RIFLESSIONI Dai materiali emerge il quadro chiaro e reale di un periodo tormentato
La Dieta provinciale dell’Istria e l’importanza della sua documentazione a stampa di Kristjan Knez
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el 1861 il Margraviato dell’Istria ottenne la Dieta provinciale. Si trattò di un evento importante perché dopo due lustri di neoassolutismo entro l’Impero si schiudeva una nuova stagione di partecipazione alla vita politica, sebbene riservata solo a una minoranza della società. Quella istituzione fece sì che l’Istria si presentasse come un soggetto politico, infatti costituiva un’entità territoriale ben definita. Parenzo divenne la sede della Dieta e al contempo si elevò a capoluogo della penisola.
Espressione del decentramento Il potere esecutivo era espresso dalla Giunta provinciale costituita da quattro membri, mentre al vertice si trovava il capitano provinciale, nominato direttamente dall’imperatore. I rappresentanti eletti mantenevano la carica per un periodo di sei anni e venivano scelti attraverso il sistema curiale. Esistevano quattro curie, distinte e separate all’interno delle quali si eleggevano i membri che ne avrebbero fatto parte. Gli incarichi di depu-
tato erano trenta. La prima curia era riservata alla grande proprietà terriera ed aveva diritto a cinque membri; la seconda era quella delle città ed era rappresentata da otto deputati; la terza era espressione delle camere commercialiartigianali e aveva due posti; infine vi era la quarta curia, in cui i comuni esterni e le località minori inviavano dodici delegati. A questi si aggiungevano i tre posti di diritto riservati ai vescovi della regione, cioè ai prelati di Parenzo, Trieste e Veglia. Benché nelle recenti iniziative che hanno rievocato il centocinquantesimo anniversario dell’apertura dei lavori della Dieta medesima non sia stata evidenziata l’azione dimostrativa che la rese celebre, riteniamo doveroso accennare quanto accadde nell’aprile di un secolo e mezzo fa.
Carattere contestatorio I deputati furono chiamati a scegliere un rappresentante per il parlamento di Vienna e di inviare un indirizzo di omaggio all’imperatore; per due volte (il 10 e il 16 aprile 1861) la maggioranza dei votanti, 20 su 29, espresse la propria contrarietà indicando
sulle schede “nessuno”. Di fronte a quella condotta la Dieta fu prosciolta, mentre i nuovi membri accolti erano decisamente più fedeli all’autorità imperiale. Durante il primo decennio di attività in seno alla Dieta vi erano sostanzialmente due schieramenti.
Due schieramenti Da un lato c’era quello legittimista e conservatore nei confronti dell’ordine asburgico, posizione condivisa anche dai tre vescovi, dall’altro vi era invece quello nazionale (italiano) e liberale, il cui obiettivo prioritario era la difesa degli interessi nazionali. Sempre in quel frangente la Dieta medesima era espressione della componente italiana della regione, gli Sloveni ed i Croati erano per lo più rappresentati dai tre presuli. E da questi erano anche difesi. Il vescovo Juraj Dobrila, indubbiamente il più battagliero, a più riprese si batté per l’uso paritetico delle lingue sia a livello amministrativo sia a quello scolastico, richieste che furono ripetutamente rifiutate.
IN QUESTO NUMERO Patrimonio storico e architettonico, ricerche, tradizioni, curiosità, contributi allo studio e alla comprensione del nostro passato: si presenta così il numero di maggio. Kristjan Knez torna sul 150.esimo della Dieta provinciale istriana, rievocando quanto avvenne un secolo e mezzo fa e l’azione dimostrativa che si verificò all’epoca. Nelle pagine centrali Daniela Jugo Superina ricorda invece una figura di donna, la “mlecarizza”, che ha accompagnato la quotidianità più intima di tantissimi fiumani di un tempo. Arletta Fonio Grubiša e Carla Rotta presentano due significativi interventi di recupero: la prima parla della Chiesa dei Sacri Cuori del 1908, affacciata al Clivo Antoine de Ville nel centro storico di Pola; la seconda “spalanca” per noi le porte dei rifugi antiaerei scavati dall’Austria-Ungheria. Roberto Palisca, infine, recupera e illustra affascinanti cartoline d’epoca.
DEL POPOLO
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La Dieta provinciale dell’Istria e l’importanza della sua do Dalla prima pagina
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ato che la popolazione slava non annoverava né un forte nucleo di proprietari terrieri né una borghesia urbana erano privi di quella forza che fosse in grado di far valere i loro diritti.
Le vittorie politiche croate Nell’ultimo quindicennio del XIX secolo le vittorie politiche croate portarono a un sensibile cambiamento. La controparte italiana iniziò a indietreggiare, difatti nel 1886 perdette il comune di Pisino (fino al 1894 dopodiché il circondario rimase ai Croati, mentre il centro urbano ritornò agli Italiani) e l’anno dopo anche quello di Pinguente. I Croati inoltre amministravano i municipi della riviera quarnerina e di alcune località insulari. Nel 1889 nella Dieta giunsero otto rappresentanti croati eletti nella curia dei comuni rurali ai quali si aggiunse un altro proveniente dal distretto di Volosca. Ante Dukić di Castua fu posto alla vicepresidenza. La battaglia per la lingua all’interno della Dieta conobbe un crescendo poiché il suo riconoscimento avrebbe comportato una legittimazione nazionale e politica. Nel 1896 i rappresentanti della Narodna stranka giurarono in lingua croata, quindi furono aggrediti dai manifestanti furibondi. Sul finire dell’Ottocento, nel 1897, le autorità austriache decisero di trasferire la sede dei lavori della Dieta da Parenzo a Pola e nel 1899 approdò a Capodistria.
Uno strumento utile ai ricercatori
Un’immagine della penisola
La lodevole iniziativa che prevede la digitalizzazione dei materiali a stampa prodotti dalla Dieta provinciale dell’Istria è un’operazione di notevole importanza, che gioverà non poco agli studiosi del passato regionale. Con le nuove tecniche che riproducono in digitale per l’appunto le fonti più disparate si contribuisce a divulgare un patrimonio sovente di difficile accesso e/o conosciuto solo dagli addetti ai lavori e al contempo si proteggono i materiali, non di rado particolarmente delicati e soggetti al deterioramento, come la carta dei giornali per fare un esempio concreto.
La documentazione a stampa che si riferisce al lavoro della Dieta provinciale dell’Istria è una fonte di notevole importanza. Grazie ad essa possiamo ricostruire mezzo secolo di attività politica in regione e al tempo stesso cogliere l’immagine della penisola con i suoi problemi, le aspettative della classe dirigente, i contrasti tra le varie nazionalità che l’abitavano, le proposte avanzate, e ci consente di rilevare lo stato delle cose nei più diversi settori. Emergono dati, considerazioni e informazioni concernenti l’economia, la vita sociale, l’istruzione, la viabilità e le comunicazioni, le infrastrutture, la cultura, l’agricoltura, la pesca e gli aspetti più svariati legati al contesto istriano. Di seguito riportiamo un esempio dei problemi affrontati dai deputati.
Inseriti nella grande rete Inserendo in rete le migliaia di pagine per renderle accessibili agli utenti si offre un prezioso servizio che consente allo studioso di analizzare un’ampia documentazione direttamente dal proprio PC. Siffatte iniziative in cui si trovano coinvolte le istituzioni di buona parte del pianeta permettono un risparmio sia di tempo sia di denaro e sono una soluzione per ovviare ai contrattempi che non di rado deve affrontare colui che frequenta le biblioteche e gli archivi, dovuti ad una distribuzione che non sempre funziona, alla dislocazione dei materiali per mancanza di spazi, alla riduzione degli orari oppure alla mancanza di personale, che rappresenta un problema per colui che svolge delle ricerche.
Della qualità dell’olio d’oliva Il 21 giugno 1880 l’assessore provinciale Giovanni Battista de Franceschi di Seghetto, rappresentante del grande possesso fondiario, illustrò ai presenti il problema dell’alterazione dell’olio d’oliva dovuto alla cattiva pratica di frammischiare altre sostanze con lo scopo di ottenere una maggiore quantità di prodotto, da spacciare come di ottima fattura, ingannando di conseguenza gli ignari acquirenti (vedi l’intervento riprodotto a fianco). Quelle considerazioni aprirono in sala il problema della qualità dei generi alimentari commercializzati. Don Giovanni Zamarin, parroco e canonico di Isola, in-
tervenne aggiungendo che quella era una questione non indifferente, dato che “(…) i prodotti che servono primieramente di alimento per la vita, vengono assai di sovente alterati nel commercio spicciolo, ed in specialità poi la farina del grano bianco. Le farine vengono spacciate framischiate ad altri ingredienti, che ritengo probabilmente possano essere talvolta perniciosi alla salute”.
