito l’ordine di registrazione di due operazioni, si ricadrà quasi sicuramente nell’ambito delle irregolarità formali; se, al contrario, l’errore consiste nell’omettere la registrazione del 50% degli incassi, si andrà senza dubbio a collocarsi nell’ambito di una contabilità sostanzialmente inattendibile. In merito alle irregolarità formali, inoltre, è bene specificare come in alcuni casi, grazie alle moderne tecniche di tenuta delle scritture, alcune tipologie di irregolarità previste dal legislatore civilistico, come le abrasioni, gli spazi in bianco e le cancellature, non siano nemmeno !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 9
!
Idem, ibidem.
&%!
possibili. Al contrario, in relazione a modalità di tenuta delle scritture contabili incompatibili con le garanzie di una contabilità sistematica, esiste una reale possibilità che le registrazioni, in un primo tempo corrette, siano in un secondo momento alterate intervenendo sulle stesse10. In conclusione, l’art. 39, cit., permette l’esistenza di diverse posizioni, anche intermedie, relativamente alle quali il giudizio di attendibilità o inattendibilità delle scritture contabili si può rivelare incerto. Tale ragionamento infatti deve basarsi sul distinguo tra intero impianto contabile inattendibile e singole poste contabili inattendibili, sulla progressiva diminuzione di attendibilità delle scritture contabili rilevabile nella misura delle violazioni contestate e sugli elementi strutturali e concreti da verificarsi caso per caso e da argomentarsi, poi, in sede di motivazione dell’avviso di accertamento.
3.2. Il concetto di “contabilità inattendibile” nel D.P.R. n. 570/1996 La nozione di contabilità inattendibile non si ritrova unicamente all’interno delle disposizioni che regolano l’accertamento analitico e induttivo; essa infatti ha trovato spazio, in passato, anche all’interno della disciplina dedicata al campo di applicazione degli studi di settore. I criteri che definiscono l’inattendibilità delle scritture contabili sono stati oggetto di uno specifico intervento legislativo, il D.P.R. n. 570/1996, emanato in attuazione delle norme che disciplinavano l’accertamento in base agli studi di settore. Tale regolamento, ad oggi non più applicabile a seguito delle numerose modifiche intervenute nel tempo in merito alla disciplina degli studi di settore11, nonostante fosse stato pensato e poi realizzato con i migliori propositi, non è stato comunque in grado di delineare in modo valido e univoco la nozione di contabilità inattendibile nella generalità delle fattispecie, fornendo, al contrario, unicamente una sorta di elencazione casistica di svariate irregolarità formali e sostanziali, individuate secondo criteri poco omogenei e tecnicamente poco precisi. La scelta di fondo del regolamento, infatti, è stata quella di definire una nozione speciale di inattendibilità delle scritture contabili, al fine di permettere un accertamento automatico in base agli studi di settore al maggior numero di soggetti in contabilità ordinaria12. Ai fini dell’elaborato appare utile condurre comunque un’analisi del D.P.R. n. 570/96, ossia il “Regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività d’impresa, arti e professioni”, nonostante lo stesso ad oggi non possieda più la valenza che in passato gli era stata attribuita, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 10
BEGHIN M., L’accertamento contabile, schema della lezione tenutasi a Bologna il 10 giugno 2011, 4. Si veda il paragrafo 2.7. 12 CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, cit., 96 s.! 11
!
&&!
allo scopo di vagliare le specifiche irregolarità al verificarsi delle quali sorge l’inattendibilità delle scritture contabili interessate, sulla base, appunto, dell’unico intervento legislativo mirato che sia stato finora fatto a questo proposito. In particolare, l’art. 1, che presentava le ipotesi di inattendibilità della contabilità degli esercenti attività d’impresa, distingueva le ipotesi delle gravi irregolarità delle scritture e le ipotesi delle gravi contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati dall’Amministrazione finanziaria. Le irregolarità contabili gravi previste dal regolamento attenevano a quattro precise fattispecie: la mancata specificazione delle disponibilità liquide, l’omessa indicazione analitica dei debiti e crediti, la mancata rilevazione dei versamenti e prelevamenti del titolare o dei soci e la mancata indicazione dei criteri di valutazione delle rimanenze. La voce “disponibilità liquide” comprende tipicamente denaro e altri valori in cassa, assegni, sia bancari che circolari, depositi bancari e postali. Secondo il regolamento, la contabilità era da ritenersi inattendibile quando tali disponibilità non risultavano specificate nei conti o nelle scritture ausiliarie. Pertanto, nel momento in cui un’impresa non provvedeva alla compilazione distinta delle movimentazioni contabili della cassa, con distinzione di cassa contanti, cassa assegni, cassa carte di credito o altre forme di pagamento, e della banca, aprendo per ognuna un conto o un sottoconto al fine di consentire il riscontro dell’importo contabile con il saldo dei singoli estratti conti bancari e postali, essa commetteva, ai sensi del citato D.P.R., una grave irregolarità contabile tale da rendere inattendibile la contabilità ordinaria della stessa. Il comportamento qui ipotizzato si poneva come decisamente anomalo e raro, essendo ben pochi gli imprenditori, in contabilità ordinaria, che non compilano schede analitiche riportanti i movimenti delle disponibilità finanziarie. La logica del legislatore è stata però quella di colpire coloro le cui disponibilità liquide derivavano in parte da attività non dichiarate, nonostante la suddetta ipotesi non nominasse alcun riscontro di dati di fatto differenti rispetto a quelli registrati13. All’interno delle scritture ausiliarie, tutti i crediti e i debiti sono tipicamente dettagliati e quindi dotati di intestazione ad ogni singolo creditore e debitore. Il regolamento, pertanto, prevedeva tra le ipotesi di grave irregolarità la mancata indicazione, in tali scritture, dei singoli creditori e debitori, con riferimento ai conti aperti a crediti e a debiti, diversi da quelli relativi alle retribuzioni dei dipendenti, e la mancata tenuta di scritture elementari in cui siano rilevati singolarmente i debitori riferiti a crediti derivanti da operazioni effettuate da parte di commercianti al minuto, o altre forme di vendita o prestazione, in locali aperti al pubblico per !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 13
FIACCADORI S., L’inattendibilità della contabilità ordinaria ai fini dell’accertamento da parametri, in Boll. trib., 1996, 1664.
!
&'!
le quali non si deve emettere fattura. Tali previsioni del regolamento in materia di debiti e crediti non sembravano convincere, o comunque adeguatamente motivare, il nesso causaeffetto esistente tra un mancato dettaglio contabile analitico dei crediti e dei debiti, non previsto, tra l’altro, da nessun obbligo contabile, e una rappresentazione inattendibile della contabilità, specialmente in termini di costi e ricavi d’esercizio14. La contabilità risultava inoltre inattendibile quando i versamenti e i prelievi effettuati dal titolare o dai soci non erano evidenziati, anche complessivamente, nelle scritture ausiliarie. Tale ipotesi si riferiva unicamente alle imprese individuali e alle società di persone, non essendo possibile nelle società di capitali l’effettuazione di versamenti o prelievi in assenza delle forme previste. Specialmente nelle società di piccole dimensioni e nelle imprese individuali, infatti, sorge la necessità di evitare che si crei commistione tra il patrimonio aziendale e quello dei soci o del titolare. La rilevazione di tale omissione doveva ovviamente essere accompagnata dall’esistenza di una prova certa del prelievo o del versamento di cui si è rilevata la mancata annotazione in contabilità, al fine di rappresentare un’irregolarità talmente grave da far presupporre una maggiore effettiva liquidità generata dall’impresa e portare, quindi, ad un accertamento di un reddito diverso rispetto a quello dichiarato. Infine, anche la mancata indicazione dei criteri adottati per la valutazione delle rimanenze in nota integrativa, per le società di capitali, o nel libro degli inventari, per le ditte individuali o per le società di persone, generava inattendibilità complessiva delle scritture. Tale adempimento risulta esplicitamente previsto per le società di capitali dall’art. 2427 c.c., ma per quanto riguarda i soggetti diversi da quelli tenuti alla redazione della nota integrativa, al contrario, in nessuna disposizione di legge è riscontrabile l’obbligo di indicazione dei criteri di valutazione adottati. E’ in dubbio, quindi, come l’inattendibilità della contabilità potesse sorgere da un mancato adempimento non richiesto da alcuna norma di legge15. Al secondo comma dell’art. 1, cit., sono previste ulteriori ipotesi che rendono inattendibile la contabilità. Si tratta di contraddizioni gravi tra le scritture contabili e quanto rilevato dall’Ufficio, ossia tra le registrazioni contabili e le eventuali risultanze documentali. La prima ipotesi di grave contraddizione si aveva quando lo scostamento tra i valori contabili e quelli rilevati dall’Amministrazione finanziaria risultava superiore al 10% del valore complessivo delle voci interessate, e di importo non inferiore a ! 2.582. La disposizione si applicava invece in ogni caso per valori dello scostamento superiori a ! 25.822. La seconda ipotesi di gravi contraddizioni contabili riguardava invece l’omessa indicazione nelle scritture contabili di uno o più beni strumentali. La circostanza per cui uno o più beni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 14 15
!
