Indice LEGENDA
CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ
UNITÀ I
POTERI E CONFLITTI
ECONOMIA, DEMOGRAFIA E SOCIETÀ
IDEOLOGIE E PROGETTI POLITICI
STORIA E IDENTITÀ DI GENERE
PERCORSI DI STORIA LOCALE
PERCORSI DI STORIA EUROPEA
CONTRASTI POLITICI
La prima guerra mondiale
1 Le origini del conflitto
2 4
1.1 Il congresso di Berlino, 4 – 1.2 Il sistema delle alleanze, 5 – 1.3 Il piano Schlieffen, 7 – 1.4 La flotta da guerra tedesca, 8 – 1.5 La politica di potenza tedesca, 9 – 1.6 La polveriera balcanica, 10
2 L’inizio delle ostilità e la guerra di movimento
12
2.1 L’attentato di Sarajevo, 12 – Documenti: La fiducia nel sistema delle alleanze, 14 – 2.2 Le decisive scelte tedesche, 14 – 2.3 L’euforia collettiva dell’agosto 1914, 15 – Documenti: L’inizio della guerra, nelle memorie di Hitler, 16 – 2.4 La comunità nazionale, 17 – 2.5 L’invasione del Belgio, 18 – 2.6 La fine della guerra di movimento, 18 – Documenti: Il comandante in capo moderno, 19
3 Guerra di logoramento e guerra totale
20
3.1 La guerra di trincea, 20 – Documenti: La disillusione dei combattenti, 21 – 3.2 Le battaglie di Verdun e della Somme, 22 – 3.3 Una guerra di logoramento, 23 – 3.4 La guerra sottomarina, 25
4 Intervento americano e sconfitta tedesca
26
4.1 Rivolte e ammutinamenti, 26 – Documenti: Il malcontento delle truppe francesi, 26 – 4.2 Il crollo della Russia, 28 – 4.3 L’intervento degli Stati Uniti, 30 – VISTO DA VICINO: La spagnola, 31 – 4.4 Significato storico dell’intervento americano, 32 – 4.5 La fine del conflitto, 33 – Documenti: Le disperate condizioni dell’esercito tedesco nel 1918, 34 – E SE… la Germania avesse vinto la prima guerra mondiale?, 35
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il ruolo della ferrovia nella prima fase del conflitto, 36 – 2 La mentalità militare francese all’inizio del Novecento, 37 – 3 La guerra chimica, 38 – 4 La battaglia della Somme: problemi telefonici e medici, 39 – 5 La guerra sottomarina, 40
Ipertesto 1 Guerra e identità di genere Il concetto borghese di rispettabilità, 42 – L’ideale virile neoclassico, 42 – Il movimento femminile all’inizio del XX secolo, 43 – Donne e lavoro nella prima guerra mondiale, 44 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Una falsa partenza, 45 – 2 Donne e prima guerra mondiale in Francia, 46
42
III
Avvio graduale al saggio breve Socialismo e nazionalismo nell’estate del 1914
48 51
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Ipertesto A
Eroismo e disincanto nella letteratura di guerra inglese
Cimiteri di guerra e monumenti ai caduti, 1 – La morte industriale, 3 – L’esperienza militare di Tolkien, 4 – Documenti: Tolkien e il trauma della guerra, 4 – Tolkien e il mantello della mitologia, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La guerra di trincea e la personalità del soldato, 6 – 2 La narrativa di Tolkien dopo la battaglia della Somme, 7
Ipertesto B
Il mito dell’esperienza bellica in Germania
Il mito di Langemarck, 1 – Documenti: Il mito di Langemarck nella letteratura nazionalista, 1 – Rabbia e delusione dei soldati, 2 – Documenti: La denuncia dell’assurdità della guerra, 3 – Ernst Jünger: la guerra come festa, 4 – Il combattente come uomo nuovo, 5 – Documenti: In attesa dell’assalto, 6 – L’individuo e le masse, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Guerra, individualità e virilità, 8 – 2 La baionetta e i miti del guerriero, 9
UNITÀ II
IV
L’Italia nella Grande Guerra
1 Il problema dell’intervento
52 54
1.1 La scelta della neutralità, 54 – 1.2 I sostenitori della neutralità, 55 – 1.3 Gli interventisti di sinistra, 57 – Documenti: Dalla guerra alla rivoluzione, 57 – 1.4 I nazionalisti, 59 – 1.5 Gli intellettuali, 60 – Documenti: L’esaltazione della guerra, 62
2 L’Italia in guerra
63
2.1 Un nuovo stile politico, 63 – 2.2 Il Patto di Londra, 64 – 2.3 Il «maggio radioso», 66 – E SE… l’Italia non avesse combattuto contro l’Austria-Ungheria?, 67
3 La guerra dei generali
68
3.1 Il generale Cadorna, 68 – 3.2 La guerra alpina, 69 – Documenti: L’assalto frontale, 70 – 3.3 Le battaglie dell’Isonzo, 71
4 Da Caporetto a Vittorio Veneto
73
4.1 L’Italia nella guerra globale, 73 – 4.2 L’offensiva austro-tedesca, 73 – Documenti: L’ingorgo sui ponti del fiume Tagliamento, durante la ritirata verso il Piave, 75 – 4.3 Entità e cause della disfatta, 76 – 4.4 Il dibattito politico dopo Caporetto, 76 – 4.5 L’ultimo anno di guerra, 78 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo breve, 80
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
Le origini della liturgia politica di massa, 81 – 2 La dottrina militare del generale Cadorna, 82 – 3 Profughi civili e sfollati dopo la disfatta di Caporetto, 83 – 4 Lo slittamento verso destra della politica italiana dopo Caporetto, 85
Ipertesto 1 Poeti e intellettuali di fronte alla guerra Guerra-farmaco e guerra-rivolta, 86 – Documenti: La guerra come rottura di tutte le regole, 87 – La guerra della retorica, 88 – Poeti in guerra e poeti di guerra, 89 – Documenti: Poeti italiani di fronte alla guerra, 90 – Un anno sull’altipiano, 91 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La guerra-festa di Marinetti, 93 – 2 Un anno sull’altipiano: la genesi del libro, 94
86
Ipertesto 2
Contadini-soldati, tra repressione e propaganda
96
Il bisogno di scrivere, 96 – L’apparato repressivo delle autorità, 97 – Documenti: La disciplina di guerra secondo il comando supremo dell’esercito italiano, 98 – Autolesionismo e prigionia, 99 – Documenti: La sentenza di condanna a morte di un soldato, 99 – Ammutinamenti e fucilazioni, 100 – Documenti: La repressione dell’ammutinamento della brigata Catanzaro, 100 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il fenomeno dell’autolesionismo, 103 – 2 Guerra e follia, 104
Avvio graduale al saggio breve Soldati e autorità militari nella guerra italiana
106 109
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Ipertesto A
Guerra e identità di genere in Italia
Donne e lavoro, 1 – Prostitute e soldati, 2 – Le madri dei soldati, 4 – La guerra dei simboli, 4 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 I postriboli per militari, 6 – 2 Madri e figli soldati, 7
Percorsi di storia locale
Mussolini e De Gasperi nel Trentino austriaco
Mussolini in Trentino, 1 – Mussolini e la vita politica trentina, 2 – De Gasperi e la vita politica trentina, 3 – Documenti: L’impegno sociale cattolico, 4 – Il problema della nazionalità, 4 – Documenti: Il richiamo alle armi dei trentini, 5 – Il Trentino durante la guerra, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 I cattolici trentini fra senso della nazionalità e fedeltà all’impero, 6 – 2 Il Trentino sotto amministrazione militare, durante la guerra, 8
UNITÀ III
Il comunismo in Russia
1 La rivoluzione di febbraio
V 110 112
1.1 L’arretratezza della Russia, 112 – 1.2 La crisi del sistema, 114 – 1.3 I soviet, 115 – 1.4 Menscevichi e bolscevichi, 117 – 1.5 Lenin e le tesi di aprile, 118 – Documenti: Le tesi di aprile, 118
2 La rivoluzione d’ottobre
121
2.1 La rivoluzione contadina, 121 – Documenti: Il bolscevismo di trincea, 122 – 2.2 Il governo Kerenskij, 123 – Documenti: La dittatura del proletariato, 124 – 2.3 Stato e rivoluzione, 125 – 2.4 L’estinzione dello Stato, 126 – Documenti: L’utopia comunista, 127 – 2.5 La conquista del potere, 128 – 2.6 La dittatura del partito bolscevico, 130 – Documenti: I metodi della CEKA, 131 – 2.7 L’ultima opposizione di sinistra, 131 – E SE… Lenin non avesse fatto la rivoluzione?, 133
3 Comunismo di guerra e Nuova politica economica
134
3.1 La guerra civile, 134 – Documenti: I falsi Protocolli dei savi anziani di Sion, 137 – 3.2 Il comunismo di guerra, 138 – 3.3 L’Internazionale comunista, 139 – 3.4 La rivolta di Kronstadt, 141 – 3.5 La Nuova politica economica, 142
4 Stalin al potere 4.1 Morte di Lenin e lotta per la successione, 144 – 4.2 L’industrializzazione della Russia, 145 – 4.3 I kulaki e la loro deportazione, 147 – Documenti: La condizione dei kulaki deportati, 148 – 4.4 La collettivizzazione delle campagne, 149 – Documenti: Le memorie di un attivista comunista impegnato nella requisizione del grano in Ucraina, 150 – Documenti: Rapporti dell’ambasciatore italiano a Mosca, 151 – 4.5 Il Grande terrore, 152 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo dei fenomeni di massa, 154
144
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
La repressione della rivolta di Tambov e il lancio della NEP, 156 – 2 Stalin verso la conquista del potere, 157 – 3 La grande carestia del 1932-1933, 159 – 4 Dimensioni e caratteri della violenza staliniana, 160
Ipertesto 1 Scrittori e intellettuali russi di fronte alla rivoluzione
162
Un popolo tra Europa e Asia, 162 – Documenti: La costruzione dell’uomo nuovo sovietico secondo Trockij, 163 – Isaak Babel´, dal successo alla tragedia, 164 – Documenti: La ritrattazione di Babel´, 164 – I compromessi di Gor´kij con il potere, 165 – Anna Achmatova, 167 – Documenti: Requiem, di Anna Achmatova, 168 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le critiche di Gor´kij ai bolscevichi, 169 – 2 Anna Achmatova e la cultura russa durante la seconda guerra mondiale, 170
Avvio graduale al saggio breve La deportazione dei kulaki
172 175
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Ipertesto A
Comunismo e identità di genere
La rivoluzione dei ruoli e dei comportamenti, 1 – Innovazioni nel diritto di famiglia, 2 – Documenti: Le perplessità di Lenin sul libero amore, 3 – Le nuove rigidità staliniane, 4 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Donne e famiglie in URSS negli anni Trenta, 5 – 2 Donne in lager, 6
Ipertesto B
VI
Arte e propaganda tra rivoluzione e stalinismo
Avanguardia e rivoluzione, 1 – Documenti: Il poema Lenin, di Vladimir Majakovskij, 2 – Culto di Lenin e mito di Stalin, 3 – Il Paese più felice del mondo, 4 – Cinema e potere in URSS, 6 – Il leader infallibile, 7 – Documenti: La mentalità dei militanti comunisti in URSS negli anni Trenta, 9 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La costruzione del Belomorkanal tra propaganda e realtà, 10 – 2 L’impostazione del realismo socialista, 11 – 3 Il discorso di Stalin del 3 luglio 1941, 13
Ipertesto C
GULag:
il sistema concentrazionario sovietico
Le origini del sistema, 1 – Il lager delle isole Solovki, 3 – Documenti: Un ritratto delle isole Solovki, 4 – Lo sviluppo del sistema concentrazionario, 5 – Documenti: Il sistema delle razioni, 6 – Il canale Mar Bianco-Mar Baltico, 7 – Documenti: Il freddo estremo di Kolyma, 8 – La ramificazione del sistema, 9 – Il GULAG durante la guerra, 9 – Documenti: La fame, 10 – La vittoria di Stalin, 11 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La vita nei lager sovietici, 12 – 2 Le funzioni economiche del GULag, 14
UNITÀ IV
Il fascismo in Italia
1 L’Italia dopo la prima guerra mondiale
176 178
1.1 Le delusioni della vittoria, 178 – 1.2 D’Annunzio, Fiume e la vittoria mutilata, 179 – 1.3 La situazione economica e sociale, 181 – 1.4 Un governo debole, una nazione divisa, 183 – 1.5 Le contraddizioni dei socialisti, 184 – Documenti: La rivoluzione contro il Capitale, 186 – 1.6 Il Partito popolare, 187
2 Il movimento fascista 2.1 Benito Mussolini, 189 – 2.2 Il programma del 1919, 190 – Documenti: Il programma di San Sepolcro, 191 – 2.3 L’ultimo governo Giolitti, 193 – 2.4 La nascita del Partito comunista, 194 – 2.5 Lo squadrismo agrario, 195 – 2.6 Caratteristiche delle squa-
189
dre d’azione, 197 – 2.7 La nascita del Partito nazionale fascista, 198 – 2.8 La marcia su Roma, 199 – 2.9 La conquista dello Stato e della nazione, 201 – Documenti: La precoce denuncia delle ambizioni dittatoriali del fascismo, 201 – 2.10 Il delitto Matteotti, 202 – E SE… il re si fosse opposto a Mussolini?, 204
3 Lo Stato totalitario
206
3.1 La distruzione dello Stato liberale, 206 – Documenti: La condizione dei deportati al confino, 207 – Documenti: La dottrina del fascismo, 208 – 3.2 La nazione e lo Stato, 209 – 3.3 La mobilitazione delle masse, 210 – 3.4 Il Duce, lo Stato e il Partito, 211 – 3.5 La costruzione dello Stato totalitario, 212 – 3.6 L’uomo nuovo fascista, 213 – 3.7 Il razzismo fascista, 214 – 3.8 Le leggi razziali, 215
4 Lo Stato corporativo
217
4.1 La negazione della lotta di classe, 217 – 4.2 La politica economica del regime, 218 – 4.3 Lo Stato industriale e banchiere, 219 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo delle ideologie, 220
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
La svolta ideologica e politica di Mussolini nel 1918, 222 – 2 I socialisti italiani e la vittoria del fascismo, 223 – 3 Il partito unico, alla conquista della nazione e dello Stato, 224 – 4 Gli anni del consenso (1928-1936), 226 – 5 Bilancio del razzismo fascista, 227 – 6 Corporativismo e gestione della vita economica nell’ideologia fascista, 229
Ipertesto 1 Le origini dell’ideologia fascista
230
Il fascismo e la tradizione reazionaria, 230 – L’influenza del nazionalismo, 231 – Documenti: Il disprezzo per il sistema parlamentare, 233 – L’influenza del sindacalismo, 233 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Fiume: la festa della rivoluzione, 234 – 2 Le complesse radici dell’ideologia fascista, 236
Avvio graduale al saggio breve Il culto del Duce
VII 238 241
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Ipertesto A
Fascismo e identità di genere
Il movimento fascista e le donne, 1 – Libertà sessuale per i dominatori, 2 – L’incremento della stirpe, 3 – Documenti: La battaglia demografica del regime fascista, 4 – L’ideale femminile fascista, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Donna e famiglia nell’ideologia fascista, 6 – 2 I paradossali esiti della mobilitazione femminile, 7
Ipertesto B
La Chiesa cattolica e il fascismo
Il giudizio sul mondo moderno, 1 – La Chiesa e il fascismo: i patti lateranensi, 1 – La differente valutazione degli accordi del Laterano, 2 – Il problema delle leggi razziali, 4 – Documenti: Vescovi e sacerdoti a Palazzo Venezia, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il giudizio di Pio XI sugli accordi del Laterano del 1929, 6
Percorsi di storia locale
Lo squadrismo in Emilia-Romagna
Lo sciopero dei braccianti e i fatti di Bologna, 1 – Documenti: Bologna 21 novembre 1920: un movimento di svolta, 2 – La riscossa degli agrari, 4 – Contrasti interni al movimento fascista, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Lo scontro sociale nelle campagne emiliane, 7 – 2 Lo squadrismo a Ferrara, 9 – 3 L’occupazione dei centri urbani, 10
UNITÀ V
Il nazionalsocialismo in Germania
1 La Repubblica di Weimar
242 244
1.1 La leggenda della pugnalata alla schiena, 244 – Documenti: I Freikorps nelle memorie di Rudolf Höss, 244 – 1.2 La paura della rivoluzione, 246 – 1.3 Le violenze dei Corpi franchi a Berlino e a Monaco, 247 – Documenti: Il socialfascismo, 248 – 1.4 L’Assemblea costituente, 249 – 1.5 Il trattato di Versailles, 250 – 1.6 L’inflazione del 1923, 252
2 Adolf Hitler e Mein Kampf
253
2.1 La formazione a Vienna e a Monaco, 253 – Documenti: L’antisemitismo della ragione, 254 – 2.2 Il Partito nazionalsocialista, 255 – 2.3 Il bolscevismo giudaico, 256 – Documenti: Gli ebrei responsabili della sconfitta tedesca del 1918, 258 – Documenti: Ebrei e marxisti devono essere eliminati, 259 – 2.4 Il razzismo di Hitler, 260 – Documenti: La concezione razzista di Hitler, 262
3 La conquista del potere
263
3.1 I successi elettorali del Partito nazista, 263 – 3.2 Le ragioni del successo nazista, 264 – Documenti: Germania, 1930: un Paese sull’orlo della guerra civile, 264 – 3.3 La presa del potere e l’incendio del Reichstag, 267 – Documenti: Popolo e individuo secondo Joseph Goebbels, 268 – 3.4 L’assunzione dei pieni poteri, 269 – 3.5 Il Führer e lo spazio vitale, 270 – Documenti: Lo Stato razziale, 271 – Documenti: Lo spazio vitale a Est, 272
4 Il regime nazista
VIII
274
4.1 Lo scontro con le SA, 274 – 4.2 I lager nazisti, 276 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo dei campi di concentramento, 278 – Documenti: Evoluzione della funzione dei lager, 280 – 4.3 Il problema della disoccupazione, 281 – 4.4 I costi della ripresa economica, 282 – 4.5 Economia e politica nel Terzo Reich, 283 – E SE… Hitler non avesse scatenato la guerra?, 284
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 L’antisemitismo redentivo di Hitler, 285 – 2 Le ragioni dei successi elettorali del partito nazista, 286 – 3 Il culto del Führer al centro del nazismo, 287 – 4 Il fascino delle liturgie di massa, 288 – 5 La politica economica del Terzo Reich, 289 – 6 Mito del Führer e consenso nel Terzo Reich, 290
Ipertesto 1 La persecuzione degli ebrei tedeschi (1933-1939)
292
La struttura di potere nazista, 292 – Documenti: «Lavorare in funzione del Führer», 293 – La persecuzione degli ebrei in Germania, 294 – Le leggi di Norimberga, 295 – Documenti: Minacce di Hitler contro gli ebrei, 295 – La notte dei cristalli, 296 – I provvedimenti di esclusione, 298 – Documenti: La riunione al vertice del 12 novembre 1938, 298 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il sistema di potere nel regime nazista, 300 – 2 L’arianizzazione dell’economia tedesca: moderati e radicali, 302
Avvio graduale al saggio breve Caratteri e specificità della violenza nazista
304 307
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Ipertesto A
Nazismo e identità di genere
Uomini e donne nel movimento nazista, 1 – Donne, casa e famiglia, 2 – Documenti: La concezione nazista della donna, 3 – Politica razziale e repressione, 4 – Documenti: La protesta di una donna tedesca condannata alla sterilizzazione, 5 – La repressione del dissenso giovanile, 6 – Documenti: Gli Swingkids di Amburgo in un rapporto di
polizia del febbraio 1940, 8 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 SS: una comunità di uomini e donne, 8 – 2 La persecuzione degli omosessuali tedeschi, 10 – 3 Hitlerjugend e Swingkids: due modi di essere giovani nella Germania nazista, 11
Ipertesto B
Il Terzo Reich e la fisica tedesca
Heisenberg e la fisica tedesca negli anni Venti, 1 – Il principio di indeterminazione, 1 – La polemica di Einstein contro il nazismo, 3 – Lo scontro di Heisenberg con i teorici della fisica tedesca, 4 – Documenti: La lettera di Himmler a Heisenberg, 5 – La ricerca nucleare tedesca durante la guerra, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La polemica contro la fisica ebraica in Germania, 7 – 2 Licenziamenti e cinismo nel mondo accademico tedesco, 8 – 3 Il compromesso di Heisenberg con il regime nazista, 9
Ipertesto C
Le Chiese tedesche di fronte al Terzo Reich
La Chiesa cattolica in Germania, 1 – Chiesa e regime nazista durante la seconda guerra mondiale, 2 – Documenti: La ricerca di punti d’incontro tra Chiesa e Reich, 3 – Documenti: Un volantino della Rosa Bianca, 4 – I Cristiani tedeschi, 5 – Documenti: Una dichiarazione teologica dei Cristiani tedeschi, 6 – La Chiesa confessante, 7 – L’opposizione politica di Dietrich Bonhoeffer, 9 – Documenti: Confessione di colpa, 10 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Chiesa, comunismo e regime nazista, 11 – 2 I preparativi della cospirazione contro Hitler, 12
UNITÀ VI
Economia e politica tra le due guerre mondiali
1 La grande depressione
308 310
1.1 I ruggenti anni Venti negli Stati Uniti, 310 – 1.2 L’industria americana negli anni Venti, 312 – 1.3 L’inizio della crisi economica, 314 – 1.4 Il New Deal, 316 – Documenti: Il discorso sull’individualismo di Herbert Hoover, 316 – Documenti: Il discorso inaugurale di Roosevelt, 317 – 1.5 L’incontro di liberalismo e democrazia, 319
2 Lo scenario politico internazionale negli anni Venti e Trenta
320
2.1 La Società delle nazioni, 320 – 2.2 I trattati di Rapallo e di Locarno, 321 – 2.3 La politica estera tedesca tra il 1933 e il 1936, 323 – 2.4 La conquista italiana dell’Etiopia, 324 – Documenti: Mussolini annuncia l’inizio della guerra d’Etiopia, 324
3 La guerra civile spagnola
326
3.1 La situazione economica e sociale, 326 – 3.2 Dalla repubblica alla guerra civile, 327 – 3.3 L’insurrezione dei militari, 328 – 3.4 La Chiesa, la guerra e le violenze anticlericali, 330 – 3.5 La guerra e lo scenario internazionale, 331 – Documenti: Gli sconfitti nei campi francesi, 331
4 Verso la guerra 4.1 La politica estera tedesca negli anni 1937-1938, 334 – Documenti: Le illusioni di Chamberlain, 335 – 4.2 Il patto di non aggressione russo-tedesco, 336 – Documenti: Lo sconcerto dei russi, dopo il patto Molotov-Ribbentrop, 337 – E SE… la guerra fosse scoppiata nel 1938?, 339
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
