Sono gocce, ma scavano il marmo di Alberto Spampinato
occiola un liquido lurido e appiccicoso. Cade a gocce. A gocce piccole, a volte a goccioloni. Può cadere una sola goccia in due giorni. Possono caderne tante in una volta sola. Ultimamente ne sono cadute di più. Queste gocce rovinano i vestiti. Arrossano la pelle. Non c’è modo di ripararsi. È un gran problema. Fino a poco tempo fa non era così. Il gocciolio c’era, ma così lento e raro che pochi l’avevano notato. Ci eravamo accorti di quelle strane macchie sui vestiti, sulla pelle, sul terreno. Strane macchie, davvero. Indelebili. Lasciano aloni iridescenti sulla stoffa e piccole screpolature sulla pelle. Abbiamo notato le prime cinque anni fa. Ne abbiamo contate una ogni diciotto giorni. Una ventina in tutto l’anno. Solo in un secondo tempo abbiamo collegato le macchie al liquido che gocciola, che ancora non avevamo notato. È stato facile collegare causa ed effetto. Quando abbiamo cominciato a parlare della nostra scoperta, altri ci hanno segnalato le macchie che avvistavano. E il numero è aumentato. Tre anni fa abbiamo contato 54 strane macchie in dodici mesi, nel 2011 siamo arrivati a 95. Da venti a novantacinque. Un bel salto. Ma non è la quantità che preoccupa. Novantacinque gocce non riempiono neppure un bicchiere. Ne cadessero pure centomila non rischieremmo il diluvio. Ciò che preoccupa è la natura del liquido, più corrosivo delle piogge acide, più inquinante dei gas
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di scarico. Le gocce infiammano la pelle, corrodono il marmo e infettano l’aria. A terra, intorno alle macchie, c’è una moria di piante e moscerini. Non si può restare a guardare. Bisogna fare qualcosa. Dobbiamo scoprire l’origine e la natura del fenomeno e trovare il modo di arrestarlo. Dobbiamo capire se, in realtà, come sostiene qualcuno, cadono più gocce di quelle che riusciamo a contare. Sembra che molte si confondano con la pioggia e con la brina. Dobbiamo assolutamente scoprire perché cadono quelle gocce e fermarne la caduta. In Italia piovono consigli non richiesti, avvertimenti, intimidazioni, minacce. Piovono come gocce infette e corrosive. È una delle questioni più urgenti da affrontare per garantire una effettiva libertà di stampa e di espressione. Il 29 dicembre 2011, alla conferenza stampa di fine anno, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, ha indicato la questione in questi termini, rivolgendosi al presidente del Consiglio, Mario Monti, dal quale ha ottenuto un segnale di attenzione che fa sperare.
Lascia perdere.
Non pubblicare. Chi te lo fa fare?
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Il problema è evidente. In Italia molti giornalisti ricevono strani «consigli» ogni volta che sono alle prese con le notizie più scomode e delicate, in particolare con quelle sgradite a qualcuno che conta. Spesso in questi casi qualcuno si fa avanti e dice al cronista: «Lascia perdere. Non pubblicare questa notizia. Chi te lo fa fare?». Accade anche quando si tratta di una notizia sacrosanta, di innegabile interesse pubblico. C’è sempre qualcuno che mette in dubbio che quella sia una notizia meritevole di essere pubblicata. Alcuni si spingono ancora più in là: chiedono al giornalista di valutare la notizia in base a criteri che non c’entrano nulla con il giornalismo: la convenienza personale, i fastidi che potrebbe causare, i guai che potrebbe passare chi la diffonde... I consigli non richiesti piovono. Alcuni li danno alla leggera. Alcuni con competenza, con le migliori intenzioni e con sincera immedesimazione. Altri li danno per formulare intimidazioni belle e buone. Bisogna fare più attenzione a questa pioggia di consigli. Bisogna capire bene, ogni volta, perché qualcuno ci dà un consiglio, che cosa comporta seguirlo o non seguirlo, perché in Italia centinaia
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di giornalisti sono vittime di consigli interessati: chi li segue si trova imbavagliato; chi non li segue subisce ritorsioni, violenze, trattamenti punitivi, denigrazioni, processi strumentali, l’isolamento. I tentativi di ostacolare il lavoro dei giornalisti con la violenza, con minacce subdole, con indebite intromissioni si sono moltiplicati negli ultimi anni. Le intimidazioni sono cresciute a un ritmo preoccupante, con la cadenza ed effetti simili al gocciolamento che abbiamo descritto. Finora si è prestata scarsa attenzione a questo fenomeno. Ora non è più possibile fare finta di niente. Le intimidazioni travestite da buoni consigli, le minacce vere e proprie, quelle della criminalità organizzata, quelle di personaggi pubblici che non accettano critiche, quelle degli imprenditori che operano nella zona grigia degli abusi e dell’illegalità, sono diventate un grosso problema italiano. Un problema che non si può trascurare. Il problema non riguarda solo i giornalisti, riguarda i diritti e quindi tutta la società. Perché le intimidazioni oscurano notizie importanti, compromettono il diritto dei cittadini di essere informati e di fare scelte consapevoli. Questo Rapporto dà conto della preoccupante evoluzione del fenomeno nel 2011 e indica i possibili rimedi, fra cui alcune riforme legislative che si possono realizzare a costo zero e con alto profitto per la libertà e la democrazia.
