Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione
1
Agostino De Rosa
con saggi di Francesco Bergamo Alessio Bortot Cristian Boscaro Cristina Càndito Isabella Friso Nicoletta Lanciano Gabriella Liva Cosimo Monteleone Ilaria Rizzini Elena Trevisan
Jean François Niceron Prospettiva, catottrica & magia artificiale
Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it
[email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065
isbn 978–88–548–6032–2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 2013
Il volume accompagna la mostra: Jean François Niceron Prospettiva, catottrica e magia artificiale a cura di Agostino De Rosa & Imago rerum Università Iuav di Venezia 22 aprile-31 maggio 2013 Spazio espositivo “Gino Valle” Dorsoduro 2196, 3013 Venezia
Collana di Storia dei metodi e delle forme di rappresentazione Direttore scientifico Agostino De Rosa, Università Iuav di Venezia Comitato scientifico Vito Cardone, Università di Salerno; Andrea Giordano, Università degli Studi di Padova; Riccardo Migliari, Università degli Studi di Roma "La Sapienza"; Rossella Salerno, Politecnico di Milano. Comitato di redazione Giuseppe D’Acunto, Università Iuav di Venezia La collana intende introdurre il lettore italiano nell'ambito degli studi storici dedicati ai metodi e alle forme di rappresentazione, la cui evoluzione - dai primitivi approcci intuitivi fino alle rigorose elaborazioni incardinate su coerenti conoscenze di ottica e di geometria - esibisce i forti legami intercorrenti tra l'esperienza artistica e l'elaborazione scientifica del problema. I testi raccolti in questa collana offriranno un'ampia panoramica sullo 'stato dell'arte' relativo agli studi critici di settore condotti sia in Italia che all'estero, sottolineando come le attuali tendenze della ricerca si stiano orientando verso un approccio multi-disciplinare ai temi di indagine.
Sommario
Introduzione All’ombra del domani
XI
Agostino De Rosa
Parte I L’oblio del visibile, la memoria dell’invisibile: Jean François Niceron taumaturgo ottico
3
Agostino De Rosa
In a land I never saw: ricostruzione digitale e interpretazione delle anamorfosi niceroniane a Place Royale
87
Elena Trevisan
Dove lo sguardo si ricompone e s’acquieta. Immaginario scientifico e contestualità storica nei giochi ottici di Jean François Niceron
125
Alessio Bortot
Passi nell’infinito: le opere dei Padri Emmanuel Maignan e Jean François Niceron a Trinità dei Monti, Roma
153
Agostino De Rosa
Tot habet sacramenta quot delineationes: il San Giovanni Evangelista di Jean François Niceron a Roma
167
Cosimo Monteleone
L’ordine geometrico del tempo: Emmanuel Maignan e le sue meridiane a Roma
195
Nicoletta Lanciano
Lo spazio anamorfico dell’alpha: Emmanuel Maignan e il San Francesco di Paola in preghiera a Roma
213
Cristian Boscaro
Jean François Niceron: catottrica e anamorfosi
237
Cristina Càndito
Terra incognita: carteggi e fonti niceroniane Gabriella Liva
251
Parte II I trattati di Jean François Niceron
271
Agostino De Rosa
La struttura dei trattati a cura di Agostino De Rosa Il cardine proiettivo: sul Primo Libro de La Perspective curieuse e del Thaumaturgus opticus
289
303
Gabriella Liva
De proiectionis in planis obliquis: il Secondo Libro de La Perspective curieuse e del Thaumaturgus opticus, tra vocazione pratica e regole scientifiche
323
Cosimo Monteleone
Dal Terzo Libro de La Perspective curieuse: sulla riflessione, sulla catottrica e sugli specchi
351
Isabella Friso
Sullo Scenografo Cattolico o Strumento Universale di Jean François Niceron
381
Isabella Friso
Le pli dans la vision, la diottrica tra naturale e artificiale: sul Quarto Libro de La Perspective curieuse
391
Francesco Bergamo
Skiagrafia, cosmologia kepleriana e anamorfosi dell’umano. Sull’Appendice sulla Luce e le Ombre nel Thaumaturgus opticus
409
Francesco Bergamo
Il Thaumaturgus opticus di Jean François Niceron: appunti in margine alla traduzione dal Latino
431
Ilaria Rizzini
Parte III Bibliografia Indice dei nomi
445 459
Introduzione
L’OMBRA DEL DOMANI Agostino De Rosa
"I don’t use memory… I make constructions." H. Brodkey, The Art of Fiction No. 126, in “The Paris Review”, Inverno 1991, No. 121.
È possibile tramandare ai posteri la nostra biografia in modo obiettivo, senza i rischi dell’agiografia e dell’autocelebrazione, fornendo un ritratto della propria vita e del proprio operato che rechi, come firma curatelare, il nostro autografo? Sembra bizzarro formulare una simile domanda in un’epoca, come quella contemporanea, in cui i sistemi di comunicazione multimediale e i social network seguono in modo ossessivo le tracce lasciate – in maniera anche involontaria – dalle nostre esistenze nel mare magnum della rete, garantendo a ciascuno la ricostruzione del proprio e dell’altrui profilo biografico secondo schemi associativi impensati e criteri di selezione storiografica non canonici: ora le fonti si dilatano, le certificazioni del fatto si liquefano nella ridondanza del dato, l’immagine si sgrana nella bassa risoluzione, necessaria alla sua trasmissibilità. Così nell’epoca dell’informazione e della sua riproducibilità digitale la certezza sembra perdere terreno e i contorni ‘delle cose e delle parole’ sembrano farsi più fragili, sino a raggiungere la soglia della sparizione. Si tratta di un rischio, quello dell’estinzione del sé, che fu presente anche allo scrittore statunitense Henry James (1843-1916), allorché allestì, tra il 1907 e il 1909, quella che poteva ritenersi, all’epoca, come l’edizione completa delle sue opere, intitolandola The New York Edition: una operazione editoriale, articolata in ben 24 volumi, che nelle intenzioni dell’autore doveva fornire the collective edition dell’intera produzione jamesiana. Come osserva Donata Meneghelli,1 è significativo come l’autore abbia scelto accuratamente l’aggettivo collective e non collected, ad indicare un’azione inclusiva e non esclusiva, non relegabile dunque ad un passato storico ipostatizzato, nella raccolta dei materiali per una delle operazioni di autorappresentazione più controverse nella storia della letteratura occidentale. James scrisse infatti una prefazione a ciascun volume, editò compulsivamente i materiali della raccolta, escluse opere non conformi alla creazione di un ‘canone’ jamesiano, selezionando
con molta cura anche l’autoritratto che doveva adornarne il frontespizio, eseguito dal celebre fotografo statunitense Alvin Langdon Coburn (1882-1966): l’autore trasmetteva così alle future generazioni di lettori non solo la versione autorizzata dei suoi romanzi, racconti e saggi, ma anche l’iconografia con la quale egli voleva passare alla storia.2 Henry James ebbe il tempo biologico di organizzare questa titanica selezione e revisione della sua produzione, ove l’integrità delle singole opere venne sacrificata ‘alla forma che include il tutto’, ad un’idea di autorialità che globalmente vedeva in prospettiva i suoi frammenti come tasselli di un mosaico anamorfico, i cui contorni tornavano riconoscibili se osservati dal punto di vista previsto da James stesso. La stessa fortuna non toccò a Jean François Niceron (1613-1646), il Frate appartenente all’Ordine dei Minimi alla cui vita e alla cui produzione scientifica e artistica questo volume è dedicato. Come il lettore avrà modo di appurare, se avrà la pazienza di leggere i molti saggi che lo compongono, si tratta di una vita che si espresse in un arco temporale assai breve – solo 33 anni –, ma denso di eventi politici e culturali, riflessi in opere che si offrono oggi agli occhi dell’osservatore contemporaneo come straordinarie sciarade, in biblico tra rigore matematico e gusto per il meraviglioso e lo stupefacente: sono questi i documenti – randomici per varietà, non sistematici per organizzazione ‘lessicale’, segnati da incompletezza compositiva, eppure ammalianti come pochi – involontariamente lasciati in eredità da Niceron ai posteri per ricomporne, non senza difficoltà, la biografia. Autore di due trattati (il secondo dei quali edito postumo) che sono divenuti pietre miliari negli studi sulla prospettiva seicentesca – La Perspective curieuse (Parigi 1638) e il Thaumaturgus opticus (Parigi 1646) –, il nostro sviluppò sin da giovanissimo un suo mondo espressivo che si tradusse in opere dai forti connotati decettivi: anamorfosi catottriche (alcune delle quali conservate presso la Galleria
Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, a Roma; un’altra presso gli Archives Départementales du Cantal, a Aurillac), giochi rifrattivi (un esemplare si trova nella collezione del Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia delle Scienze, a Firenze) e anamorfosi murarie a colori (l’unica sopravvissuta, ritraente San Giovanni Evangelista che scrive l’Apocalisse in Pathmos, è ora visibile presso il Convento della SS. Trinità dei Monti, a Roma; le altre due a lui attribuite, andate perdute a seguito delle distruzioni connesse alla secolarizzazione degli Ordini religiosi voluta da Napoleone Bonaparte, adornavano i corridoi del Convento di Place Royale, a Parigi), per citarne solo alcune tipologie. La biografia dell’autore delinea una vita, sospesa tra Francia e Italia, impegnata sia nei dibattiti che si svilupparono nei più importanti circoli culturali e scientifici dei due paesi, che nelle incombenze teologiche e religiose previste dal suo Ordine religioso di afferenza: tra queste, vanno sicuramente ricordati i continui spostamenti tra le provincie francesi cui lo obbligò il suo ultimo ruolo istituzionale di collega del Visitatore ausiliario dell’Ordine, Padre François de La Nouë (15971670). Ricoprendo questa carica e contraendo ‘una febbre maligna’ in ‘un oscuro borgo’ della Provenza, Niceron abbandonò la sua vita terrena nel 1646, tramandando alle future generazioni i lacerti di un’esistenza vissuta in modo intenso e produttivo, e di opere che nascondono, al di sotto di un rigoroso carapace scientifico, uno strisciante messaggio, intimo e carsico, di vanitas. L’autore fu affascinato per tutta la sua esistenza dall’idea che nella natura si nascondesse un codice segreto divino di cui la matematica, e in primis l’ottica, potevano farsi succedanei interpreti, elaborando un lessico espressivo che attraverso la magia artificiale ne riproducesse la segreta natura configurativa, le leggi formanti del suo farsi e del suo divenire. Il suo percorso gnoseologico attraversò i sentieri del pensiero cartesiano e hobbesiano, le sue opere spesso divenendo uno specchio fedele di coeve posizioXI
ni filosofiche, pur tuttavia conservando una loro autonomia stilistica, sia nei contenuti che nella forma. L’approfondimento ossessivo, teoretico e applicativo, sull’anamorfosi delinea così una personalità attenta al dato fenomenico, all’impressione percettiva, ma anche al suo disgregarsi in molteplici direzioni, ottiche e semantiche, offrendo una dialettica in opere tra ragione e intuizione che gli autori dei saggi che seguono hanno cercato di ricostruire attraverso un’analisi molto dettagliata – ci auguriamo, onesta intelletualmente – di tutte le sue immaginabili declinazioni. Sarà così possibile per il lettore accedere ad una panoramica completa sulla vita e le opere di Jean François Niceron nel contesto artisticoculturale e politico-religioso (francese e romano) del XVIII secolo; seguire l’affascinante esegesi degli schemi retorici presenti nelle due edizioni (in volgare e latina) del suo trattato, analizzate capitolo per capitolo in forma sinottica; percorrere virtualmente il complesso dei tre corridoi pinciani che ospitano le anamorfosi ‘gemelle’ dei Padri Niceron e Maignan (nonché la meridiana catottrica delineata da quest’ultimo), comprendendone il valore iniziatico; avventurarsi nei sentieri della corrispondenza romana e francese dell’autore, che comprende alcune rare carte galileiane conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, e il carteggio con il celebre Padre Marin Mersenne (1558-1648); indagare i segreti politici e ottico-geometrici dei suoi giochi, inquadrabili nella poetica del dubbio di matrice cartesiana; e così via enumerando. Insomma, attraverso la lettura di questo volume sarà possibile ripercorrere un periplo umano e scientifico senza precedenti, avvicinandosi ad un autore che nelle sue opere inoculò il germe dell’incompletezza e dell’instabilità, ottica e cognitiva, assai prossima a quella che Joseph Conrad (1857-1924) riconobbe, nel 1905, proprio nella opera dello scrittore newyorkese: “Perché non c’è, in tutta l’opera di Henry James, nessun indizio di conclusione, non c’è nell’autore il minimo accenno alla volontà di arrendersi (o alla possibilità di arrendersi) alle proprie vittoriose imprese nel campo in cui è maestro. James, fortunatamente, non potrà mai accampare nessuna pretesa di completezza.”3 Prima di congedarmi dal lettore, con questa breve premessa, vorrei qui approfittare ancora della sua pazienza per ringraziare alcune delle numerose persone e istituzioni che hanno reso possibile questo progetto, prima umano e scientifico, e poi editoriale: il prof. Renzo Dubbini (Università IUAV di Venezia) per aver sostenuto sin dall’inizio questo lavoro; Caterina Perre, Giancarlo Bisazza (Università IUAV di Venezia) per l’indispensabile aiuto nel reperimento dei testi e dei materiali bibliografici; Don Domenico XII
Carbone, (Diocesi di Cerignola, FG); Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, Vescovo di LocriGerace, nostro Padre Spirituale in questo lungo cammino di avvicinamento a Jean François Niceron; Padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (Città del Vaticano), per la fiducia concessaci e per lo sguardo ‘oltre la siepe’; Suor Ida Dovy, Presidente dell’Associazione Trinità dei Monti (Roma), per l’accoglienza e la disponibilità infinite; S.E. Stanislas de Laboulaye, exAmbasciatore di Francia preso la Santa Sede (Roma), per aver concesso all’Università IUAV di Venezia il ‘primo ingresso’ ufficiale al San Giovanni Evangelista di J. F. Niceron; Padre Patrick O’Mahony, ex-Rettore della Santissima Trinità al Monte Pincio (Roma); Martín M. Morales Poirirer Lalanne S.J., responsabile dell’Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana (Roma); Padre Paolo Raponi, responsabile dell’Archivio Generale dei Minimi (Roma) per la sua gentilezza e competenza storico-archivistica; Padre Rocco Benvenuto, Correttore Provinciale della Provincia Monastica di S. Francesco di Paola; Filippo Camerota, Vice Direttore-Responsabile delle collezioni del Museo Galileo (Firenze), per i preziosi suggerimenti, la disponibilità all’ascolto e l’aiuto in fase di stesura del lavoro; Joe Frawley, per la sua musica incredibilmente niceroniana; Padre Luigi Lia, parroco di Sant‘Andrea delle Fratte (Roma), per l’accoglienza; Mons. Antonio Silba, responsabile dell’Archivio storico diocesano di Ascoli Satriano (FG); Mauro Tosti, per l’aiuto, il sostegno, la logistica e la bellissima ‘serata aziendale’; Stefano Sangiorgio, per le consulenze relative alle vicende storiche seicentesche e alla filosofia cartesiana; prof. Mauro Di Giandomenico (Dipartimento di Filosofia e Letteratura, Storia e Scienze Sociali-Università degli Studi di Bari Aldo Moro); a Giuseppe D’Acunto per il prezioso aiuto fornito in fase di edizione del volume e di allestimento della mostra. Un sentito ringraziamento va anche allo studio Be. Fa. Na. (Venezia) per aver fornito l'attrezzatura relativa alle operazioni di laser scanning; e all'azienda Menci Software (Arezzo) per l'attrezzatura relativa al sistema di rilievo fotogrammetrico. E infine un grazie speciale ad Alessandra Ferrighi e Anna Sgrosso che hanno riletto parti significative del volume, ma soprattutto ad Andrea Giordano, amico e collega, per aver avuto il coraggio di revisionare amabilmente l’intero volume, apportartandovi notevoli miglioramenti. Resta inteso che tutti gli errori e le imprecisioni sono imputabili al sottoscritto. Venezia/Napoli, luglio 2013
Note 1
Cfr. D. Meneghelli, Una forma che include tutto. Henry James e la teoria del romanzo, Il Mulino, Bologna 1998. 2 Cfr. D. McWhirter, Henry James’s New York Edition. The Construction of Authorship, Stanford University Press, Stanford 1998. 3 J. Conrad, Henry James - An appreciation, in Id., “Notes on Life and Letters”, J. M. Dent edition, Londra 1921, p.8.