PINO C., Le scritture contabili e il controllo del reddito d’impresa, Padova, 2012, 133. Idem, ivi, 134 s.
&(!
strumentali utilizzati nell’attività, anche se completamente ammortizzati, posseduti a titolo di proprietà o ad altro titolo, quale leasing, non risultavano annotati nelle scritture contabili o in documentazione attendibile faceva scattare l’inattendibilità quando il relativo valore complessivo superava determinate soglie. L’ultima ipotesi di contraddizione che generava inattendibilità della contabilità prevista dal decreto riguardava la mancata contabilizzazione dei costi afferenti il lavoro di terzi prestato a favore dell’impresa. L’irregolarità sussisteva, quindi, nel caso in cui fossero impiegati lavoratori dipendenti che non risultavano iscritti nei libri da tenere ai fini della normativa sul lavoro e per i quali fosse scaduto il termine utile per il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; o altri addetti, diversi dai collaboratori dell’impresa familiare, che prestavano all’impresa attività occasionale, il cui rapporto non risultava dalle scritture o da altra documentazione attendibile. All’art. 2, il D.P.R. n. 570/96 contemplava le ipotesi di inattendibilità della contabilità degli esercenti arti e professioni, adattando, in parte, le contraddizioni gravi richiamate dall’art. 1 per gli esercenti attività d’impresa. All’art. 3, lo stesso prevedeva poi la possibilità per il contribuente, al quale fossero state riscontrate le suddette irregolarità, di esibire o trasmettere all’ufficio competente una relazione tecnica, redatta da uno dei soggetti abilitati ad apporre il visto di conformità16, nella quale poteva essere documentata l’eventuale riconducibilità delle irregolarità riscontrate a meri errori formali, dovuti anche all’utilizzo di procedure meccanografiche standardizzate, che non pregiudicavano quindi l’idoneità delle scritture contabili a rappresentare l’effettiva realtà aziendale. La casistica di gravi irregolarità e contraddizioni introdotta dal D.P.R. n. 570/96 operava soltanto, come indicato nel regolamento stesso, nell’ambito dell’accertamento per parametri e studi di settore. Ciò implicava che alle imprese in contabilità ordinaria, che non risultassero congrue e che presentassero una contabilità inattendibile, potessero essere applicate le risultanze dei parametri o degli studi di settore. Nonostante l’ambito di applicazione del regolamento fosse ristretto solo a tale tipologia di accertamento presuntivo, non è tuttavia da escludersi del tutto la possibilità che lo stesso possieda, ancora oggi, una certa utilità anche ai fini degli accertamenti ordinari. In merito a tale previsione, però, è necessario distinguere tra le gravi irregolarità o contraddizioni che comportano un’inattendibilità dell’impianto contabile talmente palese da poter essere estesa anche al campo dell’accertamento induttivo, rispetto a quelle violazioni contabili contemplate unicamente per permettere la modificazione dei dati rilevanti al solo fine dell’applicazione degli studi di settore. Tale valutazione risulterà tuttavia sempre connotata dal profilo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 16
!
Il visto di conformità è previsto dall’art. 78, quarto comma, l. n. 413/91, e sarà trattato nel paragrafo 3.5.
&)!
soggettivo di chi è preposto ai controlli, data la mancata individuazione, da parte del regolamento, di criteri di carattere generale per la valutazione della gravità delle violazioni sia di carattere formale che sostanziale, in merito alla sussistenza dell’inattendibilità ai sensi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/7317. In ogni caso, nonostante tale regolamento non possa fungere, in sé e per sé, quale fondamento dell’impianto motivazionale dell’accertamento di tipo induttivo, esso potrà comunque essere utilizzato in quanto mappa utile ad orientare l’Amministrazione finanziaria nell’individuazione di elementi i quali, nel complesso, e fornendo un’adeguata motivazione, potrebbero giustificare l’inattendibilità delle scritture contabili.
3.3. Le irregolarità formali e sostanziali e il concetto di “gravità” delle irregolarità riscontrate Per garantire la veridicità e la correttezza delle scritture contabili e, in particolare, l’attendibilità delle stesse ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa, come accennato in precedenza, il legislatore impone determinate regole formali e sostanziali per la loro tenuta. Il giudizio sull’attendibilità delle scritture contabili si presenta, dunque, come un giudizio complesso che deve verificare, in primis, l’esistenza di una o più irregolarità, sia formali che sostanziali, e valutare, poi, il raggiungimento, o meno, della soglia di rilevanza e l’effetto finale di tali violazioni in merito alle garanzie offerte da una contabilità sistematica. Mentre, nel complesso, la valutazione dell’attendibilità delle scritture contabili si basa sull’astratta idoneità delle stesse a rappresentare nel loro complesso le operazioni aziendali effettivamente avvenute, nello specifico, l’indagine sulla regolarità formale si basa invece sull’esistenza di elementi di fatto e documentali ben precisi, quali la correttezza tecnico-formale delle annotazioni e il rispetto delle formalità intrinseche, della cronologicità e della tempestività delle registrazioni. Il legislatore, affinché la contabilità possa essere giudicata formalmente attendibile, prevede che la stessa si presenti priva di abrasioni, di cancellature e di segni di successive manomissioni, con le pagine ordinate e le scritture annotate secondo la cronologia temporale (l’art. 22, D.P.R. n. 600/1973, infatti, rinvia esplicitamente all’art. 2219 c.c.18). Ad oggi, tuttavia, la portata di tali disposizioni risulta notevolmente diminuita a seguito della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 17
PINO C., Le scritture contabili, cit., 140 s. Si richiama, nuovamente, il testo dell’art. 2219 c.c., secondo cui: “le scritture devono essere tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili”.
18
!
&*!
diffusione, per la tenuta delle scritture e dei libri contabili, di computers e di sistemi informatici19 che consentono la registrazione delle operazioni secondo criteri prestabiliti. Il legislatore, dunque, probabilmente bloccato all’età della carta e della matita, si limita a richiamare formalità che tuttavia non esauriscono il giudizio di regolarità delle scritture; ad esempio, il citato progresso tecnologico rende estremamente complicata la rilevazione dell’esistenza di interventi successivi modificativi delle annotazioni originali. Il giudizio in merito ad una contabilità formalmente regolare, dunque, rimane un problema di apprezzamento dei profili di esteriorità delle scritture contabili, da svolgersi relativamente ad ogni singola ipotesi, tralasciando quelli di contenuto. Durante tale processo di apprezzamento, dovranno essere indagate la sussistenza dell’effettivo rispetto delle norme che presiedono la regolarità formale della contabilità e la capacità della singola scrittura di rappresentare una qualsiasi operazione aziendale secondo le regole ragionieristico-contabili, indipendentemente dal fatto, quindi, che l’operazione in oggetto si sia concretamente verificata o meno. La correttezza della forma attiene dunque all’ordine nell’esposizione dei dati, ossia ad una loro declinazione estetica, non alla loro veridicità. La correttezza formale delle scritture contabili, inoltre, non risulta, nella maggior parte dei casi, essere caratteristica mancante nella sfera della contabilità del piccolo imprenditore, il quale, come più volte spiegato, realizza per lo più fattispecie di evasione che non incidono sulla suddetta regolarità. In aggiunta, anche nel differente caso in cui l’imprenditore intenda, ad esempio, ridurre il proprio imponibile avvalendosi di costi per operazioni inesistenti, la contabilità potrà comunque presentarsi come esteticamente ineccepibile, nel caso in cui le fatture fittizie, relative a fatti dunque mai realizzatisi, siano state registrate nel pieno rispetto delle specifiche forme. E’ dunque naturale che, su queste basi, la disciplina dell’accertamento si sia progressivamente spinta, anche attraverso gli interventi giurisprudenziali, verso il superamento dell’esigenza di correttezza formale della contabilità; ciò soprattutto nei casi in cui tale contabilità costituisca, per il soggetto obbligato a tenerla, nulla più che un fastidio burocratico20. All’interno della categoria delle irregolarità di natura formale è possibile distinguere le irregolarità meramente formali, ossia quelle che non incidono sulla determinazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 19
Per quanto concerne i profili di regolarità formale di una contabilità tenuta su supporti informatici, ma non stampata sui registri cartacei, è utile fare riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 7, quarto comma, D.L. n. 357/94, secondo la quale “la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio per il quale non siano scaduti i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni annuali, allorquando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”. 20 BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile” nella morsa degli studi di settore, in Riv. giur. trib., 2009, 966 s.
!
