SOMMARIO
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Detto fra noi
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Mobilità
Gli elefanti e l’erba
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Contributi per rendere le case accessibili Aiuti per muoversi in libertà
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Tra le righe Senza futuro
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L’Avvocato risponde Se riducono il sostegno
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L’Esperto risponde Multata a Varese sulle strisce blu
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Attualità Eccoci qui… vent’anni dopo Fuori dal buio dell’abbandono Il primo passo verso la Vita Indipendente
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Segnalazioni La prima fiera dedicata al mondo della disabilità Scuola, va risarcito il danno esistenziale Le spese per il sostegno spettano alle Province Piena utilità dell’ammistratore di sostegno Stati vegetativi: il casco che legge i pensieri Fumetti a rotelle “Intouchables”, in Francia commedia dell’anno La carrozzina si comanda con il viso
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Esperienze Con Giancarlo e Marisa per Volare Alto
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Libri Che cosa ti manca per essere felice?
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Personaggi Vita da dentro
Il talento senza barriere dell’artista dell’eccesso
Ai Lettori: 2012 con
Lisdha News!!! Resta fermo a 15 euro il contributo minimo per ricevere la nostra rivista. Anche per il 2012, abbiamo deciso di mantenere fermo a 15 euro il contributo minimo richiesto per ricevere Lisdha News. Ovviamente ringraziamo di cuore i tanti nostri lettori che, avendone la possibilità, ci sostengono con contributi più elevati, mostrando di credere nel valore dell'informazione che da molti anni cerchiamo di offrire.
2 - LISDHA NEWS
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LISDHA NEWS Direttore Editoriale Fabrizio Chianelli Direttore Responsabile Marcella Codini Hanno collaborato a questo numero Chiara Ambrosioni Laura Belloni Bruno Biasci Ennio Codini Carlo Alberto Coletto Emanuela Giuliani Giuseppe Giuliani Luigi Guenzani
Pensare la morte
Anno XX - Numero 72 - Gennaio-Marzo 2012
Redazione e amministrazione via Proserpio 13 - 21100 Varese tel. 0332/499854, 0332/225543; 348/3679493 fax 0332/499854 email:
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Olympia Obonyo Ida Sala
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Autorizzazione Tribunale di Varese n. 624 del 19/2/1992
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N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
DETTO FRA NOI di Laura Belloni
Stefano Giuliani
GLI ELEFANTI E L’ERBA Quando gli elefanti combattono è l’erba che soffre.
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enso che l’autunno 2011 avrà un posto nella storia, niente sarà più come prima. Dieci anni dopo l’attentato alle Torri gemelle, infatti, la gravissima crisi finanziaria che si è abbattuta sulle economie di tutti gli Stati ha messo a nudo che i Grandi della Terra sono in realtà giganti dai piedi d’argilla e che le teorie liberiste secondo le quali il benessere sarebbe assicurato a tutti lasciando liberi i mercati di auto regolarsi non funzionano. Infatti i dati Fao dimostrano che, nello scorso biennio, il numero degli affamati non solo non è diminuito, ma è cresciuto addirittura del venticinque per cento. Olympia, ascoltando queste notizie, africanamente così le commentava: Ka lyec ario lwenyo lum aye ciane, quando gli elefanti combattono, è l’erba che soffre. Che fare? E se provassimo a ricominciare proprio da quella erba schiacciata da coloro che manovrano denaro frutto non delle mani e del lavoro dell’uomo, ma di turpi commerci e corruzione, che inquina e condiziona i bilanci degli Stati e le loro scelte di politica economico - sociale? Ripensavo al viaggio di Giovanni Paolo II ad Agrigento, nel maggio 1993, quando, il dito puntato, le guance infiammate dall’indignazione, tuonò: ”Mafiosi, pentitevi. Verrà il Giudizio di Dio!” Non ho né la sua energia né la sua autorità, ma in questo inizio anno vorrei sottoporre all’attenzione di ogni amministratore pubblico o privato, di ogni politico, di ogni responsabile di comunità piccole o grandi, civili o religiose che siano, il testo del Vangelo di San Matteo (35, 31-46) dove si N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
descrive il Giudizio di Dio e su quali argomenti esso verterà: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, allora siederà sul suo trono di gloria. E tutte le nazioni saranno convocate davanti a lui. Separerà le persone come un pastore separa le pecore dalle capre, e metterà le pecore alla sua destra e le capre alla sua sinistra. Poi il Re dirà a quelli della sua destra: “Venite, benedetti da mio Padre, entrate nel Regno preparato per voi fin dall’inizio del mondo. Perché avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato ed in prigione e siete venuti a trovarmi!” Poi dirà ai malvagi alla sua sinistra: “Andatevene, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli; perché avevo fame e non mi avete dato da mangiare, avevo sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete dato ospitalità, ero nudo e non mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e non siete mai venuti a farmi visita!” Allora quelli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, straniero o nudo, malato o in prigione, e non ti abbiamo aiutato?” “Ed egli risponderà: “Tutto quello che non avete fatto per aiutare anche l’ultimo di questi miei fratelli, non l’avete fatto neanche per me!” “E questi se ne andranno nella punizione eterna, mentre i giusti entreranno nella vita eterna”. Sì, ognuno di noi, ma anche ogni comunità (si parla infatti di nazioni) sarà giudicato sul modo con cui si è preso cura dell’erba affidatagli: da pastore che ha pensato di lasciare un mondo più giusto ai bambini, si è preoccupato di offrire un’assistenza adeguata a malati, anziani, disabili… o da elefante che arraffa e distrugge per appagare le sue passioni? Gli occhioni di Olympia si
illuminano e sentenzia: Lyec turu yen me latale, l’elefante abbatte l’albero che lo arrostirà! Mentre sto per consegnare il mio l’articolo alla redazione, mi accorgo che tra poco Lisdha news compie venti anni. Grazie Marcella, perché in tutto questo tempo hai aiutato tutti noi, sollecitandoci a scrivere, suggerendo gli argomenti di cui parlare, migliorando la veste tipografica a fare di questo periodico nato senza troppe ambizioni la voce di tanti fili d’erba.
Giovanni Paolo II ad Agrigento nel maggio 1993. LISDHA NEWS - 3
TRA LE RIGHE di Ennio Codini
SENZA FUTURO Dopo secoli di progresso, seppur travagliato, sembra svanire la stessa possibilità di un futuro migliore. In questo scenario, quali sono le opzioni possibili?
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crivendo queste pagine a inizio dicembre ho pensato alla strana attesa del Natale 2011. Luci e vetrine sono in tono minore. Ma questo è già accaduto tante volte. Quello che trovo davvero strano è l’atteggiamento delle persone. Non sto pensando al sentimento religioso: è certo bizzarro che il mondo si prepari a vivere una festa religiosa senza più fede. Ma è una bizzarria che si ripete ormai da tanti anni, al punto da apparire quasi normale. Quella che trovo in questo momento davvero strana è un’altra mancanza, che non è sorta in questi mesi ma a poco a poco nel tempo e però in questi mesi si nota di più: la mancanza del futuro.
Natale, anche per il legame con la nascita a cui si riferisce, è sempre stata una festa all’insegna della speranza, dell’idea che il mondo possa rinnovarsi e diventare migliore. Ma mi guardo attorno, ascolto e vedo in risalto un atteggiamento opposto segnato dalla drammatica scomparsa dell’idea di un futuro migliore. E’ stato un percorso lungo. Sono state abbandonate le grandi ideologie del Novecento. Il marxismo in particolare, che prometteva un futuro migliore per l’umanità. Insieme al marxismo in generale tutte le dottrine che proponevano una qualche giustizia sociale hanno perso molta della loro credibilità a favore dell’idea di mercato. Ma a sua volta adesso non convince più nemmeno
l’idea che il mercato possa garantire uno sviluppo senza limiti: qualcosa di interno al meccanismo dello sviluppo economico – che per la verità non riusciamo a capire bene – lo sta inceppando; e poi, c’è un vincolo esterno, pesante, che invece si delinea con chiarezza: quello ambientale. La questione ambientale, inoltre, rende già di per sé quasi impensabile un futuro migliore: se il mondo attorno a noi è destinato, come pare, ad essere sempre meno vivibile, come si può immaginare un bel futuro per l’umanità? Ristagno dello sviluppo e crisi ambientale sembrano tra l’altro promettere sempre più conflitti per le risorse, ad esempio per l’acqua. Ci sarebbe un ultimo vecchio sogno, quello di un futuro migliore donatoci dalla scienza e dalla tecnologia; ma ormai da troppo tempo le novità sono quasi sempre poco più che giocattoli, tipo l’iphone; di serio e davvero nuovo c’è poco, è come se la vena innovativa dell’uomo moderno si stesse inaridendo. E’ diventato abituale, ormai, dire che i giovani avranno una vita più povera o comunque più difficile di quella dei loro genitori. Ma si può vivere senza il concreto riferimento alla possibilità di un futuro migliore? Confesso che per me è strano. Perché io, come i miei genitori, come i miei nonni, sono cresciuto in uno scenario opposto nel quale era quasi scontato che il futuro sarebbe stato migliore. Un mondo nel quale si era pressoché certi del fatto che, malgrado la possibilità di terribili incidenti come le guerre anzitutto, nel medio, lungo periodo le cose sarebbero andate meglio grazie alla crescita dell’economia, a una distribuzione sempre più giusta della ricchezza, ai progressi della tecnica come della medicina. Però certo si può vivere senza aver davanti la prospettiva di un futuro migliore. E’ capitato già in passato N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
all’umanità. Ma come, senza cedere allo scoramento? Dev’essere difficile, soprattutto per i giovani. Per che cosa entusiasmarsi? C’è il pericolo di oscillare tra apatia e un ribellismo senza progetti. Ed è un pericolo reale. Molti scelgono di “volare basso”, con un programma che non va oltre un lavoretto da Mc Donald per pagarsi qualche sera con gli amici. Non pochi sono più o meno indignati, ma questo sentimento – di per sé anche legittimo – si risolve in se stesso risultando perciò sterile. Per che cosa entusiasmarsi? Una prima via può essere quella dei piccoli miglioramenti. Quello che sembra impensabile è un futuro nel complesso migliore, ma piccoli, settoriali eventi positivi sono certo sempre possibili. Nessuna crisi, nessun degrado globale possono rendere impossibile la ripulitura di un tratto di spiaggia soffocato dai rifiuti o la creazione di un nuovo gruppo di volontari per l’assistenza; la costruzione di un bell’edificio o la scoperta di un nuovo farmaco. Bisogna sfuggire all’alternativa tra “cambiare il mondo” e rifugiarsi in un privato privo di ambizione. Va poi più in generale riscoperto il piacere dell’etica. Mi ha sempre colpito il fatto che spesso nelle storie gli eroi non siano quelli che hanno davanti un bel futuro ma siano coloro che, per lo meno nella prospettiva della vita terrena, di futuro davanti ne hanno poco. Quelli che non hanno molto da sperare sembrano più liberi: certo, liberi di compiere le peggiori bassezze, ma anche di compiere un bene che altrimenti parrebbe temerario o comunque non proficuo, fino al limite del sacrificio della vita. L’idea di miglioramento porta con sé quasi inevitabilmente l’idea di compromesso: quante volte gli uomini davanti a una grande meta hanno messo da parte i principi dell’etica per fare ciò che appariva utile anche se in sé discutibile o addirittura infame? Molti dei grandi e piccoli orrori del Novecento sono stati posti essere se non principalmente comunque anche nella prospettiva di un futuro migliore. Se, invece, non c’è davanti un futuro migliore ben ci si può chiedere: per che cosa vivere allora? E la risposta può ritrovarsi nel vivere bene di per sé. Certo, la crisi presente ha dentro N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
anche la crisi dell’etica stessa, della differenza tra il bene e il male. Molte delle cose tradizionalmente considerate buone sono state smitizzate se non criticate radicalmente; e molte delle cose tradizionalmente considerate cattive sono state in qualche modo rivalutate. E ci troviamo con molte, moltissime cose che un tempo erano buone o cattive e adesso sono in una specie di zona grigia dove ognuno fa quel che gli pare e va bene così. Una situazione drammatica, se si va al di là della superficie. Ma in ogni caso è possibile oggi ancora trovare cose che si possono considerare buone e non sono sempre facili. Per fare un esempio banale: rispettare la legge. E c’è anche il compito di salvaguardare il mondo. Perché il futuro che abbiamo davanti non è certo tutto scritto. E la prospettiva della decadenza lascia comunque aperti scenari diversi. Il futuro sarà probabilmente peggiore del presente ma il “quanto” e il “come” dipendono da noi. E possiamo anzitutto difendere le molte cose di questo nostro mondo che ci sembrano buone. A ben vedere noi tutti conosciamo un sacco di persone che più o meno consapevolmente fanno questo: cercare si salvare – per la parte che gli compete – un pezzetto di mondo. Vedono il declino, non possono
impedirlo, ma su alcune cose essenziali non mollano. E’ un lavoro di trincea. C’è l’infermiera, c’è la maestra, c’è l’architetto, c’è il cassiere: vedono venire avanti il degrado ma si avvinghiano ad una qualità del loro lavoro che avvertono importante e ancora possibile e non cedono. La struttura dove operano cade magari a pezzi; i fondi non ci sono; il malcontento dilaga e “fuori” va sempre peggio ma si dicono, ogni giorno: “L’essenziale è dire la parola giusta. E lo farò”; “Anche qui, adesso, posso fare cose capaci di far nascere la passione. E lo farò”. Non v’è dubbio che lavorare per un futuro radioso sarebbe per molti versi più facile e più gratificante. Tuttavia nessuno può scegliere la storia dentro la quale è chiamato a vivere. Possiamo solo scegliere il nostro ruolo nella storia che ci è toccata. E poi certo possiamo chiederci, oggi soprattutto sotto il cielo di piombo che è sopra di noi, se valga oppure no la pena di credere in antiche promesse. Perché quest’umanità sta vivendo una doppia perdita. Per usare il vecchio linguaggio: essa è a corto di speranza terrena così come di speranza ultraterrena. Più o meno in parallelo si sono annebbiati il sogno del paradiso terreno e quello della Gerusalemme celeste. Potrebbe essere troppo per l’uomo. LISDHA NEWS - 5
L’AVVOCATO RISPONDE
SE RIDUCONO IL SOSTEGNO Che fare se vengono diminuite le ore di sostegno scolastico.
