Sulle rotte dei trabaccoli di Franco Maria Puddu
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l trabaccolo Trinità, carico di fromento, salpò alla volta della Dalmazia, verso sera. Navigò lungo il fiume tranquillo, fra le paranze di Ortona ancorate in fila, mentre su la riva si accendevano fuochi e i marinai reduci cantavano. Passando quindi pianamente la foce angusta, uscì nel mare. Il tempo era benigno. Nel cielo di ottobre, quasi a fior delle acque, la luna piena pendeva come una dolce lampada rosea... I sei uomini e il mozzo prima manovrarono d’accordo per prendere il vento. Poi, come le vele si gonfiarono nell’aria tutte colorate in rosso e segnate di figure rudi, i sei uomini si misero a sedere e cominciarono a fumare tranquillamente. Il mozzo prese a cantarellare una canzone della patria, a cavalcioni su la prua. Disse Talamonte maggiore, gittando un lungo sprazzo di saliva su l’acqua e rimettendosi in bocca la pipa gloriosa: “Lu tembe n’n ze mandène”. Alla profezia, tutti guardarono verso il largo; e non parlarono. Erano marinai forti e indurati alle vicende del mare. Avevano altre volte navigato alle isole dàlmate, e a Zara, a Trieste, a Spàlato; sapevano la via... Comandava il trabaccolo Ferrante La Selvi. I due fratelli Talamonte, Cirù, Massacese e Gialluca formavano l’equipaggio, tutti nativi di Pescara. Nazareno era il mozzo... ”. Abbiamo scelte queste righe, che costituiscono l’inizio de “Il cerusico di mare”, una delle “Novelle della Pescara” scritte da Gabriele D‘Annunzio nel 1902, come incipit per il nostro argomento, ma le parole del poeta non devono trarre in inganno il lettore
con l’apparentemente idilliaco aspetto della vita di questi marinai. Per molti secoli, fino al secondo dopoguerra del 1900, il Mare Adriatico, dal Golfo di Trieste al Canale d’Otranto, fu sede di commerci marittimi di piccolo cabotaggio fra tutte le città e le regioni che si affacciavano sul bacino, e anche moltissime altre, ovunque nel Mediterraneo.
È vero che i nostri antenati sono stati grandi navigatori anche su brevi tratte? Sembra di si
Un mare né “buono” né “facile” L’Adriatico, bellissimo nelle cartoline illustrate, è sempre stato un mare “difficile”. Il mare non è mai facile e lo sa benissimo chiunque abbia navigato, ma in questo caso, neanche “buono”. Prima di tutto perché ha un basso fondale che non supera i 300 metri nella parte settentrionale, toccando i 1.222 solo in una fossa che si trova al centro della direttrice Bari - Cattaro, il che, unito alla forza dei venti di tramontana, bora e altri che si avventano sulle sue acque con violenza dal nord o dai monti dei Balcani, ne fa un ideale teatro di tempeste dure e improvvise. Lo sa bene l’equipaggio del Trinità: “Ferrante La Selvi, che sentì giungere un gran colpo di vento, gridò con la voce rauca un comando, in mezzo al romorìo del mare. Il trabaccolo si piegò tutto sopra un fianco. Massacese, i Talamonte, Cirù si gittarono alla manovra. Nazareno strisciò lungo un albero. Le vele in un momento furono ammainate: rimasero i due fiocchi. E il trabaccolo, barcollando da banda a banda, si mise a
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correre a precipizio su la cima dei flutti... di tratto in tratto un’ondata più forte si rovesciava su la prua: l’acqua salsa invadeva il ponte da un capo all’altro.”. Inoltre, storicamente, l’Adriatico è sempre stato infestato dai pirati, da quelli illirici contro i quali i romani scatenarono due guerre, agli uscocchi, ai turchi e a qualche altro dilettante, che hanno spesso reso difficili le sue rotte; fortunatamente, la navigazione costiera, consentiva di porre riparo alle minacce portando, se necessario, le imbarcazioni a terra o a defilarsi in qualche luogo adeguato. D’altra parte, il commercio di piccolo cabotaggio specie in Adriatico è sempre stato una necessità vitale, perché la dorsale appenninica del nostro Paese, rende difficili i collegamenti tra le coste adriatica e tirrenica, essendovi solo due o tre agevoli valichi naturali per scavalcarla. Così, mentre la costiera tirrenica era percorsa da Reggio Calabria a Genova da un sistema viario com“Il trabaccolo Trinità, carico di fromento, salpò alla volta della Dalmazia, verso sera...” in realtà l’immagine è quella del Barchet, ancora navigante, conservato nel Museo della Marineria di Cesenatico
La palazzina neoclassica di Villa Molaroni che alloggia, a Pesaro, il Museo “Washington Patrignani”; nell’immagine a destra, una polena esposta nel museo
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posto dalle vie Popilia, Appia, Aurelia e Æmilia Scaura, sull’Adriatico solo un pezzo di Salaria collegava Martinsicuro (Castrum Truentinum) ad Ancona e un tratto di Flaminia allacciava questa a Rimini (Ariminium). Quindi, per sviluppare commerci, navigare era veramente “necesse”. In Adriatico sono stati molti i tipi di barche che hanno issato le loro vele: trabaccoli, bragozzi, battane, battanini, lance, topi, paranze e altri ancora, tutti utilizzati per la pesca, mentre per il trasporto, le regine erano i trabaccoli, tipici della costiera romagnola (normali, da pesca e da trasporto), mentre i bragozzi (normali e d’altura), erano di origine veneta, anzi chioggiotta.
