RS RICERCHE STORICHE
Anno XXXIV N. 89 - Aprile 2000
Direttore Ettore Borghi
Rivista quadrimestrale dell'lstoreco (Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Reggio Emilia)
Direttore Responsabile Piergiorgio Paterlini
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Comitato di Redazione: Laura Artioli, Glauco Bertani, Antonio Canovi, Maria Nella Casali, Alberto Ferraboschi, Cesare Grazioli, Marco Paterlini, Massimo Storchi, Antonio Torrenzano
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Con il sostegno della Commissione Europea
Editore proprietario ISTORECO Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Reggio Emilia cod. fisco 80011330356 Registrazione presso il Tribunale di Reggio Emilia n. 220 in data 18 marzo 1967
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FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO
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PIETRO MANODORI
Con il contributo della Fondazione Pietro Manodori
Una cosa è certa: tutto ciò che tende a trasformare l'orrore in un mito dev'essere combattuto fin dalle radici, e chi non si libera da simili tentazioni non capirà mai come siano andate veramente le cose. (Hannah Arendt a Karl Jaspers, 1946)
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Editoriale Ricerche
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Massimo Storchi
"Il mio onore si chiama fedeltà" Il Partito Fascista Repubblicano a Reggio Emilia (ottobre 1943 - agosto 1944)
11
Marco Minardi
"Reggio Emilia nelle carte della Militarkommandantur 1008
39 57
Paola Calestani
Guglielmo Ferri, "Fascista integrale"
Maria Nella Casali
Memorie diverse, memorie remote. Il caso di Cerredolo di Toano.
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Margherita Valli
Platzkommandantur Reggio. Aprile 1944 - Aprile 1945
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Massimo Storchi (a cura)
"Avevamo la morte addosso" Intervista a Gianni Franceschi
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Marco Minardi Massimo Storchi (a cura)
Repertorio di documenti provenienti dal Fondo "Carteggio fascista 1943-45" (Archivio Istoreco)
Contributi
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Silvia Pastorini
L'istruzione obbligatoria a Poviglio fra il 1864 e il 1915
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Patrick Le Guirriec Marco Fincardi (a cura)
Comunismo locale, Resistenza e Partito Comunista Francese. I tre elementi del potere in un comune bretone
Didattica
153
Cesare Graziali
Il nostro convegno sul curricolo verticale della storia
Note e rassegne
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Seminario europeo "Sulle tracce di Anne Frank: persecuzioni, giovani, memoria"
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Ettore Borghi
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Antonio Canovi
V. Casotti, A. Margini, G. Riva Cavriago nel Novecento Christine Levisse-Touzé et Stefan Martens
Des Allemands contre le nazisme. Opposition et Résistance 1933-1945
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Antonio Canovi
Antonio Bechelloni
Antifascistes italiens en France pendant la guerre: parcours aléatoires et identités réversibles
200
Antonio Canovi
Domenico Pietri
A viso scoperto. Antifascismo e Resistenza a Campogalliano nei ricordi di un giovane partigiano
202
Antonio Zambonelli
Rossi a Palazzo. Memoria e cronaca dalla Federazione reggiana del PC1-PDS in Palazzo Masdoni (1954-1991)
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Nel 1995 Istoreco promosse - con il sostegno del comune di Reggio Emilia due giornate di studi dedicati al fascismo reggiano nei 18 mesi della Repubblica Sociale Italiana. Quel convegno (dal significativo titolo "Aquile nere sul tricolore") costituì il primo serio tentativo di affrontare, a Reggio Emilia, un'esperienza storica particolarmente controversa e, a distanza di un cinquantennio, ancora suscitatrice di emozioni luttuose. Eravamo consapevoli di una simile difficoltà, come lo siamo ora nel riproporre in questo numero di RS il medesimo argomento. Molto è stato detto e scritto a proposito dei "repubblichini", come dei partigiani; e proprio di recente, a testimoniare la vitalità della storiografia italiana, sono usciti pregevoli strumenti interpretativi (cfr. L. Ganapini, La Repubblica delle camicie nere, Garzanti; Dianella Gagliani, Brigate Nere, Bollati Boringhieri; Francesco Germinario, L'altra memoria: l'estrema destra, Salò e la resistenza, Bollati Boringhieri). Ciò che vale per gli studiosi non è però detto si traduca in materia di larga divulgazione, ad uso dell' opinione pubblica. Tanto più che, attorno alle cose storiche, prevale il doppio registro dei lunghi silenzi interrotti, incidentalmente, da servizi "scoop". Tutto ciò che ha a che fare con il fascismo, in modo particolare, subisce un trattamento due volte poco soddisfacente: l'esperienza storica viene rappresentata volentieri attraverso gli stereotipi, mentre agli epigoni attuali si riserva l'atteggiamento del bastone e della carota, volta a volta minimizzando il neofascismo o risolvendolo sotto le vesti di nazismo di "ritorno". Tutto sommato, ci pare che in Italia - il paese che ha per primo incubato un fenomeno destinato a marcare a fuoco il mondo intero, nel Novecento - si faccia una gran fatica a fare i conti con il fascismo. C'è voluta la destra francese, pochi mesi or sono, per riproporre la valenza presente - nei valori fondanti e nella prospettiva futura dell 'Europa Unita - di una comune memoria antifascista maturata attraverso il disastro della seconda guerra mondiale. Questa, di un più largo accesso ai diritti universali della cittadinanza, è la posta in gioco quando si evoca un giudizio presente sulla "questione fascista". Tornare sulla RSI è stato, per noi, un modo per non dimenticare il secolo che si chiude e, assieme al Novecento, tutte quelle generalità che là affondano. Tornarvi a Reggio assume, per noi, il valore di un pieno riconoscimento della 7
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centralità di quell' esperienza e di tutte le memorie, anche diverse e contrapposte, che l 'hanno abitata e che tuttora l'agiscono. Il riconoscimento della memoria fascista, nella ricerca che presentiamo, passa soprattutto attraverso la riproduzione dei documenti coevi prodotti dagli stessi fascisti repubblicani, anche se non manca la "restituzione" orale. I "fascisti visti dai fascisti", insomma, per offire una modalità di approccio meno vista, ma anche per rispetto storiografico verso l'oggetto di studio. Gli apporti critici degli storici, in questo modo, risultano meglio evidenziati: Massimo Storchi, Marco Minardi, Paola Calestani trattano piuttosto i documenti, Maria Nella Casali il gioco delle rappresentazioni tra le memorie, applicato ad una comunità locale. Le complesse dinamiche reI azionali che tuttora discendono dall'esperienza bellica vengono ripercorse in un report che Antonio Canovi ha tratto dal recente seminario europeo svoltosi tra Reggio Emilia e Modena sul rapporto che intercorre fra i più giovani e la memoria delle persecuzioni. L'approccio pienamente europeo dell'iniziativa (il testo è tradotto in lingua tedesca da Steffen Kreuseler) offre l'opportunità di una riflessione sull'attualità delle ragioni di Anne Frank tra le giovani generazioni. In questo senso, ci ha colpito la maggiore fatica della memoria che si registra nella società italiana rispetto, ad esempio, a quella tedesca. Il fenomeno è largamente registrabile anche laddove, come a Reggio Emilia, la permanenza del contrasto ideale ed ideologico generato dal conflitto bellico ne ha accompagnato passaggi salienti nel dopoguerra fino a oggi.
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"II mio onore si chiama fedeltà" /I Partito Fascista Repubblicano a Reggio Emilia (ottobre 1943 agosto 1944) MASSIMO STORCHI La ristrutturazione del potere fascista nella città e nella provincia (26 settembre-28 dicembre 1943) Nei novanta giorni che intercorrono fra la (ri)fondazione della Federazione Fascista di Reggio Emilia e la fucilazione dei fratelli Cervi e di Quarto Camurri si gettano le basi per la strutturazione del potere fascista in sede locale. Sono due date diversamente significative ma ugualmente importanti, segnano l'inizio e la fine di una parabola che può essere descritta da una serie di contrasti, di alternative risolte in un modo che influenzerà pesantemente i mesi successivi. Intanto l'organizzazione fascista: anche a Reggio il fascismo si dissolve il 25 luglio senza una minima resistenza, strutture, personaggi, apparati, svaniscono in poche ore in un generale 'tutti in casa' prefigurazione del ben più tragico 'tutti a casa' che con 1'8 settembre vedrà la stessa provincia reggiana pagare prezzi umani ben più alti. Ma il nostro osservatorio resta al momento incentrato sul Palazzo di Corso Cairoli. La Casa del Fascio è stata requisita come gli altri beni del disciolto Pnf, il 12 settembre Mussolini è liberato dal Gran Sasso, il 17 Pavolini riapre la sede del Partito (ancora senza nome) a Roma. A Reggio la quiete è assoluta, la città è nelle mani dei tedeschi che hanno spezzato ogni resistenza già nei giorni del 9 e IO. I fascisti si cercano, ci sono incontri, si procede ad accordi parziali fra i tronconi, ancora dispersi, del fascismo reggiano. Manca il Federale in carica il 25 luglio, si cerca ma non si trova e, come ricorda poco dopo il prefetto Savorgnan: Il Mariani inoltre, in un colloquio che ho avuto con lui, mi disse di essersi presentato a Roma il giorno 15 o 16 allo stesso Pavolini il quale gli fece intendere che non attribuiva una grande importanza al fatto che egli raggiungesse o meno la sede; il Mariani comunque ritornò a Reggio il giorno 22.9.43 e prese subito contatto con coloro che erano gli esponenti maggiori del Fascismo ed ebbe la sensazione, suffragata anche da esplicite dichiarazioni, che non si gradisse molto la sua ripresa delle funzioni di Federale. In possesso di questi chiarimenti che solo il Mariani poteva dare, l'essenza della questione prende un nuovo aspetto, mentre invece l'apparenza rimane quella che era. Non insisto quindi nel giudicare il Mariani in modo sfavorevole e nel ritenerlo politicamente fuori posto, mentre nulla io posso fare per modificare o correggere l'opinione pubblica nei suoi riguardi, opinione che non essendo a conoscenza degli elementi più sopra esposti, non accenna a modificarsi I . Il
Ma l'assenza forse poteva essere giustificata, come dichiarava lo stesso interessato: Venuto a Roma per cose mie, durante il viaggio, durato 12 ore, sul treno affollatissimo, mi sono preso una tremenda lombaggine che deve avere riacutizzato la mia vecchia sciatica, quasi immobilizzandomi. Poiché ho sentito dalla Radio Roma ed ho letto sui giornali che il DUCE ha riassunto il Governo e la direzione del Fascismo in Italia, ordinando a tutti coloro che erano in carica il 25 luglio di riprendere i loro posti, io sono grandemente preoccupato di non potere immediatamente riprendere il viaggio per tornare. Temo di dover stare ancora in piedi, sudando maledettamente, come nel viaggio di ieri, ed è necessario che io trovi almeno un posto a sedere poiché non posso più reggermi. Nel frattempo non vorrei che qualcuno degli ex-collaboratori prendesse iniziative non opportune. Vi prego quindi di cercare Rabotti, o il geom. Margini (già Vice Federale) o l'avv. Turina (già vice comandante Federale GIL) o il comm. Carlo Barbieri (già vice federale) e pregaI i di prendere gli opportuni contatti con la Prefettura, il Comune (cui erano stati consegnati i locali della Federazione), !'Intendenza di Finanza (che aveva assunto la gestione dei fondi insieme al rag. Siliprandi, già capo dei servizi amministrativi del Pnf) e le autorità Militari, onde ricostituire burocraticamente la Federazione. In attesa di ordini più precisi che non sia presa alcuna iniziativa di ordine politico [... ]2. Con o senza il Federale il fascismo a Reggio deve rinascere e così avviene. Il 26 settembre si costituisce la Reggenza della federazione fascista Repubblicana. A firmare il manifesto che ne dà l'annuncio sono 4 personaggi (che poi diventeranno 5 in una successiva emissione) in gran parte volti nuovi al contesto locale. Reggente è Dante Torelli, unico nome noto è Renato Poli (già segretario del Guf)3. Il fascismo reggiano rinasce per la ripresa delle attività nazionali e per «riscattare l'onta gettata sul paese dal Re fuggiasco e salvare l'Italia». Torelli è subito il più attivo, spedisce telegrammi a Pavolini e lo stesso 26 firma, sul "Solco Fascista", il primo di una serie di articoli. Chiama alla collaborazione generale, alla rinuncia degli egoismi particolari nell' esempio luminoso di tanti eroi della patria, da Santorre di Santarosa a U go Bassi, da Manin a Garibaldi, il tutto per rispondere al nemico di sempre, per combattere «la sottile perfidia dell 'inglese, l'ineffabile riso, l'ostentato disprezzo per la nostra razza»4. Il 28 il Fascio di Correggio è il primo a ricostituirsi, nello stesso giorno la rinata Milizia richiama in servizio tutte le camicie nere in servizio fino al 25 luglio dovendosi considerare cassate le disposizioni del governo Badoglio. Il 30 nella ritrovata Casa del Fascio Torelli presiede il primo rapporto degli squadristi, il tono è conciliante: si deve desistere da ogni azione di rappresaglia «perché non si abbia a ripetere le persecuzioni e il sadismo avvenute nel breve tristo periodo trascorso»' la riunione si chiude al canto di Giovinezza. Ma i sabotaggi sono ormai una realtà, dal lO ottobre il coprifuoco torna alle ore 20 e l'interruzione delle linee telefoniche militari tedesche è pagata con l'arresto di ostaggi e con una multa alla città a capo della quale "riprende il timone" Celio Rabotti all'insegna di una "fede, serenità dedizione fino al sacrificio" convinto che, sull'esempio del poeta soldato, "Non è mai tardi per andare più oltre"6. 12
Il lO ottobre si aprono le iscrizioni, le idee sul futuro movimento sembrano chiare: Il Partito sarà in gran parte formato da giovani. Esso recluterà i suoi aderenti prevalentemente fra gli operai, i contadini, i piccoli impiegati i tecnici, i professionisti, tenendo rigorosamente lontani i plutocrati e gli arricchiti. I requisiti richiesti sono quelli dell'onestà del carattere, del senso dell'onore e del valore guerriero 7 • Ottobre è infatti il mese dell' avvio della propaganda, dell' apostolato attivo per ottenere il consenso (non a caso il primo uffico che tornerà a funzionare in Federazione sarà quello dell'assistenza) che, è chiaro fin dall'inizio, sarà un obiettivo difficile da raggiungere. La lotta è da subito contro gli attendisti, i "finestristi" e la stampa locale dà ampio spazio alle adesioni personali o di gruppo, adesioni spesso premiate da una repentina nomina nelle rinnovate gerarchie fasciste, come capita a Carlo Di Stefano di Bais0 8 , mentre la 'Voce dei camerati' diventa quasi una rubrica con cadenza periodica. Da queste lettere, si colgono tratti interessanti di queste prime, pubbliche adesioni. La posta in gioco, è subito evidente, è l'onore, nazionale e personale, onore da riconquistare contro "un pugno di delinquenti che ha venduto l'Italia per un piatto di lenticchie"9, si sceglie di continuare la lotta, anche se lontano da casa, coi 'camerati' tedeschi per non tradire "patria, popolo e camerati caduti"IO o per "mantenere vivida ed inesauribile la fiamma dell' onore" come dichiareranno 19 reduci ricoverati presso il locale Sanatorio, dichiarazione la loro che nel commento del quotidiano deve suonare da "sfida ai pavidi, a tutti i coloro che stanno alla finestra". L'onore quindi come primo cemento della nuova forza che si sta costituendo e significativamente la medesima parola spicca nel tricolore sul retro della nuova tessera del PFR che a Reggio sarà distribuita fino al 31 ottobre. Ma l'onore va difeso e in tempi brevissimi sembra cadere la prima apparente disponibilità alla pacificazione, la politica del "camaleonte e del coniglio"ll non sarà tollerata, i traditori saranno puniti dalla nuova Italia che sta nascendo. La delusione sembra crescere giorno per giorno di fronte ad un isolamento che ha le facce dell' attesismo, dell' indifferenza, anche in quegli ambienti, quelli cattolici in primis, che più hanno goduto nel passato di attenzioni e protezioni da parte del defunto regime: Avete mai predicato dal pulpito che l'amor di patria - il più sacrosanto dopo quello di Dio - esige di non approfittare delle ristrettezze e necessità del prossimo strozzandolo con la borsa nera? Che esige, ... come imprescindibile e gravissimo dovere di coscienza, di consegnare agli ammassi quello che si deve?" ... E che pure è santissimo dovere impugnare le armi per espellere il distruttore dalle nostre città, l'invasore dalle nostre terre? ... Che dire poi dell'avversione irriducibile che avete e che fomentate verso l'alleata e leale Germania? Che ci ha fatto di male? ... Parliamoci chiaro: costruire e non distruggere; comprensione e concordia e non avversione sistematica ... Offriamo tutto alla patria in pericolo: se occorre, come sempre fecero i grandi della Chiesa, anche i sacri arredi e i calici: questo è vero amor patrio. Il clero ha avuto dal fascismo ogni vantaggio ... stampa propria, privilegi e diritti di questua, compreso il grano in regime di tesseramento annonario ... In compenso 13
il clero non ha mai affiancato sinceramentete il regime e con la sua metodica propaganda spicciola ... è riuscita a diffondere un senso di incertezza nelle coscienze e un'avversione verso ciò che promanava dallo Stato, tanto da contribuire al tradimento che ci doveva portare inevitabilmente al 25 luglio .... Mai che abbia sentito un prete insorgere in nome dell' ideale di patria, ma ... frecciate metaforiche all'indirizzo del Fascismo e delle sue istituzioni l2 •
Alla dichiarata politica della mano tesa subentra il desiderio di fare finalmente i conti con quanto nel passato non era stato possibile ricondurre agli schemi dell'ortodossia più rigorosa, compresa, come detto, la Chiesa cattolica nelle sue gerarchie formate ormai da "bestemmiatori della Patria, sobillatori dell'odio antifascista"13. Significativamente, mentre a capo della provincia viene nominato Enzo Savorgnan l 4, al giovane Torelli subentra alla metà del mese, come Commissario della Federazione, Giuseppe Scolari, che pur relegato in posizioni di secondo piano prima del 25 luglio poteva vantare qualità fasciste indiscusse l5 • Ed è Scolari a dirigere il 19 ottobre un nuovo incontro fra vecchi squadristi. In terra reggiana intanto oltre ai sabotaggi, alla fuga davanti ai bandi di arruolamento minacciosamente ripetuti viene compiuto il primo attentato, il 16 a Gazzata di S. Martino in Rio è ucciso lo squadrista Guido Tirelli. Lo scontro si è ormai fatto aperto e i nemici sono quelli di sempre "i traditori, gli ebrei, i massoni" la lotta è ormai diventata, nelle parole di Scolari, fratricida soprattutto per la recentissima dichiarazione di guerra alla Germania da parte del Governo del Sud, tutti i traditori devono pagare: L'alloro della nostra vittoria, dopo il tradimento, è stato ora posto su di una vetta: noi vogliamo, noi dobbiamo percorrere questa ascesa, sia pure essa irta di difficoltà e di incognite, con prontezza, con fede, con serenità e con spirito di assoluta dedizione. Noi vogliamo, nel nome del Duce, nel nome dei nostri gloriosi caduti, salvare l'ltalia I6 .