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ono la mamma di un bambino di 7 anni e mezzo, invalido al 100% (nato con una parte di corteccia cerebrale in meno). Sin dalla scuola dell’infanzia ha usufruito dell’insegnante di sostegno, ora che frequenta la seconda elementare gli sono state concesse solo dodici ore di sostegno dalla scuola e otto ore dal Comune. Posso ottenere più ore tramite un’azione legale? Lina Betelli
Se ho ben compreso la gravità della diagnosi di suo figlio, credo che vi siano gli estremi per ottenere un provvedimento dal Tar che preveda il sostegno scolastico per tutto l’orario curriculare. Il ricorso al Tar andrebbe supportato da una specifica certificazione medico-specialistica che evidenzi la necessità del sostegno scolastico per tutto il tempo. Ultimamente vi sono stati numerosi provvedimenti che hanno dato ragione ai genitori per l’ottenimen-
to di più ore di sostegno sulla base delle seguenti argomentazioni: a) che l’art. 12 della L. n. 104/1992 attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione e all’istruzione a partire dalla scuola materna e fino all’università; b) che il diritto del disabile si configura come un diritto fondamentale (Corte Cost. 26/2/2010 n. 80); c) che per garantire l’effettività di tale diritto l’art. 40 della L. 27/12/1997 n. 449 prevede per il caso di carenza di docenti di sostegno tito-
lari, la possibilità di assumere con contratti a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga. E’ possibile reperire su internet la sentenza del Tar di Salerno n. 1640/2011 e le ordinanze del Tar di Cagliari che ha concesso provvedimenti provvisori ed urgenti a cinque bambini seguiti dall’associazione Abc (Associazione Bambini Cerebrolesi). Le consiglio di prendere contatti con l’associazione tramite il sito http://www.abcsardegna.org/ per informazioni in merito alle modalità, ai tempi e ai costi delle procedure. Prima di iniziare un’azione legale comunque, sarebbe opportuno inoltrare una raccomandata Ar al dirigente scolastico e all’Ufficio Scolastico Provinciale dando un termine per la risposta e precisando che in caso contrario si procederà con il ricorso al Tar allegando eventualmente le ordinanze di Cagliari. PROVVIDENZE ECONOMICHE PER I MINORENNI Sono la mamma di quattro bambine, di cui l’ultima, nata a ottobre 2010, è disabile al 100% a causa di una patologia cerebrale detta pachigiria e lissencefalia. A mia N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
figlia spetta sia l’accompagnamento che la pensione nonostante sia minorenne? Se percepisce l’accompagnamento può anche percepire l’assegno di frequenza per il nido? Zacco
Innanzitutto occorre dire che la pensione di inabilità è prevista per gli invalidi civili totali maggiorenni dai 18 ai 65 anni. Le uniche provvidenze economiche previste per i disabili minorenni sono l’indennità mensile di frequenza o l’indennità di accompagnamento. O l’una o l’altra: sono quindi incompatibili tra di loro. L’indennità di accompagnamento è circa il doppio di quella di frequenza e non è legata alla effettiva frequenza di un corso scolastico, compreso l’asilo nido. Entrambe le domande vanno presentate all’Inps. La differenza fondamentale relativa ai requisiti è che per l’ottenimento dell’indennità di accompagnamento occorre che l’invalidità oltre ad essere totale sia anche permanente. TEMPI PER GLI ACCERTAMENTI DI INVALIDITÀ Ho 19 anni, sono invalido al 100% e, tramite patronato, ho fatto la domanda per avere la pensione di inabilità. Non ho ancora ricevuto alcuna risposta e al patronato mi dicono che dobbiamo aspettare l’Inps. Mi chiedevo quali siano i tempi e come eventualmente sollecitare. Lettera firmata - Castiglione O. (Varese)
La legge 102/2009 ha modificato le procedura per gli accertamenti delle invalidità civili assegnando all’Inps la gestione del procedimento. La circolare Inps n.131/2009 ha fissato le linee operative contando essenzialmente sulla informatizzazione. Infatti dal primo gennaio 2010 le domande devono essere presentate solo per via telematica e contestualmente viene rilasciata ricevuta con la data della visita della commissione Asl di competenza. Se il sistema non è in grado di fissare la visita entro il termine di 30 giorni, rilascia solo una prenotazione per una visita che verrà successivamente comunicata con lettera raccomandata. Purtroppo in quest’ultimo caso non vi sono termini obbligatori per l’Inps e la dilazione dipende dagli arretrati delle commissioni nelle diverse Asl. Per ottenere informazioni è possibile chiamare l’ufficio Asl per l’invalidità civile.
REVOCA INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO Mio zio è nato nel 1944 ed è poliomelitico dall’età di 3 anni con paresi alle gambe. Ha subito una serie di interventi che gli hanno permesso l’uso limitato degli arti inferiori con stampelle. Nel 1987 gli hanno riconosciuto invalidità al 100% con accompagnamento. Le successive visite di controllo gli hanno riconfermato tali diritti fino al 22 novembre del 2010 quando gli è stata confermata l’invalidità del 100% ma senza accompagnamento. Mio zio è an-che affetto da sindrome psicotica ossessiva-fobica con tratti dissociativi in trattamento cronico con psicofarmaci. Alla visita presso la commissione di verifica gli hanno richiesto certificati degli interventi fatti che egli non ha potuto esibire essendo documentazione vecchia di quarant’anni. Anche per la sindrome psicotica non ha potuto presentare documentazioni di centri specializzati essendo stato curato a casa. Come mi devo comportare per tutelarlo? Natascia Crisanti
Nel verbale di verifica dell’invalidità deve essere indicato il termine di 60 giorni per promuovere ricorso presso il giudice ordinario nel caso in cui non si sia d’accordo con i risultati della commissione. Qualora il termine sia già decorso è sempre possibile fare una nuova domanda di aggravamento dell’invalidità ai fini del riconoscimento della necessità di accompagnamento. Prima di qualunque iniziativa è comunque opportuno rivolgersi ad un medicolegale, per avere la conferma della sussistenza dei requisiti. Alle visite presso la commissione è consigliabile essere assistiti dal medico–legale o dallo specialista per la specifica patologia. Si può ottenere assistenza gratuita tramite un patronato o una associazione di categoria accreditata presso le commissioni come l’Anmic.
l’Inps ha interrotto il pagamento di tale indennità. Dovremo restituire le somme percepite in questi ultimi tre anni? A.I. La Spezia
La legge prevede la restituzione del cosiddetto “indebito oggettivo” (art. 2033 c.c.), ovvero chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere (avere indietro) ciò che ha pagato. La situazione può risultare un po’ controversa perché esiste un caso molto simile che la legge considera in modo diverso. In materia di assegno di accompagnamento Inail (L. n. 222 del 1984, art. 5), è espressamente prevista la irripetibilità nel caso in cui il beneficiario abbia un reddito di circa 5.000 euro. Purtroppo, nel caso di indennità di accompagnamento prevista per l’invalidità civile, qualora vengano versate somme nel periodo di assenza dei requisiti (dopo il verbale negativo della commissione o dopo il superamento dei limiti di reddito previsti), tali somme devono essere restituite, senza alcuna eccezione. L’Inps solitamente rateizza la restituzione decurtando direttamente la provvidenza mensile che deve erogare, ovvero la pensione.
RESTITUZIONE INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO Mia madre, invalida, ha continuato a ricevere l’indennità di accompagnamento anche dopo un accertamento che non ne riconosceva la necessità. Noi ci siamo accorti della variazione solo dopo tre anni, quando è possibile inviare i propri quesiti a Lisdha news, “L’Avvocato risponde” via Proserpio,13 - 21100 Varese, e-mail:
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L’ESPERTO RISPONDE a cura di Bruno Biasci
MULTATA A VARESE SULLE STRISCE BLU Il Comune di Varese purtroppo non ha aderito alla Risoluzione del Ministero dei Trasporti che stabilisce il diritto per il disabile di parcheggiare gratis sulle strisce blu.
M
ia zia, disabile, che ha 67 anni, ha parcheggiato nei giorni scorsi sulle strisce blu in via Dandolo a Varese, senza pagare, ma esponendo il contrassegno disabili, sulla base di quanto da voi affermato nell’articolo apparso sul n. 70 del Lisdha news (pag. 22) e si è trovata una multa di 37 euro. Sono andata a protestare presso i vigili mostrando l’articolo e mi hanno detto che quanto lì indicato non si applica a Varese e che non dovevamo prendercela con
loro, ma con chi aveva scritto l’articolo. Ci hanno anche sconsigliato di fare ricorso in quanto sarebbe costato 38 euro e nel caso avessimo perso avremmo dovuto pagare il doppio. Sonia D.M.
Mi dispiace che questa persona abbia preso la multa per una non corretta interpretazione dell’articolo pubblicato su Lisdha News n. 70. Nell’articolo veniva illustrata l’attuale situazione “nazionale” proprio per evidenziare l’anomalia di Varese che, a differenza di molti altri comuni piccoli e grandi (elencati volutamente nell’articolo) che consentono il parcheggio gratuito sulle strisce blu, non ha voluto aderire alla risoluzione della Commissione del Ministero dei Trasporti che sancisce il diritto per il disabile di parcheggiare gratis nelle strisce blu. Riporto dall’articolo: “grazie a questa decisione del Ministero dei Trasporti, i Comuni (e tra questi Varese) hanno ora una chiara indicazione dal Governo su come comportarsi nella gestione delle strisce blu e dovrebbero deliberare nel senso indicato ....” E’ evidente invece che Varese non ha aderito all’invito malgrado contatti verbali e scritti, incluso l’articolo di cui parliamo. Forse ha indotto in errore il titolo che si riferiva però al problema in generale che ha suscitato sentenze della Cassazione e Risoluzioni ministeriali, quindi riferite al campo nazionale, proprio per porre in rilievo la latitanza del Comune di Varese.
MENSA INACCESSIBILE Nell’azienda dove opero come Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, ci sono due colleghi che non possono accedere alla mensa per la presenza di due rampe di scale. Non ho collaborazione da parte della direzione per risolvere il problema e non trovo nulla nella legislazione che espliciti obblighi per le aziende private per quanto riguarda questo caso. Basta ottemperare alla sistemazione lavorativa a norma con rampe, ascensori e bagni per essere in regola? E tutto il resto (mensa, viabilità nello stabilimento, ecc.)? Senatore Alfonso - Trieste
Non conosciamo quale legislazione lei abbia consultato: ma qualcosa in merito al problema da lei esposto si può trovare nel Dm-236/89 (Regolamento attuativo della Legge 13/89 sul superamento delle barriere architettoniche). All’art. 4.5 si può leggere infatti che: “Negli edifici sedi di aziende o imprese soggette a collocamento obbligatorio, il requisito dell’accessibilità si considera soddisfatto se sono accessibili tutti i settori produttivi, gli uffici amministrativi e almeno un servizio igienico per ogni nucleo di servizi igienici previsto. Deve essere sempre garantita la fruibilità delle mense, degli spogliatoi, dei luoghi ricreativi e di tutti i servizi di pertinenza”. Non sappiamo se l’azienda di cui lei fa parte sia soggetta alla Legge 68/99 sul collocamento obbligatorio ma presumiamo, data la presenza della mensa, che essa abbia più di 15 dipendenti e che quindi ricada sotto la citata legge. Ne consegue che è tenuta a garantire l’accessibilità della mensa e dei percorsi interni per usufruire degli stessi servizi di cui godono tutti gli altri dipendenti.
È possibile inviare i propri quesiti in tema di barriere architettoniche a Lisdha news, “L’Esperto risponde” via Proserpio, 13 - 21100 Varese, e-mail:
[email protected]. 8 - LISDHA NEWS
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ATTUALITÀ Le copertine che hanno accompagnato la rivista in questi 20 anni.
ECCOCI QUI… VENT’ANNI DOPO Lisdha news compie vent’anni. Un bel traguardo! E pensare che tutto cominciò con un incontro.
L
e cose belle di solito nascono da un incontro. E così è stato anche per il Lisdha news. Vent’anni fa quando lavoravo come addetta stampa presso un’associazione di categoria ebbi modo di incontrare Fabrizio, il nostro presidente e poco dopo Laura, la nostra editorialista, entrambi in quel tempo attivamente impegnati nella Lisdha, la Lega per l’integrazione sociale e la difesa dei portatori di handicap, un coordinamento di 25 associazioni, nato in quegli anni a Varese per promuovere azioni comuni che favorissero l’inserimento delle persone disabili. Fu il mio vero primo incontro con il mondo dell’handicap. Un mondo fatto di sofferenze, ma anche di ricchezze, capace di mostrare che molto spesso i “limiti” sono dentro di noi e che la parola “impossibile” va usata sempre con molta parsimonia. Con Fabrizio e Laura cominciò subito un’amicizia operosa, di quelle in cui ci si guarda negli occhi, ma poi insieme si impara a guardare più lontano. Così dall’idea di creare un “bollettino” di collegamento che tenesse informate le associazioni aderenti sull’attività della Lisdha , si è via via passati con molta prudenza e gradualità a creare una rivista, rivolta agli operatori del settore, ma anche a tanti singoli e famiglie toccati dal problema della disabilità. Con loro abbiamo percorso questi vent’anni, cercando N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
di offrire un’informazione capace di affrontare i problemi della vita reale e quotidiana di chi vive un handicap. E insieme a loro ci hanno accompagnato anche tante altre persone, formalmente “normodotate”, ma che hanno capito che quando si parla dei “diritti dei disabili” alla fine si parla dei diritti delle persone fragili, bisognose di cura… come ciascuno di noi facilmente si può ritrovare ad essere, a causa delle imprevedibili circostanze della vita. Che presentare testimonianze di persone che malgrado pesanti limiti fisici riescono a vivere un’esistenza pienamente realizzata, è stimolo per ciascuno di noi nel ricercare l’essenzialità nella vita al di dei modelli e degli stereotipi che la nostra società ci propina ogni giorno e che tanto abbiamo da imparare da queste persone diventate maestre per forza di cose nella ricerca quotidiana di “soluzioni differenti”. In questi anni ci è sempre piaciuto raccontare “le storie” di persone affette da disabilità grave. Storie di persone poco conosciute o di “personaggi” noti al grande pubblico (come lo sportivo Fabrizio Macchi o la ballerina Simona Atzori o l’artista Bruno Carati). Non facciamo distinzione su questo. Ogni storia è stata l’occasione di un incontro. La cosa che mi ha sempre stupito in questi incontri è che malgrado le situazioni estreme di molti casi presentati, c’è sempre una
La direttrice di Lisdha news Marcella Codini.
gran voglia di “raccontarsi” da parte delle persone e un desiderio di offrire sempre qualcosa di positivo al di là del racconto delle fatiche e dell’espressione delle giuste rivendicazioni. Molti ci hanno detto che leggere queste “storie” li ha aiutati a vivere meglio. Chi ci ha seguito in questi anni sa che invece che non ci è mai piaciuto raccontare “storie” e abbiamo sempre curato con la massima attenzione la correttezza di ogni informazione, senza lasciarci mai trascinare da quel desiderio di “modificare” le notizie per renderle più “appetitose”, che spesso purtroppo caratterizza tanta informazione. Ora non conosciamo il nostro futuro. Nuove forme di comunicazione stanno via via sostituendo in parte la carta stampata, ma ciò di cui siamo certi che il cammino che abbiamo fatto e faremo ancora insieme è un cammino che ha nutrito e continua a nutrire le nostre vite. Grazie pertanto a tutti e voi lettori e sostenitori, grazie a tutti i collaboratori che ci hanno accompagnato in questi anni, credendo in un percorso dove la persona, con il suo bisogno di vivere in pienezza, è messa al centro. Marcella Codini LISDHA NEWS - 9
ATTUALITÀ
FUORI DAL BUIO DELL’ABBANDONO
Malati Rari e i promotori di azioni a loro rivolte. Il campo delle malattie rare comprende tanti aspetti, economici, etici, sociali e scientifici ed è intimamente legato al tema dei farmaci orfani e all’industria del farmaco.
