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Tra governo e governance delle migrazioni internazionali
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SILVIA COZZI
Diritto pubblico
Tra governo e governance delle migrazioni internazionali Il contesto europeo Prima di analizzare nello specifico il quadro legislativo che disciplina le questioni migratorie nel contesto italiano, è utile collocare brevemente tali considerazioni nel cosiddetto processo di comunitarizzazione delle politiche migratorie europee. Da questo punto di vista, è senza dubbio il trattato di Schengen siglato nel 1985 che, regolamentando la questione dei confini esterni e interni, pone delle prime basi per una politica comunitaria di controllo e regolazione dei flussi migratori, stabilendo una libera circolazione di merci e cittadini membri, ma al contempo una forte differenziazione dei diritti tra i cosiddetti “comunitari” ed “extracomunitari”. Diversi sono i documenti, le convenzioni e i trattati che negli anni successivi hanno tentato di definire una politica migratoria europea, scontrandosi con forti resistenze da parte delle singole unità statali. Come ha infatti sottolineato Saskia Sassen (1996), paradossalmente mentre da un lato la globalizzazione economica sta denazionalizzando l’economia, dall’altro, al contrario, le migrazioni stanno rinazionalizzando la politica. Di fronte, dunque, alle resistenze dei singoli stati a cedere la loro “sovranità” sulla questione migratoria, ma al contempo alle difficoltà di governare singolarmente tale fenomeno e a una presenza ormai strutturale della popolazione migrante nei diversi Paesi membri, l’orientamento intrapreso ha teso a riflettersi – almeno da un punto di vista formale – in quella che è stata definita una “politica del doppio binario” (Sciortino, 2000): facilitare l’integrazione degli stranieri già presenti, prevenendo allo stesso tempo ulteriori ingressi. Se da un lato, dunque, viene espressa la volontà di stabilire un equo trattamento dei cittadini di paesi terzi regolari e soggiornanti da lungo tempo, dall’altro, si stabilisce una vera e propria “strategia” europea solo in termini di rafforzamento delle frontiere esterne e di abolizione delle frontiere interne. Lo scenario internazionale, infatti, viene sempre più a caratterizzarsi per la tendenza alla sicuratization della questione migratoria, “ossia dal proliferare dei tentativi per arrestare l’immigrazione irregolare e per ridimensionare l’immigrazione “non voluta”, sebbene regolare, composta da migranti per ragioni familiari o umanitarie” (Zanfrini, 2004). L’attenzione Controllo di documenti per un extracomunitario.
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obiettivi • conoscere le diverse fasi che
hanno caratterizzato le politiche migratorie nel nostro Paese • comprendere i legami tra fonti normative europee e italiane • comprendere l’intreccio tra politiche migratorie, modelli di inclusione e processi di governance del territorio
proposte didattiche • individua quali sono i princi-
pali attori che operano nell’ambito delle politiche migratorie • spiega quali devono essere, a tuo giudizio, le misure da adottare per favorire l’integrazione dei migranti e quali organismi (pubblici e non) dovrebbero essere protagonisti di tali politiche
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europea, infatti, focalizzata dopo la caduta del muro sulla questione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, si sposta progressivamente sulla gestione dei flussi irregolari. Il rafforzamento di una politica comune in materia di visti attraverso l’adozione di misure più restrittive per il loro rilascio, l’incremento di efficacia delle misure di espulsione, l’intensificazione dei controlli alle frontiere attraverso il potenziamento degli organici di polizia, l’adozione di procedure informatizzate, l’inasprimento delle sanzioni per gli irregolari e per coloro che favoriscono le migrazioni irregolari, rappresentano infatti i punti centrali su cui si è avviato un effettivo coordinamento tra i Paesi membri. Il tutto, caricando i meccanismi di controllo delle migrazioni irregolari di un significato improprio (Sciortino, 2003), secondo una visione di fondo dei flussi irregolari come un problema tecnico piuttosto che politico. Una strategia di chiusura e di controllo delle frontiere che, inoltre, seppur con modalità differenti, tende a realizzarsi in generale, a livello nazionale, in una regolazione dei flussi attraverso una limitazione dei ricongiungimenti familiari o nella definizione sempre più ristretta dei migranti “accettabili”; sul versante dei ricongiungimenti, infatti, in diversi paesi membri si registra una tendenza a limitare le tipologie di persone che possono beneficiarne oppure a concedere solo permessi temporanei o stagionali a cui non spetta tale diritto; orientamento che si associa, ancora, da un punto di vista lavorativo, al privilegiare flussi di lavoratori qualificati o appartenenti a determinate categorie occupazionali (ad esempio, i paramedici).