Parte I
Fig. 1. M. Lasne, R. P. Joannes Franciscus Niceron ex Ordine Minimorum, egregiis animi dotibus et singulari matheseos peritia celebris, obiit Aquis Sextiis 22 septembris an. Dni 1646, Aetat 33. Incisione. Parigi prima metà del XVII sec.
L'ObLiO DeL ViSibiLe, LA MeMORiA DeLL'iNViSibiLe: JeAN FRANçOiS NiCeRON TAuMATuRgO OTTiCO Agostino De Rosa
"L'obiettivo delle scienze naturali non è semplicemente accettare le dichiarazioni [narrate] degli altri, ma investigare le cause che sono all'opera in natura" Alberto Magno, De Mineralibus, Libro II, tr. ii, i, Venezia 1495.
P. IOANNIS FRANCISCO NICERONO. GENI DEL MIRABILIBVS SVI OPERIBVS Il ritratto (fig. 1) mostra un giovane Frate dal viso emaciato, delineato da una barba appena accennata, che indossa la tunica con cappuccio tipica dell’Ordine religioso dei Minimi,1 mentre sorregge con la mano la planche di uno dei suoi trattati, quello più prossimo alla data della sua morte, il 22 settembre 1646. L’incisione, eseguita da Michel Lasne,2 appare come un paradosso spazio-temporale, soprattutto dal momento che il soggetto del ritratto non avrà il tempo materiale di vedere pubblicata la sua ultima opera, che pure stringe tra le sue mani nell’immagine e che, dunque, verrà edita postuma. Se il corpo è rivolto al testo, il viso e soprattutto lo sguardo sono rivolti altrove, oltre i limiti della pagina illustrata, verso la sorgente di luce che si riflette nelle sue terse pupille, orientate al di fuori dei cenacoli religiosi e scientifici – romani e parigini – in cui il giovane Frate minimo visse per gran parte della sua breve esistenza. Jean François Niceron muore infatti ad Aix-en-Provence all’età cristologica di 33 anni, avendo speso la sua giovinezza tra l’esercizio della fede, la ricerca scientifica e le sperimentazioni applicative di una bizzarra, ma affascinante teoria della magia artificiale, al mondo delle immagini e della percezione. Le tracce di questa esistenza sono rarefatte, come sentieri dispersi in una radura improvvisamente avvolta dalla nebbia, e dunque difficile risulta per lo studioso avvicinarsi a lui con così pochi punti di riferimento. Scarsi i documenti diretti, molti invece i riferimenti indiretti alla sua vita; una stima incontrastata dalle menti più notevoli dell’Europa della prima metà del ‘600, e poi il corpus della sua opera scientifica e artistica, spesso negletta e trascurata: queste le coordinate che si offrono a chi affronti la descrizione del ‘continente Niceron’, riecheggiate nei versi celebrativi che accompagnano il suo ritratto: “R. P. Joannes Franciscus Niceron ex
Ordine Minimorum, egregiis animi dotibus et singulari matheseos peritia celebris, obiit Aquis Sextiis 22 septembris an. Dni 1646, Æat 33. Ære micat mentis vis ignea, vultibus ore: Ars tibi, quid fingis? Suæ Niceronis erat.” Già l’esame della sua unica effige ufficiale, come si diceva, solleva alcune osservazioni che in qualche modo ricapitolano il tracciato carsico e obliquo della breve vita di Padre Niceron. Pur rientrando nel trend stilistico dei ritratti di studiosi tipici della prima metà del XVII sec.,3 che anticipano la memorializzazione iconografica del soggetto prima della sua morte, l’immagine delineata dal Lasne, nel suo apparentemente asciutto e ascetico approccio fisiognomico, offre alcune incongruenze di natura ottico-prospettica, il campo di studi di cui proprio Niceron fu campione. Il drappo alle spalle del Padre minimo è sollevato, al fine di lasciarci intravedere, da un vano-finestra, il paesaggio romano del Pincio e, soprattutto, il convento della SS. Trinità dei Monti – dove Niceron soggiornò –, orientato accidentalmente rispetto al piano dell’immagine: ne scorgiamo appena l’attacco al suolo, in parte vediamo la doppia rampa che consente l’accesso alla chiesa conventuale che si staglia in tutta la sua elegante simmetricità, con in evidenza le due torri campanarie di gusto francese. Sulla plache che Niceron sorregge in posizione verticale leggiamo in calce: “F. Iaon Franciscus Niceron Delinea Romæ ano Sal. 1642 Ætatis Suæ 29” Se ne deduce che essa fu redatta durante il secondo soggiorno romano di Niceron (post gennaio 1641- aprile 1642) e che, in quel lasso di tempo, l’autore stesse elaborando l’edizione latina e le relative tavole del suo La Perspective Curieuse (1638), un’opera dedicata a svelare i segreti delle prospettive aberrate, note come anamorfosi, e
che l’uso della lingua francese aveva sottratto ad una più ampia diffusione tra gli studiosi di tutta Europa. La tavola selezionata da Niceron (fig. 2) è la n°13 raffigurante la Propositio Trigesima (30) (fig. 3) e dedicata alla rappresentazione prospettica di un “...un solido stellato sfericamente con piramidi a basi quadrate.”4 La scelta di questo soggetto fu probabilmente legata alla novità tematica che esso simboleggiava, suggerendo così, per via grafica, l’ampliamento dell’edizione latina rispetto a quella francese. Ritornando all’immagine del cenobio romano raffigurato dal Lasne, l’immagine della chiesa appare leggermente compressa in altezza rispetto alle vedute stereotipate, cui l’incisore dovette probabilmente ispirarsi: forse la Vue de Rome (1632; National Gallery, Londra) (fig. 4) di Claude ‘Lorrain’ Gellée (1600-1682) che accostava ad una parte ‘archeologica’ di totale invenzione, posta sulla destra del quadro, uno scorcio di Trinità dei Monti, probabilmente ripreso dal terrazzo superiore della casa dell’artista, all’epoca in via Margutta.5 L’immagine del Lorrain, pur mostrando il medesimo fianco dell’edifico, non è sovrapponibile a quella di Lasne, che appare eseguita da una posizione più prossima al monumento. A quest’ultima sono invece decisamente avvicinabili alcune vedute del complesso conventuale di incisori anonimi, risalenti alla prima metà del XVII sec., in cui il punto di vista appare meglio compatibile con quello di Lasne e che probabilmente ispirarono, a loro volta, la celebre acquaforte della Chiesa della SS. Trinità de’ Monti6 (1669) di Giovanni Battista Falda (16431678) (fig. 5). Al fine di comprendere la strategia esecutiva del ritratto si è proceduto ad una calibrazione, in ambito di fotomodellazione, tra le immagini fotografiche attuali del complesso e la sua restituzione fornitane dal Lasne (figg. 6a, b): il risultato di questo processo di accoppiamento delle coordinate spaziali del monumento agli omologhi punti rappresentati nelle immagini – grafiche e fotografiche –, indica che il punto di vista assunto dal ritrattista sarebbe stato colloca3
Fig. 2. M. Lasne, R. P. Joannes Franciscus Niceron ex Ordine Minimorum. Dettaglio.