L'assemblea, che simbolicamente si scioglie dopo un corteo fino al Comando Tedesco, segna una prima svolta nella linea di una Federazione che deve ancora strutturarsi completamente. La sostituzione di Torelli, avvenuta d'autorità, contrasta con la dichiarata volontà di restituire alla base un controllo diretto sulle nomine, uno dei primi proclami circa la svolta repubblicana del nuovo partito. Per il momento si continua nella nomina di Commissari Politici temporanei per i vari Fasci ricostituiti in provincia 17 , mentre la scadenza dell' iscrizione al 31 ottobre spinge ad accelerare i tempi del reclutamento. Il 24 si svolge la prima riunione di studenti medi ed universitari di Reggio e provincia, mentre si aprono le iscrizioni ai corsi ginnici e sportivi della rinata ONB ora dislocata nuovamente presso la sede GIL di via Magenta. Ai giovani vanno le attenzioni maggiori, è necessario smuoverli dal dubbio e dall'attendismo "piaga che insanguina il corpo della patria"18, devono uscire dai caffè e dai teatri per dare energie nuove alla Repubblica. Ci si rende conto di nuotare controcorrente, di operare su un terreno difficile dove la "propaganda sovversiva" ha buon gioco, ma la visione è ancora schematica, i giovani sono chiamati all'appello e si fa leva ancora sul sentimento di onore 14
e di lealtà, in fondo non ci si rivolge ad una generazione cresciuta nel Regime? La lotta è impari ma "forse Golia non era più forte di Davide?"19. L'ottimismo innanzitutto, le nuove leve devono essere sane, per definizione, e non possono essere state contaminate: «nego in loro profonde radici comuniste poiché la loro natura è intimamente refrattaria ad acquisire utopie idonee per
determinate mentalità mongoliche»20. Il Partito è nuovo e può raccogliere il meglio dell 'Italia onesta che vuoI demolire a colpi di pugnale e a colpi di cannone quella pagina te1:fibilmente breve della sua storia: 25 luglio-8 settembre ... marchi d'infamia ... E il guanto di sfida che la Patria lancia contro il destino ... Non sono più i gerarchi dalle aquile dorate e dai preziosi alamari che ci chiamano a raccolta ... non sono più i grassi e flaccidi imboscati generaloni che suonano la diana nuova, ma uomini che portano nel corpo le stigmate della fede, di una fede battezzata dal fuoco e cresimata dal sangue. Il rullo dei tamburi che scandisce il passo cadenzato di legioni in marcia suona la diana della nostra riscossa, l'ora della rinascita nazionale ... sono i caduti di Solferino e S. Martino, Curtatone e Montanara fino a Bir El Gobi. Non possiamo voltare le spalle al nostro destino; saremmo dei falliti e dei diseredati ... Uniamo il nostro passo a quello dei legionari che già marciano sulla via dell'onore. Finalmente il 6 novembre si tiene la prima assemblea del Fascio Repubblicano, all'ordine del giorno una serie di nomine di rilievo, previste esplicitamente dalle direttive di Pavolini emanate il 20 settembre. Innanzitutto il Commissario Federale poi due Commissioni, la prima incaricata di vagliare le domande di ammissione al PFR, compito essenziale in un partito nuovo che vuole fare davvero piazza pulita, l'altra incaricata di denunciare i traditori al Tribunale Speciale provinciale. Questo quanto previsto dalla solerte macchina organizzati va, ma la prima verifica pubblica sugli equilibri interni alla Federazione reggiana conferma i dubbi sulla rinnovata volontà di cambiare veramente strada. Quanto si svolge quella sera richiama alla mente l'atmosfera del fascio reggiano del 1931 quando solo l'intervento prefettizio evitò lo scontro aperto fra Federale e Milizia. Le regole 'democratiche' che si vorrebbero dare al nuovo partito sono strumenti ignoti ai suoi membri che ne fanno un uso quantomeno singolare, riproponendo nei fatti l'endemica litigiosità del fascismo reggiano che ritrova per intero le sue antiche tradizioni: Anzitutto si è iniziato lo svolgimento dei lavori con un discorso del Commissario Federale avv. Scolari, conclusosi con la lettura di un ordine del giorno del notaio Bizzarri contro la massoneria, quando è voce pubblica ... , che egli stesso è un massone. Che cosa abbia a fare questo ordine del giorno del Bizzarri con gli scopi dell'assemblea, e come, e perché sia stata permessa la lettura da parte del Commissario Federale e del Comandante la milizia, non lo si comprende. Terminata la lettura di tale ordine del giorno è incominciata una canea indescrivibile dove ogni linea di co!rettezza è stata dimenticata e dove - nessuno - ha potuto o voluto contenerla. E stata questa un' indecenza la cui responsabilità ricade sul capo di chi aveva il diritto e il dovere di dirigere la discussione. lo, a quel posto, avrei sciolto senz'altro l'assemblea. Finalmente, l'intervento di un terzo, l'avv. Lasagni, ha potuto, attraverso difficoltà, acquietare la massa degli intervenuti, richiamando tutti presenti al principio supremo di pensare alla salvezza d'Italia. 15
Dopo di che si è - finalmente - passato alla nomina della Commissione che fu eletta con questo ordine. l° Torelli Dante, 2° Nardi Alessio ... 3°avv. Carlo Lasagni, 4° Romeo Carmelo, SOcol. Spallanzani Lazzaro. Dopo di che l'assemblea fu dichiarata sciolta. Quando oltre la metà degli intervenuti era già uscita, il Comandante Margini avvertì che l'avv. Scolari sarebbe rimasto in carica come Commissario Federale. Ma ciò fu iniziativa del Margini, non voto dell'assemblea che si è sempre disinteressata dello ~colari e non ha mai pronunciato il suo nome né mai data la sua approvazione. E quindi falso - esattamente falso - che lo Scolari sia stato acclamato Commissario Federale dall'assemblea, come afferma oggi il Solco Fascista ... 21. Ancora una volta si riprendeva la vecchia guerra per bande, stavolta apparentemente incentrata sui rinascenti contrasti generazionali - già attivi nell 'ultimo biennio di vita del Pnf - nello scontro vecchi squadristi (Scolari)/ giovani fascisti (Torelli). Lo schematismo non deve però trarre in inganno perché tali schieramenti risultano, ad un esame più approfondito che esula dall'attuale contesto, più frammentati e trasversali di quanto appaia in superficie. Scolari risulta così "eletto" dall'assemblea e gestirà la Federazione nelle tragiche vicende del novembre-dicembre fin oltre le fucilazioni del gennaio 1944, su di lui e su Savorgnan grava la responsabilità di aver mostrato in tempi brevi la capacità offensiva di una struttura statale che riesce a sostenersi, sin dai suoi primi passi, solo sull'appoggio tedesco e sulla repressione come strumento di governo. Novembre e dicembre segnano l'avvio della violenza aperta e ripetuta, il 13 lo stesso Scolari sfugge ad un attentato, il coprifuoco torna alle ore 21 mentre, su ordine del Capo della Provincia, 30 ostaggi sono arrestati in attesa di una possibile decimazione in caso di altre azioni terroristiche. Ma il reclutamento non procede, dopo la prima partenza di "volontari" diciottenni verso campi di addestramento dell 'Italia centrale, il riaperto distretto militare provvisoriamente dislocato in via S. Rocco aspetta invano, i bandi a firma del col. Battaglia si succedono senza efficacia, i soldati restano alla macchia, gli uomini del "più niente da fare"22 si defilano, il ricordo deli vagoni piombati verso la Germania non è certo un incentivo efficace all'adesione. Quelli che una scelta 1'hanno già fatta cercano alternative: il 18 novembre circa 100 reclute che viaggiano da Sassuolo a Reggio fuggono «perché il trattamento loro usato era cattivo e demoralizzante: mancata distribuzione del rancio, gavette sporche, mancata distribuzione di coperte» e rientrano alle loro case. La Milizia ferroviaria di Reggio ne cattura 18 e li consegna al comando provinciale militare 23 • La situazione resta come bloccata mentre l'occupante richiede una collaborazione sempre più ampia alle neonate forze fasciste e chiede, impone, precisa le modalità della "brutale amicizia". Non solo gli approvvigionamenti di carburanti, mezzi e materie prime, anche regole minute riguardo la disciplina della circolazione stradale sono oggetto di bandi e ordinanze. Il 3 dicembre è richiamata in servizio la contraerea, entro il 15 i soldati sbandati dovranno presentarsi ai Municipi pena il deferimento ai Tribunali militari e il coinvolgimento dei rispettivi nuclei familiari: la "responsabilità parentale" inventata e codificata dai repubblicani. Il 15 dicembre Giovanni Fagiani, seniore della Milizia, è ucciso presso 16
Cavriago, la figlia gravemente ferita, scattano le indagini, si perquisiscono case, si operano fermi, la 79a Legione GNR con il suo braccio politico dell 'UPI può muoversi con ampia discrezione, si operano arresti ma gli indizi sono evanescenti, il Tribunale Speciale deve ammettere il fallimento, l'inchiesta passa alla Questura senza fortuna migliore. Interviene in prima persona la Prefettura: multa di f. 50.000 al comune di Cavriago salvo la pronta denuncia dei responsabili. La multa sarà pagata. Savorgnan verifica nei fatti l'incapacità tradizionale del Partito e delle sue strutture operative e si assume il compito tradizionale di gestione della provincia, la subalternità della struttura partito è ribadita, lo Stato, ora Repubblicano, rimane il vero, efficace arbitro della situazione, ai fascisti rimangono le minaccie (per ora) che diverranno tragica realtà di lì a poco: Per ognuno dei nostri che verrà colpito dieci, cento, mille degli altri. Tutto il sangue imbastardito dei prezzolati sicari, dei cinici assassini, degli abietti e spregevoli mandanti ... se si vuole salvare [la Patria] deve eliminare con tagli netti e decisi la parte invigliacchita e incancrenita che ostacola e minaccia la sua stessa esistenza; e deve farlo con coraggio, asportando se occorre anche una parte non completamente infetta ... 24.
Il fascismo repubbblicano a Reggio Emilia: una crisi congenita? Abbiamo visto come il PFR a Reggio Emilia nasca sulle orme ben precise del PNF ereditandone le debolezze strutturali e caratteriali. Nel prosieguo mi sembra interessante riscontrare due momenti di particolare congiuntura in cui questi limiti appaiono particolarmente evidenti. La pressoché immediata dimostrazione di incapacità del Fascio reggiano di rispondere alle prime avvisaglie dell'azione partigiana ne segna la subordinazione all'azione della Prefettura rispecchiando fedelmente in questo senso i lineamenti dell'andamento generale della vicenda-Repubblica di Salò in cui il mai sopito desiderio di revanche della struttura partito nei confronti della struttura-Stato doveva incontrare nuove, cocenti sconfitte, tanto più brucianti nel momento in cui il nuovo Stato poteva a ragione dirsi integralmente fascista e liberato dai vincoli di sudditanza alla monarchia che, nella mistica repubblicana, avevano minato il regime alle fondamenta 25 • Di nuovo si fanno spazio i vecchi particolarismi locali, le vendette spesso personali minano la compattezza dell' insieme, il desiderio, sempre più evidente, di conservare vecchie posizioni acquisite spingono ad un conflitto inevitabile fra PFR e Prefettura. Le armi sono quelle di sempre, le denunce anonime, le lotte di corridoio, la ricerca di alleanze sotterranee. Ancora agli inizi del 1944 la situazione non è stabilizzata, la reazione della ricostituita GNR non è all'altezza dei compiti, le minacce di personaggi come Wender26 hanno portato ben poco costrutto. Savorgnan è attaccato con promemoria anonimi indirizzati direttamente al Segretario del PFR: Il Capo della provincia di Reggio Emilia ha un atteggiamento conciliativo coi sovversivi e talvolta di protezione degli stessi. L'avvocato Fornaciari Piero, il dr. Ferrari, entrambi propagandisti antifascisti e organizzatori di azioni sovversive, specie negli infausti giorni dal 25 luglio all'8 settembre, rimasero detenuti nelle carceri legionali per breve tempo e furono dimessi senza alcun procedimento 17
penale a loro carico, per ordine del Capo della Provincia, il quale si preoccupò di garantire la tranquillità dei suddetti mediante suo preciso ordine scritto diretto al Comando della Legione. Il 24 novembre 1943, dopo vivace combattimento sostenuto dal reparto di polizia della GNR vennero catturati in Campeggine (sic) di Gallatico (sic), i sette fratelli Cervi oltre a cinque PG [prigionieri di guerra] nemici e un rinnegato. La esecuzione degli suddetti - all' infuori dei PG reclamata dai fascisti, dai legionari e da gran parte della massa onesta e benpensante, avvenne verso la fine del mese di dicembre dopo l'assassinio del compianto Console Fagiani, del grave ferimento, della di lui figlia, e dell'uccisione del Segretario Comunale di Bagnolo. A seguito dei luttuosi e frequenti avvenimenti in Reggio Em. furono effettuati arresti dei maggiori esponenti del sovversivismo locale, la cui detenzione nel carcere legionale si limitò a poche ore essendo intervenuto personalmente il Capo della Provincia per la loro liberazione (i sovversivi avevano ricevuto l'invito dal Capo della Provincia di collaborare con i fascisti dando ad essi l'assicurazione che nessun legionario li avrebbe perseguiti). In tal caso dette precisi ordini al Reparto di polizia. Il Capo della Provincia di Reggio ha più volte dichiarato e ribadito il suo principio di contrarietà alla coercizione ed alla reazione: intanto le vittime continuano a cadere sotto il piombo degli assassini 27 •
Accuse quantomeno ingenerose per uno dei responsabili della fucilazione dei sette Cervi e di Camurri e a pochi giorni dall'esecuzione di don Borghi e compagni. Ma la debolezza fascista a Reggio era nota ed avvertita anche e soprattutto dall'alleato germanico che si rende conto sin dalle prime settimane della scarsa affidabilità delle gerarchie e strutture repubblicane: La maggioranza della popolazione è contraria non soltanto al Partito fascista repubblicano, ma anche alla forma repubblicana dello Stato. L'avversione personale viene espressa apertamente in misura sempre crescente. Il nuovo Stato italiano trova sostegno soltanto nel gruppo relativamente esile dei fascisti ... I seguaci del partito vengono chiamati dal popolo "repubblicani" e questa denominazione sembra diventare in modo sempre più chiaro un giudizio dispregiativo. La crescente distanza delle larghe masse dal nuovo regime dipende in misura non piccola anche dal fatto che persone sospette di avversare il regime sono state arrestate senza indicazione del motivo e si trovano da molte settimane in custodia della polizia2H •
L'adesione popolare alla RSI viene continuamente monitorata dalle autorità di occupazione e la lettura dei rapporti della Militarkommandantur 1008, competente per territorio, riporta il quadro fedele di un decollo mancato e del progressivo impaludarsi, settimana dopo settimana, dell' amministrazione fascista sia sotto il profilo politico che amministrativo in una città colpita dai bombardamenti del 7-8 gennaio e segnata dalla poco convinta precettazione forzata di lavoratori per il Reich 29 e dall'altra da una provincia dove, dopo lo scontro di Cerré Solagna del 15 marzo la presenza di bande partigiane è ormai una realtà concreta. Su tutto questo la continua minaccia di incursioni aeree alleate, impegnate liberamente a battere le vie di comunicazione grazie alla completa superiorità aerea ormai conquistata. A fine marzo all' avv. Scolari succede, su designazione dello stesso Savorgnan, Armando Wender e con esso inizia una nuova ristrutturazione all'interno della federazione reggiana: Dante Torelli viene sospeso dal partito, 18
viene nominata una nuova Commissione federale di disciplina. Con l'insediamento del nuovo gruppo dirigente si verifica un' altra ondata di selezione e di epurazioni, Wender riporta alla guida del fascismo reggiano numerosi esponenti di quel fascismo squadristico più violento che già nel 1931 aveva dato la peggior prova di sé. I primi atti di Wender sono la elaborazione di elenchi di camerati fedeli (pochi) e di "ex-fascisti attualmente finestristi, apatici ed abulici anche come italiani" (numerosi)30. Questa continua messa in moto di procedimenti di "pulizia" conferma la fragilità della struttura politica repubblicana. Ad ogni cambio della guardia il PFR reggiano sembra dover ricominciare da zero, riapplicando ogni volta daccapo le prime disposizioni di Pavolini dell'ottobre 1943 circa la necessità di essere "oculatissimi e intransingenti" nell'accettazione dei nuovi iscritti3l . Il tutto mentre, a seconda della fase e del nuovo gerarca nominato, giungevano da esponenti e funzionari pubblici rivendicazioni di benemerenze fasciste e opportune richieste di scuse per la non immediata adesione alla nuova forma partit032 . In realtà l'arrivo di Wender alla carica (il 3 marzo) coincide con la fase più dura dell' attacco gappistico al PFR: dalla fine di febbraio a fine giugno sono 17 le vittime 33 fra i funzionari del PFR reggiano, mentre le strutture del partito scompaiono da tutta la zona montana e collinare. Di fronte a questa situazione il proselitismo diviene una speranza e il controllo politico è ormai consegnato alle forze di polizia e di repressione. Savorgnan dichiara che «La ragione per cui la situazione della p.s. in provincia non è ancora stabilizzata va ricercata nel fatto che le forze di polizia non sono ancora abbastanza forti e numerose» e invita Podestà e Commissari prefettizi a promuovere riunioni di propaganda per potenziare l'arruolamento nella GNR spingendosi ad affermare che «non è presupposto assolutamente indispensabile che coloro che entrano afar parte della guardia siano iscritti al PFR purché essi siano degli italiani e degli italiani a tutta prova»34, confermando così nei fatti quanto poco il nuovo partito fosse riuscito ad attirarsi le simpatie dei "veri italiani". Al termine della direzione di Wender gli iscritti al PFR non raggiungeranno mai né in città né in provincia la percentuale del l % della popolazione (rispettivamente 1256 iscritti su 152.562 e 2559 su 302619) e comunque questa quota di 3815 militanti rimarrà un livello insuperato fino alla fine del conflitt035 . Il lO marzo una manifestazione popolare a Montecavolo caccia le forze fasciste, Il lO maggio alla Lombardini sono 300 gli operai in sciopero, nonostante le disposizioni impartite da Wender per un rafforzamento della vigilanza36 . Di fronte al diffondersi degli agguati gappistici si stabilisce la necessità di permessi personali per la circolazione delle biciclette in città alla metà di aprile, ma questo non impedisce che il 24 maggio venga ucciso Giacomo Iori, figura storica dello squadrismo più violento, a pochi metri dalla Platzkommandantur cittadina. Si decreta il blocco della circolazione delle biciclette ma lo stiIlicidio delle azioni armate prosegue, mentre le azioni delle squadre d'azione si distinguono per violenza ed inefficienza (tanto da essere sciolte il 20 aprile). I presidi della GNR sono insufficientemente armati e i comandanti, ancora nella gran parte provenienti dali' Arma dei Carabinieri, non brillano, agli occhi dei repubblicani, per zelo e spirito di iniziativa. Spesso 19
si cade poi in situazioni paradossali. Nella fretta di reprimere infiltrazioni propagandistiche nemiche si era ordinato di procedere al blocco della sintonia sulle radio private, alla fine di maggio la Prefettura emana il contrordine considerato come la propaganda radiofonica della Repubblica sociale inizi ad organizzarsi in maniera adeguata37 • Il conflitto fra GNR e Arma dei Carabinieri è ormai aperto e troverà nell' estate il suo momento più alto con la progettata deportazione in Germania dei militari non "affidabili"38. Anche lo scenario nazionale contribuisce a rendere ulteriormente instabile la situazione e a perpetuare lo stato di allarme e di vigilia di un possibile, ulteriore, peggioramento della situazione. Con una circolare riservata e urgente Wender il 5 giugno (significativamente in contemporanea con la caduta di Roma) di fronte all'ormai prevedibile ripiegamento delle truppe tedesche verso nord, dispone la mobilitazione «in previsione di un incrudimento dell' attività ribellistica e terroristica, di sommosse, di agitazioni o manifestazioni antifasciste» di "tutti i fascisti disponibili" e la loro "concentrazione ... nei locali delle Case del Fascio od in altri locali appositamente scelti"39. La situazione, che si ripeterà alla fine dell'estate, e questa volta . con ben maggiori ragioni di pericolo visto l'effettivo avvicinarsi del fronte con rischio reale di sfondamento, costringe a vivere nella completa emergenza per affrontare la quale, come ricorda Pino Romualdi «il Partito sentì il dovere
di prendere decisamente, con le proprie forze trasformate in Brigate Nere, il controllo della provincie e di farsi iniziatore della lotta ad oltranza»4o. La nascita della Brigata Nera a Reggio viene condotta in prima persona da Armando Wender che con la Circolare n.l del 20 luglio chiama alla nuova fase della lotta: L'Ordine del giorno del DUCE trova la parte migliore del nostro fascismo già mobilitata e pronta ad ogni evenienza. I momenti che attraversiamo esigono però che tutti, dico tutti, i Fascisti indistintamente si radunino intorno alle vecchie Bandiere, formino un blocco saldo ed omogeneo, diano la loro piena collaborazione fino al limite delle singole possibilità, con fede ravvivata, con volontà dura, tenace e tesa più che mai verso l'azione, verso il combattimento, verso la lotta del bene contro il male. Il vecchio grido di battaglia percorra nuovamente le nostre file, riscuota l'anima degli abulici, degli incerti dei dubbiosi, dia a noi il fermento per agire, lottare de osare oggi più di ieri, domani più di oggi. Camerati! Camicie nere reggiane! vecchi e pur sempre giovani squadristi! A NOI! A NOI per la vita e le la morte! Ma già il giorno successivo con la circolare n.2 della neonata Brigata Nera reggiana precisa che i Segretari e i Commissari Politici e tutte le altre persone preposte agli organi ed agli Uffici dipendenti dalla federazione, continueranno anche per l'avvenire a svolgere i compiti precedentemente fissati, indirizzando però la massima parte della loro attività al funzionamento della mobilitazione dei fascisti ed alla formazione delle Squadre d'azione del Corpo Ausiliario delle Camicie Nere.