Occorre attendere fino al 1986, con una presenza di migranti sul territorio già oltre il mezzo milione, per l’introduzione della prima legge organica in materia (legge 30 dicembre 1986, n. 943, “Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine”), all’interno della quale vennero stabiliti parità di trattamento tra i lavoratori italiani e stranieri, il diritto al ricongiungimento familiare, oltre a prevedere una regolamentazione dei nuovi accessi sulla base delle necessità variabili di manodopera. Tale disposizione prevedeva inoltre la prima sanatoria, ossia la possibilità di regolarizzazione concessa ai migranti clandestini, concernente tuttavia i soli lavoratori dipendenti. Il successo, di conseguenza, fu molto limitato (130.000 regolarizzazioni) in quanto la maggior parte degli stranieri rientravano nello statuto di lavoratori autonomi, mantenendosi in particolare come venditori ambulanti. Molti, inoltre, erano disoccupati e molti ancora si trovarono di fronte alla non volontà e al disinteresse del datore di lavoro di optare per la sanatoria. Fu, in sostanza, un provvedimento contraddittorio e inefficace, in quanto da una parte riconosceva in linea teorica tutti i diritti sociali e sul lavoro a parità degli italiani, e dall’altra mostrò una chiusura verso i nuovi arrivati imponendo il meccanismo del rimpatrio immediato.
I primi anni Novanta Con la cosiddetta “legge Martelli” (legge n. 39/ 1990, “Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e di soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari e apolidi già presenti nel territorio dello stato. Disposizioni in materia di asilo”), in cui si cercò di colmare le lacune della precedente normativa, l’immigrazione cominciò a essere al centro della scena e del dibattito politico. Se da una parte si estese la sanatoria anche agli irregolari autonomi, allo stesso tempo si decretò tuttavia una chiusura totale delle frontiere. Per uno straniero divenne infatti praticamente impossibile entrare regolarmente in Italia, in quanto gli si richiedeva in anticipo un contratto di lavoro e di locazione ai fini della concessione del permesso di soggiorno. Molto più semplice, alla fine, risultò entrare illegalmente o con un semplice visto turistico, tentando la strada dell’irregolarità. La quota di migranti privi di regolare permesso di soggiorno aumentò infatti notevolmente, finendo tuttavia per essere mostrata in toni troppo allarmistici come una vera e pro-
Le politiche migratorie in Italia Nel contesto europeo l’Italia è storicamente uno degli ultimi paesi a essere caratterizzato dall’arrivo di migranti. Solo dopo il 1975, infatti, i flussi migratori crescono di dimensione e di importanza, rendendo per la prima volta il saldo migratorio positivo. I primi flussi, provenienti in particolare dalle zone più vicine (in Friuli dalla Jugoslavia e in Sicilia dalla Tunisia), si trovarono di fronte a una normativa quasi inesistente, spesso citata quale causa della forte immigrazione di fronte alle politiche di stop introdotte negli stessi anni dall’Europa del Nord. All’epoca, infatti, esistevano solo il Testo unico della Polizia e un regolamento emesso durante il fascismo a disciplinare la legislazione in materia, nei quali non vi era alcun accenno al lavoro e i controlli previsti erano completamente inefficaci. 2
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to l’emergenza e il variabile interesse dell’opinione pubblica rispetto a tale tematica: logica descritta molto intelligentemente nella sequenza “emergenza - allarme sociale - interventi tampone - oblio” (Bolaffi, 1994). “In Italia – scrive Bolaffi (1996, p. 13) – l’immigrazione suscita interesse solo quando si presenta come emergenza o come problema di ordine pubblico. Scienze sociali, media e governo si preoccupano degli immigrati con modalità carsiche sull’onda di crisi o di gravi tensioni e se ne dimenticano invece, nei lunghi intervalli di quiete e di calma, spesso solo apparenti. Una sequenza fatta di allarme collettivo, di interventi straordinari e di lunghi oblii”.