Fig. 3. J. F. Nicéron, ioannis Francisci Niceronis... Thaumaturgus opticus, Francisci Langlois, Parigi 1646. Tav. 13.
Fig. 4. C. ‘Lorrain' Gellée, Veduta di Trinità dei Monti, 1632. Olio su tela. National Gallery, Londra (Inv. 1319).
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Fig. 5. G. B. Falda, La SS. Trinità de' Monti e Villa Medici, 1669. Incisione. Collezione privata.
Figg. 6a, b. 6a) Calibrazione degli elementi omologhi per la determinazione del punto di vista da cui la facciata della chiesa della SS. Trinità dei Monti è stata rappresentata nell’incisione di M. Lasne. Elaborazioni digitali: C. Boscaro/Imago rerum. 6b) Il punto di vista riportato nella Nova pianta et alzata della città di Roma (1676) di G. B. Falda, con una vista della nuvola di punti. Elaborazioni digitali: C. Boscaro/Imago rerum.
5
Figg. 7a, b. 7a) Confronto fra le vedute di Trinità dei Monti fornite da Niceron e dal Falda. 7b) Confronto fra le vedute di Trinità dei Monti fornite da Niceron e dal Falda (speculare).
to a circa -16.00 ml dal sagrato della chiesa, dunque alla quota dell’attuale piazza di Spagna, e in prossimità dell’attuale via di San Sebastianello, al termine della quale si inerpica una delle rampe che raggiungono proprio il colle Pincio. Questo dato confermerebbe che l’originario incisore, con tutta probabilità, eseguì il ritratto da una postazione remota rispetto allo scenario delineato, cioè da Parigi dove la prima edizione del Thaumaturgus opticus (1646) fu edita, venendo incorporata al suo interno. Lasne non poteva conoscere la topografia della scena fondale da porre alle spalle del ritratto, non essendo mai stato a Roma, e per eseguirla dovette basarsi su una incisione o uno schizzo – forse di mano dello stesso Frate minimo? – ritraente il Convento romano dei Minimi, centro devozionale e di ricerca scientifica del XVII secolo, che vide Niceron protagonista con le sue opere sia teoriche che decorative. Oppure è ipotizzabile che il set scenografico corrispondesse ad una vera stanza sita probabilmente al piano terra, in un immobile appartenente all’Ordine dei Minimi, nei pressi della futura Piazza di Spagna. Nel caso prevalesse questa ipotesi o quella del ‘plagio’ iconografico, rubricabile come pratica assai comune all’epoca, sorprenderebbe accorgersi che invece la veduta della Chiesa minimitana sia offerta al nostro sguardo in modalità speculare rispetto alla realtà fenomenica dei luoghi: così che l’ala del Convento appaia a sinistra della chiesa e l’area, ancora libera, all’epoca, dall’ingombro di fabbricati, taumaturgicamente migri alla sua destra, mostrando un muro diruto (un contrafforte, come nell’incisione di Falda) e 6
una vegetazione selvaggia che ne invada la sommità (figg. 7a, b). Le fronde di un albero, collocato idealmente tra la stanza che avrebbe ospitato Niceron e la collina del Pincio, sono disposte ad arte per nascondere alla vista porzioni urbane dei dintorni che avrebbero lasciato immediatamente intuire il trucco ottico ad un osservatore più smaliziato. Ma si trattava di un gioco illusionistico? Forse Lasne e Niceron volevano divertirsi con il lettore – coevo e futuro – del Thaumaturgus opticus sin dal suo incipit, offrendo una sciarada grafica di gusto barocco che mostrasse come anche il più austero e quaresimale autoritratto potesse nascondere un segreto – Vexierbild – dal quale lo sguardo del protagonista, diretto altrove, volesse distrarci o al quale, con la sua ostentata disattenzione, suggerirci di prestare maggiore attenzione, poiché la vista, tra i sensi tutti, è più fallace. Inizia dunque con un piccolo mistero questa storia che ha per protagonista un geniale Padre dell’Ordine dei Minimi, vissuto tra Parigi e Roma in anni mirabolanti e complessi (la prima metà del XVII secolo), sia dal punto di vista culturale-scientifico che politico e la cui immagine è affidata a quest’unico ritratto, ben presto divenuto un modello per altri ritratti di suoi Confratelli, in primis per quello agiografico dell’amico e maestro E. Maignan7 (1601-1676) (fig. 8), e che forse descriveva in tralice la difficile dialettica esistenziale di una vita compressa fra le esigenze di preghiera, morigeratezza e rinuncia, tipiche della Regola dell’Ordine cui egli apparteneva, ed invece il continuo contatto mondano con il milieu scientifico e patrizio dei più
importanti cenacoli culturali dell’Europa. Sono questi i due poli, rappresentati nell’illustrazione rispettivamente dagli strumenti della conoscenza scientifica e prospettica – un compasso, una squadra e un regolo –, e dal simbolo di vita religiosa e penitenziale – l’abito sacerdotale –, tra i quali oscillò l’opera di Jean François Niceron, immaginiamo non senza difficoltà, squadernando un universo fatto di visioni apocalittiche e meravigliose. La storia inizia così… Niceron8 era nato a Parigi il 5 luglio 1613 da Claude Niceron e Reneé Barbièr – residenti in Rue Saint-Denis, parrocchia di Saint-Leu-SaintGilles – che lo battezzarono con il nome di François: maggiore di due fratelli e due sorelle, dopo aver condotto i suoi primi studi presso il Collège de Nevers9 (Parigi), all’età di 19 anni, nel 1632, orfano di padre, entra a far parte dell’Ordine dei Minimi,10 presso il convento di Nigeon-Chaillot11 (l’attuale Passy) (fig. 9a), dove svolge il noviziato. Il 26 gennaio 1632, terminato questo periodo di apprendistato, viene ammesso alla professione e poi al Convento di Place Royale (Parigi) (fig. 9b) nel medesimo anno.12 Niceron è accompagnato da una rendita annua di 200 livres, frutto di una donazione materna di ben 12000 livres in vista della professione del figlio, attesa per il 7 marzo di quell’anno.13 È in questa sede che assume il secondo nome, Jean, in omaggio allo zio paterno, anch’egli ordinato Minimo.14 Al momento dell’ingresso del giovane Niceron, l’Ordine fondato da San Francesco di Paola15 (1416-1507, canonizzato nel 1519) contava in Europa ben 457 monasteri (150 dei quali in Italia e 156 in
Fig. 8. J. Michael, Ritratto del Padre emmanuel Maignan, 1669. Incisione. Parigi seconda metà del XVII sec.