L’isolazionismo americano negli anni Trenta, 340 – 2 Le conseguenze della crisi economica in Giappone, 341 – 3 Terrore nazionalista e violenza repubblicana, 343 – 4 L’ambigua politica britannica nei confronti della Germania nazista, 344 – 5 Le reazioni di Hitler alla conferenza di Monaco, 345 – 6 Germania e URSS verso il patto di non aggressione, 346
334
IX
Ipertesto 1 La violenza fascista in Etiopia
348
Una guerra nazionale e di massa, 348 – L’offensiva militare, 349 – La resistenza etiopica, 351 – Documenti: L’impiego dei gas in Etiopia, 352 – La propaganda di regime, 353 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La brutalità degli italiani in Etiopia, 354 – 2 La memorialistica della guerra d’Etiopia, 356 – 3 Colonialismo e identità di genere, 358
Avvio graduale al saggio breve La crisi del 1929 e le sue conseguenze
360 363
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Ipertesto A
I problemi dell’Inghilterra negli anni Venti
La nascita del Partito laburista, 1 – Il movimento operaio inglese durante la guerra, 2 – L’indipendenza dell’Irlanda, 3 – Il declino economico dell’Inghilterra, 5 – La forza della democrazia inglese, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La vita politica inglese negli anni Venti e Trenta, 7
Ipertesto B
Il movimento comunista in Europa negli anni Trenta
La svolta di Stalin, 1 – Documenti: Il fascismo secondo l’Internazionale comunista, 2 – Il Fronte popolare in Francia, 2 – Stalin e la guerra di Spagna, 4 – Documenti: La polemica di Orwell contro le bugie della propaganda stalinista, 5 – Documenti: La retata contro la Schiuma della terra, 6 – Il trauma del patto di non aggressione URSSGermania, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il Fronte popolare in Francia, 9 – 2 La strategia del Fronte popolare, 11 – 3 Le Brigate internazionali, 12 – 4 Il ruolo ambiguo del concetto di antifascismo, 14
Ipertesto C X
La Polonia tra Germania e URSS
La rinascita dello Stato polacco, 1 – I confini orientali, 2 – I problemi economici e sociali del nuovo Stato, 3 – Documenti: Appello dei vescovi polacchi, 4 – Antisemitismo istituzionale e discriminazione, 5 – Tra due nemici, 6 – Documenti: Proclama del partito socialista polacco, 7 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Nazionalismi in competizione, 8 – 2 Polacchi ed ebrei tra le due guerre, 10
UNITÀ VII
La seconda guerra mondiale
1 I successi tedeschi in Polonia e in Francia
364 366
1.1 La guerra lampo in Polonia, 366 – 1.2 L’intervento sovietico, 367 – Documenti: La guerra lampo, 368 – 1.3 La guerra in Occidente nel 1940, 370 – Documenti: Il dramma dei profughi nel giugno 1940, 372
2 L’invasione dell’URSS
373
2.1 La situazione nell’Europa orientale, 373 – 2.2 Progetti, premesse e motivazioni dell’attacco tedesco in URSS, 374 – Documenti: Direttive per la guerra sul fronte orientale, 374 – Documenti: Le direttive del feldmaresciallo von Reichenau, 376 – 2.3 Successi e limiti dell’offensiva sul fronte orientale, 376 – Documenti: Indifferenza e razzismo nei confronti dei prigionieri russi, 378 – 2.4 Il progressivo allargamento del conflitto nel 1941, 379
3 La guerra globale 3.1 L’entrata in guerra di Giappone e Stati Uniti, 381 – 3.2 Stalingrado, 382 – Documenti: Un cronista russo a Stalingrado, 384 – 3.3 L’organizzazione della produzione bellica in Germania, 385 – 3.4 Le conferenze di Teheran e di Casablanca, 387
381
4 La sconfitta della Germania e del Giappone
388
4.1 Estate 1944: sbarco in Normandia e offensiva sovietica, 388 – E SE… Hitler avesse vinto la guerra?, 390 – 4.2 La fine della guerra in Europa, 391 – Documenti: L’agonia di Berlino, 392 – 4.3 La fine della guerra in Asia, 394 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo doppio, 396
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
Hitler e i generali tedeschi alla vigilia dell’invasione della Polonia, 398 – 2 Governo sovietico e movimento comunista nel primo anno di guerra, 399 – 3 Fronte orientale e fronte occidentale, 400 – 4 Roosevelt dall’isolazionismo all’intervento, 401 – 5 La battaglia dell’Atlantico, 403 – 6 Stalingrado, 404 – 7 Guerra, morale e propaganda, 405
Ipertesto 1 Le origini della bomba atomica La fissione nucleare, 407 – Documenti: La lettera di Einstein a Roosevelt, 408 – L’uranio e i suoi isotopi, 409 – Little boy e Fat man, 410 – Documenti: Scienza ed etica dopo l’atomica, 411 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il test di Alamogordo, 412 – 2 Le reazioni dopo il lancio delle bombe, 414
407
Avvio graduale al saggio breve Le violenze tedesche in URSS
416 419
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Ipertesto A
La Polonia tra due occupazioni
Divisioni amministrative, 1 – La genesi del campo di Auschwitz, 2 – Polacchi ed ebrei nel 1941, 4 – L’uccisione degli ufficiali polacchi, 5 – La rivolta di Varsavia, 5 – Documenti: Katyn: le prove della responsabilità sovietica, 6 – Documenti: La capitolazione di Varsavia, 8 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 L’uccisione degli ufficiali polacchi da parte dei sovietici, 9 – 2 Tedeschi e polacchi nel governatorato generale, 11 – 3 La policrazia tedesca nella Polonia occupata, 12
Ipertesto B
Occupazione, collaborazione, resistenza
Razzismo e policrazia, 1 – Resistenza e repressione in Cecoslovacchia, 2 – Il governo Pétain in Francia, 3 – Documenti: I provvedimenti antisemiti nella Francia di Pétain, 4 – Documenti: Pétain offre alla Germania la collaborazione francese, 5 – Collaborazione e resistenza in Francia, 5 – Documenti: Le ragioni della disfatta francese, 8 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Occupazione e policrazia, 10 – 2 Le diverse modalità della collaborazione, 11 – 3 Il maresciallo Pétain assume i pieni poteri, 13
Ipertesto C
La guerra dai cieli in Europa
Preistoria della guerra aerea, 1 – Documenti: Timori e prospettive per la guerra aerea, 3 – Le prime esperienze, 4 – I bombardamenti sulle città tedesche, 5 – Documenti: Tra le rovine di Amburgo, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Guerra aerea e strategia militare, 7 – 2 L’ingegneria dell’incendio, 9 – 3 Il silenzio degli scrittori tedeschi, 10 – 4 Apocalisse a Dresda, 11
UNITÀ VIII
L’Italia nella seconda guerra mondiale
1 Dalla non belligeranza alla guerra parallela 1.1 Le carenze militari italiane, 422 – 1.2 L’intervento, 424 – Documenti: Il discorso di Mussolini del 10 giugno 1940, 424 – 1.3 L’occupazione della Grecia, 426 – E SE… l’Italia non avesse partecipato alla seconda guerra mondiale?, 428
420 422
XI
2 La guerra in Africa e in Russia
429
2.1 La dispersione delle forze italiane, 429 – Documenti: Le carenze dell’armamento italiano, 431 – 2.2 Disfatta e prigionia in Russia, 432 – Documenti: I soldati italiani nel 1943, dopo la campagna di Russia, 432 – 2.3 Il fronte interno, 435
3 Lo sbarco alleato in Sicilia e la caduta del fascismo
437
3.1 Lo sbarco degli Alleati in Sicilia, 437 – Documenti: I sentimenti della popolazione nel 1943, 439 – 3.2 La caduta del fascismo, 439 – 3.3 L’armistizio e l’8 settembre, 441 – Documenti: Badoglio annuncia l’armistizio, 441 – Documenti: Il disprezzo dei comandi tedeschi verso i militari italiani, 442
4 L’occupazione tedesca e la guerra di liberazione
443
4.1 La Repubblica sociale italiana, 443 – 4.2 La svolta di Salerno, 445 – 4.3 Il movimento di Resistenza, 447
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
Le carenze strutturali delle forze armate italiane, 449 – 2 Il rancio del soldato italiano, 3 I comunisti italiani in URSS e la questione dei prigionieri, 452 – 4 L’8 settembre: le reazioni degli italiani e dei tedeschi, 453 – 5 I fascisti di Salò di fronte ai partigiani e alla guerra civile, 455 – 6 Le repubbliche partigiane, 456 – 7 Il proclama di Alexander, 457
450 –
XII
Ipertesto 1 Il confine orientale Le conseguenze della prima guerra mondiale, 459 – Documenti: La lotta del fascismo di confine contro l’uso delle lingue slave, 460 – La Iugoslavia tra il 1918 e il 1941, 461 – Documenti: La repressione della guerriglia in Slovenia, 462 – Repressione italiana e occupazione tedesca, 463 – Trieste, le foibe e il trattato di pace, 464 – Documenti: Togliatti, Trieste e i comunisti iugoslavi, 465 – Documenti: Le foibe, 466 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il comportamento delle truppe italiane nei Balcani, 468 – 2 La violenza contro gli italiani nell’immediato dopoguerra, 469 Ipertesto 2
Eliminare il nemico: le dinamiche della violenza
459
471
Violenze fasciste e ostentazione della morte, 471 – Le stragi naziste, 472 – L’esportazione di un modello razzista, 473 – Documenti: Gli ordini di Kesselring, 474 – Le stragi dell’estate 1944, 476 – Le polemiche sulle stragi e sull’uso della violenza, 477 – Le violenze nell’immediato dopoguerra, 478 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 L’ostentazione fascista della morte, 479 – 2 I GAP e la guerriglia urbana, 481 – 3 Le violenze contro i fascisti nell’immediato dopoguerra, 482 – 4 La violenza come rito collettivo, 484
Avvio graduale al saggio breve La Repubblica sociale, tra ideologia e realtà
486 489
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Ipertesto A
Le deportazioni dall’Italia
Gli internati militari, 1 – Documenti: Disfatta, cattura e internamento provvisorio, 2 – I militari italiani nei lager, 3 – Documenti: La farfalla, 3 – I deportati politici, 4 – Documenti: L’arrivo a Ravensbrück di una donna italiana, 5 – Sterminio e deportazione razziale, 6 – Documenti: La memoria della deportazione da Roma, 8 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le gallerie sotterranee di Mittelbau-Dora, 10 – 2 Le condizioni di vita degli internati militari italiani (IMI) nei lager, 11 – 3 Le procedure di deportazione dall’Italia, 13
Percorsi di storia locale
Guerra e memoria dell’esperienza bellica nel Basso
Lazio Al centro del sistema difensivo tedesco, 1 – Bombardamenti e memorie individuali, 2 – Sfondamento del fronte e violenza contro le donne, 4 – Documenti: Gli stupri di massa, 5 – L’immagine dello straniero nella memoria collettiva, 6 – Memoria dell’esperienza bellica e politica nel dopoguerra, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Gli stupri: la guerra contro i civili, al femminile, 9 – 2 La rimozione delle violenze tedesche, 10 – 3 Politica e memoria dell’esperienza bellica nel dopoguerra, 12
UNITÀ IX
Lo sterminio degli ebrei
490
1 L’invasione della Polonia
492
1.1 Violenza selvaggia e provvedimenti amministrativi, 492 – 1.2 Sovraffollamento e malattie, 494
2 L’invasione dell’URSS e l’uccisione degli ebrei sovietici
496
2.1 I reparti operativi mobili, 496 – Documenti: Lo stupore di un ufficiale tedesco, 497 – 2.2 Il disagio di uccidere, 498
3 I centri di sterminio
499
3.1 Le strutture attivate nel Governatorato generale, 499 – 3.2 Le deportazioni da Varsavia, 500 – Documenti: Il canto del popolo ebraico massacrato, 502 – 3.3 L’insurrezione del ghetto di Varsavia, 503
4 Auschwitz
XIII 504
4.1 Le camere a gas di Auschwitz-Birkenau, 504 – 4.2 I lager, 506 – 4.3 La zona grigia, 507 – 4.4 La specificità dello sterminio nazista, 508
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le responsabilità della Wehrmacht, 510 – della precisione terminologica, 513
2
La profezia di Hitler, 511 –
3
L’istanza
Ipertesto 1 I processi contro i criminali nazisti
515
Il processo di Norimberga, 515 – L’istruttoria, 517 – Documenti: La spietata logica del lager, 518 – Il processo Eichmann, 519 – La banalità del male, 520 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 L’arringa introduttiva di Jackson a Norimberga, 521 – 2 Il significato della conferenza di Wannsee, nella lettura di Hannah Arendt, 523
Avvio graduale al saggio breve I massacri della polizia tedesca in Polonia
524 527
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Ipertesto A
Il ghetto di Terezín
Le fortezze di Terezín, 1 – Anziani e bambini nel ghetto, 2 – Arte e musica a Terezín, 3 – Il documentario di propaganda, 5 – Le deportazioni da Terezín, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 L’inganno delle “terme” di Terezín, 7 – 2 Colloquio di Claude Lanzmann con Maurice Rossel, 9
Ipertesto B
La Shoah nell’Europa dell’Est
Eccidi ed esecuzioni di massa, 1 – La Shoah in Ucraina, 2 – Documenti: L’eccidio di Babij Jar, in una ricostruzione tedesca, 3 – La Shoah nei Paesi Baltici, 4 – La ricerca di nuove tecniche per lo sterminio, 5 – Documenti: Esperimenti: verso le camere a gas, 6 – La conferenza di Wannsee, 8 – L’Aktion T-4, 9 – Documenti: La prima ipotesi di applicazione agli ebrei dei metodi collaudati nell’Aktion T-4, 10 – Il trasferimento a Est delle tecniche omicide, 11 – Documenti: Il primo convoglio da Varsavia, 13 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le unità mobili in URSS: procedure e problemi, 14 – 2 Hartheim: funzionamento e strategie di difesa psicologica del personale, 16
Ipertesto C
Shoah e identità di genere
Le donne della Rosenstrasse, 1 – Documenti: La memoria dell’episodio di Rosenstrasse, 3 – Le donne deportate ad Auschwitz, 4 – Documenti: La procedura di selezione sulla Judenrampe, 5 – Le sperimentazioni mediche ad Auschwitz, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il ruolo del genere nella Shoah, 7 – 2 Testimonianza di Goti Bauer, 9 – 3 Testimonianza di Giuliana Tedeschi, 11
Ipertesto D
Il concetto di Dio dopo Auschwitz
Un trauma religioso, 1 – Venerdì sera al crematorio, 2 – Documenti: Elie Wiesel, 3 – La riflessione teologica e filosofica, 4 – Documenti: Yossl Rakover si rivolge a Dio, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La provocatoria proposta di Hans Jonas, 7 – 2 Auschwitz: una sfida per la fede di Israele, 8 – 3 Interviste e dibattiti, 9
UNITÀ X
XIV
La guerra fredda
1 La nascita dei blocchi
528 530
1.1 La conferenza di Yalta, 530 – VISTO DA VICINO: Le fosse di Katyn, 530 – 1.2 La nascita dell’ONU, 531 – 1.3 La conferenza di Potsdam, 532 – Documenti: La cortina di ferro, 534 – 1.4 La dottrina Truman e il Piano Marshall, 535 – Documenti: La dottrina Truman, 537 – 1.5 Il Cominform e la condanna di Tito, 538 – 1.6 Il blocco di Berlino, 539 – VISTO DA VICINO: La caccia alle streghe e il processo ai coniugi Rosenberg, 541 – CHE COSA È STATO IL XX SECOLO? Novecento… secolo-mondo, 542
2 Gli anni di Kruscëv e Kennedy
544
2.1 Le democrazie popolari, 544 – 2.2 Il XX congresso del PCUS, 545 – 2.3 La crisi del 1956 in Polonia, 546 – 2.4 La rivolta ungherese del 1956, 548 – Documenti: L’ultimo messaggio radiofonico di Nagy, 549 – E SE… i sovietici non fossero intervenuti in Ungheria?, 550 – 2.5 La Francia e la guerra d’Algeria, 552 – 2.6 La Francia di De Gaulle e l’Europa del Mercato comune, 554 – 2.7 Il muro di Berlino, 555 – Documenti: Discorso di J.F. Kennedy a Berlino Ovest, 556 – 2.8 La vittoria della rivoluzione a Cuba, 556 – 2.9 La crisi dei missili a Cuba, 558
3 Economia e società negli anni Sessanta e Settanta
560
3.1 Lo sviluppo economico degli anni Cinquanta e Sessanta, 560 – 3.2 Società dei consumi e Welfare State, 561 – 3.3 Nuovi soggetti sociali: gli studenti e le donne, 562 – 3.4 La protesta studentesca negli Stati Uniti, 564 – 3.5 Il Sessantotto in Europa, 565 – 3.6 La primavera di Praga, 567 – Documenti: Il socialismo dal volto umano di Dubcek, 568 – 3.7 Il nuovo scenario economico degli anni Settanta, 570 – 3.8 Le strategie per fronteggiare la crisi, 571
4 Il crollo del comunismo 4.1 Il lento declino della potenza sovietica, 573 – 4.2 Solidarnosc in Polonia, 575 – 4.3 La perestrojka di Michail Gorbacëv, 575 – 4.4 La crisi del socialismo nei Paesi dell’Europa orientale, 576 – 4.5 La riunificazione della Germania, 577
573
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
Gli spostamenti di popolazione nel dopoguerra, 579 – 2 La politica americana di contenimento del comunismo, 580 – 3 L’economia internazionale nel dopoguerra, 582 – 4 Il muro di Berlino, 583 – 5 La paura atomica, 584 – 6 Modello europeo e modello americano nel secondo dopoguerra, 586 – 7 1916-1968: giovani in rivolta, 587 – 8 Modalità e tappe della riunificazione tedesca, 588
Ipertesto 1 Le guerre in Vietnam e in Cambogia
590
La guerra contro la Francia, 590 – Documenti: La dichiarazione di indipendenza della Repubblica democratica del Vietnam, 590 – La divisione del Vietnam, 592 – L’intervento americano, 593 – La vittoria comunista, 595 – La vittoria dei khmer rossi in Cambogia, 596 – Documenti: L’evacuazione di Phnom Pehn (17 aprile 1975), 598 – I crimini dei khmer rossi, 598 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La guerra in Vietnam: una prova di resistenza, 600 – 2 La strategia americana in Vietnam, 602 – 3 Le violenze dei khmer rossi in Cambogia, 604
Avvio graduale al saggio breve La fine dello stalinismo
606 609
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Ipertesto A
Cinema, teatro e caccia alle streghe negli USA degli anni Cinquanta
Arthur Miller ed Elia Kazan, 1 – Morte di un commesso viaggiatore, 2 – Fronte del porto e Il crogiuolo, 3 – Documenti: Scontro a Hollywood, 5 – Documenti: Il dilemma di John Proctor, 6 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La lotta contro il pericolo comunista, 7 – 2 Arthur Miller di fronte alla commissione per le attività antiamericane, 9
Ipertesto B
XV
La lotta dei neri americani per i diritti civili
La discriminazione razziale negli USA, 1 – Le proteste dei neri negli anni Cinquanta, 2 – La Nazione dell’islam, 3 – Dottrine e codice etico dei musulmani neri, 4 – Documenti: Il rifiuto della cultura dell’uomo bianco, 5 – La lotta per l’integrazione, 6 – Documenti: Martin Luther King: la strategia della non-violenza, 7 – Documenti: Il destino è nelle vostre mani, 8 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 I contrasti razziali negli anni Cinquanta, 9 – 2 La polemica antiebraica della Nazione dell’islam, 11
UNITÀ XI
L’Italia repubblicana
1 La nascita della repubblica
610 612
1.1 Parri, De Gasperi e Togliatti, 612 – 1.2 Referendum istituzionale e voto alle donne, 614 – 1.3 I partiti di massa, dalla collaborazione allo scontro, 616 – 1.4 Le elezioni del 1948, 618 – E SE… in Italia, nel 1948, fosse scoppiata la guerra civile?, 620
2 Gli anni Cinquanta e Sessanta 2.1 Gli orientamenti politici, 621 – Documenti: Disposizioni del cardinale Schuster, 621 – 2.2 Lo Stato, i prefetti, la magistratura, 623 – VISTO DA VICINO: Le riforme del centrismo, 625 – 2.3 Il PCI di fronte alla fine dello stalinismo, 626 – Documenti: Togliatti di fronte alla crisi ungherese, 626 – 2.4 Il miracolo economico, 628 – 2.5 I governi di centro-sinistra, 630 – VISTO DA VICINO: La diga del Vajont: una tragedia annunciata, 631 – 2.6 Protesta studentesca e movimenti di estrema sinistra, 632 – Documenti: Dallo Statuto dei lavoratori, 632
621
3 Gli anni di piombo
634
3.1 Strategia della tensione e compromesso storico, 634 – 3.2 I referendum sul divorzio e i cambiamenti dei costumi, 636 – 3.3 La solidarietà nazionale e le Brigate rosse, 638 – 3.4 Il sequestro e l’uccisione di Moro, 639 – Documenti: Le Brigate rosse, 640 – 3.5 Lo scenario politico degli anni Ottanta, 642
4 La fine delle ideologie
644
4.1 La mafia in Sicilia, 644 – 4.2 La sfida di Cosa Nostra allo Stato, 645 – 4.3 Destra e sinistra, dopo il crollo del comunismo, 646 – 4.4 La nascita di nuovi soggetti politici, 647 – Documenti: La nascita di Forza Italia, 648 – Documenti: La nascita del Partito democratico, 649
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
La campagna elettorale del 1948, 650 – 2 De Gasperi di fronte all’integralismo cattolico intransigente, 651 – 3 Il Partito comunista italiano di fronte alla rivelazione dei crimini di Stalin, 653 – 4 Togliatti di fronte alla rivolta ungherese del 1956, 653 – 5 Terrorismo nero e squadrismo neofascista all’inizio degli anni Settanta, 654 – 6 Destra e sinistra: significato di una distinzione politica, 656 – 7 La visione politica di Silvio Berlusconi, 657
Ipertesto 1 Scrittori, ideologia e politica negli anni Cinquanta e Sessanta
659
Giovannino Guareschi, 659 – Documenti: Sciopero generale, 660 – Don Camillo e Peppone, 662 – Alla ricerca di una nuova cultura impegnata, 663 – Scrittori e movimento comunista, 664 – Documenti: Il Quarto stato, 666 – Il tormentato percorso di Italo Calvino, 667 – Documenti: Le riflessioni dello scrutatore Amerigo Ormea, 668 – Pasolini contro la società consumista, 669 – Documenti: Il PCI ai giovani!! di Pier Paolo Pasolini, 670 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il giorno di Valle Giulia, 672
XVI
Avvio graduale al saggio breve Il miracolo economico tra luci e ombre
674 677
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Ipertesto A
Il progetto politico di Giuseppe Dossetti
