Iniziato il 22 Giugno 2009
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Una Macchina Targata FE Abitavamo a Budrio, dal maggio del 1956 in una modesta casa insieme alla famiglia dello zio fratello di papa’. Noi figli eravano molto piccoli allora e non ptevamo certo capire il disagio che comportava abitare lontano dai luoghi di origine, in una zona in cui si toccavano con mano nella vita di tutti i giorni i problemi legati al diverso credo politico piu’ che religioso. Abitavamo nella patria del comunismo italiano, l’Emilia Romagna, e Budrio si trovava in provincia di Bologna, “la rossa” come viene chiamata ancora oggi. Mio padre e suo fratello, lo zio, non temevano certo il confronto politico perche’ sapevano bene come erano i “rossi” come li chiamavano loro. Originari di Resia, una valle che confina con l’allora Yugoslavia, conoscevano bene i comunisti Yugoslavi perche’ avevano avuto a che fare con coloro che si eleggevano a difensori della democrazia e del “bene comune” del popolo ed erano a conoscenza delle malefatte compiute sia durante la guerra che dopo. Era probabilmente la provenienza da questi luoghi oltre a saperli profondamente cattolici ad aumentare l’astio da parte di chi non voleva che certe cose si sapessero e quando dette si era tacciati di provocazione e volonta’ di infangare il pensiero comunista. Sapevano come difendersi. La vita procedeva con gli alti e bassi che una famiglia, lontano dalla terra natale, puo’ incontrare non senza i problemi del fine mese e dell’inserimento in una comunita’ che comunque ci ha accettati grazie anche al comportamento onesto e rispettoso verso tutto e verso tutti ed alla caparbieta’ di chi vuole per forza dimostrare di essere valido ed utile alla societa’. Come altri compaesani sparsi nel resto dell’Italia eravamo avamposto di chi non avendo lasciato il paese come noi provava a spingersi, ma poi ritornare, fuori dalla valle anche per parecchi mesi per guadagnare per il mantenimento della famiglia. Si trattava di gente che come il babbo e lo zio facevano gli arrotini ambulanti. Ma mentre lo zio ed il babbo avevano deciso di fermarsi stabilmente in un’area tutta per loro da “curare” e “visitare” periodicamente, questi altri facevano una passata all’anno e vi ritornavano solo se la stagione fosse stata buona. Durante questo girovagare si fermavano presso i compaesani che trovavano lungo il percorso sia per una visita che per l’ospitalita’. Era allora l’occasione sia per chi visitava che per chi era visitato di fare una rimpatriata. Rimpatriata dove faceva da collante l’allegria, il canto e non mancava mai il vino. Non che questo facesse di loro degli ubriaconi ma era semplicemente un’occasione, bevendo e cantando, per raccontarsi le vicissitudini che la vita riservava loro.
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Di queste visite ricordo quelle, abbastanza frequenti nel corso dell’anno, fatte da dei compaesani che vivevano a Ferrara. Erano originari della stessa valle ma di un’altra frazione, Oseacco. Noi bambini eravamo particolarmente contenti quando avevavmo visite perche’ erano occasioni in cui si poteva avere qualche biscotto vuoi perche’ comperato per offrirlo agli ospiti vuoi perche’ portato dagli ospiti per noi bambini. In una di queste visite, il babbo, lo zio e l’amico che insieme alla famiglia ci era venuto a trovare, decisero che sarebbero andati a Firenze in visita ad altri compaesani arrotini anche loro. Le mogli sarebbero rimaste a casa insieme a noi piccoli perche’ la macchina non poteva portare tutti. Non troppo contrariate, le mogli, accettarono di buon cuore di rimanere a casa per potersi scambiare tutte le novita’ che dall’ultima visita potevano essere accadute. Il proprietario dell’auto, appena patentato, orgoglioso della sua cinquecento famigliare comprata usata si sedette dalla parte della guida e comincio’ a suonare sul clacson perche’ si muovessero; un breve saluto ed un arrivederci a sera, proabilmente tarda, perche’ poteva dipendere dal traffico o da quando sarebbero riusciti da la’ a ripartire. Ancora oggi mi chiedo come il babbo e lo zio potevano sopportare di stare, data la loro altezza, dentro a quella “scatola” come l’avevano scherzosamente battezzata. Passarono da Medicina, un paese poco distante da Budrio e lungo la strada per Firenze, per caricare un cugino qualora avesse voluto venire. Si aggrego’ anche lui ma obietto’ che non gli andava di chiudersi in una scatola come sardine e decise che sarebbe venuto con la sua moto, una guzzi 250 rossa; per fortuna fu cosi’. Sembravano dei ministri con la staffetta come scorta. Il babbo, anche lui patetantato da qualche anno avrebbe fatto da secondo autista vista la poca esperienza del proprietario e avrebbe dato il cambio nella guida. Era da pochi anni che l’autostrada era stata completata ma preferirono attraversare gli appennini facendo il percorso passando appunto da Medicina, Imola, Firenzuola, e attraverso il passo del Giogo verso Scarperia, Borgo San Lorenzo e finalmente Firenze. Il tragitto non era casuale ma appositamente studiato perche’ vicino a Fiorenzuola e a Borgo San Lorenzo bisognava fermarsi per salutare amici compaesani. Vicino a Fiorenzuola, anni prima, lo zio nel suo girovagare per lavoro aveva incontrato un resiano di Oseacco che caso volle era anche parente del proprietario dell’auto.