Francia), e il passaggio dalla parrocchia di Nigeon al prestigioso convento di Place Royale16 – fondato da Maria de’ Medici (fig. 10) nel 1605, all’epoca non ancora completato – costituiva una certificazione delle potenzialità scientifiche del giovane devoto che, in ossequio della Regola paolotta, riusciva a contemperare l’esercizio della carità cristiana con la pratica degli studi.17 Durante il noviziato nel 1631, a 18 anni, Niceron aveva già concepito la sua prima opera artistica, un ritratto anamorfico di Jaques d’Auzolles de Lapeyre18 (1571-1642) (fig. 11), celebre autore del Mercure charitable,19 che proprio in quest’opera la inserisce, fornendone dettagli cronologici sul suo retro:20 si tratta di un’immagine aberrata, delineata e incisa da J. Picard, che si irradia su di una superficie orizzontale e si ricompone qualora se ne osservi il riflesso su di un cilindro trattato a specchio, posto al suo interno, esattamente nell’area dell’immagine individuata da un ritratto ‘rettificato’ dello scrittore – eseguito in foggia di medaglione –, definito dallo stesso Niceron, “princeps chronographorum”.21 Secondo Frédéric-Charles Baitinger, l’applicazione , da parte di Niceron, della tecnica anamorfica catottrica al ritratto di Jaques d’Auzolles, è un esplicito indizio che oramai “…venendo associata alle ultime scoperte scientifiche e tecnologiche del suo tempo – l’ottica e la camera oscura –, l’immagine dipinta aveva subito una vera rivoluzione, passando dal mondo incerto e caotico dell’effigie, al mondo finito e sistematico della costruzione.”22 Introducendo uno iato tra l’idea di natura e suggerendo come se ne potessero imitare i princìpi operativi, l’anamor-
fosi catottrica in questione reifica “…il gesto cartesiano del dubbio costringendo chi la contempla a abbandonare l’immediatezza della propria percezione per elevarsi ad un atto di giudizio senza il quale la forma che gli viene mostrata non resta che un simulacro.”23 Pochi anni separano la realizzazione di questo ritratto catottrico (1631) dalla pubblicazione della sua prima opera teorica, La Perspective Curieuse (1638) di cui tra poco diremo, ma già in quel periodo di formazione doveva essere ben chiaro al giovanissimo Niceron che la sua predilezione per immagini dalla forte caratura geometrica avesse come logica premessa un anti-platonismo di fondo. Com’è noto, per il filosofo greco (427347 a.C.) – Sofista (236 C6, 264 C4) – l’arte di produrre immagini può condurre l’artista a due possibili tipologie di rappresentazioni: quelle iconiche che tentano di replicare mimeticamente, in proporzioni e configurazione, il modello originale (eikón), e quelle che ne riproducono l’apparenza illusoria (phántasma) da un preciso punto di osservazione. Così “all’arte che riproduce apparenza, ma non la somiglianza”,24 cioè all’arte pittorica, si dovrebbe attribuire più coerentemente la definizione di arte fantastica, venendo quella inquadrata in un sistema rappresentativo ‘illusorio’, che assecondi la fallacia dei nostri sensi, perpetrando in tal modo un duplice inganno nel mostrarci parvenze di parvenze. Ancora più rilevante è che, per Platone, “…l’immagine, sia essa iconica o illusoria parvenza, si frappone come un doppio dell’oggetto reale, col quale non può identificarsi, sebbene nel primo caso si sforzi di imitarlo approssimativamente, e nel secon-
Figg. 9a, b. 9a) Portale della chiesa e ingresso del Complesso Conventuale dei Minimi di Nigeon. Incisione. A.-L. Millin, Antiquités Nationales, t. II, ch. XII, pl. 1, Parigi 1790. 9b) il Complesso Conventuale dei Minimi di Place Royale, prima metà del XVII sec. Incisione. Bibliothèque Nationale de France, Est., Va 244d.
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Fig. 10. F. Pourbus il Giovane, Maria de' Medici in abiti vedovili, 1613. Olio su tela. Museo Nacional del Prado, Madrid (Inv. P01624). Dettaglio
Fig. 11. J. F. Niceron, ritratto anamorfico catottrico di Jaques d'Auzolles de Lapeyre, 1631. Incisione. Archives Départementales du Cantal, Aurillac Cedex (Auvergne).
Fig. 12. F. Hals, Portret van René Descartes, 1649 ca. Olio su tela. Musée du Louvre, Departement des Peintures, Parigi (Inv. 1317).
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Fig. 13. C. Duflos, incisore, Ritratto del Padre Marin Mersenne, prima metà del XVII sec.
Fig. 14. S. Vouët, Scena allegorica con anamorfosi catottrica, 1625 ca. Incisione di H. Tröschel.
do caso si tratti di un inganno illusorio o, persino, di un’usurpazione.”25 Dunque proprio a quelle apparenze illusorie, dalla natura fantasmatica, si rivolge precocemente il giovane Niceron quando realizza la sua prima anamorfosi catottrica che inibisce nell’osservatore la capacità di comprendere se “… l’immagine non sia altro che un’immagine, e quindi di farlo credere nella realtà stessa. Lo scopo del simulacro in definitiva è quello di rimuovere se stesso dalla sua funzione rappresentativa, rendendo impossibile identificare l’immagine in quanto immagine”.26 L’anamorfosi catottrica costituisce una sorta di meccanismo sensorio a cui, vicario, si avvicina lo sguardo, irreggimentato nella sua fissità, perché la meraviglia della ricomposizione parastatica dell’immagine si compia. E proprio nel Seicento l’ottica, traduzione in termini matematico-geometrici dei processi che sovraintendono alla visione, si configura come sommo strumento, non solo di conoscenza scientifica dei processi illusori della percezione visiva, ma di ricreazione in vitro degli stessi. Risulta evidente che, all’epoca del ritratto di Jaques d’Auzolles, Niceron non potesse ancora aver letto alcune opere seminali di René Descartes27 (1596-1650) (fig. 12), come La Dioptrique (1637) o la géométrie (1637) che, proprio sul tema della percezione e degli errori cui i sensi inevitabilmente ci condannano, si incardineranno. Ad esse avrà accesso sicuramente poi, frequentando sia la babelica Biblioteca del Convento dell’Ordine dei Minimi di Place Royale (Parigi) che riuniva oltre ai preziosi volumi e incunaboli28 (ben ven-
timila opere censite all’epoca della Rivoluzione francese, aperta ‘al pubblico’ dei ricercatori almeno dal 1639 al 1689,29 per consultazione quattro giorni alla settimana), anche i molti studiosi, tra i quali lo stesso Descartes (che però non incontrò mai di persona), Claude Mydorge (1585-1647), Claude Hardy (1598-1678), Etienne de Villebressieu (*-1653) e Florimond Debeaune (1601-1652), che frequentavano il circolo intellettuale di Padre Marin Mersenne30 (1588-1648) (fig. 13), secrétaire de l’europe savante, e che si riunivano nella sua cella ogni sabato.31 Gli scienziati ivi convenuti – come quelli che corrisposero con lui da tutta Europa – erano prevalentemente interessati a questioni filosofico-matematiche e soprattutto alle implicazioni che l’idea di meccanismo poteva comportare nell’analisi e nella riproduzione dei fenomeni naturali: non bisogna infatti dimenticare che Padre Mersenne fu promotore di un’accezione anti-tomistica dell’idea di meccanismo, del tutto opposta a quella sostenuta ufficialmente dalla Chiesa, e dunque oggetto di ampio dibattito anche nel suo stesso cenacolo parigino. La riconducibilità a meccanismo a cui i sensi tutti, in primis la vista, ma in generale le strutture vitali possono essere ricondotte, scatenarono forti ripercussioni anche in ambito metafisico: in un simile orizzonte ontologico, non è chi non veda il rischio di assimilare l’uomo a parte, frammento riducibilissimo di quella res extensa cui Descartes dedicò tanta attenzione speculativa. L’opera di Niceron, sin da questa prima esperienza artistica e scientifica, costituisce un tentativo