È già nell' origine la situazione di confusione e di equivoco fra il nuovo 20
organismo e l'apparato statale repubblicano, corpo ausiliario ma trasformazione diretta del PFR, formazione militare di élite - nei proclami - ma formata da volontari (e non) delle più diverse provenienze come "mobilitazione totalitaria sugli spalti dell 'ultima trincea"41. La nascita della Brigata Nera, lungi dal migliorare l'efficacia repressiva del movimento partigiano porta ad una ulteriore frammentazione e confusione nella operatività poliziesca repubblicana. La nuova formazione si rivela, sin dai primi passi, un "corpo separato" che agisce secondo proprie logiche e programmi "sfogando i rancori personali o [per] smania di bottino", senza rapportarsi con altre istituzioni e senza neppure la capacità di suscitare simpatie tali da rendere più incisiva l'azione di proselitismo. La ragione della crisi della B.N. è e sarà sempre ... la crisi dei quadri. Contro le precise disposizioni del DUCE si sono creati gradi militari, distribuendoli a vanvera. II DUCE ha detto: non gradi, ma funzioni di grado. Valga per tutti l'esempio di Fifino Palazzi di Correggio, creato capitano di colpo, senza che abbia fatto anche un sol giorno di militare, e senza alcuna cultura che ne giustificasse la nomina. È naturale che i veri ufficiali non vogliano riconoscere tali superiori e non vogliano arruolarsi nella B.N. Non uno ha voluto accettare. Dati i quadri i militi sono quello che sono; e d'altra parte, che cosa si può richiedere, oltre la fede, a gente mal pratica del maneggio delle armi, senza alcun addestramento alla difficilissma lotta contro i partigiani?42 L'analisi del col. Ballarino, Comandante militare provinciale, compiuta all'indomani della crisi più grave della Brigata Nera reggiana con la sua improvvisa fuga a Soncino nell' ottobre, rende conto della situazione di crisi permanente vissuta nel giro di pochi mesi. Poco alla volta la 30a Brigata Nera assume un ruolo inconciliabile con gli altri organismi repubblicani, distinguendosi soltanto per ferocia, avidità e, nel contempo, incapacità a contribuire alla lotta in corso. Dopo un mese dalla sua nascita i risultati non sono quelli sperati, le adesioni sono modeste, il consenso è limitato, i reclutati sono di età anziana e di scarse doti morali, i quadri dirigenti sono stati selezionati fra gli elementi più violenti e moralmente discutibili. Il soldo però è molto allettante (1500 lire al mese contro le appena 300 dei reparti dell'esercito) e invoglia elementi della più diversa specie, Savorgnan richiama Wender, prende misure, constata lo scollamento fra i vari settori delle forze armate: [... ] II Partito ha necessità, assoluta necessità di guadagnarsi non dico le simpatie, ma per lo meno di evitare di essere negativamente giudicato dalla feroce critica che da ogni parte gli viene mossa. Purtroppo invece il Partito in questa provincia segue da tempo la strada opposta e la sta seguendo ora più che mai. Gli uomini che sono vicini a te sono elementi pieni di burbanza di tracotanza e di "gerarchismo", mentre sono vuoti assolutamente di sensibilità e di capacità. [... ] Lo spettacolo che viene dato in pasto al grande pubblico è debilitante, poiché esso rappresenta la continuazione di tutto quello di brutto che c'era nel vecchio Partito senza la controparte di quello immenso di buono che in esso esisteva [... ]. La Patria e il Fascismo sono impegnate in una partita mortale: vogliamo trasformaria in una farsa con le nostre stesse mani?43 21
Le Brigate Nere sono il banco di prova dell'incapacità di Wender a gestire una situazione che progressivamente si sta sfaldando, volenteroso nelle intenzioni e incendiario nei proclami, Wender in realtà rimane schiacciato fra la necessità del Capo della Provincia di organizzare la difesa dalla temuta invasione e l'attacco alle formazioni partigiane e l'attività delle diverse bande, ora inquadrate nella Brigata Nera, inquadrate a formare una "specie di Stato Maggiore di irresponsabili"44, come li definirà Savorgnan stesso. Luglio 1944 è il mese che vede la massima espansione numerica (e la massima debolezza strategica) delle formazioni partigiane che le operazioni "Wallenstein" colpiranno duramente, ma in nessun modo le neonate Brigate Nere riescono ad essere di aiuto all'azione repressiva che verrà svolta integralmente dall'alleato tedesco col supporto volenteroso della GNR che per l'occasione torna sulla montagna da dove era fuggita verso la metà di giugno. In compenso si distinguono per azioni di violenza indiscriminata e per una incessante attività di diffamazione e di diffusione di voci (vere o false poco importa) indirizzate contro la Prefettura e la Questura. La situazione di confusione che regna nella Federazione reggiana sotto Wender viene segnalata più volte alla Direzione del Partito da Savorgnan45 e porta ad una serie di ispezioni amministrative, disposte dalla direzione del PFR, che rendono l'idea del clima da "ultimi giorni" (e siamo soltanto alI'agosto 1944) che regna nella sede di via Cairoli. Tralasciando le trascuratezze contabili (numero imprecisato di pasti serviti dalla mensa, diarie corrisposte a persone non identificate, spese effettuate al di fuori delle mansioni previste, personale dirigente che percepisce due indennità) colpiscono le cifre corrisposte per l'acquisto di armi da ufficiali di altri corpi della RSI (che presumibilmente in tal modo vendono le proprie dotazioni personali) o la realizzazione di un fondo "nero" di cassa realizzato con la donazione "volontaria" di tre cittadini inquisiti (e poi assolti) per vilipendio del Duce compiuto nelle giornate del luglio 1943. Il tutto mentre la creazione delle Brigate Nere, anziché aver comportato un alleggerimento del personale ha prodotto una "superstruttura" numerosa e del tutto inutile sotto il profilo gestionale. Esemplare della situazione è la "questione Massari"46. Andrea Massari, fascista novellarese, riceve da Giuseppe Scolari, all'epoca Federale (siamo nel febbraio 1944), la somma di fAOO.OOO per l'acquisto di armi sul mercato "libero". Passano i mesi ma alla federazione, dove nel frattempo si é insediato Wender, non giungono né le armi richieste né ritorna l'ingente somma. Massari diviene attivo membro delle Brigate Nere e risiede indisturbato a Novellara47 . La resa dei conti è aperta, alla metà di agosto Savorgnan chiederà l'espulsione di Wender e del suo gruppo (Bertani, Ruini, Beggi, Nardi) il Partito lo accontenterà un mese dopo. All'uscita di scena di Wender Savorgnan cosÌ commenta la sua attività: [... ] I suoi primi passi, per quanto impacciati, non furono cattivi ed io ho sperato che la situazione di Reggio potesse trovare sistemazione. In seguito, malgrado i miei ripetuti avvertimenti, il Wender si è circondato di elementi che rappresentano quanto di più disistimato esiste in provincia. Alcuni di essi addirittura già bollati 22
sia dal vecchio Pnf che dai tribunali. Di ciò ho avvertito anche il Del. Reg. del Partito Pagliani, il quale considerò senza grande interesse la cosa. Questa specie di Stato Maggiore di irresponsabili andò guadagnando terreno tanto da ipnotizzare il Federale, sicché, quando si giunse alla formazione delle Brigate Nere, esse imperversarono, malgrado ogni mio giornaliero consiglio, a dritta e a manca attirandosi la sfiducia e qualche volta creando terrore ed inquietudine in provincia. La loro azione, da me tenacemente contenuta, per molto poco non ha condotto la Provincia nelle tristi condizioni di mesi indietro. Risultati politici negativi, militari inesistenti, organizzativi meschinissimi (160-170 uomini indisciplinati e senza comando). Inoltre, da tempo a questa parte la Federazione ha stretto frequenti contatti con Comandi e Ufficiali germanici ai quali venivano fornite le più fantastiche, false e caluniose (sic) notizie sulla Questura Repubblicana e sulla Prefettura Repubblicana. Non dico che tutto questo provenisse dal Federale, ma ciò significa che egli non aveva la Federazione in mano. [ ... ]Nel complesso si era generata una di quelle situazioni che esigeva un taglio chirurgico. [ ... ] Il provvedimento della sostituzione di Wender non ha meravigliato la popolazione, è stato approvato dai buoni fascisti, ha invece provocato un certo fermento tra quegli elementi che si sentono fatalmente defenestrati e quindi privati di quello strapotere cui sono attaccatissimi [ .. .]. Questo ultimo suo atteggiamento completa il povero quadro di questo buon ragazzo poco intelligente in balia di uomini disonesti e di cose più grandi di lui [il corsivo è mio] e basta da solo a giustificare sia pure "a posteriori" il provvedimento che il Partito ha pres04~.
La crisi fra Capo della Provincia e Commissario Federale, che troverà poi il suo sbocco nell'ancora più grave fase della gestione Ferri della Brigata Nera, trova tutte le sue ragioni oltreché nella diversa personalità dei protagonisti nella essenza stessa nel difficile rapporto fra Stato e Partito che tornava a riproporsi ancora nella Repubblica di Salò, in questo senso l' esistenza delle Brigate Nere è, come estesamente esaminato da Dianella Gagliani, un punto di osservazione particolarmente utile ed efficace.
1. Lettera del prefetto Savorgnan ad A. Pavolini, segr. PFR, Maderno, 30 maggi01944 in Archivio di Stato Reggio Emilia, Archivio Prefettura Gabinetto 1915-1950 (d'ora in poi ASRE-APG) B.53: Pnf, Fase. 6: Avv. Franco Mariani. 2. Lettera dell'avv. Franco Mariani al cugino Guido Bernardini 16 settembre 1943, ivi. 3. Un appello della Reggenza della Federazione fascista repubblicana in "II Solco Fascista" (d'ora in poi SF), oltre a Torelli, qualificato come "volontario di guerra" componevano il Comitato di reggenza: Cesare Aicardi 'Combattente', Virginio Cavagni 'Sindacalista', Renato Poli 'Grande invalido'. Solo nella pubblicazione del giorno successivo figurerà anche il nome di Armando Wender 'ardito di guerra'. 4. D. Torelli, Salviamo l'Italia!, ivi, 26 settembre 1943. 5. Federazione Fascista Repubblicana. Rapporto degli squadristi, in SF, 30 setternbre 1943. 6. Un appello alla concordia del Commissario Prefettizio Rabotti, ivi, 1 ottobre 1943. 7. Norme per l'iscrizione al Partito Fascista Repubblicano, ivi, 9 ottobre 1943. 8. La vibrante lettera di un combattente al Commissario della Federazione Fascista Repubblicana, ivi, 13 ottobre 1943. Di Stefano, originario di Palermo, di professione architetto, già combattente d'Africa e Spagna fu designato alla carica di Commissario del Fascio di Baiso. 9. La voce dei camerati, ivi, 16 ottobre '43. Lettera del prof. Prospero Barbieri (RE). 10. Ibidem, Lettera di Giovanni Farina, militare Camicie Nere Raggruppamenti di assalto '21 aprile' dislocato a Lubiana. 11. B.F., Il camaleonte e il coniglio, SF, 16 ottobre 1943. 12. Dante Torelli, Parliamoci chiaro, SF, 18 ottobre 1943. 13. L'atteggiamento di taluni sacerdoti nei confronti del fascismo, ivi, 23 ottobre 1943. Le accuse
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erano contenute in una lettera, indirizzata al quotidiano, da parte di Gina Folloni "camerata di Guastalla". 14. Enzo Savorgnan (avvocato, 1901), iscritto al Pnf dal 1921, squadrista, combattente decorato, già Segretario Federale di Pola e di Verona. Trasferito a Varese nel dicembre 1944 sarà ucciso dai partigiani a liberazione avvenuta. 15. Giuseppe Scolari (avvocato, 1904), iscritto al Pnf dal 1921, squadrista, Marcia su Roma, Sciarpa Littorio, già Segretario del Fascio di S. Maurizio (1935) e Fiduciario del Gruppo Rionale 'Battisti' (1936), membro del Direttorio del Fascio di Reggio Emilia (1936) e Ispettore per la XXIW zona (1937). 16. In un'atmosfera di fervido entusiasmo la Vecchia Guardia riafferma la sua fede nel Duce, ivi,. 20 ottobre 1943. 17. Alla data del 24 ottobre sono 18 i Fasci repubblicani costituiti in provincia. 18. Attendismo, SF, 24 ottobre 1943. 19. Gioventù italiana, ivi, 23 ottobre 1943. 20. t., Ai giovani, ivi, 24 ottobre 1943. 21. Lettera di Prospero Barbieri a Capo della Provincia E. Savorgnan, 7 novembre1943 in Archivio Istoreco (d'ora in poi AISRE) B.14/1. 22. Partono i volontari repubblicani, SF, 22 ottobre 1943. 23. Citato in G. Pansa, 1/ gladio e l'al/oro. L'esercito di Salò, Mondadori, Milano, 1991, pag.33. 24. A.wender, Inesorabilità, Diana Repubbblicana, 26 dicembre 1943. 25. Per un inquadramento generale del problema si veda il sempre fondamentale: F.W.Deakin, Storia del/a Repubblica di Salò, Torino,1963, in particolare pagg.770 e segg. 26. Armando Wender (Casina,1914), ufficiale GNR, 2 anni sul fronte russo come volontario e ardito, encomio solenne e croce tedesca. Ucciso in combattimento nel marzo 1945. 27. Promemoria anonimo a A. Pavolini, 24 gennaio 1944 in AISRE,B14H-Carteggio fascistal Vari documenti amministrativi. 28. Relazione n.5. relazione della MK1008, Parma, gruppo amministrativo, per il periodo dal 16/12/1943 al 15/111944 in "Storia e documenti", n.5/99, pag.144 .. 29. Secondo la Circolare del 6 maggio della Prefettura le Commissioni Comunali per la compilazione elenchi lavoratori per la Germania dovevano reclutare la manodopera richiesta ma senza che «rimanga gravemente compromessa l'economia agricola locale ... sarà bene che i componenti delle commissioni locali ricordino d'inserire negli elenchi le persone notoriamente sfaccendate, i piccoli artigiani, i quali a seguito delle attuali contingenze che limitano le loro attività hanno centupliato il prezzo delle loro prestazioni». Si consigliava di far uso della consulenza del fiduciario locale degli agricoltori, escludendo dagli elenchi mezzadri e affittuari la cui presenza sull'azienda fosse considerata idnispensabile. Il documento è in AISRE B14AFederazione Fascio Repubblicano. Carteggio amministrativo con Prefettura. 30. Così Wender definiva un gruppo di professionisti che avevano richiesto l'iscrizione al PFR fra i quali l'ing. Giuseppe Allai, l'Avv. Ugo Zuccoli, l'ing. De Griffi, Avv. Guglielmo Tassoni e Ing. Venerio Zuccoli. AISREB14A-PFR Varie amministrative. 31. Partito Fascista Repubblicano, circolare n.143 ai Commissari delle Federazioni Fasciste repubblicane, s.d. (ma ottobre 1943), AISRE, B14H/1. 32. Esemplare quella del Provveditore agli studi Vittorio Casaccio (già squadrista, marcia su Roma e Sciarpa Littorio) che dopo aver accampato motivi di salute si giustifica nella convinzione che «Nel ritenere che per i vecchi fascisti di fede provata da oltre un ventennio di ininterrotta attività, non dovesse occorrere alcun atto formale perché venisse loro riconosciuto il diritto ed il dovere di continuare a servire il fascismo e il Duce». La lettera è in in AISRE, B14A-PFR Varie amministrative. Dello stesso personaggio esiste altra dichiarazione di analogo contenuto, ma di segno ovviamente opposto, inviato al CLN reggiano, all'indomani della Liberazione. 33. Cadono uccisi i Segretari politici dei Fasci repubblicani di Fabbrico, Correggio, Ramiseto e Massenzatico, la segretaria dei Fasci femminili di Guastalla, i Commissari prefettizi di Cavriago, Castelnovo Monti e S.llario. 34. Circolare Prefettura RE a Podestà e Commissari Prefettizi, Gab.n.1100, 30 marzo 1944 in AISRE, B14A-Federazione Fascio Repubblicano. Carteggio amministrativo. 35. Partito Fascista Repubblicano. Ispezione amministrativa alla Federazione Provo dei Fasci Repubblicani di Reggio Emilia, s.d. (ma 26 agosto 1944) in AISRE, B14M, fasc.7. 36. Circolare Federazione dei Fasci Repubblicani di Reggio Emilia ai Segretari e Commissari Politici dei Fasci repubblicani, 27 aprile 1944 n.5 (urgentissima e riservata). AISRE, B14M. 37. Circolare 22 maggio 1944 n. 2045 Prefettura RE a Podestà e Commissari Prefettizi, Segretari Politici e Commissari Fasci in AISRE B14A-Federazione Fascio Repubblicano. Carteggio 24
amministrativo con Prefettura. 38. G.Franzini, Storia della Resistenza reggiana, Anpi Reggio Emilia, III ed., pag.240-1. 39. Circolare Federazione dei Fasci Repubblicani di Reggio Emilia ai Segretari e Commissari Politici dei Fasci repubblicani, 5 giugno 1944 n. 9 (riservata urgente). AISRE, B14H/1. 40. Repubblica Sociale italiana. Storia, Centro editoriale nazionale, Roma 1959, pag.376-8, citato in D.Gagliani, Brigate Nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Bollati Boringheri 1999, pago 23. Per un esame approfondito della vicenda delle Brigate Nere si rimanda a questo testo di grande rilevanza e acutezza. 41. Corpo Ausiliario CC.NN.-Brigata Nera di Reggio Emilia, circolare n.5, 26 luglio 1944 in AISRE, B14H, fasc. 1. 42. Guardia Nazionale Repubblicana. Comando Provinciale di Reggio Emilia, rapporto al Capo della Provincia, 16 novembre 1944 in AISRE, B14H, fasc.1. 43. Lettera di E. Savorgnan ad A. Wender, 29 luglio1944, in ASRE-APG,B.53: Pnf Fasc.11: Comm.rio Fed. Armando Wender (fascicolo personale). 44. Lettera di E. Savorgnan al Segretario PFR, 16 agosto 1944, ivi. 45. Lettera di E. Savorgnan al Segretario PFR, 22 luglio1944, in AISRE B14H, fasc.1. 46. Andrea Massari (1901) viene arrestato nel settembre 1944 per non aver reso conto della somma di E.50.000 avuta per l'acquisto di pallottole. Ucciso il 24 aprile 1945. 47. Ispezione amministrativa effettuata dall'Ispettore amministrativo del PFR rag. Dante Toniutti alla Federazione Provinciale di Reggio Emilia nei giorni 23, 24, 25, 26 agosto 1944 in AISRE B14M, fasc.7. 48. Lettera di E. Savorgnan al Segretario PFR, 16 agosto 1944, ASRE-APG, B.53: Pnf, Fasc.11: Commissario Fed. Armando Wender (fascicolo personale).