La legge Turco-Napolitano È solo con la cosiddetta “legge Turco-Napolitano” (legge 6 marzo 1998, n. 40, “Disciplina dell’immigrazione e della condizione dello straniero”) che si cercherà di inquadrare per la prima volta in un disegno di più ampio respiro la questione dell’immigrazione sotto l’influenza negativa, tuttavia, dell’ormai forte clima di criminalizzazione dei migranti. Infatti, se nelle intenzioni tale legge scaturisce dalla collaborazione tra il Ministero della Solidarietà e degli Affari Sociali e il Ministero dell’Interno, volendo coniugare appunto gli aspetti sociali con quelli dell’ordine pubblico, in realtà, dopo svariate correzioni del testo, essa trattò prevalentemente le questioni riguardanti la clandestinità e la pericolosità sociale. Il riconoscimento del diritto di voto a livello amministrativo, una delle poche novità introdotte nella prima formulazione, nella stesura finale non venne approvato, assegnando ai migranti presenti sul territorio un riconoscimento molto parziale. Tre, in ogni caso, sono i principali obiettivi principali che tale legge si è proposta di perseguire, e che vale qui la pena riprendere: 1. una più efficace programmazione dei flussi di ingresso per lavoro, attraverso apposite quote stabilite annualmente dal governo; 2. la prevenzione e la repressione dell’immigrazione illegale, introducendo, in modo molto rigido, la possibilità di effettuare respingimenti immediati nei confronti dei clandestini e, novità della legge, la costituzione di Centri di Permanenza Temporanea e di accoglienza, dove gli stranieri dovranno rimanere sotto controllo delle forze di polizia non più di 30 giorni in attesa dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento;
Distribuzione di viveri in un centro di raccolta per immigrati.
pria invasione delle coste italiane. Come conseguenza, anche l’atteggiamento degli italiani nei confronti dei migranti mutò notevolmente in questi anni; in questo clima, infatti, bastarono pochi episodi per trasformare l’immigrazione da questione sociale a un problema di ordine pubblico e di criminalità, da affidare quasi esclusivamente alle forze di polizia. È in questo clima che viene emanato il “decreto Dini” (decreto legge n. 489/1995). Se da un lato, infatti, vennero regolamentate assistenza e sanità per i possessori di permesso di soggiorno, dall’altra non solo fu ribadita la totale chiusura delle frontiere già decisa nella legge Martelli, ma buona parte del testo – inquadrando l’immigrazione come problema di ordine pubblico – venne dedicata alla regolamentazione delle espulsioni degli irregolari o degli individui definiti “socialmente pericolosi”. Vi fu, inoltre, la terza sanatoria, rivolta in questo caso ai soli lavoratori dipendenti con un contratto di almeno sei mesi. Sostanzialmente, soffermandoci ad analizzare le politiche migratorie in Italia fino quasi alla fine degli anni Novanta, si può notare come la logica in base alla quale si è legiferato sembra avere segui3
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3. l’incremento delle misure di integrazione per i migranti presenti regolarmente. Viene introdotta la carta di soggiorno, prospettata come titolo di soggiorno a tempo indeterminato, spettante di diritto agli stranieri che siano genitori, figli minori o coniugi conviventi con cittadini italiani o comunitari, nonché agli extracomunitari residenti in Italia da almeno cinque anni titolari di un permesso di soggiorno che conosca un numero illimitato di rinnovi. Vengono al contempo ampliate le possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare (garantito anche ai titolari di carta o permesso di soggiorno per lavoro subordinato), laddove lo straniero dimostri il possesso di un alloggio e di un reddito sufficiente a garantire a lui e alla sua famiglia una vita dignitosa. L’assistenza sanitaria viene pienamente assicurata a tutti i titolari di carta o permesso di soggiorno, previa iscrizione presso la Asl di riferimento. Progressi, in tale senso, anche nel campo dell’educazione, pienamente garantita e divenuta obbligatoria anche per i minori stranieri. In sostanza, risulta un’integrazione molto precaria anche per il migrante regolare. Permane, infatti, un forte grado di discrezionalità per le amministrazioni pubbliche nel rilascio dei permessi e della carta di soggiorno e nella possibilità di revocarli, innescando la successiva e immediata espulsione. Anche sul piano dei diritti del lavoro l’equiparazione ai lavoratori italiani è ancora parziale, in quanto non solo vengono ristretti i criteri per il loro accesso alle libere professioni, introducendo una sorta di numero chiuso, ma permangono delle limitazioni nell’accesso al pubblico impiego. La mancata introduzione del diritto di voto a livello comunale, infine, mette in evidenza una non volontà politica a concedere il pieno diritto alla cittadinanza.
