Università “G. d'Annunzio” Dipartimento di Scienze giuridiche
Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza dell’art.1322 del codice civile. L’art. 2645-ter
di Sabrina Rossi
n° 3 / 2009
SABRINA ROSSI
“Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza dell’art.1322 del codice civile. L’art.2645-ter ” SOMMARIO: 1. IL
RIFERIMENTO ALLA GIURISPRUDENZA. ˗ 2. L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI MERITEVOLEZZA. ˗ 3. CONCLUSIONI IN TEMA DI MERITEVOLEZZA. ˗ 4. PUBBLICITA’ TAVOLARE 1. IL RIFERIMENTO ALLA GIURISPRUDENZA.
Una pronuncia recente del giudice tavolare di Trieste 1 offre motivo per una riflessione sulla figura degli atti di destinazione al fine di procedere, attraverso l’esame della norma di recente introduzione di cui all’art.2645-ter del codice civile, ad una valutazione in chiave critica del giudizio di meritevolezza già presente nell’art.1322,2°comma, nonché dei rapporti tra gli atti destinatori e l’istituto del trust. L’analisi del concetto di meritevolezza e del suo riproporsi anche in una norma dettata in tema di trascrizione degli atti di destinazione prende spunto dall’orientamento giurisprudenziale da ultimo espresso in sede tavolare succitato e dal quale si è ritenuto di dover partire per un approfondimento anche in chiave storicistica del concetto di meritevolezza. La decisione del tribunale triestino 2 viene assunta a seguito di ricorso tavolare predisposto per conto del trustee, volto ad ottenere l’intavolazione del diritto di proprietà di un bene immobile a nome della società semplice con funzione di trustee. A fondamento della domanda viene prodotto l’atto pubblico istitutivo del trust che le parti espressamente definiscono “Protective Trust”, come pure l’atto di dotazione patrimoniale del trust in precedenza costituito e il negozio collegato costitutivo di società semplice che ad intenzione dei disponenti (o del disponente non essendo chiara la clausola) dovrà fungere da trustee. Le finalità del trust cui è funzionale la dotazione dell’immobile in questione (oltre che la somma di € 100,00) risultano palesate dalle parti che dichiarano di voler “soddisfare le esigenze attuali e future di entrambi”, è, infatti, intenzione dei disponenti creare un patrimonio separato che, analogamente al fondo patrimoniale riservato alla sola famiglia legittima, soddisfi le svariate esigenze dei conviventi more uxorio, come pure dei figli nati dalla loro unione di fatto e non, prole quindi individuata come beneficiaria sia in relazione al reddito prodotto dal patrimonio vincolato in trust che alla destinazione finale dei beni che ne sono oggetto. A conclusione dell’ampia disamina della richiesta, il Giudice Tavolare, dr. Arturo Picciotto, accoglie il ricorso e ordina l’intavolazione del diritto di proprietà dell’immobile a nome della società semplice trustee (in persona dell’amministratore p.t.). È opinione di questo giudice che non vi siano preclusioni verso l’ammissione della figura, sia pur discussa in sede dommatica 3 , del cd. trust interno (o domestico) e della conseguente sua 1
Tribunale di Trieste, 19 settembre 2007, decr.- Ufficio del giudice tavolare- Giud. Picciotto scaricabile su www.filodiritto.com 2 Il riferimento è al decreto del 19 settembre 2007 cit. sub. nota 1. 3 Autorevolmente sostenuta è la tesi contraria all’operatività del trust interno in Italia, v. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, pagg.983-984; Id, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del “trust”, Riv. Not., 2002, pagg.1107 esegg.; Id, Tentativo dell’impossibile(osservazioni di un giurista “non vivente” su “trust” e trascrizione),id, 2001, pagg.11 e segg.; Id, In Italia tutto è permesso anche quello che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul “trust”ed altre Bagattelle), ibid., pagg.1247 e segg.; Castronovo, in Europa e diritto privato, giuffrè ed., 1998, pag.441; P. Rescigno, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e diritto privato, cit., 1998, pagg.453 e segg.; A. Falzea, Introduzione e considerazioni conclusive, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche normative, Milano, 2003, 23; M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, pg.248, in cui l’Autrice sostiene che “la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione dell’Aja sul riconoscimento dei Trusts ha
trascrizione, ossia di quello costituito da cittadini italiani residenti, con beni situati in Italia, a favore di beneficiari italiani, ma con applicazione di una legge straniera che lo disciplini. Il rinvio ad una precedente decisione 4 dello stesso organo giudicante, per quanto attiene ai profili generali di orientamento del tribunale triestino in tema di astratta compatibilità del trust con l’ordinamento giuridico tavolare, conferma la posizione di favore verso quelle tipologie di trust che non presentano elementi di estraneità rispetto al nostro ordinamento con la sola eccezione della legge regolatrice 5 , restando “nostrani” i restanti elementi sia oggettivi che soggettivi. La convenzione quindi consentirebbe, ad avviso di questo giudice, il riconoscimento anche del trust domestico, come quello in argomento, privo di qualsivoglia elemento di internazionalità, fatta salva la detta eccezione; con breve inciso 6 , quindi, il giudice triestino supera la tesi sulla presunta irriconoscibilità di un trust interno a mezzo dell’inquadramento della legge di ratifica 7 della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 quale norma di diritto internazionale privato e non prescrizione di diritto uniforme sostanziale 8 . Sulla base di questo presupposto il giudice de quo pone le basi della successiva disamina della causa del trust e del conseguente giudizio di meritevolezza9 degli interessi perseguiti dai disponenti che desiderano dotare lo stesso dei beni necessari a realizzare quei fini (e per il quale atto di dotazione si richiede l’iscrizione tavolare), con ciò allineandosi all’opinione giurisprudenziale prevalente 10 in materia di trust che trova conforto in una parte nutrita della dottrina. sicuramente svolto un significativo effetto riflesso, in quanto ha in qualche modo reso il modello del trust un ospite più familiare nel nostro ordinamento, esprimendo un atteggiamento di maggior apertura rispetto al passato”; Id, Il nuovo art.2645-ter notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, in Giustizia Civile, 2006, pagg.187 e segg., ove si sostiene una posizione contraria all’attuale ammissibilità del trust interno, in tal senso antitetica a quella espressa dal Giudice tavolare in oggetto, nonostante l’introduzione dell’art.2645-ter, poiché la norma introduce solo un “frammento di trust” incapace di colmare il vuoto normativo che fino ad ora ha ostacolato il ricorso a tale istituto. In senso conforme all’inammissibilità del trust interno anche C.M. Bianca, Diritto Civile, VI, La proprietà, Milano, 1999, pag. 204 in cui l’illustre Autore esprime la convinzione che la creazione di trust con pienezza di effetti giuridici sia subordinata all’esistenza di una legislazione nazionale in materia in grado di tipizzare l’istituto onde evitare possibili strumentalizzazioni abusive; da ultimo v. A. Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, pag.142 in cui l’autore sposa la tesi di Bianca sul punto. 4 Il rinvio è testuale ed è al provvedimento del 23 settembre 2005. 5 Cfr. F. Rota e G. Biasimi, Il trust e gli istituti affini in Italia, Milano, 2007, pag.7 in cui si accenna al panorama dottrinale sull’argomento e, in particolare, quanto all’opinione contraria all’ammissibilità del trust, alla ravvisata ragione di nullità della clausola del trust interno che rinvia ad una determinata legge straniera ai fini dell’individuazione della disciplina negoziale, ragione che risiede nell’impossibilità dell’oggetto, dovendo trovare applicazione la lex fori (italiana) in luogo di quella straniera. 6 “ Doveroso appare il rinvio al proprio provvedimento […] quanto all’indicazione delle linee generali di orientamento dell’ufficio in tema di compatibilità astratta del trust con l’ordinamento civile, ed in particolare con quello tavolare.” in motivazione al decr. 19/09/2007 cit . sub. nota 1. 7 La legge n. 364 del 16 ottobre 1989 in vigore dal 1°gennaio 1992 (GU n. 261 suppl. ord. del 8 novembre 1989) ha consentito all’Italia di ratificare e dare esecuzione alla Convenzione internazionale sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento al fianco del Regno unito e dell’Australia. 8 M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c. notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, cit., pagg.187 e segg., in cui l’Autrice sottolinea “la difficoltà di forzare la natura di una Convenzione che palesemente è volta a risolvere un problema di conflitto di leggi”; conforme Gazzoni F., In Italia tutto è permesso…cit., in cui si esprime il convincimento che il conflitto tra norme di differenti ordinamenti giuridici costituisce il presupposto dell’applicabilità della Convenzione e di conseguenza non può assurgere a fonte di diritto interno italiano, potendo trovare applicazione la Convenzione solo in presenza di una situazione di conflitto che costituisce elemento di internazionalità della fattispecie. 9 In un precedente provvedimento del 7 aprile 2006, lo stesso giudice reputa doveroso in sede tavolare procedere ad un “giudizio di apprezzamento causale e di meritevolezza ” del trust in virtù dell’art. 26 dell’allegato al d.r. 28/03/1929, n. 499 - disposizioni relative ai libri fondiari dei territori delle nuove province - che richiede una causa valida per potersi procedere all’intavolazione dell’atto. 10 Cfr., ex plurimis, Trib. Bologna, 1/10/2003 in Trust, 2004, pag.67; Corte di Giustizia U.E., 17/05/1994; Cass. sez.VI pen., 18/12/2004 che non pone problema alcuno circa l’operatività e prima ancora l’ammissibilità del trust domestico, dando semplicemente atto - in seno alla motivazione del ravvisato reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice nei confronti del disponente che aveva trasferito al trustee la proprietà di alcuni beni a seguito di una sentenza di condanna - della costituzione di un trust interno soggetto alla legge inglese per volontà del settlor .
Poiché, per quanto detto, le parti hanno prodotto l’atto di dotazione patrimoniale unitamente all’atto istitutivo di trust, questa verifica della sussistenza dell’interesse meritevole e di una causa lecita è possibile e si conclude con un giudizio favorevole in termini di apprezzamento della meritevolezza dell’interesse insito nel programma negoziale. È proprio in base all’indagine sulla causa e sul contenuto negoziale che il Giudice, che ha emanato il decreto in analisi (decr.19/09/07), procede ad individuare la tipologia di trust che condurrà alla concessione dell’intavolazione, in quella che viene definita “funzione di auspicata eterointegrazione” propria del giudice tavolare, ravvisando l’esistenza di un Family Trusts o anche di un Discretionary Trusts, “per lo meno quanto alla distribuzione del reddito attesa la piena discrezionalità del trustee sul se e a chi distribuire il reddito”. Ciò in parziale deroga alla configurazione offerta dalle parti richiedenti, che prospettavano l’istituzione di un “Protective trust” (regolata dalla Trustee Act, 1925, sect.33) i cui beneficiari sono gli stessi disponenti, coppia convivente more uxorio, e i figli di ciascuno i cui diritti, ritenuti indisponibili, sono destinati a venir meno in caso di disposizione da parte del titolare dichiarato fallito ovvero di compimento sugli stessi di atti conservativi o esecutivi. Una volta ultimata l’indagine precipua sui caratteri e gli elementi essenziali del trust, il Giudice si sofferma in chiusura ad una riflessione in merito alla recente introduzione nel corpo del codice civile dell’art. 2645-ter ad opera della legge 23 febbraio 2006, n.51, con la dichiarata finalità di confrontare il trust con la “nuova e presunta” figura degli atti di destinazione onde verificare l’esistenza di una relazione tra i due istituti. L’obiettivo della presente indagine sulle motivazioni a supportato della pronuncia giurisprudenziale 11 che ordina l’iscrizione tavolare del diritto di proprietà di un bene immobile conferito in trust, è quello, in prima battuta, di approfondire la qualificazione che del trust fornisce da ultimo la giurisprudenza sia pure nella precipua sede tavolare; per poi procedere ad una approfondita analisi del background culturale al quale si è informata la posizione di detto organo decidente in relazione al discusso problema della meritevolezza dell’interesse perseguito nell’ipotesi di ricorso ad uno schema contrattuale atipico (esulando dal presente lavoro un esame più approfondito anche in merito al correlativo problema della doverosità o meno di un identico giudizio anche per i contratti tipici). Infatti solo attraverso l’excursus dottrinale in tema di effettiva portata delle disposizioni di cui agli artt. 1322, 2°comma e 1343 cod. civ. è possibile fare chiarezza sul reale significato del controllo di meritevolezza che, si anticipa essere, a giudizio della scrivente, dotato di autonoma rilevanza rispetto a quello di liceità di cui all’art.1343 diversamente da quanto sostenuto nella decisione su cui si incentra la presente riflessione. Quindi, si procederà ad un’analisi comparata degli istituti del trust e degli atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter cod. civ. seguendo in particolare la chiave di lettura di questa recente giurisprudenza che fa da filo conduttore alla rivisitazione degli istituti de quibus, con attenzione rivolta alla meritevolezza dell’interesse perseguito, al fine di coglierne una possibile relazione, anche alla luce dei ripensamenti cui è giunto il medesimo giudice12 a seguito delle pressanti, quanto acute ed in questa sede condivise, critiche di parte autorevole della dottrina 13 alle considerazioni da lui espresse in altri provvedimenti giudiziari 14 . Il confronto impostato, come sopra accennato, sulla rilevata centralità del tema della meritevolezza è quindi finalizzato a chiarire i confini e i conseguenti limiti di operatività in relazione non solo al disposto dell’art. 1322, 2°comma, ma anche al richiamo (forse non mero!) che di esso ne fa la nuova norma di cui all’art. 2645-ter cod. civ. In linea con questa ricostruzione si procederà di seguito ad un’analisi sistematica della disposizione normativa onde verificare la correttezza della posizione assunta dalla pronuncia giurisprudenziale in esame (decr.19/09/07 cit.) circa l’assenza di valenza sostanziale della norma
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Il riferimento è sempre al decr.19/09/2007 sub nota 1. Giud. Tav. Picciotto, decr.19 settembre 2007 cit. in nota 1. 13 Cfr., in proposito, M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c cit., pagg.187 e segg. 14 il riferimento è, in particolare, al decreto del 7 aprile 2006 scaricabile su www.filodiritto.com 12
che “varrebbe (solo) a legittimare l’esistenza nell’ordinamento di un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione”. In ultimo si approfondirà il tema della pubblicità tavolare e del relativo procedimento di intavolazione con una breve disamina dei principali elementi di differenziazione tra i due sistemi pubblicitari presenti in diverse aree del nostro Paese, con le rispettive funzioni, con particolare attenzione, per il tema che ci occupa, al modello tavolare. In primis è opportuno chiarire la tipologia di trust la cui causa si intende esaminare. L’orientamento di recente espresso 15 è nel senso di inquadrare il negozio sottoposto al suo esame, sia pur con i rilevati limiti 16 , nell’ambito degli “Asset Protection Trusts”, quale “trust di protezione patrimoniale, connotato ad colorandum da finalità di protezione familiare”, sebbene con qualche perplessità che si evince dalla scelta delle parole “sembrerebbe potersi invocare la figura del Family 17 ma anche del Discretionary Trusts”, quasi che fossero tra loro fungibili o comunque nella difficoltà di qualificarlo con decisione a causa della ravvisata scarsa linearità del programma negoziale. In vero il t. familiare è una forma discrezionale di trust, quindi una species del più ampio genus del t. discrezionale, che si caratterizza non solo per l’evidente fine protezionistico delle esigenze familiari e del relativo patrimonio, ma anche per il potere attribuito al trustee di scegliere i beneficiari, ai quali corrispondere nel tempo vantaggi patrimoniali, come pure di assumere decisioni sulla gestione del patrimonio affidatogli. Questa discrezionalità può essere, come nel caso di specie, limitata a particolari decisioni, mentre è piena riguardo all’individuazione dei beneficiari, in ciò discostandosi dal trust in esame in cui tutti i beneficiari sono già determinati 18 . È per questa rilevata incongruità che il giudice triestino dubita dell’inquadramento della figura nell’ambito dei trust familiari e pone l’alternativa, o l’accostamento, al vicino trust discrezionale in quanto, in tal caso, “difetta sostanzialmente qualsiasi affidamento del diritto al trustee” 19 . La parte disponente dichiara espressamente la finalità cui tende il negozio, che è quella di “soddisfare le esigenze attuali e future di entrambi con obbligo di somministrazione di “mezzi finanziari per ragioni di studio, malattia o di sopravvenute difficoltà nella vita ordinaria” ai beneficiari bisognosi. Altro punto problematico individuato nella suddetta pronuncia e con il quale si concorda ai fini di un inquadramento certo nella categoria dei Family Trusts risiede nella rilevata assenza di una 15