Gli intellettuali cattolici del gruppo dossettiano, 1 – Dossetti, tra Resistenza e dopoguerra, 2 – La stesura del testo costituzionale, 3 – Documenti: La Democrazia cristiana ai lavoratori, 4 – Il contrasto tra De Gasperi e Dossetti, 6 – Documenti: Le proposte di Dossetti all’Assemblea costituente, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La Costituzione come progetto di una Italia nuova, 8 – 2 I differenti orientamenti politici di Dossetti e De Gasperi, 9
Ipertesto B
Il Concilio Vaticano II
La Chiesa di fronte al mondo moderno, 1 – Giovanni XXIII, 2 – Documenti: Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 3 – Documenti: Enciclica Pacem in terris, 4 – Le decisioni del Concilio, 5 – Documenti: Il Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa e sull’ateismo, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La spiritualità cattolica nella prima metà del Novecento, 8 – 2 Chiesa e Stato in Italia nel 1958, 9
Ipertesto C
Il nome della rosa: romanzo storico e denuncia delle ideologie
Il nome della rosa, 1 – Documenti: Remigio ricorda e giustifica le violenze compiute dai dolciniani, 2 – Il riso contro le certezze assassine, 3 – Documenti: Il dibattito sul riso ne Il nome della rosa, 4
Percorsi di storia locale
Banditismo e politica in Sicilia tra guerra e dopoguerra
La mafia, il fascismo e la guerra mondiale, 1 – Disordini e renitenza alla leva, 2 – Salvatore Giuliano, 4 – La crisi del movimento separatista, 4 – Mafia e politica tra il 1943 e il 1948, 6 – Documenti: Portella della Ginestra, 7 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 I moti contro il richiamo alle armi, 9 – 2 La violenza anticomunista della banda Giuliano, 10
UNITÀ XII
Novecento globale
678
1 L’India
680
1.1 Il subcontinente indiano all’inizio del Novecento, 680 – 1.2 Il satyagraha di Gandhi, 681 – Documenti: Gandhi definisce il concetto di satyagraha, 682 – 1.3 La lunga lotta per l’indipendenza, 684 – 1.4 Lo scontro fra indù e musulmani, 685 – 1.5 L’India dall’indipendenza a oggi, 687
2 La Cina tra nazionalismo e comunismo
689
2.1 La fine dell’impero cinese, 689 – 2.2 L’alleanza tra comunisti e nazionalisti, 690 – 2.3 La lotta politica e sociale negli anni Venti, 691 – Documenti: La centralità della componente militare nella strategia politica di Mao, 693 – 2.4 La lunga marcia, 693 – 2.5 La vittoria dei comunisti e la guerra di Corea, 695 – Documenti: La dittatura del proletariato secondo Mao, 696
3 La Repubblica popolare cinese
697
3.1 Il grande balzo in avanti, 697 – 3.2 La rivoluzione culturale, 699 – 3.3 La Cina di Deng Xiaoping, 700
4 L’America Latina
702
4.1 La rivoluzione messicana, 702 – 4.2 L’America Latina nel periodo 1930-1950, 703 – 4.3 L’epoca delle dittature militari, 704 – 4.4 Le dittature militari in Cile, 706 – Documenti: Salvator Allende motiva la nazionalizzazione delle miniere di rame in Cile, 707 – 4.5 L’Argentina tra dittatura e crisi economica, 708
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
XVII
1
La violenza religiosa in India, al momento dell’indipendenza, 709 – 2 Le violenze giapponesi a Nanchino, 710 – 3 La guerra di Corea, 711 – 4 Le origini della rivoluzione culturale, 713 – 5 Il Cile di Unidad Popular, 714
Avvio graduale al saggio breve Il grande disastro degli anni 1958-1961 in Cina
716 719
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Ipertesto A
Il Giappone nel dopoguerra
L’occupazione americana, 1 – La crescita economica degli anni Cinquanta e Sessanta, 2 – I problemi degli ultimi decenni, 3 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le difficoltà degli anni Settanta, 4
Ipertesto B
Periferie del mondo e globalizzazione
Il centro e la periferia, 1 – Africa e America Latina, periferie degli Stati Uniti, 2 – La globalizzazione, 3 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 I problemi alimentari dell’Africa, 5 – 2 Caratteri della globalizzazione, 7 – 3 Globalizzazione: pro e contro, 8
UNITÀ XIII
Medio Oriente e mondo islamico
1 Guerre mondiali, sionismo e risveglio musulmano
720 722
1.1 L’impero ottomano di fronte alla guerra, 722 – Documenti: La definizione di genocidio, 723 – 1.2 La grande delusione degli arabi, 724 – 1.3 Il sionismo, 725 – Documenti: L’appello di Theodor Herzl per la costituzione di uno Stato ebraico, 726 – 1.4 La Dichiarazione Balfour, 728 – Documenti: La Dichiarazione Balfour, 728 – 1.5 L’imitazione dell’Occidente, 729 – 1.6 Il ritorno all’islam, 731 – 1.7 Il mutamento dello scenario politico in Europa, 731 – Documenti: Il programma dei Fratelli musulmani, 732 – 1.8 Il piano di spartizione della Palestina, 734 – 1.9 La prima guerra arabo-israeliana, 735
2 Nasser e il nazionalismo arabo
737
2.1 Gli Stati arabi dopo la sconfitta del 1949, 737 – 2.2 Il socialismo arabo di Nasser in Egitto, 738 – VISTO DA VICINO: L’Egitto dopo la costruzione della diga di Assuan, 739 – 2.3 La nazionalizzazione del canale di Suez, 740 – 2.4 L’islam come strumento di contestazione politica, 741 – Documenti: Religione e politica nel pensiero di Sayyd Qutb, 742 – 2.5 La guerra dei sei giorni, 744
3 Israele, Egitto e OLP
745
3.1 La nascita della OLP, 745 – Documenti: Atto costitutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, 746 – 3.2 La strategia dell’OLP, 747 – 3.3 L’Egitto di Anwar al-Sadat, 749 – 3.4 La piena maturità dell’ideologia islamista, 751 – 3.5 Il petrolio della regione del Golfo Persico, 752 – 3.6 La sconfitta dell’OLP, 754 – 3.7 L’accordo tra Israele e OLP, 755 – Documenti: Carteggio Arafat-Rabin, 756 – 3.8 I nemici della pace, 756
4 La repubblica islamica in Iran XVIII
758
4.1 La situazione politica e religiosa in Iran, 758 – 4.2 Lo Stato islamico di Khomeini, 760 – 4.3 La guerra tra Iran e Iraq, 761 – 4.4 L’invasione del Kuwait e la guerra del Golfo, 762
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1
Violenza e pulizia etnica in Anatolia dopo la prima guerra mondiale, 764 – 2 Il mondo islamico al bivio, dopo la disfatta del 1918, 766 – 3 L’esodo dei profughi palestinesi, 767 – 4 Sayyd Qutb e i Fratelli musulmani, nell’Egitto di Nasser, 768 – 5 Bilancio delle guerre arabo-israeliane, 770 – 6 Dal nazionalismo all’islamismo, 771 – 7 Khomeini tra religione e populismo, 773 – 8 La guerra contro l’Iraq e le sue conseguenze in Iran, 774
Ipertesto 1 Il genocidio degli armeni
776
La questione armena, 776 – I Giovani turchi, 777 – Le deportazioni, 778 – Documenti: Nota di Tal’at al Gran visir, 779 – Documenti: La vendita delle donne e dei bambini armeni catturati, 780 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 La dinamica delle deportazioni, 782 – 2 La questione della premeditazione, 784
Avvio graduale al saggio breve Dall’ammirazione dell’Occidente alla rinascita islamica 786 789
Mappa di sintesi
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Ipertesto A
Islam e identità di genere
I diritti delle donne, l’islam e l’Occidente, 1 – Documenti: Dalla Dichiarazione di Pechino, 3 – Integralismo islamico e diritti delle donne, 4 – Velate e mal velate in Iran, 5 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Il rifiuto dell’emancipazione femminile nei movimenti islamici radicali, 7 – 2 Donne e regime islamico in Iran, 8
UNITÀ XIV
Il tempo del disordine
790
1 Europa e URSS tra due secoli
792
1.1 Lo scontro politico in URSS, 792 – 1.2 La disgregazione dell’Unione Sovietica, 793 – 1.3 L’allargamento dell’Unione Europea, 795 – VISTO DA VICINO: Giovanni Paolo II, 796 – 1.4 La Russia di Putin, 797 – Documenti: La denuncia delle violenze in Cecenia, 798
2 Il terrorismo islamico nel XXI secolo
800
2.1 La guerra santa all’Occidente, 800 – Documenti: Bin Laden contro l’America e l’Occidente, 800 – 2.2 Una guerra globale, 802 – 2.3 Gli obiettivi di Bin Laden e di al-Qaeda, 804
3 Guerre e scenari del nuovo secolo
805
3.1 I neoconservatori di fronte al terrorismo islamico, 805 – 3.2 L’invasione dell’Iraq, 806 – VISTO DA VICINO: I problemi dell’Africa, 811 – 3.3 La crisi d’immagine degli Stati Uniti, 808 – 3.4 L’Iran di Ahmadinejad, 809
4 La Cina all’inizio del XXI secolo
812
4.1 Il secolo cinese, 812 – 4.2 Problemi e timori per il futuro, 813 – 4.3 Il problema del Tibet, 814
RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Fare i conti con il passato comunista, 816 – 2 La concezione di al-Zawahiri, ideologo di al-Qaeda, 818 – 3 La guerra in Iraq: obiettivi e illusioni del governo americano, 819 – 4 Le contraddizioni economiche dell’Iran, 820 – 5 Un nuovo protagonista del sistema economico mondiale, 821
Avvio graduale al saggio breve Dinamica e significato storico dell’11 settembre
822 824
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Ipertesto A
Guerre e conflitti nella ex Iugoslavia
La crisi del sistema di Tito, 1 – La guerra tra serbi, croati e musulmani bosniaci, 2 – La guerra del Kosovo, 4 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Propaganda, paura e potere: le radici della violenza serba, 5 – 2 I crimini serbi in Bosnia, 7
Ipertesto B
L’Africa dalla decolonizzazione al 2000
Indipendenza e conflitti etnici, 1 – Tutsi e hutu, 3 – Documenti: Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, 4 – L’apartheid in Sud Africa, 6 – Caratteri e peculiarità dell’apartheid, 7 – La Carta della libertà, 7 – Documenti: La Carta della libertà, 9 – Il lento declino dell’apartheid, 11 – Guerre dimenticate e bambini-soldato, 12 – RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1 Le radici coloniali del genocidio ruandese, 14 – 2 Il significato dell’apartheid nel contesto del processo di decolonizzazione, 15 – 3 Le contraddizioni del XXI secolo, 17
Indice dei nomi
825
Indice delle carte e dei grafici
829
XIX
L’Italia nella
52
Nel 1914, l’Italia scelse di non partecipare al conflitto. Subito, l’opinione pubblica si divise in due schieramenti: socialisti e cattolici avrebbero voluto che il Paese continuasse a restare neutrale, mentre i nazionalisti chiedevano a gran voce l’intervento. Nel riquadro un’opera del pittore futurista Carlo Carrà, intitolata Manifestazione patriottica: attraverso un turbine vorticoso di giornali l’autore esalta il frastuono tipico di una grande dimostrazione pubblica.
Guidati da Giovanni Giolitti, numerosi deputati erano ostili all’intervento. Il re e il governo, però, ignorarono la volontà della maggioranza della Camera e la posero di fronte al fatto compiuto del Patto di Londra: un accordo con Francia e Inghilterra, che impegnava l’Italia a entrare in guerra nel maggio 1915. Nel riquadro una caricatura in cui Giolitti è accusato di tenere l’Italia fuori dal conflitto perché corrotto dal denaro tedesco.
Il posto del pericolo e dell’onore Nel 1914 l’Italia era militarmente legata all’Austria-Ungheria e alla Germania. Tuttavia, dapprima decise di rimanere neutrale, e poi, nel maggio 1915, scese in campo a fianco di Francia e Inghilterra, contro i vecchi alleati. Che cosa produsse questo completo rovesciamento di alleanze? Il governo italiano sperava di allargare i confini dello Stato a spese dell’Austria-Ungheria, mentre numerosi intellettuali presentarono la guerra come il completamento dell’unità nazionale, sostenendo che il principale obiettivo del conflitto era la liberazione di Trento e Trieste dalla dominazione austriaca. L’intervento avvenne in un clima arroventato: in pratica, il governo, il re e un piccolo gruppo di intellettuali nazionalisti imposero al Paese una decisione che non era condivisa né dalla maggior parte dell’opinione pubblica né dalla maggioranza del Parlamento. Pertanto, i più duraturi effetti della partecipazione italiana al conflitto furono la perdita di prestigio dell’istituto parlamentare, la tendenza
a vedere nell’oppositore un nemico da eliminare, la giustificazione della violenza come soluzione di tutte le questioni. È impossibile descrivere quello che sarebbe successo in Italia, se il Paese non avesse partecipato al conflitto. È invece sicuro che la guerra può essere considerata come l’evento fondamentale, nel processo di nascita del fascismo. Quali caratteri assunse la Grande Guerra, sul fronte italiano? I generali avevano della guerra moderna un’idea vaga e confusa. La maggioranza di loro era ancora convinta che l’impeto e il coraggio delle truppe lanciate all’assalto fossero in grado di travolgere ogni ostacolo. Le offensive, pertanto, si susseguirono una dopo l’altra, senza tenere conto delle perdite, nella fiduciosa certezza che le ripetute spallate avrebbero infine condotto al crollo del fronte nemico e alla vittoria finale. Ma la Patria, per moltissimi soldati italiani (in larga parte di origini contadine, con un’alta percentuale di analfabeti) era poco più
UNITÀ II
Grande Guerra
Dal 1915 al 1917, l’esercito italiano fu impegnato in una guerra durissima, condotta dal generale Luigi Cadorna all’insegna della continua offensiva e senza tenere conto delle perdite. Nel riquadro alcuni soldati italiani durante un assalto.
di un nome, un concetto astratto che non significava quasi nulla. Anche se le rivolte vere e proprie furono poche, l’atteggiamento prevalente era distaccato e passivo. Piuttosto che assumere un atteggiamento eroico e sacrificarsi per la Patria, un numero elevatissimo di combattenti preferì infliggersi volontariamente delle ferite o consegnarsi agli austriaci: tutto, pur di sottrarsi al «posto del pericolo e dell’onore» (come recita la sentenza di un tribunale militare). Nel 1917, risultò facile per i generali scaricare su questi soldati stanchi e demotivati la colpa della disfatta di Caporetto, che provocò l’occupazione austriaca di gran parte del Veneto. Un’attenta analisi degli eventi, invece, dimostra che le responsabilità principali furono dello Stato Maggiore, che sottovalutò la potenza dell’offensiva nemica ed emanò ordini confusi e contraddittori. Interventisti contro neutralisti, generali contro soldati, nazionalisti contro socialisti, operai e contadini contro borghesi… Nel 1918, l’Italia era lacerata al suo interno più di quattro anni prima. Invece di curare le contraddizioni del Paese, il conflitto mondiale le aveva solo fatto emergere tutte, fino all’esasperazione.
Nel 1917, l’Italia rischiò seriamente la sconfitta, a seguito di una violenta offensiva lanciata nella zona di Caporetto. L’avanzata nemica fu fermata solo sulla linea del Piave. Infine, nel novembre 1918, l’esercito austro-ungarico ormai in grave difficoltà fu sconfitto da quello italiano. Nel riquadro un manifesto invita i cittadini a contribuire alle spese di guerra sostenute dal governo per ottenere la vittoria.
SOMMARIO TESTO 1. Il problema dell’intervento 2. L’Italia in guerra 3. La guerra dei generali 4. Da Caporetto a Vittorio Veneto IPERTESTI 1. Poeti e intellettuali di fronte alla guerra 2. Contadini-soldati, tra repressione e propaganda
online IPERTESTO A. Guerra e identità di genere in Italia online PERCORSI DI STORIA LOCALE Mussolini e De Gasperi nel Trentino austriaco
53
1 Il problema dell’intervento CONTRASTI POLITICI
1.1 La scelta della neutralità
UNITÀ II
➔L’Italia neutrale per il carattere difensivo della Triplice Alleanza
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
54
link La Francia in Tunisia (pag. 5)
Nel 1914, l’Italia era ancora legata alla Germania e all’Austria-Ungheria per mezzo della Triplice Alleanza, che era stata rinnovata appena due anni prima, nel 1912. Alla fine di luglio, fu evidente che la crisi iniziata con l’assassinio di Sarajevo sarebbe sfociata in un vasto conflitto europeo. Pertanto, il capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Luigi Cadorna, sollecitò il re e il governo affinché le truppe italiane potessero essere inviate il più in fretta possibile a sostegno delle armate austriache e tedesche. Tuttavia il governo – presieduto dal liberale conservatore Antonio Salandra – il 1o agosto decise che l’Italia avrebbe assunto una posizione di neutralità, in quanto la Triplice Alleanza era un trattato di carattere puramente difensivo. Nei giorni decisivi della crisi, sia la Germania che l’Austria-Ungheria avevano presentato la loro decisione di aprire le ostilità come un’inevitabile risposta alla mobilitazione russa. Tale argomentazione non parve affatto convincente al governo italiano: secondo il suo giudizio, non si era verificata una vera e propria aggressione, da parte di uno o più Stati nemici, nei confronti dei due imperi alleati con l’Italia. Di conseguenza, gli impegni assunti con la stipulazione della Triplice Alleanza non dovevano, nel caso specifico della crisi del 1914, essere onorati in modo automatico e immediato. I nemici della Germania, dopo aver accolto con molto sollievo la scelta della neutralità, cominciarono ben presto a sollecitare l’Italia a schierarsi dalla loro parte. Questo invito nasceva dall’ovvia constatazione dell’esaurimento delle ragioni che avevano portato l’Italia a firmare la Triplice Alleanza. Nel 1882, il legame politico e militare con la Germania era nato dal desiderio italiano di frenare l’espansionismo francese nel MeLA POLITICA ESTERA ITALIANA Dal 1881 al 1904
Dal 1904 al 1914
Evento critico, punto di svolta
Occupazione francese della Tunisia (1881)
Accordo tra Italia e Francia (1904) su Marocco e Libia
Potenziale avversario, dopo l’evento critico
Francia
Austria-Ungheria
Motivo del contrasto
Espansione coloniale francese nel Mediterraneo
Dominazione austriaca su Trento e Trieste
Strategia politica
Triplice Alleanza tra Germania, Italia e Austria-Ungheria
Accordo politico (e poi, anche militare) con Francia e Inghilterra
Problemi suscitati dalla strategia
Temporaneo accantonamento della questione di Trento e Trieste
Politica adottata
Rinnegamento della Triplice Alleanza
diterraneo, anche al prezzo di accantonare a tempo indeterminato la questione dei territori di lingua e cultura italiana (le regioni di Trento e Trieste) sottomessi al dominio austriaco. Ma, nel 1911-1912, erano avvenute in modo consensuale l’occupazione francese del Marocco e la conquista italiana della Libia: un’equilibrata spartizione degli ultimi territori nordafricani non ancora caduti sotto il dominio coloniale europeo. Nel 1914, tra Francia e Italia non era più attivo alcun serio motivo di contrasto. Se teniamo presente, invece, che l’Austria-Ungheria non aveva alcuna intenzione di rivedere i propri confini con l’Italia, e che le violenze delle forze di occupazione tedesche in Belgio avevano fatto molta impressione sull’opinione pubblica, si può affermare che, fin dall’autunno del 1914, l’eventuale intervento dell’Italia nel conflitto avrebbe potuto avvenire solo a fianco dell’Inghilterra, della Francia e della Russia.
i luoghi Trieste Nel 1866 l’Austria fu costretta a cedere il Veneto all’Italia. Sotto la dominazione austriaca, però, restavano ancora vari territori abitati da una popolazione di lingua e cultura italiana, come il Trentino, il Friuli e la Venezia Giulia. Trieste, prima della guerra 1914-1918, era il principale porto dell’impero austro-ungarico. Anche la vita culturale triestina era molto vivace, basti pensare all’ampia circolazione che vi ebbero le idee di Freud, che influenzarono profondamente lo scrittore Italo Svevo. Il vero nome di questi era Ettore Schmitz: assunse lo pseudonimo con cui è noto per indicare che (come tanti triestini) egli sentiva di appartenere a due mondi, a quello della cultura italiana e a quello dell’Europa centrale. Ricordiamo infine che Svevo era di origine ebraica: Trieste in effetti, prima della seconda guerra mondiale, ospitava una delle più ampie e vivaci comunità ebraiche italiane.
La vignetta, che sdrammatizza la guerra, ridotta a un innocuo tiro alla fune, rimarca la posizione di neutralità dell’Italia: il re Vittorio Emanuele III, infatti, si limita a osservare lo “scontro” tra i due opposti schieramenti.
55 Il problema dell’intervento
Nell’estate del 1914, i governi europei furono costretti ad assumere decisioni drammatiche, in tempi estremamente rapidi: talvolta, furono davvero incapaci di valutare appieno e freddamente le conseguenze delle scelte effettuate sotto l’incalzare degli eventi. Le autorità italiane, al contrario, ebbero il tempo di riflettere con calma sulla decisione più opportuna per gli interessi del proprio Stato. Allo stesso modo, la popolazione italiana non visse nulla di equivalente all’atmosfera satura di emotività che caratterizzò le capitali degli altri Paesi d’Europa. La prospettiva della guerra non generò in Italia un diffuso movimento di solidarietà nazionale, ma un vasto dibattito e una violenta frattura all’interno dell’opinione pubblica, divisa ben presto in interventisti (sostenitori della necessità di un intervento italiano in guerra) e neutralisti, per i quali il Paese non doveva assolutamente farsi coinvolgere dal conflitto.