'+!
dell’imposta e che non pregiudicano l’attività di controllo, da quelle che, invece, si presentano come effettive violazioni che assumono un carattere preclusivo ai fini del controllo del reddito da parte dell’Amministrazione finanziaria e che costituiscono un elemento negativo per il giudizio di attendibilità delle scritture contabili. Per quanto riguarda la valutazione delle irregolarità formali e gli effetti sull’intera contabilità, pertanto, risulta essenziale la successiva valutazione della gravità delle stesse, come suggerito dal legislatore che, al riguardo, utilizza gli aggettivi gravi, numerose e ripetute. A tal proposito, risulta innanzitutto necessario comprendere se tali irregolarità debbano o meno possedere tutte e tre le caratteristiche al fine di rendere inattendibili le scritture contabili. In merito alla numerosità e alla ripetitività delle violazioni, la valutazione appare semplice e basata su una mera constatazione di fatto: le violazioni risulteranno numerose nell’ipotesi di molteplici irregolarità formali di diverso tipo, mentre risulteranno ripetute quando la stessa irregolarità è rilevata più volte. Stabilire la gravità della violazione si presenta invece come un compito più articolato, che non può mai mancare nel giudizio di inattendibilità delle scritture, basato sulla possibilità che l’irregolarità o le irregolarità commesse siano tali da far venir meno le garanzie proprie di una contabilità sistematica. E’ possibile, dunque, che una sola violazione sia talmente grave da provocare quel determinato effetto, oppure che singole violazioni, seppur numerose e ripetute, non siano sufficientemente gravi da raggiungere la soglia di rilevanza oltre la quale l’intero impianto contabile si ritiene inattendibile. Ad esempio, la presenza di un’annotazione temporalmente errata, contraria dunque al principio di cronologicità delle scritture, non configura tipicamente una fattispecie dotata di gravità tale da essere sanzionata dal legislatore; tuttavia, ripetuti e ricorrenti comportamenti di questo genere non possono che ripercuotersi sulla regolarità complessiva delle scritture. Riferito alle irregolarità formali, dunque, il concetto di gravità può sussistere in sé oppure scaturire dalla numerosità e dalla ripetitività di violazioni che, se considerate a sé stanti, non risulterebbero invece sufficientemente gravi21. Al fine di giudicare le scritture contabili come complessivamente attendibili, le stesse, oltre a soddisfare i requisiti formali previsti dal legislatore a tutela della loro regolarità, devono inoltre risultare complete e corrette anche dal punto di vista sostanziale. Lo stesso art. 39, primo comma, prevede infatti la possibilità di condurre un accertamento analitico in rettifica del reddito d’impresa unicamente nel caso in cui le registrazioni contabili si presentino come complete, esatte e veritiere, ossia regolari dal punto di vista sostanziale e pertanto idonee a rappresentare fedelmente l’attività dell’impresa. Si dovranno considerare, dunque, come irregolarità sostanziali tutte le violazioni che incidono sulla rappresentazione della ricchezza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 21
!
PINO C., Le scritture contabili, cit., 103 s.
'"!
fiscalmente rilevante, agendo in maniera considerevole sulla dimensione del reddito d’impresa, ad esempio, abbattendo l’imponibile e generando quindi evasione fiscale22. La contabilità si presenterà sostanzialmente regolare se dotata, innanzitutto, di registrazioni complete, ossia di registrazioni alla base delle quali si ponga ogni singola operazione aziendale, risultante da uno specifico riscontro documentale correttamente conservato. La completezza delle annotazioni, dunque, eviterà la rilevazione di omissioni dalle quali consegue, in base al secondo comma dell’art. 39, cit., l’inattendibilità delle scritture contabili. A seguire, dovrà invece essere vagliata l’esattezza e la veridicità delle scritture al fine di verificare se le stesse contengano indicazioni inesatte o false, ancora come previsto dal citato art. 39, secondo comma. L’esattezza, in particolare, fa riferimento al rispetto delle modalità tecniche di annotazione delle operazioni aziendali nelle scritture, così come elaborate dalle scienze contabili e dalla ragioneria allo scopo di assicurare il raggiungimento dello scopo informativo proprio di ciascuna scrittura. In sede di controlli, dunque, l’Amministrazione finanziaria dovrà valutare la portata di eventuali inesattezze, circa il rispetto delle regole di contabilizzazione, sulla corretta rappresentazione economica dell’attività aziendale. Per quanto concerne la sussistenza della veridicità delle registrazioni, infine, il giudizio dovrà basarsi sul riscontro della corrispondenza, sotto il profilo quantitativo, tra i dati registrati nelle scritture e quelli che l’Amministrazione desume da altra documentazione contabile o da altri elementi posseduti23. Così come per le irregolarità formali delle scritture contabili, anche per quelle sostanziali il problema della valutazione della loro gravità, ai fini del giudizio di inattendibilità dell’intero impianto contabile del contribuente diventa fondamentale. In tale valutazione, si dovrà innanzitutto tenere conto della presenza di omissioni, inesattezze e falsità nelle annotazioni e del ruolo giocato dalle stesse nella capacità delle scritture a rappresentare, con sufficiente grado di verosimiglianza, la situazione reddituale del contribuente. Si dovrà determinare, pertanto, sia la quantità delle violazioni che il loro ordine di grandezza in relazione al numero complessivo di registrazioni effettuate e alla dimensione aziendale. Una grave irregolarità sostanziale che determina senza dubbio l’inattendibilità delle scritture contabili consiste, ad esempio, nell’omessa registrazione, ripetuta e per un importo rilevante, di operazioni commerciali, quali cessioni di beni o prestazioni di servizi, quando l’evidenza di tali
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 22
BEGHIN M., Diritto tributario, principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza, Torino, 2011, 196. 23 PINO C., Le scritture contabili, cit., 110 s.
!
'#!
operazioni risulta invece da appunti, brogliacci o da altri documenti rinvenuti in sede di verifica presso la sede dell’impresa24. Allo scopo di fissare al meglio quanto finora detto, propongo un semplice ma chiaro esempio di irregolarità formale e di irregolarità sostanziale, in grado di cogliere le modalità con cui le stesse impattano sulla funzione delle scritture contabili di rappresentare la situazione economica dell’impresa in un modo sia formalmente che sostanzialmente corretto. Un’irregolarità formale che non mina la capacità rappresentativa dell’utile di bilancio posseduta dalle scritture contabili, ad esempio, si ha quando un imprenditore Alfa, dopo aver acquistato beni dalla società Beta con specifica fattura, per un corrispettivo pari ad euro 500.000, registra erroneamente nella relativa scrittura contabile il numero sbagliato della fattura e il nominativo del fornitore storpiato. Dal lato opposto, la registrazione della medesima fattura per un importo pari ad euro 5.000.000, in luogo dell’importo corretto, non costituisce più una mera irregolarità formale, ma una sostanziale, in grado, quindi, di incidere direttamente ed in modo considerevole sulla dimensione del reddito d’impresa25. Fino a questo momento, dunque, è stata prospettata una chiara ripartizione tra irregolarità formali e sostanziali che, tuttavia, non può essere intesa in termini di netta contrapposizione. Tra i due estremi, infatti, possono presentarsi situazioni intermedie in cui il giudizio sul carattere di inattendibilità delle scritture contabili può rivelarsi incerto.
3.4. Il concetto di “contabilità inattendibile” nella giurisprudenza Nonostante, come chiarito in precedenza, il concetto di contabilità inattendibile sia trattato in modo poco chiaro dalle disposizioni tributarie e, pertanto, risulti vago e fumoso, a partire dalle pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite nel tempo, in merito alla suddetta tematica, è comunque possibile individuare determinate situazioni in cui spesso e volentieri la contabilità è stata giudicata inattendibile, con conseguente ricostruzione “per masse” del reddito o del volume dei ricavi. Tali fattispecie, in particolare, consistono principalmente nella contabilizzazione di costi non proporzionati ai proventi (antieconomicità), nella persistenza di perdite fiscali, nella scoperta di fondi neri (tipicamente nei soggetti di elevate dimensioni), nel ritrovamento di una contabilità parallela a quella ufficiale e nel manifesto scostamento tra volume d’affari dichiarato e volume d’affari desumibile dalle percentuali di ricarico riferite ad un determinato settore. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 24
Cass. sez. trib., n. 5786/1992. Per ulteriori dettagli in merito a tale esempio e per altri esempi, si veda il paragrafo successivo. 25 BEGHIN M., Diritto tributario, cit., 196.!!
!
'$!