Decr.19/09/2007 cit. in nota1. in motivazione traspare la presunzione di liceità del negozio che è alla base della domanda di intavolazione, poiché è compito proibito al giudice tavolare, in quanto esula dalle sue competenze, l’indagine sulla possibile violazione dei diritti dei creditori dei disponenti a causa di un atto compiuto fraudolentemente per distrarre beni dalla garanzia generica cui sono di regola destinati. 17 Per un esame più approfondito dei caratteri e delle problematiche del trust familiare si rinvia a F. Rota e G. Biasini, Il trust e gli istituti affini in Italia, cit. pagg.113 e segg., in particolare pag.115 ove si affronta il tema dell’alternativa al fondo patrimoniale; Varlese, Applicazioni pratiche: Trust a tutela di particolari categorie di soggetti in ambito familiare, in Materiali sul trust- Quaderno n.12, all.n.3 in FederNotizie, 2001. 18 Si tratta di un trust cd. trasparente in virtù della specificazione dei beneficiari, contrapposto al trust cd. opaco privo come tale di beneficiari individuati, in tal senso v. Circolare Agenzia delle Entrate - risoluzione sul regime fiscale del trust misto del 7 marzo 2008, n.81, in cui una volta distinte le tre tipologie di trust opaco, trasparente e misto, si delinea il corrispondente regime fiscale con la conseguenza che in caso di t. trasparente "il reddito accantonato sarà tassato direttamente in capo al trust, mentre il reddito spettante al beneficiario-disponente secondo le finalità del Trust (assistenza economica allo stesso) sarà tassato direttamente in capo a quest’ultimo per trasparenza e, dopo la sua morte, in capo agli eredi". Giova qui sottolineare la presa di posizione dell’Agenzia del Teritorio che con circolare del 22 gennaio 2008 ha sostanzialmente accolto la tesi di coloro che distinguendo la possibilità che si creino vincoli puri , senza corrispondente trasferimento della proprietà del bene soggetto a vincolo, da quella in cui tale apposizione è accompagnata dal trasferimento del diritto di proprietà, ha proceduto a tassare differentemente le due ipotesi con conseguente imposta a tassa fissa della sola fattispecie della costituzione del vincolo puro. 19 Il Giudice tavolare triestino nel decreto del settembre 2007 (v. nota n.1) usa in proposito la felice metafora “having the cake and eating too” per sottolineare che il settlor in tal caso non solo è colui che dispone dei propri beni segregandoli in un patrimonio separato, costituedoli appunto in trust, ma conserva anche pieni poteri decisionali, sostituendosi al trustee cui di norma questi vengono affidati; è proprio l’impossibilità per il trustee di individuare i beneficiari del trust a determinare quel elemento di distonia con la categoria dei Family Trusts che rende difficile l’inquadramento de quo. 16
dichiarazione in ordine all’intenzione dei disponenti di mantenere una unitarietà dei beni in trust direttamente rivolta al soddisfacimento dei soli bisogni della famiglia nucleare, prestandosi di conseguenza il fianco ad una possibile eccessiva apertura verso i beneficiari a discapito della chiarezza dei fini e dell’ambito di operatività del trust stesso. Del resto anche la rilevata assenza di indici ermeneutici che depongano a favore della suddetta qualificazione, quali la scelta di un trustee che abbia particolari qualità morali e/o professionali di gestione dei beni e degli interessi delle parti (trattandosi nel caso di specie di una società semplice), non è certo di aiuto per l’interprete che si trova di fronte ad una figura dai connotati incerti. Appare quindi condivisibile l’inquadramento in termini di accostamento a quegli schemi negoziali ispirati a sistemi di Asset Protection. È da sottolineare in proposito il timido suggerimento offerto dallo stesso Giudice tavolare 20 che, consapevole di non poter entrare nel merito della disquisizione sulla tipologia di trust più confacente ai dichiarati fini, per non giudicare ultra petita, si limita ad una notazione di tono “più suggestivo che ermeneutico” per sua stessa ammissione, circa la possibilità per le parti di ricorrere alla diversa figura del trust autodichiarato 21 che avrebbe quanto meno evitato i rilevati dubbi interpretativi. Si tratta più precisamente di un trust cd. interno, essendo nazionali i suoi attori principali, ossia i disponenti, il trustee (società costituita in Italia cui è preposto un socio d’opera, ma in controllo completo dei disponenti suoi soci di capitale), i beni impiegati per la sua istituzione (che sono appunto siti in Italia), ma anche il luogo in cui si realizzerà il fine essendo la famiglia di fatto residente in Italia. Ricapitolando, si tratta di un trust domestico, discrezionale, di ispirazione familiare, che si avvicina molto agli Asset Protection trusts aventi ad oggetto beni immobili; è cioè un negozio atipico reputato da questa decisione emessa in sede tavolare meritevole di tutela proprio in ragione della finalità prima sottolineata. Ciò in quanto la coppia a causa della mancanza del vincolo coniugale (che solo il matrimonio civile o concordatario, con effetti quindi civili, può dare) sarebbe impossibilitata a ricorrere all’istituto del fondo patrimoniale altrimenti idoneo a soddisfarne il dichiarato interesse. È la protezione della prole nata dalla convivenza di fatto che merita tutela dall’ordinamento giuridico, così da far (giustamente) ritenere che l’assenza di rapporti parentali e di situazioni in grado di dare certezza giuridica, pur se spesso certi sul piano quanto meno di fatto, non possono costituire ostacolo in una società moderna come la nostra al riconoscimento della meritevolezza dello strumento giuridico che serve alle parti a “by-passare” i problemi derivanti dall’assenza di istituti loro applicabili, e a trovare altrove mezzi di protezione altrimenti inesistenti. È quindi l’intento di tutelare la prole familiare l’elemento determinante e persuasivo per il riconoscimento della meritevolezza di cui all’art.1322, 2°comma cod. civ. Valore questo che, a più riprese, ha indotto la giurisprudenza, tanto di legittimità quanto costituzionale, ad intervenire per ricavare spazi di applicabilità di norme ed istituti, altrimenti nati per la sola famiglia legittima e per la relativa prole, anche in favore dei figli naturali nati dalla coppia convivente more uxorio e per la famiglia di fatto stessa proprio in quanto generatrice di prole 22 . La dichiarata volontà di apprestare una tutela economica e assistenziale a tutti i componenti della famiglia di fatto23 non potrebbe 20
Trib. Trieste,19 settembre 2007 cit. sub nota n.1. Deve però notarsi come la scelta delle parti di istituire trustee una società semplice della quale esse stesse sono socie può al contrario reputarsi meritoria poiché con tale escamotage le parti hanno probabilmente voluto evitare i dubbi di ammissibilità che si pongono in tema di trust autodichiarato in special modo in dottrina ma anche in giurisprudenza. 22 Il riferimento nel corpo della decisione è alla sentenza della C.Cost., ord. n. 204 del 2003, rel. Contri, che ha negato il diritto alla prosecuzione nel rapporto locatizio al convivente more uxorio in assenza di prole. 23 V. L. Nonne, Trust e rapporti patrimoniali tra coniugi e conviventi: osservazioni sistematiche e profili operativi, in Riv. dir. priv. 1/2008 pagg. 99 e segg., in cui l’Autore sottolinea il significativo successo ottenuto dal trust tra gli strumenti giuridici capaci di soddisfare i bisogni familiari evidenziando però la “dicotomia funzionale” del trust a seconda del suo impiego nella famiglia legittima o di fatto, laddove nella prima il trust andrebbe ad “ampliare l’ambito dei soggetti destinatari dell’effetto separativo rispetto al fondo patrimoniale”mentre nella seconda si caratterizzerebbe per il suo“ruolo organizzativo di rapporti patrimoniali tra conviventi di cui si è dimostrata la giuridicità”. L’A. conclude la disamina dei rapporti tra trust, fondo patrimoniale e atto di destinazione di cui al nuovo art. 2645-ter nel senso della non interferenza sul piano applicativo dei primi due istituti rispetto al terzo, in ragione della capacità dei primi due di soddisfare i bisogni familiari rispetto al terzo da impiegarsi per scopi differenti ed estranei alle esigenze della coppia 21
quindi essere garantita attraverso il ricorso neanche analogico al fondo patrimoniale che in virtù degli artt. 167 e segg. fa testualmente riferimento ai “coniugi” e al “matrimonio” 24 .
2. L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI MERITEVOLEZZA. Una volta stabilita quindi la meritevolezza dell’interesse, è opportuno procedere all’analisi del contenuto stesso di tale concetto e dei limiti del giudizio di cui all’art.1322, 2°comma cod. civ. da sempre oggetto di discussione in dottrina, anche in ragione della ricostruzione che la pronuncia del Giudice triestino 25 più volte citata offre della riscontrata meritevolezza del programma negoziale e/o liceità della causa del trust. In vero il problema della causa, che è strettamente connesso con il principio dell’autonomia negoziale, non può prescindere, per la scelta operata dal codice del’42, dalla questione della sua meritevolezza; 26 sono quindi concetti che vanno analizzati di pari passo per poter essere compresi appieno. Infatti l’interesse che giustifica il contratto non può essere altri che quello giudicato meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico. Il giudice del decreto tavolare del settembre dello scorso anno che ha offerto lo spunto per la presente disamina dell’art.2645-ter cit. 27 opera sul tema un mero rinvio alle considerazioni dallo stesso espresse in occasione di una precedente decisione del pari riguardante una richiesta di iscrizione tavolare di trust 28 , dichiarando che “è già stata espressa in altra sede la convinzione della dottrina assolutamente dominante sul tema della meritevolezza di interessi […] si rinvia al convivente more uxorio, onde evitare di incorrere in quella ingiustificata disparità di trattamento della famiglia legittima rispetto a quella di fatto, l’una costretta a confrontarsi con la più dettagliata e rigorosa disciplina del fondo patrimoniale, l’altra con il ben più favorevole e blando regime disciplinare dell’atto destinatario atipico. In conclusione l’A. propone una tutela della famiglia di fatto che vada al di là dei limitati ambiti applicativi del trust, attraverso una valorizzazione della figura del negozio fiduciario che nel quadro attuale di ricerca di meccanismi generali di separazione patrimoniale potrebbe finalmente trovare una compiuta disciplina in grado di soddisfare allo stesso tempo l’esigenza di contemperare gli interessi confliggenti di volta in volta coinvolti e quella di ovviare al problema di una necessaria regolamentazione dei rapporti di convivenza. In senso critico ad un’applicazione dell’atto destinatario ai rapporti familiari in genere anche A.Federico, Atti di destinazione del patrimonio e rapporti familiari, in Rassegna di diritto civile 3/2007, pagg.614 e segg., v. in particolare pag. 632 in cui l’A. con riferimento alle convivenze non fondate sul matrimonio reputa inconfigurabile l’applicazione del nuovo istituto di cui all’art.2645-ter (o quantomeno fortemente limitata) a causa della peculiarità dell’interesse familiare che esclude il suo soddisfacimento attraverso lo strumento destinatario, quest’ultimo infatti prescinde dall’inquadramento del fine all’interno dell’ambito familiare. 24 v. C. Caccavale, Il trust nella prospettiva notarile, in Riv.dir priv.1/2008, pagg.213 e segg., in particolare per quello che qui interessa pag.218 in cui l’A. ritiene affrettata la conclusione avanzata da parte della dottrina circa la sostituibilità del fondo patrimoniale con lo strumento più duttile e proficuo del trust, perché necessiterebbe quanto meno di una previa ed attenta valutazione dello spazio lasciato all’autonomia dei privati e all’atipicità in materia, dovendo concludere per l’impossibilità di deroga degli artt.167 e segg. disciplinanti il fondo patrimoniale alla luce del disposto dell’art.15 della Convenzione dell’Aja. 25 Punto b. della motivazione al decr.19/09/2007 citato alla nota n.1. 26 Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, n.3 Il contratto, 2000, pag.459. 27 Per una recente nota a commento del decr. Trib.Trieste, 19 settembre 2007 v. Trust interno e meritevolezza degli interessi , a cura di D.Rossano, in Notariato n.3/2008, pagg.251 e ss., in particolare vedi pagg.266/268 in tema di meritevolezzadell’interesse sotteso ai vincoli di destinazione. 28 Il riferimento è a Giud. tavolare Trib. Trieste, decr. 7 aprile 2006 n. 3996/06 di rigetto di trust, in ItaliaOggi 20 aprile 2006, in cui viene ribadito l’orientamento dell’Ufficio in ordine al tipo di valutazione concretamente da porre in essere, precisando in via generale che il giudizio di meritevolezza del trust va “confinato nel mero esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. È questa una delle più condivisibili chiavi di lettura per spiegare la mancanza di consapevoli apporti giurisprudenziali all'analisi della norma, una volta abbandonato quel criterio dell'"utilità sociale" che, nella relazione al codice civile, aveva giustificato la pur contestata adozione della norma […] il sindacato dell'autorità giudiziaria debba concentrarsi, abbandonando i ´massimi sistemi', sulla liceità in concreto dello strumento prescelto, per vedere se con la sua adozione ci si sia proposti di derogare a norme imperative e a principi generali”.
provvedimento già citato per le considerazioni di supporto”. Risulta quindi immutata la posizione di questo organo giurisdizionale in ordine all’inquadramento ed, ancor prima, al significato dell’art. 1322, 2° comma, cod. civ., nonostante i rilievi critici della dottrina in sede di commento del provvedimento 29 . Infatti, in motivazione alla decisione antecedente a quella qui richiamata si esplicita la posizione relativa all’identità di fatto tra giudizio di meritevolezza e di non contrarietà del negozio alle norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume. Già altrove 30 lo stesso Tribunale aveva sostenuto che il giudizio di meritevolezza del programma negoziale dovesse essere circoscritto negli angusti (corsivo aggiunto) limiti del controllo della sua liceità. 31 L’orientamento dottrinale cui è informata la posizione del giudice triestino 32 sul punto tende a relegare entro stretti confini la portata dell’art.1322, 2°comma cit. Tanto è vero che lo stesso giudice riprendendo le considerazioni di un illustre autore33 definisce questa chiave di lettura del giudizio di meritevolezza degli interessi negoziali come “una delle più condivisibili”, ed in grado di spiegare la scarsa produzione giurisprudenziale sul punto. È infatti vero che la giurisprudenza solo di rado è intervenuta sulla questione, mostrando assai poco interesse verso l’analisi di un tema oggetto di approfonditi studi in sede dottrinali. Tale disinteresse verso il problema del senso e della portata del giudizio di meritevolezza e dei criteri cui lo stesso deve ispirarsi, viene notato dalla dottrina che ritiene in proposito “significativo che una sola sentenza dal’42 ad oggi abbia dichiarato un contratto atipico lecito ma immeritevole di tutela e non è un caso se essa è stata poi cassata”. 34 Secondo questo orientamento la riflessione in merito al giudizio in questione resta quasi “prigioniera” della concezione tralatizia della causa quale funzione economico-sociale del negozio, concetto che la giurisprudenza mostra di tramandare quasi passivamente nelle sentenze che negli anni si sono succedute “per pura comodità di mestiere”, cioè senza porre attenzione al senso vero delle parole ed alle conseguenze che ne scaturiscono. I molteplici richiami all’art.1322 c.c. valgono solo a rendere più apparente che reale l’osservanza di questa norma da parte della giurisprudenza, in quanto quel richiamo, in vero solo formale, non è mai accompagnato da una rielaborazione effettiva del concetto forse anche in ragione di una ravvisata difficoltà della giurisprudenza a fare propri concetti fortemente teorici e di valenza esasperatamente generale che trovano al contrario terreno fertile in dottrina. Quest’ultima infatti non si è disinteressata del problema, ma al contrario lo ha affrontato con posizioni antitetiche, a volte facilitate dall’inquadramento nel particolare momento storico in cui si inserivano, altre volte dettate da convinzioni profonde che hanno spinto verso riflessioni talora fortemente discusse in sede dommatica. L’attenzione è stata diretta soprattutto verso il criterio dell’utilità sociale quale
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M. Bianca, Il nuovo art. 2645-ter c.c. notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, cit.; M. Cinque, L’interprete e le sabbie mobili dell’art.2645-ter cod. civ.: qualche riflessione a margine di una prima (non)applicazione giurisprudenziale, La nuova giurisprudenza civile commentata, 5/2007, 524 e segg.