La dinamica degli eventi I resoconti stenografici, come abbiamo evidenziato, rappresentano una documentazione di indubbia importanza ed interesse anche per la ricostruzione dei rapporti tra le varie anime della penisola ed i loro orientamenti politici. Costituiscono una fonte di rilievo per cogliere la dinamica degli avvenimenti, delle decisioni, dei confronti verbali, spesso accesi, e, naturalmente l’attività svolta dai singoli rappresentanti. Per illustrare la ricchezza di siffatti materiali di seguito proponiamo la ricostruzione dettagliata di una seduta svoltasi a Capodistria nel 1910. La situazione vigente era particolarmente accesa, i dissidi nazionali avevano conosciuto un crescendo che impediva il normale svolgimento dei lavori in seno alla Dieta. Per questo motivo, complici anche le autorità asburgiche, antecedentemente si tentò di avviare un dialogo tra le parti coinvolte con l’auspicio di giungere ad un compromesso nazionale. Furono formate delle commissioni con il compito di valutare le proposte ed i punti di vista degli Italiani nonché degli Sloveni e dei Croati. Fu
un lavoro arduo che ben presto andò ad arenarsi a causa dell’intransigenza che emerse palesemente da entrambe le parti. Per stemperare gli animi in occasione dell’organizzazione della Prima Esposizione Provinciale Istriana di Capodistria fu avanzata l’idea di invitare alla collaborazione anche gli Slavi, quale segno di buona volontà e di apertura.
Deleterie intransigenze L’iniziativa godeva del pieno appoggio del capitano provinciale Lodovico Rizzi. Malgrado i timidi passi mossi a favore di un avvenimento che aveva lo scopo dichiarato di presentare al vasto pubblico le ricchezze economiche e storico-culturali della regione, il progetto naufragò e gli schieramenti politico-nazionali rimasero su posizioni divergenti, scambiandosi accuse e polemizzando durante l’intera durata della manifestazione. Gli autoesclusi bocciarono l’iniziativa ospitata nella città di San Nazario in quanto a loro modo di vedere essa era solo una “mostra degli Italiani d’Istria” e di conseguenza non poteva essere definita di carattere provinciale. Le controversie, testimoniate con dovizia di particolari dalla stampa del tempo, rappresentano il filo rosso che accompagnò l’Esposizione durante i suoi cinque mesi di apertura. Ma non era tutto. La vetrina giustinopolitana, nonostante gli sforzi profusi alla buona riuscita, produsse un disavanzo di 50 mila corone. La copertura era ritenuta una “questione d’onore” e pertanto la Dieta avrebbe dovuto approvare lo stanziamento della somma in questione. Coloro che fin dall’inizio avevano
Canonico Giovanni de Favento: la necessità di regolmentare la pesca […] Mi trovai molte volte presente quando si pescava colla tratta. Vidi molte volte la rete gittata in un larghissimo giro nel mare venir condotta a terra nella speranza di pigliare qualche cosa. Venti e più vi si affaticavano intorno, e tira-tira, dopo molte ore di travaglio, vidi la rete vuota, o piena d’erba marina. Interrogava allora i pescatori d’ondemai derivasse che la pesca, un dì tanto lucrosa, sia diventata un’arte così meschina. Mi rispondevano i vecchi che una volta c’erano e si facevano osservare le leggi, le quali impedivano la distruzione del pe-
sce, e che il pesce quindi si moltiplicava molto e rendeva lucrosa l’arte del pescatore, ma che adesso queste leggi, o non sono, o non si fanno osservare più. - Mi rispondevano i più giovani dicendo: che vuole? Anche il mare è diventato povero! […] Il mare è certamente diventato povero: ma ne sappiamo il perchè. - Le tartane di Chioggia vengono nei nostri mari e colle loro reti alte 30 e più piedi, lunghe più di 200, radono il fondo e distruggono tutti i pesci; i bragozzi colle loro reti più piccole, ma non meno dannose, spinti da gagliardo vento spazza-
no via e trascinano seco pesciolini e pescioni. Considerate, Signori, il danno che la mal regolata pesca porta alla provincia; considerate che si pigliano in una piccola rete pesci che empirebbero una
Giovanni Battista de Franceschi, intervento a tutela dei nostri produttori di «oro verde» È un fatto abbastanza notorio, che nel commercio degli olii si è fatta strada la triste pratica di adulterare gli olii di oliva col mescere materia ed altre sostanze eterogenee. Lo scopo di questa deplorabile operazione è facile a comprendersi, qualora si pensi che l’olio di cotone costa assai meno di quello dell’olio di oliva, ed il miscuglio ottenuto, venendo posto in commercio sotto la denominazione di olio di oliva è bene smerciato e si presta mirabilmente alle ingorde speculazioni. Contro questi abusi che potrebbero facilmente condurre al totale discredito del mercato degli olii, si sono elevate dalla pubblica stampa voci d’allarme e di disapprovazione. E noi pure che ci è commessa la rappresentanza e la tutela degli interessi dei produttori dell’olio della nostra provincia, non dobbiamo restarcene passivi di fronte ai danni derivabili da questi abusi alla produzione nazionale dell’olio d’oliva. E difatti la mala pratica di cui dissi, arreca già ora sensibili
pregiudizi ai possidenti di oliveti ed ai produttori d’olio. Dell’una parte essi vengono esposti ad una insormontabile concorrenza di una merce adulterata con strani ingredienti che viene messa in commercio come merce genuina. D’altra parte i possidenti degli oliveti risentono anch’essi le funeste conseguenze dell’incaglio subentrato nel traffico dell’olio perchè anche a loro resta preclusa la via a smerciare bene e sollecitamente i loro prodotti. Allo stesso modo pertanto che alla produzione del vino naturale è stata accordata in via legislativa qualche protezione contro la falsificazione, ritengo che non si possa e non si debba ragionevolmente negare alla produzione dell’olio un consimile trattamento, che metta al coperto delle predette contrafazioni anche quest’importante ramo di produzione. Resoconto stenografico, 21 giugno 1880, in “Resoconti stenografici delle sedute della Dieta provinciale dell’Istria”, Parenzo 1880, pp. 44-45.
barca; che si vende per pochi soldi un numero di pesci che importerebbe qualche decina di fiorini, che da una sola persona si mangiano in un pasto pesciolini, che quando si lasciassero crescere basterebbe-
ro per una famiglia anche numerosa per molti giorni; considerate che da questo deriva il caro del pesce e la miseria di tante famiglie, e vi convincerete della necessità di dare alla nostra Giunta l’incarico di compi-
lare la relativa legge e voterete pella mia mozione. Resoconto tachigrafico della VIII seduta, 11 dicembre 1866, in “Atti della Dieta provinciale dell’Istria in Parenzo”, Rovigno 1867, pp. 203-204.
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cumentazione a stampa gridato allo scandalo non erano per nulla disposti a sostenere con il loro voto una manifestazione che a loro giudizio era stata ideata in funzione antislava.
Matko Laginja alla sesta seduta Gli animi accesi caratterizzarono la sesta seduta della Dieta del 10 ottobre 1910. Matko Laginja prese la parola e affermò: “Ritengo onorevoli signori, che sia venuto il tempo di dare diritti eguali, e del tutto eguali, anche alla parte slava della provincia, la quale forma la maggioranza numerica della popolazione istriana. Questo contro la volontà della maggioranza dietale, verrà forse fatto una volta quando noi avremo la forza, e l’avremo certo, di costringere ad un tanto l’i.r. Governo, ma io preferisco un appello alla maggioranza, perchè sia fatta la pace fra noi e non si domandi l’intervento di un terzo, che oggi è della parte vostra (rumori) e domani sarà contro di voi”.