CAPITOLO 1
1.2 I sostenitori della neutralità
UNITÀ II
➔La lucida analisi di Giolitti
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
56
Fra i sostenitori della neutralità, la voce più autorevole era senza dubbio quella di Giovanni Giolitti, che aveva retto il Paese per circa dieci anni, tra il 1900 e il 1914. Giolitti non era affatto contrario alla guerra in sé, e neppure era ostile alla conduzione di imprese belliche finalizzate al rafforzamento del prestigio della Nazione: non a caso, proprio sulla questione della guerra di Libia si era infranta la collaborazione politica dell’anziano statista piemontese coi socialisti. D’altra parte Giolitti aveva intuito, più lucidamente di Salandra e degli altri ministri, che dopo l’arresto dell’avanzata tedesca sulla Marna la guerra sarebbe stata lunga ed estenuante, cioè capace di logorare eserciti, economie e sistemi sociali ben più robusti di quello italiano. A suo giudizio, pertanto, l’Italia doveva stare fuori dallo scontro il più a lungo possibile, e trarre a livello internazionale, dalla sua posizione di neutralità, tutti i vantaggi possibili. ➔La posizione Anche la Chiesa riteneva che per l’Italia fosse opportuno restare al di sopra delle pardella Chiesa ti in lotta. La motivazione primaria di questo orientamento era di natura morale, cioè nasceva dal fatto che il conflitto si stava rivelando un massacro di dimensioni superiori a ogni più pessimistica previsione: nel 1917, coerente con tale impostazione, papa Benedetto XV arrivò a dichiarare che la guerra era solo un’«inutile strage». Non vanno poi dimenticate altre motivazioni, più strettamente politiche, che stavano alla base dell’atteggiamento della Chiesa: l’intervento italiano avrebbe potuto contribuire alla sconfitta (e, al limite, al crollo) dell’Austria-Ungheria, l’ultima grande potenza europea dichiaratamente cattolica. A favore della neutralità, infine, si schierarono anche i socialisti riformisti, che collelink gavano direttamente la guerra mondiale con il fenomeno delLenin sull’imperialismo (pag. 120) l’imperialismo. Dal loro punto di vista, le grandi potenze capitalistiche erano ormai giunte alla completa spartizione della Terra; poiché non c’erano più terre senza padrone, da aggiungere al proprio impero, se si voleva entrare in possesso di nuove regioni, da trasformare in campi d’investimento per i capitali e in mercati aggiuntivi per l’esportazione dei prodotti nazionali, bisognava strapparle con la forza ai rivali. Anche in caso di vittoria del proprio Paese, dunque, il proletariato non avrebbe ottenuto alcun beneficio da questa guerra, vantaggiosa solo per i capitalisti: viceversa, sui campi di battaglia, sarebbero stati proprio gli operai e i contadini a dover morire, cioè a sopportare tutto il peso umano e materiale della lotta. Nelle loro dichiarazioni pubbliche, i socialisti italiani minacciavano che avrebbero bloccato con ogni mezzo la mobilitazione dell’esercito, in caso di intervento italiano in guerra. Nel medesimo tempo, però, nessun progetto di protesta sociale organizzata venne mai effettivamente elaborato: quando si arrivò al momento critico, i socialisti si trovarono incapaci di ostacolare in maniera davvero efficace le decisioni del governo. Infine, per tutto il periodo 1915-1918 i socialisti si trincerarono dietro la formula: «né aderire, né sabotare». La guerra continuò a essere criticata, ma soldati e operai non furono esortati né a disertare né a boicottare la produzione di armi e munizioni. Giovanni Giolitti (1842-1928), convinto sostenitore della neutralità dell’Italia.
Dalla guerra alla rivoluzione
DOCUMENTI
Nel 1914 i socialisti rivoluzionari accolsero con gioia ed entusiasmo la guerra imperialista scoppiata tra le grandi potenze borghesi, in quanto era prevedibile che – comunque fosse finita – essa avrebbe accelerato i tempi e le condizioni della rivoluzione. L’articolo seguente comparve sul quotidiano socialista “Avanti!” il 12 settembre 1914. Il testo reca la firma di Sergio Panunzio, ma vari storici ipotizzano che il vero autore fosse Benito Mussolini. Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa... Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo... Siamo tutti convinti che il socialismo per effettuarsi deve Quale sequenza di eventi porterà, essere voluto. Questo è il momento di volerlo e di averlo. Domani, se il socialismo sarà inerte secondo chi scrive, e... neutrale, la situazione storica non solo potrebbe ribadire uno stato di cose simile all’atal socialismo? tuale, ma potrebbe volgersi oggettivamente nel senso il più lontano e opposto al socialismo... Siamo tutti certi che tutti gli Stati, in quanto Stati borghesi, dopo la guerra vincitori o vinti, Spiega l’espressione «Chi sostiene la resteranno prostrati e con le ossa rotte... Vinti saranno un po’ tutti. Non ci sarà dunque nescausa della pace sun terzo esercito, nessun terzo sopra-Stato vincitore? [...] Il capitalismo sarà così profonsostiene damente intaccato che basterà solo che gli sia inferto il colpo mortale... Chi sostiene la causa inconsciamente della pace sostiene inconsciamente la causa della conservazione e del capitalismo. la causa della R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Einaudi, conservazione Torino 1965, pp. 245-246 e del capitalismo».
57 Il problema dell’intervento
i personaggi Il partito di coloro che erano favorevoli alGaetano Salvemini l’intervento non era meno composito ed Nato nel 1873, lo storico Gaetano Salvemini aveva inizialmente adeeterogeneo di quello dei neutralisti. Esso rito al Partito socialista italiano. Il suo progressivo distacco dai socomprendeva, in prima fila, intellettuali decialisti si verificò a causa della loro collaborazione politica con Giolitti, che Salvemini accusava di essere il principale responsabile del mocratici (ricordiamo, a titolo esemplifidegrado del Mezzogiorno italiano. In un celebre scritto polemico del cativo, lo storico Gaetano Salvemini e il 1910, Salvemini arrivò ad apostrofare Giolitti con l’epiteto di «ministro della malavita». Salvemini, infatti, aveva raccolto le prove di geografo trentino Cesare Battisti, che sanumerosi brogli elettorali, compiuti dai candidati giolittiani in vari colrebbe poi stato impiccato dagli austriaci legi elettorali del Sud Italia. Dopo la guerra assunse un atteggiamento nel 1916), eredi della tradizione mazziapertamente antifascista. Espulso e privato della cittadinanza italiana, fu costretto a emigrare negli Stati Uniti. Tornato in patria nel niana e, più in generale, risorgimentale. 1947, morì nel 1957. Secondo loro, la guerra andava considerata come il compimento del processo di unificazione nazionale, come la grande occasione storica per liberare dal dominio austriaco le due regioni irredente (“non redente”, non liberate) di Trento e Trieste. A loro giudizio, inoltre, questo nuovo Risorgimento avrebbe dovuto caratterizzarsi per una presenza popolare ben più massiccia e significativa, che avrebbe infine generato un complessivo rinnovamento, in senso democratico, dell’intero assetto politico italiano. Infine, essi affermavano che una vittoria della Germania avrebbe comportato, a livello europeo, un trionfo del militarismo e dell’autoritarismo, mentre una sua sconfitta (cui l’Italia avrebbe dovuto contribuire) avrebbe comportato la crisi dell’impero austro-ungarico e la liberazione di tutte le nazionalità oppresse dell’Europa centrale. Ancora più a sinistra dei democratici, si collocò nello schieramento interventista ➔La guerra un gruppo di socialisti rivoluzionari, che prevedeva per il futuro ben altri svilup- come prologo alla pi. Richiamandosi a una celebre profezia di Engels, intuirono che la partecipazio- rivoluzione proletaria ne a un conflitto di dimensioni così vaste avrebbe logorato le strutture sociali e politiche del Paese, generando condizioni ideali per una sollevazione di tipo rivoluzionario. Essi ammettevano che, nell’immediato, la guerra avrebbe provocato ter-
CAPITOLO 1
1.3 Gli interventisti di sinistra
UNITÀ II
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
58
Un giovane Benito Mussolini (in primo piano con il bastone) insieme ad altri interventisti in una fotografia scattata a Milano nel 1915.
ribili sofferenze a migliaia di persone; ma la carneficina, ai loro occhi, era il prezzo da pagare per il trionfo e la vittoria finale del proletariato, cosicché doveva essere accettata con virile fortezza, se non addirittura con entusiasmo. Su posizioni simili si schierò anche Benito Mussolini; convinto che quella della neutralità fosse la causa dei moderati e dei conservatori (la Chiesa, Giolitti, i socialisti riformisti ostili a ogni prospettiva rivoluzionaria) il 15 novembre 1914 diede vita a i personaggi un nuovo quotidiano, “Il Popolo d’Italia”. Come sottotitolo, esso recava la dicitura Benito Mussolini «quotidiano socialista»; in realtà, era fiNato nel 1883 a Predappio, in Romagna, figlio di un fabbro di idee anarchiche e di una maestra, aderì nel 1900 al Partito socialista, si nanziato da alcuni gruppi industriali itadiplomò maestro ed emigrò in Svizzera per evitare il servizio mililiani che, favorevoli al coinvolgimento del tare. Rientrato in patria nel 1905, grazie a un’amnistia, iniziò l’atPaese in guerra, erano disponibili ad aptività giornalistica in fogli locali del PSI a Trento e Forlì, su posizioni rivoluzionarie e anticlericali. Fu condannato per aver organizzapoggiare economicamente quei settori del to le manifestazioni contro la guerra di Libia; nel 1912 al congresmovimento socialista che si fossero schieso di Reggio Emilia guidò l’ala intransigente del Partito, che ottenne rati dalla parte dell’interventismo. Dopo la maggioranza contro i riformisti, e venne nominato direttore dell’“Avanti!”, il quotidiano ufficiale del PSI. Neutralista allo scopalcuni mesi, anche dall’ambasciata franpio della guerra, nell’ottobre si schierò improvvisamente su posicese giunsero fondi al nuovo giornale di zioni interventiste. A fine novembre fu espulso dal PSI. Richiamato alle armi, venne ferito durante un’esercitazione e lasciò la zona Mussolini, che dopo essere stato espulso di guerra. La sua storia successiva è fusa indissolubilmente con queldal Partito socialista era in cerca di una lila del fascismo. nea politica propria.
1.4 I nazionalisti
LA CONCEZIONE POLITICA DI ENRICO CORRADINI Obiettivo
Trasformare l’Italia in grande potenza
Strumento
Assunzione dei pieni poteri da parte di un’élite
Metodo
Soppressione del socialismo, della democrazia e del sistema parlamentare
CAPITOLO 1
➔La “nazione proletaria” di Corradini
59
➔La differenza con le posizioni di Mazzini
Il problema dell’intervento
I più accesi sostenitori dell’intervento erano i nazionalisti. Il movimento era stato fondato dallo scrittore Enrico Corradini nel 1903 e aveva avuto nella rivista “Il Regno” il primo significativo mezzo di diffusione delle proprie idee. Nel 1911, Corradini aveva sostenuto con entusiasmo la guerra di Libia, che secondo le sue intenzioni doveva essere il primo passo verso la trasformazione dell’Italia in grande potenza. Sul piano teorico, l’intuizione più originale di Corradini era stata quella di adottare una terminologia di tipo marxista, strumentalizzandola per i propri fini. Secondo il suo giudizio, infatti, i veri soggetti motori della Storia non erano le classi sociali, bensì le nazioni, costantemente in lotta tra loro per la sopravvivenza e la supremazia. Nel mondo moderno, egli vedeva però due tipi di nazioni: quelle che chiamava “nazioni borghesi” e le cosiddette “nazioni proletarie”. Le prime, da tempo, avevano costruito propri imperi e si erano arricchite, mentre le seconde (Italia compresa) erano ancora alla ricerca di un’affermazione politico-militare e di un impero coloniale. Tra questi due gruppi non poteva esserci pace e collaborazione, in quanto le nazioni più ricche soffocavano l’espansione delle proletarie, più povere, certo, ma piene di vita e di energia, giovani, e quindi destinate a emergere e a prendere il posto delle ormai declinanti potenze borghesi. La vittoria nella grande competizione tra le nazioni, tuttavia, secondo Corradini esigeva alcune importanti modifiche dell’assetto sociale e politico interno. Innanzi tutto, era indispensabile schiacciare «l’ignobile socialismo», che esortava i proletari a combattere i borghesi e, dunque, poteva portare a una rovinosa guerra civile; il socialismo, insomma, era visto come una specie di cancro che minava la salute della nazione e le impediva di sostenere, unita e compatta, il peso della grande competizione con gli altri Stati del mondo. In secondo luogo, Corradini era nemico del parlamentarismo e della democrazia, che a suo giudizio non erano in grado di condurre con efficienza e decisione una nazione verso l’espansione e la grandezza. Secondo Corradini, era indispensabile che il potere fosse esercitato in modo autoritario da un’élite, da un nuovo ristretto gruppo dirigente, capace di individuare gli obiettivi della politica nazionale e di perseguirli con mano ferma, guidando l’intero Paese. Per cogliere la novità storica del nazionalismo di Corradini, può essere utile segnalare ciò che distingue tale posizione (anticipatrice dei tratti fondamentali dell’ideologia fascista) dalle concezioni di Mazzini. In entrambi i casi, la nazione è posta al centro della riflessione; il pensatore risorgimentale, tuttavia, aspirava alla nascita di un’Europa in cui tutti i popoli fossero liberi e indipendenti, mentre Corradini auspicava l’egemonia della nazione italiana su altre nazioni, i cui diritti non venivano minimamente presi in considerazione e tanto meno rispettati.
UNITÀ II
IDEA DI NAZIONE E NAZIONALISMO A CONFRONTO
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
60
IDEA DI NAZIONE
NAZIONALISMO
Contesto
Prima metà dell’Ottocento
Seconda metà dell’Ottocento e prima metà del Novecento
Definizione
Consapevolezza dell’originalità del proprio popolo
Convinzione della superiorità del proprio popolo
Obiettivo
Libertà e indipendenza del proprio popolo, che dà vita a uno Stato nazionale
Trasformazione del proprio Stato nazionale in grande potenza
Relazioni con gli altri popoli
Rispetto per la libertà di tutti i popoli
Egemonia del proprio popolo sugli altri, ritenuti inferiori
Figure di riferimento
Giuseppe Mazzini Giuseppe Garibaldi
Enrico Corradini Gabriele D’Annunzio
Quanto alla politica interna, anche Mazzini, certo, fu avversario del socialismo, ma nello stesso tempo fu pure un fiero sostenitore della democrazia politica. In Corradini, al contrario, le due idee di democrazia e di nazione si sganciano l’una dall’altra, si separano e si allontanano, al punto che la seconda sottomette a sé la prima e, di fatto, la cancella.
1.5 Gli intellettuali Le posizioni antidemocratiche e nazionaliste di Corradini trovarono ampio consenso fra gli intellettuali più brillanti del primo Novecento. Molti di essi avevano adottato una versione semplificata e banalizzata del concetto di superuomo, proposto dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, e pertanto assumevano atteggiamenti trasgressivi, volutamente provocatori. Ai loro occhi, la società moderna non lasciava più spazio all’individuo forte e geniale, sempre più schiacciato dalle masse e da una morale che imponeva all’uomo di condurre una vita piatta e meschina, più simile a queli personaggi la degli animali che degli esseri umani degni di questo nome. Gabriele D’Annunzio Nato a Pescara nel 1863, pubblicò la sua prima raccolta di versi nel 1879. Gabriele D’Annunzio, alla fine delNel più famoso dei suoi romanzi, Il piacere (1889), D’Annunzio critical’Ottocento, aveva aperto la strada a queva il «grigio diluvio democratico» dei suoi tempi, che non lasciava più spazio all’eroe e all’uomo eccezionale, schiacciato dalle masse. Tale consto tipo di rivolta dell’individuo, e nei cezione elitaria venne più tardi arricchita dalla lettura delle opere di Nietzsuoi romanzi aveva offerto innumerevoli sche, da cui D’Annunzio trasse l’ideale del superuomo. La sua vita si traesempi di personaggi capaci di trasgresformò in una ricerca continua di esperienze forti e di nuove emozioni, nel completo disprezzo della morale corrente. Con questo spirito eroidire le regole della morale comune e, co, D’Annunzio partecipò alla prima guerra mondiale e compì imprese quindi, di vivere una vita intensa, piena spettacolari, che all’epoca destarono grande scalpore, come il siluradi emozioni e satura di sensazioni. Sul mento delle navi austriache nel porto di Buccari (in Croazia) e un volo su Vienna (1918). Nel 1919, guidò l’occupazione di Fiume e fu un impiano letterario, tuttavia, i suoi testi eraportante punto di riferimento per il nascente movimento fascista. Dopo no apparsi alle nuove generazioni tropla conquista del potere, invece, Mussolini temette che il prestigio del poeta potesse oscurare il suo; D’Annunzio pertanto rimase un isolato fino po solenni e arcaici nello stile e nel linalla morte, sopraggiunta nel 1938 a Gardone, sul lago di Garda, dove guaggio, ovvero sfasati rispetto alla moaveva costruito una sfarzosa residenza detta Vittoriale. dernità, caratterizzata dalla velocità e dal-
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IPERTESTO pag. 86 Poeti e intellettuali di fronte alla guerra Guerra-farmaco e guerrarivolta La guerra della retorica Poeti in guerra e poeti di guerra Un anno sull’altipiano
CAPITOLO 1
Un gruppo di futuristi in una foto del primo Novecento (foto di Mario Nunes Vais): si riconosce, tra gli altri, Filippo Marinetti (il terzo da sinistra).
61 Il problema dell’intervento
la proiezione verso il futuro, più che verso il passato. Pertanto, anche se il “mito del superuomo” aveva continuato a essere attivo, molti intellettuali italiani del primo Novecento cercarono strade artistiche nuove, dando vita a un’avanguardia quanto mai vivace e originale nelle sue proposte e nei suoi risultati. Poiché la guerra, nella concezione morale corrente, era condannata come il massimo dei mali e dei peccati, proprio essa venne assunta dalla nuova generazione di intellettuali come l’evento affascinante e avvincente per eccellenza. Giovanni Papini, ad esempio, nel 1913 sulla rivista “Lacerba” celebrò la guerra come uno strumento liberatore, capace di spazzare via dalla Terra l’umanità in esubero, le ottuse masse dominatrici che soffocavano il genio e l’individuo. Così scriveva: «In verità siamo troppi nel mondo. La marmaglia trabocca e gli imbecilli si moltiplicano. Per diminuire il numero di codeste bocche dannose qualunque cosa è buona: eruzioni, convulsioni di terra, pestilenze. E siccome tali fortune son rare e non bastano ben venga l’assassinio generale collettivo». In termini simili si era già espresso Filippo Tommaso Marinetti, che aveva definito la guerra «sola igiene del mondo»; Marinetti aveva dato vita, nel 1909, al movimento artistico del Futurismo, preoccupato di adeguare l’arte (in tutti i suoi campi) alla realtà moderna e, soprattutto, al fatto che il XX secolo era il tempo della velocità. Le riflessioni teoriche e le produzioni artistiche di Marinetti furono caratterizzate dalla preoccupazione di dare velocità e ritmo alla comunicazione artistica (in modo da permetterle di esprimere il mondo moderno e di essere in sintonia con esso), anche a costo di distruggere la sintassi (in poesia), il suono (in musica) e la figura tradizionale (in pittura). Tutti questi autori esaltavano l’individuo; eppure, nel momento in cui il loro desiderio di trasgressione scelse la guerra come mezzo di provocazione, essi finirono per assumere posizioni di tipo nazionalistico, cioè finirono per esaltare un’entità collettiva – la Nazione – a discapito dell’individuo. «Oggi più che mai – scrisse Marinetti nel 1915 – la parola Italia deve dominare sulla parola Libertà». In pratica, il loro desiderio di libertà assoluta li portò dapprima a sostenere la necessità dell’intervento italiano in guerra, poi a difendere la sottomissione di tutte le libertà individuali alle superiori esigenze della Patria e infine (dopo il conflitto) ad aderire al movimento fascista.
L’esaltazione della guerra
DOCUMENTI
UNITÀ II
Intitolato Un caldo bagno di sangue, l’articolo che riportiamo uscì sulla rivista “Lacerba” il 20 settembre 1914: l’autore, Giovanni Papini, celebra la guerra in modo spavaldo e provocatorio, poiché sa che, dalla morale comune, essa è condannata come il massimo dei mali per l’umanità. Papini assume qui la posa del superuomo, che disprezza l’etica borghese e si colloca al di là del bene e del male correntemente intesi.
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
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Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra. Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre. È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli! I civili son pronti a tornar selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve. Non si contentano più dell’omicidio al minuto. Siamo troppi. La guerra è un’operazione malthusiana [il sociologo inglese Thomas Robert Malthus aveva intuito, all’inizio dell’Ottocento, che l’incremento demografico di una popolazione procede ad una velocità superiore rispetto al ritmo di crescita delle risorse alimentari: pertanto, ciclicamente, la popolazione in eccesso cade vittima della carestia o di altre calamità, che riportano in equilibrio il rapporto tra gli individui e le risorse, n.d.r.]. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita. Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel colore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare [ricordare, n.d.r.]? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia Gino Severini, di antipatici, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal Cannone in azione, 1914-1915. mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa. Non si rinfaccino, a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio. Chi odia l’umanità – e come si può non odiarla anche compiangendola? – si trova in questi tempi nel suo centro di felicità. La guerra, colla sua ferocia, nello stesso tempo giustifica l’odio e lo consola. «Avevo ragione di non stimare gli uomini, perciò son contento che ne spariscano parecchi». La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai di più di prima senz’altra spesa di concio [di letame, concime, n.d.r.]. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia [regione della Polonia meridionale, ove nel 1914 si scontrarono l’esercito russo e quello austro-ungarico, n.d.r.] quest’altro anno! Quale giudizio E il fuoco degli scorridori e il dirutamento [l’opera di distruzione, n.d.r.] dei mortai fanno esprime Papini piazza pulita fra le vecchie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldati incensull’umanità? diarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche Quale atteggiamento e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i romassume Papini nei pimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le confronti delle rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare madri che per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione. perderanno i loro Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. figli in guerra? La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e diCome si pone Papini struggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi. verso la cultura e G. PAPINI, Un caldo bagno di sangue, in “Lacerba”, vol. II, n. 20, 1o ottobre 1914 l’arte del passato?
2 L’Italia in guerra CONTRASTI POLITICI
2.1 Un nuovo stile politico
La manifestazione interventista che si tenne a Genova il 5 maggio 1915: in prima fila, senza cilindro in testa e al centro del corteo, si può riconoscere Gabriele D’Annunzio.
