LE ORIGINI DEGLI ETRUSCHI
Storia Archeologia Antropologia a cura di
Vincenzo Bellelli
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
Università degli Studi di Palermo Polo didattico di Agrigento Corso di Laura magistrale in Archeologia
Le origini degli Etruschi
Storia Archeologia Antropologia © Copyright 2012 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER Via Cassiodoro, 19 - 00193 Roma www.lerma.it -
[email protected] Progetto grafico «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER Tutti i diritti riservati. è vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore. In copertina: Particolare del volto maschile del Sarcofago degli Sposi, da Cerveteri (Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia); foto di Antonio Russo pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale (Aut. n. Prot. MBAC-SBAEM 7950 del 6-9-2012) Volume stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Palermo - Centro di Gestione “Polo didattico di Agrigento” e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Civitavecchia
Le origini degli Etruschi. Storia, archeologia, antropologia / a cura di Vincenzo Bellelli - Roma: «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER , 2012 - 496 ; ill. 24 cm. (Studia Archaeologica ; 186) ISBN 978-88-8265-742-0 CDD 22. 937.5 1. Etruschi
INDICE GENERALE
PREMESSA (Oscar Belvedere)
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Introduzione (Vincenzo Bellelli)
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Prima Parte
Atti del seminario di Agrigento (9 febbraio 2011) I
Alla ricerca delle origini etrusche (Vincenzo Bellelli) .
II
Le tradizioni letterarie sulle origini degli Etruschi: status quaestionis
e qualche annotazione a margine (Roberto Sammartano) . III Le origini EtruschE: il quadro di riferimento della protostoria (Alessandro Zanini) . . . . . . . .
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IV Ex parte Orientis: I Teresh e la questione dell’origine anatolica degli Etruschi (Massimo Cultraro) . . . . . . . . V
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Etruria meridionale e Mediterraneo nella tarda età del bronzo (Barbara Barbaro, Marco Bettelli, Isabella Damiani, Daniela De Angelis, Claudia Minniti, Flavia Trucco) »
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Etruschi: Popolo o nazione ? (Luca Sineo) .
VI Gli Etruschi e la loro origine alla luce degli studi di antropologia fisica (Giandonato Tartarelli) . . . . . . .
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Seconda Parte
Saggi VII Sulla grafia e la lingua delle iscrizioni anelleniche di Lemnos (Luciano Agostiniani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . VIII
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IX
Il villanoviano: un problema archeologico di storia mediterranea (Anna Maria Bietti Sestieri) . . . . . . . . . . . . .
X
La tradition pélasgique à Caeré (Dominique Briquel)
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XI Origini etrusche, origini italiche e l’erudizione antiquaria settecentesca (Stefano Bruni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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XII L’identità etnica come processo di relazione: alcune riflessioni a proposito del mondo italico (Luca Cerchiai) . . . . . . . . . . . . . . .
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XIII l’ originE lidiA del popolo etrusco: questioni di principio (Carlo De Simone) . XIV Latino e i Tirreni (Hes. Th. 1011-1016): questioni di storia e di cronologia (Andrea Ercolani) . . . . . . . . . . . . . . . . . XV Le problème des origines étrusques dans l’entre – deux– guerres (Marie-Laurence Haack) . . . . . . . . . . . . XVI Bronzo finale in Istria (Kristina Mihovilić) .
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XVII Gli influssi del Vicino Oriente sull’Etruria nell’VIII-VII sec. a.C.: un bilancio (Alessandro Naso) .
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XVIII Dionysus and the Tyrrhenian Pirates (Dimitris Paleothodoros) .
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XVII
Gli influssi del Vicino Oriente sull’Etruria nell’VIII-VII sec. a.C.: un bilancio Alessandro Naso In memoria di Brian Benjamin Shefton
1. Introduzione Una consolidata tradizione di studi avviata negli anni Settanta del Novecento ha contribuito ad individuare e a circoscrivere gli apporti che dalla seconda metà avanzata dell’VIII sec. a.C. confluirono da numerose regioni del Vicino Oriente e dell’Egeo verso il Mediterraneo occidentale in specie sulle coste medio-tirreniche della penisola italica: un rilevante flusso di manufatti, uomini e idee contribuì non poco all’identità delle élites locali, la cui formazione, da poco conclusa o in qualche caso ancora in corso, difettava di modelli culturali di riferimento1. Alcuni caratteri costanti legano tra loro gli oggetti importati e i personaggi immigrati, prima tra tutti l’appartenenza tanto dei prodotti quanto dei produttori alla sfera dell’artigianato di lusso; la presenza di manufatti e di artigiani dovette determinare un meccanismo di richiesta da parte delle aristocrazie etrusche, che favorì non solo la produzione di questi manufatti in botteghe locali, ma anche l’ulteriore diffusione del nuovo way of life presso altre società dell’Italia preromana. Il fitto quadro dei rapporti che legavano le maestranze attive in alcune località dell’Etruria alle cerchie artigianali del Vicino Oriente e dell’Egeo evidenzia in fin dei conti la funzione di polo attrattivo esercitata dall’Etruria grazie alle sue risorse minerarie e agricole nel Mediterraneo, che
dovette influenzare non poco la capacità di ricezione delle élites medio-tirreniche. Senza pretesa di esaustività verranno quindi passate in rassegna le principali produzioni artistiche e artigianali etrusche, per le quali sia possibile presumere l’influenza diretta o indiretta delle cerchie vicino orientali. In proposito è opportuno ricordare che nella ricerca è stata concessa attenzione sempre maggiore ai ruoli giocati rispettivamente dagli artigiani ciprioti per la realizzazione, dalla marineria fenicia per la redistribuzione, dall’Etruria e dalla Sardegna come luoghi di rielaborazione nel Mediterraneo occidentale; ai Fenici sono state attribuite funzioni non solo di scambio2. Vengono quindi esaminati prima i beni mobili, che sono stati utilizzati per primi nella storia della ricerca al fine di istituire i legami con il Mediterraneo orientale e con il Vicino Oriente, e quindi quelli immobili, la cui attribuzione ad artigiani orientali è stata proposta in seguito3.
2. Oreficerie Ornamenti personali e vasellame in metalli preziosi, con preminenza dell’oro, costituiscono una gamma di manufatti che più di ogni altra ha risentito dell’apporto delle tecniche e dei tecnici vicino orientali: non a caso nella storia degli studi proprio gli oggetti preziosi consentirono di formu-
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Fig. 1. Frammenti di avorio con incrostazioni in pasta vitrea dalla tomba Bernardini di Palestrina (rielaborato da F. Canciani, Fr.-W. von Hase, La tomba Bernardini di Palestrina, Roma 1979, tav. IV).