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Reggio Emilia nelle carte della Militarkommandantur 1008 MARCO MINARDI
Contrariamente ai primi orientamenti del governo tedesco favorevoli ad una amministrazione civile, un "ordine del Fiihrer" del l O ottobre 1943 rese definitiva l'amministrazione militare dei territori occupati in Italia l • Nelle province centro-settentrionali vennero pertanto istituiti comandi territoriali diretti da ufficiali dell' amministrazione militare tedesca che avrebbero dovuto svolgere funzioni amministrative e di governo, affiancando gli organi locali del governo collaborazionista di Mussolini, in rispetto di quella "doppia strategia di governo del paese" voluta da Hitler, come ricorda Lutz Klinkhammer 2 • I! comando territoriale, Militarkommandantur 1008, con giurisdizione nelle tre province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia stabilì la propria sede a Parma, dislocando comandi piazza nei tre capoluoghi di provincia e in alcune località minori ma strategicamente importanti. Fonti principli per comprendere l'azione amministrativa del comando tedesco restano le relazioni mensili che gli ufficiali inviavano ai propri superiori alla metà, circa, di ogni mese3 Anche alcuni documenti relativi ad azioni antipartigiane sono giunti fino a noi, senza però aggiungere molto a ciò che emerge dalle relazioni ufficiali del 'Gruppo amministrativo' della Militarkommandantur 1008. I! principale inconveniente della documentazione militare è quello temporale. Infatti l'ultimo rapporto di cui disponiamo è datato 15 settembre 1944, dopo il quale vi è, allo stato attuale delle ricerche, il vuoto assoluto. Si tratta quindi di una documentazione che chiarisce parecchie vicende solo però fino all'indomani della Operazione WalIenstein (il grande rastrellamento militare d'estate che investì la zona a sud della via Emilia tra le statali 62 della Cisa e 63 del Cerreto). Nel suo limitato arco cronologico, la documentazione consente tuttavia di individuare la peculiarità dell' iniziativa tedesca durante i mesi nei quali l'azione amministrativa ebbe un certo spazio d'intervento, prima di essere sopraffatta da quella squisitamente militare, simboleggiata dall'Operazione WalIenstein. Alcuni problemi che la Militarkommandantur 1008 si trovò ad affrontare fin dal suo insediamento si dimostreranno strutturali nel corso dei mesi successivi finendo col condizionare gran parte degli sforzi tedeschi. La situazione si manifestò subito difficile anche a causa della carenza di personale, "di funzionari amministrativi per il collegamento con la Militarkommandantur 1008" da parte dei comandi piazza, collegamenti 27
resi ancor più critici dai bombardamenti aerei e dai sabotaggi dei partigiani. Il cattivo funzionamento dei collegamenti tra la "periferia" e il "centro" incise seriamente sulla capacità del comando di soddisfare le richieste di forza lavoro e di prodotti alimentari che giungevano dai comandi militari della zona ma anche dalle strutture del Reich che si occupavano della situazione in Germania. A fianco alle difficoltà organizzati ve, altri fattori "esterni" contribuirono a ostacolare il lavoro del comando di Parma, innanzitutto l'ostilità che circondava le truppe d'occupazione. Già nella seconda relazione del 15 ottobre 1943 la Militarkommandantur 1008 affermava che "lo stato d'animo della popolazione deve essere caratterizzato per il 90% avverso alla Germania"4, mentre in quella seguente veniva ricordato come tra la popolazione dominasse "una generale stanchezza della guerra"5 e che i tedeschi erano visti come coloro che volevano proseguire la guerra, anche dopo l'armistizio del settembre 1943. Una seconda difficoltà era rappresentata dalla "scarsissima risonanza del nuovo Partito fascista". Il comando tedesco ricordava tra l'altro che in ottobre, "nel giorno della celebrazione della Marcia su Roma, la manifestazione si è svolta quasi senza partecipazione della popolazione"6. Benché (l'osservazione è del gennaio 1944) "tutti gli uffici pubblici di rilievo siano occupati da membri del partito, che può disporre cosÌ di tutte le istituzioni della vita pubblica, esso non è finora riuscito né ad aumentare in modo degno di nota il numero dei suoi membri, né a suscitare nel popolo comprensione per il regime repubblicano"7. Le autorità tedesche individuavano anzi nel comportamento repressivo e indiscriminato delle autorità fascista nell' affrontare la loro impopolarità le cause della crescente adesione all'antifascismo: "La crescente distanza delle masse dal nuovo regime dipende in misura non piccola anche dal fatto che persone sospette di avversare il regime sono state arrestate senza indicazione di motivo e si trovano da molte settimane in custodia della polizia"8. Un terzo elemento di debolezza era rappresentato dal discredito che circondava le forze dell' ordine. Già in dicembre le autorità tedesche avanzavano seri dubbi sulla loro credibilità: "In pubblico la polizia urbana mostra poca o nessuna energia", mentre nei confronti "dei carabinieri e della Milizia la popolazione continua a dimostrare sfiducia"9. In luglio, stando al comando tedesco, "i prefetti hanno quasi completamente perduto la loro autorità. Le loro disposizioni vengono più o meno ignorate tanto più che a loro mancano i mezzi per farle rispettare". Di questa situazione finÌ per soffrire anche "il lavoro dell' Amministrazione militare poiché ovunque essa debba fare affidamento sulla collaborazione degli uffici italiani, nonostante la disponibilità dei prefetti, non c'è garanzia che le misure da mettere in atto da parte italiana lo siano veramente"IO. In agosto con il fronte ormai a ridosso degli Appennini tutto l'apparato amministrativo, civile e militare sembrava dover franare, come ricorda sempre il comando tedesco: "Mentre finora si poteva fare conto sulla disponibilità a collaborare alla quale spesso mancavano solo i necessari mezzi, ora gli organi locali iniziano a mostrare una negligenza che deve essere definita quasi come mancanza di volontà" Il. La prima relazione redatta dalla Militarkommandantur 1008 risale al 5 ottobre 1943. Si tratta di un documento breve destinato a raccogliere le 28
impressioni generali all'indomani dell'insediamento. In seguito i rapporti mensili acquisirono una forma standardizzata suddivisa in punti riguardanti: l'amministrazione generale, le finanze, il lavoro, il traffico, l'economia, 1'alimentazione e l'agricoltura, il calmiere dei prezzi e i problemi delle requisizione di alloggi, l'utilizzo di servizi da parte dell' esercito d'occupazione e il relativo indennizzo ai proprietari. Il problema rappresentato dall'opposizione, anche armata, alla presenza tedesca è accennato in apertura di relazione, nell'ambito dell '''amministrazione generale", che specificatamente riguardava la situazione politica, lo stato d'animo della popolazione, l'amministrazione locale, la sicurezza e l'ordine. Un qualche rilievo venne dato agli attentati contro tedeschi e fascisti, ma soprattutto agli atti di sabotaggio e ai danni provocati dai bombardamenti aerei '2 . Per ciò che concerne la presenza di formazioni partigiane sui monti, le relazioni dapprima non manifestarono grandi preoccupazioni. In febbraio si parla di ribelli "presenti solo in piccole bande, composte dagli elementi più disperati (pregiudicati, studenti, ausiliari, diseltori, prigionieri di guerra evasi di tutte le nazionalità)"'3. Non si poteva quindi parlare, secondo il comando territoriale tedesco, di un fenomeno di "importanza militare", sebbene i reparti clandestini adottassero già tecniche proprie della guerriglia per sfuggire al controllo nemico, stazionando spesso "nelle zone di confine del territorio della Kommandantur, cambiando spesso località in modo da sfruttare le diverse competenze territoriali delle autorità tedesche e italiane" 14. Sarà solo in giugno che l'atteggiamento tedesco muterà in modo drastico, in coincidenza con il grande flusso di giovani verso le formazioni partigiane. Scrive il comando tedesco: "La situazione delle bande si è straordinariamente aggravata. Le bande controllano e terrorizzano indisturbate grandi aree nella parte meridionale di tutte e tre le provincie e ripetutamente si spingono, in parte motorizzate, in pianura. Il disarmo delle stazioni della GNR, la requisizione di autocorriere e veicoli sono all'ordine del giorno"'5. Con il fronte ormai prossimo, la Militarkommandantur 1008 è costretta ad osservare il movimento partigiano sotto un'altra luce. Se inizialmente dimostrava scarso interesse per i problemi militari provocati dalle azioni dei gruppi armati, ora doveva prendere atto che i reparti partigiani erano una minaccia per il rifornimento del fronte. Tutto appariva assai più drammatico e degno di attenzione: i metodi che divenivano necessari erano quelli della repressione armata. Tre comunque rimasero gli argomenti predominanti nelle relazioni mensili durante l'arco di tempo dall'ottobre 1943 al settembre 1944: le requisizioni e la crisi finanziaria del Comune, il reperimento di generi alimentari e la ricerca di uomini per il lavoro coatto.
Requisizioni e crisi finanziaria dei comuni La situazione finanziaria dei comuni durante l'occupazione tedesca era disastrosa. Il dovere delle autorità provinciali fasciste di reperire le risorse finanziarie necessarie a mantenere l'esercito di occupazione fu in genere troppo gravoso per le loro fragili strutture. Già prima dell' otto settembre i bilanci comunali avevano subito forti disavanzi, principalmente per il doppio effetto del calo del gettito proveniente dalla tassa sui consumi, fortemente in crisi durante i primi anni di guerra e crollati in seguito all'occupazione 29
tedesca, e del contemporaneo rialzo delle uscite. Nel dicembre del '43 un brusco aumento al 40% di stipendi e salari ai dipendenti, reso necessario dall'inflazione, contribuì a dissanguare ulteriormente le magre finanze locali 16. Va ricordata anche l'impossibilità dei comuni di inasprire le tasse essendo stati ormai raggiunti da tempo i limiti massimi consentiti dalla legge. Del resto l'aumento incontrollato dei prezzi aveva ridotto drasticamente il potere d'acquisto dei salari, cosa che in qualche modo finì per frenare, come ricordano le autorità della Militarkommandantur 1008, l'ulteriore crescita dei prezzi, lasciando però alle autorità locali una situazione difficilissima a causa delle pesanti richieste di aumenti salariali che potevano turbare l'ordine pubblico l7 • Ai comuni restavano due soluzioni: nuovi prestiti presso la cassa depositi e prestiti, che finivano però per indebitare ulteriormente il Comune, o i sussidi statali, che giungevano con il contagocce e non erano mai sufficienti per far fronte alle spese. Nel frattempo le autorità tedesche premevano per un intervento legislativo che innalzasse i limiti massimi per le imposte comunali. Restava il grande malcontento di coloro che si erano visti requisire beni immobili o che avevano prestato il proprio lavoro al servizio dell' esercito tedesco, che finì per screditare ultriormente gli organi della RSI tra quelle categorie sociali non apertamente schierate con l'antifascismo. Solo a Reggio nel luglio '44 giacevano 413 domande di risarcimento in attesa di essere liquidate, durante i mesi di luglio e agosto in tutte e tre le province l8 solo 58 ebbero risposta. In questo caso il divario tra "centro" e periferia" è enorme: da metà agosto a metà settembre '44 il 'Gruppo amministrativo' sbrigò 111 pratiche relative a Parma mentre quelle risolte a Piacenza furono 4 e a Reggio addirittura nessuna l9 • Reggio appare anche in questo caso la città dove con più fatica prende forma un'amministrazione tedesca e fascista, anche soltanto per far fronte minimamente agli impegni contratti per conto dell'esercito tedesco.
Alimentazione e agricoltura L'importanza di questo settore è evidente se si considera che solo per esso la Militarkommandantur 1008 aveva previsto una forma di decentramento amministrativo, collocando a Piacenza e a Reggio due sotto sezioni guidate da altrettanti ufficiali addetti, che facevano capo a Parma. Quelli che inizialmente si presentavano come prelievi per la truppa, in breve diventarono veri e propri saccheggi; i contadini si difendevano come potevano, soprattutto eludendo gli obblighi di conferimento dei generi alimentari all'ammasso. Il fallimento degli uffici amministrativi tedeschi e fascisti fu un ulteriore fattore che spinse i comandi tedeschi a cercare una soluzione militare al problema del reperimento di generi alimentari per l'esercito e per la popolazione tedesca. A metà novembre 1943 Reggio consegnava alla Wehrmacht 6 tonnellate di burro e 12 tonnellate di formaggio 20 mentre, stando alle fonti tedesche, durante l'inverno diversi prodotti in esubero trovarono la strada per altre province dove le condizioni alimentari erano più drammatiche 21 • Reggio in quei primi mesi d'inverno appare come unà provincia dove i generi erano sufficienti, salvo patate e zucchero che dovettero essere importati. La situazione cambiò rapidamente e anche a Reggio scomparvero i prodotti agricoli. Tra il dicembre '43 e i primi mesi del '44 le autorità tedesche 30
denunciarono la carenza di prodotti e di materie prime (foraggio, latte, concimi chimici, carburante) che avrebbe potuto pregiudicare i rifornimenti alimentari per l'esercito d'occupazione. L'attenzione si concentrò sugli uffici amministrativi fascisti, sui quali venivano fatte ricadere gran parte delle responsabilità delle mancate consegne da parte dei contadini. A metà febbraio le autorità tedesche, nel denunciare l'atteggiamento approssimativo delle amministrazioni comunali nelle tre province, segnalavano come, a fronte del mancato conferimento del latte all'ammasso, queste non avessero ancora provveduto a inviare ai prefetti un' ordinanza scritta affinché intervenissero direttamente. A Reggio poi, secondo il comando tedesco, si stava sfiorando "il grottesco"22 visto che, a tutto febbraio, "una provincia agricola come quella reggiana deve oggi importare latte da altre province"23 . Sebbene le previsioni degli uffici italiani fossero ottimiste le difficoltà rimasero per tutto l'inverno e la primavera del '44. Molte speranze vennero riposte nel raccolto del' 44. Complessivamente il primo taglio del fieno risultò "buono ma piccolo", mentre il secondo "sembrava migliore"24. L'ostruzionismo contadino ne ritardò la consegna, in particolare a Reggio dove si faceva sentire una grave carenza di mais "ne mancano 6000 quintali"25, informava la relazione mensile di maggio. Enormi difficoltà scaturivano dalla quasi totale assenza di carburante, mentre la scarsità di prodotti chimici favorÌ la diffusione di insetti nocivi per le piante26 . Con la primavera le aspettative furono regolarmente eluse: il 5 maggio in tutte e tre le province erano state trasferite nei depositi dell' esercito tedesco solamente 875 tonnellate di patate, contro le 22.660 promesse 27 • A metà maggio il livelli di rifornimento del bestiame ai mercati, in particolare nelle zone montane, veniva definito "cattivo", anche se molte responsabilità venivano addossate alla presenza partigiani 28 . In molti casi i mercati vennero sospesi. Nel Reggiano il conferimento dei bovini passò dal 41 % nel gennaio 1944 (la carenza di foraggio aveva favorito la consegna)29 al 13% in marzo 30 . In aprile la percentuale continuò a scendere e il comando tedesco, allarmato, si rivolse alla prefettura che si impegnò a far fronte all'emergenza, inviando "uno scritto a 29 grandi proprietari e ad alcuni preti secondo il quale 7/ 12 delle consegne annuali devono essere effettuate entro maggio, pena sanzioni"31. Stesso esito per ciò che concerne il conferimento delle uova definito "un completo fallimento"; appena un quarto del previsto giunse a destinazione 32 . La situazione per quanto riguardava il grano fu inizialmente simile. A metà luglio la provincia di Reggio doveva ancora consegnare 6000 tonnellate di granoturc0 33 e mancava il mangime per suinP4, mentre la trebbiatura andava a rilento a Parma e a Reggio per mancanza di carburante: nelle due province mancavano infatti 500 tonnellate di carburante solo per completare la trebbiatura35 • Da quando il petrolio estratto nella zona di Fornovo Taro,. nel Parmense, veniva destinato prevalentemente ad usi militari, la scarsità di combustibile si faceva sentire ancora di più. Al termine dell' estate il conferimento dei cereali, per le tre province, è giudicato positivo dagli ufficiali addetti della Militarkommandantur 1008, salvo per le zone montane "controllate dalle bande"36. Per lo stesso motivo scarseggiava la legna da ardere, disponibile in abbondanza sull'Appennino, 31
controllato in gran parte dalle formazioni partigiane. Gli insuccessi subiti dagli organi amministrativi tedeschi e fascisti nel campo dei rifornimenti alimentari ridusse ulteriormente la loro credibilità, in particolare nella "periferia" della Militarkommandantur 1008; a Parma bene o male il controllo rimase superiore con risultati meno negativi. Inoltre il grande sforzo richiesto dalle autorità tedesche di reprimere, o per lo meno di ridimensionare il fenomeno del mercato nero, garantendo così il conferimento dei prodotti agricoli all'ammasso, non ebbe successo, con ulteriore danno della credibilità delle autorità fasciste. Non sorprende quindi, alla luce della situazione che si andò sviluppando tra inverno e primavera del '44, che la soluzione del problema inerente al recupero di generi alimentari venisse presto concepita in termini strettamente militari. La fine della documentazione coincide, casualmente, con il prevalere dell' azione militare su quella amministrativa in materia di reclutamento di forza lavoro e di recupero di beni alimentari, in primo luogo la carne. Rientra tuttavia nella documentazione rimasta il primo grande rastrellamento di uomini e bestie compiuto in luglio nelle zone appenniniche dell 'Emilia occidentale. Un' azione violenta e crudele che non risparmiò nessuno che si fosse trovato sulla strada percorsa dai reparti nazifascisti.