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L’incontro fu denso di commozione perche’ era tanto che i due non si vedevano perche’ entrambi fuori dalla valle. Vennero trattati tutti come principi e piu’ volte insistettero che si fermassero per il pranzo ma non potevano; Firenze li aspettava. La macchina che aveva iniziato a mostrare insofferenza fin da subito se la strada era piana la macchina procedeva bene ma appena iniziava qualche salita impegnativa diventava “insofferente” e si sentiva che cera qualcosa che non andava per il verso giusto. La colpa venne in un primo momento attribuita sia al fatto che l’auto era stata comperata usata e chissa come l’aveva tenuta il proprietario precedente sia al fatto che loro avevano una discreta corporatura e peso e che probabilmente anche per questo faceva fatica. A Fiorenzuola quando ripresero il viaggio tocco a mio padre guidare per dare il cambio all’amico neopatentato. Dovette assestare il sedile, aggiustare lo specchietto retrovisore e un controllo al cruscotto prima di partire come avevano insegnato a scuola guida. Fu proprio il controllo al cruscotto che lo porto’ ad accorgersi di una spia rossa, accesa, e con la scritta sotto che diceva “olio”. Segnalo’ subito la cosa all’amico pensando che non se ne fosse ancora accorto o che fosse capitato proprio ora. Prontamente l’amico lo rincuoro’ “non ti preoccupare ho messo io l’olio, e’ la spia che non funziona”. Non convinto, mio padre decise che la cosa andava verificata viste anche i capricci di insofferenza che la macchina aveva fino a li’ mostrato. Apri’ il vano posteriore estrasse l’asticella e con grande sorpresa si accorse che segnava zero. Data la maggiore esperienza consiglio’ di non muoversi per non peggiorare le cose e che bisognava cercare subito l’aolio. Providenziale fu la presenza del cugino con la moto perche’ in due partirono alla ricerca di un distributore o officina meccanica per acquistare l’olio per la macchina. Arrivarono una decina di minuti dopo con tre barattoli. Avevano pensato che due potevano essere necessari, il terzo poteva servire di scorta. Quando il proprietario dell’auto vide mio padre armeggiare attorno ad un tappo e dentro versarvi l’olio molto ingenuamente esclamo’: “e’ li’ tu che metti l’olio?”. Mio padre pensando che volesse scherzare rispose “perche’ tu dove lo metti?” Questi prontamente allungo’ il dito indicando il foro dell’asticella di controllo, “li’”. Non gli parve vero. Continuo’ a versare l’olio fino a vuotare il primo barattolo poi meta’ del secondo; attese qualche decina di secondi e controllo con l’asticella. La punta della stessa cominciava a pescare. Verso’ completamente il
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secondo barattolo ed inizio il terzo. Un successivo controllo gli suggeri’ di versarlo tutto. solo allora il livello rientro’ nella norma. Ma cosa poteva essere successo al motore l’avrebbero imparato di li’ a breve. Prima di ripartire decisero di fare visita all’osteria li’ vicina per un altro bicchiere quindi via di nuovo verso la meta. Arrivarono finalmente a Borgo San Lorenzo dove si fermarono per un altro resiano compaesano di Stolvizza al quale fu proposto di unirsi aloro per andare a Firenze ma a malinquore dovette rinunciare a causa di un impegno legato agli affari. Anche in questa occasione non mancarono vino, pane, salame e formaggio. Terminata la breve merenda si salutarono con malavoglia ma dovettero ripartire e nonostante la macchina continuava a dare qualche problema in salita, riusirono ad arrivare a Firenze