di sfuggire a questa inesorabilità meccanicista, di individuare “…una strategia per evitare la riduzione delle apparenze alle leggi della materia inerte, o meglio, trovare il modo grazie al quale, di per sé, le apparenze dei corpi materiali fossero riconoscibili e si rivolgessero allo spirito, riflettessero la loro alterità e il loro principio, per non essere ridotte alle dimensioni della res extensa, al rigoroso modello meccanicistico e spaziale di partes extra partes.”32 L’anamorfosi niceroniana si delinea come “….il luogo in cui l’ottica denuncia se stessa quale arte della finzione”,33 sfuggendo alla omertà dei phántasma platonici. Inoltre, “…invertendo il rapporto così stretto tra, da un lato, il punto di vista dello spettatore e, dall’altro, l’effetto del simulacro – nella misura in cui il simulacro non è nulla senza il punto di vista per il quale e dal quale emerge –, l’anamorfosi allora protegge come il suo più caro segreto l’immagine che egli rappresenta solo per far vedere prima i suoi resti sfigurati.”34 Il ritratto mostruosamente deformato di Jaques d’Auzolles è presente contemporaneamente alla sua immagine rettificata, così che della sciarada visiva sia fornita, dal suo stesso autore, anche la soluzione, senza creare dubbi interpretativi nell’osservatore. Lo specchio assume qui un ruolo scientificamente cartesiano, evitando la sua tipica funzione magica.35 È probabile che Niceron avesse visto le prime anamorfosi catottriche nel 1627 a Parigi: si tratterebbe di alcuni esotici esemplari importati in Francia dal pittore Simon Vouët (1590-1649) (fig. 14) al suo rientro da un viaggio a 9
Costantinopoli, e lì acquistati tra il 1611 e il 1612.36 Comunque, l’opera sembra fosse stata eseguita senza alcuna consapevolezza ‘proiettiva’ da parte del giovane Niceron, ma con risultati così convincenti che lo stesso Jaques d’Auzolles lo definisce “…très-excellent esprit et très-savant homme (si alors on le devait appeler homme, n’ayant que quelque dix-huit ans) en tout ce qui dépend de l’optique; ce gentil esprit lors que moins j’y pensais s’avisa de faire de mon portrait la suivante figure, laquelle semble plutôt un monstre qu’un homme, mais y appliquant un cylindre et le mettant sur le rond qui est marqué cela me représente si naïvement bien, qu’il ne s’est fait portrait de moi soit plus semblable.”37
Figg. 15 a-c. J. F. Nicéron, anamorfosi catottriche, 1635 ca. Olio su tavola. Galleria Nazionale d'Arte Antica in Palazzo Barberini, Roma. a. Ludovico Xiii davanti a un crocefisso (Inv. 1953); b. Ritratto di Luigi XiiI (Inv. 1954); c. San Francesco di Paola (Inv. 1955); d. Scena di vita matrimoniale (Inv. 1956).
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Queste espressioni di stima trovano una sorta di reciprocità nel fatto che lo stesso Niceron avrebbe poi realizzato il disegno per un monumento equestre commemorativo per Jaques d’Auzolles, oggi andato perduto. Secondo il Whitmore, “…il ritratto di Auzolles eseguito da Niceron risulta [...] in linea con l’interessante e inedita sperimentazione in una forma d’arte che era direttamente collegata a problemi di decorazione d’interni, mentre l’opera teoretica che egli [Niceron, n.d.R.] redasse implicava un perfezionamento della tecnica di proiezione cartografica rispetto alla quale esistono prove di un suo interesse personale”,38 come poi vedremo. A questa categoria di immagini, inserite in dispositivi catottrici rigenerativi, appartengono anche i quattro oli su tela (eseguiti a Parigi nel 1635 circa; figg. 15a-c),39 di dimensioni contenute (50 x 66,5 cm), rettificabili attraverso la loro riflessione su cilindri tirati a specchio, visibili oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini (Roma), e ritraenti rispettivamente: Ludovico Xiii davanti a un crocefisso, Luigi Xiii, San Francesco di Paola e una Scena di vita matrimoniale.40 J. Bousquet,41 citando un inventario della Collezione Barberini risalente al 1631, attribuisce a Niceron anche due ritratti ‘in scorcio’, da vedersi con l’ausilio di ‘un cannoncino d’acciaro’, rispettivamente di enrico iV di Francia e Luigi Xiii, oggi andati perduti. L’autore conclude, sulla base di quel documento, che essi fossero stati realizzati in quella data, e tuttavia l’inventario, cui fa riferimento, risulta copia di uno antecedente,42 risalente al 1627, allorchè Niceron avrebbe avuto solo 14 anni. Pertanto le due anamorfosi catottriche in questione sarebbero state donate a Francesco Barberini dal Cardinale Bernardino Spada, Nunzio Apostolico alla corte di Francia fino all’inizio del 1627. È dunque possibile che il Cardinale, nominato dal
Papa Urbano VIII protettore di alcuni Ordini religiosi – tra i quali il cistercense, il premostratense, il cappuccino, ma soprattutto quello dei Minimi43 –, avesse portato con sé, al suo rientro in Italia, alcuni esempi delle straordinarie capacità inventive, in ambito anamorfico-catottrico, del precocissimo Jean François. Nonostante uno dei soggetti di queste due anamorfosi catottriche perdute – segnatamente il ritratto di Luigi Xiii – coincida con uno degli esemplari conservati presso la collezione di palazzo Barberini, non dovrebbe esserci alcuna relazione fra i due giochi catottrici oggi esposti nella collezione romana, essendo stati acquisiti dal Ministero dell’Educazione italiano solo nel 1937.44 L’effetto stupefacente di ricomposizione per riflessione di queste immagini deformi è ottenuto da Niceron applicando le costruzioni geometriche poi presenti nel trattato ‘in volgare’ del 1638 – riviste e affinate nell’edizione postuma cui si faceva dianzi riferimento –, che si basavano a loro volta su quelle elaborate dal matematico francese Jean-Louis Vaulezard (*-*), nella Perspectivae cilindrique et conique ou traicté des apparences vuës par le moyen des miroirs45 (Parigi 1630; fig. 16), ad uso dei suoi studenti, che furono i primi a fargliene richiesta: esse prevedevano un’iniziale deformazione in anamorfosi piana della figura, per passare poi alla sua ‘trasformazione’ catottrica. È interessante notare come il procedimento proposto dal Vaulezard si basasse sull’impiego simultaneo delle due proiezioni ortogonali – pianta e prospetto – dell’oggetto dato, compresenti nella tavola preparatoria, e come tale scelta costituisca una delle anticipazioni di quello che noi oggi conosciamo come metodo di Monge. Tale metodo, codificato solo alla fine del XVIII secolo, era già impiegato da numerosi trattatisti ed architetti, in assenza di una completa consapevolezza proiettiva, che qui appare invece interamente intuita.46 Gli schemi elaborati in maniera geometricamente coerente da Niceron costituiranno, dal 1638 in poi, il punto di riferimento obbligato per gli operatori che si sarebbereo cimentati con il complesso mondo delle anamorfosi catottriche, la cui diffusione è attribuibile, oltre che a Jean Dubreuil (1602-1670; fig. 17), anche a Mario Bettini (1584-1657; fig. 18), Athanasius Kircher (1602–1680; fig. 19) e Gaspar Schott (16081666; fig. 20), quest’ultimo pupillo di Mersenne.47 Intanto, Reneé Barbièr segue amorevolmente la carriera ecclesiastica del figlio Jean François: dagli Annales de l’Ordre des religieux Minimes relativi al Convento parigino, apprendiamo di una sua donazione di 600 livres per un ornamento rosso,48 avvenuta nel 1635, lo stesso anno in cui (14 dicembre 1635) Niceron venne ammesso all’Ordine del Diaconato insieme ad
Fig. 16. J.-L. Vaulezard, Perspectivae cilindrique et conique ou traicté des apparences veuës par le moyen des miroirs…, Parigi 1630. Frontespizio.