Chi è affetto da malattie rare rischia una diagnosi tardiva e di non avere cure adeguate perché pochi investono su farmaci che non hanno un mercato sufficiente a ripagare le spese del loro sviluppo. L’Italia è uno dei Paesi che sta facendo di più in questo campo con due centri di eccellenza: l’Istituto Mario Negri di Milano e l’Istituto Chimico Militare di Firenze.
Ma che cos’è una Malattia rara? È una malattia che ricorre sporadicamente, al limite anche poche decine di casi al mondo o meno. Ad esempio: al mondo esistono 3 malati di Sindrome di Nablus. Il Parlamento Europeo definisce “rara” una malattia che colpisce meno di 5 persone su 100.000. I medici le vedono passare raramente nei loro studi, compaiono
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ambini farfalla. Bambini di pezza. Un cappellone in testa, gli occhi sgranati e un mascherone al posto del viso. La pelle delicata come le ali di una farfalla che si spezza al minimo contatto. Ne ho incontrata una a Brescia, a settembre, nell’ambito di un convegno sull’Auto Mutuo Aiuto. Sul grande schermo viene proiettata la sua intervista, dove il cronista domanda e Beatrice risponde: “Le scarse aspettative di vita fanno sì che ogni problema sia visto con una prospettiva che riduce le distanze e il poco tempo che rimane fa mettere a fuoco rapidamente gli ostacoli. I malati rari sono una risorsa e non un peso per la loro capacità di anda10 - LISDHA NEWS
re subito al centro del problema, di scavare subito nella realtà perché non c’è tempo da perdere e dunque tutte le fantasie che una persona normale si pone, loro le tagliano, le sfrondano. Questa filosofia di vita si rende concreta nello sport che più mi piace, il tiro con l’arco dove si mira al centro”. Quello di Beatrice, una dei 500.000 malati di epidermolisi bollosa sul pianeta, è solo un esempio che introduce al tema delle malattie rare di cui si occupa l’Associazione Malati Autoimmuni Orfani e rari che nel 2004 a Modena ha creato il progetto “Fuori dal buio” (www.fuoridalbuio.it), con l’intento di mettere in rete tutti i portatori d’interesse nei confronti dei
Silvio Garattini, direttore dell’Istituo Mario Negri di Milano. N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
poco sui libri medici, i sintomi sono difficili da inquadrare e difficili da curare con pochi centri specializzati. Compaiono poco sui giornali e in Tv, ad eccezione di alcune storie indicative come quella di Welby. A Varese, presso l’Ospedale di Circolo, è attiva “La Gemma Rara” (www.lagemmarara.org), una associazione di volontariato che si propone di aiutare le persone affette da malattie genetiche rare. Quante sono le malattie rare? Almeno 6000 sul pianeta, la maggior parte senza cura e con poche attese di vita e di queste l’80% ha origine genetica. A volte portano nomi dei ricercatori che le hanno scoperte, per esempio la Charcot-Marie-Tooth. A volte sono indicate con la descrizione dei loro effetti drammatici come i “bambini farfalla”, “bambini bolla”, “bambini di pietra”. A volte sono indicate solo con codici. Quasi nessuno è ancora riuscito a comprenderne l’origine e a catalogarle. Le malattie rare possono essere molto rare in certe zone del pianeta, ma meno rare in altre zone: ad es. l’anemia mediterranea ha incidenza in zone ben precise. Difficile dire quanto siano le persone affette da malattie rare. Si stima che annualmente in Provincia di Varese nascono circa 200 bambini affetti da malattie rare. Che conseguenze hanno? Una malattia rara comporta una disabilità grave, una non autosufficienza e condiziona in maniera pesante la vita della famiglia; anche quando la diagnosi è certa, le informazioni e gli aiuti restano limitati e il destino è una vita precaria con profonde ferite sociali con stigma, isolamento scolastico e lavorativo, ostacoli per ottenere aiuti di ogni genere. Le associazioni, quando esistono su iniziativa solitamente delle famiglie, non riescono quasi mai a ottenere sufficiente assistenza dal sistema sanitario nazionale. Cos’è un “Farmaco orfano”? Il “Farmaco orfano” è un farmaco potenzialmente utile a trattare una malattia ma non ha un mercato sufficiente a ripagare le spese del suo sviluppo. Rimane dunque senza sponsor, senza una casa farmaceutica che lo voglia produrre: per questo “orfano”. L’industria farmaceutica in condizioni normali di mercato è poco interessata a produrre o commercializzare prodotti destinati a pochi pazienti e oltretutto con un costo normalmente superiore al ricavo. Il N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
95% delle innovazioni terapeutiche negli ultimi quindici anni riguarda solo tre patologie: il tumore, le malattie cardiovascolari e quelle neurovegetative. Identificare una molecola per la cura di qualche centinaio di pazienti costa quasi come svilupparne una per milioni di pazienti, con la differenza che nemmeno i costi sono ammortizzabili. Da questa evidenza sia l’Europa sia gli Usa hanno cominciato a erogare incentivi a quelle aziende disposte a investire nel settore delle molecole orfane, e adesso in Italia sono disponibili 39 molecole orfane, tutte rimborsabili. Siamo l’unico paese a offrire questo vantaggio con una spesa di circa 6 milioni di euro l’anno, mentre nel resto Ue il rimborso è del 50%. Il grande propulsore resta comunque Telethon, la fondazione di Susanna Agnelli.
tutto, all’atto della presentazione del modulo, alcune Asl rispondevano con frasi tipo, “Non è ancora registrato in Italia, dunque non possiamo deliberare”, oppure con “Costa troppo, la nostra Asl non ha abbastanza fondi per pagare la terapia”, o anche, “Ma poi funziona davvero?”. Per fronteggiare questa situazione l’associazione ha contattato l’allora Ministro della Sanità, Maria Pia Garavaglia, la quale ha istituito l’iter per riconoscere ed erogare ufficialmente il Ceredase. Eppure ancora oggi si fa fatica a trovare il farmaco nelle farmacie.
Diritti dei malati e delle famiglie. I malati rari hanno diritto come tutti gli altri a una diagnosi tempestiva, a un’assistenza medica continua, a un supporto socio-assistenziale. Soprattutto a che si faccia ricerca anche per loro. A Firenze nel 1992 si è costituita l’Associazione Italiana Gaucher, (www.gaucheritalia.org), una onlus che ha sempre avuto vita piuttosto dura. Il suo scopo principale era di far avere a ogni malato il Ceredase, l’unico e insostituibile farmaco per trattare la malattia. A tale scopo l’associazione ha redatto un modulo per chiedere all’Asl l’erogazione del farmaco, facendo anche campagna informativa. Ebbene, nonostante LISDHA NEWS - 11
TESTIMONIANZA LA TEORIA DEL CUCCHIAIO La vita quotidiana di chi è affetto da una malattia rara. La mia migliore amica ed io eravamo nella sala da pranzo a parlare e mentre mi accingevo a prendere alcune delle mie medicine, lei mi ha fissato imbarazzata e mi ha chiesto come ci si sentiva ad avere il Lupus. Eppure era venuta dai medici con me, mi aveva visto camminare con il bastone e vomitare in bagno. Mi aveva visto piangere dal dolore, che cosa c’era da sapere in più? Ho iniziato a rispondere in modo vago parlando di pillole, dolori, mali, ma lei continuava e non sembrava soddisfatta delle risposte. Poi mi guardò con una faccia che ogni malato conosce bene, il volto della pura curiosità su qualcosa che nessuna persona sana può veramente capire. Mi ha chiesto che cosa si sentiva, non fisicamente, ma quello che sentivo a essere me, a essere malata. Cercavo di trovare le parole giuste. Come facevo a rispondere a una domanda cui non ero mai riuscita a trovare la risposta per me stessa? Fu in quel momento che nacque la “teoria del cucchiaio”. Rapidamente presi ogni cucchiaio che c’era sul tavolo e ne presi altri che
I malati rari sono due volte sfortunati: sfortunati perché malati e sfortunati perché malati di cosa esattamente non si sa. Come dimostra il rapporto di M.
PER SAPERNE DI PIÙ Per chi desidera approfondire segnaliamo: - Siamo solo noi di Margherita De Bac, ed. Sperling & Kupfer. Una raccolta di testimonianze con la prefazione di Dario Fo. - Malattie rare e farmaci orfani, Ed. Ets. Un testo sullo stato dell’arte. - Noi, quelle delle malattie rare di Margherita De Bac, ed. Sperling & Kupfer. Prefazione di Raul Bova, è una raccolta di testimonianze. - Il blog www.lemalattierare.info, con tante testimonianze. - Sul sito dell’Istituto Superiore della Sanità c’è una sezione dedicata alle malattie rare, www.iss.it/cnmr, che riporta anche la lista delle patologie per le quali è previsto il rimborso delle cure e l’elenco dei centri di riferimento regionali. - Orphanet (www.orphanet-italia.it) è un database sulle malattie rare accessibile gratuitamente, che contiene informazioni su oltre 5.000 malattie. - La rete delle associazioni in Italia è la Uniamo (Federazione italiana malattie rare) www.uniamo.org che fa capo alla rete Europea delle malattie rare, la Eurordis (European Organisation for Rare Disease) www.eurordis.org, negli Usa opera dal 1983 l’Organizzazione Nazionale per le Malattie Rare (Nord): www.rarediseases.org.
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erano su altri tavoli. Le diedi i cucchiai e le dissi: “OK, tu adesso soffri di una malattia rara, il Lupus”. Lei mi guardò un po’ confusa. Le spiegai che la differenza tra essere malato ed essere sano è di dover fare delle scelte e pensare in maniera consapevole a cose cui il resto del mondo non deve pensare. La maggior parte delle persone inizia la giornata con un numero illimitato di possibilità e l’energia per fare ciò che desiderano, in particolare i giovani. Non devono preoccuparsi degli effetti delle loro azioni. Così, usai i cucchiai per farle capire questo punto e le chiesi di contarli. Perché, quando si è sani ci si aspetta di avere un’infinita quantità di cucchiai. Ma quando, si è malati è necessario sapere esattamente con quanti cucchiai s’inizia la giornata. Contò dodici cucchiai. Rise. Le ho chiesto di elencare tutte le cose che fa durante il giorno, e ho avvertito che ognuna costa un cucchiaio. Quando ad esempio, come prima cosa del mattino, ha iniziato a prepararsi per andare al lavoro, l’ho fermata e le ho tolto un cucchiaio. Le sono praticamente saltata addosso e le ho detto:
Kroneman del 2005, la diagnosi è tardiva nel 25-50% delle malattie rare. Prima di ottenere quella definitiva il 40% dei pazienti ne ha ricevuta una sbagliata o anche nessuna. Gli errori portano a terapie sbagliate in 1 caso su 3 e a interventi chirurgici inutili in 1 su 6. Spesso i pazienti sono sottoposti a una lunga serie di esami da un ospedale all’altro e da una nazione all’altra, in una ricerca di terapie valide. Qui entra in gioco la famiglia perché la diagnosi di malattia rara colpisce in modo devastante la famiglia. Dice Fernanda Torquati, presidente di Gaucheritalia: “Non è facile descrivere cosa prova un genitore quando viene a sapere che suo figlio è affetto da una malattia rara. Di colpo ci troviamo proiettati in una dimensione di solitudine immensa, di vuoto misto a paura… è frequente una sensazione di grande incertezza perché sintomi e gravità possono variare enormemente e arrivare improvvisi. Le dinamiche familiari possono cambiare con incertezze, N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
“No! Non puoi semplicemente alzarti! La notte prima hai dormito male. Devi scendere lentamente dal letto, e poi devi prepararti qualcosa da mangiare prima di poter fare qualsiasi altra cosa, perché se non mangi poi, non puoi prendere le medicine, e se non prendi le medicine, potresti anche dover rinunciare a tutti i tuoi cucchiai di oggi e anche di domani”. Le ho subito preso un cucchiaio e ha capito che non si era ancora vestita. Fare la doccia le è costato un altro cucchiaio. Avere alti e bassi così presto al mattino potrebbe costare anche più di un cucchiaio, ma ho pensato di darle una pausa, per non spaventarla troppo. Per vestirsi è servito un altro cucchiaio. Non si può semplicemente mettersi i primi vestiti che ti capitano quando si è ammalati. Le ho spiegato che io devo vedere quali sono i vestiti che posso mettere fisicamente quel giorno, ad esempio se le mani mi fanno male, di vestiti con i bottoni non se ne parla neanche. Se ho dei lividi, ho bisogno di indossare maniche lunghe, e se ho la febbre, ho bisogno di un maglione per stare calda, e così via. Se i capelli cadono, ho bisogno di dedicargli più tempo per essere presentabile. Credo che stesse iniziando a capire: non era neanche arrivata al lavoro che le erano rimasti solo 6 cucchiai! Abbiamo analizzato il resto della giornata, e lentamente ha appreso che saltare il pranzo le sarebbe costato un cucchiaio, come pure stare in piedi sul treno, o anche scrivere troppo a lungo al computer. È stata costretta a fare delle scelte e di pensare le cose in modo diverso.