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il riferimento è al decreto tavolare del Tribunale di Trieste 23 settembre 2005 sub g.n. 10804/05 cui il provvedimento successivo datato 7 aprile 2006 fa rinvio. 31 Cfr., per un’opinione difforme da quella in tal sede sostenuta, F. Di Ciommo, in commento al decreto del Trib. Trieste 7 aprile 2006, in Foro Italiano, 6/2006, 1935 e segg., in cui l’autore esprime apprezzamento verso la chiave di lettura del giudizio di meritevolezza in termini di coincidenza con il controllo di liceità, e concorda con la riflessione del giudice tavolare secondo cui in ciò risiederebbe la spiegazione dell’assenza di “consapevoli apporti giurisprudenziali all’analisi della norma” una volta venuto meno il parametro dell’utilità sociale cui si faceva riferimento in sede di prima interpretazione ed applicazione dell’art.1322,2° comma. 32 Decreto tav. 19/09/2007 citato. 33 Cfr. F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. Dir. Civ., 1978, I, pagg.1 e segg., in particolare pagg. 55 -56. 34 Corte di Appello di Milano, 29 dicembre 1970, in Riv. dir. comm., 1971, II, pagg.81 e segg., decisione cassata da Cass. 2 luglio 1975 n. 2578, in Temi, 1977, pag.133 entrambe citate in F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi cit., pag.55 sub nota 21; Id, osservazioni sull’art.2645-ter c.c., in Giustizia civile, 2006, pag.169, per il quale il fatto che una sentenza così isolata sul piano giurisprudenziale sia stata cassata dal giudice della legittimità è la conferma di quanto da lui sostenuto circa l’identità di fatto tra giudizio di meritevolezza e di liceità.
parametro cui informare il giudizio di meritevolezza per decidere la sorte di un negozio atipico che persegua un fine non rispondente ad un effettivo interesse sociale. Certo è che l’impostazione dottrinale tesa ad identificare i due giudizi, suggerendo quale parametro per valutare la meritevolezza dell’interesse quello del rispetto delle norme imperative, ordine pubblico e buon costume - in sintonia con l’opinione espressa da ultimo dal giudice triestino con la decisione in commento in cui si ritiene “il negozio atipico meritevole di tutela sempre che la sua causa non sia illecita” - è nel senso di considerare l’art.1322, 2° comma una norma vuota, cioè a dire priva di autonoma rilevanza, utilizzata dalla giurisprudenza solamente al fine di definire atipico un contratto che fuoriesca dagli schemi predisposti e disciplinati dal legislatore, ma il cui controllo è in verità operato esclusivamente in termini di liceità, così da giudicare immeritevole solo il negozio che sia portatore di interessi illeciti. Questo giudizio sulla meritevolezza vedrebbe quindi come criterio guida l’idoneità dello schema concordato dalle parti ad assurgere a modello giuridico di regolamentazione del rapporto che implica un’indagine attenta sulle intenzioni effettive dei contraenti e sulla serietà dell’impegno contrattuale. 35 Lo stesso Giudice triestino in altra sede 36 interviene sul tema del controllo di meritevolezza portando a supporto delle sue considerazioni in merito (come prima esposte) l’orientamento che emergerebbe dalla lettura dei resoconti parlamentari da lui ripercorsi fino al giugno del 2005. In questi resoconti si legge che l’orientamento giurisprudenziale e dottrinale dominante è nel senso di ritenere il giudizio in parola sostanzialmente coincidente con l’accertamento della non contrarietà ai principi generali dell’ordinamento e al disposto imperativo delle norme di legge, scevro da qualsivoglia valutazione dell’utilità sociale dell’atto prescelto dalle parti, così da consentire il più ampio utilizzo dell’art.1322 c.c., purché nell’ottica del perseguimento di finalità non illecite. È altresì opinione del Giudice tavolare che “occorra guardare con attenzione all’assetto di interessi delle parti stipulanti […]” attraverso un’indagine sulla causa quale elemento essenziale del contratto posto in essere e del “concetto di meritevolezza come giudizio di verifica del programma negoziale […]”. Risulta quindi di prioritaria importanza impostare correttamente i termini della questione, perché il giudizio di cui all’art.1322, 2°comma, oggetto centrale di quest’analisi, va esaminato alla luce anche delle altre posizioni dottrinali che si sono formate nel tempo, facendo attenzione al rapporto che esiste tra esso e la causa negoziale da non confondersi con l’oggetto del contratto che è ben altra cosa. Quest’analisi ermeneutica volta ad una reale comprensione del significato del giudizio di meritevolezza è infatti propedeutica al successivo esame comparativo degli artt.2645-ter e 1322, 2° comma c.c. È opportuna una precisazione: il programma negoziale, cui si allude nel decreto 37 in esame, che si è scelto quale punto di partenza per la presente indagine, altro non è se non il contenuto dell’accordo, ossia l’oggetto del trust, laddove la causa indica l’interesse che tale programma è diretto a soddisfare. È necessario che quell’accordo trovi giustificazione in un apprezzabile interesse perseguito dalle parti, tanto è vero che il negozio incorrerà nell’inevitabile sanzione della nullità in caso di constatazione, da parte del giudice, dell’assenza di interesse meritevole di tutela. L’analisi dell’art.1322, 2° comma deve allora necessariamente anteporsi ad ogni indagine sul merito del provvedimento, onde poter stabilire la correttezza della posizione assunta a motivazione del suddetto decreto così come è stata prima illustrata. Questa rivisitazione va condotta sia con riferimento alla sua accezione semantica, che al suo indispensabile, in questo caso, inquadramento storico. Invero la dottrina, già all’indomani dell’introduzione della norma in questione nel codice civile del’42, e fino ai nostri giorni, in occasione dell’introduzione codicistica dell’art. 2645-ter che richiama l’art.1322, 2°comma, si è interrogata sul significato da attribuire al giudizio di 35
V. ancora F. Gazzoni, Atipicità del contratto, cit., per quel che qui interessa pag. 99. Cfr. A. Picciotto, Brevi note sull’art.2645-ter:il trust e l’araba fenice, in Contratto e impresa, 4-5/2006, pagg. 1315 e segg., in particolare pag. 1315. 37 Il riferimento è sempre al decreto sub nota n.1. 36
meritevolezza, onde stabilire in che termini vada operata l’anzidetta valutazione e di quali strumenti l’operatore del diritto, sia esso il giudice ovvero, come invocato di recente, il notaio, debba avvalersi per giungere ad un giudizio positivo o negativo di meritevolezza dell’interesse perseguito attraverso il ricorso ad una data fattispecie negoziale. La dottrina, in proposito, si è attestata, sia pur con inevitabili diversità di accenti, sostanzialmente su due posizioni contrapposte 38 . Un primo orientamento dottrinale, formatosi in occasione dell’entrata in vigore del codice civile del 1942, ha ravvisato nella meritevolezza degli interessi, poi prevista nel 2° comma dell’art. 1322, l’esigenza avvertita dal legislatore dell’epoca di sottoporre il regolamento contrattuale ad un controllo precipuo in termini di utilità sociale ed economica. Questa soluzione, cui prima si è fatto cenno, che vede il concetto di meritevolezza strettamente connesso (e quasi dipendente) con quello di utilità sociale, è tipica di coloro 39 che individuano nella funzione economico-sociale la causa propria del contratto e nella rilevanza (o utilità sociale) un criterio di valutazione della meritevolezza dell’interesse 40 . La suddetta tesi (cd. teoria oggettiva) appare la conseguenza dell’inquadramento ideologico del rapporto esistente tra cittadino e Stato, o, detto in altri termini, tra interesse privato e pubblico, che, scevra da qualsivoglia prospettiva garantista, pone come obiettivo da raggiungere il rispetto dell’interesse pubblico. Ma questa linea di pensiero che, sia pur con diverse sfaccettature, è espressione dell’ideologia del legislatore del tempo, come pure di quella fascista e corporativistica, all’interno della quale si colloca l’art.1322, 2°comma citato, muove dal presupposto - accolto anche dalla giurisprudenza dominante 41 - che la causa del contratto sia la funzione d’interesse sociale dell’autonomia privata. Questa funzione prescinde dalle finalità per le quali i contraenti sono addivenuti alla stipula di un dato contratto, acquistando importanza la sola causa riconducibile allo schema negoziale tipico. La causa, intesa in questi termini, diviene essa stessa criterio di controllo della meritevolezza degli atti giuridici espressioni dell’autonomia privata, e più che assurgere a mera ragione pratica del contratto, diventa la ragione per la quale l’ordinamento giuridico decide di attribuire al negozio rilevanza giuridica 42 .
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Nella motivazione del decreto del 19 settembre 2007 il Picciotto fa testualmente riferimento all’excursus dottrinale volto alla definizione di uno dei tradizionali e più ostici concetti giuridici, così ripercorrendo le tappe che hanno visto illustri autori cimentarsi nella ricostruzione del significato di causa contrattuale, ora facendosi promotori della ben nota teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del’42 ( cui si fa riferimento nel decreto citando la relazione del guardasigilli al re) per poi spostarsi verso le parimenti note tesi soggettiva e semi-oggettiva della causa concreta. 39
L’esponente più autorevole di quest’orientamento è Emilio Betti, con il suo volume Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, in particolare pagg. 399-403 (per l’argomento che qui interessa). La prospettiva dell’illustre Autore sembra aver influenzato non poco lo stesso legislatore del ’42, così come risulta dalla Relazione al codice civile. La Relazione del Guardasigilli, dopo aver puntualizzato (n.603) che in materia di autonomia contrattuale l’ordinamento giuridico non può dare rilevanza e tutela “al mero capriccio individuale, ma a funzioni utili che abbiano rilevanza sociale”, prosegue definendo la causa del contratto (n.613) in termini di “funzione economico-sociale […] che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata. Funzione, pertanto, che, non solo deve essere conforme ai precetti di legge, all’ordine pubblico ed al buon costume, ma anche per i riflessi diffusi dall’art.1322, 2° comma, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole di tutela giuridica”. 40 Con riferimento alla tesi secondo la quale l’autonomia privata non troverebbe tutela fuori dal perseguimento di funzioni utili da un punto di vista sociale e rispondenti all’economia nazionale vedi E. Betti, Sui principi generali del nuovo ordine giuridico,in Studi sui principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, Pisa, 1943, pag. 329. 41
Cfr., ex plurimis, Cass. 15/07/1993, n.7844 in GI 1995,I,1,734 con nota di Sicchiero, ove la causa del contratto si identifica nella funzione economico- sociale; contra Cass. civ., sez. III n. 10490/2006 citata nel corpo del decreto del 19 settembre cit. per il quale v. nota n.1. 42
Cfr. Betti, Teoria del negozio giuridico, cit.,pag.183; v. anche F. Caringella e G. De Marzo, Manuale di diritto civile, III. Il contratto, Milano, 2007 in cui si spiega come l’obiettivo perseguito dal codice del’42 era l’introduzione nel sistema di uno strumento in grado di controllare l’operato dei privati, con ciò contrapponendosi al disegno del codice civile del 1865 che, menzionando al suo art.1104 “una causa lecita per obbligarsi” tra i requisiti essenziali dell’obbligazione, era chiaramente espressione di una prospettiva soggettivistica nella quale la causa coincideva con lo
Tuttavia una tale posizione non risulta più accettabile nell’attuale sistema governato da una Carta Costituzionale che si pone come interprete delle idee liberal-democratiche, come già acutamente rilevava alla fine degli anni ‘70 un altro dei padri del diritto 43 . La stessa pronuncia giurisprudenziale in esame 44 , nel criticare l’impostazione data dall’ordinamento corporativo alla disposizione dell’art.1322, 2°comma, perché ormai non più in linea con i tempi, evidenzia 45 come le letture sostanzialmente abrogatrici di questa norma diffuse intorno agli anni’50 e ’60 la ritengono un doppione dell’art.1343 c.c. Tanto è vero che queste teorie successive all’entrata in vigore della Costituzione, pur ravvisando nel controllo di meritevolezza un mezzo per tutelare interessi superindividuali di stampo costituzionale, si oppongono con forza al mantenimento di quella chiave di lettura di influenza bettiana dell’art.1322, in quanto possibile bersaglio di strumentalizzazioni pericolose da parte dei giudici stessi i quali “potrebbero togliere valore ad ogni contratto valido, col pretesto che il suo fine non è socialmente apprezzabile” 46 . Da qui il diffondersi di un secondo orientamento dottrinale 47 in materia, che trova il suo fondamento e la sua ragion d’essere nell’ideologia garantista, opposta alla precedente, che si pone alla base della codificazione francese, come pure delle altre codificazioni europee che ad essa si ispirano e ravvisa nel contratto lo strumento principale di autoregolamentazione di interessi privati. Diversamente dalla tesi prima esposta (cd. teoria oggettiva), quest’impostazione 48 , con i differenti correttivi proposti dai vari autori che rinnegano la tesi bettiana, prende le distanze dalla matrice ideologica che aveva consentito una lettura della causa in termini di strumento di controllo dell’utilità sociale dello schema negoziale prescelto, in favore di una ricostruzione dell’elemento di cui all’art. 1325 n.2 c.c. in termini di funzione economico-individuale o comunque di causa concreta 49 . Ciò in considerazione dell’inadeguatezza della tesi cd. corporativista, a rappresentare la realtà sottesa ad ogni vicenda negoziale che si fa interprete di istanze ed esigenze diverse tenute presenti di volta in volta dai contraenti.