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lare le fortunate ipotesi sull’arrivo in Etruria di orafi vicino-orientali4. L’introduzione di complesse tecniche quali in specie la granulazione, la filigrana e la godronatura non è pensabile senza l’apporto diretto di artigiani specializzati, che utilizzarono anche la tecnica a stampo, già patrimonio degli artigiani locali per la lavorazione dei bronzi laminati. I primi manufatti realizzati in Etruria, risalenti ancora all’VIII sec. a.C., tradiscono una forte impronta orientale anche nelle forme, che comprendono pendagli di varia tipologie (a U, anforetta, áncora, busto femminile). Presto vennero elaborati tipi originali, che riprendono fogge di ornamenti personali bronzei in voga già in precedenza in Etruria nei costumi maschile e in specie femminile, con preminenza delle fibule, ma che includono anche affibbiagli a pettine, armille e lamine destinate alla decorazione delle vesti. Al secondo quarto del secolo risalgono la parure aurea deposta per la defunta nella tomba Regolini-Galassi a Caere5, convincentemente attribuita a un’unica officina, e le piastre-pettorale delle tombe Bernardini e
Barberini di Praeneste, nelle quali diverse tecniche sono impiegate in modo maturo. Una moda di origine fenicia diffusa pure sulla penisola italica è quella di rivestire in lamina aurea manufatti di altra natura, per evidenziarli interamente o in parte6.
3. Avorio e altri materiali esotici L’intaglio dell’avorio costituisce una specialità artigianale tradizionalmente patrimonio delle maestranze della Siria, che lo impiegarono per intarsiare arredi lignei di vario tipo, quali scrigni, letti e troni. Nella ricerca sono state distinte diverse cifre stilistiche, attribuite rispettivamente alla Siria settentrionale e meridionale, entrambe rappresentate da rare importazioni anche in corredi funebri dell’Italia medio-tirrenica deposti nella prima metà del VII sec. a.C. Talora in queste stesse associazioni sono presenti anche avori di altro ambiente, che le tecniche impiegate, tra le quali spiccano la lavorazione a giorno e l’intarsio in pasta
vitrea colorata, qualificano come fenicio (Fig. 1)7. Non a caso proprio a intagliatori fenici è stata assegnata l’elaborazione di un motivo di larghissima diffusione come quello del Paradise Flower nonché la realizzazione di preziose opere su commissione come i mobili lignei con intagli in pasta vitrea rinvenuti nella tomba reale 79 della necropoli di Salamina a Cipro8. In sostituzione della pasta vitrea nel Mediterraneo occidentale e nella fattispecie in area medio-tirrenica venne presto usata l’ambra (Fig. 2): la rapidità della diffusione in Occidente della pratica orientale dell’intarsio è sottolineata da due corredi funerari chiave quali quelli delle tombe Bernardini e Barberini a Praeneste, deposti nel secondo quarto del VII sec. a.C., che contengono resti di oggetti eburnei intarsiati sia con la pasta vitrea sia con l’ambra9. In area medio-tirrrenica l’uso dell’avorio incontrò particolare favore nell’Etruria settentrionale interna, che mostra un’alta concentrazione di reperti. A bottega chiusina è stata assegnata una delle creazioni di maggiore impegno sinora note, come il complesso ciclo eburneo rinvenuto nel tumulo di Montefortini a Comeana, della seconda metà del VII sec. a.C., nel quale in modo preliminare sono stati riconosciuti oggetti diversi, quali pissidi con fregi figurati, pettini e rivestimenti di supporti lignei10. Da sepolture eminenti databili ancora entro il VII sec. a.C. e concentrate specie a Chiusi e Cortona provengono anche resti di intarsi in avorio e ambra, utilizzati in origine nella decorazione di mobili lignei, per lo più letti11. Nella tomba della Montagnola a Sesto Fiorentino, che ha restituito pure cimeli eburnei con intarsi in ambra, era stato deposto anche un’insegna di potere quale lo sgabello pieghevole, del quale rimane una zampa in avorio12. A un’officina attiva alla fine del
VII sec. a.C. forse a Vulci si possono attribuire invece prodotti originali, come le pissidi con fregi figurati, diffuse a Chiusi e pervenute verosimilmente anche in località del versante adriatico (Pitino di San Severino Marche, Matelica). Tra i materiali esotici importati in Etruria verosimilmente con il tramite della marineria fenicia figurano anche almeno le rarissime conchiglie giganti del genere Tridacna squamosa (esemplare forse da Vulci al British Museum) e le uova di struzzo intere o tagliate a metà, che furono utilizzate rispettivamente come corpo per oinochoai polimateriche e coppe potorie. Specie per le uova di struzzo, decorate da fregi figurati incisi, la presenza di isolate lettere dell’alfabeto etrusco con funzione di contrassegno ha permesso di presumere l’attività di intagliatori nella seconda metà del VII sec. a.C. anche in Etruria, verosimilmente a Vulci13.
4. Toreutica 4.1. Vasellame Nel vastissimo panorama della fase orientalizzante etrusca è documentato vasellame bronzeo prodotto in diversi ambiti culturali e regioni geografiche del Vicino Oriente. Calderoni Alla Siria settentrionale sono assegnati i monumentali calderoni, talora su alto sostegno tronco-conico14 e le caratteristiche forme potorie (patere e tazze) a doppia parete, il cui interstizio talora conserva l’originario riempimento di sostanze organiche. Per entrambi i gruppi sono stati riconosciuti esemplari importati ed esemplari prodotti sulla penisola italica15.
Fig. 2. Corno eburneo con incrostazioni in ambra dalla tomba Barberini di Palestrina (da Ambre. Trasparenze dell’antico, a cura di M.L. Nava, A. Salerno, Milano 2007, p. 163).
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Fig. 3. Coppa argentea da Rocca di Papa (da F. Arietti, B. Martellotta, La tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa, Roma 1998, Tav. C).
Fig. 4. Patera bronzea baccellata dalla tomba del Duce di Vetulonia (da F. Sciacca, Patere baccellate in bronzo. Oriente, Grecia, Italia in età orientalizzante, Roma 2005, fig. 131).
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Patere e coppe A botteghe fenicie attive anche a Cipro sono attribuite alcune fogge di coppe metalliche destinate al consumo di bevande, in uso dalla seconda metà dell’VIII al VII secolo a.C.16.