Quando siamo arrivati alla fine della giornata, ha detto che aveva fame. Le dissi che doveva cenare, ma anche che le era rimasto solo un cucchiaio. Se avesse cucinato, non avrebbe avuto abbastanza energie per lavare i piatti e le pentole. Se fosse andata fuori a cena, sarebbe potuta essere troppo stanca per guidare in sicurezza fino a casa. Raramente l’avevo vista emozionata, così quando l’ho vista turbata, sapevo che forse stavo toccando qualcosa dentro di lei. Aveva le lacrime agli occhi, mi ha chiesto a bassa voce “Christine, come riesci a farlo? Veramente fai questo ogni giorno?”. Le ho allungato un cucchiaio che avevo tenuto come riserva. Le ho detto semplicemente: “Ho imparato a vivere la vita con un cucchiaio in più in tasca, come riserva. È necessario essere sempre pronti”. E’ dura, la cosa più difficile che ho dovuto imparare è di dover rallentare, e non fare tutto. Lotto per questo ogni giorno. Devo pensare a che tempo fa, se quel giorno ho la febbre, e pianificare tutta la giornata prima di iniziare a fare una cosa. Quando le altre persone semplicemente fanno le cose, io devo come programmarle, e fare un piano come se dovessi preparare una strategia di guerra. E’ in questo stile di vita, in questo modo di vivere la vita, la differenza tra essere malati ed essere sani. E’ la bellezza di avere l’abilità semplicemente di non dover pensare, di fare e basta. Mi manca quella libertà. Mi manca il non dover mai contare i “cucchiai”. Forse la mia amica aveva capito o
sensi di colpa, risentimenti che mettono a dura prova il quotidiano Se la malattia compare in età adulta l’impatto è altrettanto devastante. Prima erano impegnati con le loro famiglie, le carriere, la vita in generale. Erano indipendenti e autosufficienti. Improvvisamente la malattia interferisce con tutto questo e i loro progetti personali”. Dalla testimonianza e dal buon senso si capisce l’importanza d’assicurare alle famiglie, oltre alle cure, un sostegno che le aiuti ad affrontare dal punto di vista psicologico e sociale la malattia. L’obiettivo di tante associazioni di volontariato è evitare che da un bambino malato nasca una famiglia malata.
che stanno facendo di più e meglio in un campo ancora ignoto. A livello di prevenzione è disponibile la pratica del cosiddetto “consiglio genetico” avviando i genitori con precedenti di malattie rare in famiglia verso un percorso diagnostico prenatale. Alcune patologie rare sono in diminuzione, non per i successi della medicina, ma unicamente per la scelta di abortire; questo ha però ridotto ulteriormente i malati “disponibili” da studiare e su cui testare i farmaci. In Italia vi sono due centri di eccellenza: l’Istituto Mario Negri e l’Istituto Chimico Militare. Il Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare Aldo e Cele Daccò, sorto per volontà dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha sede a Villa Camozzi, a Ranica in provincia di Bergamo. In un unico luogo sono riunite competenze nei più vari campi nel comune intento di aiutare i pazienti con malattie rare con informazioni
Il futuro delle malattie rare. In Europa c’è un grande fermento attorno alle malattie rare, segno che almeno sulla carta c’è la volontà di inserire questo tema nelle priorità dei piani sanitari. L’Italia, seppur tra incertezze e ritardi, è uno dei Paesi N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
forse aveva solo capito che lei non poteva veramente capire. Ma almeno adesso non si sarebbe lamentata cosi tanto quando alcune sere non posso andare fuori a cena, o quando non riesco ad andare a prenderla a casa e deve sempre essere lei a venire in macchina a casa mia; le ho detto “Non ti preoccupare. Io vedo questo come una benedizione. Sono stata costretta a pensare a tutto ciò che faccio. Sai quanti cucchiai le persone sprecano ogni giorno? Io non posso permettermi di perdere tempo, o sprecare cucchiai, e ho scelto di trascorrere questo tempo con te”. Da quella notte ho usato la teoria del cucchiaio per spiegare la mia vita a molte persone. Credo che questa teoria non sia valida solo per comprendere il Lupus, ma per capire chiunque soffra di una malattia o di una disabilità. La storia integrale di Christine, cosi come altre testimonianze di malati rari, è consultabile sul sito dei bambini farfalla: www.debraitaliaonlus.org.
aggiornate, di far avanzare le conoscenze in campo medico con appropriati progetti di ricerca. Lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, con sede a Firenze, diretto dal Generale Giocondo Santoni, è un tesoro di esperienze, di professionalità e di capitale umano, molto dotato di attrezzature avanzate; ha dimostrato tante volte di essere una struttura in grado di rispondere a svariate necessita, con un livello di prontezza impensabili in una azienda privata. Tutto ciò perché lo stabilimento si configura come “industria farmaceutica di stato” e quindi senza scopo di lucro. Nato nel lontano 1832 per preparare farmaci per l’esercito si è rivolto col tempo, anche al mercato civile producendo farmaci per la popolazione. Non dovendo fare lucro produce medicinali che le aziende normali non vogliono fabbricare, e logicamente ben si presta a produrre al prezzo di costo i farmaci orfani. Luigi Guenzani LISDHA NEWS - 13
ATTUALITÀ Un’immagine tratta dal film DisAbili di Angelo Cretelli.
IL PRIMO PASSO VERSO LA VITA INDIPENDENTE L’Italia spende per l’assistenza alle persone non autosufficienti la metà di quello che spendono gli altri Stati europei. Se questo è avvenuto è anche perché in molti di noi manca la consapevolezza dei propri diritti.
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econdo alcuni gli antichi romani ci buttavano dalla rupe Tarpea. Certo è che nei secoli seguenti ci andava ancora bene se qualche intraprendente personaggio, invece di portarci alla morte, ci mandava a chiedere la carità o ci metteva in mostra come fenomeni da baraccone per fare fortuna. Dal diciannovesimo secolo cominciarono a medicalizzarci rinchiudendoci in istituzioni totali per essere “cancellati” dalla vista del mondo affinché quest’ultimo non si sentisse male alla nostra vista. E solo settant’anni fa, Hitler ideò una soluzione tecnologica moderna per ripulire la razza e per liberarsi dei costi della nostra pietosa “assistenza”. Si chiamava programma T4 e consisteva nel sottrarre le persone con disabilità alle famiglie, facendo credere che andavano a stare meglio, per mandarli a sopprimere in camere a gas o con iniezioni letali. Oggi simili comportamenti sono 14 - LISDHA NEWS
giudicati odiosi dai più e possiamo dire che nella nostra ancora fortunata società occidentale molti passi avanti sono stati fatti: si parla di diritti e più persone con disabilità sono integrate nella società anche se la maggior parte di noi è ben lontana dal poter godere degli stessi diritti delle persone senza disabilità. L’Italia, per esempio, memore delle violenze e delle discriminazioni compiute dal fascismo, nel 1948 ha introdotto nell’allora nascente Costituzione vincoli molto chiari: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo... richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà..., tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali... è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...”. Su pressione dei movimenti per la Vita Indipendente nel 1998 una legge, la 162, ha tradotto in modo abbastanza eloquente questi principi introducendo la possibilità di assegnare, direttamente alla persona con disabilità che lo richiede, finanziamenti per retribuire assistenti personali da lei scelti, formati, addestrati e stipendiati per poter condurre, su basi di uguaglianza con tutti i cittadini, una Vita Indipendente e autodeterminata. Purtroppo la riforma della Costituzione di due anni dopo, che ha dato una pressoché totale autonomia alle Regioni, ha gravemente depotenziato la forza rivoluzionaria di questa legge che avrebbe potuto modificare il destino di molte persone costrette in istituti, segregate fra mura domestiche o, in ogni caso, impossibilitate a impostare e progN. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
ettare il proprio ideale/stile di vita perché costrette a sottostare a orari e a modi di servizio decisi da altri. Ho 57 anni e la Sma (atrofia muscolare spinale) si è manifestata quando avevo otto mesi. Ho vissuto in famiglia, in istituto, in comunità; ho avuto la fortuna di essere stata sostenuta e aiutata da molte persone benevole o amiche, ma da otto anni vivo una Vita Indipendente anche se un pochino part-time perché non ho tutti i finanziamenti necessari. So di essere messa molto meglio di altri e altre: niente di speciale o di originale, semplicemente vivo la mia vita, e non saprei più accettare di vivere in modo subordinato. Me la sono conquistata, però, anche in virtù della mia partecipazione all’espressione italiana di Enil (European Network on Independent Living), la Rete europea per la Vita Indipendente (www.enil.it). Grazie ad essa siamo approdati alla parte della legge 162/98 che ha permesso a una (troppo piccola) minoranza di persone con disabilità sparse fra quasi tutte le regioni del nord Italia, di Roma e della Toscana di intraprendere un percorso di vita normale, cioè una Vita Indipendente e di ottenere delibere o leggi ad hoc per allargare questo diritto anche ad altri cittadini con disabilità. L’anno scorso in Molise hanno conseguito una legge apposita e quest’anno in Abruzzo sono riusciti ad avere importanti risultati. Nel 2001 abbiamo fondato il Comitato lombardo per la Vita Indipendente delle persone con disabilità (email:
[email protected]). Quello che siamo riusciti a ottenere dalla Regione Lombardia è contenuto nella legge 3 del 12 marzo 2008 agli art 2 e 17 che non sto a riportare per non cadere nello sconforto e trascinarvi anche i lettori. Ma incredibilmente nel 2010 con delibera della Giunta Regionale Lombardia (n. 9/983 del 15/12/2010) è stato approvato il Piano di azione regionale sulla disabilità, un documento con diversi meriti. Tra i più importanti quello di fare esplicito e diretto riferimento alla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità e di annunciare di voler spostare l’attenzione dall’offerta di servizi alla domanda, cioè alle richieste ed ai bisogni delle persone. Forza allora, mi viene da dire (senza scherzare): tutti in Comune a far domanda di Vita Indipendente! Abbiate pazienza però, perché il Piano è spalmato su un periodo che N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
va dal 2010 al 2020. La Convenzione Onu nel suo articolo 19 afferma: “Le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere;... abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; i servizi e le strutture sociali destinati a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattati ai loro bisogni.“ Se le regole, i valori, i principi sono andati tanto avanti, com’è allora che secondo la Fish con i previsti tagli agli Enti Locali e la riforma dell’assistenza si rischia che una persona disabile (vera) su tre perda l’assistenza e l’assegno di accompagnamento? Come sono riusciti a far credere che tutto questo sia dovuto all’esistenza di una miriade di falsi invalidi? Falsa è la coscienza di chi si è servito di qualche caso sporadico per farlo diventare un fenomeno sociale: il nostro Paese spende per l’assistenza alle persone non autosufficienti la metà di quello che spendono gli altri Stati europei. Se tutto quanto detto è avvenuto forse è anche perché è mancata la consapevolezza. Quanti tra noi, donne e uomini disabili, sanno di essere parte di una storia terribile che potrebbe ripetersi? Quanti di noi sanno quanta emancipazione possono generare le parole contenute negli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana se ben comprese e fatte applicare dai nostri politici e amministratori? Quanto sapremmo o vorremmo
difenderle in caso di manomissioni? Cosa fanno gli insegnanti, gli educatori, i maestri, i genitori per crescere ragazzi e ragazze con o senza disabilità consapevoli di essere portatori di diritti (e di doveri, certo, ma solo se funzionali a rendere effettivi i diritti, parola di Gherardo Colombo) inviolabili. Quanti, tra le donne e gli uomini disabili, sanno della possibilità di progettare una Vita Indipendente, quanti la saggerebbero; chi la teme e perché? Chi la osteggia e perché? Quanti sanno dell’esistenza dei movimenti per la Vita Indipendente in Italia e nel mondo? Quante persone con disabilità sarebbero disposte a dedicare un po’ di tempo e di fatica per dare forza a questi movimenti? Quante persone senza disabilità saprebbero e vorrebbero stare al loro fianco in questa lotta senza cadere nella facile trappola di volerle rappresentare? Il mio invito è: parliamone. Ida Sala della Segreteria Operativa di Enil Italia
ESPERIENZE Marisa e Giancarlo
CON GIANCARLO E MARISA PER VOLARE ALTO A fine anni Settanta era inconcepibile che due persone disabili gravi si potessero sposare e il loro matrimonio se lo sono conquistato con le unghie con i denti. Insieme Marisa e Giancarlo hanno dato vita ad un’associazione che aiuta i figli disabili a “prendere il volo” conseguendo la necessaria autonomia. “
L
’iperprotezione, che spesso viene esercitata dai genitori di bambini diversamente abili, è un errore grave che provoca un notevole ritardo nel viaggio verso il diventare sempre più autonomi.” A sostenerlo sono Marisa Bettazzo e Giancarlo Ferrari, due psicologi, specializzati in psicoterapia familiare, che hanno dato vita, insieme ad un’altra coppia ad un’esperienza associativa veramente interessante a Rocca Canavese in provincia di Torino. L’associazione, che aggrega attualmente una quarantina di famiglie, si chiama Volare Alto e vuole supportare le famiglie con figli disabili verso un percorso di autonomia, condizione necessaria per crescere. “Come il leone chiuso in gabbia perde l’istinto
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del cacciatore, perché mangia tre volte al giorno, senza fare alcuna fatica, anche il disabile - sostiene infatti Marisa Bettazzo - talvolta trova comodo non avere responsabilità di cui rendere conto a se stesso e alla comunità civile.” Che cosa significa autonomia Marisa e Giancarlo l’hanno sperimentato sulla loro pelle. 70 anni lei e 63 anni lui, sono entrambi affetti da tetraparesi spastica. Nel caso di Marisa la disabilità ha una forma particolarmente grave: “Alla nascita, racconta - ebbi una grave asfissia che lesionò innumerevoli cellule del sistema nervoso centrale in modo permanente e di conseguenza non ho il controllo volontario dei quattro arti e anche il linguaggio è difficoltoso.”
- Marisa e Giancarlo, come vi siete conosciuti? Giancarlo: «Ci siamo conosciuti in montagna a Canazei nel lontano 1973. Eravamo con un gruppo di Rimini a un soggiorno. In quei giorni notai una sconosciuta, bionda, alta e ironica. Era accompagnata da due mie amiche che cominciarono a tessere dei fili di simpatia fra noi e così, “il tutto” cominciò come una semplice amicizia. A quell’epoca ero legato sentimentalmente ad un’altra ragazza, con la quale però dopo un paio di mesi ci lasciammo. Contemporaneamente con Marisa si stava creando uno rapporto sempre più intenso realizzato attraverso uno scambio epistolare e qualche telefonata perché vivevamo in città diverse e abbastanza lontane». N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
- Che tipo di problemi avete dovuto affrontare come coppia a causa della vostra disabilità? Giancarlo: «Il nostro rapporto che si stava consolidando era ostacolato fortemente dai miei genitori, soprattutto da mia madre. Ricordo che le sue amiche facevano coro con lei e vedevano tutto quanto inverosimile. Per loro era inconcepibile che due persone disabili si potessero sposare. Una visione abbastanza comune a quei tempi, considerando che eravamo a fine anni settanta. Le domande più frequenti che erano sulla bocca di queste persone erano: Come faranno dopo sposati? Chi li accudirà? I figli come saranno? Ma il pensiero più pressante era rivolto a me: non riuscivano a capire come avessi potuto innamorarmi di una persona fisicamente molto più grave di me. Ero proprio un cretino. Così ho dovuto abbandonare la famiglia, trasferirmi a Rimini per unirmi a Marisa e nel 1978 ci siamo sposati. Devo dire che il mio matrimonio è ancora più bello perché lo dovuto conquistare con le unghie e con i denti». - Dove siete andati a vivere? Marisa: «Malgrado le nostre gravi condizioni fisiche eravamo stati educati dalle nostre famiglie a condurre una vita autonoma in tutti i sensi. Dopo aver vissuto 19 anni a Rimini accolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, abbiamo voluto cambiare totalmente la nostra esistenza. Non più protetti dalle ali di una Comunità, ma finalmente da “soli”. Anche se il nostro essere da soli è molto relativo, perché la nostra casa, situata in un paesino del canavese, in provincia di Torino, ospita sempre qualcuno che ci dà una mano nelle fasi salienti della giornata o semplicemente per godere della nostra amicizia. Inoltre ci sono Daniela e Teo che dandosi il cambio durante il giorno, ci permettono di vivere in un modo del tutto “normale”. Naturalmente, avendo gravi difficoltà motorie, abbiamo bisogno di una collaborazione concreta degli altri».