La permanenza in Italia per gli stranieri è oggi condizionata alla titolarità di un rapporto di lavoro.
governo Berlusconi. La cosiddetta “legge BossiFini” (legge 30 luglio 2002, n. 189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”), infatti, affronta le tematiche relazionate al fenomeno migratorio quasi esclusivamente in termini di controllo sociale, inasprendo in ogni punto la precedente normativa e alimentando il clima di crescente criminalizzazione. Partendo dalla convinzione che la legge dovesse essere uno strumento di lotta alla clandestinità, intesa come sinonimo di criminalità, vengono infatti rafforzati i poteri della polizia marittima e di frontiera e rese più immediate le espulsioni. Sono previsti, inoltre, grandi capitoli di spesa per la costruzione di una rete di Centri di Permanenza Temporanea, nei quali viene raddoppiato il periodo di permanenza nonostante le aspre critiche emerse dall’associazionismo e dalle organizzazioni laiche e cattoliche, prima e durante la discussione della legge. Non solo entrare ma anche rimanere in Italia viene reso più difficile. Anzitutto, con l’introduzione del contratto di soggiorno la permanenza dei migranti viene esplicitamente ancorata al ruolo lavorativo. Un migrante, infatti, può entrare o rimanere in Italia, solo se già in possesso di un regolare contratto di lavoro, correlando alle varie tipologie contrattuali diverse durate del permesso
La legge Bossi-Fini Il percorso di integrazione per i migranti presenti in Italia, viene reso ancora più difficoltoso con le modifiche apportate al testo unico dall’attuale 4
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e dimezzando il tempo a disposizione in caso di disoccupazione. In tale logica, anche il meccanismo dello sponsor, vale a dire la possibilità per ogni cittadino di prestare garanzia per l’accesso di un’altra persona, viene cancellato. Ne deriva un irrigidimento delle assunzioni, che dovranno obbligatoriamente passare attraverso apposite graduatorie presso gli uffici diplomatici e consolari dei paesi di origine, previo via libera dei centri per l’impiego italiani, dove le proposte di lavoro dovranno arenarsi per una quindicina di giorni, onde evitare ogni possibile concorrenza con i lavoratori autoctoni. Un irrigidimento, dunque, in termini di tempi e modalità, tanto lontano dalle invocate esigenze di flessibilità del mercato del lavoro, quanto estraneo alla dimostrata complementarietà di determinati tipi di lavoro. Sul terreno dei diritti, infine, viene introdotto l’obbligo per i richiedenti del permesso di soggiorno, e in generale, per tutti coloro “a rischio”, dei rilievi fotodattiloscopici; vengono ristrette le possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare e allungati di un anno i tempi necessari per accedere alla carta di soggiorno. Nel disegno di legge, infine, si prevede una sanatoria, rivolta tuttavia unicamente a coloro che svolgono attività di assistenza o di aiuto domestico nelle famiglie; sanatoria allargata, poi, sotto forma di decreto per l’emersione del lavoro sommerso rivolto ai datori di lavoro, anche alle altre forme occupazionali.
possibile identificare a posteriori in tale modello sono: • un arrivo e un insediamento spontaneistico dei migranti, legati alla mancanza di politiche di reclutamento della manodopera e a inefficaci misure di programmazione dei flussi; • una scarsa regolazione istituzionale, laddove le misure legislative hanno rincorso il fenomeno piuttosto che governarlo, in una logica dell’emergenza e attraverso il frequente ricorso alle sanatorie; • un’influenza rilevante degli attori locali soprattutto nelle iniziative di accoglienza, e in particolar modo delle amministrazioni locali, del mondo del volontariato, sindacale ed ecclesiastico;
• un
insediamento nel lavoro inizialmente improntato sulla precarietà e informalità, ma con successivi progressi verso situazioni più stabili;
• un’evoluzione
piuttosto rapida verso fasi più mature del ciclo migratorio, considerata l’importanza assunta dal fenomeno dei ricongiungimenti familiari e delle seconde generazioni;
• una ricezione contrastata da parte della società ospi-
tante, con apertura motivata da ragioni umanitarie e fenomeni di chiusura e rigetto legati a percezioni negative dei migranti;
• un diffuso attivismo di reti spontanee di mutuo aiuto tra connazionali, sebbene con notevoli differenze tra i vari gruppi etnici.