Tra gli oggetti di tradizione più antica spicca un cospicuo gruppo di coppe d’oro, d’argento anche dorato o di bronzo, la cui vasca interna è decorata con fregi figurati concentrici lavorati a sbalzo; per ora sono documentate in Assiria, Cipro, Grecia e Italia centrale, regioni che per essere accomunate in questo periodo dalla distribuzione di altri manufatti tra loro simili, come gli avori intagliati attribuiti a maestranze fenicie, costituiscono il referente al momento favorito per localizzare la realizzazione di queste coppe. Sulla penisola italica sono concentrate a Caere, da dove furono redistribuite a Palestrina e forse a Vetulonia, ma ne sono noti esemplari anche da Chiusi, nonchè dalle regioni meridionali, nel golfo di Salerno a Pontecagnano (Salerno) e nell’alto Jonio
a Macchiabate presso Francavilla Marittima (Cosenza)17. Su questi cimeli vennero talora compiuti interventi posteriori all’esecuzione, finalizzati alla destinazione funeraria che i preziosi manufatti assumevano in Etruria, come sembrano indicare le sei protomi di un animale ctonio quale il serpente applicate sul fregio figurato del calderome di argento dorato della tomba Bernardini di Praeneste, che per quanto di forma dissimile, è comunque legato al gruppo di coppe in esame18. A prototipi fenici in metallo, vetro e argilla, rinvenuti anche nella penisola italica, sono state ricondotte anche le caratteristiche coppe argentee a vasca emisferica con numerose file di scaglie incise sotto l’orlo esterno, diffuse nell’Etruria settentrionale (Vetulonia, Marsiliana d’Albegna), Latium vetus (Rocca di Papa, Praeneste), nell’agro falisco (Narce) e in Campania (Capua) (Fig. 3). La distribuzione geografica ne indizia la probabile paternità a una bottega di Caere19. Largamente utilizzate sulla penisola italica furono le patere con vasca baccellata, per lo più bronzee, che costituiscono una foggia medio-orientale, prodotta in Assiria e in Urartu, trasmessa in Occidente dai Fenici, al cui specifico artigianato è stata di recente rivendicata l’esecuzione di alcuni esemplari20. In Italia sono state riconosciute rare importazioni, caratterizzate da un gran numero di strette baccellature, e più numerose produzioni locali, contraddistinte di solito da un minor numero di larghe baccellature, in un’area geografica che dalle regioni centrali (Etruria, Lazio e Piceno) si estende sia a meridione (Campania e Peucezia) sia a settentrione (Bologna, Este, Como). Alle aristocrazie etrusche è stata di recente attribuita l’esportazione di quattro esemplari nell’Europa centrale in Francia (Poiseul-la-Ville) e in Germania (Eichleben e Appenwihr). Il territorio a nord delle Alpi costituiva un
polo di attrazione per le avanzate conoscenze relative ai processi estrattivi e metallurgici specie per le élites di Vetulonia, il centro a cui è assegnata l’esportazione, oltre al già menzionato vasellame bronzeo a doppia parete, anche delle patere baccellate nell’Italia settentrionale (Este e Como, tranne Bologna) e nella zona a nord delle Alpi (Fig. 4)21. Bacili Pure a bronzisti attivi verosimilmente a Vetulonia nella prima metà del VII sec. a.C. sono stati assegnati i bacili su piede tronco-conico in bronzo laminato muniti di pesante anse fuse decorate da motivi plastici applicati (Fig. 5)22. Sembra opportuno sottolineare il forte apporto fornito all’elaborazione delle caratteristiche anse fuse del modello etrusco da parte del vasellame bronzeo cipriota di periodo geometrico, nel quale massicce anse fuse con una caratteristica piastra di attacco a forma di otto orizzontale, coronate da un
Fig. 5. Bacile bronzeo dalla tomba dei Flabelli di Populonia (da Etrusker in der Toskana. Etruskische Gräber der Frühzeit, Firenze 1988, p. 227).
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Fig. 6. Oinochoe polimaterica da Pitino di San Severino Marche (da Sea Routes... From Sidon to Huelva. Interconnections in the Mediterranean, 16th-6th c. BC, ed. N. C. Stampolidis, Athens 2003, p. 500, n. 944).
bocciolo o da un fiore di loto, sono applicate a coppe a calotta emisferica e a bacili23. Questa valutazione permetterebbe di inserire pure i fiori di loto dei bacili vetuloniesi al termine della genesi prospettata da A. Maggiani per le anse fuse a forma di otto, che elaborate a Cipro, vennero esportate in Sardegna, dove vennero in parte modificate prima di passare in Etruria a Populonia e Vetulonia24. Oinochoai In numerose sepolture principesche dell’Etruria e del Lazio vennero deposte
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anche le caratteristiche oinochoai a corpo piriforme e collo tronco-conico, studiate anni orsono da B. Grau-Zimmermann, che ne ha riconosciuto due tipi principali, denominati A e B, diffusi rispettivamente in maniera prevalente nelle regioni orientale e occidentale del Mediterraneo. Il tipo A, caratterizzato da una netta separazione tra corpo e collo del vaso, è stato suddiviso in due sottotipi, A I a corpo ovoide e A II a corpo affusolato. Il tipo B, con il corpo a profilo continuo e piriforme, è stato suddiviso in due sottotipi: il tipo B I ha una bocca trilobata nonché una risega tra corpo e collo, mentre nel B II la bocca non è trilobata e un collarino rilevato marca il passaggio dal corpo al collo25. Il progresso della ricerca permette di aggiornare lo studio di B. Grau-Zimmermann con nuovi reperti metallici rinvenuti nella penisola italica, come le oinochoai bronzee tipo A II da Rocca di Papa (Roma)26 e dalla tomba 2465 di Pontecagnano (Salerno), molto simile agli esemplari dalle tombe 926 e 928 della stessa località; si segnala inoltre l’edizione recente del corredo della Tomba del Tripode da Cerveteri, che ne contiene un esemplare27. Nello studio della tomba di Caere, datata entro il secondo quarto del VI sec. a.C., è stata suggerita anche una nuova datazione per la brocca, che è stata collocata alla prima metà del VII sec. a.C.; se si accettasse tale cronologia, occorrerebbe anticipare alla prima metà del VII sec. a.C. gli esemplari più antichi del gruppo A II, datato invece da B. GrauZimmermann al tardo VII sec. a.C. In Etruria sono stati rinvenuti anche esemplari fittili fenici di red-slip ware, la cui forma è ispirata ai reperti metallici del gruppo B I; almeno a Caere sono state identificate due oinochoai in altrettanti corredi funerari deposti attorno al 650 a. C.28. Le importazioni metalliche e fittili influenza-
rono la produzione locale di esemplari di forme simile in impasto bruno sottile e in bucchero, che a Caere fu particolarmente precoce29. Le novità di maggior rilievo su questa forma vascolare, che permettono anche di presumerne una diffusione più ampia di quanto attestato dagli esemplari metallici e fittili, sono state però fornite da ritrovamenti effettuati nell’Italia centroorientale, nel Piceno: a Pitino di San Severino Marche e a Matelica (Macerata) sono venute in luce due oinochoai polimateriche di forma simile a quella descritta, con il corpo costituito da un uovo di struzzo arricchito da incisioni e il collo realizzato in materiale deperibile non conservato (legno?), rivestito da una sottilissima lamina aurea nel caso di Pitino (Fig. 6). L’imboccatura, e nel caso di Pitino anche l’ansa, sono formate da un intaglio eburneo, fissato con pernetti non metallici; in corrispondenza dell’imboccatura della brocca è intagliato nell’avorio il volto di una donna, che con le mani si afferra le trecce di capelli30. In un primo commento all’esemplare da Pitino, A. Rathje ne propose l’attribuzione all’artigianato di Vulci, non solo per il numero di uova di struzzo restituite da questo centro, ma anche per la presenza di esemplari fittili, che a Vulci ancora nell’ultimo quarto del VII sec. a.C. replicano fedelmente la struttura dei prototipi polimaterici, volto di donna compreso31. Nel proprio contributo la studiosa danese pose gli esemplari metallici all’origine del tipo, chiedendosi se questi a loro volta derivassero la forma da quelli polimaterici. Il caratteristico profilo piriforme della parte inferiore del vasellame metallico, che non sembra trovare altri confronti nel variegato repertorio orientalizzante, induce ora a superare questa prudenza metodologica e a considerare all’origine della caratteristica forma dell’oinochoe fenicio-cipriota proprio
i cimeli polimaterici, ai quali una rassegna sistematica permetterà forse di attribuire altre uova di struzzo intere, rinvenute non solo in Etruria32.