Qui e nelle pagine seguenti momenti di vita dell’Associazione.
rio, non necessariamente sulla disabilità ma prendendo in considerazione l’area dell’infanzia. Volevamo che i bambini normodotati potessero crescere e giocare con quelli che hanno una disabilità. Infatti il nostro logo ha un significato chiarissimo: il volo dei palloncini colorati significa la gioia di vivere di tutti i bambini e il desiderio di staccarsi dall’iperprotettività dei genitori. Il filo però stenta a liberarsi da quelle mani perché la
libertà dei figli è difficile da accettare per qualsiasi famiglia. Volare Alto ha il compito di liberare i palloncini aiutandoli a volare e contemporaneamente insegnare al genitore ad aprire la mano al momento giusto. Riteniamo che tutti possano raggiungere l’autonomia anche se in gradi diversi. Ora sono circa una quarantina le famiglie che ruotano intorno alla nostra associazione, tra esse vie è un
- Come è nata l’idea di questa associazione che porta un titolo tanto ambizioso? Marisa: «L’associazione Volare Alto nacque nel ’97 da una coppia di amici che hanno un figlio disabile e da noi due: eravamo proprio una manciata di persone attorno a un tavolo a casa nostra e volevamo fare qualcosa insieme nel nostro territoN. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
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nucleo quasi sempre presente e con delle responsabilità strutturali o organizzative. Abbiamo anche una ventina di volontari, che vengono a turno per svolgere i vari impegni ed iniziative. Noi puntiamo anche sui giovani perché crediamo che possa essere educativo per loro compiere delle attività assieme a noi, costruire un’amicizia, instaurare dei rapporti veri e non superficiali». - Quali sono le attività svolte attualmente dall’associazione? Giancarlo: «Le attività sono tante: si sono create nel tempo. Siamo partiti col presupposto che il diversamente abile deve vivere con gli altri il più possibile e sentirsi parte attiva della collettività. Perciò organizziamo feste e partecipiamo a mercatini e fiere e vendiamo degli oggetti creati da noi nel nostro “Laboratorio Artistico” dove viene redatto anche un bellissimo calendario.
Pratichiamo degli sport come il “tandem sky”, che consiste nello sciare con apposite carrozzine, guidate da un maestro di sci appositamente preparato in questa specialità. Anche il disabile più grave come Marisa, può frequentare questa entusiasmante disciplina in montagna. Inoltre pratichiamo l’ippoterapia, il nuoto e chi più ne ha, più ne metta! In più, abbiamo organizzato degli incontri in diverse scuole di ogni ordine e grado per sensibilizzare gli allievi sulle varie problematiche sia dell’handicap che sul valore della vita quando quest’ultima non dà a tutti le stesse opportunità». - Tempo fa avete organizzato anche dei convegno tra cui uno portava il titolo provocatorio “Anche gli angeli fanno sesso?”... Giancarlo: «Nel corso del tempo, Volare Alto ha potuto organizzare ben due convegni di grande parteci-
La struttura “Laboratorio di vita” che favorirà l’autonomia dei ragazzi disabili.
pazione. Il tema del primo aveva un titolo molto provocatorio “Anche gli angeli fanno sesso?” dove per angeli intendevamo noi disabili perché siamo visti come persone asessuate. Notare, era l’anno 1999. Il secondo convegno celebrava il decennale dell’associazione e fu caratterizzato da come la persona disabile può diventare protagonista della propria esistenza, infatti portava come titolo “… E adesso parliamo noi.” Nella rosa dei relatori è stato invitato Fulvio Frisone, noto fisico di fama internazionale, spastico dalla nascita: partecipò solo mamma Lucia perché era stato invitato a un simposio di fisici. Su richiesta di alcune coppie dell’associazione, abbiamo formato la “Scuola per Genitori” condotta da me e Marisa. Questo gruppo a numero chiuso si discutono di problemi che si incontrano quotidianamente con i propri figli. Collaboriamo con le varie istituzioni locali per mantenere il minimo dei servizi concessoci e anche per migliorare la qualità della vita del disabile e se è opportuno sollevare la nostra voce nella contestazione». - Parliamo del progetto “Mai soli” che affronta lo spinoso problema del “dopo di noi” che affligge tante famiglie. Giancarlo: «Da alcuni anni è sorta nella “Famiglia di Volare Alto” l’esigenza di affrontare il grave problema del “Dopo di noi”. Per tanto è nato il progetto “Mai soli”. Questa idea è stata pensata nel tentativo di dissipare la sofferenza del genitore quando un domani, dovrà lasciare ad altri le cure del proprio figlio, e nello stesso tempo, dare una forte spinta al ragazzo verso il proprio futuro e allontanare la triste realtà di vivere in un istituto. Lo spunto iniziale è stato dato dalla nostra esperienza concreta che dura ormai da più di 30 anni. Il primo progetto del “Mai Soli” sta venendo alla luce con l’inizio dei lavori di ristrutturazione di una vecchia falegnameria dove il legno veniva modellato per dargli una forma diversa da quella iniziale. E’ così noi faremo similmente con i ragazzi disabili dando delle opportunità nuove. La costruzione comprenderà un Centro Diurno a piano terra e due appartamenti al primo piano. In uno andranno abitarci due fratelli, Simone e Matteo, con gravi problemi comunicativi e in quello attiguo si sistemeranno i loro genitori per dare N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
la possibilità ai ragazzi di abituarsi a vivere il più possibile autonomamente. In futuro accoglierà altri ragazzi che saranno seguiti da operatori. La struttura complessiva sarà nominata “Laboratorio di Vita” perché l’esistenza di ciascuno viene sempre plasmata per conseguire la propria pienezza. È una bella sfida, vero?!!». - Non avete dimenticato neanche il versante del tempo libero... sappiamo che organizzate anche feste da ballo in carrozzina: come mai questa idea? Marisa: «Il tempo libero per noi è pensato come tempo che si deve vivere in pienezza. Non è vuoto. È un tempo speso bene nel divertimento, nella spensieratezza ma è anche una crescita. Una gita per esempio non è solo uscire di casa ma è interagire con gli altri e con il mondo. Fare cultura è mettersi in gioco con i posti che non conosciamo anche se per alcuni di noi sembrano restare indifferenti. Solo mescolandoci con gli altri percepiamo d’esserci. Solo frequentando luoghi diversi capiamo le cose che vanno e che non vanno per noi diversamente abili. E poi ci sono le passioni. Io fin da piccola volevo fare la ballerina…l’ironia della sorte…mio marito invece non è attratto dal ballo, lui ama sciare. La mia passione è stata sempre così viva che nel 2008 è nato il gruppo delle “Ruote Danzanti”. Con l’aiuto di due amiche che hanno imparato una specifica gestualità, abbiamo dato inizio a questo magnifico sogno. Infatti ogni settimana “ballerini in piedi” e “ballerini seduti” si trovano in allegria per provare bellissime coreografie. E’ un’attività abbastanza impegnativa ma ricca di soddisfazione. I ragazzi disabili attendono con gioiosa ansia il pomeriggio del venerdì. Siamo diventati famosetti perché ci chiamano ad esibirci in parecchie feste pae-
sane o nella case di riposo per offrire agli anziani un’allegra esperienza di come si superano le difficoltà. Talvolta andiamo anche nelle scuole superiori cercando di stimolare la fantasia “povera” dei giovani d’oggi». - Come vi finanziate? Giancarlo: «In questi anni, per effettuare una raccolta fondi, abbiamo escogitato molti strategie: spettacoli, vendita calendari, donazioni, hanno reso viva la solidarietà di molte persone. La gente del nostro territorio ci ha aiutati moltissimo e continua a farlo standoci vicino nei momenti difficili e ad essere molto generosa sul versante pecuniario dandoci la possibilità di iniziare i lavori per il progetto “Mai soli”. Invece le istituzioni non hanno ancora risposto al nostro appello. Sicuramente andremo avanti anche se le risorse economiche sono minime e la cifra totale necessaria per realizzare il progetto “Mai soli” è ancora lontana da raggiungere. Pertanto chi vorrà aiutarci sarà il benvenuto». Marcella Codini
Via Vallossera 2 10070 Rocca Canavese (To) Tel. Fax 011/9240257
[email protected] www.volarealto.net.
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PERSONAGGI Michel Petrucciani
IL TALENTO SENZA BARRIERE DELL’ARTISTA DELL’ECCESSO Un film documentario mostra luci e ombre della vita del celebre musicista Michel Petrucciani. L’incredibile talento, ma anche la droga, e il suo rapporto spregiudicato con le donne. Alexandre, il figlio del grande jazzista.
M
ichel Petrucciani è un jazzista francese indimenticabile: seduto davanti alla tastiera del pianoforte ha suonato incantando il suo pubblico. Nato a Orange nel ’62, è mancato a New York nel ’99, a soli 36 anni, in seguito a gravi complicazioni polmonari. Contrasse infatti una banale influenza perché volle a tutti i costi andare a festeggiare il capodanno camminando al freddo nella neve. Aveva solo 36 anni. La sua salma riposa nel cimitero parigino di Père Lachaise, accanto alla tomba di un altro grandissimo compositore: Fryderyk Chopin. Tra il ’62 e il ‘99 si è dipanata una vita di cui restano una assoluta bravura tecnica, la genialità, il dominio della tastiera e il tocco inconfondibile, forse irripetibile. Si è parlato molto di Petrucciani a partire dallo scorso giugno, dopo l’uscita di una pellicola a lui dedicata: “Michel Petrucciani. Body and Soul”. Nel documentario, diretto da Michael Radford, si capisce come Petrucciani fosse un personaggio allegro,
esuberante e teatrale, divertente e trascinatore. Il film è pieno di momenti esilaranti, tratti da filmati amatoriali o da altri documenti video. Dalla pellicola emerge anche la parte oscura del musicista: le droghe, una vita sregolata, il cinismo se non semplicemente la superficialità - nel trattare le donne. Ripercorriamo allora la vita di Petrucciani. Scavando nel suo passato, arriviamo a Napoli, dove nacque il nonno, che poi si trasferì in Francia; anche il padre Antoine fu un rinomato chitarrista jazz. Così, tra le stanze di una casa piena di suoni e di musica, Michel, ancora bambino, si dedicò alla batteria, ma fu alla televisione che scoprì la grandezza di Duke Ellington. «Per me fu una specie di folgorazione spiegava Petrucciani - evidentemente avevo buon gusto. Allora papà mi regalò una pianola. Ringraziai, ma mi sembrava uno strumento un po’ finto. Decisi di prenderlo a martellate. In quel momento capii che la musica vera sarebbe stata nel mio N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
destino». Probabilmente commosso da quel gesto di liberazione del piccolo Michel, il padre gli comprò un pianoforte vero sul quale iniziò gli studi classici e realizzò un particolare marchingegno che permetteva al figlio di raggiungere i pedali del pianoforte. Michel completerà gli studi musicali con il diploma al Conservatorio, ma a casa respirò la passione per il jazz e presto suscitò stupore nell’ambiente dei grandi professionisti. A soli 13 anni, infatti, si esibì in pubblico e due anni dopo avviò la sua carriera suonando col batterista e vibrafonista Kenny Clarke. Un percorso ancor più significativo se si pensa che Petrucciani è stato colpito alla nascita dall’osteogenesi imperfetta, una malattia genetica nota anche come “Sindrome delle ossa di cristallo”, che impedisce la crescita corretta delle ossa. Era alto poco più di un metro e aveva uno scheletro fragilissimo, che si rompeva ad ogni minima pressione. Non poteva camminare, imparò a farlo solo a 25 anni, con l’aiuto delle stampelle. Era inoltre destinato a morire giovane. Il nostro artista considerò sempre come un vantaggio tale disagio fisico: gli permise infatti, sin dalla giovinezza, di dedicarsi completamente alla musica tralasciando altre “distrazioni”. Ma, come lui stesso raccontava, oltre a suonare, aveva anche un altro sogno: «era quello di sposarmi e vivere storie d’ amore, come quelle che vedevo in tv, dove lui prende in braccio la sposa, la porta nella stanza e si baciano». Lui la sposa non l’ha mai potuta prendere in braccio, quasi sempre succedeva il contrario. Ma «era un amante strepitoso, eccezionale», confessa nel film di Radford, con appena un pizzico d’ imbarazzo, Erlinda la prima ragazza e moglie di Petrucciani. Poi Michel scappò a New York dove conobbe l’affascinante Eugenia e la conquistò in poche ore. Era sfrontato, estroverso, anche arrogante. Diceva «So di essere differente, ma non mi sento male o in colpa per questo. Semplicemente sono come sono e non mi dà alcun problema. Voglio dire: chi è l’handicappato? Tu o io? Chi lo sa? Tu hai dei problemi, io ho dei problemi. Tutto qui». Alla vigilia delle nozze lasciò Eugenia per Marie-Laure, che lo avrebbe amato fino alla fine, nonostante tutto, e gli diede il primo figlio, Alexander - che ereditò la malattia. Poi ci fu la pianista classiN. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
ca italiana Gilda Buttà, ma la storia finì con un divorzio. E allora arrivò Isabelle, che cercò di farlo vivere in una casa parigina, di organizzargli un’ esistenza più moderata, ma era un’impresa improbabile: tournée, nottate, fumo, alcol, droghe. E, ormai, il capolinea era vicino. «Era un uomo con uno dei talenti più straordinari mai concessi a un essere umano - ricorda ancora Eugenia, quella che non ha mai sposato -. E che cosa voleva? Voleva passeggiare su una spiaggia con una donna al suo fianco. Avrebbe dato tutta la sua vita per poterlo fare anche solo una volta». Eppure Petrucciani aveva anche una concezione speciale della vita, un’idea tutta sua di normalità: voleva non solo stare con una donna, ma anche tradirla, e parecchie volte! Ma torniamo alla musica e all’esordio di Petrucciani: ecco il ricordo di Clark Terry, trombettista americano che influenzò molti talenti dello strumento. Terry cita un fatto che lo lasciò a bocca aperta. Si trovava in Provenza per un concerto e cercava un pianista del luogo da aggregare al gruppo. Gli autoctoni gli fecero un nome senza tentennamenti: Michel Petrucciani. «Quando me lo vidi davanti lì per lì pensai di tutto. Michel aveva 13 anni e un fisico sfortunatissimo. Ma non appena prese possesso del pianoforte fu uno spettacolo già nelle prove. E la sera del concerto si superò addirittura». Dopo un tour francese, nel 1981 si trasferì in California, dove venne scoperto dal sassofonista Charles Lloyd, che lo fece membro del suo quartetto per tre anni. Quest’ultima collaborazione gli fece guadagnare il prestigioso “Prix d’Excellence”. E’ bello leggere le parole del musicista italiano Stefano Cocco Cantini, che ebbe il privilegio di suonare con Petrucciani: “Una cosa fantastica di Michel, che pochi sanno, è che lui il cachet lo divideva in parti uguali tra tutti i componenti del gruppo: è molto raro. E poi quella sua incredibile energia. Dopo cinque minuti dimenticavi completamente il suo stato fisico. Si prendeva spesso in giro, ironizzava sulla sua altezza, sulla sua situazione fisica. Il suo pianoforte aveva una pedaliera di rinvio perché non arrivava ai pedali, la sensazione che si aveva era che non potesse raggiungere le estremità del pianoforte. Non era assolutamente vero, aveva delle mani formidabili e una
Petrucciani con la moglie Erlinda Montano.
tale forza nelle braccia! Quando faceva gli assoli su tempi impossibili cominciava a salire, a salire di tonalità arrivava al punto in cui la tastiera sembrava diventare sempre più lunga, irraggiungibile, lontanissima. Il pubblico si sentiva gelare temendo il peggio e lui si divertiva tantissimo. Ricordo che andai a sentire un suo splendido concerto a Lucca, in duo con Miroslav Vitous. Mi rimase impresso il momento finale dell’inchino per salutare il pubblico: lui vicino a quel gigante di Miroslav! Mi cercò con gli occhi e si fece una risata. Faceva una grande tenerezza”. Vi dicevo del film di Radford, che - con l’ausilio del figlio di
Petrucciani Alexandre - racconta la storia di quest’uomo sorprendente e particolare, sia da un punto di vista fisico che dal punto di vista del suo straordinario talento musicale. Petrucciani raggiunse il successo grazie a una volontà incrollabile e alla forza della sua personalità. Vivendo alla massima intensità realizzò in un breve arco di tempo molti dei suoi sogni, sogni che anche una persona non afflitta da handicap avrebbe potuto ritenere impossibili. Il regista Michael Radford spiega con stupore che mentre Petrucciani era molto amato e conosciuto a New York, in Francia e - anche se meno in Italia, era praticamente sconosciuto in Inghilterra, anche tra gli amanti del jazz. Eppure aveva suonato diverse volte in terra d’Albione. “E’ un peccato - aggiunge Radford - perché era un grande.