La giurisprudenza di legittimità, così come sancito in più sentenze26, è chiara nell’affermare che il ritrovamento, da parte dei soggetti preposti ai controlli, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una documentazione contabile informale, parallela, dunque, a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale, legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/7327. L’esistenza di una contabilità parallela comporta dunque l’inattendibilità della contabilità ufficiale, con la conseguente possibilità di utilizzare presunzioni semplicissime, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescindendo dalle scritture ufficiali, ritenute, appunto, non più attendibili. Secondo la Corte di cassazione28, infatti, tra le scritture contabili disciplinate dagli articoli 2709 e seguenti c.c. vanno ricompresi tutti i documenti che comunque registrano, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentano la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta. Per quanto riguarda il caso della registrazione nella contabilità aziendale di costi sproporzionati rispetto ai proventi (antieconomicità), secondo la Corte di cassazione 29 , costituisce presupposto sufficiente, per l’applicazione dell’art. 39, secondo comma, cit., il fatto che i risultati della gestione aziendale, così come appaiono nelle scritture contabili, siano talmente disastrosi, e ingiustificati dal contribuente in tale loro aspetto, da far pensare che la contabilità stessa sia inattendibile nella sua totalità. Nella sentenza in oggetto si afferma, discutibilmente, che la gestione aziendale è talmente disastrosa da far pensare, senza alcun dubbio, che gli amministratori abbiano in realtà effettuato una buona gestione dell’impresa e rappresentato la stessa, consapevolmente, malamente in contabilità, non essendo possibile, secondo la Corte, che gli stessi abbiano potuto effettivamente porre in essere una così tremenda mala gestio. Tale deduzione non risulta tuttavia pienamente condivisibile, in quanto si potrebbe tranquillamente presumere, al contrario, che gli amministratori abbiano rappresentato in contabilità la realtà delle cose, per come essi l’hanno prodotta con la loro gestione. Per giungere ad una delle due conclusioni, dunque, è necessario che i singoli giudici valutino le specifiche prove, distinguendo, il caso di una cattiva gestione sostanziale dell’impresa, che non rileva sotto il profilo tributario se correttamente rappresentata nelle scritture contabili, dalla falsa rappresentazione contabile, a prescindere dalla condotta della gestione, che dà invece comunque luogo ad accertamento induttivo30. Nel merito di tale tematica, inoltre, la Corte di cassazione ha comunque affermato che rientra nei poteri !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 26
Cass., sez. trib., n. 17365/2009, n. 27061/2006 e n. 7184/2009. A tal proposito si veda anche il paragrafo 2.6. 28 Cass., sez. trib., n. 19598/2003. 29 Cass., sez. trib., 17 settembre 2001, n. 11645. 30 GIULIANI F.M., Accertamento induttivo, e mala gestio, cit., 955 s. 27
!
'%!
dell’Amministrazione finanziaria la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa31. In linea generale, tuttavia, tutto ciò che è classificabile nella categoria delle scelte economiche dell’imprenditore, dovrebbe in realtà ritenersi escluso da possibilità di contestazione da parte delle autorità fiscali. L’impresa, pertanto, dovrebbe potersi muovere nello spazio economico circostante, senza il timore di incorrere in sanzioni in dipendenza, solamente, delle scelte assunte per ragioni aziendali32. Un ultimo responso della Corte di cassazione, depositato il 17 gennaio 2013, ha affrontato invece il caso, relativo ad una determinata società, della contabilizzazione di costi inesistenti, dell’effettuazione di versamenti ingiustificati su determinati conti correnti, da presumere quali ricavi non dichiarati, e della mancata contabilizzazione e dichiarazione di alcuni proventi finanziari. Secondo la Corte, tali gravi irregolarità rilevate durante le indagini bancarie, in mancanza di prova contraria, erano idonee a determinare l’inattendibilità delle scritture contabili e il successivo accertamento induttivo ai fini delle imposte sui redditi, mentre ai fini IVA potevano costituire una valida presunzione per l’imputazione diretta degli importi riscontrati33. Continua ad essere ricorrente nella giurisprudenza, inoltre, la valutazione di accertamenti emanati a carico di un’impresa, sulla base di dati rinvenuti presso terzi. Negli ultimi anni, in particolare, l’attenzione della critica si è spesso soffermata sui requisiti di utilizzo dei dati rinvenuti presso terzi. In qualche caso 34 la Suprema Corte ha lasciato intendere, nelle motivazioni della sentenza, che la situazione di irregolare contabilità rinvenuta presso il soggetto terzo potesse legittimare il giudizio di inattendibilità delle scritture contabili del soggetto sottoposto a controllo e, quindi, l’applicazione del metodo induttivo nei confronti della dichiarazione presentata dallo stesso35. In un caso, la Corte ha anche affermato che l’inattendibilità della contabilità aziendale può essere fondata sulla citata documentazione reperita presso i terzi e sulle annotazioni da questi elaborate, purché simile documentazione sia resa nota al contribuente ed esibita in giudizio36. In altri casi, al contrario, la Corte di cassazione ha dichiarato non sorretto da prove un accertamento in cui si era proceduto a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 31
Cass., Sez. trib., n. 10650/2001. CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, cit., 95. 33 RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili e opzioni normative di accertamento, cit., 1229 s.! 34 In molti casi, tuttavia, il principio di transitività per cui la contabilità inattendibile del terzo rendeva possibile l’accertamento induttivo sul cliente/imprenditore del terzo, nasceva più da equivoci terminologici o sistematici sulla nozione di accertamento induttivo e sui presupposti per il ricorso a presunzioni.!! 35 Si veda Cass., n. 23585/09. 36 Cass., sez. trib., n. 6311/2008. 32
!
'&!
ricostruzione induttiva dei ricavi, partendo da un acquisto in evasione accertato a mezzo della contabilità occulta del fornitore37, ritenendo che la ricostruzione induttiva dei ricavi fosse in realtà sprovvista di qualsiasi altro elemento probatorio ulteriore rispetto al dato riscontrato presso il terzo38. Anche in merito all’individuazione delle irregolarità formali e sostanziali idonee a far scaturire il giudizio di inattendibilità delle scritture contabili, non si può che far riferimento alla giurisprudenza fino ad ora intervenuta in materia, anche se parte delle pronunce riguardano più propriamente l’aspetto penale. Per quanto riguarda le irregolarità formali, infatti, l’art. 1, D.L. n. 429/198239, sanziona penalmente la mancata tenuta delle scritture contabili, a cui è equiparata l’omessa conservazione e, appunto, la tenuta di scritture nel complesso inattendibili a causa di irregolarità gravi, numerose e ripetute. La giurisprudenza di cassazione, sancita dalla sentenza, a sezioni unite, n. 12/1998, ha stabilito che la tenuta di scritture contabili inattendibili configura un reato di pericolo concreto in cui il legislatore demanda al giudice il compito di accertare, di volta in volta, l’effettiva lesività della condotta. Il caso più frequente, in merito alle irregolarità formali, è la tenuta della contabilità secondo modalità non rispondenti alle disposizioni civilistiche tese a garantire l’immodificabilità delle scritture, ed in particolare la presenza di annotazioni fatte a matita. Tale comportamento è considerato come causa di inattendibilità delle scritture, in quanto contrario al principio di stabilità delle risultanze contabili che intende evitare manipolazioni non percepibili senza l’adozione di particolari tecniche d’indagine. Di fronte a scritture contabili irregolari, dunque, il giudice di merito è incaricato a verificare in modo puntuale la gravità della condotta in oggetto; potranno esserci casi, infatti, come chiarito nel paragrafo precedente, in cui una mera irregolarità nella scrittura contabile, per esempio sporadica o casuale, quale la mancata annotazione di un’operazione aziendale complessivamente irrilevante rispetto all’insieme delle operazioni compiute dall’impresa nell’esercizio, non pregiudica né le garanzie proprie di una contabilità sistematica né la funzione di accertamento tributario. Al contrario, esistono determinate irregolarità che producono un impatto sull’intero sistema contabile, in quanto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 37
Con la sentenza n. 23585 del 2009, la Corte di cassazione ha stabilito invece che la documentazione contabile informale, rinvenuta presso terzi, legittima la rettifica della dichiarazione di un contribuente, rispetto al quale non sono state ispezionate le scritture contabili. Rispetto alle caratteristiche del caso esaminato, la decisione appare condivisibile, soprattutto per il fatto che, nonostante il richiamo all’accertamento induttivo, la rettifica della dichiarazione della ricorrente si manteneva ampiamente nei limiti propri dell’accertamento analitico, sia pure a base presuntiva. La suddetta sentenza, tra l’altro, costituisce un caso emblematico di possibili equivoci terminologici che comportano confusioni concettuali e preoccupazioni fuorvianti. Al fine di valorizzare la forza probatoria del brogliaccio rinvenuto presso il terzo, inoltre, la sentenza ha richiamato i precedenti con i quali è stata costantemente affermata la valenza presuntiva della documentazione extracontabile. (BASILAVECCHIA M., Il corretto significato di accertamento induttivo, in Corr. trib., 2010, 121 s) ! 38 CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, cit., 96 s.! 39 Tale Decreto Legge, Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, è stato convertito, con modificazioni, nella L. n. 516/1982. A tal proposito, si vedano i paragrafi 1.4. e 1.5..
!