Manodopera e deportazione Tra l'inverno e l'estate '44 gli ufficiali addetti al settore "Lavoro" del Gruppo amministrativo della Militarkommandantur 1008, in collaborazione con gli uffici locali fascisti, furono strenuamente impegnati nell' arruolamento di lavoratori da inviare nelle fabbriche in Germania o da impiegare nelle opere di difesa militare in Italia. L'esito fu piuttosto deludente e le autorità tedesche ritennero necessario ricorrere a metodi coatti per far fronte alle richieste che giungevano dalla Germania. La documentazione della Militarkommandantur 1008 consente, seppur schematicamente, di seguire le fasi dell'insuccesso, delineatosi fin dai primi mesi dell'occupazione. In una zona prevalentemente agricola, salvo l'importante eccezione delle Officine Reggiane, il principale bacino cui attinsero erano le campagne, che tra l'altro sempre meno avevano necessità di lavoratori stagionali 37 . Nel settore industriale, a parte le fabbriche impegnate nel sostenere lo sforzo bellico, il crollo del mercato e la carenza di materie prime e di carburante aveva spinto molte aziende a sospendere la produzione, liberando forza lavoro, suscettibile, sulla carta, di essere trasferita in Germania. Tuttavia diversi industriali riuscirono a ottenere dalla Organizzazione TOOT (OT)38 l'esecuzione di lavori e quindi la possibilità di continuare a impiegare i propri dipendenti, evitando loro il trasferimento in Germania. Secondo le relazioni mensili della Militarkommandantur 1008, risulta che già a novembre 1943 gran parte del reclutamento di manodopera avviene nel Parmense. La relazione di metà novembre segnala infatti la partenza di 60 lavoratori (46 uomini e 14 donne) tutti provenienti dalla provincia parmense. Anche nel reclutamento della forza lavoro, come per il bestiame, la "periferia" appariva distante e difficile da controllare. Reggio e Piacenza infatti, come ricorda la Militarkommandantur 1008, "non hanno inviato loro rapporti entro il termine di scadenza della presente relazione"39. 32
Nei mesi seguenti giunsero i dati dalla periferia, ponendo in evidenza come il reclutamento risultasse ben al di sotto di quelli, pur modesti, di Parma. Tra la seconda metà di dicembre e la prima di gennaio da Reggio partirono per la Germania 147 lavoratori (113 uomini e 34 donne) dei 185 previsti (146 uomini e 39 donne)40, pari al 24%, e da Piacenza appena il 4% del totale previsto per le tre province. Il Parmense continuò a rappresentare il serbatoio principale per il reclutamento operaio della zona: nel corso di quei trenta giorni la provincia di Parma contribuì con il 72% del totale. Molti erano "esonerati" per motivi di età e soprattutto di salute. Si trattava quindi di cifre ben al di sotto delle aspettative, se si considera che nel Reich si attendevano 30 000 lavoratori agricoli dalle tre province 41 . Appariva insomma chiaro che il reclutamento volontario, nonostante la disoccupazione crescente, dava risultati fallimentari. A nulla valsero le misure messe in atto dalla RSI tendenti ad ostacolare l'assunzione dei giovani delle classi '23, '24, '25 42 e i crescenti licenziamenti di impiegati e impiegate in tutte e tre le province43 . Le autorità amministrative della Militarkommandantur 1008 tentarono spiegazioni generiche come la scarsa affezione dei lavoratori emiliani al trasferimento in aziende tedesche o come il pessimo livello dell'informazione preventiva che in altre condizioni avrebbe favorito, secondo loro, un maggiore afflusso agli uffici di reclutamento. Il comando sostenne anche che "le paghe locali sono in parte più alte che nel Reich"44. Con maggiori misure di controllo, in marzo da Reggio 175 lavoratori su 434 precettati partirono per il Reich (40,3%). Ma la tendenza positiva durò pochissimo: in aprile appena 84 lavoratori (65 uomini e 16 donne) su 829 precettati varcarono i confini diretti in Germania (9,8%); da Parma furono 101 (81 uomini e 20 donne) su 770 (22,3%), e da Piacenza 75 (64 uomini e Il donne) su 337 (13,1 %). Di fronte al più che evidente fallimento in un settore considerato strategico l'amministrazione militare tedesca e gli uffici della RSI accentuarono il carattere coatto degli "arruolamenti": attraverso la "scrematura nelle carceri" e i rastrellamenti della popolazione civile in zone considerate d'influenza partigiana, così come l'esercito italiano aveva fatto qualche anno prima durante la lotta contro i partigiani sloveni e croati, in seguito all'occupazione della Jugoslavia occidentale. Meno difficili da reperire erano i lavoratori per l'impiego in Italia. In febbraio 4000 uomini erano impegnati nel ripristino delle piste di volo e delle infrastrutture necessarie alla piena funzionalità dei tre aeroporti: a San Damiano (Piacenza) 2500, a Parma 2100 e a Reggio 400 45 . Da Reggio inoltre, a partire dall'Il aprile, un "battaglione lavoratori" composto da 520 uomini, diviso in scaglioni di 104 per volta, raggiunse la costa adriatica per essere impiegato nella "fortificazione della costa"46. Ma anche qui le richieste erano elevatissime. A fine mese gli uffici tedeschi stimavano in l 0700 il fabbisogno di manodopera per il lavoro nelle risaie: 7700 nel vercellese e nel piacentino e 3000 nel reggian0 47 . Ai primi di giugno gli ufficiali addetti al settore "lavoro" erano in grado di mettere a disposizione solo i 3000 lavoratori necessari per il reggian0 48 . Sia per i bisogni di manodopera del reggiano sia soprattutto per l'alto numero di coloro che si sottraevano volutamente alla chiamata, i lavoratori che giunsero in Germania erano in quantità assai inferiore alle più pessimistiche aspettative. A fine maggio una relazione lamentava che "anche questo mese, le richieste di lavoratori da parte degli 33
uffici non potranno essere completamente soddisfatte"49. Con l'estate la situazione non si modificò. In giugno "tutti gli sforzi si sono concentrati sull 'incetta esulI 'impiego della manodopera nelle sempre più numerose misure di emergenza"50. Nella relazione mensile di metà luglio si scrive: "Poiché da un lato la popolazione urbana si è trasferita nei comuni rurali e poiché dall'altro gran parte delle tre province è in mano alle bande, l'incetta di manodopera diventa di giorno in giorno più difficile"51. Inoltre era ormai chiara l'assoluta incapacità degli uffici locali della RSI a porre un qualche rimedio al problema. Agli inizi di luglio "tutto il settore dell' incetta di manodopera è ora nelle mani della sezione lavoro poichè le autorità italiane non sono più in grado di sopperirvi"; ma la sezione non dispone di sufficienti poteri e quindi i risultati conseguiti risultano"minimi"52. Prese così sempre più consistenza l'azione coercitiva verso gli uomini abili al lavoro e non impegnati nelle forze armate, che attraverso l'intervento militare, in particolare nelle zone partigiane, si riprometteva di recuperare manovalanza per l'invio in Germania o per l'impiego nella TODT. Intanto continuava, coi soliti modesti risultati, la precettazione per classi escluse quelle richiamate dall'esercito fascista (a Reggio su 126 presentati appartenenti alle classi 1920, '21 e '26, 22 vennero assegnati alla Organizzazione Todt, 33 vennero dichiarati abili all'impiego nel Reich, 13 all'impiego in Italia, 58 riformati 53 e il prelievo dalle carceri (dalle tre province partirono tra i lO e i 20 uomini)54. II definitivo prevalere dell' azione militare venne sancito con l'Operazione Wallenstein che investì la zona montana tra le due più importanti arterie stradali che attraverso l'Appennino parmense-reggiano collegavano il fronte con la pianura padana - le statali 62 della Cisa e 63 del Cerreto. II parmense pagò il prezzo più alto in numero di fermati (2500) e di deportati (950). Reggio città restava tra i capoluoghi la fonte migliore per i tedeschi, per via della presenza delle officine Meccaniche Reggiane. In giugno da Reggio partirono 119 lavoratori, mentre 54 provenivano da Piacenza e 19 da Parma55 . Nel frattempo il numero di cantieri aperti a Reggio era ridotto a uno, contro i 15 di Parma e gli 8 di Piacenza. Le autorità territoriali tedesche si dichiararono soddisfatte del bottino realizzato nel corso di luglio sia attraverso "l'azione nelle prigioni" che in seguito a "rastrellamenti in zona partigiana", che hanno "portato buoni risultati per l'impiego nel Reich"56. Difficile distinguere con precisione la provenienza dei deportati. Restano comunque le cifre del campo di Bibbiano, che raccolse i rastrellati della val d'Enza (parmense e reggiana). Durante la prima fase, 1-5 luglio' 44, furono deportate al campo di Bibbiano 2500 persone: 1050 rilasciate in quanto già impiegate presso la TODT, o presso centrali elettriche o ancora riconosciuti come vecchi fascisti (anche se in molti casi questa qualità venne trascurata) o in quanto sacerdoti 57 . Al termine delle operazioni 1105 furono i lavoratori inviati in Germania, mentre 345 vennero impiegati nei cantieri TODT in Italia58 . Durante la seconda fase della Operazione, dal 18 al 29 luglio 1199 persone furono portate al lager di Bibbiano: 285 vennero rilasciate subito, mentre 693, ritenute abili a svolgere un lavoro nel Reich, vennero trasferite in Germania, transitando per i lager di Suzzara e Verona 59 . DalI "'azione nelle prigioni" il bottino fu assai magro: dalle carceri di Reggio furono deportati 50 uomini e 3 donne mentre dalle tre province partirono spontaneamente 145 lavoratori60 . 34
La documentazione si interrompe qui, le relazioni mensili del Militarkommandantur 1008 redatte dopo il settembre 1944 sono andate perdute, probabilmente durante la ritirata delle truppe tedesche nell'aprile del '45. Ma la documentazione resta sufficiente per chiarire che i tentativi iniziali di reclutare volontari, falliti miseramente, aprirono la strada a metodi più efficaci, la cattura e la deportazione, svuotando complessivamente l'azione amministrativa tedesca e delegittimando le istituzioni locali della Rsi. Situazione del resto confermata dalla documentazione amministrativa locale, conservata presso gli archivi comunali.
1 Lutz Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia (1943-45), Bollati Boringhieri 1993, p 60. 2 Lutz Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia (1943-45), Bollati Boringhieri 1993, p.57. 3 La documentazione è conservata presso il Bundesarchiv - Militararchiv di Friburgo (si trova anche, in copia, presso l'Istituto storico della Resistenza di Parma), ora tradotti, a cura di Carlo Gentile, I rapporti periodici della Militarkommandantur 1008, in "Storia e Documenti 5" numero speciale 1999. 4 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 ottobre 1943. 5 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 novembre 1943. 6 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 novembre 1943. 7 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008 per il periodo dal 16 dicembre 1943 al 15 gennaio 1944. 8 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008 per il periodo dal 16 dicembre 1943 al 15 gennaio 1944. 9 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 dicembre 1943. 10 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944. 11 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 agosto al 15 settembre 1944. 12 Dati quantitativi ricavati dalle relazioni della Militarkommandantur 1008 Sabotaggi Periodo Piacenza Parma Reggio Emilia 16.12.43-15.1.44 1 16.1.44-15.2.44 16.2.44-15.3.44 8 16.3.44-15.4.44 4 16.4.44-15.5.44 Azioni di guerriglia Fino al 15.11.43 16.12.43-15.1.44 4 16.1.44-15.2.44 3 16.2.44-15.3.44 2 16.3.44-15.4.44 16.4.44-15.5.44 5 16.5.44-15.6.44 2 16.6.44-15.7.44 3 4 16.7.44-15.8.44 4 2 16.8.44-15.7.44 Incursioni aeree 16.12.43-15.1.44 2 16.1.44-15.2.44 16.2.44-15.3.44 16.3.44-15.4.44 16.4.44-15.5.44 2 6 16.5.44-15.6.44 5 2 1 16.6.44-15.7.44 9 3 6 16.7.44-15.8.44 12 10 13 16.8.44-15.7.44 23 16 15 3S
13 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 14 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 15 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944. 16 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 dicembre 1943. 17 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 dicembre 1943. 18 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944. 19 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 agosto al 15 settembre 1944. 20 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 novembre 1943. 21 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 dicembre 1943 per il periodo dal 22 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 23 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 24 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 maggio 1944 al 15 giugno 1944. 25 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944. 26 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944. 27 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944. 28 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944. 29 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15 dicembre 1943. 30 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944. 31 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944. 32 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944. 33 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944. 34 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944. 35 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944. 36 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944. 37 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 38 Organizzazione paramilitare tedesca incaricata delle costruzioni belliche, fortificazioni, aeroporti ecc. 39 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, 15.12.1943. 40 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 dicembre 1943 al 15 gennaio 1944. 41 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 42 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 43 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944. 44 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944.
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45 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944_ 46 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 aprile 1944 al 15 maggio 1944_ 47 Relazione er il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 maggio 1944 al 15 giugno 1944_ 48 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944_ Il fabbisogno di manodopera nelle campagne del distretto territoriale che faceva capo alla Militarkommandantur 1008 era in quegli anni, stando alle fonti tedesche, di 36 lavoratori per 100 ha di terreno nel reggiano, 29 per 100 ha nel Piacentino e 24 per 100 ha nel Parmense (Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 gennaio 1944 al 15 febbraio 1944)_ 49 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 maggio 1944 al 15 giugno 1944_ 50 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944_ 51 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal16 maggio 1944 al 15 giugno 1944_ 52 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944_ 53 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944_ 54 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944_ 55 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944_ 56 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944_ 57 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944_ 58 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944_ 59 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944_ 60 Relazione per il territorio della Militarkommandantur 1008, per il periodo dal 16 luglio al 15 agosto 1944_
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Guglielmo Ferri, "Fascista integrale" PAOLA CALESTANI
Premessa Guglielmo Ferri, fu Giuseppe e di Panicara Anna, nato a Firenze il 23/0411907, coniugato con Faggiani Maria a Torino il 29/11/1929, morto a Bussolengo (VR) il 19-9-1970. Questi sono alcuni dati anagrafici di un fascista che fu protagonista di una vicenda personale, politica e storica legata agli ultimi anni della Seconda Guerra Modiale, in particolare al periodo della Repubblica Sociale Italiana nelle province di Parma e Reggio Emilia. Questa ricerca è nata dalla necessità di far luce su un episodio piuttosto singolare accaduto a Reggio Emilia durante la Repubblica Sociale. Il fatto in questione vede come protagonista proprio Guglielmo Ferri che fu Federale del PFR in questa città da metà settembre del 1944, alla fine del mese successivo: Ferri e un gruppo di militi della Brigata Nera fuggirono da Reggio nella notte tra il 25 il 26 di ottobre portando con loro la cassa del partito, automezzi, armi e munizioni, all'insaputa delle autorità cittadine ed "in barba" al Comando tedesco, che nonostante avesse qualche sospetto, non riuscì a fermare questo manipolo di fascisti repubblicani, passati alla cronaca giudiziaria del dopoguerra come la "Banda Ferri". La prima notazione da fare è proprio sulla necessità di ricostruire gli avvenimenti di allora senza abbandonarsi a facili generalizzazioni, ma cercando di capire il significato politico di questa "impresa" guidata da Guglielmo Ferri e di evidenziare i rapporti di forze che si erano delineati in una Repubblica Sociale non più compatta ed omogenea intorno alla figura del Duce, come fu il regime fascista degli anni Trenta. Tutte le tensioni e i contrasti personali più o meno latenti che erano presenti durante il Regime "deflagrarono" il 25 luglio 1943, ma si mantennero anche tra coloro che decisero di rimanere fedeli a Mussolini dopo l'armistizio. Il dibattito attuale al livello storiografico ha rivalutato il significato storico e politico della Repubblica di Salò, non un semplice "stato fantoccio", ma una nuova forma politica e statuale con la quale il fascismo avrebbe voluto ricominciare da zero dando spazio alle istanze sociali più radicali che appartenevano al programma originale del movimento all'atto della sua nascita. Marco Palla sostiene a questo proposito che «la storiografia è in grado non solo di ammettere ma anche in qualche caso di accertare la consistenza per così dire "sociale" della Rsi, che attrasse adesioni non sempre e non soltanto marginali, anche se in ultima istanza esse furono ovunque 39
minoritarie. La "Repubblichina" (una piccola cosa secondo questo termine) - continua Palla - fu un regime collaborazionista che utilizzò la forza residua dell' apparato dello Stato italiano, quasi del tutto privato di un governo centrale realmente autonomo dai tedeschi e di forze armate, ma che poteva contare su non trascurabili forze di polizia e su istituzioni amministrative come le prefetture e le amministrazioni comunali, che svolsero funzioni quotidiane di controllo, di repressione, di gestione dell' ordine pubblico, delle comunicazioni, degli approvigionamenti, per cui le forze tedesche non sarebbero state sufficienti neppure numericamente»!. In sintesi Palla ripropone la posizione dello storico tedesco Lutz Klinkhammer che nei suoi studi sull' occupazione tedesca in Italia respinge decisamente la tesi dello "governo fantoccio", perché riduttiva e storicamente lontana dalla realtà2 •
Perché Ferri, "fascista integrale" Questa definizione, già attribuita alla figura di Renato Ricci, capo della Milizia fascista prima e della GNR poi durante la RSI, si presenta come la giusta sintesi per descrivere la personalità e il "credo fascista" di Guglielmo Ferri. Il primo a parlare di "fascisti integrali" fu Mussolini nel 1934 in un discorso che esprimeva lo scontento per le difficoltà che la "mentalità borghese" poneva alla fascistizzazione degli italiani (cioé alla grande riforma morale che avrebbe dovuto produrre l"'uomo nuovo", volitivo e guerriero)3. A distanza di quasi lO anni da quel discorso, Ferri, cresciuto in una famiglia piccolo borghese e nello spirito fascista, aveva tutte le credenziali per rispondere alle aspettative di Ricci e Pavolini che affidavano il futuro del fascismo al risuscitato "uomo nuovo". La Repubblica Sociale dava voce a quei «frustrati dal Ventennio sconfitti dall' affermarsi del "partito di massa" , che aveva marginalizzato i ''fascisti integrali", sostenitori di un partito di credenti che informasse di se il "nuovo Stato" o bloccati nei loro desideri di carriera e potere»4. Vedremo come la vicenda personale di Guglielmo Ferri sia in un certo senso esemplare nel rappresentare questa ultima "declinazione" di militanti fascisti e i giudizi, che di seguito si riportano sul protagonista di questa ricerca, aiutano ad introdurre il personaggio.
25 gennaio 1944, A l'Ecc. ALESSANDRO PAVOLINI, Segretario del PFR. f.to Antonio Valli, Capo della Provincia di Parma: Il camerata Guglielmo Ferri, che qualche giorno fa ho inviato da te anche perché avesse la possibilità di esternarti le sue aspirazioni, mi ha riferito della tua favorevole disposizione nei suoi confronti. Voglio assicurarti che si tratta di elemento dotato di sicura preparazione, di buona cultura e prontezza d'ingegno. E' stato ed è tuttora il mio principale collaboratore alla Federazione, che lo stesso dirige con viva soddisfazione. Diciannovista, nel periodo anteriore alla Marcia su Roma, fino al 1925 ha ricoperto cariche importanti nelle organizzazioni giovanili, ha subito percosse, processi ed arresti per azioni squadriste. In ogni momento ha sempre dato, con assoluto disinteresse e pagando sempre di persona, il suo entusiasmo e la sua attività al Partito e all'Idea Mussoliniana. Sarebbe adatto ad un posto di comando anche di particolare rilievo e come tale te lo segnalo. Padre di cinque figli, non può continuare a trascurare la sua azienda per aiutare, come fa, con tutta la sua dedizione l'opera di rinascita del Fascismo Repubblicano parmense [... ]5. 40
Gugliemo Ferri comandante di Polizia Federale a Parma A Parma, città nella quale Ferri risiedeva con la famiglia, il fascismo repubblicano era retto da un "triumvirato", composto da Valli, Capo della Provincia e primo Segretario Federale del PFR di Parma, dallo stesso Ferri e da Carbognani, studente universitario che nel gennaio del 1944 diventa il nuovo Segretario Federale di questa città. Guglielmo Ferri, laureato probabilmente in Farmacia, era il titolare di una ditta farmaceutica, "Farmaceutici Autarchici Italiani" con sede a Parma. All'inizio della guerra ebbe alcune difficoltà giudiziarie per un'istanza di fallimento presentata al tribunale di Bologna, dove la ditta aveva la sede legale, ma successivamente l'azienda aveva ripreso l'attività, anche se, per ammissione dello stesso Ferri, continuava ad essere da lui trascurata a causa del suo impegno politico di responsabile della Polizia Federale di Parma e di Vice-Segretario Federale. Il pensiero di Ferri, il movente del suo agire e la sua personalità appaiono evidenti da alcune lettere che lo stesso scrisse a Valli. In possesso di uno stile letterario retorico, ma efficace, Ferri guarda al fascismo della RSI come l'ultima opportunità di sopravvivenza dell 'idea fascista, alla quale dichiarava la sua completa fedeltà. In una lettera indirizzata l'Il agosto 1944 a Valli, che si trovava a Chiari in provincia di Brescia, dopo essere stato allontanato da Parma nella primavera di quell' anno, Ferri esprime al suo amico ed ex compagno di schieramento tutti i suoi stati d'animo. Accontentiamoci - scrive Ferri - di guardare all'essenziale che è l'Italia di tutte le nostre lotte e di tutte le nostre passioni, che non deve e non può morire per colpa di quattro traditori e di otto imbecilli. Non è il caso di diventare filosofi, ma solamente realisti. Le nostre ingenuità, che ci sono se non vogliamo apparentarci con la gente sporca, non debbono però metterei in condizione di accettare ciecamente il piccolo destino riservatoci dalle nullità salite in cattedra in virtù di troppi compromessi 6 •
Di sé afferma di non essere un "crociato", di non valerIa essere perché non gli è mai piaciuto fare la parte del "mistico, nonché del santone". Sono un fascista arrabbiato - ribadisce Ferri a Valli - e arrabbiato anche contro tutti coloro che, per non avere il coraggio di affrontare direttamente i vecchi marpioni che sono dentro al partito, lavorano sott'acqua senza accorgersi di diventare viscidi polipi. Di fianco a questi naturalmente ci sono anche i pesciolini in buona fede che si fanno mangiare 7 •
Pur considerandosi un fascista in "buona fede", sicuramente Ferri non era un "pesciolino" e non aveva nessuna intenzione di essere "fagocitato" dai nuovi vertici del Partito, appoggiati dai tedeschi. Il nuovo blocco di potere, dai tempi del "defenestramento" di Valli, cercava di allontanare anche Ferri da Parma. Dopo aver tentato la strada della diffamazione e dell' opposizione "muro contro muro", scelsero una linea di compromesso non impedendo che Ferri venisse nominato Segretario Federale di Reggio Emilia, cercando di volgere a proprio vantaggio la determinazione e l'intransigenza di questi in una realtà cittadina e provinciale molto compromessa dal dilagare del movimento di liberazione partigiano. Ferri ambiva a ricoprire la carica di 41
capo della Provincia, ma dopo la caduta in disgrazia di Valli, suo principale sostenitore, le sue possibilità erano legate ai rapporti che cercò di mantenere con i vertici del PFR, in primo luogo lo stesso Pavolini. A Valli, nella lettera prima citata, Ferri comunica la sensazione del mutato atteggiamento nei suoi confronti: «Ci si interessa evidentemente di me e siccome sono "ingenuo"
non so a quali scopi!». Nella vicenda di Guglielmo Ferri compare in modo inequivocabile la presenza dello Stato repubblicano fascista, con la sua struttura amministrativa, di partito e con le sue "polizie" del "dopo armistizio". Ferri guidò una di queste polizie autonome a Parma e provincia subito dopo 1'8 settembre. Questi nuclei armati di partito si erano costituiti prima ancora della loro ufficializzazione del 5 novembre 1943, quando una circolare costituì le "Squadre di Polizia Federale"s. Questo fu un tentativo di irreggimentare lo squadrismo sottoponendolo al Capo della Provincia o al Questore fascista per servizi di "Polizia politica". Nel caso di Ferri e della sua squadra, era il Capo della Provincia fascista di Parma Antonio Valli ad avere il compito di controllarne l'operato. Non solo a Parma, ma in generale si era creata una vera e propria guerra interna al regime fascista repubblicano, come confermano le carte dell' amministrazione periferica dello Stato. Prefetti e Questori sono di norma in prima linea in questo conflitto, nella denuncia dell'impossibilità di esercitare quell'unità di comando" che il primo Consiglio dei ministri di Salò aveva attribuito ai capi delle province. Dalle stesse certe periferiche emergono anomalie di fondo della RSI: oltre alla soggezione militare ai tedeschi, l'incapacità - solo in parte derivante da quella - di stabilire un principio di autorità in senso proprio, una gestione del potere unitaria e dotata di una coerenza interna"9. Il problema fu affrontato e solo in parte risolto con la costituzione della Guardia Nazionale Repubblicana e lo scioglimento delle squadre di Polizia Federale il 5 dicembre del 1943, con una circolare di Pavolini indirizzata ai Capi delle Province e ai responsabili federali. A questo proposito Ferri scrive, in rapporto indirizzato al Capo della Provincia Valli il 15 dicembre
1943: [... ] penso che sia opportuno da parte del Centro revocare lo scioglimento delle squadre di Polizia Federale, poiché se veramente potenziate esse sarebbero in grado di rendere servigi incomparabili alla Rivoluzione come ha dimostrato in Parma e provincia compiendo un numero di fruttuose epurazioni e di arresti importanti in pochi giorni, di gran lunga superiori a quelli fatti da tutti gli altri organismi di Polizia da 19 settembre in poi. E' solo attraverso la Polizia Federale - continua Ferri nel suo rapporto - composta completamente di fascisti intransigenti che lavorano per il 27 del mese ma che nella caccia ai nemici mettono tutto l'ardore della loro fede e ispirati da un sentimento di legittima difesa personale, che possono essere stroncati i movimenti antifascisti e può essere iniziata la lotta contro la massoneria della quale è illusorio pensare ad una avvenuta liquidazione e contro i traditori che ancora oggi certamente si annidano nelle file del Partito, nei Ministeri, negli Organismi Economici, nelle Prefetture ecc. Le province devono assolutamente assumere quell'atteggiamento di ferma volontà a tale proposito in modo che il Centro debba comprendere la realtà delle cose e che non avvenga come la questione ebraica che ancora una volta si è rivelato l'indegno tradimento del Regime e delle disposizioni del Regime 1o• 42
In un' altra lettera del 30 settembre del '43 indirizzata sempre a Valli, Ferri coglie l'occasione per dare un giudizio di quei corpi che venivano riconosciuti come "regolari" dalla RSI e che non erano sotto il controllo del partito. Dei carabinieri ti ho già parlato - scrive Ferri - e non posso che confermarti il loro antifascismo. La polizia potrebbe invece servirci, perché non ha ambizioni dinastiche e, francamente, in certi elementi, specie subaltemi, ha simpatizzato per il fascismo. In Prefettura bisogna fare tabula rasa! Se tu non arrivavi a Parma ero deciso ad occuparla ed a proclamarmi Prefetto reggente, poiché è assurdo che tutt' ora le pratiche amministrative che rivestono tanta importanza, vengano ancora svolte da quei signori. Non per fare un personalismo, che sarebbe cosa idiota, ma io posso dirti ad esempio, che malgrado gli ordini di Passerini ho una mia pratica che dorme da mesi, mentre doveva essere risolta in due settimane. Cito questo caso, tanto per esemplificare e non per chiedere il tuo intervento. E' un diritto che ho e per il quale lotto da tre anni e mi dovrà essere riconosciuto e stai tranquillo che mi farò valere da solo. Ad esempio potresti affidare la Questura ad uno di noi. In tale maniera la Milizia non si farebbe dei nemici e ti garantisco che nelle mie mani, o in quelle di Mattioli o di Valdré o di qualche altro fedelissimo, l'antifascismo locale subirebbe una Waterloo dalla quale mai più si rialzerebbe. La Questura ha un vantaggio: quello di conoscere tutto e tutti! Capito? I l.