4.2 Utensili Tripodi A partire da un pionieristico studio di P. J. Riis nella ricerca è stato evidenziato come nell’elaborazione dei tripodi a verghette nell’VIII sec. a.C. nell’Italia centrale sia riconoscibile la specifica influenza dei manufatti ciprioti del periodo Late Cypriot III (1200-1050 a.C.), che interessa anche una più ristretta classe di manufatti con chiara valenza cultuale quali i carrelli su ruote33. Per colmare l’intervallo cronologico tra i prototipi ciprioti del periodo Late Cypriot III e i tripodi bronzei italici dell’avanzata età del Ferro, si è preferito concludere che i manufatti italici derivino dalle redazioni fittili note a Cipro e in Grecia in epoca geometrica. Il rinvenimento nel ripostiglio di Piediluco-Contigliano (Rieti) di un frammento di tripode importato e alcuni dettagli quale la presenza di parti lavorate a giorno negli esemplari italici dell’età del Ferro costituiscono comunque chiari indizi sulla circolazione dei tripodi bronzei ciprioti più antichi anche nella penisola italica. Tripodi in bronzo con verghette in ferro di raffinata realizzazione, diffusi in numerose località del Vicino Oriente, sembrano costituire indizi a favore dell’esistenza di una continuità nella tradizione cipriota dei tripodi dalla tarda età del Bronzo all’età del Ferro, alla cui elaborazione contribuirono anche bronzisti fenici34. I manufatti ciprioti si possono considerare il fertile background artigianale al quale riferire la creazione di numerosi prodotti toreutici in altri ambiti geografici, tra i quali in questa sede preme segnalare in relazio-
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Fig. 7. Tripode bronzeo dalla tomba Barberini di Palestrina (Foto DAI Rom, Inst. Neg. 63.162).
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ne all’Italia centrale i due tripodi gemelli restituiti dalle tombe Bernardini e Barberini di Praeneste (Fig. 7). Ancora privi dello studio approfondito e dettagliato che meriterebbero, questi due manufatti rappresentano degnamente i corredi di appartenenza, poiché alle caratteristiche di tradizione orientale, come la struttura bimetallica del tripode, coniugano elementi centro-italici, come i personaggi umani affacciati all’interno del calderone, che per la fisionomia complessiva e il cinturone a losanga costituiscono veri e propri incunaboli della piccola plastica centro-italica35.
elaborata in Etruria, più propriamente a Vulci, nell’ultimo quarto del VI sec. a.C., che prevede una base tronco-piramidale in lamina sorretta da tre piedi fusi di varie fogge e coronata da un alto fusto, terminato superiormente da un elemento fitomorfo. Questo costituisce la base per il piattello, utilizzato per bruciare le sostanze odorose. Gli arredi, dei quali si conosce una trentina di esemplari, vennero prodotti almeno sino alla metà del V sec. a.C.37. La genesi della forma dell’arredo etrusco si può correlare a quella dei thymiateria fenici fittili, eccezionalmente attestati in una redazione bronzea dal thymiaterion del gruppo 1 definito da B. Morstadt, rinvenuto nella penisola iberica nella tomba 17 della necropoli di La Joya (Huelva), che presenta una base tronco-piramidale sorretta da tre zampe leonine, coronata da un alto fusto con due coppe. Per la sepoltura sono state proposte datazioni piuttosto varie, che oscillano dall’inizio del VII alla prima metà del VI sec. a.C., comunque anteriori all’elaborazione dei thymiateria vulcenti. Sembra quindi condivisibile l’ipotesi, espressa da numerosi studiosi, secondo la quale a Vulci sarebbero stati utilizzati prototipi fenici nell’elaborazione dei thymiateria a base tronco-piramidale su zampe leonine. La cronologia più alta dei thymiateria etruschi ha indotto a presumere che questi abbiano a propria volta funto da modelli per i più tardi esemplari greci, classificati da C. Zaccagnino38.
Incensieri e thymiateria
Flabelli e parasole
A botteghe fenicie attive anche a Cipro sono attribuiti i cosiddetti incensieri, piuttosto rari ma comunque documentati anche sulla nostra penisola36. La circolazione di particolari utensili come i thymiateria fenici anche in Italia è stata invece invocata per spiegare la genesi di una forma particolare di thymiaterion
L’uso di flabelli o grandi ventagli è documentato in Egitto e nel Vicino Oriente almeno dalla metà del III millennio a.C. con funzioni diverse: se in Egitto uno o più flabelli con manico lungo e piume di struzzo sono rappresentati dietro il faraone impegnato in varie attività quali battaglia, caccia e processione, in Meso-
potamia flabelli a bandiera sono riprodotti in mano a un servitore dietro un personaggio assiso in trono, che consuma cibi e bevande. Nella penisola italica flabelli in bronzo, avorio, legno o paglia sono documentati specie in deposizioni aristocratiche in Etruria, nel Lazio, nell’agro falisco e a Verucchio. P. Guldlager Bilde ha evidenziato la circolazione di forme diverse dei flabelli bronzei in relazione al comprensorio geografico. Nell’Etruria meridionale sono prevalentemente quadrangolari, mentre in Etruria settentrionale e nel Lazio la forma è circolare. Al momento non sono stati rinvenuti in Italia esemplari importati, sebbene alcuni fossero realizzati con materie prime esotiche, come avorio e forse piume di struzzo. Esemplari italici furono redistribuiti nei territori delle culture hallstattiane, centrale e sud-orientale. Al contrario dei flabelli i parasole sono al momento documentati soltanto da fonti iconografiche nel VII sec. a.C. In quest’epoca entrambi si possono considerare attributi del rango sociale39.
4.3. Ornamenti Costume personale In numerosi corredi sepolcrali, per lo più di pertinenza femminile, è stata notata la presenza di ornamenti personali metallici, per lo più bronzei, che in linea di massima corrispondono alla presenza di individui allogeni nella società etrusca. Il tema è ancora privo della ricerca sistematica che merita e non è quindi agevole determinare le diverse aree di provenienza, che sono molteplici e che in varie fasi cronologiche comprendono almeno la Macedonia, la Grecia continentale e insulare, in particolare Rodi, sino al lontano Caucaso40.
Bardature equine Nel mondo vicino orientale era diffusa la pratica di bardare i cavalli con maschere, pennacchi e piastre appese al collo, come indicano le crude scene di combattimento, i concitati episodi di caccia e le solenni processioni di parata riprodotte nei rilievi neo-assiri, che risalgono almeno all’epoca di Ashurnasirpal II (884-859 a.C.) e sono frequenti durante i regni di Tiglatpileser III (745-727 a.C.) e Sargon II (721-705 a.C.)41. La documentazione dimostra che tali finimenti in cuoio eventualmente rivestiti in metallo potevano anche proteggere gli organi vitali del cavallo, in evidente relazione a un impiego in battaglia, durante una caccia o nel corso di un’esibizione da parata. Ritrovamenti specifici mostrano che l’uso vicino orientale di bardare i cavalli con specifici elementi in cuoio e specie in bronzo venne recepito dalle élites medio-tirreniche almeno negli anni finali dell’VIII sec. a.C. Il reperto più antico di questo nucleo è identificabile con le maschere equine da parata (prometopidia) in lamina bronzea ornata a sbalzo, rinvenute nella tomba 4461 di Pontecagnano (Salerno). La cifra stilistica della decorazione ha indotto a ipotizzarne una produzione in area nord-etrusca, forse vetuloniese, ma con chiari influssi nordsiriani42. Figure di leoni di foggia caratteristica, per le quali ugualmentre sono stati rilevati stringenti confronti con reperti di Vetulonia, compresi i dischi-corazza bronzei a decorazione figurata, ornano anche altri prometopidia in bronzo, come quello di provenienza ignota conservato nella collezione Ludwig, che è stato pure attribuito a Vetulonia43. Uno dei rari depositi votivi noti in Etruria per l’avanzata età del Ferro esplorato in parte presso Vulci ha restituito anche i resti di un probabile gruppo bronzeo, comprendente
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Fig. 8. Resti di un gruppo bronzeo da Vulci, località Banditella (Foto cortesia Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, Carabinieri).