scopo dell’obbligazione, in tal modo tutelando l’interesse individuale in luogo di quello sociale della successiva codificazione. 43 G.B.Ferri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, in Riv.dir. comm., 1971, II,81 e segg. . 44 in motivazione al decreto datato 19/09/07 il Giudice triestino scrive che, scomparso il regime fascista e la relativa ideologia, l’art.1322, 2°comma non costituisce più una “pseudo-clausola generale, che si presterebbe a meraviglia a mettere i contraenti a discrezione del giudice, il quale potrebbe togliere valore ad ogni contratto valido, col pretesto che il suo fine non è socialmente apprezzabile”. 45
cfr. A. Picciotto, Brevi note sull’art.2645-ter:il trust e l’araba fenice, cit., pagg.1322 e 1323. V. Guarnieri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, pagg. 799 e segg. 47 Così tra gli altri Stolfi, Teoria del negozio giuridico,Padova, 1947; Gorla, Il contratto,Milano,1954, I, pagg. 224 e segg. 48 G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit. pagg.249 e segg., in particolare v. pag.358, ove l’Autore scrive “è necessario, cioè, valutare se l’interesse concretamente perseguito sia effettivamente corrispondente all’interesse tipizzato nello schema astratto”, e ancora pag. 372, in cui dice testualmente “una nozione di causa, intesa come funzione economico-individuale, come valore individuale che una determinata operazione negoziale (considerata nell’insieme di tutto il suo concreto atteggiarsi) assume per le parti che l’hanno volontariamente posta in essere, non contraddice il carattere di elemento essenziale, che alla causa stessa viene attribuito dal legislatore, perché esprime appunto l’elemento di coesione degli altri elementi”, e prosegue spiegando che la causa intesa come funzione economico individuale non vuol essere una mera ripetizione della visione soggettivistica già espressa da altri autori, ma con tale definizione “si vuole soltanto mettere in luce che, se il negozio esprime una regola privata, la causa è l’elemento che collega l’operazione economica oggettiva ai soggetti che ne sono autori; e che quindi la causa è l’indice di come il regolamento negoziale di interessi sia l’espressione oggettiva di talune finalità soggettive.” 49 Cfr., ad. es., Cass. 11 gennaio 1973, n. 63 secondo cui “ pur non ripudiandosi il concetto astratto ed obiettivo di causa come funzione economico-sociale del negozio, […] devesi però ammettere che tale funzione non deve rimanere nel limite dell’astrattezza, ma deve essere presente anche nel contratto, pur tipico, concretamente posto in essere: quest’ultimo cioè deve avere una funzione concreta, obiettiva, che corrisponda ad una delle funzioni tipicamente ed astrattamente determinate, come nelle ipotesi del contratto atipico la causa creata dalle parti deve rientrare in una delle funzioni degne di tutela”. 46
La causa diviene in base a questa mutata logica la ragione concreta o pratica 50 del contratto e postula l’indagine sulla funzione che il singolo negozio giuridico è teso a realizzare e quindi sull’interesse precipuo da soddisfare. Questa ricostruzione della causa 51 , indaga sul significato pratico (effettivo) dell’operazione con riguardo a tutte le finalità che sono entrate nel contratto. Una volta spostata l’attenzione verso il concreto e dinamico assetto di interessi tenuto presente dalle parti con l’adozione di un particolare contratto indipendentemente dallo schema adottato, la causa viene considerata sintesi di interessi e non di effetti negoziali. Nel caso di ricorso al contratto tipico come pure nell’ipotesi di scelta del negozio atipico i contraenti devono desiderare un qualcosa di meritevole di tutela, con la sola differenza che in caso di adozione di un contratto atipico, sconosciuto al legislatore, occorre anche constatare se il programma negoziale che quel dato interesse vuol perseguire sia compatibile con l’assetto normativo vigente: è questa l’indagine demandata al giudice dall’art.1322, 2°comma. A detti interessi l’ordinamento chiede di non travalicare i limiti segnati dalle norme imperative, dall’ordine pubblico e dal buon costume; ciò in quanto il contratto si prefigge l’obiettivo di realizzare gli interessi dei singoli, mentre quelli generali sono affidati ad altri strumenti di natura pubblicistica. Ne consegue che in tale ottica il privato può contribuire alla realizzazione degli interessi socialmente rilevanti, o in altre parole generali, solo in via mediata e sempre che, nel muoversi ed operare nel mondo del diritto, non oltrepassi i limiti che il sistema pubblicistico gli impone. Questa interpretazione è strettamente legata ai criteri di cui all’art.1343 c.c. 52 , e postula, di conseguenza, l’equazione tra meritevolezza e liceità degli interessi, con ciò implicando che la prima si traduce nella conformità degli interessi ai criteri stabiliti dall’ordinamento giuridico. L’identità in parola dei giudizi di meritevolezza e liceità risulta confermata da diverse considerazioni 53 . Innanzitutto una considerazione di carattere semantico che può ricavarsi dal dato testuale della norma che fa riferimento ad interessi “meritevoli” e non “rilevanti” che è concetto diverso, in quanto la meritevolezza va rilevata all’esito di un giudizio positivo di idoneità di quegli interessi in concreto perseguiti per realizzare finalità giudicate dall’ordinamento degne di tutela e dunque conformi ai ben noti parametri dettati dal legislatore, quali l’ordine pubblico, il buon costume e la conformità al precetto legislativo. Da qui la constatazione che il problema relativo alla rilevanza dell’interesse perseguito dai contraenti deve essere necessariamente anteposto a quello della meritevolezza, perché quest’ultimo problema si deve porre solo e nella misura in cui l’interprete al quale è demandato il giudizio di meritevolezza si trovi di fronte ad interessi giuridicamente rilevanti, quindi sorretti da un impegno serio delle parti contrattuali e concretamente manifestato. In altre parole, per poter discorrere di meritevolezza occorre come prius logico e cronologico che sia stato raggiunto un accordo sulla base di un impegno serio e non per gioco, perché se i contraenti sono in vena di facezie (contratto ioci causa), nessun negozio giuridico avranno concluso, ma al più un mero accordo giuridicamente irrilevante o inesistente. Il contratto in tal caso, se non addirittura inesistente, sarà quanto meno giudicato nullo 54 , dal momento che manca la volontà di porlo in essere e del pari inesistente o nullo sarà giudicato l’assetto di interessi senza che si proceda ancora ad una disamina in termini di meritevolezza.
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Il riferimento è a C.M. Bianca, Diritto civile, n.3 Il contratto, cit., pag.449 che con una variante nominalistica si esprime in termini di ragione pratica del contratto, ossia l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare. 51 La ricostruzione di cui al testo viene condivisa dalla pronuncia del 19 settembre 2007 del giudice tavolare cit. sub nota n.1. 52 l’art. 1343 cod. civ. recita testualmente“la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume”, è norma dettata in tema di causa ma con valenza generale. 53 Il ragionamento che segue è tratto da G.B. Ferri, Ancora in tema di meritevolezza dell’interesse , in Riv. dir. comm., 1979, I, 1 e segg. in particolare pagg. 7 e 8. 54 sul punto v. Ferrara sen., teoria dei contratti, Napoli, 1940, pag.76; Scognamiglio, Contratti in generale, Milano, 1972, pagg. 36 e 37.
Da ciò l’idea che la meritevolezza non è sinonimo di rilevanza degli interessi e di impegnatività dello schema negoziale, ma è conformità ai criteri che l’art. 1343 c.c. detta in tema proprio di causa del contratto, perché questo elemento essenziale del negozio giuridico richiede la meritevolezza al pari dell’interesse di cui all’art. 1322, 2°comma c.c. . Intorno a questo tema si sviluppa, come è evidente, una critica a catena che porta al proliferare di tesi diverse ma accomunate dall’intento di superare le obiezioni alle teorie precedenti; ed è in questo quadro di rivisitazione in chiave critica degli orientamenti tradizionali che si collocano i sostenitori della cd. teoria soggettiva o dello scopo ultimo 55 (che ravvisano nella causa lo scopo della parte, cioè la ragione per la quale essa assume l’obbligazione). Questa prospettiva è protesa verso il superamento della tesi bettiana e delle sue obiezioni, ma è al tempo stesso oggetto di critica severa per aver offerto solo una variante della tesi oggettiva, dando una definizione di causa presa da una diversa visuale, appunto soggettiva anziché oggettiva, che finisce per identificarsi sempre nella sintesi degli effetti essenziali, limitandosi tuttavia solo all’accentuazione dell’elemento motivazionale del consenso. A completamento del variegato panorama dottrinale si colloca infine la cd. teoria semioggettiva che ha il pregio di intuire la confusione del concetto di causa con quello di tipo (o normotipo) della prospettiva bettiana degli albori della codificazione del ’42 come pure la difficoltà della stessa di giustificare l’adozione del concetto di causa quale funzione economico-sociale di tutti i contratti anche di quelli atipici. Questi ultimi sono adottati da soggetti che volontariamente decidono di non far ricorso a schemi predefiniti dal legislatore, ma di optare per negozi non tipizzati e creati ex novo, che come tali non hanno potuto sottostare al vaglio di idoneità del legislatore da condursi secondo quei criteri di utilità sociale di cui si è ampiamente discorso. È proprio questa attenzione massima della tesi della causa concreta (o semi-oggettiva) verso il superamento del vizio di fondo che affetta le teorie bettiane post codificazione a scatenare le critiche di quanti rilevano le manchevolezze di una dottrina che non si pone il problema, parimente rilevante, della causa sufficiente e della vincolatività del rapporto 56 . La concentrazione sull’elemento causale che anima il singolo contratto ha fatto sì che la riflessione si spostasse esclusivamente sull’assetto di interessi concretamente tenuto presente al momento della stipulazione di un particolare negozio, a prezzo di una maggior trascuratezza di altri profili parimenti rilevanti quali l’individuazione dei diversi ruoli svolti dal fine del contratto e dalla sua funzione, concetti che non possono essere sovrapposti come invece di fatto è accaduto con la tesi della funzione economico individuale. Per quanto più propriamente riguarda la decisione 57 recente più volte richiamata nel corso del presente lavoro, traspare l’adesione, da una parte, alle teorie sulla causa in concreto58 e, dall’altra, alle tesi che, sia pur con dei distinguo, ne condividono però l’assunto di fondo e cioè che il giudizio di meritevolezza non trovi altro spazio se non quello di una valutazione sulla liceità della causa.
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De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, pag. 262. I termini sono riconducibili alle perplessità espresse in merito alla tesi di G.B. Ferri da F.Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, cit., v. in particolare pag.60 in nota n.43. 57 Il riferimento è alla motivazione del decreto tavolare del Trib.Trieste,19 settembre 2007 cit. in nota1. 58 Nel decreto del 19 settembre 2007 in parola il Giudice tavolate prende posizione in ordine alle varie tesi avanzate sul concetto di causa sostenendo che: “Ovviamente, trattandosi di fattispecie atipica, l’accezione di causa non può essere quella statica e tradizionale della cd. teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del 1942, svincolata dagli scopi delle parti, quella cioè di “funzione economico-sociale del negozio[…] Essa può e deve essere oggi particolarmente apprezzata, ed al riguardo soccorrono le esemplari considerazioni della recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (Sent. n. 10490 del 2006), che l’elemento negoziale ha definito quale “sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare… Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale[...] ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale”. 56
In vero questa conclusione in tema di individuazione dei parametri che l’interprete deve utilizzare per porre in essere il controllo in questione trova largo credito in giurisprudenza anche recente. Infatti, in un giudizio di merito dello scorso anno 59 , relativo ad una delle prime applicazioni dell’art.2645-ter c.c. in materia di accordi di separazione tra coniugi, si esprime il convincimento che, a fronte di un’ipotesi ormai solo di scuola di immeritevolezza degli interessi perseguiti, la meritevolezza degli stessi trova ampio spazio e riconoscimento, sebbene relegata in una cornice più modesta a seguito dell’introduzione della Carta costituzionale, andando ad identificarsi con la valutazione di non illiceità in cui l’interprete deve limitarsi all’esame della non contrarietà del negozio a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. Nella nota a commento 60 di questa decisione si sostiene che il superamento in senso positivo del controllo di meritevolezza postula un’analisi non solo formale ma effettiva della causa in concreto 61 dello schema negoziale adottato che comporta una graduazione attenta di tutti gli interessi coinvolti. Tuttavia questo assunto relativo ad una coincidenza sostanziale tra giudizio di liceità e meritevolezza secondo il quale è meritevole di tutela qualsiasi interesse lecito 62 non è unanimemente condiviso, tanto è vero che si levano in dottrina autorevoli voci discordi. 59
Si riporta di seguito la massima del decreto del Trib. Reggio Emilia, decr. 26 marzo 2007 : “In sede di revisione delle condizioni della separazione consensuale, deve ritenersi pattuizione favorevole alla prole l’accordo delle parti finalizzato al trasferimento di beni immobili al coniuge affidatario, con la contestuale apposizione sui beni di un vincolo di destinazione ex art.2645-ter cod. civ., poiché tale accordo assicura alla prole una fonte certa di reddito, non aggredibile dai creditori del genitore intestatario.” In questo contesto l’art.2645-ter viene utilizzato quale rafforzamento del vincolo di destinazione impresso ad un immobile volto a soddisfare l’obbligazione di mantenimento in sede di accordo di separazione secondo le indicazioni già in precedenza fornite da attenta dottrina, v. in proposito De Donato A. Elementi dell’atto di destinazione, in AA.VV. Gli atti notarili di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, convegno organizzato a Milano dal Consiglio Notarile di Milano, dalla Scuola di Notariato della Lombardia in collaborazione con la Fondazione Nazionale del Notariato il 19 giugno 2006, in http://www.scuoladinotariatodellalombardia.org/relazioni.htm. 60 C. Murgo, “ Accordi tra coniugi separati e vincolo di destinazione ex art.2645-ter cod. civ., tra autonomia negoziale e segregazione patrimoniale nell’interesse della prole”, nota a commento di Trib. Reggio Emilia, decr. 26 marzo 2007 (v. nota precedente) scaricabile su www.filodiritto.com, in NGCC, 1/2008, pagg. 114 e segg., in particolare pag.120121, in cui l’autrice esprime il proprio punto di vista sulla problematica della meritevolezza dell’interesse perseguito con l’atto di destinazione, concordando con quanti superano il binomio meritevolezza/ liceità ed individuano l’esigenza di elaborare una scala di valori che consenta una graduazione ponderata degli stessi così da verificare il requisito di cui all’art.1322, 2° co. c.c. 61
Si torna ancora a parlare di causa in concreto come in Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, in cui con un recente dictum il giudice di legittimità si allontana nettamente dal concetto bettiano di causa intesa come funzione economico- sociale e dalla conseguente ideologia che vede nella causa uno strumento di controllo della sua utilità sociale, che tra l’altro non spiega come un negozio tipico possa avere causa illecita, per sposare la tesi della causa concreta del Ferri. Si ricostruisce così la causa in termini di sintesi reale degli interessi (e, dunque, ragione concreta per dirla con Bianca), ossia “sintesi della dinamica contrattuale, non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, non ancora iscritta nell’orbita funzionale dell’atto, ma funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto”(sentenza richiamata nel corpo del decreto motivato in oggetto). 62 G. Oppo, Riflessioni preliminari, in A.A.V.V., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit.; Vettori, Atto di destinazione e trust: prima lettura dell’art.2645-ter, in Obbl.e contr., 2006, pag. 77; A. Gentili, Destinazioni patrimoniali, trust e tutela del disponente, relazione presentata al Convegno << Le nuove forme di organizzazione del patrimonio- Dal Trust agli “atti di destinazione”>>organizzato a Roma il 28 e 29 settembre 2006, in htto://www.economia.uniroma2.it/dei/org_patrimonio/relazione_Gentili.pdf; Id, Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell’art.2645-ter c.c., in Rassegna di diritto civile 1/2007, pagg.1 e segg., in particolare pag. 16 in cui l’A. considera meritevoli di tutela ai sensi degli artt.1322, 2° co. e 2645-ter tutti gli scopi leciti e pag. 13 (sub nota 34) ove mostra scetticismo verso le considerazioni di quella dottrina (Gazzoni) che si preoccupa di lasciar fuori dall’ambito degli interessi considerati meritevoli di tutela quelli futili o capricciosi, onde evitare che la stravaganza, la futilità, la vanità possano avere libero corso. La tesi esposta nel testo che dà per presupposta l’identità tra meritevolezza e liceità ritiene che a seguito dell’introduzione dell’art.2645-ter sia stata sostanzialmente vanificata la riserva di legge di cui all’art.2740, 2°co. c.c. e che i privati siano legittimati a costituire patrimoni separati per soddisfare interessi diversi ivi compresi quelli meramente egoistici, patrimoniali purché leciti; v. anche Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, I, pagg. 179 e segg., il quale non richiede una particolare “pregnanza” dell’interesse che può essere tanto di natura patrimoniale quanto di natura morale, riconducibile sia al disponente che ad un terzo. L’A. ritiene pregiudizievole per il rispetto della portata precettiva della norma lo spazio lasciato all’autonomia privata di istituire “gerarchie di interessi” il che renderebbe il disposto normativo di difficile applicazione; in giurisprudenza cfr.,