Ancora tensioni Una settimana più tardi, durante la settima seduta, già durante la lettura del verbale, da parte dell’on. Pesante, emerse chiaramente la tensione esistente. I rappresentanti della minoranza dietale, gli onorevoli Vjekoslav Spinčić, Dinko Trinajstić, Šime Kurelić e Ivan Zuccon presero la parola esprimendosi in croato ma furono più volte interrotti dai rumori prodotti dai rappresentanti italiani. Va ricordato che i resoconti dei verbali non contengono alcun cenno di quanto i rappresentanti slavi esponevano nella loro madrelingua, quelle omissioni rappresentano un limite ai fini della ricerca in quanto di parecchi interventi non conosciamo il loro contenuto. Per ovviare a questo dobbiamo fare riferimento ai giornali in lingua croata e slovena. Il presidente Lodovico Rizzi dovette ammonire l’uditorio e lo invitò alla tranquillità, altrimenti sarebbe stato costretto a sgomberare la galleria. Zuccon riprese a parlare in croato e si mise a leggere da un libro. Il presidente lo riprese dicendogli che in base al regolamento non era permessa la lettura. Il rappresentante di Medolino proseguì l’esposizione, fu interrotto dagli on. Matko Mandić e Antun Adrijčić e anche il pubblico protestava. Alla fine continuò in lingua italiana e scese la calma, almeno temporaneamente. Zuccon continuò affermando che “Le obbiezioni mosse dai miei due colleghi sono giustificate e sono certo che la presidenza le prenderà in considerazione. Quanto a me ho voluto fare un’osservazione che cioè nell’ultima seduta ho presentato due interpellanze in lingua croata. Essendo il protocollo redatto esclusivamente in lingua italiana, i petitti in chiusa delle mie due interpellanze vi sono riportati in lingua italiana ciò non corrisponde a quanto prescrivono i §§ 39 e 41 del regolamento dietale, dove sta scritto che nel protocollo devono venir riportate ‘tutte le mozioni presentate nel preciso loro tenore’. Ma la presidenza può fare strappi al regolamento”. E continua “Io domando che questa mia osservazione venga messa a protocollo e che nel verbale dell’odierna seduta venga riportato anche quanto ho esposto in lingua croata, riproducendo le due interpellanze nella lingua in cui furono estese e presentate all’imperiale Governo. La presidenza ha voluto farmi una rimarca: che io non la rispetto. Or io ritocco l’osservazione e dico che la presidenza non rispetta i deputati, traducendo le interpellanze che si presentano”. Le proteste si levarono prontamente dalle file della maggioranza, la minoranza applaudì, mentre il pubblico pre-
sente in sala iniziò a fischiare. Il presidente dovette scampanellare lungamente per ottenere il silenzio.
Situazione insostenibile Di fronte ad una situazione ormai ritenuta insostenibile, il presidente evidenziò che malgrado avesse ammonito l’uditorio per ben due volte, esso non si era mantenuto tranquillo pertanto lo invitava ad abbandonare la galleria. Quella decisione fu criticata e il pubblico reagì con fischi e grida. A quel punto la seduta fu sospesa ed i presenti iniziarono ad uscire lamentandosi. Dopo un intervallo di dieci minuti, alle 15.50 il capitano provinciale salì nuovamente al seggio della presidenza e i lavori furono ripresi. La parola andò nuovamente a Zuccon il quale si espresse in croato e fu interrotto più volte dalle approvazioni dei deputati della minoranza nonostante fossero stati richiamati all’osservanza del silenzio. In seguito intervenne l’on. Ivan Poščić che si rivolse ai presenti nella stessa lingua. A quel punto si assistette ad una scena bizzarra, registrata dal verbale, che ci offre una lettura interessante e al tempo stesso di indubbio valore per cogliere la dinamica in seno alla Dieta e gli umori durante le sedute. L’intervento dell’on. Poščić fu disapprovato in primo luogo perché l’idioma utilizzato non era quello italiano. Il pubblico che si trovava nei corridoi attigui alla galleria iniziò a battere la porta d’ingresso e per di più si mise a cantare.
«L’osteria è qua dentro» L’on. Mandić sarcasticamente chiese: “È forse un’osteria qui vicino?” Ribatté immediatamente l’on Matteo Bartoli: “L’osteria è qua dentro!” A quel punto l’on. Trinajstić aggiunse: “Allora venga un litro di vino!” Di fronte a quella scena il presidente Rizzi iniziò a scampanellare per ottenere il silenzio e giungere alla normalità per continuare le discussioni. Poco dopo dal pubblico fu lanciato in sala un pezzo di legno che cadendo produsse un boato. Dai banchi dei deputati slavi qualcuno si interrogò se fossero sicuri in quel posto, qualcun altro si chiese se non fosse forse una bomba. La calma ritornò solo nel momento in cui l’on. Poščić concluse di parlare. La sessione del giorno successivo, cioè del 18 ottobre, invece, superò d’intensità quella precedente. Il pomo della discordia era rappresentato ancora dalla copertura del disavanzo prodotto dall’Esposizione. Tra disappunti, interruzioni e rumori che impedivano lo svolgimento dei lavori, la seduta si concluse con la sospensione dei lavori provocata dallo scompiglio dai rappresentanti della minoranza, i quali, in segno di protesta, rovesciarono il tavolo della presidenza e degli stenografi. Sebbene la Dieta (e la Giunta) fosse stata sciolta nel 1916, quella fu la sua ultima seduta. Il discorso di de Franceschi è tratto dal Resoconto stenografico del 21 giugno 1880, in “Resoconti stenografici delle sedute della Dieta provinciale dell’Istria”, III sessione del quinto periodo elettorale, Parenzo 1880, pp. 44-45. La ricostruzione dell’episodio capodistriano e i passi citati si basano sui resoconti stenografici della VI e della VII seduta della Dieta provinciale dell’Istria, Capodistria, 10 e 17 ottobre 1910, in “Atti della Dieta provinciale dell’Istria”, I sessione del decimo periodo elettorale 22-31 luglio; 16-17 settembre 1909; 5-18 ottobre 1910, vol. terzo contenente i resoconti stenografici delle sedute, Parenzo 1911, pp. 37, 48-49.
APPUNTAMENTI Settima edizione del festival di Gorizia
Doppio filo rosso per «èStoria 2001»: guerre e 150.esimo dell’Unità d’Italia D
oppio filo rosso per quest’edizione del Festival internazionale della Storia di Gorizia: guerre e il 150.esimo dell’Unità d’Italia. Sulla scorta del grande successo di pubblico ottenuto fin dalla prima edizione nel 2005, anche quest’anno, dal 20 al 22 maggio, una serie di appuntamenti metterà a confronto le voci più autorevoli che animano la ricerca e il dibattito storico e storiografico internazionale, affrontando in chiave problematica i grandi mutamenti che hanno segnato il percorso della storia, dalle sue origini fino alla più stretta attualità. “Dedicare il settimo festival alla guerra – afferma Adriano Ossola – significa esplorare uno dei misteri insondabili della natura umana e riflettere sui suoi effetti devastanti nel corso del tempo, sui modi in cui si è manifestata e sulle forme di rappresentazione e di narrazione a cui ha dato luogo, allontanando da noi l’illusione che il suo demone sia prossimo a essere sconfitto e piuttosto accettando senza false ipocrisie l’assunto alla base del celebre motto latino si vis pace, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra, ndr)”. E comunque non si parlerà soltanto di conflitti, in chiave filosofico-speculativa e storico-geopolitica, perché il festival, doverosamente, dedicherà un nucleo portante di incontri ai 150 anni dell’Unità d’Italia. In particolare la sezione de “La storia in testa”, dedicata alle novità editoriali del settore, presenterà alcune delle più importanti uscite previste al riguardo per la prossima primavera. Sempre nell’ambito di questo percorso, il cartellone del festival sarà scandito da alcune date cardine del processo di unificazione italiana, dalle quali si innescheranno incontri, approfondimenti storiografici e culturali. Un modo per mettere a fuoco i tratti più rilevanti dell’identità italiana e i percorsi della sua aggregazione in un secolo e mezzo di storia.