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almeno due bronzetti di cavalli bardati, che sono stati datati entro la metà del VII sec. a.C.44 (Fig. 8). La diffusione delle maschere equine non fu però limitata ai grandi centri costieri dell’Etruria: le aristocrazie etrusche, in seguito a quei contatti nei quali il progresso delle ricerche consente sempre meglio di postulare le relazioni personali con esponenti di alto rango sociale appartenenti ad altri ethne della penisola italica, le trasmisero altrove, poiché in una sepoltura deposta entro la metà del VII sec. a.C. in un distretto interno come Cretone in Sabina sono pervenute maschere equine lisce45. Di conformazione diversa e lievemente posteriore, ma pure compresa entro il VII sec. a.C., è invece una testiera in fasce di lamina bronzea decorata a sbalzo restituita dalla tomba XI di Colle del Forno, pure in Sabina46. La pratica di dotare i cavalli di bardature che ne sottolineavano la solennità dell’impiego non si esaurì in Etruria e nella penisola italica nel VII sec. a.C., ma proseguì anche in seguito con modalità che in questa sede non è possibile esaminare47.
5. Vetri Rari oggetti in vetro realizzati con tecniche differenti, ma forse da maestranze fenicie vennero importati dal Mediteraneo orientale in area mediotirrenica sin dall’inizio dell’Orientalizzante. Almeno due brocchette alte 6-7 cm con bocca trilobata, modellate su nucleo friabile e destinate a conservare unguenti profumati, sono note a Tarquinia e a Bisenzio; nella tomba Bernardini a Praeneste sono state invece identificate due coppe fuse entro matrice, caratterizzate da una vasca emisferica, simili a esemplari in bronzo e ceramica. Una coppa a vasca costolata venne deposta nella tomba A del tumulo di Montefortini presso Comeana, nell’Etruria settentrionale, forse ancora nella prima metà del VII sec. a.C. Queste importazioni suscitarono la produzione di oggetti originali in Etruria, come pissidi e balsamari irsuti, realizzati con la tecnica a nucleo friabile a partire dalla seconda metà del VII sec. a.C. e diffusi anche nel Lazio e nella Campania settentrionale a Cales. Alcuni
corredi funerari di pertinenza femminile rinvenuti a Caere, comprendenti anche i balsamari irsuti, hanno indotto a localizzare in quella città la bottega responsabile di queste produzioni, alla quale si possono attribuire anche altre creazioni particolari dell’Etruria deposte negli stessi corredi e pure realizzate con la tecnica del nucleo friabile, come fusi e conocchie per la lavorazione della lana48. Oltre a questi oggetti indicatori del rango, sulla penisola italica il vetro fu utilizzato anche per ornamenti personali, come rari pendenti da collana, che replicano in piccolo la forma delle brocchette, e in specie perle da collana e rivestimenti per fibule bronzee. Questi, ispirati al tipo caratteristico a sanguisuga e decorati con tratti rilevati a spina di pesce furono di moda dall’ultimo quarto dell’VIII alla fine del VII sec. a.C. specie nell’Italia settentrionale, con particolare intensità a Bologna e a Verucchio, ma con attestazioni anche in Etruria meridionale, nel Piceno, nel Latium vetus e in Campania. Per le fibule sono state riconosciute almeno tre principali tecniche di esecuzione (su nucleo friabile incolore, a corpo colorato, in vetro fuso), corrispondenti a numerosi ambienti di produzione49.
6. Materiali vari Tra i rari cimeli restituiti dalle sepolture etrusche di periodo orientalizzante figurano esemplari di assoluto prestigio, spesso unici in Occidente e concentrati in deposizioni risalenti alla prima metà del VII sec. a.C., come la situla in faïence con iscrizione di Bocchoris da Tarquinia, la pisside in blu egiziano da Vulci e le più recenti fiaschette di Capodanno, che non suscitarono imitazioni dirette in Etruria50.
7. Ceramica Se l’attività di ceramisti greci ancora nell’VIII sec. a.C. in Etruria, identificata prima a Vulci e quindi anche a Tarquinia, Caere e Veio, è stata da tempo notata nella ricerca, più recente è il riconoscimento di vasellame litico e ceramico vicino orientale nell’Etruria meridionale e nel Latium vetus. Oltre a reperti isolati come il balsamario in steatite dalla Camera degli Alari a Caere, configurato superiormente a volto femminile e in parte rivestito in lamina aurea, proveniente forse dalla Siria, si possono ricordare forme di maggiore diffusione come i mortai-tripodi litici di produzione siriana e le tripod-bowls litiche e fittili assegnate ad ambiente fenicio, che sulla penisola italica furono replicati da forme fittili51. Anche raro vasellame fittile fenicio in red-slip ware, per lo più oinochoai e piatti, è stato identificato in contesti funerari di Caere, nel cui repertorio morfologico dell’impasto rosso specie i piatti suscitarono una fortunata eco52. L’importazione di tripodi litici dalla Siria è stata connessa alla diffusione della moda locale di aromatizzare il vino con spezie e sostanze vegetali, da macinare nei resistenti mortai, che non a caso mostrano tracce di usura. Nel Vicino Oriente questa bevanda veniva consumata in occasioni cerimoniali (marzeah) da esponenti di pari rango sociale, che celebravano il proprio status e i propri antenati53. Si può quindi presumere che la diffusione della moda anche in Etruria meridionale, specie a Caere e a Veio, abbia previsto l’adozione dello strumentario per preparare il vino, senza necessariamente prevedere l’importazione di vino dall’Oriente. È stato infatti osservato che già nel repertorio vascolare etrusco dell’Orientalizzante vennero sviluppate forme specifiche destinate all’ostentazione, al consumo e al trasporto del vino54. Come spesso si veri-
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fica in questo concitato periodo, in area medio-tirrenica agli influssi provenienti dal Vicino Oriente si sovrappongono le mode assimilate dalla Grecia, che pure prevedevano vasi potori destinati al consumo di vino aromatizzato con farina di orzo e formaggio di capra, un’usanza alla quale sono state connesse le grattugie bronzee ed eccezionalmente argentee, utilizzate per grattugiare il formaggio, documentate nell’Italia centrale sin dalla fine dell’VIII sec. a.C.55.