Io sono molto contento di avere scoperto questo personaggio: un genio della musica e un genio della vita. La lezione che ha dato a tutti noi è quella di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Perché lui viveva tutto intensamente, dal momento che sapeva di non avere molto da vivere. E lo faceva con coraggio, senza lamentarsi mai di niente”. E’ interessante chiedere a Radford cosa pensi della situazione del figlio Alexandre, a cui Petrucciani ha trasmesso consapevolmente la stessa malattia che lui aveva ricevuto casualmente da una famiglia sana: “Alexandre c’è, e ha lo stesso handicap del padre, anche se adesso è un po’ diverso e si può curare un po’ meglio. Alexandre soffre per due cose: soffre per avere un padre famosissimo e per essere handicappato. Petrucciani sapeva che suo figlio avrebbe ereditato la sua stessa malattia, quindi è stato difficile, ma non accettare di avere un figlio così sarebbe stato come rifiutare se stesso. Il figlio oggi ha una fidanzata, è uno “normale”, è un personaggio molto forte, con una sua personalità, diversa da quella del padre, molto più introversa. Però è uno che sa bene cosa vuole dalla sua vita”. Alexandre, che oggi ha 21 anni e ne aveva 9 all’epoca della scomparsa del padre, è un chitarrista e musicista di musica elettronica, nonché il curatore del lascito musicale paterno. Quando gli si chiede chi fosse per lui il padre, risponde: “mio padre era il mio eroe, per il suo coraggio e la sua volontà. La mia
vita? Non è “ancora” straordinaria come la sua, ma sono qui”. Le straordinarie doti musicali e umane di Petrucciani gli permisero di lavorare con musicisti del calibro di Dizzy Gillespie, Jim Hall, Wayne Shorter, Palle Daniellson, Eliot Zigmund, Eddie Gomez e Steve Gadd. Nella sua carriera sono usciti ben 34 lavori a suo nome, tra album incisi in studio, fegistrazioni dal vivo e tributi. Tra i numerosi riconoscimenti che Michel ha ricevuto c’è l’ambitissimo “Django Reinhardt Award”, la nomina a “miglior musicista jazz europeo” da parte del Ministero della Cultura Italiano e quella a Cavaliere della Legione d’Onore a Parigi. Nel 1997 a Bologna, si è esibito alla presenza di papa Giovanni Paolo II, in occasione del Congresso Eucaristico. E’ stato un momento commovente, soprattutto quando il pianista di jazz e il Papa si sono guardati: avrebbero voluto avvicinarsi l’uno all’altro, ma i nove gradini che li separavano erano troppo sia per Petrucciani che per il Papa, ormai anziano. Così il musicista ha lasciato il pianoforte e si è spinto fin sotto il palco papale appoggiandosi alle stampelle; poi ha messo una mano sul petto e si è inchinato in segno di rispetto. Il Papa lo ha guardato con gli occhi lucidi e ha teso con slancio le mani verso di lui, in segno di saluto e, chissà, forse anche di benedizione. Chiara Ambrosioni
Alexandre Petrucciani in compagnia del regista Michael Radfort.
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MOBILITÀ
CONTRIBUTI PER RENDERE LE CASE ACCESSIBILI Il termine per presentare la richiesta anche quest’anno è il 1° marzo.
H
anno diritto ai contributi per la realizzazione degli interventi finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche e localizzative, previsti dalla L.13/89, i disabili con menomazioni o limitazioni funzionali in possesso di una certificazione attestante un’invalidità permanente, coloro che li hanno in carico e i relativi condomini. Il contributo non viene dato se le menomazioni o limitazioni sono temporanee, se il disabile non ha effettiva, stabile e abituale dimora nell’immobile su cui si intende intervenire; se cambia casa dopo aver presentato l’istanza e prima di avere effettuato i lavori e se ha eseguito i lavori prima dell’approvazione della domanda. Possono essere ammessi al contributo i singoli interventi di eliminazione delle barriere architettoniche e delle opere funzionalmente connesse (ad es. accesso all’immobile, visitabilità dell’alloggio): - nelle parti comuni (interne o esterne all’alloggio o all’edificio) ossia quelle che, a partire dal cancello di ingresso posto sulla pubblica via, permettono di arrivare sino agli alloggi. Ad esempio, il cancello di ingresso alla proprietà troppo stretto, il citofono posto ad un’altezza inadeguata alle persone su sedia a ruote, il percorso di avvicinamento al portone di ingresso dell’immobile (se troppo stretto o di materiale inadeguato), eventuali gradini che lo precedono, il N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
portone di ingresso troppo stretto, le scale di dimensioni non adeguate, l’assenza di ascensore (o ascensore di dimensioni non adeguate) o di servoscala. - nell’alloggio ossia a partire dalla porta di ingresso: adeguamento degli impianti e dei sanitari con le opere murarie necessarie e attrezzati di maniglioni e corrimano. Quando viene presentata una sola richiesta per due interventi funzionalmente connessi, il calcolo del contributo viene fatto separatamente per ciascun intervento e sommando i due importi. Se riguardano invece funzioni diverse quali ad esempio l’assenza di un ascensore (parte comune dell’edificio) e il servizio igienico non fruibile (all’interno di un alloggio), il richiedente ha diritto ad ottenere due
distinti contributi: uno per l’eliminazione delle barriere architettoniche nelle parti comuni e un altro per quelle all’interno dell’alloggio. Si ricorda che l’Iva per l’acquisto dei materiali e degli ausili per gli interventi è pari al 4% e che possono essere rimborsate anche le spese per la progettazione, con Iva al 21%. L’entità del contributo viene determinata sulla base delle spese effettivamente sostenute e comprovate da fatture quietanzate. Qualora la spesa effettiva sia superiore a quella prevista non può avvenire un’erogazione superiore a quella assegnata. Per il calcolo del contributo, per la modulistica necessaria e per altri dettagli occorre riferirsi al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 5 gennaio 2010. Bruno Biasci
VARESE, UNA PROVINCIA PER TUTTI Un manuale per turisti disabili curato dalla Provincia di Varese. È nata la prima “guida del Varesotto senza barriere”. È sicuramente il primo manuale per turisti disabili realizzato in Lombardia: un vero e proprio primato. In una quarantina di pagine “Varese una provincia per tutti” raccoglie monumenti, musei e luoghi di ristoro e pernottamento che garantiscono l’accoglienza senza barriere per i disabili. La guida può essere scaricata dal sito della Provincia di Varese: www.provincia.va.it nell’area tematica sociale o richiesta al Settore Sociale della Provincia di Varese, via Valverde 2, Varese, tel. 0332/252047 o politiche
[email protected].
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MOBILITÀ
AIUTI PER MUOVERSI IN LIBERTÀ Dalle carrozzine, alle comode, dai montascale al sollevatori: ecco come fare per ottenerli.
I
cosiddetti “ausili tecnici” sono strumenti che aiutano la persona a muoversi più facilmente al fine di svolgere le sue attività quotidiane, malgrado la presenza di situazioni invalidanti, e consentirle più facili rapporti con le altre persone e consistono in: carrozzine manuali o elettriche, comode, deambulatori e stampelle, montascale, sollevatori, ecc. I prezzi, le modalità di erogazione, gli aventi diritto sono indicati nel
Dm 27 agosto 1999, n. 332 (sinteticamente definito come Nomenclatore Tariffario) con le varianti contenute nel Dm 31 maggio 2001, n. 321 entrambi emessi dal Ministero della Sanità. Dove sono elencati. Gli ausili per la mobilità della persona che l’Asl può assegnare sono elencati nel citato Nomenclatore Tariffario. Non è indispensabile disporre di tale documento (comunque reperibile su Internet) in quanto esso è comunque disponibile presso l’Asl, presso il fisiatra prescrittore, oltre che presso i fornitori di ausili. Chi ne ha diritto. Chiunque sia titolare del Certificato di Invalidità dal quale risulti una riduzione della capacità lavorativa superiore a un terzo, oppure sia nella condizione di necessità in base a diagnosi espressa dall’ente sanitario pur in attesa del certificato. Per i minorenni (cioè fino agli anni 18) tale documento non è richiesto, è sufficiente il certificato medico.
Come si fa ad ottenerli. Occorre rivolgersi ad un medico prescrittore, normalmente un fisiatra, appartenente ad una struttura sanitaria pubblica (Asl, Ospedale, Istituto convenzionato, ecc..). In relazione ai diversi casi può essere necessario o meno sottoporsi a una visita durante la quale vengono valutati da un team specialistico (fisiatra, fisioterapisti, ecc..), oltre che gli aspetti strettamente medici, anche quelli di tipo ambientale quali ad esempio la possibile mobilità interna di una carrozzina o di una comoda nell’appartamento in cui vive la persona interessata. Per ottenere la visita specialistica del fisiatra e la conseguente possibilità di avere in assegnazione l’ausilio è necessario esibire la richiesta rilasciata dal medico di base. Si può avere la visita domiciliare? Nei casi accertati di impossibilità di spostamento della persona richiedente l’ausilio è possibile ottenere la visita a domicilio rivolgendosi al “Servizio di Assistenza N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
Domiciliare” che ha sede presso l’Asl, mediante una richiesta specifica da parte del medico di base. Qual è la prassi da seguire? Se, a seguito della visita la persona ha diritto a ricevere l’ausilio, il medico prescrittore compila la parte I e II del modulo “Erogazione forniture protesiche” prescrivendo quale ausilio (ed eventuali accessori) deve essere fornito al richiedente tra quelli codificati nel Nomenclatore tariffario. Tale modulo è accompagnato da un secondo modulo identificato come “Programma terapeutico per l’erogazione di forniture protesiche” che è compilato interamente dal medico specialista. Tornando al documento principale, il richiedente firma la parte III accettando alcuni impegni e indicando quale ditta sceglie tra quelle convenzionate (riportate nella tabella per la Provincia di Varese) e consegna il modulo all’Asl la quale, prima di convalidare la scelta, valuta se tra gli ausili di cui già dispone (e giacenti presso la ditta che gestisce il magazzino e che è incaricata della revisione e riparazione) vi è quello che soddisfa i requisiti della prescrizione medica. In questo caso incarica la ditta a consegnare a domicilio l’ausilio. Nel caso non vi sia questa disponibilità l’Asl invia il documento alla ditta fornitrice scelta dall’interessato la quale espone nello stesso modulo il preventivo di spesa e lo rimanda all’Asl la quale firma nella parte IV l’autorizzazione alla spesa. A questo punto il documento torna al fornitore il quale comunica all’interessato la disponibilità per la consegna dell’ausilio e fa firmare,
FORNITORI DI AUSILI TECNICI CONVENZIONATI CON L’ASL DI VARESE CAPORALI 2000
Via C. Battisti, 65
DAVERIO
0332/949462
COMMERCIALE SANITARIA LOMBARDA
Viale Borri, 97
VARESE
0332/810000
COSSIA LUIGI FRANCO ORTOPEDICO
Via Fuser, 2/b
SOMMA LOMBARDO
0331/256467
MEDIA REHA
Viale Ticino, 85
LONATE POZZOLO
0331/301699
ORTOPEDIA DI MARTINO
P.za V. Veneto, 8
LAVENO MOMBELLO
0332/626341
ORTOPEDIA RAPETTI
Viale Borri, 60
VARESE
0332/810175
ORTOPEDIA NOVARESE
Via Maspero, 5
VARESE
0332/239617
ORTOPEDIA VARESINA
Via Vetera, 3
VARESE
0332/232015
PROCHISAN ORTOPEDIA
Via Garibaldi, 39
GAVIRATE
0332/745413
SANITARIA VARESINA
Viale Belforte, 84
VARESE
0332/332230
TEMPI MINIMI DI RINNOVO DEGLI AUSILI TECNICI Carrozzina a telaio rigido non riducibile Motocarrozzina o carrozzina a trazione a manovella Carrozzina a trazione elettrica Carrozzina ad autospinta pieghevole Carrozzina ad autospinta riducibile Montascale mobile Stampelle, tripodi e quadripodi Deambulatori, sollevatori e biciclette
come ricevuta all’atto della consegna, la parte V. L’ultimo atto riguarda l’accertamento da parte del medico prescrittore che, se l’ausilio fornito è conforme alla prescrizione, firma la parte VI del documento autorizzando così l’Asl al pagamento della fornitura. Di chi è l’ausilio fornito? L’ausilio rimane di proprietà dell’Asl alla quale deve essere restituito quando cessa di servire oppure perché l’interessato, dopo un certo numero di anni (vedi tabella), ha diritto ad averne uno nuovo o revisionato. Per tutto il periodo in cui la persona utilizza l’ausilio tecnico quest’ultimo può essere oggetto, su
6 anni 6 anni 6 anni 5 anni 6 anni 8 anni 4 anni 8 anni
richiesta indirizzata all’Asl, di intervento manutentivo a domicilio comprendente la sostituzione di parti (ad esempio le batterie se si tratta di carrozzina elettrica) o dello stesso ausilio con altro avente caratteristiche simili. Quanto detto non si applica se, nella fase di acquisto a spese dell’Asl, vi è stata un’integrazione di spesa da parte dell’interessato per ottenere componenti o migliorie non previste o non riconducibili a voci elencate nel Nomenclatore Tariffario. In questo caso l’ausilio diventa di proprietà della persona che ha sostenuto la spesa aggiuntiva la quale dovrà però provvedere in proprio per le eventuali riparazioni necessarie. Bruno Biasci
E SE C’È URGENZA? Ecco dove rivolgersi. Capita frequentemente che una situazione di invalidità, temporanea o permanente, insorga all’improvviso e il bisogno dell’ausilio sia urgente, cosa fare in attesa che si concluda la pratica indicata per ottenere l’ausilio attraverso la Asl? Se la persona ha urgenza di disporre di una carrozzina o di una comoda la cosa migliore è noleggiarla presso uno dei rivenditori indicati nella tabella o presso altri negozi di ortopedia, ad esempio a Varese quello di Sole Luna (via Crispi 130, tel 0332/225706). Se si ha bisogno solo di un paio di stampelle ci si può recare semplicemente in farmacia. Inoltre chi abita a Varese e dintorni può rivolgersi all’Adt (Associazione Donatori del Tempo) che, nella sua sede/officina di via S. Francesco d’Assisi 26B a Varese, aperta il mercoledì dalle 15 alle 18 e il sabato dalle 9 alle 12.30 (tel. 349/4245642), dispone di una certa quantità e varietà di ausili che può prestare gratuitamente per tutto il tempo necessario.