Lo scontro per la ridefinizione dei ruoli e delle gerarchie nella Questura parmense era duro e vedeva schierati da un lato Ferri che si faceva portavoce delle richieste delle polizie auto me del Partito, dall'altra i rappresentanti dell' organizzazione delle forze dell' ordine ereditate dal Ventennio. Questa contrapposizione impediva di fatto che il Capo della Provincia Valli, che in quel periodo era anche Federale di Parma, realizzasse l'unità di comando delle forze di polizia della RSI. Valli, comunque, agì in modo da avvantaggiare il Partito contro gli organi di amministrazione dello Stato: la Questura passa in secondo piano nella gestione dell'ordine pubblico rispetto la formazione armata del PFR, guidata prima dallo stesso Ferri, poi da Venturini. Questo corpo armato dipendente dalla Federazione ricevette l'impronta da Ferri che l'aveva inizialmente guidata. Operò, infatti, nella duplice prospettiva di punire i "traditori dei 45 giorni", e con l'obiettivo di autofinanziarsi rapinando i possidenti antifascisti. Fu, quindi, subito una presenza ingombrante per le Forze di occupazione tedesca, che puntavano alla sua limitazione se non eliminazione l2 • La preoccupazione tedesca veniva confermata dalle analisi della situazione politica e dello "spirito pubblico" che i Prefetti, Questori ed Ispettori di polizia tracciano, con particolare riferimento all'azione delle strutture periferiche del partito fascista: In questi rapporti vi è un elemento, pressoché costante: il rilievo dato alla pericolosità e incontrollabilità delle squadre armate e di coloro che le comandano non è mai disgiunto qui da una valutazione pessimistica circa le capacità del PFR di indurre nell' opinione pubblica una concezione positiva dell'identità politica del nuovo stato 13.
La situazione che si era creata a Parma minacciava il mantenimento dell' ordine pubblico nella città e di conseguenza rendeva più difficile le operazioni di occupazione. Per questo motivo, in concerto con la Questura 43
parmense, in netta contrapposizione con il Partito, i tedeschi riuscirono ad allontanare Valli da Parma, attribuendogli la responsabilità indiretta della sanguinosa rappresaglia che seguì l'attentato ad un gruppo di Legionari della GNR del 31 gennaio del 1944. Anche Ferri fu coinvolto nei fatti del 31 gennaio ed in questo caso sembra, dagli atti processuali del dopoguerra, vi avesse partecipato personalmente. Alla luce di questi fatti si può comprendere la lettera che Guglielmo Ferri manda al Valli all'inizio di marzo di quello stesso anno. Ferri si sente tradito da Valli, che cominciò ad ignorarlo, dopo che decise di appoggiare la nomina a Segretario Federale di Parma del giovane Carbognani, invece che quella dello stesso Ferri. Il suo "delfino" si sente offeso sia sul piano personale, per il rapporto di amicizia che esisteva tra i due, sia sul piano politico, come esponente di punta del PFR e suo principale collaboratore. Ferri nella lettera scrive che non riesce a capire l'atteggiamento assunto nei suoi confronti. Tu mi hai ignorato in questo frattempo, anzi mi hai ignorato con ostentazione e non riesco a capire quale Tuo disegno politico possa giustificarlo, tanto più che in questo frattempo io ho respinto proposte di mettermi contro di te e contro Carbognani, sebbene si debba solo alla mia opera di persuasione e di amichevole pressione se tutti i collaboratori della Federazione sono rimasti alloro posto dopo il mio allontanamento l4 •
Il momento difficile attraversato da Valli presso le Gerarchie della RSI e dell' esercito tedesco è confermato anche da Ferri che nella sua lettera di seguito scrive: «Ti dirò anche che in questo lasso di tempo un solo difensore hai avuto a Bologna, Modena, e a Parma quando pochi giorni fa pareva che tutto dovesse crollare intorno a te ed eri in netta disgrazia presso le Superiori Gerarchie». L'atteggiamento del Valli nei confronti di Ferri si spiega proprio come l'ultimo tentativo che il Capo della provincia faceva per riacquistare credibilità e fiducia presso i vertici delle autorità della Repubblica Sociale, impegnate nell' operazione di "normalizzazione" nel nuovo fascismo repubblicano che si voleva assicurare un futuro anche dopo la conclusione del conflitto mondiale in corso. Anche quando Valli non riuscì ad evitare il suo allontamento, Ferri continuò a cercare di raggiungere una posizione di rilievo nella RSI, anche con il mutato quadro politico che seguì la fine del "triumvirato" (Valli, Carbognani, Ferri) che aveva retto le sorti del fascismo repubblicano parmense fino ad allora. Il "nuovo corso" repubblicano, appoggiato dai tedeschi, puntò a limitare il raggio d'azione del PFR a favore del controllo politico e sociale degli organi istituzionali della RSI. Il processo di "normalizzazione" però non poté che fallire, sia per gli esiti di una guerra sempre più favorevole alle truppe anglo-americane e sia per l'affermarsi del movimento l'esistenziale, proprio nella primavera del 1944. Ferri già dall'inizio del '44 stava lavorando per ottenere un incarico di prestigio nei quadri istituzionali della RSI ed in questo senso vanno interpretate le sue lettere a Pavolini e le raccomandazioni scritte che si fece fare da Valli. Che Ferri fosse un personaggio "scomodo" si capisce anche dall'attenzione che la Polizia Investigativa rivolse in particolare alla sua vita privata e dalle 44
notizie false che su quest'ultima compaiono sui rapporti, a partire dai primi mesi del 1944. Il Ferri, - si legge in uno di questi rapporti - che ha goduto e gode tuttora la incondizionata considerazione dello stesso Capo della Provincia per essersi dimostrato elemento attivissimo, energico e di pura fede fascista, ha prestato servizio nella Polizia in qualità di Agente, secondo voci attendibili sarebbe stato dichiarato fallito quale commerciante di medicinali e avrebbe condotto vita avventurosa randagia di città in città svolgendo un'attività fascista discutibile '5 • [... ] Altro elemento ritenuto pericoloso è appunto il predetto Ferri Guglielmo. Non ho mancato di segnalarlo al Questore ed al nuovo Capo della Provincia Gen. Leonardi, perché sia ben identificato e siano accertati i precedenti, dato che egli da più parti è indicato come profittatore ed amorale [... ] Recentemente ha avuto un figlio da una donna, colla quale vive more uxorio, e che egli vorrebbe spacciare per moglie, assicurando che avrebbe avuto recentemente da lei il "quinto figlio legittimo 16. La costanza di Ferri nella ricerca di un ruolo di vertice nella RSI fu premiata da una serie di circostanze a lui favorevoli: da un lato sempre maggiori erano le pressioni di chi voleva allontanarlo da Parma, dall'altro per il suo "curriculum" di fascista di provata fede e di uomo d'ordine, si presentava come il candidato ideale ad assumere l'incarico di Segretario Federale del PFR di Reggio Emilia, in una provincia in cui la situazione era sempre più grave. Qui, infatti, la tensione sociale era sempre meno controllabile da parte tedesca e fascista; l'organizzazione partigiana, con l'appoggio alleato, si era radicata tra la popolazione della città e della provincia.
Situazione di Reggio Emilia Per comprendere il clima e la situazione generale di Reggio Emilia e della provincia ci si può utilmente riferire ad un un notiziario interno della Federazione fascista di Reggio Emilia in occasione della nomina di Ferri a Federale: Nei circoli politici locali la determinazione del nostro Quartiere Generale è stata favorevolmente accolta e commentata appunto perché il camerata Ferri è ritenuto all' altezza di assumere la direzione politica di questa provincia, in un momento particolarmente delicato e difficile per tutto il complesso di cause e di avvenimenti straordinari, soprattutto per l'attività ribellistica che qui e in provincia ha assunto in questi ultimi tempi un carattere di gravità eccezionale '7 . Il 16 settembre 1944 Guglielmo Ferri viene, infatti, nominato segretario del PFR e Comandante della 30" Brigata Nera "Amos Maramotti", in sostituzione di Armando Wender. Le prime note che si leggono nei documenti della Federazione a proposito di Ferri parlano di un «elemento direttivo di
provata fede - uomo di carattere fermo e deciso, obiettivo e lungamente provato ai posti di comando e di responsabilità» 18. Il giorno della sua presentazione ufficiale alle Federazione del PFR di Reggio, il 18 settembre 1944, Ferri, prima di considerare i problemi che 45
avrebbe affrontato assumendo la nuova carica, coglie l'occasione per sottolineare che la militanza nel partito non rappresentava per lui un veicolo per facili carriere, ma una «testimonianza di fede nel fascismo attraverso la lotta armata in difesa della Patria»19. Nello stesso notiziario della Federazione si fa riferimento ai funerali dei due fascisti, Ambrogio Zanotti e Arturo Bianchini, uccisi nella notte tra il 16 e il 17 di settembre a Reggiolo, e alle parole di sdegno pronunciate da Ferri, che si possono considerare come l'anticipazione della feroce rappresaglia del 19 settembre: Egli [Ferri] ha detto che in questo momento di estrema violenza omicida dei sicari della Patria, è necessaria la più energica e decisa reazione, una reazione inesorabile, spietata, perché si possa alla fine trionfare sull'opera dei disfattisti, dei traditori, tendente a collaborare col nemico per annientare la nostra Patria.
Parole molto dure queste attribuite a Ferri, però perfettamente consone al suo pensiero e alla sua strategia di lotta contro contro "i ribelli" e contro i "traditori", categoria, quest'ultima, verso la quale Ferri nutriva un odio profondo. Le vittime designate per la rappresaglia di Reggiolo furono quattro esponenti di spicco del paese della Bassa reggiana, il ten. col. Giuseppe Sacchi, l'avv. Massimiliano Polacci, il dott. Antonio Angeli e l'ing. Erminio Marani. Queste quattro persone, secondo Ferri, appartenevano alla categoria dei "traditori", perché avevano abbandonato la "causa fascista" della RSI. Rappresaglia di Reggiolo (RE) (17 settembre 1944) I due fascisti che morirono a Reggiolo la notte del 17 settembre furono vittime di una sparatoria tra un gruppo di gappisti e una squadra delle BN in pattuglia notturna. La rappresaglia che ne seguì fu l'occasione per Ferri, nuovo Federale del PFR di Reggio Emilia, di dimostrare subito di essere un fascista che alle parole faceva seguire i fatti. La determinazione nella lotta contro il nemico, senza esclusione di colpi, doveva essere la sua arma vincente per arginare prima, e sconfiggere poi, il movimento partigiano, che aveva potuto organizzarsi e radicarsi in tutta la provincia, a causa della debolezza della precedente reggenza del PFR di Reggio. A questo proposito è interessante ripercorrere i fatti di Reggiolo così come li presenta il Federale Ferri in un rapporto del 19 settembre 1944, dove emerge chiaramente il significato "dimostrativo" ed intimidatorio della rappresaglia portata a termine dalle sue truppe. Dalle informazioni in possesso del nostro Ufficio Politico risulta che in una zona vastissima della pianura reggiana, squadre e gruppi di partigiani, appoggiati da elementi isolati della GAP, svolgono un'attività intensissima che va dall'assalto dei Presidi della 30" Brigata Nera, all 'uccisione del fascista isolato, dal mitragliamento degli automezzi che transitano nelle strade, al saccheggio, all'incendio o al furto; dall' intimidazione alla propaganda attraverso tutti gli abituali mezzi, sia in italiano che in tedesco 20 •
Secondo Ferri, la gravità della situazione non consiste solo nell' attività partigiana, ma soprattutto nel fatto «accertato e stabilito che una parte della popolazione dei luoghi di questa vasta zona vive in correità con essi,fornendo 46
loro aiuto ed assistenza nelle forme più svariate e complete». Anche in questa occasione, Ferri esprime tutto il suo odio e disprezzo per quella categoria di persone che invece di aderire al PFR e porsi come guide morali e politiche del nuovo fascismo repubblicano, operano contro di esso. «Questa complicità - aggiunge Ferri collegandosi al discorso precedente - è stabilita soprattutto per certe, sebbene limitate categorie di intellettuali, professionisti, possidenti e nobili della nostra provincia». A Reggiolo affluirono 200 uomini della Brigata Nera che riunirono una trentina di antifascisti ritenuti colpevoli di "propaganda antinazionale, antitedesca" e di essere ex-fascisti traditori, sovvenzionatori dei gruppi partigiani. Inoltre, sempre secondo il rapporto di Ferri prima citato, le quattro vittime della rappresaglia vengono trovate in possesso di armi e per questo motivo giustiziate. Alla motivazione dell'esecuzione Ferri aggiunge: L'esecuzione di questi quattro elementi ha determinato una reazione favorevolissima in tutto l'ambiente fascista, nella popolazione di tutta la provincia, perché ben conosciuti da sempre come elementi responsabili materialmente e moralmente della situazione di sovvertimento, di disordine antinazionale, antitedesco e decisamente pro-nemico 21 •
In un rapporto del 18-9-1944, un ufficiale della GNR di Reggio Emilia fornisce ulteriori particolari sulla rappresaglia di Reggiolo e conferma la presenza di Ferri in prima persona. Fu la GNR, mandata a Reggiolo il 17 settembre per" esaminare le varie circostanze ambientali", a fermare l' avv. Polacci, l'ing. Marani, il geom. Angeli e il ten. col. Lucchi, con l'accusa di antifascismo; solo il giorno seguente intervenne la BN guidata personalmente da Ferri, che, dopo aver eseguito delle perquisizioni domiciliari, decise l'esecuzione dei quattro fermati. Furono inoltre distrutte le abitazioni dell' avv. Raschi e quella del sig. Lui, entrambi di Reggiolo 22 • Anche il Segretario del Comune di Reggiolo, Renzo Grossi, interviene in merito alla rappresaglia del 17 settembre con una lettera inviata al Capo della Provincia il20 dello stesso mese. Grossi, dopo aver ricordato l'uccisione dei due fascisti delle BN e il ferimento di un civile da parte di ignoti, riassume con precisione i fatti del giorno 17: La mattina del giorno 17 ad opera di reparti della Brigata Nera affluiti in questo comune venivano compiute azioni di rappresaglia con fermi ed arresti di persone, sparatorie, perquisizioni domiciliari. Verso le ore 14 del predetto giorno venivano giustiziate sulla pubblica piazza di fronte alla "Rocca", mediante fucilazione, le seguenti persone: l) Marani Erminio, fu Girolamo di 79 anni, insegnante; 2) Sacchi Giuseppe, fu Giuseppe, di anni 62, impiegato; 3) Polacci Massimiliano, fu Pio, di 45 anni, avvocato; 4) Angeli Antonio, fu Italo, di anni 33, dottore in Agraria, impiegato 23 .