Una vita di bordo non facile Dopo aver fatto la conoscenza con il nostro Trinità, ci possiamo chiedere come fosse la vita a bordo di queste imbarcazioni. Non certo impossibile, ma sarebbe errato definirla comoda. Erano barche da 16 - 20 metri (il tipo da trasporto, dai 12 ai 16 le altre), con un’ampia e caratteristica prora detta “a petto d’anatra”, un albero di maestra e un trinchetto armati di vele al terzo, ossia a forma trapezoidale, dai colori predominanti rosso e giallo, con disegni che servivano, in epoL’interno di una delle sale espositive del Museo delle Conchiglie di Viserche prive di telecomunicazioni, all’identifibella, con una vetrina di reperti del periodo aureo della navigazione comcazione delle barche in mare aperto o almerciale dei trabaccoli l’entrata del porto. “Il mare aveva quasi una tranquillità lacustre. spregio, come dirà qualcuno, ma un atto umano, Dal porto di Spàlato uscivano due navigli, e venivano essi stessi non avevano altro. incontro alla Trinità. Le due ciurme cantavano. UdenMa non è tanto la vita a bordo dei trabaccoli queldo la canzone, Cirù disse: “Toh! So’ di Piscare.”. Velo che ci interessa, quanto l’indelebile traccia di dendo le figure e le cifre delle vele, Ferrante disse: “So’ eredità marinara che il ripetersi, per secoli, di queli trabaccule di Raimonde Callare” E gittò la voce.”. ste attività mercantili, ha lasciato nel DNA delle Sulla prora si trovavano due occhi in legno dipinpopolazioni rivierasche adriatiche. ti, retaggio degli antichi occhi apotropaici egizi, Negli ultimi decenni è stato possibile vedere, con greci e romani. Il trabaccolo da trasporto era comlieto stupore, che sono sorte qua e là, proprio nei pletamente pontato e aveva una stiva e alcune caluoghi che hanno visto nascere queste tradizioni, bine con delle brande, che però venivano adoperaccolte, musei, testimonianze riguardanti tracce, rate solo durante le soste. memorie, radici, ricordi di attività che furono alla Non esisteva una vera cucina ma era possibile, base dello sviluppo delle nostre marinerie. Questo tempo e mare permettendo, confezionare semplici bisogno quasi fisiologico di un ritorno alle origini pasti caldi: polenta, baccalà, carne secca. Da bere è importantissimo. vino, ma la domenica, altrimenti c’era la “b’vanRisalendo dunque l’Adriatico da Ortona (non a caso da”, l’acqua e aceto che i contadini toscani dell’iD’Annunzio aveva scelto quel porto come punto di nizio dello scorso secolo, chiamavano “posca”, copartenza per la navigazione del Trinità, essendo sua me pure i legionari romani che la offrirono a Gesù madre ortonese), passiamo al traverso di Pescara, di di Nazareth agonizzante sulla croce: non fu uno
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Il grande edificio dei Magazzini del Sale di Cervia, dove ha sede il MUSA, Museo del Sale; in alto, una bilancia e una macchina per cucire i sacchi destinati al sale
Martinsicuro, dove abbiamo visto che la Salaria proveniente da Roma diveniva costiera, quindi Ancona, con la cittadella cinquecentesca di Antonio da Sangallo il Giovane che domina l’abitato e il mirabile porto vanvitelliano, per arrivare a Pesaro dove troviamo un museo unico nel suo genere, lo “Washington Patrignani”, dal nome del suo ideatore.