CAPITOLO 2
➔Il leader e le masse
63 L’Italia in guerra
Nella primavera del 1915, gli interventisti intensificarono la loro azione di propaganda a favore della guerra, organizzando manifestazioni nelle principali città italiane; grazie al determinante contributo coreografico di D’Annunzio, alcuni di quei grandi raduni possono essere considerati l’atto iniziale di un nuovo modo di gestire la leadership politica, cioè un’anticipazione delle liturgie di massa che avrebbero caratterizzato l’Italia del periodo fascista. Il leader, in questo nuovo stile politico, non era una figura separata dal popolo e superiore alle masse, ma colui che ne incarnava e ne risvegliava i sentimenti più intimi, più profondi e più autentici. Immerso nella folla, il leader la guidava e l’indirizzava lungo la strada che egli stesso indicava come l’unica capace di portare prosperità e grandezza alla Nazione. Chi partecipava al raduno era colpito spesso più dalle musiche, dai colori e dal contesto complessivo, che dalle parole dell’oratore: il risultato era comunque un’emozione profonda, una formidabile carica passionale (al limite del fanatismo), capace di travolgere impetuosamente ogni obiezione di tipo razionale che potesse venir mossa alle opinioni del leader, che non a caso faceva uso, spesso, di termini e simboli derivati dalla tradizione religiosa.
i personaggi Vittorio Emanuele III Nato nel 1867, Vittorio Emanuele III di Savoia divenne re d’Italia nel 1900, dopo che suo padre Umberto I era stato ucciso dall’anarchico Bresci nell’attentato di Monza. Fino alla prima guerra mondiale, Vittorio Emanuele III si mostrò rispettoso del sistema parlamentare e della Costituzione. A partire dal maggio del 1915, invece, assunse un atteggiamento sempre più ambiguo e timoroso della democrazia, che lo spinse infine a sostenere in pieno il fascismo. Solo nel 1943 Vittorio Emanuele III si sarebbe dissociato da Mussolini, temendo che la caduta del fascismo potesse provocare anche la fine della monarchia in Italia. Dopo la seconda guerra mondiale, Vittorio Emanuele abdicò il 9 maggio 1946. Morì ad Alessandria d’Egitto nel 1947.
UNITÀ II
➔Un nuovo progetto politico
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Riferimento storiografico pag. 81
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
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link Il fascismo e la mobilitazione delle masse (pag. 210)
La più imponente di queste manifestazioni si ebbe a Genova, il 5 maggio 1915. Salandra e il re, invitati alla cerimonia, declinarono l’invito. Questo gesto di rifiuto è indicativo della differenza esistente tra il vecchio e il nuovo stile politico. Uomini della tradizione, Salandra e Vittorio Emanuele III avrebbero voluto le masse obbedienti, silenziose e passive. D’Annunzio, invece, intuì che la piazza e la festa pubblica andavano sottratte alla tradizione rivoluzionaria (democratica o socialista) e conquistate a un progetto politico di segno nuovo, che pur essendo autoritario e nazionalista, offrisse alle masse l’opportunità di sentirsi protagoniste e soggetto attivo. Inizialmente, un progetto di questo genere lasciò perplessi anche vari nazionalisti. Alfredo Rocco (che poi avrebbe dato un contributo decisivo alla costruzione del regime fascista) scrisse nell’aprile 1915 che bisognava «deplorare questo elevamento della piazza a organo della vita politica italiana». Tuttavia, nel medesimo tempo, riconosceva che tale centralità della piazza, cioè delle masse, sulla scena politica era «un dato di fatto, una realtà effettiva e attuale, che noi constatiamo con dolore, ma che non possiamo distruggere di un colpo. Questo è il clima politico in cui operiamo, e da cui non possiamo prescindere, senza eliminarci completamente dalla pratica della vita nazionale». I nazionalisti dunque si adeguarono al nuovo stile politico lanciato da D’Annunzio. Dopo la guerra, sarebbe però stato Mussolini a raccogliere più di tutti l’eredità di questi primi tentativi sperimentali di gestione nazionalista della piazza e di mobilitazione delle masse per fini opposti a quelli della democrazia e del socialismo.
2.2 Il Patto di Londra
Il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino.
Nei mesi di marzo e aprile del 1915, il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino ebbe numerosi incontri diplomatici con alti esponenti del governo imperiale di Vienna, per valutare se la neutralità italiana poteva essere compensata dalla cessione di alcuni territori sotto controllo austriaco. Il 16 aprile, l’Austria si dichiarò disposta a cedere, al massimo, una parte del Trentino, e nient’altro. Il 26 aprile 1915, nell’illusione di poter ottenere di più, il governo italiano firmò il cosiddetto Patto di Londra, impegnandosi entro un mese a entrare in guerra con Francia, Gran Bretagna e Russia, contro l’Austria-Ungheria. L’accordo prevedeva che, dopo la vittoria, all’Italia sarebbero state assegnate le due regioni di Trento e di Trieste, l’Alto Adige, l’Istria, la Dalmazia (cioè la costa orientale dell’Adriatico) e una parte delle colonie tedesche in Africa. Tutto ciò avrebbe comportato il trasferimento sotto so-
le parole Ratificare Ratificare significa confermare, convalidare. In un sistema parlamentare pienamente sviluppato, basato sulla separazione dei poteri, ogni decisione del governo (che esercita il potere esecutivo) dev’essere approvata (cioè ratificata) anche dal Parlamento, che esercita il potere legislativo. Una procedura simile non era necessaria nell’impero tedesco, monarchia semi-assoluta in cui le decisioni relative alla politica estera e alla guerra erano di competenza solo del Kaiser e del cancelliere (capo del governo). Proprio per questo, i nazionalisti italiani ammiravano la Germania: ritenevano che le discussioni in Parlamento impedissero l’azione tempestiva e fossero solo un’inutile perdita di tempo. A loro giudizio, il sistema parlamentare andava sostituito con l’autorità dittatoriale energica e decisa, esercitata da un leader o da una ristretta élite di individui capaci e determinati.
In questa vignetta del 1915, il piccolo re Vittorio Emanuele III, consigliato nell'ombra da Giolitti, contratta con Guglielmo II e Francesco Giuseppe il prezzo della neutralità italiana: Germania e Austria arrivarono a proporre segretamente al governo italiano la cessione di Trento e della Venezia Giulia sino all’Isonzo, quindi senza Trieste, per evitare l'intervento a fianco dell'Intesa.
CAPITOLO 2
➔«Sacro egoismo»
65 L’Italia in guerra
vranità italiana di 230 000 austro-tedeschi e 700 000 slavi. Per giustificare l’espansionismo italiano Salandra fece uso dell’espressione «sacro egoismo», coniata dai nazionalisti. Tale formula stava a indicare che il punto di vista del governo era molto diverso da quello degli interventisti democratici: l’Italia sarebbe entrata in guerra non per compiere una nobile missione di redenzione, ma in nome di una fredda politica di potenza, guidata dalla speranza di allargare in modo consistente il territorio nazionale. Per definire meglio la posizione di Salandra e di Sonnino, lo storico Gian Enrico Rusconi utilizza invece il termine azzardo. I massimi dirigenti dello Stato italiano, infatti, non tennero in minimo conto le concrete e sensate obiezioni di Giolitti, dettate da una realistica considerazione delle effettive risorse italiane. «L’azzardo – scrive Rusconi – è qualcosa in più di un rischio calcolato tra obiettivi e risorse, con un margine di incertezze e imponderabilità. È un atto di volontà che forza la situazione». La prima forzatura riguardava il Parlamento, che avrebbe dovuto ratificare con il proprio voto il Patto di Londra. Alla Camera, la maggioranza dei deputati era schierata su posizioni simili a quelle di Giolitti, secondo cui l’Italia poteva ottenere molto di più restando neutrale, che partecipando in prima persona allo scontro. «Potrebbe essere, – scrisse Giolitti all’onorevole Peano – e non apparisce improbabile, che, nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra». Quando il quotidiano “Tribuna” (il 1o febbraio 1915) pubblicò la lettera che conteneva tali parole, Giolitti fu attaccato pubblicamente dai nazionalisti, che lo accusarono di voler affrontare le delicate questioni del momento con bassi raggiri. Giolitti diventò il simbolo di una povera Italietta, da lasciarsi indietro senza rimpianti: dal grandioso scontro armato europeo, invece, ci si attendeva la nascita di una nuova Italia, la rigenerazione della Nazione, rinvigorita nel morale, più forte e rispettata dalle altre potenze. L’orientamento neutralista della Camera suscitò la collera di molti interventisti e, soprattutto, di Mussolini, che l’11 maggio, in un articolo intitolato Abbasso il Parlamento! arrivò a scrivere: «Sono sempre più convinto che per la salute dell’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbone pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo».
UNITÀ II
2.3 Il «maggio radioso»
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
66
➔Grave responsabilità del re
Nel maggio del 1915 (ribattezzato da D’Annunzio «maggio radioso») le principali piazze italiane furono teatro di scontri violenti fra neutralisti e interventisti; questi ultimi si presentavano come gli unici veri rappresentanti della nazione, come la nuova élite dirigente che interpretava il volere del popolo italiano e lo avrebbe condotto finalmente verso quelle grandi mete ideali che Giolitti e i parlamentari, nella loro meschinità, non avrebbero mai saputo raggiungere. I toni della polemica si fecero particolarmente accesi a Roma, ove la stampa interventista moltiplicò gli inviti all’assassinio di Giolitti e dei deputati che lo appoggiavano. Resosi conto di non godere della fiducia della Camera, il 13 maggio Salandra diede le dimissioni; ma il re, deciso sostenitore dell’intervento, gli conferì di nuovo l’incarico. A quel punto, per i deputati, votare contro il Patto di Londra avrebbe significato non solo resistere alle minacce degli interventisti, ma anche sconfessare l’operato del re, mettendone in discussione il prestigio e l’autorità. Il 20 maggio, pertanto, il Parlamento ratificò la decisione del governo, provocando l’ingresso dell’Italia in guerra (24 maggio). L’adesione dell’Italia al conflitto non registrò assolutamente quel momentaneo entusiasmo collettivo che si era verificato a Parigi, Vienna o Berlino: non si percepì infatti un clima di mistica unione nazionale, ma un’atmosfera da guerra civile, di violenza e di rancori. Dopo la guerra, molti interventisti confluirono nel fascismo proprio perché, nel maggio del 1915, si erano convinti del fatto che, all’interno della nazione, si nascondevano dei veri e propri nemici dell’Italia: se quest’ultima voleva sopravvivere e diventare una grande potenza, tali pericolosi avversari interni andavano zittiti, schiacciati e, al limite, eliminati, con estrema determinazione e senza alcuna pietà. La procedura seguita dal re nel maggio del 1915 doveva rivelarsi molto pericolosa per il futuro: era stato evidente, infatti, che il re non aveva tenuto in alcun conto la volontà del Parlamento e, di fatto, l’aveva scavalcato. Dal punto di vista formale, è senza dubbio eccessivo parlare di colpo di Stato. Appare condivisibile, tuttavia, il giudizio espresso a suo tempo dal leader socialista Filippo Turati: «La guerra avrebbe prodotto questo primo effetto prima ancora di essere scoppiata: di aver abolito fra noi il vigore e la dignità dell’istituto parlamentare». INTERVENTO E CRISI DEL SISTEMA PARLAMENTARE Responsabilità del re
Non rispetta il volere della Camera, che in maggioranza è contrario all’intervento
Responsabilità del governo
Stipula in segreto il Patto di Londra, senza informare la Camera, che è messa di fronte a un fatto compiuto
Responsabilità della stampa
L’istituzione parlamentare è oggetto di disprezzo
Responsabilità dei militanti nazionalisti
Intimidazione e minacce contro Giolitti e gli altri deputati neutralisti
Un’imponente manifestazione a favore dell’intervento italiano in guerra nel maggio 1915 in Piazza del Campidoglio a Roma. Mentre i neutralisti rimasero pressoché silenziosi, i leader interventisti riuscirono a radunare immense folle nelle piazze, disposte ad ascoltare i loro discorsi.
RIFLESSIONI DI STORIA CONTROFATTUALE
“Che cosa sarebbe accaduto in Italia se i deputati ostili all’intervento avessero bocciato il Patto di Londra?
”
E SE… l’Italia non avesse combattuto contro l’Austria-Ungheria? CONDIZIONE DI POSSIBILITÀ Nel luglio 1914, pochi giorni dopo l’attentato di Sarajevo, tutti i principali comandanti dell’esercito italiano si erano già convinti che la crisi sarebbe presto degenerata in guerra globale. Per questi alti ufficiali, la prima mossa da compiere al più presto era di organizzare il trasferimento di un forte contingente in direzione della regione del Reno, dove le truppe italiane avrebbero dovuto combattere contro i francesi, al fianco dei tedeschi. Ancora nel 1918, il generale Luigi Cadorna ricordava con rimpianto questa occasione perduta: a suo giudizio, una scelta di quel genere avrebbe messo a disposizione della Germania truppe sufficienti per portare a termine il piano Schlieffen, conquistare Parigi e chiudere la guerra in pochi mesi. Anche il governo prese in considerazione l’idea di un’immediata partecipazione al conflitto a fianco della Germania e dell’Austria-Ungheria, ma la scartò in favore della neutralità. Il 12 agosto 1914, il ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano osservava: «Non risulta dalle nostre informazioni che se avessimo marciato con Austria e Germania avremmo avuto una rivoluzione. Ma certamente il popolo italiano pur facendo patriotticamente il proprio dovere lo avrebbe fatto molto a malincuore». In queste parole c’è ancora l’eco di una di quelle «possibilità reali che proprio in quanto scartate gettano luce sul perché si è deciso altrimenti e quindi perché la vicenda reale ha preso una strada piuttosto che un’altra» (G.E. Rusconi). Preso atto dello scarso consenso che avrebbe provocato un intervento immediato a fianco degli imperi centrali, il governo scartò poi anche l’altra possibilità: quella della neutralità assoluta. In questo caso, probabilmente ebbero il ruolo decisivo la volontà dei conservatori di distinguersi da Giolitti, nonché il loro sogno di riuscire a sedere al tavolo dei vincitori: il sogno di trasformare l’Italia in grande potenza. SCENARIO ALTERNATIVO PLAUSIBILE L’Italia, però, non possedeva affatto un’economia solida, capace di affrontare i costi di una lunga guerra moderna. Il re e Salandra si comportarono da irresponsabili, compiendo un terribile azzardo. Poteva, la Camera, opporsi? Certo, lo scenario è plausibile: in questo caso, l’Italia sarebbe rimasta neutrale fino alla fine della guerra, oppure avrebbe potuto attaccare l’Austria nel tardo 1918, quando l’impero asburgico era ormai
agonizzante, per ottenere quanto Vienna si ostinò a non concedere per tutto il periodo della neutralità italiana. Le cose sarebbero forse andate diversamente, se il governo imperiale avesse accettato il consiglio che veniva dalla Germania, di offrire almeno Trento, all’Italia, in cambio della neutralità. L’Austria-Ungheria, però, rimase rigida nel rifiutare all’Italia qualsiasi concessione: tutti i tentativi di trovare una soluzione diplomatica al contrasto italoaustriaco rimasero nel vago e non approdarono a nulla. Del resto, la guerra era iniziata per difendere l’onore e l’integrità dell’impero dalle minacce del nazionalismo serbo. Cedere al nazionalismo italiano pareva, al governo di Vienna, insensato e contraddittorio. Ma che cosa sarebbe accaduto, in Italia, se Giolitti e i deputati ostili all’intervento (in maggioranza, alla Camera) avessero bocciato il Patto di Londra? Il fatto stesso che i deputati si siano infine piegati al volere del re sta a indicare che un loro rifiuto di votare l’intervento avrebbe aperto una gravissima crisi istituzionale, un conflitto violentissimo tra Camera e Corona. Occorreva che i deputati fossero disposti ad arrivare fino in fondo, cioè avessero il coraggio di chiedere una radicale revisione dello Statuto Albertino e – al limite – l’abdicazione del re. Una simile determinazione non esisteva in nessuno dei deputati liberali, timorosi semmai che uno scontro tra Camera e Corona provocasse un’offensiva in grande stile di tutte le forze ancora fuori dal sistema (repubblicani, clericali, socialisti, anarchici ecc.). GLI ELEMENTI CHE ESCONO CONFERMATI La valutazione delle opzioni scartate, dunque, ci porta a riflettere sui seguenti elementi, che effettivamente si sono rivelati determinanti nello svolgimento della vicenda storica. • All’inizio del secolo XX, in una monarchia costituzionale, quella del re non è ancora una figura rappresentativa, di contorno, priva di vero spessore politico. Le sue decisioni sono ancora determinanti. Anzi, nel caso di Vittorio Emanuele III, dovremo evidenziare le sue responsabilità di capo dello Stato nell’ascesa del fascismo al potere. • Durante il «maggio radioso», il Parlamento fu vilipeso e bistrattato. • Scegliendo l’intervento, un intero settore della classe dirigente liberale non si accorse che stava minando alla radice la credibilità stessa del sistema parlamentare.
CAPITOLO 2
con i se...
67 L’Italia in guerra
La
3 La guerra dei generali POTERI E CONFLITTI
3.1 Il generale Cadorna 2
Riferimento L’esercito italiano era guidato dal generale Luigi Cadorna, che aveva assunto l’incaristoriografico co di comandante in capo il 27 luglio 1914. Si trattava di un uomo dal carattere diffipag. 82
UNITÀ II
➔Egocentrismo e indifferenza per le perdite umane
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
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Il generale Cadorna (il secondo da destra) a colloquio con alcuni ufficiali durante una visita a un reparto alpino nell’agosto 1915.
cile, ostinato, molto sicuro di sé e del tutto incapace di ammettere i propri eventuali errori. Pertanto, fino a quando fu in carica, rivendicò sempre la più totale autonomia del potere militare dal potere civile, cioè dal governo; Cadorna si sentiva subordinato solo e direttamente al re, e quindi considerava come vere intromissioni nella sua sfera di competenza ogni direttiva proveniente dal presidente del Consiglio o dal ministro della Difesa. Collaborare con Cadorna (che difficilmente accettava consigli) non era semplice neppure per gli altri generali; il comandante supremo – infatti – anche se non aveva mai visto un campo di battaglia, si considerava un raffinato esperto di tattica militare ed era convinto di essere l’unico a conoscere la strategia vincente per battere il nemico. Di conseguenza, nei primi due mesi di guerra, rimosse dal loro incarico ben 27 generali, i primi di una lunghissima lista: tra il maggio 1915 e l’ottobre 1917 sarebbero stati allontanati dal comando 807 ufficiali, tra cui 217 generali e 255 colonnelli. Al centro della sua impostazione, stava il principio della “spallata”. In gergo più tecnico, ciò significava che l’offensiva andava mantenuta a ogni costo; l’esercito nemico doveva essere tenuto sempre sotto pressione da una serie di attacchi massicci e potenti, che infine avrebbero provocato lo sfondamento del fronte. Non si trattava di una dottrina militare molto diversa da quella teorizzata in Francia, dove i generali avevano sognato che lo slancio e l’impeto del soldato francese avrebbero facilmente travolto le difese avversarie. Un anno di guerra in Belgio e in Francia, però, aveva già dimostrato che questa impostazione era anacronistica, nella misura in cui opponeva i sol-
dati non ad altri uomini, più o meno coraggiosi di loro, ma all’acciaio e alle macchine: in una parola, alle armi moderne. «Il coraggio e il numero – ha osservato lo storico inglese Christopher Seton-Watson – non bastarono: il comando italiano non aveva saputo comprendere la lezione tattica del fronte occidentale, e chi pagò il prezzo di questo errore fu il fante italiano, che per la prima volta si trovò a combattere una guerra di trincea tra fili spinati e sbarramenti di artiglieria». Per di più, l’esercito non era affatto quella forza poderosa di cui la tattica di Cadorna avrebbe avuto bisogno. Le truppe italiane avevano subito gravi perdite di materiali in Libia (nel novembre 1914, in occasione di una rivolta generale araba), sicché disponevano di circa 2000 cannoni (di diverso calibro) e di appena 618 mitragliatrici (soltanto due per ogni reggimento). Qualche probabilità maggiore di successo la strategia offensiva del comandante italiano avrebbe potuto ottenerla se l’esercito fosse stato già pronto e il 24 maggio, di sorpresa, avesse immediatamente assalito d’impeto il confine austriaco; Cadorna, al contrario, si mosse con estrema lentezza, cosicché la raccolta degli uomini dei reparti di fanteria fu completata solo il 16 giugno, mentre l’artiglieria pesante fu dispiegata ai primi di luglio.
➔Lentezza e carenze organizzative
➔Alta quota, freddo e valanghe
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In questa fotografia del 1915 alcuni alpini usano un cannone in alta montagna.
La guerra dei generali
Il fronte italiano, durante la prima guerra mondiale, era lungo circa 700 chilometri, e le operazioni militari si svolsero contemporaneamente in due settori molto diversi tra loro: il Trentino e il Carso. In Trentino il conflitto assunse caratteri del tutto particolari e, per certi aspetti, ancora pre-moderni: si trattò soprattutto di una guerra di montagna, condotta ad alta quota, in condizioni ambientali spesso difficilissime che, secondo lo storico tedesco Heinz von Lichem provocarono, da sole, 30-40 000 morti, pari ai 2/3 del totale dei caduti dalle due parti in questa zona di guerra. Particolarmente duro fu l’inverno del 1916: nella sola giornata del 13 dicembre (denominata venerdì bianco) migliaia di soldati italiani e austriaci furono travolti dalle valanghe e dalle slavine.
CAPITOLO 3
3.2 La guerra alpina
Nel maggio del 1916, gli austriaci lanciarono la cosiddetta spedizione punitiva (Strafexpedition); dopo un intenso bombardamento, l’esercito austro-ungarico attaccò in forze in Trentino e riuscì ad avanzare per circa una ventina di chilometri, ma infine venne fermato. Ciò nonostante, la grande offensiva austriaca ebbe un importante risvolto politico: nel giugno 1916, Salandra fu costretto a dimettersi e fu sostituito dall’anziano Paolo Boselli; Sonnino, però, conservò il ministero degli Esteri. Nel settore trentino del fronte, molti dei reparti impegnati erano truppe del corpo degli alpini, ufficialmente costituito nel 1872. Si trattava di soldati reclutati su base regionale, mentre negli altri reggimenti italiani, di solito, erano accorpati uomini provenienti da diverse regioni. Poiché invece, nel limite del possibile, i reparti alpini erano formati da montanari, che provenivano dallo stesso villaggio e dalla stessa vallata, si creò una straordinaria coesione di gruppo, che permise loro di affrontare con fermezza e coraggio anche le situazioni disperate. Senza dubbio, una delle crisi più gravi che gli alpini dovettero affrontare fu la battaglia dell’Ortigara (tra Valsugana e Asiago) durante la quale – in soli 20 giorni (10-30 giugno 1917) – caddero 12 000 soldati, in un’offensiva condotta a 2000 metri, secondo i criteri fissati da Cadorna (assalto frontale a oltranza).