Grossi riporta anche i fatti del suicidio del Commissario Prefetti zio Nasuelli, avvenuto il giorno seguente la rappresaglia, in modo diverso, come vedremo, da Ferri. Secondo la testimonianza di Grossi, alle 8.30 del 18 settembre Nasuelli si uccise con un colpo di pistola nel giardino della sua 47
abitazione, dopo aver lasciato uno scritto alla famiglia in cui motivava il suo gesto con 1'impossibilità di sopravvivere al dolore causatogli dagli avvenimenti di quei giorni. Al termine della sua relazione prima citata, Ferri riporta il medesimo fatto, fornendo una sua personale interpretazione del gesto estremo, in chiave chiaramente propagandistica. Possiamo aggiungere che il Commissario Prefettizio di Reggiolo, iscritto nel Partito Fascista Repubblicano, si è suicidato ieri mattina in quanto, e, in seguito ali 'uccisione dei due fascisti Zanotti e Branchini, ha ritenuto di essere stato tradito dai cittadini che egli ha beneficato della sua opera e della sua manificenza per molti anni 24 • Con queste parole Ferri esaltò la figura di Nasuelli, portandola come esempio di estrema coerenza di un fascismo eroico, che si contrapponeva alla viltà di chi ormai il fascismo aveva tradito. Se Ferri considerò la rappresaglia un forte messaggio dimostrativo nei confronti di una popolazione sempre più vicina al movimento partigiano e comunque antifascista, il Segretario Comunale di Reggiolo Grossi dimostrava . al Capo della Provincia tutta la sua preoccupazione: L'impressione causata da tanti e così tragici lutti ha completamente paralizzato la vita locale. La popolazione maschile si è in gran parte allontanata e dispersa nelle campagne per tema di ulteriori rappresaglie. Tutti i negozi sono stati chiusi e qualsiasi attività sospesa. Le notizie e le voci più infondate trovano immediato credito. Mi permetto di prospettare l'opportunità che un autorevole voce venga a portare una parola rassicurante in modo da far cessare il collasso morale e fisico in cui è piombata questa popolazione25 • Degli avvenimenti del settembre 1944 a Reggiolo, il processo, celebrato a Reggio Emilia nel luglio del 1945, attribuÌ a Ferri la responsabilità politica della rappresaglia e ai componenti della sua "Banda", avveri i militi della BN, quella materiale dell'esecuzione, sostenuta anche dal Segretario del Fascio di Reggiolo. L'accusa contro Ferri e altri 42 imputati, componenti della cosiddetta "Banda Ferri", fu di concorso in omicidio premeditato, continuato, più volte aggravato. In particolare a Ferri si imputava di aver fatto parte della commissione che deliberò l'eccidio e di essere l'autore di un manifesto pubblicato per informare la popolazione della "doverosa rappresaglia". Ferri, come risulta dagli atti del processo, dichiara di essere stato costretto dai tedeschi alla pubblicazione del manifesto; la corte considerò questa sua affermazione un 'ulteriore aggravante per il reato di collaborazionismo con il nemico tedesco. A Ferri fu attribuita anche la responsabilità oggettiva dell'eccidio di Villa Coviolo. A proposito di questo episodio, uno degli imputati sostenne che fu proprio il Federale a volere almeno una ventina di vittime, trattando lui «come un coniglio perché mostrava di accontentarsi di un numero minore». La Corte Straordinaria di Assise di Reggio Emilia condannò Guglielmo Ferri alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena, ma la Corte di Cassazione di Milano, con sentenza del 5 agosto 1945, dichiarò la pena di morte inflitta a Ferri a Reggio Emilia assorbita 48
da quella del Tribunale di Parma, che aveva condanato Ferri alla medesima pena il 2 luglio 1945 26 • La vicenda giudiziaria del 'ex-Federale di Reggio non seguì, quindi, quella degli altri imputati della Brigata Nera reggiana, conosciuti dalla gente come "Banda Ferri". Attualmente si può solo affermare con sicurezza che la pena capitale a carico di Ferri non fu eseguita. Non si conoscono, però, gli sviluppi della vicenda: le ultime notizie sono state reperite all'anagrafe di Parma, dove Guglielmo Ferri risiedeva. Nella sua scheda anagrafica fu registrato il suo trasferimento a Porto Azzurro sull' isola d'Elba, sede di un penitenziario, nel 1947, in seguito al provvedimento di Togliatti, con il quale molto probabilmente ebbe una riduzione della pena 27 • Gli altri componenti della "Banda Ferri" risposero nuovamente del reato di omicidio per i fatti di Reggiolo nel processo di revisione presso la Corte di Assise di Perugia il 6 dicembre 1950, dopo la commutazione in Cassazione della pena di morte in ergastolo. Gli imputati ottennero delle riduzioni della pena28 • Ora ritorniamo, però, alle vicende che videro protagonista Gugliemo Ferri a Reggio Emilia e per le quali, in un certo senso, rimase "famoso".
Lafuga del Federale Guglielmo Ferri da Reggio Emilia Ferri, assunto l'incarico a Reggio Emilia, si rese conto ben presto che la situazione per la RSI e il fascismo repubblicano in questa città e nella sua provincia era ancora più compromessa che a Parma: qui, il movimento partigiano si era ben organizzato anche in pianura. Ferri capì in breve tempo che le azioni cruente di rappresaglia armata, come quella ordinata ed eseguita a Reggiolo, non riuscivano ad arginare il movimento antifascista, anzi non facevano altro che esacerbare ulteriormente gli animi e l'opposizione della gente al Regime di Salò. Per questo motivo il 30 settembre del 1944 Ferri provvede ad ammonire quegli squadristi che assumevano iniziative personali, senza il consenso della segreteria provinciale: Mi risulta che da parte degli squadristi dipendenti vengono spesso compiute senza concorso di organi di polizia, operazioni che sono di esclusiva competenza dei predetti organi, come arresti, perquisizioni, requisizioni e repressioni di carattere annonario. Le Brigate Nere hanno un compito ben preciso e definito che esula da quello assegnato alla Polizia in quanto esse rappresentano il Partito militarizzato ed armato, il quale, oltre alla sua attività politica ed alla sua posizione storica, assume l'onere di difendere la repubblica con le armi, contro il nemico esterno ed interno 29 •
Fissati i compiti della Brigata Nera, Ferri avverte che non sarebbero state più tollerate «iniziative personali di sorta che in qualche modo dovessero ledere la dignità, il decoro e l'orgoglio delle Camicie Nere». Conclude poi la circolare con un «Viva il Duce! e Heil Hitler». Ferri inoltre si lamenta con il Capo della Provincia per l'inettitudine di alcuni dei suoi uomini, accusandoli di non svolgere con diligenza i servizi di pattugliamento della città e di soffrire di "fifite acuta"30. La situazione stava quindi precipitando: il dominio della Bassa reggiana, vista come baluardo di difesa contro l'avanzare degli Alleati angloamericani, si rivelò un'utopia. Si legge, infatti su "Reggio Repubblicana", organo 49
ufficiale del PFR di Reggio Emilia, che interi presidi si arrendevano senza opporre resistenza ai partigiani, e che tale situazione non poteva essere liquidata come un caso di "vigliaccheria collettiva". Davanti all' inesorabile avanzare del fronte di guerra Ferri, in ottemperanza agli ordini di Pavolini, diede disposizione ai vari presidi delle BN della Bassa reggiana (Guastalla, Gualtieri, S. Vittoria, Luzzara, Villarotta, Reggiolo, Boretto, Brescello, Lentigione, Poviglio, Rolo, Fabbrico, Novellara, Campagnola, Rio Saliceto) perché si preparassero alle operazioni di sfollamento oltre il Po. In questo foglio d'ordini del 2 ottobre 1944 Ferri comanda ai suioi uomini di inviare tutti i mezzi a Guastalla e di fare in modo che i famigliari dei fascisti che intendevano rifugiarsi oltre il Po si concentrassero nello stesso paese. In particolare era fatto obbligo ai famigliari della BN di seguire i propri congiunti che si sarebbero ritirati insieme alle forze germaniche, per non dare motivo agli squadristi della BN di non seguire le sorti della propria Brigata, a causa della famiglia. In caso di mancata esecuzione di questo ordine, la pena per i militi era l'accusa di diserzione e la rappresaglia contro le famiglie stesse. L'operazione di sfollamento non si realizzò nei termini indicati da Ferri, che si preoccupò di dare corso invece alla sua fuga da Reggio Emilia con un gruppo consistente di fedelissimi della Brigata Nera. In città si parlò quasi subito di fuga del Federale anche negli ambienti fascisti e tedeschi ostili a Ferri. Non fu considerata, quindi, un'azione di ripiegamento, ma un'altra dimostrazione dell'inaffidabilità di questo fascista, la cui fama l'aveva preceduto dalla vicina Parma. Il Capo della Provincia Caneva, in una sua lettera al ministro degli Interni all'indomani della fuga di Ferri spiega come quest'ultimo non avesse mai avuto il riconoscimento e il gradimento delle autorità locali, sia fasciste che tedesche, e che per questo motivo il Segretario del PFR avesse disposto la sua sostituzione il 13 ottobre. Fu, infatti, nominato al suo posto il col. Ignazio Battaglia e previsto il cambio della guardia per il 23 dello stesso mese. Il giorno della sua destituzione, sempre secondo la versione di Caneva, Ferri andò alla Direzione del Partito e tornò in città solo nella sera del 24. Al suo ritorno il Comando tedesco fu insospettito dal fermento che si notava nella Federazione e per questo dispose alcune pattuglie per vigilare la caserma, informando lo stesso Caneva. Infastidito per questo provvedimento tedesco che rischiava di far saltare i suoi piani, Ferri chiese al Capo della Provincia il suo intervento per il ritiro delle truppe tedesche, dando la sua parola d'onore che non si sarebbe mosso. Raggiunto il suo obiettivo verso le tre di notte Ferri, con al seguito i suoi collaboratori più stretti, il vice-Federale Vincenzo Bertani, il capo di S.M Pennino, gli ufficiali Ruini, Nardi, Palazzi, Bellazzi, e il capo del servizio amministrativo Mannaro e un' ottantina di uomini si allontana da Reggio. Inoltre portò con sé tutti gli automezzi della Federazione, quasi tutte le armi, una parte dei viveri e la cassa del partito, con alcuni milioni. Caneva afferma che dalle informazioni che gli giunsero dai più intimi di Ferri, l'ex-Segretario Federale avrebbe giustificato la partenza con l'incarico avuto dalla Direzione del Partito di costituire una Brigata Nera Mobile oltre il Po. Questa informazione risulta essere vera, come vedremo in seguito seguendo le sorti di Ferri e i suoi uomini oltre il Po, che traghettarono a Casalmaggiore diretti verso Brescia. E' interessante cogliere le reazioni a questa operazione notturna dei
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vertici istituzionali della RSI di Reggio e del Comando Tedesco di Parma. Il Capo della Provincia Caneva, sempre nella relazione a cui si faceva riferimento, afferma di non sapere quali fossero esattamente gli ordini ricevuti da Ferri dal Segretario del Partito Pavolini, ma di aver rilevato «vivo disgusto fra i fascisti e deleteria ripercussione nell' ambiente cittadino, specialmente antifascista». Messo al corrente dell' accaduto, Caneva si recò presso la Federazione e con il nuovo comandante designato, col. Battaglia, iniziò la ricostruzione del reparto delle BN reggiane. Il Comando Tedesco delle SS di Parma iniziò delle indagini per stabilire le singole responsabilità per poter prendere provvedimenti di conseguenza. Sempre in merito alla fuga di Ferri si hanno notizie dal rapporto del col. Ballarino, comandante del presidio del GNR di Reggio Emilia, al Capo della Provincia. Viene riferito che la notte del 25 ottobre il Commissario Federale Ferri con lo Stato Maggiore della Brigata Nera e una trentina di fascisti si sono allontanati improvvisamente da Reggio dirigendosi verso il nord. Le armi, i valori, i viveri, gli automezzi e iL carburante sono stati asportati dagli stessi 31 •
Dalla provincia, e in particolare dalla Bassa reggiana, seguirono Ferri uomini dei presidi di Novellara, 15 con 6 automezzi e un camioncino e le armi in loro possesso, di Correggio, IO con le armi e due motociclette della Federazione. Il contrasto esistente tra la GNR e la Brigata Nera è evidente nelle parole del comandante Ballarino, che continuò ad esprimere giudizi negativi su alcuni uomini che avevano retto le sorti del fascismo repubblicano di Reggio, ed in particolare su Ferri, autore di un gesto clamoroso, visto come un vero e proprio sabotaggio. Nel momento in cui, nei rapporti al capo della Provincia vengono espressi giudizi personali e valutazioni sulle azioni della BN, emerge con forza questo contrasto interno dei due schieramenti, molto simile per toni e contenuti a quello che aveva visto scontrarsi la Questura di Parma, appoggiata dai Tedeschi, e i vertici del PFR di quella città allora rappresentati da Ferri e da Valli. La contrapposizione si presentava da due diverse prospettive: la prima era quella dei rappresentanti istituzionali della RSI che si consideravano fascisti "regolari" che si opponevano ai i fascisti "estremisti", cioè a coloro che anteponevano l'organizzazione del Partito a quella del nuovo Stato. La stessa conflittualità vista dagli "estremisti" era presentata come l'opposizione tra i fascisti "opportunisti e massoni", votati al compromesso, e i "puri", cioè i fascisti di sicura fede che avrebbero lottato per i loro ideali fino all'ultimo, con tutti i mezzi a loro disposizione. A questo proposito, per dare voce ai seguaci di Ferri, il ten. Spagni, in una lettera scritta da Soncino in provincia di Cremona, dove avevano ripiegato Ferri e i suoi uomini, spiega la versione dei fatti inerenti la partenza da Reggio Emilia, dal punto di vista dei "puri". Ai camerati di fede quali siete voi è doveroso dare notizie. Dopo la nostra partenza una tempesta di calunnie e diffamazioni è scoppiata su di noi. L'ingiustizia più grave e dolorosa per noi non poteva esistere. La massoneria reggiana non riuscendo a colpirci col piombo dei suoi sicari ha voluto colpirci colla sua vecchia 51
vile ma tremenda arma della "diffamazione". Quando sono partito da Reggio ero pienamente conscio della gravità del passo ed ero deciso a subire qualunque punizione, anche la più dolorosa pur di rendere un servizio alla mia patria, alla mia fede. Sapevo che personalità altolocate si sarebbero adoperate, abusando della buona fede del soldato della Grande Germania per farci sterminare (ecco perché io stesso contro il mio proprio interesse quella famosa sera vi consigliai di rimanere a Reggio in attesa degli eventi), e tutto questo sarebbe avvenuto se un grande italiano, quale Roberto Farinacci, non ci avesse data la sua incondizionata protezione [... ]32.
"Il Ridotto della Valtellina", Ferri e la sua Brigata Nera al Nord L'operazione alla quale diede corso Ferri fu certamente appoggiata dai vertici del PFR, all'insaputa, invece, delle autorità locali fasciste e delle forze tedesche. In questo senso si spiega il colloquio avuto da Ferri, presumibilmente con Pavolini, il giorno prima della fuga. Mentre a Reggio non si era ancora spenta l'eco della fuga del 25 ottobre, a Soncino in provincia di Cremona, sulla strada che collega il cremonese con Brescia, Ferri costituisce la Brigata Nera Autonoma Giovanni Gentile, con gli uomini che lo avevano seguito al nord, mettendosi a disposizione delle forze armate fasciste e tedesche ormai in fase di ripiegamento. Le notizie che si hanno su questa sosta nel cremonese provengono dalla significativa lettera del ten. Spagni, a cui si faceva prima riferimento. Il tenente spiega che per vincere la guerra «è ugualmente necessario preparare una forza adedguata per poter vincere la pace. Molto abbiamo ottenuto - aggiunge Spagni - ma molto ancora contiamo di ottenere, non cesseremo di lottare sino al raggiungemento della meta finale» In questa lettera c'è la conferma dell'appoggio che Ferri e i suoi uomini ebbero da Farinacci, capo del fascismo cremonese, che nella RSI vedeva una possibilità di redenzione per il fascismo con il recupero degli ideali e dello spirito di lotta del fascismo della "prima ora". Nel cremonese, infatti, dopo un periodo iniziale di sbandamento, il fascismo di Salò recuperò le posizioni perdute. «Non è più ilfascismo vecchio, quello manageriale, utile alla gestione della pace sociale e dello status quo [. ..] quello che si presenta alla ribalta è il fascismo farinacciano, bravaccio, vendicativo, intollerante e assolutista»33. Ferri e i suoi uomini della Brigata Nera "Gentile" rimasero a Soncino tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 attendendo nuovi ordini dal vertice del partito. Il ten. Spagni afferma che in questo paese dell'alto-cremonese la vita trascorreva «oziosa (caffè, albergo-albergo, caffè)>>. La loro preoccupazione era di mantenere in efficienza le armi e di far sapere ai reggiani che erano «degli onesti, dei puri e che non conoscono viltà». A Soncino gli uomini di Ferri rimasero inattivi fino al concentramento delle truppe più fidate della RSI in Valtellina, per ordine di Pavolini che affidava al cosiddetto "Ridotto della Valtellina", il RAR (Ridotto Alpino Repubblicano), le ultime speranze del fascismo di sopravvivere alla disfatta più totale. Ferri e la Brigata Autonoma "G. Gentile" si acquartierarono a Tirano in provincia di Sondrio, nell'Alta Valtellina, sulla strada per Bormio e pochi passi dal confine svizzero di Poschiavo. La Brigata era costituita da una cinquantina di uomini e, poiché proveniva da Soncino, fu denominata dallo stesso Pavolini "Compagnia Cremona". A Ferri e ai suoi uomini furono affidate operazioni di "rastrellamento" della zona che presidiavano in par52
ticolare a partire dall'inizio di aprile del' 45. La situazione anche in Valtellina precipitò velocemente e, mentre tutte le ultime squadre fasciste il 27 aprile formarono una colonna per raggiungere Sondrio, i reggi ani della "Gentile" e la "Milice" francese di Darnard rimasero a presidiare Tirano fino al 29 aprile, giorno della definitiva resa34 • Non si sa con certezza quando Ferri fu fatto prigioniero: "Reggio Democratica" del 17 maggio 1945 riporta la notizia di un Guglielmo Ferri in carcere a Soncino. A metà giugno a Parma, Ferri viene invece ancora dato per latitante, ma nel giro di poco tempo viene portato nelle carceri di questa città, dove i primi di luglio subirà un primo processo. Comparì in giudizio insieme Valli e a Carbognani per la rappresaglia del 31 gennaio del 1944, durante la quale furono uccisi Valle, Barbieri e Mason e per la quale viene condannato alla pena di morte mediante fucilazione alle spalle35 • Alla fine dello stesso mese si presenterà davanti alla Corte d'Assise Straordinaria di Reggio Emilia per rispondere della rappresaglia di Reggiolo del settembre del '44, per la quale fu nuovamente condannato alla pena di morte. Successivamente però la seconda sentenza fu assorbita dalla prima e la vicenda giudiziaria di Ferri non seguì più quella della "Banda Ferri", come abbiamo già rilevato. Le ultime notizie provengono dall' Anagrafe di Firenze, città natale di Ferri, dove è registrato l'atto di morte avvenuta a Bussolengo In provincia di Verona il 19 settembre 1970. 1. Marco Palla, Guerra civile o collaborazionismo? in Guerra, guerra di liberazione, guerra civile. (a cura di Massimo Legnani e Ferruccio Vendramini), Milano 1990, pp. 93-94. 2. Lutz Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia: 1943-1945, Torino, 1993. 3. Sandro Setta, La scelta della RSI nelle motivazioni di un "fascista intergale" (Renato Ricci) in "Annali dell'Istituto Micheletti" n. 6, p. 245. 4. Dianella Gagliani, Il partito nel fascismo repubblicano delle origini, in "Rivista di Storia Contemporanea" 1994.1995, n. 1-2, p. 135. 5. Istituto Storico della Resistenza in provincia di Parma, "Fondo Valli", "Lettera di Valli al Segretario Federale Pavolini", 25 gennaio 1944. 6. Istituto Storico della Resistenza in provincia di Parma, "Fondo Valli", "Lettera di Guglielmo Ferri a Valli", Parma 11 agosto 1944. 7. Ibidem. 8. Dianella Gagliani, cit., p.163. 9. Alberto Preti, Note sulla repubblica Sociale italiana: assetto e rappresentazione del potere politico nelle province dell'Emilia in AI di qua e al di là della Linea Gotica, 1944-1945: aspetti sociali, politici e militari in Toscana e in Emilia Romagna, Regioni Emilia Romagna e Toscana, 1993 pago 502. A proposito della contrapposizione tra Stato e Partito, si veda anche Nino Armaroli, La diarchia nazione-partito e il problema politico del nuovo esercito nella RSI, Roma 1964. 10. Istituto Storico della Resistenza in provincia di Parma, "Fondo Valli". "Lettera al Capo della Provincia Valli" F.to Ferri, 15 dicembre 1943. 11. Istituto Storico della Resistenza in provincia di Parma, "Fondo Valli". "Lettera al Capo della Provincia Valli" F.to Ferri, 30-9-1943. 12. Alberto Preti, cit., p. 504. 13. Ibidem, p. 505-506. 14. Istituto Storico della Resistenza in provincia di Parma, "Fondo Valli". 'lettera al Capo della Provincia Valli" F.to Ferri, Parma 10 Marzo 1944. 15. Istituto regionale Ferruccio Parri per la Storia del Movimento di Liberazione e dell'età contemporanea in Emilia Romagna, "Rapporto dell'Ispettore generale di Polizia d. Coco, al Capo della Polizia", Valdagno (VI) 29-2-1944. 16. Istituto regionale Ferruccio Parri per la Storia del Movimento di Liberazione e dell'età contemporanea in Emilia Romagna, "Rapporto dell'Ispettore generale di Polizia d. Coco, al Capo della Polizia", Valdagno (VI), 10-4-1944.