Il panorama soprattutto dottrinale è in tal senso variegato 63 soprattutto alla luce del richiamo operato di recente 64 dal legislatore che con l’introduzione dell’art.2645-ter non ha inteso lasciare al mero arbitrio dei privati la possibilità di porre in essere atti di destinazione capaci di creare un effetto di separazione patrimoniale opponibile anche erga omnes, in presenza ovviamente dei presupposti indicati dalla norma, ma ha subordinato tale opponibilità della destinazione alla realizzazione di fini meritevoli di tutela giuridica. Ne consegue che la prospettiva di un controllo di cui al combinato disposto degli artt.1322, 2°co. e 2645-ter in termini di non illiceità dell’interesse perseguito dalle parti tradisce la ratio stessa dell’istituto ed il sistema in cui è inserito proprio in considerazione dell’importanza degli effetti che possono scaturire da un atto negoziale che persegua le finalità più diverse purché lecite, senza necessità di una rigorosa selezione di questi interessi. A ciò si aggiungano i dubbi sollevati in dottrina 65 sulla costituzionalità della norma per la potenziale violazione dell’art. 3 Cost., in punto di irragionevolezza, come pure le rilevanti contraddizioni di ordine sistematico, in quanto se si concede ai privati di vincolare il proprio patrimonio per il raggiungimento delle finalità più disparate senza porre un limite attraverso un rigoroso controllo della meritevolezza dell’interesse perseguito oltre a quello della liceità, le cautele che il legislatore ha altrove introdotto, ad esempio in caso di costituzione di fondo patrimoniale ai sensi dell’art.167 o di patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art.2447-quater, risulterebbero in fatto vanificate. Ciò in quanto nessun soggetto di diritto, sia esso persona fisica o giuridica, sceglierebbe di sottoporsi ad una ben più rigida disciplina di fronte alla possibilità di optare per uno strumento alternativo idoneo a perseguire le medesime finalità ma senza vincoli di sorta. 66 Da qui la considerazione operata da attenta dottrina che questo criterio della meritevolezza rappresenti una precisa indicazione del legislatore; il che pone il problema della ricerca del suo significato concreto. L’individuazione di questo parametro assume rilevanza per gli interpreti, e segnatamente per i notai, primi chiamati a dover individuare l’interesse meritevole posto alla base del vincolo che può ora anche essere opposto ai terzi in presenza di certe condizioni la cui analisi però esula dal presente lavoro. 3. CONCLUSIONI IN TEMA DI MERITEVOLEZZA. A conclusione della presente riflessione in ordine alla portata del giudizio di meritevolezza di cui agli artt.1322,2°comma e 2645-ter del codice civile si può avanzare una valutazione
ex plurimis, Cass. 6 febbraio 2004 n.2288, in Contratti 2004, 801; in senso conforme anche Cass., 13 maggio 1980, n. 3142 in cui la Corte verifica la meritevolezza in base alla non contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. 63
Per un quadro di insieme delle differenti opinioni espresse sulla meritevolezza del’interesse che deve sostenere non solo il contratto atipico in generale ma anche gli atti di destinazione di cui al recente art.2645-ter c. c. vedi M. Bianca, La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, cit., in cui sono riportati gli interventi di illustri studiosi sul tema di cui all’art.1322, 2° co. come richiamato dall’art.2645-ter c.c. formulati in occasione della Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Roma «La Sapienza». 64 L’art.2645-ter è stato introdotto nel libro VI del codice civile con la legge 23 febbraio 2006, n.51, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n.273, recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all’esercizio di deleghe legislative, testo pubblicato nella GU n. 49 del 28 febbraio 2006, Suppl. Ord. n.47, entrato in vigore il 1° marzo 2006. 65
F. Gazzoni, Osservazioni, cit., pagg.168 e segg. sul punto Morace Pinelli, op. cit., pagg.182 e 183; Id, Interesse della famiglia e tutela dei creditori,Milano, 2003, pagg.23 e segg. 66
conforme a quella espressa da una parte autorevole della dottrina 67 che non ritiene possibile appiattire questo giudizio in quello di illiceità e l’ansia che indubbiamente tale controllo porta con sé, soprattutto per le conseguenze che potrebbero derivare da un successivo giudizio di immeritevolezza, compiuto a posteriori dal giudice, non può condurre a risolvere la stessa valutazione di meritevolezza in criterio interpretativo. I parametri da seguire devono essere altri e spetta alla dottrina approfondire il tema e trovare una soluzione pratica da seguire nel quotidiano. È per questo che si ritiene in proposito pregevole lo sforzo di alcuni studiosi 68 di non limitare la propria indagine alla ricerca delle questioni di maggior problematicità, ma al contrario di tracciare le linee guida da seguire, posto che le altre discipline, all’interno delle quali si colloca la norma sugli atti di destinazione, sono da considerare come “fari che illuminano” l’arduo cammino dell’interprete. Questo tentativo, operato in sede dottrinale, di selezione dei parametri di supporto dell’attività notarile volti ad evitare che il pubblico ufficiale da “guardiano della meritevolezza” possa diventare “suo giudice arbitro” sono stati prudenzialmente individuati attestandosi su canoni di diritto positivo quali, a scopo esemplificativo, i bisogni della famiglia sia legittima che naturale, l’avviamento ad una professione o ad un’arte così come in generale l’educazione, istruzione e formazione in senso lato del termine, comprensiva di quella extra-scolastica volta alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo, come pure a quella universitaria e post-universitaria, le finalità assistenziali e previdenziali, ivi comprese le diverse forme di assistenza sociale, sanitaria, socio-sanitaria, l’attività imprenditoriale, la valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo sociale, la tutela ambientale, la ricerca e l’erogazione di servizi culturali. Come si è anticipato questa indagine ermeneutica sulla meritevolezza menzionata nelle due norme di cui agli artt.1322, 2° co. e 2645-ter c.c. pone le basi per affrontare il tema - di cui è traccia nella recente pronuncia giurisprudenziale 69 che si è scelto di “sottoporre” ad attento esame - del raffronto tra l’istituto oggetto della decisione del giudice tavolare e la vicina figura dell’atto di destinazione. Ciò al dichiarato fine di verificarne una possibile relazione al di là della constatazione che la fattispecie che qui interessa non può in alcun modo rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 2645-ter a causa della specifica qualificazione dell’atto voluto dalle parti che consiste senza ombra di dubbio in un atto di dotazione di trust. In primo luogo si nota che il punctum dolens di questa riflessione riguarda l’indagine sulla meritevolezza del programma negoziale alla luce dell’omonimo criterio introdotto dal nuovo art.2645-ter c.c. per il quale gli interessi sono “meritevoli di tutela […] ai sensi dell’art.1322, secondo comma”. Ma è proprio il giudice tavolare 70 che dopo aver detto, in un inciso, che la tutela della prole è di tale rilevanza da rendere superabile qualsiasi disquisizione in ordine alla sussistenza dei canoni di meritevolezza richiesti dalla norma in argomento, continua chiarendo che questa meritevolezza è diversa da quella dell’art.1322 c.c. La meritevolezza è qui (facilmente) dichiarata vista la tipologia di interessi da tutelare quali, appunto, quelli familiari, di cui si è già prima ampiamente discorso, il che fornisce un’agevole via d’uscita verso il difficile cammino intrapreso da illustri dottrinalisti che, già all’indomani
67
In tal senso vedi l’intervento di M. Bianca, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. cit., in particolare pag.35. 68 per una puntuale elencazione dei parametri cui adeguare il giudizio di meritevolezza v. M. Bianca, M. D’Errico, A. De Donato, C. Priore, L’atto notarile di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, Giuffrè ed., 2006, pagg.18 e 19; cfr. anche l’intervento di A. De Donato in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, cit., pagg.42-45. 69 Decreto tav. Trib. Trieste19/09/07 cit. sub nota n.1. 70 Si legge in motivazione al decreto del 19/09/2007: “Queste considerazioni, largamente riportate, sono in buona parte compatibili con il proprio convincimento che, in termini generali, l’interesse meritevole di tutela di cui all’art. 1322, co 2, cod. civ., sia e resti altro”.
dell’introduzione della norma, si sono cimentati nell’impresa fornendo sostanzialmente due chiavi interpretative 71 . La prima, autorevolmente sostenuta, 72 afferma la valenza di mero rinvio al “vecchio” art.1322, 2°co., con ciò sostenendo che non vi sarebbe stato alcun intento innovatore nel legislatore, limitatosi a mutuare la disposizione dettata in tema di autonomia contrattuale, al fine di contestualizzarla anche nel nuovo disposto legislativo con perfetta identità di significato. Quanti concordano con questa tesi del mero richiamo, però, si dividono poi sulla portata ulteriore del rinvio così operato, riproponendosi specularmene a quanto già accaduto attorno all’analisi del secondo comma dell’art.1322 i diversi punti di vista sul significato da attribuire al giudizio di meritevolezza e di cui si è precedentemente fornito il variegato panorama dottrinale 73 . La seconda lettura 74 in merito, che qui si preferisce, è quella che attribuisce a quel richiamo una concreta valenza applicativa. Si ritiene infatti che se il legislatore è intervenuto ad introdurre 71
Per una ricostruzione in chiave sintetica dei principali orientamenti in tema di interpretazione del richiamo operato dall’art.2645-ter all’art.1322 v. R. Di Raimo, Considerazioni sull’art.2645-ter c.c.: destinazione di patrimoni e categorie dell’iniziativa privata, in Rassegna di diritto civile 4/2007, pagg. 945 e segg., in particolare pagg. 980-982 ove l’A. raggruppa in tre filoni dottrinali le posizioni in merito, distinguendo tra coloro che attribuiscono al richiamo in questione un valore diverso da quello espresso all’interno dell’art.1322,2° co., cui viene attribuito il merito di offrire l’interpretazione tra tutte più fedele al dato testuale, ma che avrebbe il difetto di non spiegare la ragione del requisito, privando la norma di contenuto precettivo ( per un esame finalizzato al chiarimento della valenza precettiva e non meramente ricognitiva v. infra nel testo), e coloro che suggeriscono una lettura coordinata del testo definitivo e di quello originario volto, quest’ultimo, a tutelare i portatori di handicap con l’aggiunta di finalità di istruzione, educazione e crescita, sì da poterne ricavare un persistente riferimento a soggetti deboli e a beneficiari individuati, prospettiva giudicata più corretta sotto il profilo della ricostruzione sistematica della previsione cui però farebbe da contraltare l’insufficiente supporto testuale, ed infine coloro che in posizione mediana tentano una sintesi dei due orientamenti ravvisando in questo giudizio di meritevolezza “una volontà precisa del legislatore di collocare l’iniziativa nell’ambito della cd. autonomia della solidarietà”, prospettiva che inevitabilmente reca con sé tutti i pregi e difetti delle teorie cui fa riferimento. 72 Tra gli autori che ravvisano la sostanziale identità di giudizio contenuto negli artt.1322 e 2645-ter spicca la posizione del prof. A. Falzea in Relazione a << La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile>>, Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Roma <
>, cit., pag. 7, in cui l’Autore motiva il suo convincimento in ragione della genericità della previsione normativa dello scopo che insieme alla prescrizione della meritevolezza rendono uniforme il requisito in oggetto. Egli ritiene che la legge non richieda un quid pluris di meritevolezza rispetto al requisito previsto per le ipotesi negoziali non tipizzate, con ciò parificando la novità legislativa con quella già prescritta in materia contrattuale, con conseguente obbligo per il notaio rogante di procedere ad un’indagine sulla meritevolezza degli interessi da condurre unicamente su due profili: la verifica dell’ambito in cui inserire lo scopo perseguito dalle parti che deve essere solo quello segnato dalla legge e il valore etico e socialmente rilevante dell’interesse stesso. 73 Nel parere della Commissione Giustizia datato 28 maggio 2005 reperibile all’indirizzo http://www.camera.it/dati/leg14/lavori/bollet/200506/0628/pdf/02.pdf si dice espressamente che il riferimento alla meritevolezza è stato usato per uniformarsi all’orientamento giurisprudenziale nettamente dominante in cui il termine equivale a non illiceità. La coincidenza della meritevolezza di cui all’art.2645-ter c.c. con la mera liceità è sostenuta, ad esempio, da Manes, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione, pag.627; Tonelli, Tribunale di Trieste: prima applicazione dell’art.2645-ter, pagg.1 e segg.; pur non precisando l’ identità tra i due concetti di meritevolezza e liceità, è concorde nel non considerare necessaria << una particolare ‘pregnanza’ dell’interesse del disponente >> Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv.dir civ., 2006, II, pag.179; v. anche Patti, Gli atti di destinazione e trust nel nuovo art.2645-ter c.c., in Vita not., 2006, pagg.986 e segg. che però sottolinea l’inevitabile conseguenza cui si giunge con la linea ricostruttiva da lui proposta che porta a sacrificare il senso del giudizio di meritevolezza negli angusti limiti della non illiceità ( v. in proposito nota 15); V. l’intervento di F. Gazzoni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile cit., pagg. 209 e segg., ove l’Autore si mostra scettico sull’operare effettivo del controllo di meritevolezza sull’autonomia privata introdotto per via del richiamo dell’art.2645-ter all’art.1322,2°co., arrivando ad escludere che il rinvio assolva a questo compito in ragione del convincimento che il giudizio in questione riguardi il tipo e non la causa dell’atto negoziale, con conseguente inquadramento dell’oggetto del controllo nell’idoneità dello schema negoziale ad assurgere a tipo legale anziché nel suo interesse; si spinge invece fino a ritenere improprio il richiamo in oggetto in quanto la disciplina dell’atto di destinazione ormai tipizzato avrebbe piuttosto richiesto il rinvio al 1°comma dell’art.1322 Bartoli, in <>in Corriere merito, 2006, pag.697. 74 V. F. Caringella, Lezioni e sentenze di diritto civile 2007, www.Ildirittopericoncorsi.it editore, pagg. 575 e segg. Per la verità tra coloro che riconoscono una valenza diversa al richiamo in oggetto, maggiormente selettiva rispetto alla valutazione operata in virtù dell’art.1322, 2° co. sembra doveroso citare anche il Giudice triestino, sebbene questa
una norma, che colma evidentemente una lacuna codicistica, ha a monte ritenuto che quella disposizione di cui al secondo comma dell’art.1322 - di cui tanto si è parlato cercando di svuotarla di contenuto - non ha poi quella pochezza di significato da tanti acclamata a gran voce; tanto è vero che di fatto, qualunque ne sia la ragione, il legislatore non è mai intervenuto per sopprimerla ed ha avuto in proposito ben oltre sessant’anni di tempo per farlo! Un dato incontrovertibile è che questo legislatore ha proprio di recente riproposto la disposizione in parola, mostrando nei fatti di condividerne ancora la portata, altrimenti si sarebbe potuto astenere dal richiamarla, ovvero avrebbe potuto approfittare per chiarirne il senso e la portata alla luce dei molteplici orientamenti in senso correttivo che vi ravvisano una sostanziale identità con il giudizio di liceità. Certo è che il quadro che si presenta ad un mero osservatore della realtà giuridica, al di là di ogni lettura che se ne voglia dare, è quello che vede da una parte la decisione del legislatore di tornare a parlare di meritevolezza e dall’altra l’attenzione posta da autorevole dottrina al tema in questione, il che costituisce di per sé la migliore risposta a quanti tentano di esautorare il giudizio in parola attraverso la critica aspra di una norma (l’art.1322, 2°comma c.c.) e di un concetto (la meritevolezza) così datato e da molti ritenuto (riassumendo) arcaico, superato, privo di reale significato, mera ripetizione del giudizio di liceità e figlio delle concezioni corporativiste inidoneo ad assumere altra valenza giuridica al di fuori di quella tramontata cornice storico-politica in cui è nato. Partendo allora da una ribadita attualità del tema, è opportuno in tal sede chiarire il valore del rinvio a quel giudizio di meritevolezza al di là dell’indagine semantica propria del giudizio medesimo. Sia consentita una riflessione di fondo in ordine all’intenzione del legislatore che probabilmente se ha introdotto una norma lo ha fatto per immettere nel sistema qualcosa di nuovo e di diverso che prima mancava. Ciò che mancava è appunto una norma con valenza sostanziale che prevedesse in linea generale la figura dell’atto di destinazione 75 che, visto come negozio, presenta profili di tipicità e di atipicità 76 ed in quanto tale deve superare, al pari degli altri contratti, il
considerazione non trovi traccia nel provvedimento del 19 settembre 2007, ma solo in quello precedente datato 7 aprile 2006 cit., ove si evidenzia questa diversità di trattamento in ragione della convinzione che il cittadino italiano trovandosi al cospetto dell’art.2645-ter “dovrebbe sperare nell’esito positivo del vago giudizio di meritevolezza dell’interesse”, in luogo del più agile controllo di mera liceità di cui all’art.1322, 2° co. vista la segnalata identità di significato tra questi due giudizi di meritevolezza e liceità proposta da detto giudice. 75 In tal senso v., tra gli altri, M.Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, cit., pagg.1175 e e segg.; Id, La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione cit., pagg. 29-33, in cui l’Autrice ribadisce il convincimento dalla stessa già in precedenza espresso secondo cui l’art.2645-ter presenta la figura generale dell’atto negoziale di destinazione sia da un punto di vista strutturale, per via della rinunzia del legislatore a chiarire la tipologia esatta di atto uni o bilaterale che le parti possono scegliere per costituire il vincolo, sia da un punto di vista funzionale, in ragione della rinunzia, del pari operata dal legislatore, all’indicazione delle finalità perseguibili chiarite solo indirettamente attraverso il richiamo alla meritevolezza; Id, Atti di destinazione e attuazione del vincolo,in corso di pubblicazione nel volume Doria la cui consultazione è stata resa possibile grazie alla cortesia dell’autrice, in cui si analizza il dibattuto problema dell’inquadramento del contenuto dispositivo dell’art.2645-ter in termini di disciplina generale o speciale e delle relative ripercussioni anche in considerazione dell’opportunità di instaurare un dialogo tra la norma in parola e le altre discipline destinatarie, a tal proposito è opinione dell’autrice che l’art.2645-ter, ponendosi quale disciplina generale, sia un “contenitore che per la prima volta introduce e dà pieno riconoscimento ad uno schema generale, prospettando il problema della individuazione di una teoria generale della destinazione”; Id, voce “Vincoli di destinazione del patrimonio”, in Treccani, vol. XV di aggiornamento, Roma, 2007, in cui l’A. spiega come il riconoscimento legislativo dello schema generale del negozio di destinazione ad uno scopo assume una valenza culturale quale punto di arrivo di un percorso dommatico teso a valorizzare il ricorso a strumenti di destinazione e separazione del patrimonio culminato nel riconoscimento dell’atto in questione come il mezzo più confacente all’ordinamento italiano per soddisfare queste molteplici istanze; condivide, tra gli altri, la valenza di disciplina sostanziale dell’art.2645-ter L. Nonne, op. cit., pag.125. 76 in tal senso, v. Russo E., Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati (art.2645-ter c.c.), in Vita not. 2006, pagg.1238 e segg. secondo il quale “la convivenza tra tipicità dell’atto e atipicità del contenuto rende giustificabile il rinvio all’art.1322 del codice civile”.