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SEGNALAZIONI
LA PRIMA FIERA DEDICATA AL MONDO DELLA DISABILITÀ Reatech si svolgerà dal 24 al 27 maggio in Fiera Milano. Rivolta alle persone con disabilità e agli enti e operatori del settore vuole contribuire ad una società completamente accessibile.
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on solo mostra commerciale, ma anche occasione per promuovere la diffusione della cultura della disabilità: è quanto vuole essere Reatech Italia in programma dal 24 al 27 maggio 2012 nel quartiere espositivo di Fiera Milano (Rho). Un evento unico in Italia, innovativo nella formula e pensato per offrire risposte puntuali e presentare il meglio di servizi, opportunità, soluzioni tecnologiche per le persone con disabilità e le loro famiglie. “Reatech - ci spiega Enrico Pazzali Amministratore delegato Fiera Milano spa – è una fiera molto particolare. Ha evidentemente una dimensione commerciale, alla quale però affianca l’ambizione di divenire un’opportunità di integrazione sociale e un contributo alla diffusione della cultura della disabilità, che
manca, ma è il presupposto di una reale valorizzazione della ricchezza per la società rappresentata dai disabili. In certo modo questa iniziativa rientra anche in una riflessione generale, che i tempi rendono quanto mai necessaria: la consapevolezza del fallimento del fine ultimo e unico del profitto finanziario e la necessità di ridare spazio ad un’etica dell’economia.” Reatech si rivolge al disabile e alla sua famiglia, ma anche a tutti coloro che operano nel campo della disabilità e della riabilitazione, nei diversi ruoli: istituzioni e associazioni, produttori e distributori di ausili, operatori del turismo accessibile, mondo dello sport, operatori sanitari, pedagogisti e ricercatori. Obiettivo: contribuire ad una società completamente accessibile, capace di includere tutti e consentire a chiunque un progetto di vita autonoma, convinti che la “disabilità” non è un problema di pochi, infatti chiunque può farne esperienza. Sulla base degli ultimi dati Istat disponibili, la disabilità in Italia interessa 2 milioni 800 mila persone (di cui 365 mila in Lombardia), pari al 4,8% della popolazione. Oltre due milioni di famiglie hanno al loro interno una o più persone con disabilità e circa 200mila sono gli individui residenti in presidi socio-sanitari. Inoltre in considerazione del progressivo invecchiamento della
popolazione si prevede che il numero di persone con disabilità aumenterà del 65% nei prossimi 25 anni. Accanto alle tradizionali “aree espositive” articolate in settori specifici, ci saranno convegni workshop e iniziative formative e ancora aree dedicate allo sport, al turismo e al tempo libero di cui daremo dettagliata informazione nel prossimo numero del Lisdha news. Particolare attenzione verrà data agli strumenti per l’apprendimento, la comunicazione e la formazione, alla domotica e gli adattamenti della casa e gli altri ambienti, agli ausili per la mobilità individuale, alle proposte più innovative in ambito sanitario e riabilitativo. Ci sarà spazio anche per scoprire l’ippoterapia e la pet therapy e i test drive, prove di guida su un apposito circuito interno alla fiera. Non mancheranno iniziative di intrattenimento e a carattere sportivo. La fiera Reatech si svolge da più di dieci anni in Brasile con successo, organizzata dala Cipa Fm, controllata da Fiera Milano che ora ha deciso di portare anche in Italia la rassegna. “E’ il primo caso - sottolinea Pazzali - in cui il nostro processo di internazionalizzazione si concretizza non nell’esportazione di un nostro prodotto ma nell’importazione di un prodotto di successo”. N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
SCUOLA, VA RISARCITO IL DANNO ESISTENZIALE Condannata l’amministrazione scolastica a risarcire i danni della mancata assegnazione di una cattedra di sostegno ad alunni con disabilità grave.
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n’ interessante pronuncia del Tar della Sardegna di novembre 2011 conferma un orientamento sempre più consolidato: la condanna dell’amministrazione scolastica al risarcimento dei danni esistenziali a causa della mancata assegnazione di un’intera cattedra di sostegno ad alunni certificati con grave disabilità. Il danno - secondo il Tar Sardegna è individuabile negli effetti che la seppur temporanea diminuzione delle ore di sostegno subita provoca sulla personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la
piena promozione dei bisogni di cura, istruzione e partecipazione a fasi di vita normale ed è stato quantificato in 1.000 euro per ogni mese di mancato sostegno nel rapporto 1/1 da parte dell’amministrazione scolastica, tenendo conto anche della reiterazione del comportamento di illegittima negazione delle ore di sostegno dovute. Dalla sentenza emerge con chiarezza che, in presenza di un diritto costituzionalmente garantito, l’amministrazione non può trincerarsi, per negare le ore di sostegno secondo le effettive esigenze, dietro la giu-
stificazione burocratica che l’organico assegnato non consente l’assegnazione di ore aggiuntive. La pronuncia cita, infatti, l’articolo 40 della legge 449/1997 confermata dalla sentenza 80/10 della Corte Costituzionale in base al quale i dirigenti scolastici devono stipulare contratti per la nomina di docenti in esubero rispetto all’organico assegnato. A differenza di altre decisioni analoghe, questa volta l’amministrazione è condannata anche alla rifusione delle spese sostenute dai genitori dell’alunno. (fonte: SuperAbile Inail)
LE SPESE PER IL SOSTEGNO SPETTANO ALLE PROVINCE L’Anci Lombardia prende posizione sul rimpallo di competenze tra Comuni e Province.
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ra Comuni e Province è in corso da mesi un rimpallo di competenze su chi spetti sostenere i costi del trasporto e degli insegnanti di sostegno. Sulla questione si è espresso recentemente il presiden-
te dell’Anci Lombardia Fontana: “La corte dei conti della Lombardia il 6 novembre ha espresso un parere chiaro sulla diatriba tra Comuni e Province e ci ha dato ragione. È un parere vincolante e ora noi non potremo più spendere un euro per il sostegno scolastico. La Regione ha risolto il problema del trasporto. Ora deve intervenire su quello del
sostegno scolastico con una legge ad hoc stanziando nuovi fondi”. Per le famiglie con figli disabili si apre un periodo di incertezza. “Per senso di responsabilità abbiamo garantito il servizio finora - afferma Attilio Fontana - ma è chiaro che non potremo più farlo e le provincie dovranno restituirci i soldi spesi finora”.
PIENA UTILITÀ DELL’AMMISTRATORE DI SOSTEGNO Secondo la Cassazione sarebbe più flessibile e funzionale rispetto a interdizione e inabilitazione.
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’amministrazione di sostegno è lo strumento più idoneo per aiutare le persone con disabilità psichica: è quanto affermato dalla sentenza 22332/2011 della Corte di Cassazione che così sottolinea come l’amministratore di sostegno sia in grado di supportare la persona con disabilità senza sacrificarne in maniera importante la capacità di agire. Nel caso in questione, il fratello di N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
una persona affetta da sindrome di Down si era rivolto al giudice tutelare chiedendo per il fratello l’apertura dell’amministrazione di sostegno, in quanto il congiunto necessitava di assistenza per il compimento di alcuni atti, mentre doveva essere sostituito per quelli di straordinaria amministrazione. Il giudica tutelare aveva respinto la domanda chiedendo l’apertura del procedimento di inter-
dizione. La Cassazione non è stata d’accordo ritenendo che l’amministrazione di sostegno sia uno strumento più adatto rispetto ad altri istituti ad adeguarsi alle esigenze del soggetto, in quanto più flessibile e funzionale rispetto a interdizione e inabilitazione. LISDHA NEWS - 27
SEGNALAZIONI
STATI VEGETATIVI: IL CASCO CHE LEGGE I PENSIERI L’ importante scoperta di un ingegnere del Centro don Orione di Bergamo. “Lo proposi anche al padre di Eluana, ma rifiutò”.
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all’ingegnere Daniele Salpietro, da mesi impegnato tra i 24 stati vegetativi ricoverati al Centro don Orione di Bergamo viene una scoperta interessante che potrà favorire quanti si battono in difesa del diritto alla vita anche di chi si trova in stato vegetativo. Si chiama “Elu1, il nuovo software, ideato proprio nei giorni del caso Englaro, per provare a ricostruire un “dialogo” tra i pazienti e i loro cari. Si tratta di un casco già in uso da parte dei piloti americani, dotato di sensori in grado di captare la coscienza in caso di svenimento. E’ un casco (acquistabile con 90 euro) applicato a un amplificatore cerebrale che moltiplica di un milione di volte gli impulsi neuronali, in modo da poter captare anche i minimi “spifferi” di volontà. Il nostro cervello quando pensa, cioè quando appunto ha coscienza (seppur minima come nel caso di stati vegetativi), emette un segnale elettrico con delle frequenze, e i moderni sensori sanno leggere tali impulsi neuronali, in pratica “vedono” il pensiero prima che si traduca in azione. Salpietro ha applicato il casco su
vari stati vegetativi (definiti da qualcuno “irreversibili”), ad esempio su Cristina. Alla richiesta di un comando non segue alcun movimento pratico, eppure «con il caschetto che misura la volontà, ogni volta che le davo questo ordine vedevo schizzare a mille il segnale sul monitor. In pratica sentiva e desiderava pure obbedire, il problema quindi non era la coscienza, ma solo la possibilità di tradurla in movimento». Una situazione già raccontata da tanti “risvegliati”, come Max Tresoldi, uscito da 10 anni di stato vegetativo e testimone oggi del fatto che «coglievo tutto ma non riuscivo a dirvelo». Per Cristina, il solo fatto di sentirsi capita, l’ha spronata ad “uscire” dallo stato vegetativo per passare a quello che la medicina chiama “stato di minima coscienza”, fino addirittura a parlare: «Dite ad Aldo che sono felice». L’ingegnere rivela ad Avvenire che «nel 2008 chiesi al padre di Eluana di poter fare l’esperimento sulla figlia, di valutare cioè il suo grado di coscienza, ma non mi rispose. Certo che dagli indizi che abbiamo avrebbe dato risposte sorprendenti: una notte chiamò persino “mam-ma”,
ALLENARE LA MENTE CONTRO L’ALZHEIMER Un programma per migliorare le capacità cerebrali, utile anche a bambini e ragazzi con lievi disabilità. Si stima che attualmente le persone affette da demenza in Europa siano quasi 10 milioni e circa 36 milioni nel mondo. Ed è un numero destinato a crescere in maniera imponente se si pensa che nel 2030 si prevede che arriverà rispettivamente a 15 e 65 milioni. Ora, uno studio del Politecnico di Torino mostra che la ginnastica per la mente può aiutare chi denuncia i primi segnali di deficit cognitivo. L’università milanese ha messo a punto un software per il training cerebrale, sperimentandolo su pazienti con Alzheimer o malattie simili. Si tratta di esercizi interattivi e multimediali con vari gradi di difficoltà, da fare su computer touch-screen. L’allenamento mentale, aumenterebbe la “plasticità cerebrale”, e questo favorirebbe le possibilità di riabilitazione e recupero delle funzioni intellettive. I 70 esercizi del programma completo stimolano funzioni come l’attenzione, la memoria, la logica, il calcolo e la percezione e possono essere utili anche per bambini e ragazzi con lievi disabilità, per i quali è stata prevista una versione specifica del programma. Per saperne di più: brainer.it.
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mentre il suo respiro cambiava all’udire le diverse voci e davanti a più testimoni alcune volte ha sorriso». Salpietro spiega che è accertato che per il 40% dei cosiddetti “stati vegetativi” la diagnosi è sbagliata perché si usa come parametro il movimento. Invece «è la loro volontà che va accertata. Ciò che conta è se, al nostro comando, il loro cervello invia l’ordine di fare una cosa, indipendentemente dal fatto che poi la riescano a fare davvero». Domenico, ad esempio, prende a “obbedire” solo quando gli ordini partono dalla voce della sorella, in dialetto bergamasco: il segnale sul video schizza in alto e, dopo una settimana, l’uomo ha già imparato a chiudere gli occhi su comando. E così Loredana (dimessa da un centro specialistico come “priva di coscienza”) quando le si avvicina improvvisamente la mano agli occhi non fa una piega, ma sul monitor rivela senza dubbio una rapida “risposta alla minaccia”: gli occhi non li chiude, ma ha la volontà di farlo. Conclude lo specialista: «Ma allora è chiaro che hanno bisogno di una nuova riabilitazione mirata, non più solo di essere lavati e girati in un letto… Ma quanto costa dar loro tutto questo? Più facile ed economico darli per persi e magari avviarli alla dolce morte, no?». Sul sito www.amicidieluana.it è possibile approfondire il contenuto del progetto Elu1. N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
NOTIZIE BREVI FUMETTI A ROTELLE Nove storie tra autobiografia e fantasy raccontano la disabilità con leggerezza e ironia. Sono i lavori realizzati da sceneggiatori con distrofia e giovani disegnatori per il concorso “Prestami la tua mano per il mio sogno” organizzato dalla Uildm. Undici disegnatori provenienti da tutta Italia ci hanno messo le matite. Le sceneggiature sono invece di sei ragazze e ragazzi bolognesi con disabilità. Il risultato? Nove fumetti, ispirati a storie di vita ma anche al mondo fantasy, pubblicati in un catalogo realizzato dalla sezione di Bologna della Uildm a conclusione del concorso “Prestami la tua mano per il mio sogno”. Il catalogo (108 pagine a colori, disponibile presso la sede bolognese della Uildm) presenta i fumetti che disegnatori e sceneggiatori hanno realizzato lavorando per settimane braccio a braccio. “Sono storie brevi - aggiunge Annalisa Frascari - che attraversano generi diversi, dalla fantascienza al racconto umoristico, per affrontare aspetti del quotidiano dei
nostri soci. La disabilità è spesso toccata, ma sempre in maniera leggera e ironica”. Vincitore del concorso, scelto da una giuria composta da giornalisti, disegnatori e professionisti del mondo dei balloon, è il fumetto L’apparenza inganna, sceneggiato da Irene Frascari con disegni di Luca Parisi. Una storia semplice e divertente, che vede protagonisti due gattini impauriti e diffidenti verso gli amici su sedia a rotelle della loro padroncina. “Un invito, con il sorriso, ad avvicinarsi alle persone senza pregiudizi, senza cadere nella banalità - scrivono i giurati nella motivazione -, ma con freschezza e anche una certa dose di ironia nel finale”. Per informazioni: Uildm Bologna, tel. 051 266013 www.uildmbo.org
[email protected].