''!
rendono impossibile sia il controllo che la ricostruzione, ex post, dei fatti aziendali da parte dell’Amministrazione finanziaria. Nel tempo, la giurisprudenza ha giudicato come tali l’omissione di formalità particolarmente rilevanti, quali ad esempio l’annotazione del valore delle giacenze nei registri IVA e la redazione della distinta inventariale delle giacenze. Altre sentenze, infine, hanno ritenuto che anche l’assenza delle scritture ausiliarie possa costituire un elemento dotato di gravità tale da rendere inattendibile l’impianto contabile del contribuente, nello specifico in assenza delle scritture sui reali movimenti dei beni per la vendita nell’anno, comprovanti costi e prezzi di vendita delle merci. Ancora, secondo la giurisprudenza, non si verifica il caso di inattendibilità delle scritture, derivanti da gravi irregolarità formali, laddove non siano stati posti in essere adempimenti, utili ai fini dell’accertamento, riguardanti libri contabili pur sempre obbligatori, quali i libri sociali, ma che risultano ininfluenti ai fini della determinazione del reddito d’impresa40. La giurisprudenza specifica in materia di violazioni sostanziali delle scritture contabili non risulta invece particolarmente significativa, a causa, in primo luogo, della difficoltà con cui un lungo contenzioso viene posto in essere a seguito di irregolarità la cui constatazione deriva da elementi fattuali certi. In questi casi, infatti, il contribuente conscio dell’esistenza delle irregolarità contestate preferisce avvalersi degli strumenti che l’ordinamento offre per una soluzione agevolata della controversia. In secondo luogo, invece, perché, statisticamente, l’Amministrazione finanziaria tende molto spesso a rilevare le più visibili irregolarità formali, preferendo la rettifica delle attività non dichiarate sulla base di presunzioni qualificate, e dunque, ponendo in essere un accertamento analitico-induttivo, in mancanza di violazioni sostanziali che risultino facilmente contestabili. In sostanza, l’accertamento contabile in senso stretto, che muove esclusivamente da violazioni sostanziali rilevate in sede di controllo, non risulta statisticamente la metodologia di accertamento più utilizzata, essendo usualmente riservato alle imprese di più grandi dimensioni, dove proprio dall’imposizione contabile di particolari operazioni può scaturire un eventuale occultamento di materia imponibile41. E’ stato ritenuto, tuttavia, per quanto riguarda le irregolarità sostanziali, un comportamento che inficia nel suo complesso le risultanze contabili, ad esempio, la presentazione della dichiarazione annuale con dati inesatti e completamente difformi da quelli risultanti dai registri contabili, giustificati dallo scopo di evidenziare un utile di esercizio fittizio, al fine di potere ottenere affidamenti bancari42; l’emissione di assegni per importi rilevanti ad altri soggetti operanti nello stesso settore merceologico, senza che di tali operazioni ne risultasse !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 40
PINO C., Le scritture contabili, cit., 106 s. Idem, ivi, 116. 42 Cass. sez. trib., 18 giugno 2003, n. 9772.!! 41
!
'(!
traccia nelle scritture contabili del contribuente43; o ancora, la confusione dei rapporti di debito e credito facenti capo al contribuente, quale imprenditore individuale, e la sua posizione di persona fisica, presidente di altro soggetto giuridico44. Dopo aver discusso di irregolarità formali e sostanziali, appare utile vagliare quali siano le conclusioni sull’attendibilità, o meno, di una contabilità che presenta un conto economico attendibile ma uno stato patrimoniale inattendibile, in quanto inficiato dalle irregolarità sopra richiamate. Ferma restando la peculiarità del bilancio d’esercizio di essere considerato come un unico documento seppur costituito da tre differenti sezioni, resta infatti da capire se, al fine di procedere con un accertamento di tipo induttivo, l’inattendibilità riferibile ad un’unica sezione possa estendersi a tal punto da far dichiarare l’inattendibilità dell’intero bilancio. Il punto fermo sul quale appare corretto basare tale ragionamento è senza dubbio il ruolo principale del conto economico nell’individuazione del reddito d’impresa ed anche nei controlli e nelle eventuali rettifiche successive della dichiarazione. Occorre, pertanto, valutare se tale capacità del conto economico sia stata o meno intaccata, senza basare il proprio giudizio, a prescindere, sull’esistenza di una sorta di forza espansiva che, per esempio, trasferisca la dichiarata inattendibilità dello stato patrimoniale anche alle altre sezioni del bilancio. Ciò che può accadere, infatti, è che lo stato patrimoniale sia giudicato inattendibile sulla base di registrazioni contabili non corrette, aventi come unico scopo quello di rispondere ad esigenze societarie di tipo estetico, che colpiscono, dunque, le soli sezioni dell’attivo o del passivo del bilancio, senza minare l’integrità del conto economico45. In tali specifici casi, da analizzarsi sotto la lente delle specifiche disposizioni riguardanti la singola imposta in oggetto, non sembra verificarsi, pertanto, il presupposto per un accertamento induttivo, considerata l’attendibilità della sezione del bilancio contenente le componenti positive e negative sulla base delle quali il reddito d’impresa sarà calcolato. I casi rientranti nella fattispecie ora descritta, seppur frequenti, non esauriscono tuttavia la totalità delle conseguenze derivanti da un’accertata inattendibilità dello stato patrimoniale. Può accadere, infatti, che le vicende relative a tale sezione di bilancio provochino un notevole impatto anche sul conto economico e, quindi, sulla determinazione del reddito d’impresa. Ciò che si conclude, infine, sulla base delle disposizioni che regolano la determinazione del reddito d’impresa sulla base del reddito individuato secondo la competenza economica, è che il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Cass. sez. trib., 20 giugno 2003, n. 9893.! Cass. sez. trib., 18 luglio 2003, n.11273.! 45 E’ il caso, per esempio, dell’imprenditore che, al fine di presentarsi al meglio davanti agli istituti bancari, modifica la propria situazione patrimoniale registrando, per una determinata somma cospicua, un finanziamento da parte dei soci, tra i debiti, a fronte di riserva di liquidità nell’attivo di stato patrimoniale (Comm. trib. reg. di Venezia Mestre, sez. XXII, n. 59/22/2010). 43 44
! !
')!
giudizio finale di inattendibilità della contabilità nel suo complesso dovrà sempre derivare dalla valutazione della capacità rappresentativa del conto economico46. Infine, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13952/2008, ha sancito il principio secondo cui la tenuta di una contabilità formalmente regolare, da parte del contribuente, non impedisce una ricostruzione indiretta dei ricavi e del volume d'affari sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. Secondo la Cassazione, dunque, come già spiegato nel capitolo secondo, è legittimo il metodo di ricostruzione indiretta dei ricavi, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, a condizione che esistano delle presunzioni qualificate, ai sensi dell'articolo 2729 del c.c.. Tale decisione è in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui l'asserita contabilità formalmente regolare non è sufficiente a precludere il ricorso a ricostruzioni indirette e induttive, fondate su elementi idonei a dimostrare l'inattendibilità del volume d'affari dichiarato, quali la capacità produttiva, la manodopera impiegata, il volume dei consumi, le attrezzature e le altre immobilizzazioni47. Nello specifico è stato giudicato legittimo l'accertamento emesso nei confronti di un esercente attività di parrucchiere, effettuato sulla base del consumo di energia elettrica e sulla mancata giacenza di shampoo, nonostante la presenza di regolari scritture contabili48. In un’altra pronuncia49, inoltre, la Corte di Cassazione ha affermato che è legittimo che l’Ufficio ricorra all’accertamento in rettifica anche qualora vi sia una contabilità formalmente regolare, se sostanzialmente essa non risulti in alcun modo credibile, tanto da far ritenere falsi alcuni dati esposti in dichiarazione, soprattutto se la falsità riguarda il dato più importante, ossia quello del margine di utile derivante dalla vendita della propria merce. Nel caso di specie, l’Ufficio aveva rettificato la percentuale di ricarico applicata da un contribuente esercente commercio di orologi ed oreficeria, in quanto inferiore a quella comunemente applicata nello specifico settore. Naturalmente, in questi casi, è sempre fatto salvo il diritto del contribuente di dimostrare l’inattendibilità di tali strumenti presuntivi di accertamento, dimostrando l’impossibilità di utilizzarli in quella fattispecie o confermando con altre presunzioni la validità del suo operato. Analizzando tuttavia il comportamento tenuto da parte dell’Amministrazione finanziaria in queste fattispecie, non si può far altro che notare come il citato articolo 39, in verità, vincoli il giudizio circa l’attendibilità della contabilità all’accertata mancanza di alcune condizioni, quali la regolarità formale delle scritture, la completezza delle annotazioni e la veridicità delle singole annotazioni effettuate. Solo in assenza di una o più di dette condizioni, dunque, come !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 46 BEGHIN M., L’asserita “forza espansiva, cit., 649 s.! 47
Cass., sez. trib., n. 5977/2007 e n. 21165/2005. IANNACONE A., Presunzioni vittoriose sulla contabilità regolare, in FiscoOggi, rivista telematica, 18 giugno 2008. 49 Cass., sez. trib., n. 2891/2002. 48
!