L’assalto frontale UNITÀ II
Emilio Lussu partecipò alla guerra in qualità di tenente. Insieme al suo reggimento di fanti sardi, combatté per un anno sull’altopiano di Asiago. La sua testimonianza fu pubblicata nel 1938. Mentre la retorica fascista, in quell’epoca, descriveva la guerra come un’esperienza eroica, che aveva completato e cementato l’unità della nazione, Lussu la presentò come un assurdo massacro di vite. Particolarmente impietosa l’immagine che Lussu offre dei generali, del tutto indifferenti dinanzi alle perdite provocate dagli assalti frontali.
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
70 Fanti italiani durante una pausa in trincea in una illustrazione dell’epoca.
Il capitano Bravini aveva l’orologio in mano, e seguiva, fissamente, il corso inesorabile dei minuti. Senza levare gli occhi dall’orologio gridò: «Pronti per l’assalto!» Poi riprese ancora: «Pronti per l’assalto! Signori ufficiali, in testa ai reparti!» [...] Gli occhi dei soldati, spalancati, cercavano i nostri occhi. Il capitano era sempre chino sull’orologio e i soldati trovarono solo i miei occhi. Io mi sforzai di sorridere e dissi qualche parola a fior di labbra; ma quegli occhi, pieni di interrogazione e di angoscia, mi sgomentarono. «Pronti per l’assalto!» Ripeté ancora il capitano. Di tutti i momenti della guerra, quello precedente l’assalto era il più terribile. L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra. [...] «Savoia!» gridò il capitano Bravini. «Savoia!» ripeterono i reparti. E fu un grido urlato come un lamento ed un’invocazione disperata. La 9a [la 9a compagnia, n.d.r.], tenente Avellini in testa, superò la breccia e si lanciò all’assalto. Il generale e il colonnello erano alle feritoie. [...] La 10a, la 11a e la 12a seguirono di corsa. In pochi secondi tutto il battaglione era di fronte alle trincee nemiche. Che noi avessimo gridato o no, le mitragliatrici nemiche ci attendevano. Appena oltrepassammo una striscia di terreno roccioso ed incominciammo la di-
Da quella durissima prova nacque una delle più celebri canzoni della guerra, Tapum, la cui aria era già stata cantata dai minatori che, tra il 1872 e il 1880, avevano scavato la galleria del San Gottardo. In quel contesto, l’espressione onomatopeica ta-pum alludeva allo scoppio delle mine, che aprivano la strada al duro lavoro degli sterratori. Nel 1917, invece, ta-pum espresse il rumore degli spari che colpivano gli alpini, costretti a restare «venti giorni sull’Ortigara/senza il cambio per dismontà».
➔Ortigara, 1917
3.3 Le battaglie dell’Isonzo
DOCUMENTI scesa verso la vallata, scoperti, esse aprirono il fuoco. Le nostre grida furono coperte dalle loro raffiche. A me sembrò che contro di noi tirassero dieci mitragliatrici, talmente il terreno fu attraversato da scoppi e da sibili. I soldati colpiti cadevano pesantemente come se fossero stati precipitati dagli alberi. Per un momento, io fui avvolto da un torpore mentale e tutto il corpo divenne lento e pesante. Forse sono ferito, pensavo. Eppure sentivo di non essere ferito. I colpi vicini delle mitragliatrici e l’incalzare dei reparti che avanzavano alle spalle mi risvegliarono. Ripresi subito conoscenza del mio stato. Non rabbia, non odio, come in una rissa, ma una calma completa, assoluta, una forma di stanchezza infinita attorno al pensiero lucido. Poi anche quella stanchezza scomparve e ripresi la corsa, veloce. Ora mi sembrava di essere ridivenuto calmo, e vedevo tutto attorno a me. Ufficiali e soldati cadevano con le braccia tese e, nella caduta, i fucili venivano proiettati innanzi, lontano. Sembrava che avanzasse un battaglione di morti. Il capitano Bravini non cessava di gridare: «Savoia!» [...] I difensori non erano nascosti, dietro le feritoie. Erano tutti in piedi e sporgevano oltre la trincea. Essi si sentivano sicuri. Parecchi erano addirittura dritti sui parapetti. Tutti sparavano su di noi, puntando calmi, come in piazza d’armi. [...] D’un tratto, gli austriaci cessarono di sparare. Io vidi quelli che ci stavano di fronte, con gli occhi spalancati e con un’espressione di terrore quasi che essi e non noi fossero sotto il fuoco. Uno, che era senza fucile, gridò in italiano: «Basta! Basta!» «Basta!» ripeterono gli altri, dai parapetti. Quegli [quello, n.d.r.] che era senz’armi mi parve un cappellano. «Basta! bravi soldati. Non fatevi ammazzare così». Noi ci fermammo, un istante. Noi non sparavamo, essi non sparavano. Quegli che sembrava un cappellano, si curvava talmente verso di noi, che, se io avessi teso il braccio, sarei riuscito a toccarlo. Egli aveva gli occhi fissi su di noi. Anch’io lo guardai. Dalla nostra trincea, una voce aspra si levò: «Avanti! soldati della mia gloriosa divisione. Avanti! Avanti, contro il nemico!» [...] Dalla trincea nemica, una voce di comando gridò alta, in tedesco: «Fuoco!» Dalla trincea partirono dei colpi. [...] Tutti ci buttammo a terra, fra i cespugli, e ci riparammo dietro gli abeti. L’assalto era finito. Io ho impiegato molto tempo a descriverlo, ma esso doveva essersi svolto in meno d’un minuto. E. LUSSU, Un anno sull’altipiano, Einaudi, Torino 1966, pp. 121-127
Con quali aggettivi definiresti l’attacco frontale dei soldati italiani? Quale reazione suscita l’attacco dei fanti italiani tra i soldati nemici?
CAPITOLO 3
➔Il fronte del Carso
71 La guerra dei generali
La regione dell’altopiano del Carso, che separa il fiume Isonzo da Trieste, fu invece teatro di un conflitto modernissimo, analogo a quello che si svolgeva negli stessi anni in Francia o nelle Fiandre. La storiografia militare è solita individuare, in questo settore friulano, ben 12 battaglie dell’Isonzo: un numero così elevato di scontri, verificatisi sempre nei medesimi luoghi, è il segnale che anche qui – come sul fronte occidentale – le ripetute “spallate” di Cadorna non riuscivano a sfondare le difese del nemico.
UNITÀ II
➔Una sanguinosa guerra di trincea
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
72
Soldati italiani feriti sull’altopiano carsico sono in attesa di essere trasportati negli ospedali da campo.
Dopo le prime offensive, l’esercito italiano cominciò a soffrire per carenza di ufficiali esperti. Le truppe furono guidate sempre più spesso da giovani laureati o da studenti universitari, che erano nutriti di studi classici e di ideali risorgimentali, ma non avevano alcuna esperienza, visto che erano mandati subito al fronte, dopo un corso di pochi mesi. Nell’agosto 1916, al termine della sesta battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano riuscì a conquistare Gorizia. Però, proprio com’era accaduto agli austriaci in maggio sul fronte trentino (Strafexpedition), dopo un successo iniziale non si riuscì a proseguire l’offensiva, a darle ulteriore forza e, quindi, a infliggere al nemico una disfatta risolutiva. Come ha scritto lo storico italiano Giorgio Rochat, «al di là di Gorizia c’erano soltanto nuove trincee, su cui la guerra di posizione continuava con tutti i suoi orrori e sacrifici». Le perdite provocate da queste operazioni, in effetti, furono pesantissime: solamente nel 1916, gli italiani ebbero 118 000 morti e 285 000 feriti, mentre l’intero Risorgimento, dal 1848 al 1870, era costato circa 7000 caduti. Anche se il numero di cannoni e mitragliatrici a disposizione delle forze italiane era in continua crescita, e ciò rendeva lo scontro con il nemico meno impari rispetto al 1915, le truppe erano sempre più stanche e demoralizzate, di fronte a una guerra di cui non si poteva intravedere la conclusione. Costata 50 000 uomini agli italiani (e 40 000 agli austriaci), la conquista di Gorizia non mutò affatto questo stato d’animo. Come nel caso degli alpini, la rabbia dei fanti traspare dalle canzoni che, più o meno clandestinamente, circolavano nelle trincee. La più celebre, sul fronte dell’Isonzo, recitava: «O Gorizia tu sei maledetta / tanti cuori son senza coscienza! / dolorosa mi fu la partenza / che per tanti ritorno non fu. / Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta, / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù».
4 Da Caporetto a Vittorio Veneto
E
POTERI CONFLITTI
4.1 L’Italia nella guerra globale
CAPITOLO 4
➔Rapporto ambiguo con l’impero tedesco
73
link Il collasso dell’impero russo (pag. 28)
4.2 L’offensiva austro-tedesca In un primo tempo, i tedeschi si limitarono ad aggregare sette loro divisioni scelte all’esercito asburgico; poi, decisero di assumere il diretto comando delle operazioni. Il piano tedesco prevedeva una massiccia offensiva nell’area di Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia), un villaggio situato a nord di Gorizia, tra i due avamposti di Plezzo e Tolmino. Tuttavia, applicando una tattica che si stava già collaudando in Francia, l’assalto sarebbe stato condotto non da una grande massa di truppe concentrate in un unico settore, ma da vari reparti di medie dimensioni, il cui compito era di infiltrarsi in profondità entro le file del nemico, per poi colpirne la prima linea alle spalle, dopo
➔Una nuova tattica di assalto
Da Caporetto a Vittorio Veneto
Il 24 maggio 1915, l’Italia era entrata in conflitto solo contro l’Austria-Ungheria; nell’agosto del medesimo anno, fu dichiarata guerra ad alcuni alleati minori dell’impero asburgico, come la Turchia e la Bulgaria, ma non ancora alla Germania. Con il Reich tedesco furono rotte le relazioni diplomatiche, ma non si andò oltre: all’inizio del 1916, i cittadini tedeschi che vivevano in Italia non erano stati internati, godevano di ampia libertà di movimento e disponevano liberamente dei propri beni. Questa singolare situazione offre un altro esempio della condizione particolare in cui si trovava l’Italia, nei rapporti con i suoi alleati. I serbi, infatti, guardavano con sospetto alle ambizioni italiane sulla Dalmazia e su altre terre occupate da slavi che, in caso di sconfitta austriaca, l’Italia avrebbe potuto conquistare. Quanto all’Inghilterra e alla Francia, che consideravano la Germania il loro vero avversario, furono profondamente deluse: il governo italiano venne tacciato di egoismo e di opportunismo. Lo si accusò di condurre una guerra privata, per ottenere vantaggi specifici, approfittando del fatto che Vienna era impegnata in un conflitto generalizzato; a quest’ultimo però – si diceva, non senza ragione – l’Italia non voleva partecipare in modo pieno: anzi, in caso di vittoria della Germania (che sarebbe risultata, se avesse vinto, la principale potenza del continente) avrebbe limitato al minimo i danni della sconfitta e avrebbe goduto della protezione tedesca, contro eventuali richieste austriache di ritorsione. Era Salandra, soprattutto, l’architetto di questo disegno, accusato di doppio gioco dagli alleati; non a caso, fino al marzo 1916, né Salandra né Sonnino parteciparono ad alcun incontro al vertice con i massimi responsabili del governo inglese e francese. La caduta di Salandra nell’estate del 1916 modificò il quadro politico italiano; il 28 agosto, l’Italia dichiarò finalmente guerra all’impero germanico. Cadorna intanto proseguiva le sue “spallate” contro le posizioni trincerate austriache: la decima battaglia dell’Isonzo (maggio 1917) costò 15 000 morti e 40 000 feriti; l’undicesima (detta della Bainsizza) fu la più grande offensiva mai lanciata dagli italiani. Sostenuta da 5000 cannoni, durò due mesi (agosto e settembre 1917) e provocò 46 000 morti e 120 000 feriti italiani. Nel frattempo, il collasso dell’esercito russo permise la concentrazione di tutte le armate austro-ungariche sul fronte italiano; quanto ai tedeschi, prima di trasferire le loro truppe dal fronte russo a quello francese, decisero di sostenere l’alleato austriaco in una vasta offensiva sull’Isonzo.
IL FRONTE ITALIANO
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L’Italia riuscì a respingere la controffensiva austriaca in Trentino (1916), ma fu travolta a Caporetto nell’ottobre 1917. La nuova linea del fronte si spostò quindi fra il Piave e il monte Grappa.
Pieve di Cadore
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L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
74
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pagg. 106-108
O
AVVIO GRADUALE AL SAGGIO BREVE
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UNITÀ II
➔Errori dei generali italiani
T
➔Tattica della infiltrazione in profondità
averla aggirata e circondata. Questa nuova tattica aveva già dato discreti risultati sul fronte occidentale, ma non era risultata vincente, perché l’esercito inglese e quello francese erano organizzati su varie linee di difesa e dotati di buone riserve. Sul fronte italiano, la tattica tedesca dell’infiltrazione risultò invece devastante, dal momento che lo schieramento imposto da Cadorna al suo esercito era tutto sbilanciato in avanti, in direzione offensiva, mentre le riserve erano scarse e mal dislocate. Nei giorni immediatamente precedenti l’inizio dell’attacco, il generale Cadorna fu informato da alcuni disertori austriaci dell’imminente offensiva nemica, ma non prestò fede a quelle notizie. L’esercito italiano, pertanto, all’alba del 24 ottobre 1917 fu colto completamente alla sprovvista, allorché le prime linee vennero investite da un violentissimo bombardamento di artiglieria (quattro ore con granate a gas; altre due ore di fuoco con granate esplosive), che preparò l’avanzata (o meglio, l’infiltrazione in profondità) della fanteria austro-tedesca. All’inizio, il comando italiano non valutò correttamente l’entità dell’attacco nemico. Il generale Badoglio, responsabile dell’artiglieria italiana, non seppe opporre un valido e tempestivo sbarramento di fronte all’avanzata austro-tedesca, mentre Cadorna diramò le prime direttive solo tra le 18 e le 23. L’intero comando rimase per qualche giorno indeciso sul da farsi, emanando ordini contraddittori e confusi. I tedeschi, pertanto, ottennero un successo superiore a ogni loro più ottimistica aspettativa: nei giorni seguenti il 24 ottobre, gli italiani ebbero perdite per 11 000 morti, 30 000 feriti, 300 000 prigionieri, 3000 cannoni e 300 000 fucili. L’esercito italiano fu costretto a ritirarsi disordinatamente, incalzato dai nemici, per circa 140 chilometri: solo lungo la linea del fiume Piave fu possibile ricostruire un efficace sistema difensivo. L’episodio più critico dell’intera ritirata si ebbe al fiume Tagliamento, nel momento in cui migliaia di soldati e di mezzi si accalcarono sui pochi ponti che permettevano il passaggio. L’ingorgo delle vie di comunicazione, in quella circostanza, ebbe dimensioni inaudite e potrebbe essere paragonato al collasso della circolazione su una grande autostrada dei giorni nostri. Il parallelo – si badi – è meno assurdo di quanto si pensi: in entrambi i casi siamo di fronte a un fenomeno (la guerra, nel 1917; il turismo, ai giorni nostri) di massa, che mobilita e coinvolge migliaia di persone, secondo modalità tipiche di una moderna società industrializzata e dunque sconosciute nei secoli del passato.
Vicenza Verona
Padova
Confine Italia-Austria al 24 maggio 1915 Fronte italiano nell'ottobre 1917
Venezia
Mar Adriatico
Avanzata italiana Fronte italiano nel dicembre 1917
ISTRIA
Avanzata austriaca
L’ingorgo sui ponti del fiume Tagliamento, durante la ritirata verso il Piave
DOCUMENTI
A. SOFFICI, La ritirata del Friuli, Vallecchi, Firenze 1919; citato in D. PICCIOLI, G. PICCIOLI, L’altra guerra, Principato, Milano 1974, pp. 108-110
75 Da Caporetto a Vittorio Veneto
Tutte le vie che confluivano in quel punto erano ugualmente nereggianti di gente, tutte Metti in evidenza nel testo le vallette e le insenature, ai piedi delle alture, erano rigurgitanti come quella che avevo trale espressioni versato: sulla riva del Tagliamento un’altra turba [folla, n.d.r.] si accalcava. Per la prima volta utilizzate dallo ebbi la sensazione intera della tragica enormità del fatto che si svolgeva, e il dolore di vescrittore per rendere derlo senza rimedio. Si pensava ai grandi e terribili avvenimenti della storia, dell’antichità: agli la «tragica esodi biblici, alle migrazioni dei popoli, alle anabasi [viaggio lungo e pericoloso, n.d.r.] orienenormità» della tali, alle fughe caotiche davanti ai flagelli ed ai cataclismi. Povera carne; angoscia di una rotta di Caporetto. razza; terrore; disperazione! [...] Di tempo in tempo un ufficiale superiore si faceva largo, strisciava lungo il parapetto [del Metti in evidenza i contrasti percepiti ponte, n.d.r.], spariva avanti urlando ordini che nessuno capiva. Qualche carabiniere arrivava dallo scrittore: subito dopo ripetendo gli stessi ordini, cercando di farli eseguire; ma come [siccome, n.d.r.] a) confusione/ era impossibile farsi obbedire – anche perché spesso erano contraddittori – strillava lui e se silenzio; ne andava poi senza avere ottenuto nulla. Notai però che all’infuori di queste voci clamorose b) tragicità/comicità e inutili, uno strano silenzio regnava anche qui, come dappertutto dove mi ero trovato in mezzo delle situazioni. a quelle calche. Tutti camminavano, cercavano di camminare, o stavano fermi per minuti e per ore, ma senza frastuono, ancorché ansiosi di proseguire. Persino i gesti non erano troppo violenti e, sulle facce, più che il terrore si leggeva il dolore e la stanchezza. Qui poi non mancavano neanche figure di giovialità e magari aspetti da commedia. Un artigliere, per esempio, che vidi sfilare fra gli alberi a cavalcioni sopra un cassone pelando allegramente un pollo, fra le risa dei compagni; un fantaccino [un soldato semplice di fanteria, n.d.r.] che se ne andava serio serio col suo fucile a tracolla portando infilato nella baionetta innestata un bianco quadrato di carne secca che il sole ammolliva... [...] Arrivai al ponte. E lì compresi per prima cosa la ragione di tanto indugio nel passaggio. Appoggiato alla spalletta, che aveva mezzo stroncato nel cadere, un grosso camion era ribaltato, ed ora stava sospeso sul baratro dove parecchi soldati lavoravano per farlo precipitare. Capii anche che molti altri incidenti di quel genere dovevano essere capitati prima, poiché, guardando giù nel Le truppe italiane letto del fiume, le cui acque erano un poco calate, vidi una quantità di carrette, e carri ro- ripiegano verso il Piave vesciati, sfasciati sul greto; e persino muli col carico ancora legato alla groppa che giace- dopo la sconfitta vano morti nell’acqua con le zampe che dondolavano alla corrente. [...] di Caporetto. Intanto le fermate si facevano sempre più frequenti e la babilonia [il caos, n.d.r.] più grande. Ci fu un momento che addirittura parve di doversi rassegnare [sembrò inevitabile doversi rassegnare, n.d.r.] a restar lì, senza più nessuna speranza di fare un passo verso l’altra riva. Mi domandavo che cosa potesse accadere in testa al ponte per causare quello straordinario ristagno. Quando, alla fine, a forza di spinte e bestemmie, si poté arrivare, vidi che non c’era nulla, se non un maggiore inviperito, ritto in mezzo alla strada, con la rivoltella in pugno, il quale, per fare sfoggio della sua autorità, impediva a chiunque di passare finché non piacesse a lui. Mentre dietro di noi c’era ancora la metà dell’armata, centinaia di migliaia di profughi e un diluvio di cannoni e materiale di ogni sorta, lungo dodici chilometri, da transitare!
CAPITOLO 4
Ardengo Soffici pubblicò le sue memorie di guerra nel 1919. Il racconto che egli offre della rotta italiana verso il Piave è di rara efficacia: poiché l’esercito era in preda al caos, l’attraversamento del fiume Tagliamento sui pochi ponti disponibili divenne estremamente difficoltoso.
4.3 Entità e cause della disfatta Riferimento storiografico
3
UNITÀ II
pag. 83
Donne e bambini italiani in fuga verso il Piave per sfuggire all'avanzata dell'esercito austro-tedesco.
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
76 2
IPERTESTO pag. 96 Contadini-soldati, tra repressione e propaganda Il bisogno di scrivere L’apparato repressivo delle autorità Autolesionismo e prigionia Ammutinamenti e fucilazioni
Le province di Udine, Belluno, Treviso, Vicenza e Venezia furono occupate dagli austro-tedeschi, che arrivarono a soli 25 chilometri dal capoluogo veneto. Mentre 600 000 profughi abbandonarono le loro case, circa un milione di persone si trovò sotto un regime di occupazione straniera, in un territorio che comprendeva 20 000 chilometri quadrati di territorio nazionale. La dominazione militare austriaca fu estremamente dura, per il fatto che l’esercito occupante doveva ricavare dalle regioni in cui si era installato tutte le risorse alimentari che gli servivano per sopravvivere; i territori italiani invasi, pertanto, vennero sottoposti dapprima a razzie disorganizzate e poi a un sistematico processo di spoliazione. Almeno 30 000 civili morirono per denutrizione, mentre un numero imprecisabile (ma sicuramente elevato) di donne fu vittima di violenza sessuale, come già era avvenuto in Belgio nel 1914. Cadorna, nel bollettino di guerra emanato alle ore 13 del 28 ottobre, cercò di scaricare le responsabilità del disastro sulle truppe: «La mancata resistenza di reparti della 2a armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia. Gli sforzi valorosi delle altre truppe non sono riusciti a impedire all’avversario di penetrare sul sacro suolo della Patria». Il comandante presentava la disfatta come la conseguenza fatale di una specie di sciopero militare, che si sarebbe verificato in prima linea, secondo modalità simili a quelle che, in quello stesso anno, avevano paralizzato e dissolto l’esercito russo. In effetti, moltissimi soldati – moralmente e fisicamente esausti, dopo due anni di micidiali assalti frontali – avevano gettato le armi. Tuttavia, i casi di rivolta aperta contro gli ufficiali, durante la rotta di Caporetto furono pochissimi; inoltre, non si può in alcun modo documentare che il disfattismo dei soldati sia stato indotto dalla propaganda socialista o dalle parole di papa Benedetto XV, che il 1o settembre 1917 aveva definito la guerra «inutile strage», come molti conservatori presero a sostenere, al fine di proteggere l’onore dell’esercito. In realtà, il vero responsabile del crollo delle truppe – là dove si verificarono episodi di rassegnazione, di resa o di fuga in massa – fu soprattutto la sistematica e spietata strategia cadorniana delle “spallate”.