altri Confratelli.49 Risale al 1638 un’ulteriore offerta, in occasione della prima messa celebrata dal figlio, di “…un très beau calice, burettes, cuvette, un grand plat, un aiguière, le tout d’argent bien ciselé, pesants trente mars.”50 Pur senza tralasciare lo studio delle discipline teologiche e filosofiche, il giovane Jean François nutriva una particolare inclinazione per gli studi matematici e un notevole interesse per l’ottica, la catottrica e la diottrica, che convogliò nella sua prima opera trattatistica: proprio in quell’anno fatidico infatti il venticinquenne Niceron pubblica a Parigi, presso Pierre Billaine, La Perspective curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…51 (1638; figg, 21a, b), opera influenzata dai testi di Salomon de Caus (La Perspective, Londra 1612; fig. 22) e del già citato Jean-Louis Vaulezard (Abrégé… de la perspective par l’imitation, Parigi 1635), e tuttavia originale anche rispetto a più celebri predecessori. L’opera in-folio – dedicata a monsignor Giorgio Bolognetti,52 Vescovo di Ascoli Satriano – consta di 20 pagine non numerate (comprendenti l’epistre, la Permission du R.p. Provincial de l’Ordre des Minimes en la Province de France, il Sommaire de ce qui est contenu e la Preface et advertissement), 120 numerate (comprendenti i Preludes géométriques, le Definitions necessaires e i libri i-iV),53 due ancora non numerate e 25 tavole, le cui illustrazioni furono incise da Joan
Blanchin54 ma su disegno dello stesso Niceron, la cui abilità grafica pare fuori discussione, come testimoniano le già citate sue prime prove in campo artistico. Consapevole del grado di raffinatezza cui era pervenuta la tecnica prospettica nel corso del Cinquecento e all’inizio del Seicento, Niceron affronta il problema delle deformazioni con un approccio che oggi si potrebbe definire ‘proiettivo’ ante litteram, abbandonando gli espedienti pratici ormai ampiamente sfruttati, “…poiché si tratta di una cosa di poco peso e per la quale non è necessario avere alcuna conoscenza della prospettiva.”55 Nel suo trattato il Padre Minimo, mostrando una profonda conoscenza delle teorie prospettiche formulate dai suoi predecessori, sia italiani che francesi e tedeschi, assume un ruolo di primo piano nello sviluppo della disciplina, sterzando verso un approccio ‘archimedeo’ piuttosto che ‘platonico’ nelle questioni espositive, in cui cioè è privilegiato il versante applicativo di un tema rispetto a quello astrattamente speculativo. Il primato dell’ottica è subito stabilito, in quanto, tra i sensi, domina proprio la vista, come lo stesso Descrates sosteneva nella sua premessa a La Dioptrique. Con linguaggio chiaro e rigoroso, Niceron propone e risolve numerosi problemi di prospettiva lineare, accompagnando la spiega-
Fig. 17. J. Dubreuil, La Perspective practique, Parigi 1642. Antiporta.
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Fig. 18. M. Bettini, Apiaria universae Philosophiae Mathematicae, Bologna 1642. Antiporta.
Fig. 19. C. Bloemart, Ritratto di Athanasius Kircher, in A. Kircher, Mundus Subterraneus, Amsterdam 1664. Incisione.
Fig. 20. G. Schott, Magia universalis naturae et artis…,Parigi 1657-1659. Frontespizio.
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Fig. 21a. J. F. Niceron, La Perspective curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…, chez Pierre Billaine, Parigi 1638. Antiporta.
Fig. 21b. J. F. Niceron, La Perspective curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…, chez Pierre Billaine, Parigi 1638. Frontespizio.
Fig. 22. S. de Caus, La Perspective, avec la raison des ombres et miroirs, Londra 1611. Frontespizio.
Fig. 21b. J. F. Niceron, La Perspective Curieuse, Parigi 1638. Tav. 2r: Premiere proposition un point essant donné au plan....
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Figg. 24a, b. J. Pelerin detto il Viator, De artificiali perspectiva, Toul 1521, pp. 8, 9.
zione teorica con le splendide tavole incise dal Blanchin. Tra i numerosi contributi offerti dal Padre parigino, è interessante notare come egli, a differenza dei suoi antesignani, preferisca nelle sue costruzioni l’impiego del ‘punto di distanza’ (fig. 23), rimanendo del tutto estraneo alla consuetudine del cosiddetto ‘punto di concorso’, e dunque optando per un procedimento che all’epoca si riteneva introdotto nella pratica artistica da Baldassarre Peruzzi, ma poi ampiamente diffusosi in nord Europa56 (figg. 24a, b). Sicuramente Niceron dovette riferirsi all’impiego intensivo fàttone da Daniele Barbaro nelle costruzioni prospettiche presenti nel suo La pratica della prospettiva (Venezia 1569), grazie alle quali dalla vera forma di un quadrato, tracciata al di sotto della linea di terra (perfetto), era possibile ottenerne lo scorcio (degradato) attraverso il ribaltamento sul quadro del punto di vista (figg. 25a, b). Quest’ultimo, migrando dalla sua posizione frontale, collocata nello spazio fisico dell’esperienza percettiva, al foglio da disegno fino a divenire parte di esso, garantiva in un’unica tavola sintetica tutte le costruzioni necessarie per eseguire prospettive coerenti di figure piane: Niceron intesifica retoricamente questa consustanzialità tra osservatore – monoculare e adimensionale – e piano della rappresentazione, evitando di delineare il quadro di profilo e assimilando il punto di distanza laicamente alla figura di un uomo in panni borghesi. Il metodo adottato da Niceron quindi mitigava l’eccessiva rigidità costruttiva del Barbaro, integrandolo con i metodi proposti da Jean Cousin (1490-1560/61; 14
fig. 26), Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507–1573; fig. 27) – soprattutto la sua seconda regola – e Salomon de Caus (1576–1626; fig. 28) – regolarizzandone proiettivamente l’uso dei poinct d’eslongment – nei rispettivi trattati.57 Il ricorso a continui ribaltamenti in situ degli aggetti relativi ai punti notevoli delle figure da rappresentare, impiegando archi di circonferenze e non semplici diagonali lineari a 45° (fig. 29), esprime inoltre una scelta grafico-espressiva al contempo elegante e rigorosa, in linea con il coevo sviluppo degli strumenti per il disegno tecnico, in primis del compasso, ma anche con l’alto tasso di eloquente didascalicità affidato all’illustrazione. Questa sensibilità orientata a rendere sempre intellegibile al lettore, con una ligne claire, sia l’aspetto astratto delle costruzioni prospettiche, che il risultato finale cui esse devono tendere nella pratica pittorica, è ben evidenziata anche da altre due caratteristiche metanarrative delle planche che illustrano il trattato: da un lato, la costante presenza di una sintetica immagine finale, in cui si restituisce opacità alle supefici studiate, che vengono rivestite di ombre proprie e che proiettano spesso realistiche ombre portate;58 dall’altro, l’impiego di piani ausiliari non ortogonali al quadro su cui delineare le quote, se non addirittura i prospetti interi dei solidi o delle superfici rappresentate (fig. 30): l’introduzione di queste immagini oblique contribuisce non solo a liberare l’immagine dall’affastellarsi di troppe linee convergenti nel classico punto principale, dispiegando così sul piano ausiliario costruzioni altrimenti eccessivamente
Figg. 25a, b. D. Barbaro, La pratica della perspettiva di monsignor Daniel barbaro, Venezia 1569, Parte Seconda, pagg. 32, 33. a. Modo di ridurre in quadro il piano degradato. b. Divisione del quadro digradato in perfetto.