dove raggiunsero la prima famiglia di compaesani. Intanto, per noi che eravamo rimasti a casa, la domenica trascorse come le altre quando c’erano ospiti. C’erano gli altri bimbi con cui giocare e cosa non trascurabile, i biscotti. Nessuno poteva certo immaginare cosa poteva succedere; per fortuna nulla di grave ma ancora oggi una bella favola da raccontare e di cui ridere. A Firenze la sorpresa e la festa furono grandi per la visita inaspettata. Una telefonata alle altre due famiglie e la riunione era completa. La giornata procedeva nel migliore dei modi perche’ era tutto bello; la giornata, la compagnia, il bere e il mangiare. Poi i canti e i ricordi. E questo fino a tarda sera. Ogni tanto qualcuno incuriosito dalle risate e i forti canti si affacciava alla finestra e con forte accento fiorentino domandava ad alta voce “che l’e’, festa!?”. Il momento dei saluti non terminava mai perche’ c’era sempre l’ultima cosa da dire per poi riprendere a salutare per poi dire “proprio” l’ultima cosa e cosi’ via per piu’ di una volta. Finalmente una volta giunti in cortile riescono a montare in macchina e a ripartire; era tardi, quasi le dieci, di sera. La messa in moto diede qualche problema ma riuscirono a partire e per guadagnare tempo decisero che il ritorno l’avrebbero fatto in autostrada. Fu seguendo le indicazioni verso l’autostrada che il cugino che li seguiva in moto si perse e dopo averlo aspettato e cercato per una decina di minuti decisero che era opportuno comunque proseguire e che si sarebbe sentiti poi per capire come fosse successo. Il problema con l’auto era sempre quello; dove la strada era piana andava, quando c’era la salita faceva sempre piu’ fatica. Entrarono finalmente in autostrada ed iniziarono ad arrancare verso Barberino.
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Poco dopo oltre a faticare a salire si comincio’ a sentire anche un brutto rumore ripetitivo che non faceva presagire nulla di buono. Arrivarono con fatica all’area di servizio di Roncobilaccio dove, fortunatamente, l’officina meccanica era aperta anche durante la notte. L’orecchio esperto capi’ subito dal rumore che qualcosa nel motore aveva ceduto ma per capire cosa bisognava aprirlo se non tutto almeno parzialmente. Il battito, spiego’ il meccanico, sembra suggerire che si tratti di una bronzina. Bisognava aprire il motore da sotto, dalla coppa dell’olio, per vedere se e cosa si riusciva a fare. Una volta smontata la coppa dell’olio una veloce ispezione confermo’ la diagnosi prevista ma per fortuna il danno riguardava una sola bronzina. La sfortuna pero’ volle che il meccanico non aveva il pezzo per il ricambio ma non segnalo’ la cosa agli interessati. Li rassicuro’ dicendo che avrebbe potuto riparare il guasto perche’ penso’ che indipendentemente dal risultato del lavoro fatto non sarebbero certo ritornati a lamentarsi visto che erano in viaggio e lontani da casa. Simulo’ la bronzina con della lamiera di bronzo ma il risultato ovviamente non poteva dare garanzie per una sufficiente durata della riparazione. Terminato che ebbe di metter insieme le cose mise in moto la macchina che ruggi’ quasi con orgoglio dimostrando di errersi ripresa. Il meccanico li raccomando’ di non forzare il motore e di tenere una lattina di olio di riserva per maggior sicurezza se ve ne fosse stato bisogno. Pagarono, dando fondo a tutte e tre le casse, e ringraziarono il meccanico per la disponibilita’ ed il lavoro eseguito; un ultimo bicchiere quindi via lungo la strada del ritorno. Era intanto passate le due del mattino. A casa