'*!
specificato nei paragrafi precedenti, si potrà valutare la rilevanza delle stesse, e infine decidere se esse siano tali da privare la contabilità di un sufficiente grado di garanzia. Il ragionamento dell’Amministrazione, avvallato dalla Corte di cassazione, qui parte invece da un criterio di comune esperienza, quale la percentuale di ricarico praticata nel settore indagato, al fine di presumere un’infedeltà delle scritture contabili, e quindi sfociare in un accertamento sintetico basato proprio sulle percentuali di ricarico medie. Ciò che si intende dire, in sostanza, è che in presenza di una contabilità formalmente regolare, l’Amministrazione è tenuta a provare e non a presumere l’esistenza di irregolarità sostanziali50. Altri elementi, più o meno contestabili, che la giurisprudenza ha in passato ritenuto validi per giustificare un accertamento in presenza di una contabilità regolare sono, oltre che l’esistenza di una contabilità parallela a quella ufficiale e un’entità del reddito in contrasto con il senso comune e con i criteri di economicità51, anche la quantità di materie prime acquistate52 e l’inverosimiglianza dei ricavi rispetto ai costi 53 . Ovviamente, in merito alle ipotesi di inattendibilità descritte, e comunque sempre quando si discute di giurisprudenza, si comprende come i percorsi ricostruttivi alla base siano influenzati in maniera ampia dalle caratteristiche del fatto concreto che si deve giudicare.
3.5. Le certificazioni fiscali sui dati contabili: il visto di conformità, l’asseverazione e la certificazione tributaria Il D.Lgs. n. 241/199754, emanato in occasione della riforma delle modalità di presentazione delle dichiarazioni tributarie, ha introdotto la c.d. dichiarazione unificata55 e previsto l’invio !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 50
Cass., sez. trib., n. 11348/2001 e n. 14500/2001 “le medie del settore non costituiscono un fatto noto, dal quale argomentare quello ignoto, ma solo il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati che fissa una regola di esperienza in base alla quale ritenere meno frequenti i casi che si allontanano dai valori medi, rispetto a quelli che vi si avvicinano”. 51 Cass., sez. trib., n. 10649/2001 e n. 1821/2001. 52 Cass., sez. trib., n. 12212/2000.! 53 Cass., sez. trib., n. 8494/1998. 54 Il D.Lgs n. 241/97 è relativo alle “Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni”. 55 Il D.lgs. n. 241/97 e, di seguito, il D.P.R. n. 322/98 hanno apportato una rilevante innovazione in materia di dichiarazione, prevedendo che i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, per i quali ricorre l’obbligo di presentare le dichiarazioni previste ai fini delle imposte sui redditi, sul valore aggiunto e sulle attività produttive (o, almeno, due di esse), debbano presentare una dichiarazione unificata che congloba le dichiarazioni prescritte ai fini delle suddette imposte. L’unificazione della dichiarazione, oltre ad incidere sulle modalità di presentazione, ha comportato anche il conseguente allineamento dei termini della stessa a quelli propri della dichiarazione dei redditi. Tuttavia, per quanto riguarda il contenuto, ognuna delle sezioni continua
!
(+!
della stessa all’Amministrazione finanziaria tramite via telematica. Tuttavia ciò che rileva ai fini dell’analisi del concetto di inattendibilità delle scritture contabili, che si sta svolgendo nel presente elaborato, è l’introduzione, da parte del medesimo decreto, di specifici istituti, non obbligatori, ma rilasciati su richiesta del contribuente da parte di professionisti abilitati, concernenti la certificazione fiscale dei dati dichiarati e trasmessi all’Amministrazione finanziaria. Gli istituti introdotti sono il visto di conformità, l’asseverazione e la certificazione tributaria. Il visto di conformità56 è un documento rilasciato da parte dei professionisti abilitati alla predisposizione e alla trasmissione telematica delle dichiarazioni tributarie57, attestante la corretta indicazione dei dati esposti in dichiarazione e la corrispondenza e conformità degli stessi alle risultanze delle scritture contabili. Tale istituto garantisce ai contribuenti assistiti dai suddetti professionisti il corretto adempimento degli obblighi tributari e agevola, inoltre, l’Amministrazione finanziaria nella selezione dei dati da verificare e nell’esecuzione stessa dei controlli, pur non escludendo, a monte, alcuna forma di controllo delle dichiarazioni stesse o delle scritture contabili da parte dei soggetti incaricati. Nonostante il visto di conformità sia caratterizzato dall’assenza di effetti consistenti e diretti nei confronti dell’Amministrazione, il legislatore ha comunque previsto una serie di rigide condizioni che devono risultare soddisfatte affinché tale attestazione possa essere rilasciata. Non si dimentichi, tuttavia, che la verifica di tali condizioni viene pur sempre svolta da professionisti abilitati, ma comunque non coincidenti con i soggetti realmente preposti, a posteriori, ai controlli ultimi sulla contabilità e sulla dichiarazione 58 . Tali condizioni consistono nella regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie, nella corrispondenza dei dati contenuti in esse con quanto esposto in dichiarazione e, infine, nella congruità dell’ammontare dei ricavi dichiarati a quelli determinabili sulla base degli studi di settore (in caso contrario, tale terza condizione si tramuta nella verifica e nell’attestazione delle cause che giustificano il suddetto scostamento). !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! ad essere separatamente ed esclusivamente disciplinata dalle disposizioni proprie dell’imposta alla quale tale parte della dichiarazione si riferisce. ! 56 Il visto (semplice) di conformità è disciplinato nello specifico dall’art. 35, primo comma, lett. a), D.Lgs. n. 241/97 e dall’art. 21, D.M. n. 164/99. 57 I professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità sono indicati all’art. 3, terzo comma, lett. a) e b), DPR n. 322/98, e sono gli iscritti agli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, e i soggetti iscritti, entro il 30.09.1993, nei ruoli di periti ed esperti, tenuti dalle C.C.I.A.A., in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o diploma di ragioneria. Secondo quanto previsto dall’art. 35, terzo comma, D.Lgs.n. 241/97, tali soggetti devono essere stati preventivamente abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni. 58 Può accadere, infatti, che il professionista non adempia correttamente a quanto previsto dalla legge esponendo, in tal modo, il contribuente all’applicazione di eventuali sanzioni tributarie. Per tale motivo, infatti, ai suddetti professionisti, è richiesta la stipula di una polizza assicurativa, ferma restando la possibile applicazione di specifiche sanzioni a carico del professionista che abbia rilasciato il visto di conformità senza che ne sussistano i presupposti.
!
("!
Allo stato attuale, l’utilità derivante dalle verifiche compiute dai professionisti, in merito al soddisfacimento delle condizioni necessarie al rilascio del visto di conformità, non viene al meglio sfruttata, comportando, di conseguenza, la perdita di un’ottima possibilità di configurazione
del
visto
stesso
come
specifico
strumento
mirato
a
sgravare
l’Amministrazione finanziaria da una serie di controlli formali sulle dichiarazioni e sulla corretta tenuta formale delle scritture contabili. L’asseverazione è un istituto previsto dall’art. 35, primo comma, lett. b), D.Lgs. n. 241/97, con il quale il professionista59 attesta che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all’Amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore corrispondono a quelli risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione idonea. L’asseverazione comporta determinate conseguenze in funzione dei controlli a cui sono sottoposte le dichiarazioni, in merito agli elementi posti alla base del calcolo dei ricavi congrui ai fini degli studi di settore. Il rilascio di tale attestazione, infatti, richiede lo svolgimento di un’accurata indagine, da parte del professionista, sull’esattezza dei dati dichiarati ai fini degli studi di settore: mentre per i dati di natura contabile, tale controllo discende in via quasi automatica da quanto già preventivamente verificato per il rilascio del visto di conformità, per i dati di natura extracontabile, invece, tale indagine si basa, tipicamente, su determinate rilevazioni oggettive o, laddove ciò non sia possibile, su dichiarazioni o stime compiute da parte dello stesso contribuente. A causa, quindi, delle modalità, non sempre precise, con cui solitamente viene condotta l’indagine sull’esattezza dei dati extracontabili ai fini della congruità prevista dagli studi di settore, tale strumento non comporta effettive conseguenze sul piano operativo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria60. All’art. 36 del citato decreto, è stato invece previsto l’istituto della certificazione tributaria, o visto pesante di conformità, consistente in una vera e propria revisione contabile, svolta da soggetti qualificati, che presuppone l’accertamento della regolarità formale, della completezza e della correttezza delle scritture contabili, nonché il controllo del rispetto delle norme sostanziali che governano la determinazione del reddito d’impresa. Il rilascio della certificazione tributaria comporta, a differenza del visto di conformità e dell’asseverazione, effetti diretti sui poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria, sia per quanto riguarda le modalità che i termini, ed effetti anche in relazione alla riscossione di quanto dovuto nel caso in cui sussista un giudizio pendente.
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 59 60
!
I medesimi professionisti sono abilitati sia al rilascio del visto di conformità che dell’asseverazione. PINO C., Le scritture contabili, cit., 147 s.
(#!