8. Architettura La monumentalità dei più antichi tumuli delle necropoli di Caere, realizzati nella prima metà del VII sec. a.C., trova al momento confronti calzanti solo nel Mediterraneo orientale in Anatolia: sepolcri a camera coperti da masse di terreno di riporto sono stati esplorati in Frigia e in Lidia, le regioni che si possono considerare la culla del paesaggio funerario monumentale. Le crepidini tufacee dei tumuli etruschi sono però decorate da sequenze di fasce rilevate e in origine dipinte, che al momento non sono documentate altrove nell’architettura monumentale e che furono elaborate con ogni probabilità in Etruria. Gli unici termini di confronto in campo architettonico sono forniti dalle fasce simili, intagliate su riproduzioni litiche di troni di ambiente culturale nord-siriano, rinvenuti anche in strutture palaziali del tipo bit-hilani come quella scavata a Tell Taynat (Turchia meridionale). Poiché sono stati istituiti confronti tra questi edifici e alcune costruzioni monumentali esplorate in Etruria, come il palazzo di Murlo (Siena), che presenta una analoga suddivisione interna degli spazi, si è concluso che modelli vicino orientali di architettura monumentale funeraria e abitativa si sono diffusi verso Occiden-
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te e sono stati utilizzati in Etruria. Entro questo generico influsso sono stati riconosciuti anche specifici apporti di determinati ambiti culturali. A Tarquinia è stata per esempio osservata l’applicazione della tecnica muraria a pilastri di origine fenicia datata attorno al 700 a.C.56.
9. Scultura L’evidenza archeologica sinora sintetizzata, relativa per lo più a beni mobili realizzati in vari materiali e tale da far presumere l’afflusso sulle coste tirreniche di artigiani specializzati, è stata utilizzata nell’edizione della tomba delle Statue a Ceri, non lontano da Cerveteri, cosiddetta dalle due statue raffiguranti figure umane in trono, ricavate nel vivo della roccia del vestibolo di quel sepolcro, datato al 690-670 a.C. I confronti addotti e l’assoluto isolamento delle statue nel panorama della contemporanea arte etrusca hanno indotto G. Colonna ad assegnarne l’esecuzione a uno scultore nord-siriano. Nello stesso ambito si proponeva di attribuire ad artigiani immigrati pure alcune stele protofelsinee, risalenti al secondo quarto del VII sec. a. C.57. Nel successivo dibattito scientifico la proposta ha ricevuto generale consenso, ma ha suscitato anche critiche e precisazioni58.
10. Pittura parietale Anche la pittura parietale etrusca, prevista nei sepolcri gentilizi di Veio e soprattutto di Caere sin dalla prima metà del VII sec. a.C., offre confronti con il Vicino Oriente. L‘uso etrusco di affiggere scudi sulle pareti o dipingerne le riproduzioni deriva infatti dall‘Oriente: a mero titolo esemplificativo si possono ricordare i palazzi assiri di Til-Barsip e Khorsabad, le
cui varie fasi si datano tra 740 e 630 a.C. e le cui decorazioni dipinte comprendono anche scudi, utilizzati entro schemi araldici per accrescere la virtù guerriera dei dinasti e verosimilmente esaltarne la stirpe59. Almeno una menzione preliminare merita il finissimo rivestimento in gesso alabastrino, in parte dipinto, individuato su parte delle pareti nel dromos a piazzale in corso di esplorazione nell’estate 2011 nel secondo tumulo della Doganaccia a Tarquinia da parte di un’equipe dell’Università di Torino guidata da A. Mandolesi, per ora unico nel panorama dell’architettura funeraria etrusca60.
11. Conclusioni La rassegna compiuta mostra numerosi punti in comune, tra i quali spicca la grande capacità di ricezione dimostrata dagli Etruschi specie dall’ultimo quarto dell’VIII alla prima metà del VII sec. a.C. e la rielaborazione evidente in numerose produzioni locali, che acquistano particolare vigore nella seconda metà del VII sec. a.C. Tra i punti necessari di ulteriori indagini figurano una migliore definizione delle generiche etichette vicino orientali o fenicio-cipriote applicate tout-court ad alcuni manufatti, che soltanto ricerche nei vari distretti di origine contribuiranno a puntualizzare, e lo studio dell’impatto della cultura orientalizzante sulle aristocrazie italiche, che è in gran parte ancora da intraprendere. Oltre l’Etruria, testimonianze non isolate sono infatti note sia sul versante medio-tirrenico, dal Lazio alla Campania sino alla Calabria, sia lungo la costa adriatica, dal Veneto al Piceno sino alla Daunia61. Se singoli sviluppi regionali sono già evidenti, come la ricezione delle anfore vinarie fenicie nel Latium vetus, non documentate in Etruria con intensità para-
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Note 1 Le tappe fondamentali della ricerca sono state scandite dalla monografia di Strøm 1971, da volumi collettanei quali Aspetti 1984, Principi 2000 e Prayon-Röllig 2000 e dai bilanci tracciati da von Hase 1995a, Geppert 2006 e Martelli 2008. Per l’autorevolezza dell’autore merita di essere menzionata la radicale posizione assunta da N. Purcell, che invita a abbandonare i concetti di Orientalizing e specie di Orientalization (Purcell 2006). In verità il secondo termine, che è stato introdotto proprio dallo studioso, non sembra assolutamente necessario, come è stato notato (Hoffman 2008). A parere di chi scrive è preferibile mantenere lo sfumato Orientalizing, utile a descrivere il fenomeno in oggetto, proprio perché nel periodo esaminato la summa di aspetti culturali diversi di indubbia matrice orientale, radicati nella tradizione artigianale levantina dell’età del Ferro (Scigliuzzo 2005), compose un vero e proprio coacervo, le cui componenti sono ancora difficili da distinguere (Gubel 2006). 2 Da ultimo Botto 2008, con bibliografia pre-