intanto passata la mezzanotte cominciavano a preoccuparsi. Il telefono non c’era e quindi non si poteva telefonare a Firenze per chiedere come andavano le cose. Le orecchie erano tese e ad ogni rumore di motore di macchina uscivano duori in cortile e aspettavano con trepidazione di sentire che rallentasse sperando che fossero loro. Le mogli si facevano coraggio l’una con l’altra trovando tutte le scuse possibili ma nessuna era convinta delle cose che venivano dette ma bisognava almeno provare. Noi bambini eravamo stati messi a letto da qualche ora e nella nostra ingenuita’ eravamo inconsapevoli di quali fossero i pericoli a cui potevano essere andati incontro mio padre, lo zio ed il loro amico. La riparazione anche se ben fatta non sopporto’ le salite e prima di arrivare a Bologna, Casalecchio per la precisione, il surrogato di bronzina inizio’ a cedere;
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se ne accorsero dai battiti che cominciavano ad uscire dal vano motore e che ben conoscevano perche’ erano gli stessi che li avevano costretti a fermarsi presso l’officina. La macchina come un cavallo ferito a morte si fermo piego’ le ginocchia e fece chiaramente capire che non ce la faceva piu’ a procedere. Controllarono e aggiunsero l’olio preso per precauzione ma “l’animale”, mortalmente ferito, non aveva piu’ energie. Inconsciamente, per non gravare completamente con il peso, si ritrovarono a non appoggiare entrambi i piedi sperando che in questo modo il loro peso non gravasse per intero sullo sforzo del motore e si ritrovarono piu’ volte persino a parlavare a bassa voce perche’ la macchina non si accorgesse di nulla. Dove la strada era in discesa il babbo ne approfittava spegnendo il motore perche’ si raffreddasse e per non forzarlo inutilmente. E proprio vicino al casello sfruttarone l’ultima parte di discesa per uscire dall’autostrada. Una volta fuori non erano costretti a chiamare il carro attrezzi perche’ sarebbe costato troppo ed oltre a non permetterselo non avevano che poche lire perche’ avevano gia’ dato fondo alle casse per pagare la riparazione. Avrebbero usato altri mezzi di fortuna come il traino scomodando qualche amico perche’ ormai erano vicini a casa. Spinsero la macchina in disparte e cominciarono a ragionare sul da farsi. Intanto cominiciava ad albeggiare e l’orologio segnava le cinque. Il babbo, che aveva iniziato la campagna presso un magazzino dove lavoravano le patate e cipolle, doveva presenziare entro le sette perche’ dovevano caricare la merce sui camion per essere portata al mercato. Propose quindi di fermarsi al lato della strada e di andare tutti a casa con la corriera perche’ all’ora di pranzo si sarebbe fatto prestare il camioncino della ditta e sarebbero venuti a caricare la macchina o trainarla fino a casa. Il proprietario pero’, orgoglioso, esordi’ “Il capitano non abbandona la nave”. Allora lo zio, non legato ad orari perche’ esercitava la professione di arrotino, rimase in compagnia dello sventurato compagno. Il babbo si accordo’ con loro perche’ gli telefonassero sul posto di lavoro prima di mezzogiorno per aggiornarlo sulla situazione per potersi eventualmente organizzare qualora fosse necessario venirli a prendere. A casa intanto le preoccupazioni aumentavano e la tensione si leggeva chiaramente nelle facce delle mogli che dopo una notte insonne non sapevano piu’ a quale scusa aggrapparsi per qualche filo di speranza e cominciavano gia’ a prepararsi al peggio. Il traffico intanto aumentava perche’ la gente cominciava ad avviarsi verso i luoghi di lavoro.