4.4 Il dibattito politico dopo Caporetto
➔V.E. Orlando a guida del governo
Anche se le gravissime negligenze dei vertici militari italiani (di Badoglio, innanzi tutto, e poi dello stesso Cadorna) furono ovviamente taciute e coperte – sia dai bollettini di guerra che dalle altre dichiarazioni ufficiali –, l’8 novembre 1917 Cadorna venne esonerato; il comando supremo dell’esercito italiano fu assegnato al generale Armando Diaz, che avrebbe assunto un atteggiamento militare di segno opposto rispetto al suo predecessore. Del resto, date le ingenti perdite di materiale, la forza d’urto dell’esercito italiano era gravemente indebolita e andava in pratica ricostruita da capo. A livello politico, poi, la disfatta di Caporetto provocò un vero terremoto. Mentre la presidenza del Consiglio veniva assunta da Vittorio Emanuele Orlando, i vari schieramenti politici cercarono di precisare le loro posizioni. L’ala maggioritaria del partito socialista si rifiutò di uscire dal proprio isolamento, cioè non abbandonò l’atteggiamento di diffidenza e di freddezza che si esprimeva nella formula «né aderire, né sabotare». Solo un piccolo gruppo di dirigenti sindacali (come Rinaldo Rigola, del-
In questo manifesto un soldato italiano cerca di cancellare la scritta «Caporetto», che evoca tristissimi ricordi tra le fila del nostro esercito.
➔Treves, Turati e i socialisti moderati
Riferimento storiografico
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Il generale Armando Diaz in amichevole colloquio con due soldati feriti. Il nuovo comandante dell’esercito, succeduto a Luigi Cadorna dopo la disfatta di Caporetto, si preoccupò di ricostruire il morale delle truppe evitando l’autoritarismo che aveva caratterizzato il suo predecessore.
CAPITOLO 4
pag. 85
77 Da Caporetto a Vittorio Veneto
la CGL, cioè la Confederazione generale del lavoro) e di deputati (come Claudio Treves e Filippo Turati) affermò che, dopo Caporetto, il conflitto diventava davvero la guerra di tutti gli italiani: nell’animo di ciascuno – scrisse Treves in un articolo firmato anche da Turati, pubblicato nel novembre 1917 – doveva ormai «campeggiare soltanto l’atroce dolore per il danno e per il lutto e la ferma volontà di combattere, di resistere fino all’estremo». Sull’altro fronte, tra gli interventisti, si registra la crescita di una serie di atteggiamenti che subito dopo la fine della guerra sarà fatta propria dal movimento fascista. Tutti, compresi gli interventisti democratici, guardarono al Parlamento con diffidenza e timore; poiché la Camera era ancora composta dagli stessi deputati del 1915, la maggior parte dei quali non avrebbe, a suo tempo, voluto la guerra, si temeva che Giolitti, o qualcuno dei suoi, approfittasse della gravità della situazione per tornare al potere e, peggio ancora, stipulare una pace separata con la Germania e l’Austria-Ungheria. La gravità della situazione era tale – si scriveva su tutti i giornali – che il potere avrebbe dovuto essere saldamente nelle mani di un uomo solo, determinato a resistere a oltranza, fino alla vittoria. Inoltre, anche gli interventisti più legati alla tradizione risorgimentale dimenticarono il valore del concetto di libertà: richiamandosi a Robespierre e alla Rivoluzione francese, invocarono da parte del governo misure repressive durissime nei confronti di chiunque proponesse di negoziare o, peggio ancora, invocasse la rivoluzione. In sintesi, sia nella valutazione del ruolo del Parlamento, sia nel campo dei diritti e delle libertà individuali, la maggior parte degli interventisti finì per schierarsi su posizioni molto simili a quelle dei nazionalisti. Anche sugli scopi ultimi del conflitto, infine, l’illusione democratica della guerra finalizzata a liberare tutte le nazionalità finì per lasciare il posto al sacro egoismo: dopo Caporetto, gli immani sforzi compiuti dalla nazione italiana dovevano essere adeguatamente compensati con ampie concessioni territoriali e non contava nulla il fatto che, sul confine orientale, le aree rivendicate fossero abitate in maggioranza da slavi. La guerra democratica, dopo Caporetto, lasciò il posto a rivendicazioni imperialistiche sempre più vaste ed esplicite.
UNITÀ II
4.5 L’ultimo anno di guerra
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
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Per prima cosa, il nuovo governo Orlando si preoccupò di individuare le principali necessità economiche del Paese, bisognoso di urgenti e cospicue forniture di grano e di carbone. Nell’agosto 1917, due mesi prima di Caporetto, si erano infatti verificati dei gravi tumulti a Torino proprio a causa della carenza di pane e farina; per reprimere la rivolta, fu necessario fare uso degli autoblindo e delle mitragliatrici, che provocarono 50 morti e più di 200 feriti. Era evidente che l’Italia, per continuare la guerra, doveva rafforzare il proprio fronte interno, cioè evionline tare che il malcontento diffuso tra le masse, per l’aumento del costo della vita e www.seieditrice.com per la carenza di generi di prima necessità, toccasse il punto di non ritorno, che Percorsi era già stato superato in Russia nel febbraio 1917 e che sarebbe stato raggiunto andi storia locale che in Germania, nel novembre 1918. Mussolini Orlando ottenne dagli Alleati regolari rifornimenti alimentari e ingenti crediti, cae De Gasperi nel paci di rilanciare l’economia di guerra italiana. La produzione di acciaio e di ghiTrentino austriaco sa aumentò in modo vertiginoso, permettendo finalmente all’esercito italiano di Mussolini in Trentino Mussolini e la vita politica avere un numero di cannoni adeguato alle esigenze della guerra. Le industrie totrentina rinesi FIAT riuscirono da sole, nel 1918, a consegnare ben 25 000 automezzi. De Gasperi e la vita Per diversi mesi, il generale Diaz assunse un atteggiamento tattico puramente difenpolitica trentina Il problema della sivo, preoccupandosi unicamente di respingere gli attacchi condotti dagli austriaci connazionalità tro la linea del Piave. La capacità offensiva dell’esercito austro-ungarico, però, fu noIl Trentino durante tevolmente ridotta dopo il trasferimento sul fronte francese delle unità tedesche che la guerra avevano avuto il ruolo decisivo nella battaglia di Caporetto; di conseguenza, le truppe italiane riuscirono a contenere tutte le offensive del nemico. Nell’autunno del 1918, la situazione della Germania e dell’Austria-Ungheria era ormai disperata; rendendosi conto delle difficoltà dell’esercito avversario, ormai vicino al collasso, Diaz ordinò l’attacco il 26 ottobre: nella regione di Vittorio Veneto nel Trevigiano, le truppe austro-ungariche non riuscirono a resistere e si disgregarono, dando luogo a vasti e gravi fenomeni di diserzioni di massa e di ammutinamento, che videro come protagonisti soi soldati slavi e ungheresi, orle parole prattutto mai decisi a ottenere l’indipendenza per FIAT le proprie nazioni. Il 3 novembre, l’AuLa FIAT, Fabbrica italiana automobili Torino, venne fondata nel 1899 stria-Ungheria firmava la resa, che preda Giovanni Agnelli per la produzione di motori e autoveicoli. Sino vedeva per il giorno seguente – 4 noal 1915 mantenne medie dimensioni, poi la produzione bellica favorì l’impetuoso sviluppo dell’azienda: tra il 1914 e il 1920 passò vembre – la cessazione delle ostilità. da 4000 a 40 000 dipendenti, il capitale sociale salì da 17 a 200 miL’Italia usciva vincitrice dalla guerra, che lioni di lire, le auto prodotte da 9200 a 20 000. Durante la guerra la FIAT produsse l’80% degli autocarri utilizzati dall’esercito, mitraperò le era costata 680 000 morti, mezgliatrici e motori di aerei, diventando la terza industria italiana dopo zo milione di mutilati o di invalidi, e più Ansaldo e ILVA. di un milione di feriti. Per di più, l’ItaLA GUERRA SUL FRONTE ITALIANO Date
Eventi
1915
24 maggio: inizio delle ostilità
1916
Maggio: offensiva austriaca in Trentino (spedizione punitiva) Agosto: offensiva italiana sul Carso e conquista di Gorizia
1917
24 ottobre: offensiva tedesca e austriaca a Caporetto
1918
26 ottobre: offensiva italiana a Vittorio Veneto 3 novembre: resa dell’Austria-Ungheria
lia che veniva fuori dal conflitto era ancor più divisa di quando l’aveva iniziato. Per i nazionalisti, quanto fu concesso all’Italia dopo la Conferenza di pace non era assolutamente proporzionato al prezzo pagato per conseguirlo; viceversa, i socialisti videro in quei risultati decisamente deludenti la conferma della loro idea secondo cui l’Italia avrebbe dovuto restare fuori dal conflitto. Insomma, il clima di scontro, al limite della aperta lotta civile, che aveva caratterizzato la primavera del 1915, si ripropose in tutto e per tutto nel dopoguerra, fornendo il terreno di coltura ideale per la nascita del movimento fascista.
online
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A
IPERTESTO
Guerra e identità di genere in Italia Donne e lavoro Prostitute e soldati Le madri dei soldati La guerra dei simboli
I TRATTATI DI PACE (1919-1920) Trattato di Versailles (28 giugno 1919)
Stato sconfitto
Principali decisioni
Germania
• Alsazia e Lorena tornano alla Francia • Creazione dello Stato indipendente di Polonia e distacco territoriale della Prussia Orientale (corridoio di Danzica) • Perdita di tutte le colonie • Esercito ridotto a 100 000 uomini e limitazioni all’armamento • La Renania (regione della Germania che comprendeva i bacini della Ruhr e della Saar) viene smilitarizzata • Amministrazione francese del bacino minerario della Saar per 15 anni • Cessione dello Schleswig del Nord (una regione) alla Danimarca • Pagamento di enormi danni di guerra
Trattato di Saint Germain Austria-Ungheria • Smembramento dell’impero con la nascita di nuovi Stati (Iugoslavia, (10 settembre 1919) e Cecoslovacchia, Polonia) Trattato del Trianon • All’Italia vanno il Trentino, l’Alto Adige, il Venezia Giulia, l’Istria (4 giugno 1920)
FINLANDIA
Territori persi dalla Russia
NORVEGIA
Territori persi dalla Germania
POLONIA Nuovi Stati
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Bruxelles
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Varsavia
Malmedy
URSS
POLONIA
Praga
SLESIA
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GALIZIA
Bucarest
Zara
Madrid
IUGOSLAVIA
ITALIA
SPAGNA
BULGARIA
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LITUANIA
Danzica POMERANIA
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ALSAZIA
FRANCIA
LETTONIA
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DANIMARCA
PAESI Londra BASSI Amsterdam BELGIO
OCEANO ATLANTICO
SVEZIA
SCHLESWIG Copenaghen
INGHILTERRA
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ESTONIA
Mare del Nord
Territori smilitarizzati Confini (1923)
L’EUROPA DOPO I TRATTATI DI PACE
eo
TRACIA
TURCHIA
79 Da Caporetto a Vittorio Veneto
Territori persi dall'Austria-Ungheria
CAPITOLO 4
Trattato
Oltre alle perdite territoriali evidenziate dalla tabella, nella carta possiamo vedere che anche la Russia subì pesanti conseguenze dalla prima guerra mondiale. Infatti riuscirono a ottenere l’indipendenza dal colosso sovietico gli Stati della Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia.
CHE COSA È STATO IL XX SECOLO?
NOVECENTO…
secolo breve
L’
espressione «secolo breve» è stata coniata dallo storico inglese E. J. Hobsbawm, il quale nel 1994 pubblicò uno dei primi panorami storici completi del XX secolo. La principale novità del lavoro di Hobsbawm consisteva nel fatto di fornire un quadro globale di tutto il Novecento, come già ne erano stati disegnati per l’Ottocento e per altri periodi storici. Fino a quel momento, infatti, la storiografia aveva studiato singole questioni e tematiche, ma solo pochissimi autori si erano cimentati in un lavoro di sintesi per il secolo che stava concludendosi. L’opera di Hobsbawm, però, non colpì soltanto per il suo taglio pionieristico. Lo studioso inglese, infatti, avanzava anche l’ipotesi che il Novecento (in senso storiografico) non comprendesse tutto il XX secolo (in senso strettamente cronologico), ma solo i decenni centrali di tale periodo. In termini più semplici, potremmo dunque dire che mentre il XX se-
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colo comprende tutto l’arco di tempo compreso tra l’anno 1900 e l’anno 1999, il Novecento è più breve, nel senso che moltissimi problemi (quelli più tipicamente novecenteschi) iniziarono a presentarsi dopo l’inizio ufficiale del XX secolo e trovarono conclusione e risoluzione prima dell’anno 1999.
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In questa copertina della “Domenica del Corriere” l’arrivo del Novecento è raffigurato come un treno carico di speranze, e per questo salutato con gioia da un folto gruppo di persone. In lontananza si intravede un vecchio treno, che simboleggia l’Ottocento, mentre si allontana lentamente.
Secondo Hobsbawm, il Novecento non iniziò prima del 1914. Al momento dello scoppio della prima guerra mondiale, le grandi potenze che scesero in campo erano le stesse del 1870: anzi, i veri protagonisti di gran parte del conflitto furono quattro sovrani ottocenteschi come il kaiser tedesco, lo zar russo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e il sultano turco. La guerra mondiale li avrebbe spazzati via tutti e quattro. Dunque, pare corretto far iniziare il Novecento nel 1917-1918, allorché emersero in tutta la loro radicalità le conseguenze della prima guerra mondiale, vera matrice del secolo breve. In particolare, dev’essere messo in risalto il ruolo della Rivoluzione d’ottobre (che studieremo nell’unità 3), che provocò un vero terremoto politico e ideologico in tutta l’Europa. Quanto alla fine, il Novecento può dirsi già concluso dieci anni prima della fine naturale del XX secolo, allorché, nel 1989-1990, si esaurisce proprio l’onda lunga della rivoluzione leninista e il comunismo cessa di essere una forza storica vitale, cioè esaurisce gran parte della sua funzione politica, legato com’era, indissolubilmente, alla potenza militare dell’Unione Sovietica. L’approccio di Hobsbawm (ovviamente assai più raffinato e complesso di quanto abbiamo ora esposto in maniera schematica) è per molti versi assai convincente. Tuttavia, molti storici hanno giustamente segnalato che la maggior parte delle innovazioni tecnologiche che segnarono l’economia del Novecento sia stata introdotta diversi anni prima del 1914: e questo vale per l’energia elettrica, per l’impiego del petrolio, per il motore a scoppio, per la radio ecc. Sotto questo profilo, è altrettanto legittimo parlare di un Novecento lungo, che abbraccia come minimo l’intero ultimo decennio del XIX secolo, vero momento di nascita della storia contemporanea (G. Barraclough). Nel medesimo tempo, altri studiosi fanno notare che il concetto proposto da Hobsbawn non sottolinea in modo sufficientemente forte la grande cesura verificatasi nel 1945: mentre in passato (fino al 1939) le grandi decisioni vennero prese nelle principali capitali europee, dopo il 1945 le scelte decisive passarono nelle mani esclusive dei governanti di Mosca e di Washington... Se teniamo presente questi ultimi fattori, siamo di fronte a una specie di lunghissimo Ottocento (il tempo della centralità europea), conclusosi solo fra le macerie di Berlino e di Hiroshima.
Riferimenti storiografici 1
Le origini della liturgia politica di massa
Gabriele D’Annunzio, con la sua riconosciuta abilità oratoria, fu protagonista di molte manifestazioni a favore dell’intervento sulle piazze o nei teatri di tutta Italia (nella stampa tratta dalla copertina de “La Domenica del Corriere” è raffigurato D’Annunzio mentre tiene un comizio in un teatro romano).
D’Annunzio avvertì il cambiamento in atto nella società, nella politica e nella comunicazione, cambiamento che dava all’intellettuale compiti nuovi. Capì che la questione decisiva era quella di trovare un modo per affascinare grandi masse, colpire la loro fantasia, plasmare i loro gusti e comportamenti, indicando a tutti un modello insieme inarrivabile e attraente. Nell’incipiente era delle masse si trattava di elaborare un’estetica della politica del tutto superflua finché le masse erano state tenute semplicemente ai margini. Gli strumenti di questo coinvolgimento erano appunto il gesto e la parola nella loro suggestiva combinazione. Ma in definitiva a giocare erano il fascino e la fama del personaggio che si esibiva, ormai divenuto un divo. Estetica della politica e mitologia del capo carismatico erano in qualche modo collegate: lo stesso Mussolini avrebbe imparato molto da D’Annunzio, pur nel quadro di un mutamento sostanziale che consisteva nel passaggio da un’estetica delle folle ancora irregolari e dinamiche a una pratica delle masse organizzate, inquadrate e sostanzialmente passive. Quando si parla di comunicazione di massa nel periodo prebellico ci si riferisce agli albori di un fenomeno che solo più tardi si sarebbe manifestato compiutamente. In quell’epoca si ha a che fare con strumenti non certo potenti e sofisticati come la radio o la televisione.
81 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
Il 5 maggio del 1915 si tenne a Genova una manifestazione per commemorare l’impresa di Garibaldi e dei suoi Mille partita dallo scoglio di Quarto. [...] La mobilitazione di massa che accompagnò la manifestazione, la preparazione meticolosa del suo copione, l’utilizzazione in quel contesto della voce più moderna dell’oratoria politica, quella del poeta D’Annunzio, la saldatura tra memoria risorgimentale e ambizioni espansionistiche, tra interessi economici emergenti e coinvolgimento popolare che si realizzò in quella occasione: tutto questo fa della celebrazione genovese del 5 maggio 1915 una sorta di prova generale, di modello e di anticipazione delle dinamiche di nazionalizzazione delle masse che dovevano cominciare ad affermarsi con la guerra. [...] La partecipazione popolare alle celebrazioni, convogliata attraverso organizzazioni di mestiere e società di mutuo soccorso, circoli ricreativi e società sportive, leghe e cooperative di produzione e consumo, fu imponente. Due cortei attraversarono la città la mattina del 5 maggio concentrandosi in punti diversi, per un totale di circa 20 000 persone, a cui si aggiunse una grande folla assiepatasi nelle strade e in prossimità del monumento [a Garibaldi, n.d.r.] per vedere e partecipare. Bande musicali suonavano l’inno di Mameli e quello di Garibaldi. Ogni associazione era preceduta dai suoi stendardi, secondo una consuetudine sempre seguita nelle feste del primo maggio. A lungo esibite per significare l’identità e l’autonomia dei lavoratori, ora queste insegne entravano in un circuito simbolico diverso, venivano riassorbite entro l’impianto dell’ideologia e della coreografia nazional-patriottica. Corone di fiori rossi che componevano le scritte Trento e Trieste furono disposte lungo tutto il percorso. Il rosso, colore simbolo della tradizione garibaldina e di quella socialista, diventava ora anche il colore dell’orgoglio nazionale. Al corteo presero parte anche Battisti e Mussolini. Il capo del governo Salandra e il re, invitati alla cerimonia, non vollero presenziarvi [...]. Come la quasi totalità della classe dirigente liberale, Salandra aveva una visione autoritaria e d’ordine della politica, alla quale era completamente estranea l’idea del coinvolgimento e della mobilitazione delle masse. In questo senso egli era un tipico esponente della vecchia destra, che aveva obiettivi in gran parte convergenti con quelli del nazionalismo ma era ben lontana – per il momento – dal condividerne i metodi. [...]
UNITÀ II
D’Annunzio può essere considerato, in Italia, il fondatore della liturgia politica di massa, che consisteva nel trasmettere, da parte di un leader carismatico nel corso di una grande adunanza di popolo, un messaggio di tipo nazionalistico e una carica di forti emozioni. Nel maggio 1915, D’Annunzio utilizzò in modo sapiente questo nuovo stile politico, per sollecitare l’adesione dell’opinione pubblica all’intervento dell’Italia in guerra.
UNITÀ II
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L’efficacia comunicativa della parola parlata nei confronti delle folle era in gran parte affidata all’abilità dell’oratore, priva di validi supporti tecnologici. L’assenza di moderni mezzi di amplificazione e diffusione del suono a distanza rendeva materialmente irricevibile la sua voce al di là della cerchia di persone che lo circondavano da vicino. Ciò esigeva naturalmente una voce potente, rendeva indispensabile una posizione sopraelevata e richiedeva all’oratore determinate attitudini corporee. Se esaminiamo i filmati che raffigurano il capo del partito bolscevico [comunista, n.d.r.] Lenin mentre tiene i suoi comizi nella Russia del 1917, si nota che egli aveva l’abitudine di ruotare alternativamente il corpo a destra e a sinistra protendendosi verso le ali della folla per far giungere la sua voce in tutte le direzioni: appoggiato con una mano a una balaustra, il busto di Lenin reclinato in avanti compie così un movimento altalenante e continuo verso i due lati. Questo tipo di problema venne completamente superato con l’altoparlante elettrico, che rese possibile un contatto tra l’oratore e il pubblico, tra l’emittente e il destinatario del messaggio, meno affidato alla corporeità: Mussolini nei suoi comizi da Palazzo Venezia si presenta spesso in una posizione frontale e la sua gestualità e la sua mimica, a tratti molto pronunciate, sembrano rispondere più all’attitudine teatrale del personaggio che alle esigenze della comunicazione sonora col pubblico, ormai ampiamente assicurata dalla disponibilità di microfoni e altoparlanti. La moderna politica di massa, quella che si affermò negli anni Trenta, dovette molto alle nuove tecnologie della comunicazione nel frattempo messe a punto. [...] La performance di D’Annunzio fu all’altezza della sua fama. Il suo discorso fu teso a circondare l’evento – sia la rievocazione dei Mille sia l’invocata partecipazione dell’Italia alla guerra – di un alone di sacralità. Il suo timbro principale fu dunque quello religioso, e religiosi – anzi biblici – furono molti dei rimandi simbolici e delle movenze ritmiche dell’orazione. Tra i più celebri passaggi, quello nel quale egli riprendeva il Discorso della Montagna di Gesù, parafrasandolo in chiave attuale: «Beati quelli che, avendo ieri gridato contro l’evento, accetteranno in silenzio l’alta necessità e non più vorranno essere gli ultimi ma i primi. Beati i giovani che sono affamati e assetati di gloria, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché avranno da detergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore. Beati i puri di cuore, beati i ritornanti con le vittorie, perché vedranno il viso novello di Roma, la fronte ricoronata di Dante, la bellezza trionfale d’Italia». A. GIBELLI, La grande guerra degli Italiani 1915-1918, Sansoni, Firenze 1998, pp. 54-62
Spiega l’espressione secondo cui determinate insegne «entravano in un circuito simbolico diverso». Si può dire che sia investito dallo stesso fenomeno anche il colore rosso? Quale altro intellettuale nazionalista aveva piegato in direzione diversa alcune espressioni tipiche del linguaggio socialista? Che differenza esiste, nel rapportarsi con le masse, tra D’Annunzio e Salandra? Spiega le espressioni «nazionalizzazione delle masse» ed «estetica della politica».