cedente, nella quale spiccano i contributi dello studioso (ibidem, pp. 552-553); Hudson 1992 ha attribuito alla cultura fenicia l’origine del concetto di prestito a interesse. 3 Nella rassegna non si è proceduto in modo uniforme, ma è stata concessa attenzione maggiore ai reperti meno noti. 4 Le tappe più significative della ricera sono scandite dai contributi di von Hase 1975, Kaeser 1984 sino a Martelli 2008, p. 126, con rimandi a ulteriore bibliografia dello stesso autore. 5 von Hase 1995b; Sannibale 2008. 6 Prayon 1998. 7 Martelli 2008, pp. 124-125 per le importazioni dalla Siria. Sugli avori fenici Ciafaloni 1995: sui mobili fenici Gubel 1987. 8 Per il Paradise Flower: Shefton 1995; per i mobili dalla tomba 79 di Salamina si rimanda ai contributi di Karageorghis 2003, pp. 345-346 e Karageorghis 2005, pp. 34-35, fig. 6. Per gli intarsi in pasta vitrea: Lightfoot 1991, p. 71. Gli avori rinvenuti in Etruria sono stati esaminati da Huls 1957, che occorre integrare con le osservazioni di Rocco 1999, utili anche per l’Etruria benché dedicate al versante adriatico. 9 Per la tomba Bernardini: Curtis 1919, pp. 54-65, nn. 45-55; F. Canciani, in Canciani-von Hase 1979, pp. 65-72, nn. 108-141, in specie pp. 8 e 68 n. 120. Per la tomba Barberini: Curtis 1925, pp. 24-36, nn. 22-71 e Michetti 2007. 10 Presentazione preliminare in Nicosia-Bettini 2000. 11 Mi permetto di rimandare a Naso 2007. 12 Naso 2006a, pp. 374-376. 13 Martelli 2008, p. 122 per la conchiglia Tridacna; per le uova di struzzo si rimanda alla bibliografia menzionata infra (oinochoai bronzee). 14 Valgano ancora i richiami a Marunti 1959 e Canciani-von Hase 1979, pp. 46-47, n. 42, con bibliografia sugli esemplari rinvenuti nell’Italia centrale. I risultati in parte sorprendenti delle analisi archeometriche, alle quali sono stati sottoposti alcuni calderoni del gruppo (Vlad Borrelli-RonchiMiccio 1979, pp. 254-257), furono brillantemente interpretati da C. Rolley (Rolley 1983, pp. 114115). L’esemplare edizione delle protomi di grifo dall’Heraion di Samo (Gehrig 2004) costituisce una insostituibile rassegna su queste suppellettili. 15 L’elenco è stato compilato da Sciacca 2005, pp. 352-355, con bibliografia precedente; si veda anche Botto- Bernardini cs. Martelli 2008,
pp. 123-124 per i calderoni su sostegno. 16 Sciacca 2005. 17 Nella corposa bibliografia si segnalano Canciani 1979; Rathje 1980; Markoe 1985; Moscati 1988; Markoe 1992; Markoe 1992-1993; Neri 2000. 18 F. Canciani, in Canciani-von Hase 1979, pp. 3637, n. 16, tav. 12,3-13, riprodotto a colori in Moscati 1988, p. 445. Sarebbe interessante approfondire l’osservazione di F. Canciani relativa alle diverse tecniche adottate per l’applicazione delle lamine auree sul calderone e sulle protomi a serpente. 19 Sciacca 2005, p. 402 („vasca a calotta“), con bibiografia precedente, commentata in seguito da Martelli 2008, p. 124, che compila l’elenco delle attestazioni. 20 Sciacca 2005, pp. 388-394, con bibliografia precedente; Almagro Gorbea-Torres Ortiz cs; Sciacca cs. 21 Le patere sono state di recente raccolte e classificate da Sciacca 2005. L’esemplare da Altamura (BA) è stato di recente considerato di produzione assira da A. Montanaro, che ne ha proposto una datazione al secondo quarto del VII sec. a.C (Montanaro 2010). 22 Camporeale 1988, al cui gruppo di sette esemplari il progresso degli studi permette di aggiungere almeno i frammenti di ansa dal santuario di Hera a Samo (Vathy, Museo, n. inv. B 1130: Naso 2006a, pp. 360-362, con bibliografia precedente) e da Pisa (Bruni 2004, p. 43, figg. 3.5, 5), nonché l’ansa a Bonn (Kieburg 2008, p. 60. n. 70). 23 Matthäus 1985, pp. 124-127, nn. 345-356, tav. 20-21 (coppe a calotta emisferica) e pp. 195-199, nn. 472-478, tavv. 50-53 (bacili). Ulteriore bibliografia dello studioso viene indicata da Botto 2008, pp. 135-138. 24 Maggiani 2002, pp. 411-413 e in seguito anche Botto 2008, pp. 137-139. 25 Grau-Zimmermann 1978 e per la storia degli studi L. Di Blasi, in Sciacca-Di Blasi 2003, pp. 230234. In seguito le oinochoai bronzee rinvenute nella penisola iberica sono state di nuovo edite da Jiménez Ávila 2002, pp. 385-386 (nn. 1-4: gruppo A 1, Carmona-Tamassos: importazioni), 386-388 (nn. 5-12, gruppo A 2: esemplari atipici e produzioni locali). 26 Sciacca 2005, pp. 401-402, con bibliografia precedente, da integrare almeno con la menzione di Arietti-Martellotta 1998, pp. 70-75, fig. 16, tavv. 12-13, ben riprodotto a colori in Colonna 1990, fig. 371.
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L. Di Blasi, in Sciacca-Di Blasi 2003, pp. 230234, n. 52. 28 Rizzo 1991, pp. 1173-1175, fig. 1 c-d, e-f. 29 Rasmussen 1978, Oinochoe 2a, p. 76. 30 Esemplare da Pitino San Severino Marche (con ansa eburnea): da ultimo de Marinis 2003, con bibliografia precedente. Esemplare da Matelica (con ansa forse lignea): Potere 2008, pp. 190-193, n. 231. 31 Rathje 1976, pp. 12-18, fig. 8; Rathje 1979, p. 174, fig. 11, 4. Alle quattro oinochoai fittili della collezione Astarita (Museo Gregoriano Etrusco, coll. Astarita, nn. 870-873) menzionate dalla studiosa danese si possono aggiungere almeno due esemplari (uno con tracce di argentatura) rinvenuti a Vulci, individuati da Sgubini Moretti 1994, pp. 33-34, figg. 30-31, e quello di recente acquistato presso una collezione privata tedesca dal Museum di Fine Arts di Budapest, presentato da J.-G. Szilágyi in una brochure del museo edita nel 2010. La cronologia qui proposta è suffragata dalle significative notizie sulla composizione dei corredi funerari di appartenenza fornita da A. M. Sgubini Moretti. 32 Le uova di struzzo in Etruria sono state esaminate in Torelli 1965, Rathje 1986 nonché nelle recenti messe a punto di Pisano 2006, Colivicchi 2007, pp. 217-223 e Martelli 2008, p. 124 nota 32. Tra le località di rinvenimento figura anche Barbarano, significativa per definire la redistribuzione operata da Caere nel territorio circostante: Caruso 1986, p. 132. Con l’osservazione autoptica di numerosi esemplari e la sperimentazione diretta F. Poplin ha potuto presumere l’uso di sabbia per levigare la superficie delle uova (Poplin 1995). 33 Riis 1939. I tripodi costituiscono una sezione rilevante nel corpus della toreutica cipriota raccolto da H. Matthäus (Matthäus 1985, pp. 299309, nn. 677-693); da ultimo sui tripodi ciprioti Papasavvas 2001. Resti di carrelli cultuali ciprioti sono stati identificati nel ripostiglio di Piediluco e a Monte Sirai (CA), come indica da ultimo Botto 2008, pp. 131-132. Per i carrelli italici, impiegati probabilmente in episodi cultuali connessi all’acqua, mi permetto di rinviare a quanto ho scritto altrove (Naso 2002; Naso 2006b). 34 Bieg 2002, p. 67 con esplicito riferimento ai tripodi. 35 Sui tripodi anche di Praeneste è intervenuta di recente E. Macnamara (Macnamara 2001, pp. 301-302 e Macnamara 2009, pp. 93-95). 36 Martelli 1996, con bibliografia precedente. 27
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Alessandro Naso