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A turno facevano da vedetta sul ciglio della strada per vedere se la macchina arrivava. Purtroppo, niente. Finalmente alle sei e trenta la corriera di linea proveniente da Bologna si fermo’ proprio davanti alla nostra abitazione; l’anomalia fu subito notata perche’ quasi mai la corriera proveniente da Bologna si fermava a quell’ora per far scaricare qualcuno. Normalmente erano quelle verso Bologna che si fermavano per caricare gli studenti e lavoratori per trasportarli verso la scuola o il luogo di lavoro. Tutte e tre si portarono sul ciglio della strada per capire perche’; Videro scendere mio padre con una mano infilata nella giacca alla maniera di Napoleone e non gli altri due e allora pensarono subito al peggio e cominciarono a disperarsi ed ad urlare. Intanto i pochi occupanti della corriera ancora mezzi assonnati li guardavano sbalorditi e non capivano cosa stesse succedendo; sembravano involontari attori immersi in una irreale scena di un film. Il babbo attraversata la strada entro’ in cortile e disse con la mamma: “preparami subito la roba che devo andare al lavoro altrimenti faccio tardi” e cosi’ dicendo si avvio’ in camera per cambiarsi i vestiti. Le altre due si calmarono e subito cominciarono a ragionare sul suo comportamento considerando che se fosse successo qualcosa agli altri due non avrebbe certo chiesto di andare a lavorare ma li avrebbe ragguagliati sulla situazione e se il caso si sarebbero organizzati per andarli a trovare. La mamma intanto segui’ il babbo ed inizio’ subito con le domande, la prima di tutte “gli altri stanno bene?”. Rincuorata dal fatto che gli altri stavano bene, che avevano avuto solo problemi meccanici e che avrebbe spiegato tutto all’ora di pranzo si accontento’ ed ando subito a riferirlo alla cognata e all’amica. Intanto “il capitano della nave” e lo zio continuavano la loro odissea del ritorno. Da Casalecchio cercarono di tagliare per il centro di Bologna per accorciare il piu’ possibile il tragitto per sperare di portare a casa “l’animale morente” prima che stramazzasse al suolo. Stavano percorrendo i viali costeggiando i giardini margherita e il loro passaggio lasciava inequivocabili segnali acustici e di fumo attirando l’attenzione delle poche persone alzate che si domandavano cosa stesse succedendo o quale diavoleria stesse mai passando per le vie di Bologna; ma l’auto, fiera e senza vergogna, arrancava lentamente. Procedeva talmente lentamente che veniva superata persino dalle biciclette; fu proprio verso una di queste che ferito nell’orgoglio “il capitano” esplose “maledetta bicicletta, non puoi andare piu’ piano?”. Sembrava di essere in una farsa tragicomica. Lo zio piu’ volte era tentato di mettersi a ridere quando si rendeva conto quale siatuazione stesse vivendo ma doveva trattenersi perche’ sarebbe sembrato una mancanza di rispetto verso lo
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sventuarato amico per le condizioni in cui si era ridotta la sua macchina. Cercava allora di deviare il discorso verso la sera precendente trascorsa insieme ai resiani di Firenze ed ecco allora che anche il proprietario si abbandonava ad una timida risata. Non riuscirono ad uscire dalla cintura di Bologna che un forte colpo segno la fine del viaggio. Sembrava il colpo alla testa dato al cavallo perche’ morisse senza soffrire. La macchina, quasi ferma per la velocita’ sostenuta si fermo’ definitivamente. Solo dopo che il meccanico apri’ il motore si resero conto a cosa fosse dovuto quel rumore. La biella aveva ceduto ed il pistone era stato violentemente sparato contro la coppa dell’olio. Misero la macchina in disparte per non intralciare il traffico e fortunatamente trovarono una persona gentile che la fece mettere nel cortile. Cercarono un telefono per contattare il babbo per avvisarlo di organizzarsi per il recupero del mezzo, o di quello che ne era rimasto, per portarlo in officina per tentare di farlo resuscitare. Di fianco a noi abitava un artigiano che svolgeva l’attivita’ di fabbro e meccanico di auto e trattori. Decisero che avrebbero portato li l’auto per verificare se valeva la pena, economicamente, rimetterla in sesto e capire quanti giorni sarebbero serviti e la cosa fu risolta. Molti anni piu’ tardi il proprietario dell’auto, dopo aver cambiato diverse macchine ed anche residenza, era andato ad abitare a Pordenone, senti’ bussare alla sua porta e con stupore vide un carabiniere che cortesemente gli chiede se fosse lui, elencandone le generalita’, il propietario di “una macchina targata FE”? Il viso si rabbuio’ e una esclamazione in resiano gli usci incontrollata dalla bocca: “maledetta macchina anche dopo morta non mi lascia in pace”. Terminato il 26 Giugno 2009