giudizio di meritevolezza 77 qualunque sia poi nei fatti il criterio da seguire per porlo in essere, sia esso lo stesso identico giudizio di cui all’art.1322, 2°comma, o una valutazione difforme anche solo in parte. In questa sede, come anticipato, si ritiene di condividere l’orientamento di quanti ritengono che un controllo di tal genere sia già stato dettato dal legislatore che non avrebbe avuto motivo di ripetersi, essendo l’art.1322 una norma valida in generale per tutti i negozi atipici. Sarebbe superfluo quindi il controllo di cui all’art.2645-ter se non si attribuisse allo stesso un significato precipuo 78 . È il caso quindi di considerare la possibilità che ci si trovi di fronte ad un’ipotesi diversa, cioè ad un negozio atipico, che tale rimane anche se viene tipizzato nel 2006 perché la previsione legislativa è così ampia da lasciare comunque molto spazio all’autonomia dei privati 79 . Continua dunque ad essere un negozio atipico perché pur se previsto e disciplinato in parte, resta comunque solo un “frammento di disciplina” 80 , perché la norma non lo regolamenta almeno in tutti i suoi aspetti essenziali 81 . La disposizione di cui al detto art.2645-ter va quindi a coniare più che a regolare 82 questa tipologia negoziale che viene sottoposta a controllo di meritevolezza sociale. È doveroso chiarire che non si tratta di norma inutile che si limita a ripetere quanto previsto in tema di controllo causale dei contratti atipici, non avendo la norma portata meramente ricognitiva, bensì precettiva. Si tratta cioè di una disposizione dal contenuto peculiare, poiché impone un preciso precetto giuridico a chi voglia sottoporre a vincolo di destinazione un determinato bene (immobile o mobile iscritto in pubblici registri) a mezzo di un atto avente un effetto segregativo unidirezionale idoneo ad incidere in modo determinante sul potere dispositivo dei privati. In vero dal normale controllo di meritevolezza non deve necessariamente scaturire un giudizio di utilità sociale e di apprezzabilità del fine sociale, come pure da taluno sostenuto in relazione all’art.1322, a differenza di altra parte della dottrina che, con diversità di accenti, sostiene la meritevolezza di interessi meramente leciti, logici e razionali. Infatti un interesse egoistico supererebbe il controllo di cui all’art.1322, ma non quello ex art.2645-ter, che, a giudizio della 77
V. D’Errico, Le modalità della trascrizione ed i possibili conflitti che possono porsi tra beneficiari, creditori ed aventi causa del “conferente”, in AA.VV:, Negozi o di destinazione cit., pagg.109 e segg. ; conforme M. Bianca, Atti di destinazione e attuazione del vincolo cit., in cui si chiarisce che, muovendo dal presupposto dell’introduzione ad opera dell’art.2645-ter della categoria generale degli atti di destinazione, coerenza vuole che il giudizio di meritevolezza dell’interesse sia principio generale del sistema valido in presenza di tutte quelle fattispecie destinatorie idonee a determinare un effetto separativo del patrimonio con conseguente limitazione dei diritti dei creditori, questa meritevolezza, condizionando la validità dell’atto di destinazione, non può essere limitata ai soli atti destinatori, ma deve sussistere per ogni atto che determini effetti nei confronti dei terzi creditori in termini di separazione patrimoniale ivi compresi i negozi fiduciari ed il trust, in tal senso anche la decisione in commento in cui si afferma in sostanza che l’art.2645-ter rappresenta un “limite esterno” ad un incondizionato ingresso del trust nel nostro ordinamento con conseguente obbligo per l’interprete di valutare non solo il rispetto del limite di ordine pubblico di cui all’art.16 L. 218/1995 ma anche della meritevolezza di cui al combinato disposto dell’art.2645-ter e 1322,2° co. c.c 78 Per la tesi dell’inutilità del rinvio in assenza del riconoscimento di un suo significato preciso e diverso da quello di cui all’art.1322 in tema di contratti atipici v. M. Nuzzo, Atto di destinazione ed interessi meritevoli di tutela, in Bianca M. (a cura di) cit., pagg.59 e segg. 79 Cfr. Russo E., op cit., pagg.1238 e segg. in cui scrive “è proprio il possibile riempimento di questo contenuto atipico che manifesta le potenzialità di questa figura e le possibili strutture complesse della stessa”. 80 Per l’utilizzazione di questa espressione, v. M. Bianca, La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645ter del codice civile cit., pag.32; per l’espressione “frammento di trust” al fine di indicare che l’atto di destinazione è categoria residuale v. Lupoi M., Gli <> nel nuovo art.2645-ter c.c. quale frammento di trust, in Riv. not., 2006, pagg.467 e segg., in particolare pag.472 ove l’A.sottolinea che “tutto ciò che è nell’atto di destinazione è anche nei trust, ma i trust si presentano con una completezza di regolamentazione e una collocazione nell’area della fiducia che l’atto di destinazione non presenta”. 81 per questa definizione di atipicità v. A. Catricalà, L’esame di diritto civile, Maggioli, 2000, pag.187, in cui l’autore riprende la tesi che suole distinguere il concetto di atipicità da quello di nominatività del contratto contrassegnato, quest’ultimo, dalla mera circostanza di avere un suo nomen juris. 82 Per una ricostruzione della portata dell’art.2645-ter e del senso da attribuire al giudizio di meritevolezza in esso richiamato v. F. Caringella, Lezioni e sentenze di diritto civile 2007 cit. pagg. 575 e segg.; Id, Manuale di diritto civile cit. pagg. 760 e segg.
scrivente, deve essere condotto con particolari cautele, rappresentando un quid pluris rispetto a quello del secondo comma dell’art.1322. Si tratta quindi di un accertamento di particolare meritevolezza dell’interesse perseguito, potendo concludersi diversamente, cioè a dire in termini di validità del vincolo, solo a condizione di operare una valutazione in base agli stessi criteri previsti per i contratti atipici. Il negozio di destinazione ha dunque una sua peculiarità che vale a distinguerlo dagli altri negozi ed in quanto tale postula il riscontro positivo di un interesse “particolarmente meritevole che solo consenta l’istituzione della destinazione e quindi della conseguente limitazione di responsabilità patrimoniale” poiché diversamente ragionando si arriverebbe a svuotare completamente il contenuto del principio della tutela del credito 83 . Ciò in quanto i creditori notoriamente confidano nella responsabilità generale ed illimitata del loro debitore, il quale, potendo vincolare parte del proprio patrimonio distraendolo dalla sua naturale destinazione, pone in essere atti potenzialmente violativi sia del principio generale di cui all’art.2740 c.c. che del principio della par condicio creditorum di cui al successivo art.2741, che prevede il diritto dei creditori ad essere egualmente soddisfatti sui beni del debitore, ovviamente se chirografari. L’istituto rappresenta quindi un’eccezione vistosa alla regola suddetta, che per poter essere consentita esige un particolare controllo causale del negozio in parola. Il controllo deve quindi essere necessariamente rafforzato, più puntuale e rigoroso 84 , ispirato a criteri diversi da quelli dell’art.1322,2°co., dovendo l’operatore giuridico, ed in primis il notaio, procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli interessi coinvolti. Il controllo di meritevolezza comporterà, quindi, innanzitutto la valutazione della rilevanza giuridica di questi interessi da tradursi in un giudizio di non futilità e non illiceità, ossia di non contrarietà con norme imperative, ordine pubblico e buon costume, per poi procedere ad una comparazione dei medesimi interessi che, da una parte, postulano la necessità di apporre il vincolo di destinazione e, dall’altra, di evitare il suddetto effetto segregativo per meglio tutelare le ragioni di chi ha confidato sulla garanzia patrimoniale illimitata del proprio debitore 85 . Questa comparazione va compiuta non astrattamente, ossia sulla base di ciò che in teoria può essere ritenuto più meritevole di tutela, ma in concreto, soppesando le contrapposte esigenze dei soggetti coinvolti con particolare attenzione alla situazione, anche patrimoniale, in cui versa il soggetto che vuol apporre il vincolo su di un proprio bene. Ciò al fine di non arrivare, in ipotesi estrema, a privare di fatto i creditori dell’unico bene su cui potersi rivalere, vedendo senz’altro preclusa la possibilità di soddisfarsi sul patrimonio di chi potrebbe ad arte voler far ricorso a questo strumento legislativo per eludere la garanzia generica dei creditori 86 . Si registrano a tal proposito le perplessità di illustre dottrina 87 che si preoccupa proprio delle nocive ripercussioni che potrebbero derivare da un uso indiscriminato, o anche solo poco attento e incauto, della norma che si presta a facili abusi. 83
in tal senso M. Bianca, Atto negoziale di destinazione e separazione, in Riv.dir. civ., 2/2007, pag.216; v. anche A. Gentili, op. cit., pagg. 18 e segg., il quale, dopo aver illustrato la posizione dottrinale più restrittiva in relazione al concetto di meritevolezza, arriva a criticarne l’impostazione di fondo ritenendola non adeguatamente suffragata e protesa all’inutile esigenza di tutela dei terzi in specie creditori; in vero con un ragionamento sottile, anche se dalla scrivente non condiviso, l’A.procede a motivare l’asserita mancanza di danni potenziali alle ragioni del ceto creditizio. 84 le parole sono attribuibili a F. Caringella, op. ult. cit. che acutamente nota la diversità di accenti di un giudizio che deve calarsi nel particolare contesto in cui è inserito per poter essere compreso appieno. 85
M.Bianca, Atto negoziale di destinazione e separazione cit., pag.200 in cui scrive che “ Il rapporto tra destinazione e separazione esprime il nodo problematico del rapporto tra autonomia negoziale e tutela del credito”; e ancora pag.216 in cui l’A. ritiene che il controllo in argomento attiene non tanto “all’atto di autonomia destinataria ma alla rilevanza esterna di tale atto, rilevanza che deve fondarsi su un equilibrio di valori. In tal senso il principio di meritevolezza rappresenta il punto di incontro tra libertà dell’atto di destinazione e il controllo sull’opponibilità dello stesso, attraverso la regola di separazione patrimoniale”. 86 v. A. Ferrucci - C. Ferrentino- A. Amoresano, Atti tra vivi di diritto civile, Giuffrè ed., 2007, pag.643. 87 Cfr. in proposito A. Di Majo, Relazione a << La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile>>, Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Roma <>, cit., pagg.111 e segg., in cui l’Autore esprime il timore che lo spazio di
Si tratta in effetti di una norma eccezionale non solo per la rilevata deroga al disposto di cui all’art.2740, 1° comma c.c., ma anche in ragione di quella alla naturale disponibilità dei beni in capo al proprietario. Al fine di non arrivare ad una interpretatio abrogans della norma di cui all’art.2740 c.c., che del resto è portatrice di un principio cardine del sistema, cui la norma non può - e non vuole – derogare, si ritiene che il controllo di meritevolezza vada condotto attraverso un esame comparativo dei diversi interessi “alla stregua del trattamento che gli stessi ricevono nel nostro sistema di diritto positivo” ponendo la massima attenzione alla sussistenza di finalità di tale rilevanza sociale da giustificare la compressione dei normali diritti dei creditori. Nell’attuale quadro normativo si impone quindi, ancor più che nel passato, una lettura costituzionalmente orientata dell’art.2740 che reca l’anzidetto principio di responsabilità patrimoniale proprio al fine di salvaguardare al meglio le opposte istanze dei privati con ciò realizzandosi quello che è stato con felice formula definito “equilibrio di valori” di cui la civiltà moderna deve farsi carico al fine di venire incontro alle mutate esigenze di una società in continua crescita (il che postula il superamento del dogma dell’indivisibilità del patrimonio attraverso l’adozione di atti destinatori con effetto separativo) senza con ciò pregiudicare assetti di interessi da sempre oggetto di particolari attenzioni e tutela quali quelli creditizi ( id est il principio di affidamento del ceto creditorio). In proposito si concorda con quella prospettiva che ravvisa nel rinvio dell’art.2645-ter alla meritevolezza di cui all’art.1322,2°co. il punto di approdo di un lungo e faticoso percorso culturale volto ad evolvere il concetto di patrimonio facendolo evadere dagli angusti e desueti limiti in cui era confinato. 88 È proprio in relazione a questo giudizio comparativo che il notaio è chiamato a compiere, che è stato attribuito alla valutazione dell’interesse perseguito con l’atto di destinazione un “rilievo relazionale 89 che richiede una particolare qualificazione dell’interesse in esame”. Il giudizio di meritevolezza, inteso quale parametro dell’atto negoziale di destinazione, non va dunque considerato come un elemento ingombrante, in grado di ostacolare l’adozione di questa tipologia negoziale, ma è al contrario giustificazione sul piano sociale del ricorso ad uno strumento capace di destabilizzare assetti di interessi fin ora massimamente tutelati anche a prezzo di sacrificarne altri. Oggi, quindi, la prospettiva è parzialmente diversa, nel senso che i diritti del ceto creditorio possono vedersi penalizzati nel loro soddisfacimento se considerati meno rilevanti rispetto ad altri, pure meritevoli di tutela, all’esito di una valutazione comparativa degli antitetici interessi in gioco da compiersi caso per caso. autonomia lasciato al privato possa tradursi in un abuso a danno dei creditori, preoccupazione tuttavia affievolita dalla fiducia nel senso di responsabilità dei notai chiamati ad operare il controllo di meritevolezza. 88
In tal senso v. Doria G., Il patrimonio finalizzato, in Riv. dir. civ., 2007; Id, Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, Torino, 2007. 89 Questa felice formula è attribuibile al prof. M. Nuzzo, v. in proposito l’intervento alla Tavola Rotonda tenutasi a Roma, il giorno 17 marzo 2006, presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università di Roma <>, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, cit. pagg.59 e segg. in particolare pag.68. Questa tesi è stata già esposta in tema di meritevolezza ai sensi dell’art.1322 ante introduzione della norma di cui all’art.2645-ter da U. La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, pagg. 12 e segg.; A. Gemma , Destinazione e finanziamento, Torino, 2005, pagg.159 e segg., e ripresa dopo l’entrata in vigore dell’art.2645-ter da M. Nuzzo, Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del notaio, relazione preparata per il Convegno <>organizzato a Milano dalla Scuola di Notariato della Lombardia il 19 giugno 2006, in http://www.scuoladinotariatodellalombardia.org/relazioni.htm, in senso conforme M. Bianca, La categoria dell’atto negoziale di destinazione:vecchie e nuove prospettive, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, pag.178; sul punto v. anche P. Spada, Il vincolo di destinazione e la struttura del fatto costitutivo, relazione presentata al convegno <>organizzato a Milano dalla Scuola di Notariato della Lombardia il 19 giugno 2006, consultabile alla pagina webhttp://www.scuoladinotariatodellalombardia.org/relazioni.htm, in cui sottolinea il ruolo di orientamento nella selezione degli interessi relativi alla separazione innominata del recente D.lgs. 155/2006 sull’impresa sociale che fornisce un elenco esaustivo di ciò che è possibile realizzare attraverso iniziative imprenditoriali socialmente utili, elenco che consentirebbe appunto di individuare anche gli interessi meritevoli ex art.2645-ter.