2
La dottrina militare del generale Cadorna Il generale Luigi Cadorna guidò l’esercito italiano dal maggio 1915 all’ottobre 1917 (disfatta di Caporetto). Tra i generali della Grande Guerra, fu quello maggiormente odiato dalle truppe. La sua dottrina militare, infatti, insisteva sull’assalto frontale, senza alcuna considerazione per il numero delle perdite. Alla fine di febbraio [1915, n.d.r.] usciva un libricino dalla copertina rossa, divenuto famoso: Attacco frontale e ammaestramento tattico. Era la seconda edizione, con qualche variante, d’una circolare dell’agosto 1914. Su di esso si è molto discusso; tanto più che pretendeva rispondere alle nuove esigenze di guerra, le quali si sarebbero riassunte nel predominio assoluto dell’azione frontale. Il Cadorna ammette che, «tranne casi eccezionalissimi, la fanteria non può arrivare a sferrare l’assalto se prima l’artiglieria non le abbia spianata la via, spezzando, coll’impeto e la massa del suo fuoco, ogni resistenza avversaria nella zona d’irruzione», ma ritiene che ormai sia sempre più difficile combinare l’azione frontale coll’azione sul fianco, dato che «le fronti [i fronti, n.d.r.] vanno assumendo dimensioni enormi». […] Se si è di fronte a un sistema di linee di difesa, non c’è che da imbastire una serie di successive operazioni, sempre frontali, e la fanteria dev’essere addestrata solo all’azione frontale, da eseguirsi in ordine sparso, nella fase ultima dell’attacco, e a ondate successive; mentre l’azione avvolgente [il tentativo di accerchiare il nemico e di sorprenderlo nel punto in cui le sue difese siano più deboli, n.d.r.] viene addirittura eliminata sia dal combattimento che dallo sfruttamento di questo. Non solo, ma non è neppure contemplato quale dovrà essere il contegno della fanteria esposta, come già stava avvenendo in Francia, al tiro di repressione dell’artiglieria nemica appena conquistata la posizione, e come reagirà ai contrattacchi nemici. Il libricino del Cadorna non era del resto il risultato di un’accurata inchiesta sul tipo di guerra condotta in Francia negli ultimi mesi; ma soltanto la nuova edizione della rielaborazione dei suoi studi di quasi trent’anni prima sulla tattica della fanteria, quale risultava dall’istruzione sull’attacco frontale e ammaestramento tattico, scritta fin dal 1905. […] Nemmeno si può dire che al capo di Stato maggiore fossero mancate le necessarie informazioni sulla nuova guerra di trincea e di posizione. L’addetto militare a Parigi, tenente colonnello Breganze, aveva compiuto una minuziosa visita al fronte franco-inglese dal 10 al 29 novembre, e aveva quindi steso un lungo rapporto. Era poi stato a Roma nel gennaio, aveva visto il re, Cadorna, e altri ufficiali dello Stato maggiore e del ministero. Quindi, tornato in Francia aveva compiuto il 5-11 febbraio 1915 una seconda visita al martoriato fronte, e ai primi di marzo aveva mandato a Roma un’altra lunghissima relazione di ben 175 cartelle dattiloscritte. Orbene, fin dal 30 settembre 1914 il Breganze manifesta il timore che la guerra debba prolungarsi molto; il 5 novembre rileva il dilatarsi delle trincee, le perdite fortissime per l’attaccante, cagionate dalle mitragliatrici e dall’artiglieria pesante specialmente; il 1o dicembre insiste sulla lunga durata della guerra ormai d’esaurimento, senza possibilità di rapida decisione: impossibile infatti la manovra senza una grande superiorità di forze. Nella seconda relazione il nostro addetto militare insiste sulle «vere ecatombi» specialmente per l’attaccante, e sul-
3
Profughi civili e sfollati dopo la disfatta di Caporetto
l’altissimo consumo di munizioni. E presa finalmente una posizione, bisogna ricominciare da capo! Quale allora la soluzione? Nuovi fattori che esasperino ancora guerra d’usura, pensa il Breganze, quali la fame, le malattie, producendo il tracollo d’una delle due parti; oppure l’intervento di terzi. Questo però non gli impediva di scrivere poi, a fine aprile 1915, inteso che l’intervento italiano era prossimo: «Io lo vorrei rimandato al più tardi possibile… io ritengo che questa guerra sarà lunghissima». Altra fonte d’informazioni era per il Cadorna il tenente colonnello Bongiovanni, addetto militare a Berlino. Questi, se dapprima si era mostrato discretamente ottimista sulle possibilità di guerra manovrata secondo gli esempi dell’immenso fronte orientale, dopo una visita al fronte occidentale tedesco, in un rapporto a Roma del 30 marzo 1915 usava un diverso linguaggio. Poneva infatti in evidenza l’importanza della trincea e quella del reticolato «ostacolo pressoché insuperabile» se solido e ben difeso; quindi l’importanza dell’artiglieria, che «domina la guerra di posizione, costruendo il principale sostegno della difesa e l’arma essenziale dell’attacco». […] Non si può affermare dunque che il Cadorna non fosse adeguatamente informato del nuovo carattere assunto dalla guerra; pure il suo libricino dalla copertina rossa restò immutato. Ci par di notare fin d’ora una delle caratteristiche poco felici del capo di Stato maggiore, e che si sarebbero manifestate in forma sempre più grave nella primavera del 1916 e nell’estate del 1917 di fronte alla minaccia della Strafexpedition [spedizione punitiva, grande offensiva austriaca effettuata nel 1916, n.d.r.] e dell’offensiva austro-tedesca [che avrebbe portato alla disfatta di Caporetto, nel 1917, n.d.r.]: valutare le informazioni attraverso l’idea sua preconcetta della situazione, strategica allora, tattica adesso. P. PIERI, L’Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918), Einaudi, Torino 1968, pp. 65-68
Da quali fonti il capo di Stato Maggiore riceveva informazioni sulla guerra in Francia? Per quale motivo è legittimo definire anacronistica e superata la concezione tattica di Cadorna?
83 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
Ritratto che raffigura il generale Cadorna.
Nel primo collocamento dei profughi il Ministero dell’Interno raccomandò ai prefetti di tener conto dello spirito pubblico, nonché delle ripercussioni che sulla popolazione locale potevano avere lo stato in cui i profughi arrivavano e le condizioni delle loro provvisorie dimore; anche per questo motivo si suggerì che i convogli dei profughi arrivassero di notte nelle località di destinazione definitiva, che gli scaglioni fossero composti al massimo da 300 o 400 persone e che durante le prime settimane fossero per quanto possibile evitati i contatti con la popolazione. In linea di massima venne seguito il principio di decentrare il più possibile il flusso dei profughi ed impedire una loro permanenza nelle grandi città. Anche se ufficialmente questa scelta venne adottata per ragioni di carattere militare, come ad esempio a Bologna, oppure sanitario, in realtà prevalsero valutazioni politiche legate al mantenimento dell’ordine pubblico, come ad esempio a Roma, dove venne concessa la permanenza solo a quei profughi che potevano vivere senza sussidio. Da questo punto di vista, un certo peso ebbero anche le considerazioni di natura alimentare, in quanto in molte città vi erano già problemi di approvvigionamento e l’arrivo di nuove persone avrebbe aggravato ulteriormente la situazione. Quando si rendevano conto che la loro destinazione definitiva era una località dell’Italia meridionale, numerosi profughi scendevano dai convogli alle stazioni intermedie cercando ricovero in città dove non erano state ancora approntate misure d’assistenza oppure erano già riservate ad altri. Si trattava di una irregolare immigrazione, che secondo le autorità andava vietata per evitare qualsiasi ripercussione sull’ordine pubblico. Fin dal 29 ottobre, dal momento che venivano continuamente segnalati casi di fuggiaschi isolati che si spostavano senza alcun controllo da una stazione all’altra, venne disposta una vigilanza sui treni per individuare elementi pericolosi che potevano essersi infiltrati tra i profughi e che potevano diffondere notizie allarmistiche. Tali provvedimenti apparirono comunque ingiustificati. Secondo il deputato friulano Gino Di Caporiacco, nei confronti dei profughi giunti a Bologna erano state usate angherie di ogni sorta, anche per le divisioni politiche dei Comitati locali e l’atteggiamento del prefetto che, per allontanare i nuovi venuti dalla città, si era valso «di ogni mezzo poliziesco, degno di galeotti e di
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Oltre alle ingentissime perdite militari, la grave sconfitta dell’ottobre 1917 provocò anche la fuga in massa di 600 000 civili, che abbandonarono in fretta e furia le varie regioni del Veneto, occupate dagli austriaci nella loro inarrestabile avanzata. Per lo Stato italiano, la gestione e la distribuzione di questa massa di sbandati fu una prova organizzativa gigantesca, mentre la popolazione civile, spesso, li accolse in modo poco benevolo. I nuovi arrivati, infatti, si inserivano in contesti nei quali, a causa della guerra, i generi di prima necessità scarseggiavano o erano rigorosamente razionati. In quella vera guerra tra poveri, i profughi non erano percepiti come dei connazionali bisognosi, ma come pericolosi concorrenti.
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coatti». E alla stazione di Modena era stato esposto, addirittura a firma del presidente del Comitato di assistenza civile, il seguente cartello: «Essendo esauriti gli alloggi pubblici e privati, non è concesso ai profughi delle terre invase di prendere soggiorno nella città di Modena». Lo stesso era avvenuto presso la stazione di Mestre, dove ogni ingresso ai profughi era stato negato fin dai primi giorni di novembre; l’impressione suscitata da questo divieto fu terribile per coloro che si resero conto della loro nuova condizione, appunto, di profughi: «la parola dolorosissima nella sua dissonanza, qui ci ferisce per la prima volta pesandoci quasi come un’onta, una colpa che non è nostra». Come detto, nel primo collocamento non mancarono valutazioni di carattere politico. Il prefetto di Piacenza, ad esempio, non trovò opportuno ricoverare 500 profughi a Castel San Giovanni e Ziano Piacentino, nonostante fossero già stati allestiti gli alloggi necessari, in quanto in quei comuni la maggioranza della popolazione era socialista e contraria alla guerra. Ma ancora nel febbraio 1918, quando si prospettò un invio in Romagna di altri profughi veneziani, il prefetto di Forlì chiese di soprassedere alla decisione in quanto a Cesenatico erano già presenti circa 1600 profughi appartenenti alla «classe sociale più bassa di Venezia», in gran parte «malcontenti e indisciplinati», che influivano sulle condizioni di un ordine pubblico già minato da numerosi «socialisti ufficiali cospiranti continuamente per movimento antibellico». […] Nel marzo 1918, in seguito alla richiesta del Ministero dell’Interno di conoscere il trattamento e l’atteggiamento della popolazione nei confronti dei profughi, la maggior parte dei prefetti rispose che in generale, tranne qualche inevitabile incidente, i rapporti tra la componente profuga e quella locale erano buoni. Alcuni sottolinearono che nella loro provincia i profughi erano numerosi e che altri erano continuamente respinti, ma solo per mancanza di locali e di approvvigionamenti; altri precisarono che le uniche lamentele erano dovute al mancato adattamento al clima e alle abitudini, oppure alle difficoltà di trovare occupazione; solo in alcuni casi venne segnalato qualche malumore da parte della popolazione locale, ma imputabile all’assottigliamento dei generi di prima necessità prodotto dalla presenza dei profughi. A dispetto di queste relazioni a loro modo rassicuranti, in diverse province i rapporti tra la popolazione e i nuovi arrivati furono particolarmente difficili. Oggettivamente esisteva in primo luogo un problema di antagonismo sociale dovuto alla riduzione dei generi alimentari e al caroviveri, alla disoccupazione e alla concorrenza che i nuovi arrivati introducevano nel mercato del lavoro. In pratica, le ragioni che potevano determinare l’avversione nei confronti dei profughi nelle località che li ospitavano sono tutte da ricercare, a nostro avviso, nelle condizioni di vita materiali in cui versava la popolazione italiana dopo due anni e mezzo di guerra. I profughi erano giunti in realtà già provati a causa del conflitto e in un momento particolarmente critico, alla fine di un anno che era stato terribile sotto tutti i punti di vista. Si tenga poi presente che, al di là delle note difficoltà economiche e alimentari, la società italiana aveva raggiunto un sostanziale equilibrio che Caporetto incrinò definitivamente; l’arrivo dei profughi, anche di poche decine, in località più o meno grandi, alterò questo
fragile equilibrio sociale fino in qualche caso a sconvolgerlo. […] L’ostilità nei confronti dei profughi era dunque palese: «Da Macerata mi viene segnalato che dopo le prime affettuose e sincere accoglienze, fatte da quella cittadinanza ai fratelli profughi la popolazione, in seguito a probabili mene disfattiste, con le quali si vuol far risalire ai profughi la colpa del continuo rincaro di tutti i generi ed in seguito ad una infiltrazione di elementi di dubbia moralità fra i profughi stessi, non nasconde il suo vivo malumore» […] [da “Giornale di Udine”, 7 aprile 1918, n.d.r.]. La presenza di profughi veneziani incontrò molta diffidenza da parte degli abitanti di Rimini e della Riviera romagnola fin da subito; un atteggiamento che durò per molto tempo, e per certi versi fino alla conclusione della guerra. L’avversione della popolazione fu dovuta innanzitutto al timore che i nuovi venuti aggravassero la già difficile condizione annonaria e la scarsità di prodotti di prima necessità e ciò provocasse un notevole rialzo dei prezzi […]. Ma fu la questione degli alloggi e dell’occupazione dei villini del litorale romagnolo a costituire uno dei motivi di attrito tra la popolazione locale e l’elemento profugo. Le requisizioni portarono i proprietari a riunirsi e l’associazione Pro Riccione, ad esempio, chiese al Ministero dell’Interno che «in omaggio alla giustizia distributiva» i profughi veneziani destinati alla riviera romagnola venissero inviati in altre località e che fosse maggiormente tutelato l’ordine pubblico allontanando gli elementi giudicati pericolosi e le prostitute e sospendendo il sussidio agli abili al lavoro. Molti proprietari chiesero un risarcimento del danno causato dalla requisizione, sostenendo che le ville erano state occupate abusivamente senza che ne avessero ricevuto comunicazione e che i profughi erano stati distribuiti disordinatamente, senza riguardo all’ampiezza, al numero e alla qualità dei locali. Con l’avvicinarsi dell’estate, anche le amministrazioni comunali di Rimini e Cesenatico lamentarono che la presenza troppo massiccia di profughi veneziani stava arrecando un danno all’economia cittadina, già compromessa dal protrarsi della guerra, senza contare che il comportamento di molti di loro poteva risultare sgradito ai villeggianti: «Malgrado la epurazione di questa colonia, compiuta negli scorsi mesi da questo ufficio con l’allontanamento ed internamento di pregiudicati, sospetti ladri e donne equivoche, può esser rimasto tuttora tra i profughi qualche petulante o ineducato che dia, anche involontariamente, fastidio alla classe civile dei bagnanti, che mal sopportano di vedersi dattorno qualche monello o persone sudicie, specie sulla spiaggia. Può anche non mancare qualche ubriaco di passaggio, proveniente dalle colonie vicine, il cui contegno, finché non intervenga la forza pubblica, riesce talvolta molesto od appare prepotente». D. CESCHIN, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande Guerra, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 188-198
Per quale ragione le autorità erano titubanti nel collocare i profughi nelle aree a prevalenza socialista? Quali erano i più frequenti motivi di risentimento della popolazione civile, nei confronti degli sfollati? Quali problemi particolari manifestò l’area della riviera romagnola?
Dopo Caporetto, registriamo una progressiva involuzione degli interventisti democratici e di quelli di sinistra. Il loro modello era spesso costituito da Robespierre e dalla Rivoluzione francese. Resta che da più parti si invocavano un governo forte e drastiche misure contro i disfattisti. Ma, in pratica, tutto ciò segnò il trionfo della politica antiparlamentare, teorizzata dai nazionalisti. Le cause della rotta di Caporetto – oggi lo sappiamo bene – furono soprattutto di ordine militare, deficienza dei comandi, scarsa fortificazione della linea del fronte, mancanza di buoni collegamenti tra le varie armate e di una vera seconda linea, mancanza di notizie precise sulla consistenza e gli spostamenti del nemico, incertezza del comando supremo nel fronteggiare l’offensiva ecc. Se non tutti i reparti si batterono ugualmente bene, non è certo possibile parlare di sciopero dei soldati, così come non è possibile attribuire alla stanchezza di una parte della truppa e tanto meno alla propaganda sovversiva dall’interno e dall’esterno una sconfitta che aveva ragioni ben diverse, più profonde e determinanti. Eppure gran parte, per non dire la totalità, degli interventisti, ritenne e proclamò subito che la causa di Caporetto non era militare quanto morale, politica. In questo senso si espresse anche De Viti De Marco scrivendo sull’Unità del 29 novembre, che sull’Isonzo «l’esercito non era stato battuto, perché… non si è battuto»: «L’Italia ha patito un rovescio morale, che è assai più doloroso di un rovescio militare, perché agli effetti territoriali di questo aggiunge il problema angoscioso delle cause non militari che lo hanno determinato. Il rovescio militare può essere dovuto a cause occasionali; il rovescio morale è dovuto necessariamente a cause remote e profonde, che investono tutta la vita pubblica del paese, l’educazione e la cultura del popolo. L’uno può non ripetersi, l’altro può sempre ritornare. Ecco l’incubo». La responsabilità della sconfitta risaliva alla divisione del paese: «Risale alle acri contese parlamentari che non hanno disarmato, alla propaganda socialista, all’azione del clero nelle campagne In questo manifesto di Giuseppe Scalarini è raffigurato un cannone circondato dalle bocche fameliche di chi ha voluto la guerra.
e al colpo di grazia infertoci dall’enciclica pacifista del papa, allo spionaggio organizzato dai tedeschi e dai tedescofili, e soprattutto alla debolezza del ministero che in nome di una formula astratta di libertà adottata per mero opportunismo di politica parlamentare, ha lasciato a tutte quelle forze ostili alla guerra la via libera per arrivare poco a poco dall’interno del paese, dagli opifici, dalle case dei contadini alle trincee. Così grado a grado la stessa divisione che esisteva e si è mantenuta nel paese tra interventisti e neutralisti ha finito per riprodursi al fronte, dividendo l’esercito in una parte che vuole la guerra e si batte e in una parte che non vuole la guerra e getta le armi… La rimozione del Comandante supremo mette il paese sopra una falsa via di indagine, perché gli fa credere che il disastro è dovuto ad un errore e soltanto ad un errore militare. Il che, affermiamo, non risponde alla verità. Vi sono errori e colpe e responsabilità di ordine morale, di ordine politico e poliziesco, di ordine militare e di ordine economico, che spettano al governo; ma spettano anche ai partiti e spettano ai capi dei partiti». […] Comunque fosse graduato e argomentato, questo giudizio generale degli interventisti ebbe come conseguenza più importante che la loro grande maggioranza si trovò concorde in alcune richieste base. In primo luogo quella di un governo veramente forte, le cui capacità decisionali fossero affidate ad un ristretto numero di ministri e che fosse retto da un uomo risoluto e intransigente: non è certo un caso che quasi tutti si richiamassero costantemente all’esempio francese e reclamassero un Clemenceau [prestigioso capo del Governo francese, dotato in pratica di pieni poteri, n.d.r.] anche per l’Italia. In secondo luogo, che fosse fatto maggior posto nel governo e più in genere nella direzione politica del paese agli interventisti decisi. In terzo luogo, che si procedesse con estrema fermezza contro i pacifisti, i disfattisti, gli speculatori, contro tutti coloro, insomma, che si riteneva sabotassero la resistenza e la guerra. […] E così una buona parte dell’interventismo di sinistra si fece suggestionare dalla formula a mali estremi, estremi rimedi, e si convinse che tutto fosse lecito pur di costringere il paese e la sua classe dirigente a resistere e a vincere; sull’altare della lotta a oltranza contro l’invasore e della vittoria, questa parte dell’interventismo di sinistra finì per sacrificare la maggioranza dei suoi principi sino a diventare subalterna dei nazionalisti: ogni mezzo divenne per essa lecito, ogni alleanza possibile, mentre il suo orgoglio ferito la portò ad accettare e addirittura a volere ciò che prima non avrebbe accettato e voluto: l’Italia era stata battuta militarmente e moralmente e si era dimostrata inferiore ai suoi alleati e ai suoi avversari: ebbene, proprio per questo doveva riaffermare la sua potenza, doveva vincere e doveva pretendere dalla vittoria più di quanto avrebbe preteso prima di Caporetto… l’onta doveva essere lavata con la potenza. Tipico è il caso di Mussolini; ricordando nel 1927 i suoi primi contatti con lui, Ardengo Soffici ci ha infatti lasciato questa interessante testimonianza: andato a trovare pochi giorni dopo Caporetto il direttore del Popolo d’Italia e parlando delle future prospettive della guerra, Mussolini gli disse: «Dio… sull’Isonzo mi accontentavo dell’Istria, di Fiume e di Zara; ora che siamo al Piave, voglio tutta la Dalmazia!». R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Einaudi, Torino 1965, pp. 377-380
Quali soggetti, in ultima analisi, erano i veri responsabili della disfatta, secondo gli interventisti? Spiega l’espressione «l’onta doveva essere lavata con la potenza».
UNITÀ II
Lo slittamento verso destra della politica italiana dopo Caporetto
85 RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
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