scorciate, dunque poco utili didatticamente; ma introduce anche, in maniera subliminale, il tema delle anamorfosi dirette, sviluppato nel Secondo Libro de La Perspective Curieuse, mentre nel Terzo e Quarto l’autore affronta e risolve i problemi posti rispettivamente dalle immagini catottriche e da quelle distorte per effetto della rifrazione, di cui parleremo più avanti. Introducendo i contenuti nel Secondo Libro, l’autore precisa che in esso “…sono dichiarati i modi di costruire numerosi tipi di figure appartenenti alla visione retta, le quali fuori dal loro punto [di osservazione] sembreranno deformi e senza senso, e viste dal loro punto [di osservazione] appariranno ben proporzionate.”59 L’intenzione di Padre Niceron non è quella di curare un regesto critico dei migliori trattati a lui precedenti, ma di occuparsi delle “…gentilezze della prospettiva curiosa, le quali, come hanno divertito lui e distrattolo dalla serietà degli studi teologici, potranno non essere sgradevoli ai curiosi.”60 Niceron, con l’ausilio di numerose incisioni, descrive in maniera molto dettagliata la genesi del processo anamorfico, seguendo un procedimento, chiaro e sequenziale, per la distorsione geometrica di semplici figure piane: assegnata la figura da deformare in un reticolo a maglie quadrate, stabilisce la posizione del punto di vista
dal quale l’immagine dovrà apparire rettificata. La distanza dell’osservatore dall’ideale reticolo, il cui bordo inferiore si sceglie coincidente con quello deformato, fornisce la posizione del cosiddetto ‘punto di distanza’, mediante il quale è possibile verificare la correttezza degli scorci delle suddivisioni trasversali (fig. 31). Uno degli elementi critici che emergono dalla trattazione niceroniana dell’anamorfosi è l’inedito sovvertimento ontologico del set scenico previsto dalla prospettiva comune, che classicamente contemplava il piano figurativo disposto tra l’occhio dell’osservatore e l’oggetto da rappresentare: Niceron scardina questa liturgia, ammettendo che l’oggetto possa essere disposto accidentalmente tra gli altri due elementi,61 così da produrre ulteriori distorsioni in fase proiettiva, in primis l’effetto che l’immagine anamorfica aggetti verso l’osservatore, una volta rettificata. I prodromi di questo approccio proiettivo devono rintracciarsi in Piero della Francesca, segnatamente nella sua prospettiva di un rinfrescatoio con piedistallo, oggetto della fig. LXXIX (fig. 32) del suo De Prospectiva Pingendi (1482 ca.): qui i paralleli della coppa, rappresentata in alzato, vengono sottoposti ad un’intensa azione di proiezione prospettica da un punto di vista che esorbita dai limiti dell’illustrazione, e le cui immagini circolari, ribaltate in situ, sono accolte dalla superficie di una tavola-quadro orizzontale. Piero ottiene così il contorno della figura – per inviluppo di cerchi – che è interpretabile come l’ombra portata della coppa o, ancora meglio, come sua anamorfosi: per la prima volta, nella
Fig. 26. J. Cousin, Jean, Livre de perspective, Parigi 1560, f. A5: Règle ou figure par laquelle la source et l'origine de l'art de perspective nous peut être déclaré.
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Fig. 27. J. Barozzi detto il Vignola, Le due regole della prospettiva pratica di M.J.b. da V., Bologna 1582: Annotazione prima. Come si debba collocare il punto di distanzia.
Fig. 28. S. de Caus, La Perspective, avec la raison des ombres et miroirs, Londra 1611. Chapitre deuxiesme, Autre façon pour mettre un carré en raccourcissement.
Fig. 29. J. F. Niceron, La Perspective Curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…, chez Pierre Billaine, Parigi 1638. Tav. 3r: Proposition iiii. un cercle essant donné en un plan...
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Fig. 30. J. F. Niceron, La Perspective Curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…, chez Pierre Billaine, Parigi 1638. Tav. 6r: Proposition X. Mettre un cube en perspéctive...
Fig. 31. J. F. Niceron, La Perspective Curieuse, ou magie artificiele des effets mervellieux…, chez Pierre Billaine, Parigi 1638. Tav. 13r: Proposition ii. Donner la methode de... Corollaire ii.
storia della trattatistica prospettica, l’oggetto da rappresentare non è più dietro il rassicurante limite del piano iconico, bensì è posto dall aparte dell’osservatore, sovvertendo la classica disposizione del riferimento prospettico rinascimentale. Più avanti Niceron insiste nel ricordare di avere impiegato la parola magia non per alludere a pratiche proibite, rubricabili come esoteriche o occultiste, ma per riferirsi, sull’esempio di Giambattista della Porta,62 a quegli effects merveilleux che saranno mostrati grazie alla prospettiva, questa sì una magie artificielle; secondo lo storico Amodeo,63 fu proprio a causa del termine magia incluso nel titolo della sua opera, che le copie della prima edizione del trattato di Niceron scomparvero in breve tempo, ritirate forse dalle autorità ecclesiastiche perché ritenute eretiche. L’opinione dello studioso non sembra però suffragata da alcuna prova documentaria, né dal dibattito teologico, coevo di Niceron, circa l’idea di magia che il suo testo esibiva e invocava, già nel titolo. L’esperienza prospettico-anamorfica seicentesca deve infatti essere inquadrata in una sorta di preparatio animi, di impronta agostiniana, attraverso la quale gli studiosi tentavano di fornire del mondo fenomenico una possibile spiegazione – e forse rispetto ad esso anche un’elevazione spirituale –, grazie ai princìpi della matematica e della geometria. Il primato di quest’ultima disciplina, che fa il paio con quello dell’ottica, è di palese stampo platonico, costi-
tuendo una dissonante contraddizione nell’apparato teorico-filosofico dei trattati specialistici del XVII secolo (Kircher, Schott, Bettini), spesso caratterizzati da premesse dichiaratamente archimedee. Queste scienze erano però qui orientate allo studio ed alla riproduzione controllata degli effetti meravigliosi, dei fenomeni decettivi e curiosi (mirabilia), così collocandosi in prossimità dell’arte della magia artificiale. Sia Giovanni Battista della Porta (1535-1615; fig. 33) che Girolamo Cardano (1501-1576; fig. 34) avevano dimostrato nei loro scritti di magia naturale uno spiccato interesse per lo studio dell’ottica, assunta con un valore demiurgico e rivelatore, capace, nelle mani di un mago dalle conoscenze enciclopediche, di svelare verità superiori e ascose agli occhi dei più. Si tratta di una pratica inoffensiva, come ricordava Gabriel Naudé (1600-1653; fig. 35), la quale consentirebbe di giungere “…à se Paradis terrestre de la contemplation de causes. Et parvenir enfin à ce suprême degré de félicité, qui seul permit à l’homme d’habiter ce lieux tant vantés par Lucréce: edita doctrina sapientum templa serena.”64 Gran parte dei teologi dell’epoca concordavano con questa presunta innocenza della magia artificiale, accostata a quella naturale,65 chiaramente distinta da quella nera o diabolica, dalla quale
Fig. 32. Piero della Francesca, De Prospectiva Pingendi, 1482 ca. Fig. LXXiX: prospettiva di un rinfrescatoio con piedistallo.
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Fig. 33. G. B. Battista della Porta, De Distillatione Lib. iX. Quibus certa methodo, multiplicique artificio, penitioribus naturae arcanis detectis, cuiuslibet mixti in propria elementa resolutio, perfecte docetur, Roma 1608. Ritratto di G. B. della Porta.
Fig. 34. G. Cardano, Hieronimi C. Cardani medici Mediolanensis, practica arithmetice, & mensurandi singularis, Milano 1539. Frontespizio con ritratto di Girolamo Cardano.
Fig. 35. Claude Mellan, Ritratto di gabriel Naudé, 1648. Incisione. The Metropolitan Museum of Art, New York (Inv.: 41.57.17).
Fig. 36. D. Henrion, J. Leurechon, C. Mydorge, Les recreations mathematiques avec l'examen de ses problemes. Premierement reveu par D. Henrion. Depuis par M. Mydorge..., Parigi 1661 (Cinquiesme et derniere edition). Frontespizio.
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