Questa comparazione non è del resto un elemento di novità del sistema, essendo già stata sperimentata in materia di patrimoni separati di fonte normativa, ossia non lasciati all’autonomia dei privati, oggi però riproposta in un più vasto ambito in cui è lasciata alle parti la possibilità di porre in essere atti destinatori egualmente soggetti alla verifica della loro meritevolezza, al fine di meglio comporre in senso orizzontale, cioè a dire senza pretese di gerarchie di valori, gli interessi confliggenti 90 . Concludendo sul punto può dirsi che se questo bilanciamento di interessi si dovesse tradurre in un accertamento positivo di meritevolezza dell’interesse di parte rispetto a quello creditizio con conseguente trascrizione dell’atto destinatario ed effetto separativo del patrimonio vincolato, l’onere di questo giudizio spetterebbe al notaio, soggetto qualificato a compiere una tale valutazione del resto non dissimile da quella compiuta nell’esercizio quotidiano delle sue funzioni ogni qual volta si trovi a controllare la liceità dell’atto negoziale che è chiamato a rogitare, privo di qualsivoglia “carattere extragiuridico o soggettivo” 91 . Sia consentita un’ultima considerazione a supporto della preferenza accordata alla linea argomentativa esposta, in quanto se pure si accedesse all’opposto orientamento della coincidenza del giudizio di meritevolezza di cui agli artt.1322 e 2645-ter, a parte le considerazioni già esposte, si incorrerebbe nel problema di una possibile dilatazione dei confini del nuovo istituto. Corollario ne sarebbe che quest’ipotesi di costituzione di un patrimonio separato, non aggredibile dai creditori del disponente, non costituirebbe un caso eccezionale, legislativamente previsto e limitato entro stretti e ben controllati limiti, ma al contrario aprirebbe una voragine nella regola di cui
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V. Di Marzio F., Il contratto immeritevole nell’epoca del postmoderno, in Di Marzio F., a cura di, Illiceità, immeritevolezza, nullità, Napoli, 2004, pagg.121 e segg. in cui si riporta l’autorevole orientamento dottrinale che già anteriormente all’introduzione dell’art.2645-ter legava il principio di meritevolezza ai principi costituzionali; orientamento che in seguito si è tradotto nelle teorie più moderne che interpretano la valenza del giudizio di meritevolezza nel doveroso controllo di protezione degli interessi dei terzi nell’operazione contrattuale volta a creare un vincolo che in qualche maniera determini un effetto separativo potenzialmente lesivo dei loro interessi. Nell’ambito della stessa prospettiva si collocano le voci dottrinali che implicitamente individuano nell’effetto della separazione patrimoniale, e non nel vincolo in sé, il vero oggetto del controllo di meritevolezza da condurre attraverso una selezione degli scopi perseguiti dalle parti onde evitare possibili abusi ed elusioni di un principio avente rilevanza costituzionale,in tal senso cfr. Spada P., Conclusioni, in Bianca M., a cura di , cit., pag.203 che inquadra il contenuto del giudizio di meritevolezza in un’ottica solidaristica; Gazzoni F., Osservazioni, in Bianca M., a cura di, cit, pagg.215 e segg. che opta per una visione in termini di pubblica utilità e Morace Pinelli A., Atti di destinazione… cit., pag189 che ravvisa la meritevolezza nell’interesse non lucrativo rilevante sul piano della morale. Lo stesso giudice triestino nel decreto in commento rifacendosi alla lettura costituzionalmente orientata del prof. Nuzzo scrive che “non qualsiasi interesse individuale poteva legittimare tale separazione .. in quanto …l’art.43, 2°co. Cost. tollera le limitazioni del diritto di proprietà solo qualora in tal modo sia assicurata la sua funzione sociale. La proposta esegetica è quindi quella di rifarsi al sistema costituzionale per l’individuazione dei valori in nome dei quali operare la separazione: beni ed interessi non necessariamente collettivi, purché non meramente patrimoniali; corrispondenti, cioè, a valori della persona costituzionalmente garantiti, sulla falsariga di quelli selezionati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione come meritevoli di ristoro ai sensi dell’art. 2059”. 91 la tesi di cui al testo è riconducibile a M. Nuzzo, Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del notaio, relazione preparata per il Convegno <>organizzato a Milano dalla Scuola di Notariato della Lombardia il 19 giugno 2006, consultabile alla pagina http://www.scuoladinotariatodellalombardia.org/relazioni.htm, cit., in cui l’A. non solo prende posizione conferendo al notaio la competenza a compiere il giudizio di meritevolezza, ma sottolinea anche la conseguenza della riscontrata immeritevolezza dell’interesse che incide sull’opponibilità ai terzi del vincolo restando l’atto di destinazione valido solo inter partes ed insuscettibile di produrre quell’effetto segregativo tipico del negozio ispirato alla salvaguardia di interessi meritevoli di tutela giuridica; conforme M. Bianca, La categoria dell’atto negoziale di destinazione:vecchie e nuove prospettive, in I Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2007, pag.178; in termini sostanzialmente uniformi in tema di meritevolezza ai sensi dell’art.1322 ante introduzione della norma di cui all’art.2645-ter già U. La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, pagg. 12 e segg.; A. Gemma , Destinazione e finanziamento, Torino, 2005, pagg.159 e segg.; contra A. Zoppini, Destinazione patrimoniale e trust: raffronti e linee per una ricostruzione sistematica, in Riv. dir. priv., 4/2007 pagg.734-735 in cui l’Autore critica la proposta interpretativa perché foriera, a suo dire, di maggiori incertezze essendo rimessa al giudice la singola valutazione della destinazione patrimoniale.
all’art.2740 92 , laddove invece una selezione di questi interessi meritevoli di tutela sembra indispensabile proprio in ragione della menzionata deroga a questo principio generale di cui all’art.2740. A ciò si aggiunga l’evidente difficoltà sul piano concreto di procedere ad una valutazione di rispetto dei canoni di liceità, non tanto con riguardo all’osservanza del precetto legislativo, quanto a quello dell’ordine pubblico e del buon costume, concetti notoriamente dai contorni più sfumati e di non facile comprensione. Si riscontra inoltre una incongruenza nel ragionamento seguito dall’orientamento giurisprudenza cui si è dato conto, in quanto da un lato il Giudice tavolare 93 aderisce all’orientamento che scorge nel rinvio alla meritevolezza da parte dell’art.2645-ter un significato diverso (v.sub note 70 e 74 ) più vago e meno agevole rispetto a quello di mera liceità, fino al punto di arrivare ad affermare l’esistenza di un limite esterno all’ingresso incondizionato del trust nel nostro ordinamento, sì da essere sostanzialmente un filtro che va al di là della verifica di conformità all’ordine pubblico e, dall’altro lato, si contraddice sostenendo che il giudizio di meritevolezza si traduce (e quindi si identifica) in quello di liceità. In considerazione del taglio che si è inteso dare al presente lavoro, quale indagine del contenuto del giudizio di meritevolezza così come viene interpretato dalla giurisprudenza recente, anche alla luce del segnalato intervento legislativo che ha portato all’introduzione del nuovo art.2645-ter c.c., è opportuna, e anzi doverosa, una considerazione in ordine alla conferma del precedente punto di vista del giudice tavolare 94 in ordine al ruolo svolto da questa nuova norma. Infatti è opinione dell’organo decidente che “la norma sia valsa a legittimare l’esistenza nell’ordinamento giuridico di un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione… e che siamo al cospetto di un ulteriore effetto negoziale, che può essere partecipe delle fattispecie causali traslative tipiche (e forse anche di quelle ad effetti obbligatori e di quelle atipiche)… e quindi non ci troviamo davanti ad un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela”. In tal modo si esprime un convincimento speculare a quello espresso in un provvedimento precedente 95 e già oggetto di forti critiche dottrinali 96 delle quali si condivide innanzitutto il rilievo 92
In tal senso M. Cinque, L’interprete e le sabbie mobili dell’art.2645-ter cod. civ.: qualche riflessione a margine di una prima (non)applicazione giurisprudenziale, cit., in NGCC 5/2007, pag. 529; in tal senso v. anche gli interventi di M. Bianca e M. Nuzzo e F. Gazzoni, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art.2645-ter del codice civile, cit., in particolare pagg. 209 e segg., in cui quest’ultimo Autore esprime la preoccupazione di fornire una chiave di lettura del controllo di meritevolezza di cui all’art.2645-ter tale da evitare il libero accesso di finalità futili, eccentriche e vane che in virtù di questo meccanismo andrebbero a prevalere sugli interessi dei creditori, svuotando troppo di significato l’art.2740 c.c., così da rendere opportuno l’utilizzo di criteri interpretativi che portino ad un’applicazione ragionevole della norma, non pericolosa e quindi in linea con i principi acclarati del nostro ordinamento. Lo scopo è quello di evitare interpretazioni di fatto abrogative di altre norme e di sottolineare la necessità di un controllo innanzitutto legale che limiti il sacrificio delle ragioni creditorie, come già avvenuto per il fondo patrimoniale in cui il legislatore stesso ha consentito alle parti di dar vita ad un patrimonio separato che sia dettato dalla preminente volontà di salvaguardare interessi familiari anche a prezzo del sacrificio degli interessi di qualche creditore. 93
Cfr. decr. Trib. Trieste,19/09/2007 cit. sub nota n.1. Il riferimento è al decreto del giud. tav. triestino, dr. A.Picciotto, del 7/04/2006 confermato sul punto dal successivo decr. datato 19/09/2007. 95 Nel decreto del 7 aprile 2006 il giudice tavolare, dr. A.Picciotto, afferma: “La norma… viene a introdurre nell'ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione… accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi, e che nel caso di specie manca, come scritto. Con essa, si opina, non si è voluto introdurre nell'ordinamento un nuovo tipo di atto a effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l'ingresso del tanto discusso negozio traslativo atipico; non costituisce la giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. Non c'è infatti alcun indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale, di cui non si sa neanche se sia unilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, a effetti traslativi od obbligatori.” 94
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Cfr. M. Bianca, Il nuovo art.2645-ter c.c. notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di trieste, cit., pagg.187-188.
dell’inesistenza nel nostro sistema giuridico di un effetto meramente destinatorio, essendo invece corretto qualificare solo l’atto come destinatorio, mentre l’effetto che ne scaturisce è quello di rendere opponibile erga omnes 97 la separazione patrimoniale che ne deriva. Ciò vuol dire che l’effetto è segregativo ed unidirezionale in quanto sono solo i creditori del disponente il vincolo a non potersi rivalere su questo patrimonio che si è inteso separare. Si condividono poi le molteplici istanze di quanti ravvisano nel recente intervento normativo non un mero effetto di disciplina già esistente, non essendo una norma che si limita a regolare gli effetti di negozi tipici, ma una disposizione che ha una valenza sostanziale che offre ai privati uno schema generale di atti di destinazione all’interno del quale scegliere il contenuto che meglio si presta al soddisfacimento dei propri interessi. Si ritiene quindi che le parti possano (e anzi debbano) corredare il negozio di clausole ad hoc che come in tutti i negozi atipici devono però rispettare il parametro della meritevolezza a salvaguardia del principio costituzionalmente protetto della responsabilità patrimoniale; si è dunque in presenza di una norma che ha il pregio di risolvere l’annoso problema dell’opponibilità dei vincoli di destinazione ai terzi. Pur dovendosi quindi criticare il persistente dubbio di questo orientamento giurisprudenziale 98 circa l’apprezzabilità della norma in termini di clausola generale dell’ordinamento, si ritiene al contrario apprezzabile il ripensamento del medesimo a proposito dell’opinione precedentemente espressa relativamente all’inutilità della norma, addirittura considerata potenzialmente dannosa per la ravvisata attitudine a rompere “gli ormai acquisiti equilibri interpretativi raggiunti sul tema della meritevolezza di interessi”. La suddetta decisione ha infatti il merito di aver mutato la precedente prospettiva almeno sul possibile ruolo della norma di estendere la sfera di operatività dell’autonomia privata in ordine al compimento di atti che creano vincoli rilevanti purché supportati da idonea giustificazione. Dalla segnalata giurisprudenza emerge, dunque, la rimeditata condivisione di quelle teorie che portano ad una lettura costituzionalmente orientata della norma e del concetto di meritevolezza che essa reca con sé (sia pur con le constatate incongruenze prima rilevate). Si riconosce quanto meno all’art.2645-ter l’importante ruolo di essere “strumento di selezione di valori”, ma per arrivare a questa conclusione non si può prescindere dalla scelta costituzionale di considerare meritevole di tutela non qualsiasi interesse, ma solo quello che sia quantomeno compatibile con l’utilità sociale e quindi conforme con le esigenze della comunità, rilevanti secondo i parametri costituzionali e secondo la concezione sociale e solidaristica dell’ordinamento 99 . Si deve però rilevare come un ragionamento espresso in questi termini non può concludersi con un mero rilievo dell’utilità della norma, perché proprio il riconoscimento, sia pur tardivo, dell’importante ruolo svolto dalla disposizione in termini di mezzo giuridico di selezione di interessi, tale da giustificare anche il sacrificio di diritti rilevanti quali quelli creditori, deve coerentemente condurre verso un’affermazione della valenza anche sostanziale di una norma di tale portata. Non può trattarsi cioè di una norma che ha rilievo solo sul campo della pubblicità dell’atto negoziale, come pure di una disposizione atta a consentire un mero effetto destinatorio nei termini peraltro già prima criticati, dovendosi coerentemente concludere nel senso di una norma con valenza generale, frutto di una continuità culturale e sistematica, scaturita da un lungo e travagliato percorso ideologico. 97
Per la tesi della realità del vincolo di destinazione di cui all’art.2645-ter da intendere come rilevanza esterna e quindi opponibilità dello stesso ai terzi creditori ed acquirenti v. M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, cit., pagg.1176 e segg.; Id, Atto negoziale di destinazione e separazione, cit., pagg.197 e segg.; anteriormente all’introduzione dell’art.2645-ter l’A. sosteneva la realità di un vincolo di destinazione, v. in proposito M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati cit., pagg. 209 e segg.; da ultimo cfr. l’opinione dell’Autrice ferma nell’affermare che “ in una trappola ermeneutica cadono coloro che negano all’art.2645-ter il valore di norma sostanziale, guardando al solo profilo dell’effetto di destinazione che viene confuso con la separazione patrimoniale, quale effetto della destinazione” in Atti di destinazione e attuazione del vincolo cit.in corso di pubblicazione. 98 Cfr., da ultimo, Trib. Trieste, decr. del 19709/2007cit. sub nota1. 99 V. in tal senso C.M. Bianca, op. cit.,pagg.459 e 460 che rinvia alle considerazioni espresse da M. Nuzzo, in Utilità sociale e autonomia privata, Milano,1974, pag.46.