Come lavora Ossigeno, come sono classificati i casi L’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione tiene conto degli episodi segnalati all’Osservatorio dai diretti interessati, o segnalate al sindacato, all’Ordine dei Giornalisti, ad associazioni, enti, giornalisti e altre persone che collaborano con l’attività di monitoraggio. L’Osservatorio verifica i singoli casi e scarta quelli la cui attendibilità non può essere dimostrata. L’Osservatorio rende pubblici gli episodi verificati quando ha il consenso delle vittime o quando i fatti sono già conosciuti pubblicamente. 357
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Oltre alle minacce di morte, alle aggressioni fisiche, alle intrusioni nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, ai danneggiamenti alle cose – che si configurano come reati previsti dal Codice Penale – Ossigeno tiene conto di altre forme di intimidazione. Ad esempio, l’Osservatorio considera atti intimidatori: - le indagini investigative sui giornalisti svolte senza mandato giudiziario; - il sequestro di archivi, computer e altri strumenti di lavoro e di memorizzazione dei giornalisti; - le perquisizioni invasive, i fermi giudiziari, le incriminazioni di giornalisti ordinate dalla magistratura per scoprire le fonti confidenziali che i giornalisti intendono tenere riservate in base alle prerogative riconosciute ai giornalisti dalla legge istitutiva dell’Ordine e, in modo contraddittorio, dalla legge sulla stampa e dal Codice Penale. Ossigeno considera atti intimidatori anche i gravi insulti rivolti in pubblico a giornalisti da rappresentanti delle istituzioni, da pubblici amministratori, da chi ha incarichi politici o rappresenta un potere economico. Sono altresì considerati atti intimidatori alcuni particolari abusi della legislazione: - le querele per diffamazione fondate su presupposti palesemente pretestuosi; - le citazioni giudiziarie in sede civile per ottenere risarcimenti in denaro quando siano presentate in modo strumentale, con motivazioni pretestuose ed infondate, allo scopo di bloccare la pubblicazione di notizie ed inchieste; - le richieste di oscuramento di blog e siti web avanzate con intenti analoghi. Per ogni episodio che rientra in questa casistica, l’Osservatorio registra i nomi dei giornalisti direttamente minacciati e conteggia il numero di quelli coinvolti indirettamente, con una stima per difetto della consistenza della redazione o del gruppo di lavoro. Occorre precisare che Ossigeno non si occupa solo degli iscritti all’Albo dei Giornalisti, ma di tutti coloro che subiscono minacce e ritorsioni mentre svolgono concretamente mansioni di tipo giornalistiche, attività collegate strettamente al lavoro di cronaca, all’acquisizione e alla diffusione di informazioni di valenza giornalistica. Dunque nelle statistiche di Ossigeno entrano i blogger, i fotoreporter, i cameramen, i programmisti e registi televisivi impegnati nei servizi di cronaca. Ossigeno tiene il conto, registra i nomi delle vittime e racconta ogni settimana le loro storie drammatiche, angosciose. Le storie dei giornalisti minacciati, per ciò che rappresentano, per i diritti colpiti, certamente riguardano in primo luogo i giornalisti, ma non solo loro. Riguardano 358
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davvero tutti i cittadini. Nei paesi democratici quando si minaccia un giornalista, si intacca la libertà di stampa e si riduce la libertà di tutti. Nei paesi democratici impedire a un giornalista di fare il suo lavoro equivale a interrompere un servizio di pubblica utilità. In ogni società democratica l’informazione giornalistica è una infrastruttura sociale, è un’attività di interesse collettivo. I cittadini hanno diritto di muoversi liberamente e hanno anche il diritto di essere informati. Questo diritto è tutelato dall’articolo 21 della Costituzione, dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 11 della «Carta Europea dei Diritti Fondamentali». Essere informati correttamente, tempestivamente, senza omissioni, senza parzialità e senza censura è il presupposto necessario per prendere decisioni consapevoli, per fare scelte basate sulla conoscenza dei fatti.
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