Fiume nella tempesta Fiume nella tempesta: venerdì 20 maggio (Tenda Clio, ore 1617), Fabio Todero e Giulia Caccamo rivedranno la crisi fiumana alla luce delle sue ripercussioni sulla politica italiana. In collaborazione con l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, si parlerà infatti di “Fiume, D’Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia”. Insieme con la Società di Studi fiumani e il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Trieste, lo scorso anno l’IRSML ha pubblicato un volume intitolato per l’appunto “Fiume, D’Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia”, curato da Raoul Pupo e Fabio Todero e frutto di un ciclo di conversazioni realizzate nell’anno accademico 2009-2010 nell’ambito del corso di storia contemporanea della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Trieste. La pubblicazione contiene saggi di tematiche diverse, dalla storia diplomatica a quella militare a quella culturale. I contributi pongono, ad esempio, in luce i legami fra l’avventura fiumana e la crisi dello Stato liberale in Italia; indagano i rapporti tra fiumanesimo e fascismo sia a livello più generale, esplorando il complesso rapporto fra D’Annunzio e Mussolini, sia in ambito giuliano attraverso l’analisi del fascismo di confine. Ma danno anche conto delle novità introdotte da D’Annunzio e i suoi seguaci nel dibattito politico del tempo, discutendo contenuti e significati della Carta del Carnaro e soffermandosi sul culmine raggiunto per opera di D’Annunzio dal processo di trasformazione del sentimento nazionale in una vera religione della patria, che il poeta apre ad un’inedita dimensione mistica. Inoltre, si dell’opposizione che D’Annunzio incontrò a Fiume da parte del movimento autonomistasi mette in rapporto la questione fiumana con quella questione dalmata. Ma a Gorizia si parlerà anche dell’ex Jugoslavia: “Samostojna Slovenija! Una guerra appena fuori casa” è il titolo dell’incontro che si svolgerà domenica 22 maggio (tenda Erodoto, ore 12), con l’intervento di Janez Janša. Nel corso della conversazione, che sarà condotta da Stefano Mensurati, si discuterà della fine della Jugoslavia di Tito, con un conflitto nel cuore dell’Europa, scoppiato vent’anni fa. Sarà rievocata la “guerra dei dieci giorni” che portò all’indipendenza slovena.
Due tipi di approccio Sono due, per tornare a Guerre, i percorsi che permetteranno di approfondire la riflessione intorno al tema, non senza l’apporto di voci autorevoli dell’impegno pacifista: “Nel primo, ‘Tra pace e guerra’ – anticipa Adriano Ossola –, sonderemo le motivazioni che inducono alla belligeranza attraverso gli apporti della biologia, dell’etologia, dell’antropologia, della psicologia. Ideale introduzione sarà la conversazione che vedrà protagonista Azar Gat, dell’Università di Tel Aviv, nonché autore di un testo fondamentale sull’essenza della guerra: ‘War in Human Civilization’. Ci addentreremo nei meandri dei legami tra la mascolinità e l’istinto bellico, mettendo a confronto uno psicologo esperto di polemologia, come Claudio Risé, con Leo Braudy, massimo esperto di History of Celebrities e autore del fondamentale saggio ‘From Chivalry to Terrorism. War and the Changing Nature of Masculinity’. Esamineremo la stretta relazione tra l’evento bellico e il cinema fino a parlare dei samurai a Hollywood, tra passato e presente, con Stephen
Turnbull, il consulente scientifico di una produzione hollywoodiana in uscita nel 2012”. La seconda sezione, “Nelle tempeste della guerra”, affronterà gli aspetti tecnici e le modalità dell’arte della guerra nei secoli, fra Oriente e Occidente, dalla preistoria alla guerra oplitica, per osservare i mutamenti avvenuti prima nel medioevo, poi in epoca moderna e napoleonica fino alla deflagrazione della violenza novecentesca e alle nuove forme di conflittualità legate al terrorismo: ne parleranno in un confronto serrato le voci internazionali più accreditate in materia. Anche nel 2011 il festival si svolgerà nel cuore della città, ai
Giardini Pubblici di corso Verdi, ma esplorerà il territorio e i suoi rimandi storici attraverso le escursioni dell’”èStoriabus”. E anche nel 2011 non mancherà l’appuntamento con due iniziative legate alla didattica e alla divulgazione della storia: il Premio “FriulAdria. Il romanzo della storia”, promosso conpordenonelegge.it, e il Premio “Antonio Sema” (Concorso Banca Popolare FriulAdria-Crédit Agricole per la scuola), rivolto alle secondarie italiane di primo e secondo grado, e finalizzato a incentivare laboratori storici attraverso l’interazione del festival con il mondo della didattica. Come sempre il programma del festival si avvale della supervisione fornita da un comitato scientifico presieduto da Chiara Frugoni, e composto da specialisti italiani e stranieri, molti dei quali saranno protagonisti a Gorizia nelle tre giornate: Richard Bosworth, H. James Burgwyn, Giorgio Camassa, Marina Cattaruzza, Marco Cimmino, Mimmo Franzinelli, Ernesto Galli Della Loggia, Jean-Claude Maire Vigueur, Branko Marušic, Richard Overy, Giorgio Petracchi, Quirino Principe, Sergio Romano, Erwin A. Schmidl, Roberto Spazzali e Giuseppe Trebbi. Dal 2011, èStoria è rassegna entrata a fare parte della rete di eventi legati al progetto Nordest Capitale della Cultura 2019.
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Sabato, 7 maggio 2011
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TRADIZIONI I vecchi ricordano ancora il rumore dei bidoni pieni di latte, la gustosissima panna – detta da tutti «scorupich» – che veniva spalmata sul pane e cosparsa di zucchero
Le lattaie del Castuano: una figura indelebile nell’immaginario di molti fiumani di Daniela Jugo Superina
E
ra una fredda mattina d’inverno a Podmurvice. La campana della Chiesa dei Salesiani aveva appena rintoccato per sei volte, mentre a est il cielo scuro della notte si stava schiarendo in maniera appena percettibile. Lungo la strada, numerose donne, ricurve sotto il peso di grandi ceste piene di latte, scendevano incolonnate verso la città, portando latte fresco per le case. La città stava ancora dormendo. Qualche padrona di casa più mattiniera apriva la porta alla lattaia e la faceva entrare, mentre altrove davanti alle porte venivano lasciate bottiglie e recipienti nei quali la lattaia versava il latte e se ne andava. È una storia, questa, che si ripeté per anni, anzi, per decenni e per secoli, con le donne dei paesi e villaggi attorno a Fiume che portavano il latte in città. Hanno continuato a farlo anche con l’avvento della produzione industriale del latte, anche quando è comparso sul mercato il latte a lunga conservazione in Tetra pak. Beh, è chiaro che il latte appena munto è tutt’altra cosa. Come non apprezzare quello strato di panna che si formava sulla superficie dopo averlo fatto bollire? E il suo profumo? È qualcosa che con il latte industriale non ha proprio nulla da spartire.
terra e il carbone. Era l’unico modo per sopravvivere...
Una giornata tipo Nel suo libro “Kastav grad i obćina” (“Castua città e comune”), pubblicato nel 1889, Matko Laginja scriveva che “questa (quella di Marčelji, n.d.a.) e le zone limitrofe hanno dei begli introiti derivanti dalla vendita del latte”. “La ragazza o la padrona stessa – scriveva ancora Laginja – si destano quando molti signori, nelle città, non sono ancora nemmeno andati a letto, e portano a Fiume il latte, qualche volta anche burro fresco e primizie, portando a casa ciò che serve per la cucina”. Una giornata tipica della “mlecarizza” iniziava verso le 4 del mattino, d’estate anche prima. Si iniziava con la mungitura delle mucche, mentre il latte del giorno prima andava versato nei bidoni che a loro volta venivano messi nei cesti, in cima ai quali venivano posti ancora verdure, frutta e burro. Il tutto veniva coperto
La città divisa in zone Le lattaie del Castuano e del Grobniciano – le “mlecarizze”, come venivano chiamate – avevano suddiviso la città in zone. L’Abbaziano veniva rifornito dalle donne di Mattuglie, Rucavazzo, Apriano e Zvoneće, mentre le lattaie di Tribalj, Bribir e Grižane portavano il latte a Crikvenica e Novi Vinodolski. Stavolta ci soffermeremo in particolare sulle “mlecarizze” della parte orientale del Castuano, principalmente dello Halubje, ma la loro storia di vita potrebbe sicuramente venir applicata a tutto il popolo delle lattaie. Pur essendo distanti da Fiume una o due ore di cammino, i paesi dell’entroterra sono un mondo a parte. Soltanto qualche commerciante o artigiano era in grado di offrire alla propria famiglia una vita leggermente più agiata. Le famiglie erano numerosissime e alle volte contavano anche fino a venti membri. La risorsa principale era rappresentata dall’agricoltura, ma il duro lavoro sui campi non riusciva nemmeno lontanamente a sfamare tutte le bocche. Furono le mucche, così, a diventare il fattore principale per il sostentamento della famiglia. Ogni famiglia possedeva in media due mucche, anche se c’era notevoli differenze. C’erano quelli che ne avevano anche cinque o sei, mentre le famiglie che avevano una sola mucca venivano considerate povere e riuscivano difficilmente a sbarcare il lunario. Dalla primavera all’autunno, gli uomini trascorrevano il tempo sui monti, dove producevano carbone di legna e spegnevano la calce. Il lavoro era durissimo e si guadagnava veramente poco. In questo modo le castuane erano per sei mesi all’anno padrone assolute. Lavoravano la terra, accudivano il bestiame, i bambini e i vecchi, curavano le faccende domestiche e, come se non bastasse, tutti i giorni portavano a Fiume il latte, i prodotti della
con un panno bianco pulitissimo, mentre ai lati si appendevano ancora i saccheti con il carbone. A quel punto le lattaie prendevano la lampada a petrolio e... partenza verso Fiume, con sulle spalle un carico che alle volte raggiungeva anche i 40 chilogrammi. Le lattaie dello Halubje avevano per anni sempre gli stessi clienti, varie famiglie di Podmurvice, San Nicolò, Stranga, Braida.... Giunte davanti alla porta di casa, con un misurino da mezzo litro versavano il latte nei recipienti già preparati, aggiungevano un po’ di insalata, frutta o carbone, a seconda degli accordi e via fino al prossimo cliente. Se dopo aver compiuto il giro di tutti i clienti rimaneva qualcosa, le lattaie bussavano a qualche porta oppure scendevano ai
mercati. Al ritorno portavano sale, zucchero, caffè, olio, farina e gli avanzi ricevuti dai propri clienti da dare ai maiali. Con un carico che raggiungeva anche i venti chilogrammi, le “mlecarizze” facevano ritorno a casa verso le 11. Provvedevano poi al lavaggio dei bidoni e del bucato, preparavano il pranzo, mungevano nuovamente le vacche e il tempo fino a cena lo trascorrevano sui campi o a mietere il fieno. Col calare della sera bisognava nutrire le mucche e gli altri animali, preparare il latte e tutto il resto per la mattina successiva.