4. PUBBLICITA’TAVOLARE. In ultimo, a completamento del presente lavoro che, come detto, ha tratto ispirazione da una pronuncia emessa in sede di giurisdizione tavolare, è opportuno dare contezza, sia pur brevemente, delle questioni di pubblicità tavolare prendendo spunto proprio dalla decisione del tribunale triestino. 100 Nel decreto da ultimo citato, il trasferimento del diritto di proprietà dell’immobile dalla parte disponente alla società trustee è stato oggetto di valutazione positiva da parte del su citato giudice che ne ha ordinato l’iscrizione tavolare in ragione della ravvisata legittimità della richiesta di intavolazione del diritto reale in capo al trustee. Quello tavolare è un sistema pubblicitario di tipo germanico diffuso nei territori italiani di dominazione austriaca, che si contrappone al modello di stampo latino adottato dal nostro ordinamento giuridico nelle restanti aree del Paese. Il sistema tavolare è stato mantenuto dal Governo dello Stato italiano per la duplice ragione di evitare di fronteggiare tutte le difficoltà connesse all’introduzione di un nuovo impianto pubblicitario su base personale e per l’evidente maggiore semplicità e certezza giuridica del sistema ereditato dalla dominazione austriaca. È per queste ragioni che il legislatore fascista, consapevole di questa superiorità decide di mantenerlo in vigore con regio decreto legge 211 del 1924 e viene conservato anche il conseguente impianto dei libri fondiari, disciplinato dalla previgente legge generale 25 luglio 1871, B.L.I. n. 95 e, in forza del r.d. n. 2325 del 1928, trasfuso nel nuovo testo allegato al regio decreto 499 del 1929. In vero nelle intenzioni dell’epoca, come peraltro rimane traccia nelle discussioni parlamentari, vi era quella di estendere gradatamente all’intero territorio nazionale il sistema tavolare, intento peraltro disatteso a causa dell’esigenza di disporre di un sistema in grado di dare perfetta contezza dell’esistenza stessa (e dell’ubicazione) dei beni. Ciò in quanto il solo sistema catastale si è rivelato inidoneo a fornire un’esaustiva mappatura del territorio 101 . Il procedimento giurisdizionale tavolare afferisce alla volontaria giurisdizione, come ricordato nel corpo della stessa decisione, quindi non presenta i caratteri del procedimento contenzioso, e si conclude con decreto di accoglimento del ricorso redatto per iscritto ai sensi dell’art.83 r.d. 499/1929 cit., in unica copia ex art.92 (non necessariamente autenticata) e contenente, a pena di rigetto, la puntuale descrizione dell’istanza volta ad ottenere l’iscrizione tavolare del diritto di proprietà dell’immobile oggetto di dotazione patrimoniale del trust in precedenza istituito. I procuratori difensori della parte ricorrente, abilitati alla proposizione della domanda giusta mandato a margine prodotto in seno al ricorso, hanno quindi legittimamente avanzato la richiesta contro il proprietario del bene, in quanto abilitato alla presentazione dell’istanza de qua agitur nel procedimento tavolare è chiunque vi abbia legittimo interesse ovvero vi sia tenuto per legge (in questo senso traspare una differenza con il sistema della trascrizione ove non si registra alcun restrizione nella proposizione dell’istanza che può essere avanzata da chiunque). Alla suddetta domanda corredata dall’indicazione esatta dell’ora di presentazione oltre che della data è stato apposto dal conservatore un numero progressivo convenzionalmente detto "GN" o "giornal numero”o partita tavolare (g.n. 1912/2007) al fine di rendere edotti gli eventuali interessati della pendenza dell’istanza sulla partita tavolare. A scopo esemplificativo, può dirsi che la domanda di intavolazione, recante gli estremi anagrafici della parte ricorrente e la residenza dei destinatari delle notifiche per consentire il decorso dei termini per il reclamo, è stata rivolta - nel caso del decreto su cui maggiormente si è concentrata la presente indagine, ossia decr. del 19 setembre 2007- ai sensi dell’art.75, 3°comma al giudice tavolare del tribunale di Trieste (comune Duino-Aurisina), poi designato dal presidente del tribunale, nella persona del dr. Arturo Picciotto quale giudice del tribunale medesimo (prima era investito dell’incarico il pretore, figura abolita a seguito delle modifiche introdotte, anche in materia di libri fondiari, dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 in tema di giudice unico). 100 101
Cfr. Trib.Trieste, decr. 19 settembre 2007 cit. sub nota n.1. Vedi F. Gazzoni, Manuale di diritto privato,Napoli, 1998 pag.288.
A seguito dell’accoglimento del ricorso, il giudice tavolare de quo ha emesso un decreto motivato al culmine della procedura inaudita altera parte, che ha accolto in toto le richieste avanzate (essendo anche possibile un accoglimento solo parziale della domanda, ma senza sconfinare mai ultra petita, pure nell’ipotesi in cui i documenti prodotti giustifichino una domanda più ampia di quella proposta ex art. 96). Il suddetto decreto del giudice tavolare contiene - tra l’altro - il riferimento alle partite tavolari sulle quali eseguire l’iscrizione; il titolo legittimante e il nome dei beneficiari; il diritto tavolare al quale l’iscrizione si riferisce e quello da iscrivere(quest’ultima indicazione va poi riportata integralmente nel libro fondiario al momento della vera e propria iscrizione da parte del conservatore). Solamente una parola per l’eventualità, qui disattesa, del rigetto dell’istanza: il decreto motivato in questo caso sarebbe stato annotato d’ufficio nel libro fondiario, a meno che il bene immobile non risultasse indicato in domanda o contenuto nei tomi, ovvero risultasse intestato a nome di terzi. Si anticipa brevemente che il decreto 102 così emesso sarà poi notificato, anche per il tramite del servizio postale, da parte dello stesso ufficio tavolare o dell’ufficiale giudiziario, ai richiedenti, a quanti risultino titolari del diritto tavolare trasferito( lo stesso avverrebbe in caso di diritti del pari tavolari ma modificati o estinti e non trasferiti come invece nell’ipotesi in esame), come pure a coloro contro i quali si esegua un’annotazione, agli altri soggetti di cui all’art. 123 della legge generale ed al catasto; è prevista altresì la possibilità di notificazione al domiciliatario indicato nel titolo o nella domanda (in questo caso autenticata). Questa pubblicità tavolare svolge una particolare funzione cd. positiva che è propria di tale sistema e che consiste nella tutela garantita dall’art. 5 del r.d. 499 del 1929 a colui che acquista un diritto confidando sulle risultanze del libro fondiario e destinato a prevalere su chi abbia maturato quello stesso diritto, o altro confliggente, a titolo originario, senza aver però annotato la domanda giudiziale volta ad accertare la sua situazione giuridica soggettiva. Questa funzione si aggiunge a quella cd. negativa della pubblicità, tipica degli ordinamenti di stampo latino, e consistente nella fiducia ingenerata sui terzi circa l’inesistenza di ciò che non risulta pubblicato negli appositi registri (libri). Alla funzione di protezione svolta dall’ordinamento tavolare si accompagna un ulteriore strumento di tutela offerto dal sistema delle cd. azioni in cancellazione di cui agli artt. 61 e segg. della legge generale, che limita nel tempo e negli effetti le conseguenze della caducazione dell’iscrizione tavolare dalla quale scaturiscono i diritti dei terzi e ciò a garanzia dei successivi acquirenti. Il tipo di iscrizione oggetto del presente lavoro consiste in un’intavolazione definita 103 come acquisto incondizionato di diritti (oppure cancellazione incondizionata) avente l’effetto dell’acquisto del diritto tavolare - quale è il diritto di proprietà del trustee 104 -, (lo stesso avverrebbe in caso di modificazione o estinzione di diritti tavolari). Il giudice tavolare peraltro procede ad ordinare anche l’annotazione del termine finale di cui all’art.7 dell’atto istitutivo del trust, ossia quel tipo di iscrizione che si riferisce agli atti, negozi e provvedimenti giudiziali o amministrativi di cui agli artt.19 e 20 della legge generale, le cui previsioni vengono dilatate per consentirne un’applicazione estensiva ad opera dell’art.20 lettera h), secondo il quale può essere annotato"ogni altro atto o fatto, riferentesi a beni immobili, per il quale le leggi estese, quelle anteriori mantenute in vigore o quelle successive richiedano o ammettano la pubblicità", con ciò differenziandosi l’oggetto dell’annotazione dagli altri due tipi di iscrizione tavolare residui, intavolazione e prenotazione, che hanno ad oggetto direttamente i diritti. Sia consentita appena una nota a completamento del discorso sulle possibili iscrizioni di cui all’articolo 8 della legge generale, relativamente alle prenotazioni, delle quali peraltro nella fattispecie in analisi non è fatta richiesta, definite come acquisti condizionati di diritti (o 102
Il riferimento è sempre al caso proposto del decreto del 19/09/07 cit. (v.nota n.1). cfr. articolo a cura di A. Picciotto, Lineamenti generali del sistema tavolare, principali differenze con il sistema della trascrizione, e procedimento in affari tavolari, in www.tribunaletrieste/documenti/relazioni.htm, in cui si procede ad una disamina puntuale delle tipologie di iscrizione tavolare e del relativo procedimento.
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in tal senso anche F. Di Ciommo, nota a Trib. Trieste 7 aprile 2006 in Foro Italiano cit., pag.1946.
cancellazioni condizionate) che hanno per effetto l’acquisto, la modificazione o la estinzione di diritti tavolari a condizione che vengano successivamente giustificate. Queste ultime al pari dell’intavolazione in oggetto rappresentano il momento di pubblicità costitutiva oppure dichiarativa (a secondo che siano trasmessi per atto negoziale o mortis causa o in forza di altro titolo) dei diritti tavolari. Nell’ipotesi in argomento, il trasferimento di proprietà dal settlor al trustee sia pur per un periodo limitato di tempo rappresenta un atto negoziale inter vivos derivativo-costitutivo che implica un provvedimento di intavolazione (come quello giustamente emanato) con effetto di pubblicità costitutiva, trattandosi di un diritto di proprietà che - al pari dei diritti reali di godimento su cosa altrui(servitù, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), e garanzia se ed in quanto relativi ad un bene immobile (ipoteca), ed ancora dei privilegi per i quali le leggi speciali richiedano l’iscrizione nei registri immobiliari, e degli oneri reali - costituisce tipologia inquadrabile tra i diritti tavolari. Si condivide dunque la citata decisione del giudice tav. triestino, dr. A. Picciotto, di procedere alla suddetta forma di pubblicità, più completa della mera annotazione del titolo, anche in considerazione del contenuto del programma negoziale (prima esaminato) informato alla realizzazione di fini leciti e meritevoli di tutela sebbene nei confini, in parte difformi dal decreto annotato, prima tracciati. Dopo aver ricordato che l’art.11 della Convenzione esonera dall’indagine sullo status e sul regime patrimoniale familiare del trustee, il giudice tavolare conferma il valore solo teorico della disquisizione dottrinale sulla natura reale o obbligatoria dei vincoli imposti al trustee. A questo giudice spetta infatti unicamente il compito di valutare l’ammissibilità della domanda di iscrizione tavolare cui egli deve dar seguito ai sensi dell’art.94, 1° comma n.2 r. d. 499/1929 ove è testuale il riferimento all’obbligo di ordinare l’iscrizione in assenza di dubbi sulla “capacità personale delle parti di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce o sulla legittimazione dell’istante”. “Qualora, quindi, il trustee decidesse di alienare il bene costituito in trust, o creare altri diritti reali di godimento o garanzia senza rispettare i limiti posti a suo carico, ad esempio cedendolo a terzi diversi dal beneficiario, il giudice tavolare dovrebbe negare l’iscrizione tavolare a favore dell’alienatario, senza porsi tanto il problema della natura reale o personale dei vincoli violati, afferendo comunque essi alla capacità di disporre del bene: non si dimentichi che il regime tavolare sconosce l’istituto della vendita a non domino.” 105 Un ultima considerazione può farsi a proposito delle differenze esistenti tra i due 106 regimi pubblicitari che coesistono nel nostro ordinamento giuridico e che possono essere riscontrate analizzando non solo gli atti negoziali tra vivi(di cui ci si è più diffusamente occupati), ma anche le altre tipologie di atti giuridici. La prima divergenza - unica ad avere diretta attinenza con la fattispecie in analisi - consiste nella deroga attuata dal sistema tavolare al cd. principio consensualistico nell’acquisto dei diritti reali immobiliari per atto inter vivos, quale l’atto di dotazione patrimoniale in oggetto, in quanto nei territori dominati dal sistema a base personale della trascrizione il consenso delle parti legittimamente manifestato vale a perfezionare il contratto, consentendo il verificarsi dell’effetto del trasferimento del diritto di proprietà ai sensi dell’art.1376 cod. civ, e la relativa pubblicità rende opponibile ai terzi gli effetti già prodotti dall’atto. Il sistema tavolare opera diversamente, sia pur limitatamente agli atti tra vivi, e quindi con esclusione di quelli mortis causa, in quanto non è sufficiente raggiungere l’accordo per trasferire la proprietà (o altro diritto reale). Nell’impianto mutuato dall’impero austro-ungarico, l’accordo rappresenta solo il titolo per ottenere l’intavolazione con la quale iscrivere la proprietà a nome dell’acquirente-alienatario, versando in un sistema di pubblicità costitutiva in virtù della previsione espressa di cui all’art. 2 del regio decreto 499 del 1929 in cui l’intavolazione serve a produrre l’effetto non solo verso i terzi ma anche tra le 105
sono le parole del Picciotto nel corpo del decreto motivato. per un confronto degli elementi differenziali dei due sistemi pubblicitari vedi ancora A.Picciotto, Lineamenti generali del sistema tavolare, principali differenze con il sistema della trascrizione, e procedimento in affari tavolari, cit. .
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parti. In altre parole il trasferimento del diritto reale si verifica solo al momento della iscrizione tavolare, all’esito del procedimento attualmente regolato dalla legge generale sui libri fondiari allegata al regio decreto 499 del 1929, in ragione della nascita, in capo all’acquirente dell’immobile, di un diritto di natura meramente personale nei confronti dell’alienante per effetto del solo consenso sia pur legittimamente manifestato. Per quanto riguarda il secondo elemento che vale a differenziare i due sistemi, esso fa riferimento agli acquisti mortis causa, per i quali l’ordinamento ha conservato, sebbene con i necessari adattamenti, il sistema di devoluzione ereditaria proprio del diritto italiano, istituendo il certificato di eredità e di legato. L’acquisto si produce in capo all’erede o legatario indipendentemente dalla iscrizione tavolare che in questo caso perde il suo connotato tipico di pubblicità costitutiva e produce un effetto solo dichiarativo, anche se per potere successivamente trasferire la proprietà del bene ereditato, nel rispetto della continuità delle iscrizioni, è necessaria la richiesta del certificato di eredità e di legato da parte dell’erede o legatario, certificato che, una volta rilasciato dall’autorità competente, consente l’intavolazione del diritto contro il de cuius. Il terzo dato differenziale attiene invece agli altri acquisti non contrattuali, a titolo originario o derivativo, in cui l’intavolazione non ha il tipico effetto costitutivo, bensì un valore meramente dichiarativo come per gli atti mortis causa. Ulteriore differenza è quella che, mentre nel sistema tavolare l’iscrizione concerne di norma solo i diritti e non gli atti dai quali gli stessi scaturiscono, diversamente opera la trascrizione alla quale sono soggetti i contratti, le sentenze, ed in genere i titoli legittimanti l’acquisto. Ancora, diversamente dalla trascrizione che è a base personale, in quanto nei registri immobiliari viene eseguita una classificazione in partite intestate alle singole persone, il libro fondiario ha base reale, così che ogni immobile ha una sua partita cd. tavolare, nella quale vengono indicati i propri dati identificativi quali il numero di particella catastale nuova(o altro identificativo in caso di mancata concordanza con le risultanze dell’Ufficio del territorio o ex Catasto), le dimensioni, i pesi imposti sull’immobile ed in fine anche i titolari, quindi tutto ciò che consente di “fotografare” in un'unica pagina del libro la consistenza e la storia del bene. In questo sistema detto del foglio reale, di cui è prossima( o quanto meno auspicata come imminente!) una risistemazione attraverso una radicale informatizzazione dello stesso, è presente il libro fondiario, che consta del libro maestro e di tutti i documenti costituenti i titoli per le intavolazioni disposte con decreto dal giudice ed eseguite poi dal conservatore tavolare, con possibilità, per chi ne abbia interesse, di utilizzare vari tipi di indici per ricercare in modo più semplice non soltanto il bene, ma anche ogni vicenda giuridica che lo riguardi.