Pesaro, il primo incontro Dedicato al mare fu inaugurato nel 1988, ma dopo una vita alquanto travagliata chiuse i battenti alla metà degli Anni 90 per essere poi restituito all’interesse dei pesaresi con il nuovo nome di Museo della Marineria. Alloggiato nella bella Villa Molaroni, concessa dal Comune, offre oggi un valido percorso conoscitivo sulla marineria pesarese, con collezioni che consentono di scoprire e apprezzare il legame che lega la città al mare. Nel corso dell’anno, vi vengono organizzate attività culturali, con seminari, convegni e conferenze al livello nazionale e internazionale, che lo hanno trasformato in un vero e proprio laboratorio di ricerca. Proseguendo oltre, sempre rotta a Nord costeggiando la riviera romagnola, tra Riccione e Rimini troviamo la frazione di Viserbella, uno dei tanti piccoli centri della riviera, famosi per il grande livello di professionalità turistica che da sempre questa terra offre, generosamente, a chiunque. Anche qui troviamo, alloggiato in un vecchio istituto scolastico, un museo dedicato, come interesse specifico, alle conchiglie, delle quali espone una bella collezione, la “Andrea Capici”, con oltre 8.000 esemplari mediterranei. Come mai tanto in-
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teresse per le conchiglie? Forse in onore di un piccolo tesoro che la natura ha elargito a questi litorali: le vongole, “poverazze”, in dialetto, che vengono pescate con un attrezzo detto “e’ scaion”, dal quale ha mutuato il nome una locale associazione culturale che si è posta a paladina delle usanze marinare di questa riviera. Naturalmente il museo, oltre alla collezione Capici, ospita anche molto altro materiale (comprese alcune imbarcazioni), sperando di evitare che tutti questi reperti non siano destinati a scomparire assieme a tanti usi e costumi di un tempo ormai andato. Continuando ancora nella nostra navigazione, non dovremo fare ancora molta “strada” prima di trovare l’imboccatura di un porto canale: quello di Cesenatico, un magico “nido” progettato e disegnato nientemeno che da Leonardo da Vinci nel 1502, che ospita, nel suo tratto più antico e caratteristico, il Museo della Marineria, unico museo galleggiante esistente in Italia, vera sintesi di tanti secoli di storia marinara fatta di piccole e grandi vicende legate alle barche, alla pesca e ai traffici marittimi. Il museo si compone di due sezioni distinte: la Sezione Galleggiante e la Sezione a Terra. La Sezione Galleggiante ospita nel canale otto barche storiche del medio e alto Adriatico, per la precisione un bragozzo, un barchet o trabaccolo da pesca, una battana, un bragozzo d’altura, una lancia, un topo e una paranza e il trabaccolo da trasporto Giovanni Pascoli, unità ammiraglia del museo. Un altro barchet e il bragozzo San Nicolò, sono ormeggiati nel tratto di canale che esce in mare aperto perché sono abilitati alla navigazione, e partecipano ad uscite dimostrative e a raduni di barche d’epoca, raggiungendo, con le loro rotte, Chioggia e Venezia.