In «ferie» solo a Natale e Pasqua Per la lattaia, le giornate erano tutte uguali, eccezion fatta per Natale e Pasqua. Contavano soltanto il cambio delle stagioni e, naturalmente, le condizioni del tempo. Nonostante il grande ombrello, la “mlecarizza” finiva spesso bagnata fradicia, veniva sferzata dalla bora oppure arsa dal sole. Per evitare il rischio di scivolare in discesa, le lattaie avevano delle aggiunte particolari, dotate di piccoli chiodini, per le loro babbucce. Le signore fiumane forse non sapevano che la loro lattaia era attesa a casa da bambini affamati. Potevano venir bloccate soltanto da una grave ma-
lattia. Nemmeno la gravidanza le fermava. Succedeva che la “mlecarizza” ce la facesse a malapena ad arrivare a casa per partorire. Poi, un giorno di riposo e nuovamente al lavoro, a portare il latte in città. Mentre a Fiume esistevano già i nidi d’infanzia e le scuole materne, i figli della lattaia erano abbandonati a sé stessi. Questo argomento è stato trattato da Ivo Jardas nel suo libro “Kastavština” (“Il Castuano”) il quale scrisse: “Al mattino di buon’ora la donna va in città, perché il marito è in giro per il mondo o sulle montagne. I bambini sono da soli a casa. Se sono piccoli, la madre li rinchiude in casa. Si svegliano, piangono e poi si addormentano, piangono nuovamente e si riaddormentano. In passato molti bambini piccoli morivano. Quelli rimasti erano talmente resistenti che nulla avrebbe potuto loro nuocere...”. Per vivere in questo modo, le donne dovevano essere particolarmente resistenti, forti e sane. Le ragazze che avevano queste caratteristiche erano... da maritare. La bellezza non contava. Le bambine accompagnavano le proprie madri fin dall’ottavo anno di età. Davano anche una mano e aiutavano loro a portare qualcosa di meno pesante, imparavano la strada e i punti di vendita. Non era una rarità vedere una ragazzina appena dodicenne caricarsi l’enorme cesta sulle spalle e sostituire la madre malata. La scuola era considerata come una perdita di tempo, a scapito del lavoro. Per questo motivo le bambine andavano a scuola ogni secondo giorno e abbandonavano le lezioni quanto prima. Una vita faticosa? Certamente. Nonostante tutto, però, le “mlecarizze” andavano in gruppi verso la città e strada facendo discorrevano, scherzavano, ridevano e cantavano. Da sole non ce l’avrebbero mai fatta. Tra loro c’era un grande spirito di solidarietà e vigeva un’organizzazione perfetta. Capitava che ci fosse poco latte, perché la vacca era gravida oppure perché doveva allattare il vitello. Succedeva anche che ce ne fosse troppo, ma doveva essere venduto in giornata, specialmente d’estate. La salvezza poteva essere uno scambio, cosa che veniva fatta regolarmente senza nessun conflitto. A un cliente fisso non doveva mancare mai il suo latte...
I primi problemi... di confine Ai tempi dell’Impero austro-ungarico le lattaie non avevano problemi, che sono sorti, invece, con la creazione del confine tra il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni e l’Italia, nel 1924. Il valico di confine che dovevano superare si trovava all’altezza di Rujevica ed erano necessari il passaporto, ma anche tanta fortuna, dopo l’entrata in vigore di numerosi divieti. I doganieri italiani controllavano le lattaie all’arrivo e succedeva addirittura che dicessero loro che nel latte era stata versata dell’acqua, per cui lo sequestravano. Fortunatamente, si trattava di episodi isolati. I problemi maggiori scaturivano al ritorno. Considerato che a Fiume era
Le “mlecarizze” dello Halubje all’inizio degli anni trenta del XX secolo
quasi tutto più a buon mercato, il contrabbando era divenuto una costante. Era vietato trasportare generi alimentari attraverso il confine, per cui le nostre “mlecarizze” erano costrette a inventare mille espedienti per nascondere la merce. Lo zucchero veniva sciolto e versato poi nei bidoni vuoti, mentre la farina veniva nascosta nelle cinture e sotto le gonne. I gendarmi jugoslavi sequestravano tutto ciò che trovavano, mentre lo zucchero veniva spanto lì, sotto i loro occhi. Alle povere lattaie non rimaneva altro che guardare impotenti come tutto il loro lavoro veniva versato sulla strada. Temevano in modo particolare i controlli che venivano eseguiti da una donna e che regolarmente si conclu-
devano con il sequestro della merce. Al confine veniva perso anche tanto tempo prezioso, ma nulla è mai riuscito a interrompere la “via del latte”. Quando negli anni Cinquanta del secolo scorso fecero la loro comparsa le prime corriere e vennero introdotte le prime linee, dopo un’iniziale diffidenza le colonne delle “mlecarizze” scomparvero dalle strade. Le grandi ceste, però, non potevano entrare nelle corriere, per cui sono state sostituite dagli zaini. Le ultime lattaie del Castuano, ormai già in età avanzata, portavano il proprio latte fino all’inizio degli anni Ottanta. Le “mlecarizze” del Grobniciano hanno continuato ancora per un po’. Con la loro scomparsa, però, è nato un grande interesse per la figura della “mlecarizza”, per il loro lavoro, il tutto per evitare che finissero nel dimenticatoio. Recentemente è stato pubblicato il libro “Mlekarice”, di Jadranka Cetina e Duša Slosar Cernjar, nel quale sono annotati i ricordi della quotidianità delle donne del Castuano. Inoltre, nel libro vengono elencate, con tanto di nome e cognome, le lattaie del Castuano e della Liburnia. Centinaia di nomi... Le più numerose sono quelle del paese di Marčelji. Oggi la “mlecarizza” rappresenta un simbolo di lavoro duro e di una vita fatta di stenti, il simbolo della tenacia e dello spirito di sacrificio per la famiglia, per il marito e per i figli. I loro sentieri vengono marcati, vengono eretti monumenti per ricordare in maniera indelebile questa figura di donna. A Fiume è stata dedicata loro una piazzetta nella Cittavecchia, nella quale domina la statua che raffigura una donna piegata sotto il peso del latte. I fiumani che la vedono si ricorderanno della propria infanzia, del rumore dei bidoni pieni di latte, della gustosissima panna che veniva spalmata sul pane e cosparsa di zucchero. Si ricorderanno di Maria, di Ana oppure Tonka, che incontravano quotidianamente per lunghi anni. Sono cresciuti grazie al loro latte ed erano le loro ciliegie che piluccavano...