“INTOUCHABLES”, IN FRANCIA COMMEDIA DELL’ANNO Tra poco anche in Italia il film che racconta l’amicizia tra un ricco parigino in sedia a rotelle e il suo badante algerino e che ha riscosso un enorme successo a Parigi.
Intouchables, il film di Eric Nakache e Olivier Toledano è in Francia la commedia dell’anno: ha già registrato 4 milioni di spettatori e si prevede che supererà Benvenuti al nord. Il film narra l’amicizia tra un ricco parigino in sedia a rotelle, Philippe Pozzo di Borgo (interpretato da Francois Cluzet) e il suo badante algerino Driss (Omar Sy), un giovane della banlieue uscito di prigione. Basato su una storia vera, tratta il tema
della disabilità e dell’emarginazione: sia Philippe che Driss scontano un handicap, quello fisico e sentimentale di un uomo che ha perduto la sensibilità del corpo, dal collo in giù, e quello di chi è marchiato a vita dalla condizione sociale in cui si è ritrovato, senza ancora aver capito il perché. E’ un film dove si ride di tutto e di tutti: della malattia, dell’impotenza sessuale, delle lesbiche, del dolore, dell’ingenuità, senza fermarsi davanti a nulla, come nella scena in cui Driss si impossessa del corpo incapace di reagire di Philippe e lo trasforma in un novello Hitler. Eric Toledano e Oliver Nakache non
cedono neanche per un istante all’insopportabile moda di quello che viene chiamato il politicamente corretto. I due protagonisti di Intouchables sono convinti che la compassione non serve a nessuno, è solo una scorciatoia con cui si gioca per non confrontarsi con la vita. Ecco perché, fin dal primo incontro, si giurano nessuna pietà. Nessuna ipocrisia. Toledano e Nakache riescono nella niente affatto scontata impresa di raccontare la storia di Philippe e Driss nella maniera più semplice e diretta possibile. E’ nella sua risata coinvolgente e liberatoria la forza di Intouchables, un film che arriverà presto anche nelle sale italiane.
LA CARROZZINA SI COMANDA CON IL VISO Dal Giappone una nuova scoperta. La carrozzina che si guida con i movimenti del viso. Con l’obiettivo di arrivare sul mercato già il prossimo anno. I ricercatori dell’università giapponese Miyazaki hanno creato una sedia a rotelle motorizzata destinata a persone afflitte da paralisi e a tutti coloro che sono affetti da distrofie muscolari. Per il controllo del sistema, i ricercatori hanno creato un sistema basato sulla muscolatura facciale: invece di impiegare un joystick (impossibile da usare per coloro che siano paralizzati dal collo in giù) utilizza dei sensori che rilevino i movimenti del viso. Tramite questo meccanismo il paziente può far girare la sedia a N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
rotelle a sinistra o a destra strizzando l’occhio sinistro o destro e frenare serrando i denti. La velocità è invece graduata da un sensore di prossimità che accelera in assenza di ostacoli e rallenta al loro approssimarsi. Toyota ha ottenuto risultati simili attraverso una Brain Machine Interface (Bmi), un sistema che permette molte più possibilità di sviluppo, ma con applicazioni e risultati immediati apparentemente inferiori. Altre diverse vie sono inoltre state seguite dal Mit.
Già per il prossimo anno, invece, i ricercatori giapponesi prevedono la produzione di una versione da immettere in commercio, con al posto dei sensori degli speciali occhiali collegati alla sedia in wireless. Claudio Tamburrino (Fonte: Punto Informatico) LISDHA NEWS - 29
LIBRI
CHE COSA TI MANCA PER ESSERE FELICE? L’autobiografia della ballerina e pittrice Simona Atzori ci regala perle di grande saggezza.
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he cosa ti manca per essere felice? Il titolo dell’autobiografia di Simona Atzori è l’interrogativo che insegue il lettore in tutte le 190 pagine del volume. Ci rincorre quando ricordando la sua nascita Simona commenta: “Nessuno me lo ha mai detto esplicitamente, ma ogni tanto percepisco l’incredulità di chi pensa che nascere senza braccia sia per forza una tragedia. Mi capita di sorridere a questo pensiero.” O quando incontriamo Simona intenta a divertirsi sull’altalena noncurante dello sguardo allibito e preoccupato di un vigile. Quando la ritroviamo il primo giorno di asilo ad imboccare, tenendo le posate con i piedi, un bimbo che non voleva saperne di mangiare. O quando la ritroviamo diciottenne a rifiutare finalmente quelle protesi che tanta fatica le era costato sperimentare, ma che non erano nient’altro che un corpo estraneo, per lei che aveva fatto diventare le sue gambe, gambe e braccia insieme. O ancora quando racconta
Simona Atzori, Cosa ti manca per essere felice? Mondadori, 2011, euro 17 30 - LISDHA NEWS
dell’incontro che all’età di sette anni decise il suo destino come pittrice: “Subito dopo la mia nascita mia mamma aveva ricevuto in dono un libro, Conseguenze di un sogno, del pittore Mario Barzon. Mario è intrappolato da sempre in un corpo che non gli permette di muoversi. Sdraiato, guarda il mondo da una sedia a rotelle, ma quello che vede è talmente straordinario che nulla gli ha mai impedito di gridare tutta la sua voglia di vivere (…) Quando vide i miei dipinti ne fu rapito. Incoraggiò i miei genitori a mandare tutti i disegni che avevo fatto all’ Associazione dei pittori che dipingono con la bocca e con il piede”. E Simona si domanda e ci domanda: perché ci identifichiamo sempre con quello che non abbiamo, invece di guardare quello che c’è? E ci ricorda che spesso i limiti non sono reali, ma sono negli occhi di chi ci guarda e dobbiamo stare attenti a non farci condizionare da questo sguardo. “E’ nostra responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci da un po’ di scuse e diventare chi vogliamo essere… Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o altro un metro e un tappo, se sei bianco, nero, giallo o verde… La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti. Tutti siamo diversi e meno male, altrimenti vivremmo in un mondo di formiche. Non c’è nulla che non possa essere fatto, basta trovare il modo giusto per farlo. Io tengo il microfono con i piedi, altri con le mani, altri ancora lo tengono sull’asta. Sta a noi trovare il modo giusto per noi.” Ma per “darci la forma che vogliamo” è essenziale saper rischiare: “Se ci si tiene sempre sul bordo e non ci si sporge per guardare giù, la nostra visuale sarà limitata (…) Io preferisco sbagliare, ma agire. Il rimpianto è un sentimento che non mi appartiene (…) Io so che se le
cose non vanno, posso sistemare la situazione con le mie forze. Se non va bene, ho comunque accumulato esperienza. Una volta la strada è quella giusta, un’altra volta no, però bisogna tentare, pena il vivere una vita che non è la nostra. Molte persone soffrono e si lamentano, ma non ci provano nemmeno a cambiare, non si assumono il rischio e si perdono tantissimo”. E tra i consigli per essere felici, c’è anche questo: “ Io credo nella legge dell’attrazione: quello che dai ricevi. Se trasmetti amore, attenzione, serenità; se guardi alla vita con uno sguardo costruttivo; se scegli di essere attento agli altri e al loro benessere; se conservi le cose che ami e lasci scivolare via quelle negative, la vita ti sorriderà”. Ma chi è Simona Atzori? Nata senza le braccia 37 anni fa, è diventata una pittrice e ballerina di successo. E’ stata ambasciatrice per la danza nel Giubileo del 2000 e protagonista della cerimonia di apertura delle Paralimpiadi di Torino del 2006. Ha danzato al “Roberto Bolle and Friends” al Teatro Antico di Taormina e alla Fenice di Venezia. Nell’ottobre 2009 è attraverso il “Simona and Friends” si esibisce accanto a star internazionali della danza. Laureata in Visual Arts, coi suoi dipinti partecipa a mostre collettive e personali in tutto il mondo. Infine da alcuni anni conduce incontri motivazionali presso aziende, scuole e associazioni, dovunque la chiamino per raccontare la sua storia e parlare del potenziale umano che ciascuno di noi nasconde dentro di sé. Marcella Codini N. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
LA VITA DA DENTRO di Emanuela Giuliani
PENSARE LA MORTE La vita è l’infanzia della nostra immortalità. (Goethe)
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i sente dire che nella nostra società si parla poco di morte. Non credo: si parla troppo di morte ma si riflette poco su di essa. Se accendiamo la Tv e guardiamo a caso uno dei telefilm che vanno per la maggiore, ci accorgiamo che c’è sempre qualche morto di mezzo, morto che viene studiato, analizzato, tagliuzzato, per arrivare a scoprire il colpevole. Se poi entriamo in internet o seguiamo i telegiornali siamo giornalmente informati di tante morti nei più diversi angoli del mondo. A questo proposito il filosofo S. Natoli così si esprime: “Il tanto parlare della morte è peggio del tacerne; la morte non ha più nulla di sacro, di tremendo, è semplicemente spietata, nel senso che ormai è vista e considerata senza più pietas; è lì spudoratamente esibita, colta senza rispetto e perciò facilmente dimenticata…. l’epopea del macabro è un modo singolare e raffinato per esorcizzare la morte”. È vero: tutte le morti false, plastificate, dei film e le morti vere ma lontane non sono un tabù. Non ne abbiamo paura, non ci creano difficoltà. Quando la morte è anonima non ci spaventa e può anche farci arrivare all’aberrazione di pensare che è meglio che muoiano interi popoli che i nostri cari. Il tabù, il tacerne, nasce invece quando la morte si fa vicina, intima, quando riguarda le persone care o noi stessi, quando ci tocca nell’inteN. 72 - GENNAIO-MARZO 2012
riorità. Solo allora diventa il problema per eccellenza. In questo caso può subentrare il rifiuto. Un tempo si era immersi ciclicamente in carestie, guerre, situazioni limite e la morte era una naturale compagna di cammino. Succedeva anche una cosa strana: ad essa si reagiva cercando la vita, generando nuove vite, per controbilanciare la crudeltà del morire. Oggi invece che il rapporto con la morte è cambiato e ad essa si sfugge in mille modi, paradossalmente si cerca meno la vita. Strano, no? La medicina poi ci mette del suo: le invenzioni della tecnologia ci portano a pensare che con la morte si debba combattere strenuamente senza mai arrendersi. La “dipartita” di un paziente è vista in alcuni ambienti come un fallimento. Più sono le possibilità che la scienza ci offre più la morte ci diventa inaccettabile perché abbiamo sempre la sensazione di poterla vincere. Ma non è così. Con la morte, quella dei nostri cari e la nostra, prima o poi dobbiamo fare i conti. Viene allora da chiedersi: ci si può preparare ad essa, si può imparare a morire? Una persona che ha perso il marito dopo una lunga malattia di cui si conosceva l’esito infausto, mi ha detto tempo fa che non si è mai preparati alla morte di chi amiamo. La si può pensare, immaginare, ma poi la realtà è diversa. Credo sia vero anche perché quello che possiamo razionalizzare ( e pensare in anticipo) ha un peso relativo rispetto ai sentimenti e alle emozioni che ci travolgono al momento. Possiamo però forse rendere la morte più “familiare” nel senso di non fuggirne il pensiero e anche la paura, di provare ad ammetterla, a darle diritto di cittadinanza nelle nostre riflessioni. Non temere di parlarne con le persone care, non in
forma di pettegolezzo ( “Lo sai che morto quello?”, “Lo sai che tizio ha un cancro incurabile”...) ma come qualcosa che succederà e che non dobbiamo nasconderci a vicenda. Senza toccare ferro o fare le corna. Il nemico peggiore del morire con pace è la mancanza di verità, quando le cose si nascondono, quando si impone la cosiddetta “congiura del silenzio”. Congiura che parte da lontano, dal dire ai bambini che il nonno è partito quando invece è già nella bara, per arrivare al capezzale del morente al quale si dice: “guarirai”. Mi è capitato più di una volta di andare a trovare qualcuno che stava morendo. Spesso mi chiedeva, di sua iniziativa, di parlare di Dio, del “passaggio” che lo aspettava, aveva desiderio di confrontarsi. Ma poi capitava che si intrometteva il parente di turno con la classica frase: “Non pensare a queste cose . Io allora dovevo allontanarmi e il malato era lasciato lì, con i suoi dubbi in sospeso, con la sua angoscia incomunicabile perché non ascoltata. Ma non è forse una mancanza di amore e di sapienza privarci e privare altri di una riflessione pacata su ciò che dà compimento alla nostra vita?
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Quello che cerchi, la felicità, si trova in ogni luogo Tu credi che sia capitato solo a te, e ti meravigli come di un fatto strano di non esser riuscito a liberarti della tristezza e della noia, malgrado i lunghi viaggi e la varietà dei luoghi visitati. Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi. Anche se attraversi il vasto oceano; anche se, come dice il nostro Virgilio, “ti lasci dietro terre e città”, dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi. Disse Socrate ad uno che si lamentava per lo stesso motivo: “Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t’incalza cioè sempre lo stesso male che t’ha spinto fuori”. Che giovamento può darti la varietà dei paesaggi o la conoscenza di città e luoghi nuovi? Tale sballottamento non serve a nulla.
Chiedi perché tu non trovi sollievo nella fuga? Perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso. Nessun luogo ti piacerà finché non avrai abbandonato il peso che hai nell’animo ... Ma quando tu riuscissi ad estirpare codesto male, ogni cambiamento di luogo ti sarà piacevole. Potrai anche essere cacciato nelle terre più lontane e più barbare: ogni luogo, qualunque esso sia, sarà per te ospitale. L’importante è sapere con quale spirito arrivi, non dove arrivi; perciò non dobbiamo legare l’animo a nessun luogo ...
G. Giuliani
Ora tu non viaggi, ma vai errando e sei spinto a passare da un luogo a un altro, mentre quello che cerchi, la felicità, si trova in ogni luogo. Seneca “Lettere a Lucilio” Rizzoli, Milano 1992