“Un giorno da salinaro”; un’esperienza che il visitatore coraggioso può vivere a Cervia, presso la Salina Camilloni, durante le visite che si tengono in estate
Sezione Galleggiante e Sezione di Terra La Sezione a Terra ospita, al centro di un grande padiglione museale un trabaccolo e un bragozzo completamente attrezzati, e tutta una serie di materiali e tecnologie che costituiscono un percorso storico estremamente esauriente per il visitatore. Vi si possono ammirare una ruota da cordaio, una bottega ottocentesca di carpentiere navale, ancore, fanali, attrezzature, due relitti del XVII Secolo e tanto altro ottimo materiale ancora, splendidamente selezionato, conservato ed esposto. Ma altre soste attendono la nostra navigazione: la prossima, tanto inconsueta ma non certo meno interessante delle precedenti, è a Cervia, dove apre i suoi battenti il Museo del Sale o MUSA. Nato dalla volontà e costanza del gruppo culturale Civiltà Salinara che ha voluto mantenere vivo il ricordo del lavoro in salina raccogliendo documenti, attrezzature e immagini che testimoniano l’ambiente e la produzione del sale, è stato inaugurato con una veste rinnovata nel 2004, all’interno del magazzino del sale cittadino, splendido esempio di architettura industriale del seicento. L’interno, che poteva contenere fino a 100.000 quintali di sale, ha una struttura che ricorda quella di una cattedrale ed è in vasta parte dedicato al museo, ma è anche destinato ad essere luogo di incontro, crescita culturale e ricerca, per conservare, valorizzare e promuovere lo studio e la conoscenza di questo particolare patrimonio cittadino. Il sale ha sempre avuto un grandissima importanza per l’uomo, nonostante il suo aspetto piuttosto dimesso nel suo apparente candore, ma da sempre fonte di enormi guadagni, motore di eventi storici e anche materiale strategico per conservare cibi e prevenire carestie. Sapete che la via Salaria è l’unica strada consolare a non portare il nome del suo costruttore, ma del fine per il quale venne realizzata, ossia il trasporto del sale? E che la paga del legionario era detta salario perché era retribuita in sale (oggi salary in ame-
ricano)? Che in alcuni casi, nel Nord Europa, tra il XV e il XVIII Secolo, le saline vennero considerate aree neutrali, che neanche in guerra dovevano essere toccate da forze combattenti? Ma a Cervia, in estate, si può anche visitare la Salina Camilloni, l’ultima delle oltre 500 esistenti in zona un tempo, ancora attiva e, dal 2008, chi lo desidera, può provare la realtà di una giornata in salina, lavorando a fianco dei salinari veri.
Il trabaccolo da trasporto Giovanni Pascoli, varato nel 1936 e ora restaurato e amorevolmente conservato come “ammiraglia” del Museo della Marineria di Cervia
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Il grande salone espositivo del Museo della Marineria di Cervia dove sono esposti, completamente armati e a vele spiegate, un trabaccolo (a sinistra) e un bragozzo
Il carico della Fortuna Maris Da bravi viaggiatori, ci accomiatiamo da Cervia per tornare alla nostra rotta per l’ultima sosta al Palazzo Bellini di Comacchio, nel delta del Po, dove il locale Comune ha fatto trasportare, nel 1989, una nave mercantile romana, scoperta casualmen-
In questa foto degli Anni 80 è visibile interamente lo scafo della oneraria naufragata con tutto il suo carico nel delta del Po, prima del suo trasferimento all’interno del Palazzo Bellini, a Comacchio, nel 1989
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te, con tutto il suo carico, nel 1980 durante alcuni lavori di dragaggio del canale collettore di Valle Ponti, a poche centinaia di metri dal paese. L’imbarcazione, naufragata verso la fine del I secolo a.C., alla quale, in occasione della prima mostra, venne dato il nome di Fortuna Maris, è interessantissima per la tecnica costruttiva, l’attrezzatura rinvenuta a bordo, le merci e i loro imballaggi, gli oggetti d’uso quotidiano tra cui svariati indumenti, illuminanti sulla vita a bordo di una nave romana d’età augustea. Non vi furono ritrovati resti umani, né all’interno del relitto né attorno ad esso, il che fa ritenere che venne abbandonata dall’equipaggio prima di affondare, o che fu strappata dagli ormeggi e portata al largo dalla risacca, dove poi colò a picco. La nave trasportava una cospicua quantità di lingotti di piombo, spesso marcati con il nome di Marco Vipsanio Agrippa (morto nel 12 a.C.), che si presume venissero dalla Spagna e fossero destinati al commercio. Ma il vasellame costituisce la parte preponderante del carico: sono state rinvenute anfore, bicchieri, coppe, aryballos, balsamari. Fra l’altro ha restituito anche molti indumenti, sacche e calzature di cuoio, interessanti perché si discostano da precedenti ritrovamenti provenienti da navi militari. Le scarpe sono di cinque tipi: una solea, una caliga, una sorta di calceus, un soccus, e un calzare doppio caliga-pero. A questo punto, però, il nostro viaggio, originariamente mirato alla riviera adriatico romagnola e zone limitrofe, ha termine; è stato senza dubbio interessante, ma il tempo e lo spazio, si sa, sono indomabili tiranni, altrimenti chi sa quante altre cose ancora avremmo potuto dire. Salutiamo quindi i nostri lettori, attendendo un’altra occasione per imbarcarci insieme e far spiegare le vele con vento favorevole. ■