I soggetti ammessi al rilascio della certificazione tributaria sono solamente i revisori contabili, che hanno esercitato la professione per almeno cinque anni, iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro. La certificazione richiede che, nei confronti del medesimo contribuente, il certificatore abbia precedentemente predisposto la dichiarazione e tenuto le scritture contabili ordinarie, rilasciato il visto di conformità ed anche l’asseverazione, qualora gli studi di settore siano previsti per il suddetto contribuente, e accertato la corretta applicazione delle norme tributarie sostanziali. Tale ultimo adempimento previsto, ossia l’accertamento della corretta applicazione delle norme tributarie sostanziali, richiede che, nello svolgimento dell’attività di controllo, il professionista verifichi il rispetto sia delle norme specifiche che disciplinano i singoli componenti di reddito certificati, sia dei principi generali di inerenza, competenza, certezza e determinabilità oggettiva, e ancora le norme generali sulle valutazioni, secondo quanto previsto dal TUIR. All’esito positivo dei suddetti controlli, la certificazione tributaria viene rilasciata al contribuente e la sua esistenza comunicata all’Amministrazione finanziaria61, in caso contrario, ad un esito negativo dei controlli, nulla è invece richiesto dalla legge. Per espressa disposizione dell’art. 36, la certificazione tributaria produce effetti solo ai fini fiscali, non comportando, quindi, alcuna conseguenza in ordine al giudizio, di carattere civilistico, sulla regolare tenuta delle scritture contabili e sulla corretta redazione del bilancio d’esercizio. Il rilascio della certificazione, infatti, garantisce ai contribuenti assistiti il corretto assolvimento di determinati adempimenti tributari e rileva, in senso favorevole per il contribuente, ai fini della selezione e dell’esecuzione dei controlli formali e sostanziali da parte dell’Amministrazione finanziaria. In particolare, nei confronti dei contribuenti certificati, è prevista la non applicabilità delle disposizioni in materia di accertamento sintetico del reddito d’impresa e di accertamento induttivo ai fini IVA, la notificazione degli accertamenti basati sugli studi di settore entro la fine del terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione (la decadenza qui è prevista, quindi, un anno prima), la riscossione provvisoria delle imposte, degli interessi e delle sanzioni relativi all’atto di accertamento solo a seguito della sentenza sfavorevole della Commissione Tributaria Provinciale
e,
infine,
il
restringimento
dell’ambito
di
controllo
e
verifica
dell’Amministrazione, di regola, alle sole componenti di reddito che non hanno costituito oggetto di certificazione62. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 61
I professionisti certificatori devono inoltre inviare telematicamente all’Agenzia delle entrate l’elenco dei contribuenti ai quali hanno rilasciato la certificazione tributaria. 62 Rimangono fermi, invece, i controlli finalizzati al riscontro della correttezza della certificazione tributaria stessa rilasciata dal professionista.
!
($!
Riassumendo, tramite la certificazione tributaria, il professionista abilitato attesta l’attendibilità delle scritture contabili sia ai fini dell’applicazione dell’accertamento basato sugli studi di settore, sia ai fini dell’accertamento ordinario del reddito d’impresa, con effetti diretti, dunque, nei confronti dell’Amministrazione. La portata pratica di tale istituto è senza dubbio maggiore rispetto a quella propria degli istituti previsti all’art. 35, cit., tuttavia, anch’essa si configura limitata specialmente nei confronti dei contribuenti, destinatari della certificazione, che non sono tuttavia soggetti agli studi di settore. Ad esempio, per le imprese di maggiori dimensioni, il rilascio di un’eventuale certificazione tributaria sarebbe probabilmente inutile, considerando che, la maggior parte delle volte, un eventuale accertamento si concentra principalmente sulla qualificazione tributaria di specifiche operazioni aziendali, in particolare per quanto riguarda l’eventuale natura elusiva delle stesse. Al fine di aumentarne la portata, dunque, la certificazione tributaria potrebbe assumere le vesti di una vera e propria attività svolta nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria, e non del solo contribuente, prevedendo, ad esempio, che al rilascio della stessa consegua la definizione del reddito nell’ammontare dichiarato. Ovviamente, a ciò, si dovrebbe accompagnare sempre e comunque, la possibilità di fornire prova della falsità della certificazione, con conseguenti sanzioni penali a carico del certificatore, o dell’inserimento nella contabilità di documenti falsi da parte dell’impresa, allo scopo di evadere e sviare l’attività di accertamento, con conseguenti sanzioni penali, in questo caso, a carico dell’imprenditore63. Oltre agli istituti fiscali per la certificazione dei dati contabili, esistono anche determinati istituti civilistici in materia di revisione contabile e di controllo del bilancio d’esercizio, che tuttavia non assumono alcuna particolare valenza sotto il profilo fiscale ai fini del giudizio di inattendibilità delle scritture contabili, nonostante essi si rivelino estremamente utili in merito alla verifica di una regolare tenuta della contabilità, sia dal punto di vista formale che sostanziale, e della corrispondenza delle scritture contabili con il bilancio d’esercizio. Tale assenza di effetti fiscali può essere spiegata dal fatto che i suddetti controlli interessano solamente una minima parte di tutti i soggetti obbligati fiscalmente alla redazione delle scritture contabili e dal fatto che essi si basano principalmente su tecniche di natura campionaria
che
si
discostano,
pertanto,
dalle
abituali
modalità
di
verifica
dell’Amministrazione finanziaria. Esiste, tuttavia, una pronuncia giurisprudenziale della Cassazione64, che ha sancito la rilevanza anche fiscale, oltre che civilistica, della revisione di bilancio. Secondo la Cassazione, infatti, il contribuente in possesso di una certificazione del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 63 64
!
PINO C., Le scritture contabili, cit., 150 s.! Cass., sez. trib., n. 5926/2009.
(%!
bilancio rilasciata da un revisore contabile può utilizzare la stessa come presunzione semplice al fine di attestare, anche ai fini fiscali, una corretta contabilizzazione degli elementi di bilancio, in relazione a quanto contenuto nelle scritture contabili alla base.
!
(&!
!
('!
CONCLUSIONI Sulla base di quanto ho esposto nel presente elaborato, mi auspico che si possa aver compreso come, in passato, il legislatore italiano abbia avviato una fase di semplificazione degli adempimenti formali e degli obblighi contabili nei confronti delle imprese di più piccole dimensioni, considerata la contestuale sempre più ridotta importanza che tali elementi rivestivano nella fase dell’accertamento del reddito d’impresa. Giunta alla fine, tuttavia, mi sento di poter giudicare il citato intervento posto in essere dal legislatore; a mio parere, dunque, la suddetta fase di semplificazione avrebbe dovuto essere preceduta da una miglior riflessione in merito ai rapporti tra determinazione contabile del reddito e criteri di accertamento, nonché da un progetto che prevedesse una definitiva diversificazione dei metodi di controllo del reddito d’impresa in relazione a regole di determinazione e ad obblighi contabili soggettivamente differenziati. L’evoluzione intrapresa in materia di accertamento contabile ed extracontabile, innanzitutto, dovrebbe portare l’Amministrazione finanziaria a tenere conto, in modo se possibile ancor più incisivo, delle dimensioni delle imprese e delle derivanti differenti tipologie di evasione, al fine di prevedere, sulla base delle stesse, diverse modalità di determinazione del reddito e, di conseguenza, diversi obblighi contabili. Pertanto, nel condurre gli accertamenti del reddito d’impresa, l’Amministrazione dovrebbe poter conoscere più nello specifico le effettive aree di rischio del soggetto passivo che si accinge a controllare, nonché la tipologia di clienti a cui esso si rivolge e l’organizzazione amministrativa di cui si avvale. Ad oggi, al contrario, il principio della tassazione in base a criteri di adeguamento del reddito imponibile a quello economico, comporta l’inevitabile enfatizzazione del ruolo delle scritture contabili, non solo nell’ambito del procedimento di determinazione del reddito d’impresa, ma anche di accertamento dello stesso. E’ indubbio che passi in avanti nel senso dell’affievolimento del ruolo giocato dalle scritture contabili nei confronti delle imprese di più modeste dimensioni siano stati fatti grazie all’introduzione degli studi di settore; tuttavia, mi sento di affermare che il legislatore potrebbe dotare tale metodologia di accertamento di un ancora maggior rilievo, prevedendo, ad esempio, in aggiunta alla già citata riformulazione dei criteri di determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo e dei relativi adempimenti formali e contabili, un’estensione degli stessi anche nella direzione di attività per le quali attualmente non sono ancora predisposti. Dai citati cambiamenti, a mio parere, potrebbero verosimilmente derivare notevoli vantaggi sia per lo Stato, ovviamente in termini di maggiore gettito, che per i contribuenti, in termini di riduzione dei costi di procedure contabili e amministrative di fatto inutili. Mi rendo conto, in !