Dal governo alla governance delle questioni migratorie
A questi elementi occorre infine aggiungere il forte grado di discrezionalità che caratterizza l’implementazione delle politiche migratorie a livello locale. Diversi, infatti, sono gli studi che hanno messo in evidenza prassi discordanti adottate dalle questure nell’espletamento delle pratiche di rinnovo del permesso, nella concessione della carta di soggiorno, così come nell’accettazione o meno delle domande di regolarizzazione. L’applicazione della normativa vigente concernente i migranti, infatti, incorpora forti elementi di discrezionalità, ponendo spesso lo straniero in una condizione di incertezza sul diritto (Asgi, 2001). Inoltre, se queste decisioni spettano agli attori istituzionali, a seconda delle realtà locali altri soggetti giocano un ruolo di mediazione in tali procedure. Aspetto, anche questo, non irrilevante nei percorsi di inclusione dei migranti, laddove la presenza di soggetti che si pongano da interlocutori o garanti di soggettività private di uno spazio e di una voce politica può indubbiamente essere significativa.
La letteratura sociologica che studia le migrazioni post-belliche e i processi di inclusione dei migranti nelle società di arrivo si è prevalentemente concentrata sulla dimensione nazionale, individuando i diversi modelli di inclusione istituzionale nei diritti di cittadinanza. Ripercorrendo nelle pagine precedenti il quadro normativo volto a regolare tale fenomeno in Italia, non sorprende che – un po’ come per gli altri paesi dell’Europa mediterranea, caratterizzati anch’essi da una natura relativamente recente dei processi di immigrazione e da una ancora più recente presa di coscienza dell’importanza e irreversibilità di tale processo – la lettura in materia faccia riferimento a un modello “implicito” di inclusione (Ambrosini, 2005): un modello che si è formato in maniera opaca e inintenzionale, piuttosto che in seguito a un’esplicita progettazione da parte delle istituzioni politiche. Le principali caratteristiche che Ambrosini ritiene 5
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È proprio a partire da tali considerazioni che, senza nulla voler togliere alle analisi precedenti, nell’ultimo decennio alcune ricerche stanno cominciando a mettere in evidenza la pluralità di modelli di inclusione che possono coesistere nel territorio nazionale, a partire dalle caratteristiche degli specifici contesti istituzionali e dal differente peso degli attori che in essi si muovono. Quello che sembra emergere da questi studi, infatti, è la necessità di porre al centro dell’attenzione l’intreccio tra governo e governance locale della questione migratoria, e quindi più in particolare tra la normativa nazionale e sovranazionale e l’insieme dei processi, degli attori, degli interessi e delle pressioni che contribuiscono a plasmare differenti percorsi di policy locale (Caponio, 2006). Questo an-
cora di più nel contesto italiano, caratterizzato storicamente da un forte livello di differenziazione a livello territoriale e sempre più improntato negli ultimi anni sui paradigmi del decentramento e della partnership per ciò che concerne la definizione e l’implementazione delle politiche pubbliche. In un contesto di crescente autonomia, dunque, la dimensione locale assume sempre più importanza, laddove a fianco a una analisi della normativa nazionale in materia appare sempre più rilevante analizzare anche l’implementazione nei singoli contesti istituzionali di tali politiche e la loro integrazione con le politiche locali, evidenziando al contempo l’emergere di una distanza tra gli obiettivi preposti nella normativa a livello nazionale e i suoi effetti a livello locale.
Spunti bibliografici Ambrosini M., Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino, 2005. Asgi, Dal permesso alla carta di soggiorno. I nodi problematici di un percorso di integrazione, Rapporto di ricerca, 2001. Bolaffi G., L’immigrazione sottratta alla logica dell’emergenza, in Il Mulino, anno XLIII, n. 356, nov-dic 1994. Bolaffi G., Una politica per gli immigrati, Bologna, Il Mulino, 1996. Caponio T., Città italiane e immigrazione, Bologna, Il Mulino, 2006. Sassen S., New employment regimes in cities: the impact of migrant workers, in New Community, vol. 22 num. 4, october 1996. Sciortino G., L’ambizione della frontiera. Le politiche di controllo migratorio in Europa, Milano, Franco Angeli, 2000. Sciortino G., Le politiche di controllo migratorio in Europa e in Italia, in Ismu, Ottavo rapporto sulle migrazioni 2002, Milano, Franco Angeli, 2003. Zanfrini L., Sociologia delle migrazioni, Roma-Bari, Edizioni Laterza, 2004.
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