Storie d’altri tempi: una “mlecarizza” sulle strade di Fiume e, sullo sfondo, un’automobile
Scultura in legno della “mlecarizza” a Viškovo (autori Strok, Tijardović e Fojan)
6 storia e ricerca
Sabato, 7 maggio 2011
ARCHITETTURA Eretta nel 1908, affacciata al Clivo Antoine de Ville, era una rovina
Affascinante metamorfosi della Chiesa dei Sacri Cuori di Arletta Fonio Grubiša
L
a Chiesa dei Sacri Cuori del 1908, affacciata al Clivo Antoine de Ville nel centro storico di Pola, edificio sconsacrato, dimenticato negli anni, svalutato a magazzino, ridotto quasi a rovina, dalle mura scrostate, grigie ed insignificanti, diventa oggi un esempio di singolare recupero di un’architettura sacrale, patrimonio di valore tutt’altro che trascurabile e per tanto presto adibito a Centro culturale e galleria museale. L’autore della straordinaria metamorfosi, avvenuta silenziosamente, quasi in sordina, mimetizzata tra i caseggiati malandati e di vecchia data, ubicati in salita sul Colle Castello, il Museo archeologico istriano di Pola, che negli ultimi due-tre anni ha intensificato gli interventi di una capillare ristrutturazione (iniziata addirittura nel 1994 con tantissime interruzioni), ingaggiando all’uopo la ditta specializzata “Capitel “di Gimino. Particolarmente esigente è stata la sostituzione di tutta la struttura del tetto, annettere l’apside alla chiesa, applicare alla medesima micropali e riempire le crepe comparse negli anni della stracuratezza, ricostruire la pavimentazione in cemento armato onde impedire dilatamenti, collocare vetri “spia” di controllo che si infrangono in caso di dilatazione. Il progetto di ristrutturazione è stato firmato dall’architetto Ljubica Dugandžić, mentre l’adattamento a spazio multimediale si deve a Bruno Nefat. Ne è scaturita un’opera finita di cui la città non è ancora riuscita nemmeno rendersi conto e la cui
cio sacro di stile neo-barocco e classicistico, che non trova facilmente paragoni nella città di Pola, eventualmente delle somiglianze con elementi architettonici dell’edificio dell’ammiragliato in riva oggi sede amministrativa dell’unità d’autogoverno locale della Regione Istriana. A formulare siffatte considerazioni è la storica dell’arte del Museo archeologico, Ondina Krnjak, impegnata assieme al direttore Darko Komšo, nel comitato museale incaricato di seguire i lavori da vicino. Le pagine di storia della Città di Pola raccontano che poco si costruiva nei suoi clivi a cavallo tra il XIX e XX secolo. Ai costruttori risultava
aneddoto di qualche ragazzina che, riposti i ricami era finita, per curiosare dalle finestre delle vicine “case di tolleranza” che abbondavano in via Castropola, con conseguenze ingloriose (leggi rovesciamento di liquami da vaso di notte ad opera delle “signore” importunate) e successive esemplari punizioni a domicilio. Storielle a parte, l’edificio del convento, a differenza della chiesa, ha trovato da tempo un’utilizzazione confacente: dal 1962 è diventato sede della scuola tecnica “Vladimir Božac“. Si diceva che l’ordine delle suore dei Sacri Cuori aveva abbandonato l’Istituto dopo la fine della guerra mondiale e una descrizione
l’edificio sacro, l’opposizione dei vicini alla costruzione del campanile a fianco della facciata sinistra, pianificato ma mai realizzato, la revisione del Piano regolatore della Città di Pola, avevano portato all’insolito orientamento del tempio sacro in direzione sud-orientale, allo spostamento dell’asse di costruzione, fino al cambio di guardia tra progettisti e imprenditori edili. Come spiegato da Ondina Krnjak, il progetto e l’inizio della costruzione della Chiesa dei Sacri Cuori nel 1908 si deve a un ingegnere illustre: Virgilio Volpi e alla sua “Impresa costruzioni edili e deposito materiali di fabbrica”, mentre l’ultimo
prossima presentazione al pubblico non mancherà sicuramente di suscitare stupore. L’inaugurazione dovrebbe avvenire tra un mese con il primo allestimento e presentazione dei reperti rinvenuti nel fertile sito archeologico di via Kandler. Va segnalato, che l’ingresso alla Chiesa dei Sacri Cuori fu precluso ai cittadini dopo il suo abbandono nel secondo dopoguerra, e dopo essere stata adibita a deposito di infinite quantità di materiale e testimonianze storiche (pietre e marmi ora trasferiti a Fort Bourguignon), da quando era stata affidata in usufrutto al Museo archeologico (1958). La rinascita di una siffatta architettura e l’immagine che si presenta oggi all’interno sono a dir poco una scoperta. Una sorpresa dei giorni nostri atta ad insegnare che non è solo il patrimonio antico-medievale meritevole di conservazione, ma anche un edifi-
più interessante disporre edifici fittamente organizzati nella parte bassa del centro storico polese. La Chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a tre navate rappresenta in sostanza l’unico edificio importante costruito tra il 1908 ed il 1910, in cima al Clivo Antoine de Ville, che nell’anteguerra recava il nome di Clivo dei Bonassi (vecchia distinta famiglia polesana). L’area dove venne fatta erigere la chiesa fu acquistata verso la fine del XIX secolo, per essere ceduta all’Istituto delle “reverendissime suore dei Sacri Cuori di Gesù e Maria”, che avevano la casa madre a Roma. La costruzione del loro convento, tra via Castropola ed il clivo dei Gionatasi oggi Cvečić, è antecedente a quella della chiesa e risale al 1899. Testimonianze d’altri tempi raccontano delle “mule polesane” che si recavano in loco per ricamare, e si è memori anche di un piccolo
del Clivo dei Bonassi, ingenua ed idilliaca dell’”Arena di Pola” del 19 novembre 1947, testimonia che le suore erano ancora là: “È forse il più vivace. È sempre inondato dalla luce che gli proviene da via Minerva, che ne è il prolungamento verso l’Arsenale. È un clivo gaio, pieno di vita, con belle casette che hanno i portoni anche sulle solite rampe di gradini. Solo verso l’alto l’atmosfera si fa più silenziosa e pacata. C’è la chiesa dei Sacri Cuori che non si affaccia direttamente sul clivo, quasi mossa da pudore, come le buone suore che la curano e ne fanno un tempio lindo ed accogliente.” Tornando alla faccenda della costruzione della chiesa, è noto che non era stata risolta senza intoppi (molto paragonabili alle odierne sofferte manovre di costruzione). Tergiversazioni attorno al posizionamento e alla progettazione del-
ad assumersi la responsabilità della conclusione dei lavori era stato Domenico Malusà. Fonti illustranti la storia di Pola considerano che la sezione verticale dell’edificio sacro può associare alle Hallenkirche tedesche del XIV secolo, risaltanti un’abside semicircolare. Stando a determinate fonti, si ritiene, che la posizione della chiesa non valorizza la topografia del colle e che lo stesso edificio non riesce a porsi pienamente in evidenza dal momento che non segue la direzione del clivo alla pari della vicina chiesa gotica francescana del XIII secolo. Da qui l’ingiusta mimetizzazione di un’architettura pregiata. Osservare più da vicino, dunque, per credere nella bellezza della “resuscitata”, a cominciare dal suo portale, dalla sovrastante raffigurazione di Cristo in rilievo, per non dire dell’immagine interna, gli effetti luce
dei raggi che si riflettono dalle finestre, il colonnato con capitelli che presentano differenti realizzazioni decorative, la navata centrale abbastanza spaziosa per accogliere un numeroso pubblico, la felice soluzione dei 460 metri quadri di spazi espositivi, allestiti in pianterreno e al primo piano lungo le due navate laterali, considerando che un secondo piano di gallerie con arcate arriva fino al sottotetto, l’altare “sacrificato” per un utilizzo polifunzionale, la cantoria lasciata integra, quale interessante elemento architettonico, altri dettagli di arredo ecclesiastico, la felice soluzione delle “maschere” da applicare alle finestre come pannelli espositivi. Un ambiente così rappresentativo, in definitiva, non si ridurrà a galleria museale, ma è pronto ad ospitare, anche in contemporanea, conferenze, convegni, proiezioni, spettacoli teatrali, a partecipare alle manifestazioni culturali a livello cittadino. La valorizzazione del patrimonio storico è proceduta, naturalmente, a pari passo con l’adattamento alle necessità tecniche odierne. L’ambiente è stato dotato del sistema d’allarme, antincendio, di videocamere, di climatizzatori, di chiusura dell’ingresso principale realizzata in doppio vetro scorrevole all’interno, di accesso mediante rampa da via Castropola e di saliscendi in funzione dei diversamente abili. La facciata di un edificio al lato della chiesa è appena rinnovata per il collocamento di un mega manifesto con il calendario delle future manifestazioni da ospitare 360 giorni all’anno, in collaborazione con la città, la Regione, altri musei ed istituzioni arricchendo in particolare la stagione turistica. Tocco finale per la Chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria sarà l’accensione del sistema di illuminazione a giorno, alla faccia dell’inquinamento luminoso, che la renderà sfacciatamente vistosa e impertinente, sicuramente non più “mossa da pudore come le buone suore”, che non la curano più a differenza del Museo archeologico. Tanto è stato il tempo investito e dopo decenni di recupero non si riesce ancora a quantificare l’importo plurimilionario messo a frutto attingendo esclusivamente dalla cassa museale e dalla vendita dei biglietti d’ingresso per l’Arena. Sicuramente ne è valsa la pena.