((!
ogni caso, come tali modifiche non siano così facili da attuare, considerando che una buona parte delle imprese di minori dimensioni sia tenuta ad assolvere a determinati adempimenti contabili, come la redazione del bilancio d’esercizio, in quanto costituitesi nella forma di società di capitali. Al tempo stesso, tuttavia, non credo sia comunque possibile immaginare il prosieguo di un regime fiscale in cui il reddito d’impresa viene ancora determinato ordinariamente su basi contabili a fronte di un accertamento sempre più basato, al contrario, su metodi extracontabili. In riferimento alle considerazioni fatte fino a questo momento, dunque, ciò che mi sembra logico concludere è che l’attuale normativa in materia di accertamento del reddito d’impresa sia da considerarsi ancora in una fase transitoria. Ad oggi, infatti, si sta ancora assistendo ad un momento di passaggio da un regime che vedeva l’accertamento analitico contabile come metodologia privilegiata dei controlli dell’Amministrazione finanziaria sui redditi d’impresa, e dove quindi assume un ruolo centrale la corretta tenuta delle scritture contabili, ad un nuovo regime in cui per i contribuenti di modeste dimensioni è privilegiato l’accertamento extracontabile basato sugli studi di settore. Ritengo pertanto auspicabile che, al fine di ridurre e scoraggiare il fenomeno dell’evasione fiscale, nei confronti delle imprese medio-piccole, si continui a privilegiare una rettifica del reddito sulla base delle risultanze degli studi di settore, o, laddove sussistano i presupposti, in base ad accertamenti di carattere presuntivo ex art. 39, D.P.R. n. 600/1973, mentre, nei confronti delle grandi imprese, un’indagine basata sulla contabilità, considerato il ruolo indispensabile che le scritture contabili rivestono al fine di permettere all’imprenditore di conoscere l’andamento della propria gestione e la situazione economica e patrimoniale della propria azienda. Il punto cruciale, infatti, è rappresentato dalla necessità di condurre la lotta all’evasione delle imprese mediante un approccio basato su una pluralità di strumenti e di obiettivi, considerando, dati alla mano, la pluralità di fattispecie mediante le quali tali soggetti passivi evadono. Nel merito dell’analisi degli strumenti di contrasto all’evasione delle imprese, dunque, oltre che sulla suddetta importanza di adottare idonei metodi di accertamento, intendo soffermarmi brevemente sul c.d. contrasto di interessi. Nelle transazioni tra imprenditori o tra professionisti accade, infatti, che al provento tassabile di uno dei due soggetti corrisponda, simmetricamente, un costo deducibile per l’altra parte, la quale, logicamente, è sempre interessata a richiedere la documentazione attestante l’operazione al fine di poter dedurre tale costo, riducendo, in tal modo, il proprio carico fiscale, ma anche esponendo, conseguentemente, la controparte alla tassazione. Nel momento in cui, all’opposto, le operazioni risultano asimmetriche, come nel caso del piccolo imprenditore o del libero professionista che vende o eroga servizi al consumatore finale, tale !
()!
contrasto di interessi, rappresentato dalla richiesta della controparte della documentazione attestante la transazione, viene a mancare, non essendo ancora prevista la possibilità per il privato di portare in deduzione i costi sostenuti. E’ proprio a partire da tali situazioni, dunque, che derivano i benefici ottenibili dai piccoli imprenditori in termini di minor carico tributario, sia dal punto di vista delle imposte sui redditi che dell’IVA. Secondo quanto descritto, pertanto, nessuno di noi sarebbe portato a negare l’eventuale impatto positivo che avrebbe sul contenimento dell’evasione delle piccole imprese e dei liberi professionisti la possibilità di estendere lo schema di simmetria, rappresentato dalla tassazione di un provento a fronte della deducibilità di un costo, anche ai rapporti tra i citati contribuenti e i consumatori finali. In tal senso, infatti, i privati sarebbero anch’essi indotti a richiedere la documentazione attestante le transazioni poste in essere, impedendo, in questo modo, l’occultamento di proventi da parte della controparte impresa. Infine, con riferimento a quanto finora detto in merito alla rilevanza delle scritture contabili nell’ambito dei procedimenti di accertamento del reddito d’impresa, ritengo che sia necessario, da parte del legislatore, sia un intervento mirato a definire, in termini più chiari, quello che attualmente è il fumoso e sfuggente concetto di “contabilità inattendibile”, sia un allineamento del concetto civilistico di “regolare tenuta della contabilità” alla realtà odierna, entrambi da compiersi in relazione alle eterogenee fattispecie di irregolarità formali e sostanziali di cui, negli anni, si è occupata la giurisprudenza, nonostante la stessa non sia comunque stata in grado di riempire completamente ed in modo univoco quell’insieme vuoto che ancora oggi è la nozione di “contabilità inattendibile”.
!
(*!
!
)+!
BIBLIOGRAFIA BASILAVECCHIA M., Il corretto significato di accertamento induttivo, in Corr. trib., 2010, 121. BASILAVECCHIA M., Dati rinvenuti presso terzi e accertamento induttivo, in Riv. giur. trib., 2011, 490. BEGHIN M., La contabilità inattendibile e l’accertamento “induttivo-extracontabile” nella morsa degli studi di settore, in Riv. giur. trib., 2009, 966. BEGHIN M., I soggetti sottoposti all’applicazione degli studi di settore, in FALSITTA G., Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, 2010. BEGHIN M., Diritto tributario, principi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza, Torino, 2011. BEGHIN M., L’asserita “forza espansiva” dell’irregolarità dello stato patrimoniale quale presupposto per l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2011, 647. BEGHIN M., L’accertamento contabile, schema della lezione tenutasi a Bologna il 10 giugno 2011. BERNARDI L., FRANZONI L., Evasione fiscale e nuove tipologie di accertamento: un’introduzione all’analisi economica, Pavia, 2008. BOCCHINI E., Manuale di diritto della contabilità delle imprese, Torino, 1995. BOSI P., GUERRA M., I tributi nell’economia italiana, Bologna, 2011. CARPENTIERI C., Studi di settore e accertamento analitico-induttivo a confronto, Corr. Trib., 2008, 865.
!
)"!
CARRIROLO F., L’accertamento nelle imposte sui redditi e nell’IVA, in ANTICO G, CARRIROLO F., FUSCONI V., TUCCI G., ZAPPI A., L’accertamento fiscale, Milano, 2007. CERBIONI F., CINQUINI L., SOSTERO U., Contabilità e bilancio, Milano, 2006. CIERNO R., I giudici tributari di Reggio Emilia: “il redditometro è illegittimo, va disapplicato”, in Il Sole 24 Ore, 19 aprile 2013. COCO C., False scritture contabili e reddito d’impresa, Bari, 2004. CONTRINO A., Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996. D’AMATI N., URICCHIO A., Corso di diritto tributario, Padova, 2008. DI GREGORIO C., MAINOLFI G., RISPOLI G., Confisca per equivalente e frode fiscale, Milano, 2011. FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2009. FALSITTA G., Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, 2010. FANTOZZI A., Corso di diritto tributario, Torino, 2003. FAZZINI E., Piccole e medie imprese e metodologie di accertamento, in L’evasione fiscale: una guerra ancora da vincere, Atti del convegno tenuto presso l’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss-Guido Carli di Roma, 2006. FIACCADORI S., L’inattendibilità della contabilità ordinaria ai fini dell’accertamento da parametri, in Boll. trib., 1996, 1664. GAVELLI G., VALCARENGHI G., Accertamento induttivo e studi di settore: un approccio più ragionevole, in Corr. Trib., 2012, 955.
!
)#!
GIULIANI F.M., Accertamento induttivo e mala gestio come indice presuntivo d’inattendibile contabilità, in Dir. Prat. Trib., 2002, 954. IANNACONE A., Presunzioni vittoriose sulla contabilità regolare, in FiscoOggi, rivista telematica, 18 giugno 2008. IORIO A., Le presunzioni nell’accertamento tributario: studi di settore e antieconomicità delle scelte imprenditoriali, Perugia, 2013. LONGOBARDI E., Economia tributaria, Milano, 2008. LUPI R., Diritto tributario, pare speciale, Milano, 1996. LUPI R., Evasione fiscale, paradiso e inferno, Milano, 2008. MANZON E., MODOLO A., Manuale breve: diritto tributario, Pordenone, 2008. MENTI F., Le scritture contabili nel sistema dell’imposizione sui redditi, Padova, 1997. MERLO P., Fatture false e fatture irregolari, in La Settimana Fiscale, 2012, n. 32. MOBILI M., PARENTE G., L’identikit degli evasori in Italia, in Il Sole 24 Ore, 27 agosto 2012. PINO C., Le scritture contabili e il controllo del reddito d’impresa, Milano, 2012. RUSSO A., L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, in Il Fisco, 2010, I, 979. RUSSO A., Inattendibilità delle scritture contabili e opzioni normative di accertamento tra metodo analitico e induttivo, in Fisco, 2013, 1229. SANTORO A., L’evasione fiscale, quanto come e perché, Bologna, 2010. VERNA F., VERNA G., Accertamento e processo tributario, le scritture contabili quali mezzi di prova, Milano, 2000. !
)$!
VOGLINO A., I presupposti degli accertamenti disciplinati dall’art. 39 del D.P.R. 600/1973 fra realtà normativa e strappi interpretativi, in Boll. trib., 1996, 1710. ZANETTI E., Contabilità su supporti informatici e accertamento induttivo, in Riv. giur. trib., 2004, 228.
!
)%!