Mi permetto di rimandare a Naso 2009. Morstadt 2008, pp. 392-393, n. OF1a/16, tav. 29 per l’esemplare iberico, pp. 289-290 per la derivazione degli esemplari etruschi dai modelli fenici. I thymiateria greci derivati da quelli etruschi sono stati raccolti da Zaccagnino 1998, tav. 3, gruppo E 1, pp. 135-158, 179-180. 39 Per i flabelli: Guldlager Bilde 1994. Per il parasole: Miller 1992 (fonti letterarie), Colivicchi 2007, pp. 189-192 (resti archeologici). 40 Per la Macedonia: Bouzek 2000 e la messa a punto di Martelli 2007, utile anche per l’Etruria benché dedicata al versante adriatico. Non legati alla mobilità geografica di singoli individui sono gli oggetti dichiaratamente esotici, come il campanello caucasico dalla tomba II della necropoli della Banditella di Marsiliana d’Albegna (Cianferoni 1988, pp. 99-100, n. 58) e la fibula “frigia” dalla tomba 29 di Riserva del Truglio nel Lazio (da ultima Martelli 2008, p. 139, nota 92). Per quanto riguarda la fibula, occorre specificare che l’attribuzione deve essere confrontata con gli studi più recenti, che hanno riconosciuto l’esistenza di produzioni greco-orientali ispirate a quella frigia (Donder 2002, pp. 3-4). 41 Cavalli con bardature di varie fogge sono riprodotti con estrema frequenza nei nuclei di rilievi neo-assiri conservati in diversi musei (Chicago, Oriental Institute; Londra, British Museum; New York, Metropolitan Museum; Parigi, Musée du Louvre), come dimostra un recente repertorio (Matthiae 1999, pp. 11-104). Per i dipinti murali di Til Barsip: Matthiae 1999, p. 85 in basso a destra. La letteratura specialistica su cavalli e carri nel Vicino Oriente conta in specie gli importanti contributi di M.A. Littauer e J.H. Crouwel, che comprendono la nota monografia (Littauer-Crouwel 1979) e interventi minori, ora raccolti in Raulwing 2002. 42 Cerchiai 1987; Cerchiai 1988, pp. 103-104; d’Agostino 2001, p. 244. 43 L’esemplare nella collezione Ludwig è edito da Reusser 1988, pp. 32-33, n. E 38 A/B. Sui dischi corazza del Gruppo Vetulonia: Tomedi 2000, pp. 42-43, nn. 47-49, tavv. 22-23. È opportuno ricordare che a Vetulonia furono utilizzate anche bardature equine di origine hallstattiana, filtrate nella città tirrenica verosimilmente con il tramite di Verucchio (Martelli 2005a, pp. 320325, figg. 4-5). Una mediazione di Verucchio è ipotizzabile anche per la distribuzione sulla penisola italica (Felsina e Vetulonia) delle rare 37 38
componenti delle bardature equine di tipo traco-cimmerio (Metzner-Nebelsick 2002, p. 347, Taf. 160, che non ha compreso l’elemento da Este citato da Cygielmann 1988, p. 179 n. 79). 44 Naso cs b. Si può ipotizzare l’originaria pertinenza del gruppo vulcente a un coperchio, anche sulla scorta del confronto con un cavallino bronzeo dalla tomba Le Pegge 23 a Verucchio (RN), pure attribuito a un coperchio da G. V. Gentili (Gentili 2003, pp. 92-93, Tav. 45, Tav. LXXIII, inv. 10361) e da P. von Eles (in verbis). A questo vasellame, mal documentato per le oggettive difficoltà di conservazione, sono connessi prodotti di area extra-italica, come la situla tipo Kurd con cavallini bronzei applicati sull’orlo rinvenuta nel tumulo 48 della necropoli di Frög in Carinzia, databile attorno al 700 a.C. (Tomedi 2002, pp. 211-214, Taf. 14). 45 Le bardature equine da Cretone, edite da Mari 1996, tav. V, sono state riconosciute come tali da Colonna 1997, pp. 19-20. 46 La bardatura fa parte di un corredo funerario suddiviso tra la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen e la Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, sul quale sono intervenute da ultime Martelli 2005b e Santoro 2005; una bella riproduzione della testiera dalla tomba XI di Colle del Forno è in Colonna 1990, fig. 508. 47 A puro titolo esemplificativo ricordo le due coppie di maschere conservate presso l’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig a Basel, attribuite rispettivamente al territorio di Metaponto (?), 600-550 a.C. e a quello di Canosa, 350-300 a.C., edite da Cahn 1989, p. 14, W 1e, pp. 18-19, W 5a-b (due corredi dai pressi di Metaponto), pp. 46-47, W 23d, p. 64 W 24i (due corredi dai pressi di Canosa). 48 Sul vetro in Etruria: Martelli 1994, pp. 88-91 (con lettura poco corretta della bibliografia relativa alla provenienza della brocchetta da Bisenzio); Colivicchi 2007, pp. 73-89. Per la coppa da Comeana anche Principi 2000, pp. 219-220, n. 251. Per la bibliografia su fusi e conocchie mi permetto di rimandare a Naso 2006b, p. 362, da integrare almeno con i reperti da Verucchio (Poli 2007). 49 Sui pendenti irsuti: Martelli 1994, p. 85. Per le perle in vetro: Koch 2011. Per le fibule con arco rivestito in vetro: Koch 2010. 50 Martelli 2008, p. 122, con bibliografia. Per
la pisside da Vulci: Rathje 1991. Per la situla di Bocchoris: Falsone 2006. Bagnasco Gianni 2006 esamina la diffusione nell’Italia centrale di fiaschette fittili, ispirate alle fiasche di Capodanno. 51 Per la bibliografia relativa alle botteghe ceramiche impiantate in Etruria meridionale mi permetto di rimandare a Naso cs b. La bibliografia sui tripodi vicino orientali e fenici, dovuta per lo più a M. Botto, è indicata da Rizzo 2007, p. 32. 52 Le oinochoai sono state già richiamate (supra, nota 28). Sui piatti in impasto rosso del tipo spanti, del tipo discusso da Rizzo 2007, p. 27, nn. 14-16, con bibliografia si rimanda alla recente tipologia proposta da ten Kortenaar 2011, 142-160, forma 290. 53 Come ha messo in rilievo Menichetti 2002. 54 Si pensi ad esempio agli holmoi, come ben illustra Rizzo 2007, p. 15. 55 Sulle grattugie da ultimo Ridgway 2009, con bibliografia precedente. Sul consumo di vino nel Lazio: Bartoloni 2006. 56 Punto della situazione in Prayon 2001 e in Naso cs c., entrambi con bibliografia. 57 Colonna-von Hase 1984. 58 Martelli 1991, p. 1071-1072 ha criticato l’ipotesi e giudicato troppo alta la datazione. Ulteriore bibliografia è commentata da G. Colonna, in Principi 2000, p. 66. Sulle stele protofelsinee si rimanda ora a Marchesi 2005, con bibliografia precedente. 59 Ho esaminato questi temi da ultimo in Naso 2010, con bibliografia, da aggiornare con Boitani 2010. Per gli scudi: Nunn 1988, pp. 102-117 (TilBarsip) e 130-132 (Khorsabad); per altre pitture: Nunn 1988, pp. 123-130 (Nimrud), 132-139 (Ninive e altri siti). Sul libro di A. Nunn si veda la recensione critica di Braun Holzinger 1991. 60 È opportuno ricordare la disponibilità sul litorale tarquiniese di formazioni di gesso alabastrino (Babbi et al. 2004, pp. 357-359). 61 Una prima sintesi di questi aspetti è stata offerta da Torelli 1988, che non disponeva però della mole di dati ora nota. In modo preliminare si veda per il Lazio: Botto 2005; per la Campania: d’Agostino 2011; per il Veneto: Di Filippo Balestrazzi 2004; per il versante medio-adriatico: de Marinis 2003, Silvestrini 2003, Potere 2008, Sabbatini 2011; per la Daunia: Montanaro 2011.
Gli influssi del Vicino Oriente sull’Etruria nell’VIII-VII sec. a.C.: un bilancio
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