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Sabato, 7 maggio 2011
PATRIMONIO Pola riscopre e rivaluta i rifugi antiaerei scavati dall’Austria-Ungheria
Zerostrasse, nel cuore freddo dei colli cittadini di Carla Rotta
D
agli orrori della guerra a itinerario turistico culturale. Tutto sommato è una metamorfosi positiva, che piace. Pola sta trasformando quelli che sono stati i simboli di una potenza politica e militare in una peculiarità turistico culturale, appunto. Le fortezze militari di granitica costruzione austroungarica hanno avuto (non tutte, ma tardi o tosto ci si arriverà) contenuti atti a mantenerle in decorosa vita, ed ora si sta guardando con occhio civile ai rifugi antiaerei, voluti sempre dalla Monarchia. Che cosa c’è dietro la porta, anzi, dietro le tante porte metalliche, che come bocche chiuse non lasciavano trapelare alcunché del passato che celavano? Imboccando via dell’Arsenale per raggiungere la spiaggia, si procede tra le squadrate pietre dell’Arsenale da una parte e la roccia dall’altra e una, due, tre, quattro.... un lungo rosario di porte blindate. La stessa visuale la offre il viale della Stazione. Altre porte blindate in centrocittà. Alle loro spalle lunghi corridoi, freddi e umidi (con parecchie infiltrazioni), budella che a tratti si incontrano, si incrociano e riprendono il loro percorso in direzioni diverse. Come le strade. Ma sono strade. Invece di correre in superficie, si snodano nelle viscere dei colli polesi. Ghiribizzo di qualche urbanista underground? Capriccio di progettisti? No: destino. Quello di una città diventata, essendo principale porto di guerra e ancoraggio della flotta a un soffio dallo scoppio della Prima guerra mondiale, centro strategico militare di importanza cruciale per l’Austria Ungheria. La guerra è attacco, ma è anche difesa. La Monarchia, sentito nell’aria odore di piombo, appronta per la città, il suo porto e l’arsenale un sistema difensivo di prim’ordine: strutture fortificate con relative guarnigioni, fortezze, batterie, feritoie per le mitragliatrici. Pola è una città tutto sommato ben abitata, con una popolazione che si può considerare già numerosa, un elevato numero di soldati ed esperti di vari profili, nella città dell’Arena per le necessità dell’arsenale e dell’esercito. La Corona vuole difendere tutto, im-
pianti e uomini: il sistema difensivo disegnato e realizzato abbraccerà la città in una stretta granitica, da ovest ad est, e chiuderà gli accessi alla città dal mare e dalla terraferma. Le fortezze difendono la città come tale, punti di contrasto con le armi, ma la popolazione? La Monarchia, sempre con il sentore di polvere da sparo nelle narici, dà inizio ad un imponente lavoro di scavo e trivellazione per ricavare nei colli di Pola rifugi sicuri per la popolazione, laddove ce ne fosse stato bisogno. Le prime picconate nel 1914, ma si proseguirà durante tutto il quadriennio di ferro e fuoco. Nascono così, nelle viscere delle collinette cittadine, cunicoli, gallerie e stanzoni che si incontrano, si intrecciano, si dividono, si snodano ciascuna per conto proprio per incontrarsi di nuovo. Là sotto, se gli eventi dovessero richiederlo (e, ahimè, lo richiesero, come la memoria e la storia insegnano), avrebbero trovato riparo e sicurezza donne, vecchi, bambini;
ma la dura roccia avrebbe potuto nascondere e custodire anche armi e munizioni. Non c’è colle che non sia stato morso, rosicchiato, scavato, vuotato di enormi quantità di pietra trasformata in pietrisco e ghiaia. Monte Zaro, Monteparadiso, Monte Ghiro, Castello... Quella che gli austriaci chiamavano Hafenkastell (la fortezza veneziana su colle Castello), era stata adibita a magazzino, caserma e osservatorio. Sotto la fortezza, alcuni vani ospitarono la guarnigione, armi e munizioni, ma furono anche carcere nel quale finirono i soldati nemici fatti prigionieri. Il colle Castello è sventrato da due rifugi – tunnel: uno si trova proprio sotto la fortezza, l’altro nasce ai suoi piedi e per 400 metri corre sotto terra collegando due punti opposti del colle. Da quattro entrate i corridoi convergono in un ampio spazio centrale. Non sono entrate – uscite fatte a caso: la loro posizione consente al sistema un flusso d’aria regolare e co-
stante. La temperatura. Dicevamo che i corridoi sono, oltre che umidi anche freschi (ma certamente non si sarà sindacato sulle condizioni, all’epoca). La temperatura varia da 14 a 18 gradi Celsius (bene d’estate, viene da pensare, ora che l’uso è civile). I corridoi sono larghi da 3 a 6 metri ed alti circa 2 metri e mezzo. Potevano ospitare circa 6mila persone. Messe assieme, tutte le gallerie invisibili, nei quaranta chilometri di rete, potevano accogliere 45mila persone. La guerra venne e passò. Venne un’altra guerra (grande anche questa) e passò anche questa. Entrambe lasciarono una scia di sangue e distruzioni, com’è nella natura di tutte le guerre, del resto. In entrambe i rifugi - tunnel si rivelarono di grande utilità. Nella pace che venne furono lasciati al loro destino; non troppo bello, che li portò ad un accentuato livello di degrado. Qualche piccola porzione venne data in uso a vari scopi (c’è chi ci ha fatto piantagioni di funghi, chi ci ha allestito gallerie d’arte). Alcu-
ni, forzate le porte, sono diventati immondezzai e peggio ancora. Ora sembra sia giunto il momento del riscatto, o perlomeno dell’uso intelligente. Il bunker del colle Castello dovrebbe ospitare la storia dell’aviazione in città. Di nuovo e ancora è storia con l’Aquila bicipite. L’inizio del XX secolo portò novità nel campo dell’aeronautica, novità che trovarono applicazione anche nell’industria militare. Le mongolfiere stavano cedendo il passo all’idroaviazione. Pola sposa il cielo e le ali nel 1910, con l’arrivo in città dell’ingegnere Josef Mickl, che deve progettare e costruire il primo aereo della Marina. Nel 1911 l’aereo volò su Pola, dai Campi di Altura, stazione di volo che chiuse quasi subito sostituita da quella di Santa Caterina, alla quale si aggiunse quella di Fasana. Cosada ebbe il Centro dell’Aeronautica da guerra per la formazione dei piloti della Marina, poi altri basi per idrovolanti nacquero... ma questa è un’altra storia. Ve la racconteremo.
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Sabato, 7 maggio 2011
PILLOLE Frammenti che oggi, se letti attentamente, possono rivelarci tantissime cose
Un viaggio nel passato attraverso le cartoline d’epoca di Roberto Palisca Il castello di Buccari
U
n tempo magari capitava che, aprendo vecchie scatole o valigie di cartone finite in qualche angusta soffitta o in una cantina umida e impolverata, si ritrovassero vecchie foto e cartoline dimenticate dal tempo e dalla mente. Se ne stavano sempre lì, come se aspettassero un giorno di essere ritrovate. Oggi, nell’era di Internet, siamo convinti che possa accadere difficilmente. Forse se si ha ancora la fortuna di avere una nonna o una zia molto anziane che, per nostalgia dei tempi andati e della gioventù, conservano ancora gelosamente, in qualche vecchio baule, le cartoline e la corrispondenza del loro primo amore. In solaio o in cantina (sempre che si abbia la fortuna di averli) le nuove generazioni conservano tutt’al più un vecchio televisore o un computer. Tutto il resto ormai sta in rete. E in rete, guarda caso, si trovano ormai anche tantissime cartoline d’epoca. Immagini illustrate, spedite e viaggiate, che ci raccontano, in maniera discreta, diretta e immediata. come eravamo. Compaiono sui siti specializzati nelle vendite all’asta. Sono insomma sul mercato, a prezzi che a volte arrivano a somme inimmaginabili. Sono là per la gioia di un esercito di appassionati collezionisti ma anche per quella di chi, come noi, si accontenta di osservarle e riflettere. E a chi non è un patito e non ha pretese di impadronirsi a tutti i costi delle copie originali, basta un clic per scaricarle sul proprio personal, ingrandirle e guardarle. Ed è come sfogliare un libro aperto. Un immenso volume illustrato di squarci tra il passato e l’oggi, che ci parla dei tempi che furono, di come cambiano i luoghi, la vita quotidiana, i vestiti che si indossano, le comodità che si hanno. Ma guarda! Là c’era un tempo un albergo. Là invece una fontana. E là ancora un ristorante, un negozio, un palazzo che non esiste più, la fermata del tram. Città trasformate dal tempo e dagli uomini che le hanno abitate. Ed è questo l’argomento di cui vogliamo parlare in questo ciclo di servizi che dedichiamo alle vecchie cartoline dei nostri luoghi: un viaggio nel passato di Fiume, Pola, delle località delle isole del Quarnerino, dell’Istria e della Dalmazia. Poiché sono davvero tante, ve le presenteremo a seconda di una
certa cernita, scegliendole di volta in volta per località, tema, paesaggio, editore. Prima di incamminarci in questo lungo viaggio ci è parso tuttavia opportuno soffermarci per un attimo anche sulla storia della cartolina illustrata, che è naturalmente legata a quella della fotografia. La data più importante per la storia della fotografia in tutto il mondo è il 1929, anno in cui il francese Louis Jacques Mandé Daguerre definì la tecnica che porta a tutt’oggi il suo nome. La dagherrotipia fu un perfezionamento dell’eliografia di Niepce. Messo al corrente sui dettagli del procedimento eliografico di quest’ultimo, Daguerre lo perfeziona riducendolo a un’unica prova su lastra di rame argentata, sensibilizzata con vapori di iodio e “sviluppata” con vapori di mercurio. Dopo che il procedimento di Daguerre venne reso pubblico nel 1839, il dagherrotipo si diffuse in tempi brevi in tutta Europa. Parallelamente al dagherrotipo altre ricerche portarono verso la riproduzione dell’immagine su carta trattata con sali d’argento. Contemporaneamente ai ritratti vengono scattate fotografie di paesaggi e scene di vita quotidiana. Erano gli esordi delle prime cartoline. Anche se le notizie sulle origini della cartolina sono piuttosto scarse e discordanti. Per quanto riguarda la cartolina intesa come forma di corrispondenza nel suo particolare formato ridotto e senza immagini, le versioni sono alcune. Certi studiosi la fanno risalire al 1870, ovvero ai tempi della guerra francoprussiana, quando per far fronte alla sempre maggiore richiesta di carta per lettere da parte dei soldati due librai, Schwartz di Oldenburg in Germania e Leon Besnardeau di Sarthe in Francia, avrebbero iniziato a utilizzare materiale di scarto realizzando cartoncini di questo particolare formato. Secondo un’altra versione l’idea sarebbe da attribuire invece a un alto funzionario delle Poste prussiane. Un certo Henrich von Stephan, che avrebbe proposto l’adozione di un cartoncino preaffrancato preparato dall’Amministrazione postale da spedire senza busta a tariffa ridotta. Altre fonti attribuiscono infine l’idea a un professore di economia viennese. Un certo dottor Emanuel Hermann che, studiando l’efficienza del servizio postale austriaco, per far aumentare il traffico e di conseguenza anche i guadagni, intorno al 1870
Pola: la chiesa della Madonna del mare in una cartolina edita senz’altro prima del 1918. In primo piano la gradinata che da via San Policarpo sale verso il Santuario detto anche della Marina, costruito nell’ultimo decennio del 19.esimo secolo. Accanto alla costruzione sacra l’elegante campanile, alto 30 metri, sulla cui cima s’erge la statua di bronzo di un angelo con le ali spiegate. La chiesa della Marina venne solennemente inaugurata il 2 dicembre del 1898, in occasione dei 50 anni del regno di Francesco Giuseppe I. Costruita in stile neoromanico-bizantino, secondo un progetto dell’architetto Natale Tommaso, è stata consacrata nel 1908. E dedicata alla memoria di tutte le navi affondate e dei marinai deceduti. L’intera suggerì di introdurre la possibilità costruzione è all’insegna del mare e dei marinai: dal portale scolpito con di inviare messaggi più brevi e ra- bassolirilievi a mo’ dei nodi marinari, alle pitture parietali pidi. La sua proposta fu accolta e il 1.mo ottobre del 1869 venne emessa la prima cartolina: un cartoncino formato tascabile, bianco sia sul fronte che sul retro. L’idea ebbe subito grande successo e la cartolina ben presto venne preferita alla lettera di vecchio stampo, per spedire la quale (all’epoca non esistevano ancora le buste) si doveva ricorrere anche all’uso della ceralacca o della colla arabica. La cartolina postale è riservata inizialmente al solo uso interno nello Stato di emissione. La circolazione internazionale è ammessa dal 1.mo luglio del 1875, quando entra in vigore il Trattato dell’Unione Postale Generale, che era stato firmato da 22 paesi a Ber- Pola: l’Arena, in una cartolina del 1916 edita a Praga da M. Schulz. In prina il 9 ottobre 1874. La transizio- mo piano il Parco Regina Valeria, che all’epoca (1890-1893) rappresentava ne dalla semplice cartolina postale il massimo dell’arte giardiniera. I duemila fiorini spesi per allestirlo vennero emessa dall’Amministrazione po- stanziati grazie ad un Decreto civico del 1890. Di forma triangolare, abbellito stale a quella illustrata e di produ- da lauri, bossi, viburni e ligustri, era ed è rimasto a tutt’oggi uno dei punti di zione privata è tuttavia graduale. riferimento per tutti i visitatori dell’Arena. Il motivo centrale nel parco era All’inizio sulle cartoline compaio- in origine una fontana ornamentale sulla quale, nel 1897, venne installato un no semplici cornici. In seguito di- Amorino in bronzo, sostituito, nel 1904, dala statua dell’imperatrice Elisasegni più elaborati. Infine immagini betta, qui ben distinguibile. Questa venne tolta nel 1934 per essere sostituita, e fotografie. I primi modelli su car- nel 1940, con una lupa romana con Romolo e Remo (all’epoca mutò pure il toncino, avevano una facciata inte- nome del parco, che fu intestato al principe Umberto) e quindi, nel 1953, con ramente dedicata all’indirizzo e al- il monumento al marinaio, in omaggio alla Rivolta marinara del 1918 l’affrancatura (come il frontespizio di una lettera); i mittenti erano obbligati ad inserire il testo in un apposito spazio bianco, vicino all’immagine. In Italia la tipografia Danesi pubblica le prime nel 1882. È nel 1902, tuttavia e in Gran Bretagna, che avviene l’ultima rivoluzione che porta alla cartolina con l’aspetto che conosciamo, attraverso l’introduzione del retro diviso (divided back), con a destra lo spazio riservato all’indirizzo e all’affrancatura e a sinistra uno spazio bianco per le comunicazioni del mittente. In questo modo l’altro verso della cartolina rimane completamente a disposizione della fotografia. Secondo l’opinione più accreditata sarebbe Cartolina commemorativa edita a Fiume in occasione del 50.esimo antuttavia la Francia la patria d’origi- niversario della Rivoluzione di Vienna. “Grüß aus Fiume den: Maggio ne della cartolina illustrata ed il suo 1898”. Caris. Emilio - rispondeva un certo Enrico al suo interlocutore ideatore sarebbe stato un cartolaio e e amico – Grazie per la bellissima cartolina però mi rincresce che l’hai libraio di nome Léon Besnardeau, guastata. Con lo troppo scrivere hai coperto anche l’illustrazione! Scriresidente a Sillé-le-Guillaume. vi meno sulla cartolina e scrivimi piuttosto qualche lettera separata, che (1 e continua) avrò più piacere. Tanti saluti da Enrico” Anno VII / n. 54 del 7 maggio 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: STORIA E RICERCA Redattore esecutivo: Ilaria Rocchi / Impaginazione: Vanja Dubravčić Collaboratori: Arletta Fonio Grubiša, Daniela Jugo Superina, Kristjan Knez, Roberto Palisca e Carla Rotta; Foto: Arletta Fonio Grubiša, Carla Rotta e Ivo Vidotto La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 2008, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009