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17. Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, Reggio Emilia 1966, pp. 309-310. 18. ISTORECO, b.14/H, "Avvicendamento del Federale Comandante", 16 settembre 1944. 19. ISTORECO, b.14/H, "Rapporto del Federale Comandante a tutti i segretari politici e i capi zona", 18 Settembre 1944. 20. ISTORECO, b.14/H, "Rapporto del Federale Comandante al Segretario del PFR", 19 Settembre 1944. 21. Ibidem. 22. ISTORECO, b.14/H, GNR, rapportino giornaliero delle 24 ore precedenti, 17 settembre 1944. 23. ISTORECO, b.14/H, "AI capo della Provincia" rapporto del Segretario Comunale Renzo Grossi del 20 settembre 1944. 24. ISTORECO, b.14/H, "Rapporto del Federale Comandante al Segretario del PFR", 19 Settembre 1944. 25. ISTORECO, b.14/H, "AI capo della Provincia" rapporto del Segretario Comunale Renzo Grossi del 20 settembre 1944. 26. ISTORECO, b.14/b, "Atti processuali della Corte d'Assise Straordinaria di Reggio Emilia e sentenza del 24 luglio 1945 a carico di Guglielmo Ferri e gli altri 42 membri della sua "Banda". 27. A proposito dell'amnistia "Togliatti", vedi Zara Algardi, Processi ai Fascisti, 28. Le vicende giudiziarie di Ferri e dei membri della sua "Banda" reggiana nel dopoguerra sono state ricostruite dagli articoli dei quotidiani dell'epoca archiviati nell'archivio dell'ISTORECO. Mentre i fatti che fanno riferimento a Parma sono stati ripresi dagli articoli comparsi sulla "Gazzetta di Parma" di quegli anni. Vedi anche F. Morini, Parma nella Repubblica Sociale, Parma 1989. 29. ISTORECO, b. 14/C, "A tutti i comandanti di Presidio, il Comandante della 30 a Brigata Nera Guglielmo Ferri, Reggio Emilia 30/9/1944. 30. Franzini, op. cit. pago 360 31. ISTORECO, b.14/C, GNR, Mattinale per il Capo della Provincia, Reggio Emilia 25/1 0/1944. 32. ISTORECO, b.14/C, lettera del ten. G. Spagni, Brigata Nera Autonoma G. Gentile Soncino (Cremona), allo squadrista Calisto Euli, presso la Federazione Fascista di Reggio Emilia, 23/11/ 1944. 33. Maria e Giuseppe Strada, Il fascismo in provincia. Nascita e caduta del fascismo nel cremasco e nell'alto cremonese. Crema, 1975. p.167 34. Andrea Rossi, "Sfollati toscani in Valtellina", in "Fare Storia", n.21, 1994, p.9. Vedi anche Fini, Giannantoni, La resistenza più lunga: lotta partigiana in Valtellina, 1943-1945, 1979, e Giannetto Magnanini, Vicolo dei Servi. Prigionieri nelle carceri della RSI. Reggio Emilia, 1995, pp. 151-152. 35. I fatti di Parma e il relativo processo sono descritti nel testo di F.Morini, Parma nella Repubblica Sociale, Parma, 1989.
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Memorie diverse, memorie remote. Il caso di Cerredolo di Toano MARIA NELLA CASALI
GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA ISPETTORATO POLIZIA FERROVIARIA UFFICIO POLIZIA SEZ. Il
P.D.C. 709, li 19/5 1944 1 XXII POL 3714. C/1474/44.VI.45. ferro
OGGETTO: Attentati sovversivi in Provincia di Reggio Emilia AL COMANDO GENERALE DELLA G.N.R. - Servizio Politico A seguito nota PoI/3714.C. 1431.44VI.45. ferro del 11 andante, per opportuna conoscenza si comunica che dopo il massacro dei 12 militi, i banditi della regione svaligiavano a Cerredolo (R. Emilia) l'Ufficio Postale, la sede del Banco di S. Prospero e quella di un'altra località, facendo un bottino di circa 100.000 lire. Veniva pure saccheggiato parte del grano custodito nell'ammasso. Alcuni militi, appartenenti a classi giovani, che si trovavano di presidio in dette località, venivano catturati e successivamente rilasciati dopo essere stati bastonati a sangue e spogliati dei loro vestiti. A Guastalla, il 6 andante, una donna fascista di 21 anni, certa Folloni, veniva assassinata a colpi di pistola da ignoti che transitavano in bicicletta. Verso le ore 21 del 7 venivano lanciate a Reggio Emilia, da parte di ignoti, due bombe a mano nell'ingresso della caserma della Compagnia O.P. sita in via Cairoli. Dette bombe esplodevano senza causare danni degni di rilievo. Le indagini prontamente svolte per addivenire al rintraccio dei responsabili sono state fino ad ora infruttuose. IL MAGGIOR GENERALE ISPETTORE (Giuseppe Volante)
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I linguaggi della memoria Il rapporto della GNR inviato dall'Ispettorato della Polizia Ferroviaria, nel maggio 1944, al Comando Generale della GNR (in particolare al Servizio Politico del Comando Generale della Milizia) colloca l'attacco partigiano al Presidio della GNR di Cerredolo di Toano in un duplice campo della memoria. Si tratta, osservando con maggiore sottigliezza, non solo di una semplice - benché particolarmente cruenta - azione di guerriglia a un presidio fascista, nell 'intento di un controllo militare e strategico del territorio di cerniera tra il modenese e il reggiano, ma anche di un attacco calibrato al sistema di sorveglianza dell' area dell' Alta Val Secchia. Si tratta, dunque, di un'azione di guerriglia particolarmente delicata e complessa, stratificatasi nella percezione dell' oggi come un nodo della memoria collettiva, un intreccio di elementi che nella dinamica della guerra trovano alimento, ma che hanno radici anche nell' assetto comunitario e nelle relazioni socio-economiche e territoriali degli inizi del secolo. Cerredolo costituisce infatti per configurazione idrogeografica e per assetto amministrativo un crocevia, un lembo di terra fra il fiume Secchia e il torrente Dragone predisposto allo scambio e al commercio tra la provincia modenese e quella reggiana, in una condizione decisamente di avamposto della montagna reggiana. La guerra, in tal senso, non ha fatto altro che sancire ufficialmente e sottolineare questa speciale vocazione del centro abitato allo scambio e a circondare di particolare importanza l'insediamento socioabitativo, le relazioni centro-periferia come accade ad ogni luogo investito strategicamente di una rilevanza propria. Il linguaggio tecnico-politico usato nell'analisi dettagliata del Servizio Politico sui fatti del maggio a Cerredolo è illuminante per chiarezza e capacità di sintesi. Nella serie degli attentati sovversivi compiuti in provincia di Reggio, questo è registrato con uno specifico livello di complessità. Si tratta di un massacro al presidio fascista e - al contempo - di un assalto con bottino all'Ufficio Postale, di un saccheggio del grano conferito all'ammasso nello stesso presidio, fino al sequestro a scopo dimostrativo di alcuni militi, poi regolarmente rilasciati. Una vera azione composita e coordinata di strategia militare che asseconda non solo le tattiche della guerriglia, ma vuole usare un linguaggio esemplificativo forte nelle dinamiche socio-politiche interne. Non molte altre azioni di guerra nel reggiano trovano simili configurazioni; oltretutto la particolarità qui si rileva nella coincidenza tra lettura politica e memoria collettiva dei fatti. Un' indagine sulle memorie comunitarie, cosÌ com'è stata compiuta nella primavera del '98 da Istoreco, ad oltre un cinquantennio sui fatti, ha riportato alla luce un patrimonio di percezioni e sedimentazioni interessanti. Rimane intatto, attorno ai fatti, il nodo di un attentato che ha forzatamente tentato di rovesciare equilibri interni e dinamiche di controllo economico e politico comunitario. L'azione ha creato una vera e propria cesura interna, una ferita contro cui si è scontrato lo stesso processo della ricostruzione e degli equilibri comunitari. A differenza di altri contesti locali qui il processo di riconciliazione è stato tanto difficoltoso, da creare seri ostacoli, ad esempio per quanto riguarda le commemorazioni unitarie intorno al 25 aprile. Tuttavia, qui, meglio che altrove, è - seppur inconsapevolmente - attiva la necessità 58
di un processo di riconoscimento delle memorie diverse e divise che costituiscono il lavoro della memoria sulla comunità. Nell'occasione di dibattito pubblico a Cerredolo, maturata il IO maggio 1998, su questi stessi temi si è potuto commisurare il livello di crescita di Cerredolo nel presente, come frutto delle dinamiche sociali innescate e costruite sull 'impatto della guerra e della violenza e sulla specifica qualità delle memorie elaborate nel presente.
Le dinamiche dell'attacco partigiano Nella notte del 4 maggio un distaccamento di partigiani modenesi, portatosi a Cerredolo, attaccò il presidio della GNR, forte di circa 20 uomini, accantonato presso i locali dell' ammasso. J partigiani riuscirono a sopraffarlo dopo una certa resistenza degli assediati, dodici dei quali vennero uccisi mentre i rimanenti, dopo essere stati privati delle armi e della divisa, vennero rilasciati in libertà. Gli attaccanti asportarono dall' ammasso 25 quintali di grano e si ritirarono verso il territorio modenese].
A Cerredolo, frazione del comune di Toano, in provincia di Reggio Emilia, al confine tra le province modenese e reggiana, a breve distanza da Montefiorino, a partire dal marzo '44, durante il rastrellamento tedesco a seguito della strage di Monchio, Susano e Costrignan0 2 , era stato costituito un presidio, che aveva occupato i locali dell'ammasso granario e che contava una ventina di militi 3 • La costituzione di un presidio GNR li Cerredolo, fin dalla primavera del '44, corrispondeva a una serie di motivazioni, a scala differenziata; la prima di carattere generale, relativa al consolidamento e al controllo del territorio che, già prima dell'inizio della guerra era garantito dalla presenza di una caserma di Carabinieri; una seconda, sostanzialmente strategico-militare, imperniata intorno alla difesa della strada delle Radici, unitamente ai presidi di Frassinoro, Montefiorino e Piandelagotti; il terzo ordine di motivazioni era, invece, relativo alla difesa del grano conferito all' ammasso nell'edificio, che - anche dal punto di vista simbolico - coincideva alla roccaforte del presidio GNR. In data 26 marzo si trovano nel presidio di Cerredolo 39 militi, tutti tra i 33 e i 54 anni, nessuno nativo di Cerredolo, ma provenienti per lo più dai paesi vicini di Toano e San Cassiano; altri invece muovono da Ciano d'Enza, al comando del tenente Licata, che impone al paese una sostanziale disciplina e rigore sul territori0 4 , sia per quanto riguarda gli orari di coprifuoco, che per quanto concerne un minuzioso controllo dell'ordine pubblico. Verso la fine di marzo i militi si riducono a una trentina5 fino ad assottigliarsi a venti, al momento dell'attacco partigian06 • L'attacco all' ammasso di Cerredolo costituisce una tra le azioni partigiane nodali prima della conquista del presidio fascista di Montefiorino e la proclamazione della libera Repubblica di Montefiorino nell'estate '44, sia per la contiguità territoriale dei due avamposti incastonati sullo spartiacque reggiano-modenese del Secchia - costituendone un obiettivo strategico di spicco - sia per la rilevanza della postazione che garantiva il vettovagliamento alimentare per le formazioni partigiane della zona e la possibile distribuzione di notevoli quantitativi di grano alla popolazione. L'azione, preparata accuratamente dai principali esponenti della resistenza modenese, a cui partecipano - tra gli altri - il futuro comandante del corpo 59
d'armata Centro Emilia Armando (Mario Ricci) - che riunificò i comandi partigiani di Reggio e Modena - il commissario politico Davide (Osvaldo Poppi), alcuni comandanti di formazioni minori attivi nel versante reggianomodenese, come Nello Pini (da Palagano, Frassinoro, Rubbiano, a Montefiorino) conta la partecipazione di circa un centinaio di uomini 7 • Nella notte tra il 3 e il 4 maggio, la formazione partigiana che ben conosceva e padroneggiava il territorio, scendendo lungo il Secchia, con un movimento a tenaglia accerchia Cerredolo, isolandolo con posti di blocco a monte e a valle, interrompendo le comunicazioni telegrafiche con il capoluogo reggiano e con i forti presidi a valle (Sassuolo, in primis), prendendo anzitutto in ostaggio impiegate e direttore dell 'Ufficio postale del paese e minando, per di più, il ponte. Inizia, così, una lunga schermaglia armata tra i militi asserragliati nel presidio e le squadre partigiane, dislocate in vari punti strategici dell' edificio, che condurranno a termine un vero e proprio assalto del presidio 8• La percezione del lungo assalto nel presidio diventa una memoria di un evento interminabile, difficilmente collocabile in un tempo definito. L'ammasso viene infine letteralmente espugnato, appiccando fuoco alle porte e alle feritoie laterali; poi, penetrati nei locali (i partigiani) spoglia(ro )no tutti i militari radunando li nel dormitorio dell' ammasso 9 • Pur nella concitazione generale, il piano d'azione prevede un'attenta selezione dei militi, riconosciuti e identificati anche per l'atteggiamento e il comportamento tenuto in paese sino ad allora. Nel frattempo avviene un'ulteriore incursione partigiana presso le abitazioni del segretario del Fascio locale Pietro Paglia, che rimane nascosto sotto il letto senza farsi trovare, e del sarto Arturo Paglia, che viene catturato e portato all' ammasso 9bis • In base a tale criterio, non tutti i militi vengono fucilati, ma viene fatta una selezione per età. Si decide di passare per le armi dodici adulti, mentre sette giovani, spogliati, vengono lasciati liberi. Oltre al regolamento di antichi conti aperti all'interno della comunità, si procede così a un' azione simbolica di forte deterrenza rispetto alla ricostituzione del presidio locale istituito per l'ordine pubblico e il controllo politico in paese lO • Al riconoscimento delle vittime del presidio, secondo il grado militare, compreso il civile Arturo Paglia, considerato uomo mite e incapace di violenza, procede il Comando di Castelnuovo Monti con una precisa nota di segnalazione di attività delle bande armate. Nella nota trasmessa alla segreteria generale si parla di sopraffazione del presidio di Cerredolo con un bottino cospicuo di circa 25 quintali di grano in 60 sacchi, portati verso la zona di Montefiorino,obis. Il giorno successivo la GNR reggiana provvederà immediatamente a trasportare tutti i corpi dei militi trucidati a Reggio, allestendo una camera ardente nella Federazione fascista repubblicana di Reggio, mentre il 6 maggio si svolgono i funerali ufficiali, con massimo rilievo pubblico I I. L'unico funerale pubblico svoltosi a Cerredolo sarà proprio quello di Arturo Paglia, repubblichino prelevato dalla propria abitazione, condotto e fucilato all' ammasso assieme ai militi del presidio. Secondo uno schema consueto, all' azione di offensiva al presidio viene fatta seguire immediatamente un'azione di rappresaglia e di epurazione. Il giorno dopo, accanto all' ammasso, quattro giovani, militari lombardi, pro60
venienti dalle province di Cremona e dal Comasco e fuggiti dal fronte di Montecassino, in procinto di rientrare alle proprie case, vengono catturati in prossimità del Castello di Toano, a seguito di una delazione. Sono giustiziati, pur innocenti, con l'accusa di essere elementi facenti parte di bande di ribeWllbis. Per quanto riguarda il comune di Toano, l'offensiva partigiana iniziata con l'attacco e l'annientamento del presidio di Cerredolo, si concluderà a giugno con il ritiro dei militi della GNR e l'occupazione partigiana. Nella notte tra il 31 maggio e il l giugno i partigiani attaccheranno anche il presidio di Toano: il 5 giugno la GNR si ritira dal comune, mentre nella stessa giornata una formazione partigiana composta da toscani occupa il paese l2 •
Memorie in ostaggio La guerra La letteratura partigiana relativa alle dinamiche e alle motivazioni dell' attacco al presidio di Cerredolo è fitta di annotazioni sulla lucida fase preparatoria dell'attacco e si espone altrettanto nettamente nel condannare gli effetti devianti di una sorta di eccesso di violenza che inequivocabilmente contrasta con una metodologia acquisita sui disarmi dei presidi (soprattutto nel reggiano) compiuti perlopiù senza spargimento di sangue l3 • Anche da parte della storia grafia di destra è iniziata da qualche anno una speciale attenzione per le dinamiche dell' attacco, con una propensione ad alimentare la tesi di un eccidio criminale, costruito in tutti i particolari, avanzando l'ipotesi di una doppia linea interna di strategia partigiana, con aperti elementi di dissociazione, ampliati ex-posto Ad esso si mescola la dissociazione tra memoria pubblica civica e privata, rispetto all'eccidio. Ancor oggi l'ex ammasso (Consorzio Agrario), crivellato di colpi di arma da fuoco, non viene ricordato pubblicamente (non esiste infatti né cippo, né lapide preposti dall' Amministrazione Comunale) contribuendo tutto ciò ad alimentare un corto circuito della memoria. Tuttavia le memorie collettive, raccolte a Cerredolo da Istoreco, dopo cinquantaquattro anni di sostanziale silenzio nel dibattito storiografico, rappresentano un cantiere aperto su cui è possibile rielaborare una memoria lunga della comunità, del suo rapporto con la resistenza, la violenza di guerra, la ricostruzione, gli anni della guerra fredda, alla luce della memoria dell'evento-culmine del maggio '44; una memoria - questa - rimasta ancora sostanzialmente reclusa nei luoghi dell'ammasso, tragicamente immobile rispetto alla notte dell' assalto l4 • L'indagine, strutturata su un campione di una decina di testimonianze orali, interamente reperite nella primavera '98 15 ha avuto come primo obiettivo di riferimento la ricostruzione delle memorie che costruiscono la percezione comunitaria rispetto alla guerra - e alla guerra civile in particolare - aggravate dalla presenza della violenza nazista. Risulta così un' operazione che tenta di non omettere le diversità, le incongruenze, le discrepanze, le omissioni - volute e non - ma proprio attraverso di esse possono essere ricostruite, determinando il senso comune di una comunità attraversata dall' esperienza del massacro, pur nella complessità e anomalia che più sopra si accennava. 61
La risposta e l'accoglienza con cui da parte degli intervistati si è cercato di capire le dinamiche e i processi di riappropriazione delle memorie scaturite dalle interviste - anticipando gli effetti di una ricaduta pubblica dell' intera iniziativa su un processo di riconoscimento della comunità - sono state ottime spie di una capacità di poter comunque coniugare le appartenenze soggettive alle fratture provocate dalla guerra e dalla violenza. Lo "scandalo" della guerra civile ha potuto così essere reinserito nel circuito narrativo della storia repubblicana e - seppur rappresentandone una dolorosa cesura - è stato riammesso nel processo di "invenzione" della tradizione comunitaria. Quasi tutti gli intervistati partono dall'osservazione del paese su un campo lungo: moltissime sono le riflessioni relative alle condizioni del paese in guerra, ma soprattutto in relazione a una diversa percezione dei "tempi della guerra" e dei "tempi delle libertà"; si tratta di memorie partigiane e antipartigiane - a varie gradazioni - culminanti rispetto all'azione dell' attacco contro il presidio GNR, nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1944. Quest'ultimo costituisce un evento/cesura che catalizza e "blocca" in senso figurato all'interno dell' ammasso granario tutti gli interrogativi sulle scelte, sull'opportunità di schierarsi e sulle capacità di rielaborazione dell'evento e dell'atrocità del lutto; da qui si riverberano e prendono corpo molte delle questioni specifiche tra guerra e comunità montanara, rapporti tra fascismo, piccolissima proprietà fondiaria, costruzione del reddito, specificità economica e sociale della comunità e speranza di vita, prospettive e frustrazioni della Ricostruzione. D.P., uno tra gli intervistati, sottolinea: In fin dei conti, - sì - han fatto una strage però se lo potevano anche meritare. Forse quello è anche un modo per far finire la guerra prima, perché poi bisognerebbe, quando si dialoga su quello che è successo, bisognerebbe ripartire dalle origini. Come ha vissuto il montanaro? Come ha tirato avanti? Tu puoi allora capire la stanchezza delle gente che aveva nei confronti del fascismo, ogni frazione, ogni comune, perché avevano dei fascisti . ... Qui ci sono ancora adesso, ci sono dei nostalgici, ma la maggioranza della gente era talmente stanca! Facendo la storia bisognerebbe partire dalle radici, allora si può fare della storia. Se si guarda superficialmente non si riuscirà mai a capire i montanari l6 •
La stessa periodizzazione relativa alla guerra è scandita da un calendario tutto interno alla comunità: ]' eccidio, la presa di Montefiorino e il rastrellamento tedesco del luglio/agosto' 44 costituiscono un discrimine, una soglia, tra un "prima" e un "dopo" la guerra. Per molti entro questa parabola si consuma la reale percezione dell' essere in guerra da parte di Cerredolo. "Il '44 - mi dice F.W. - è stato l'anno più funerario che ci sia", citando esattamente i tre eventi succitati 17. Anche la partecipazione emotiva alle stragi tedesche di Monchio, Susano e Costrignano del marzo 1944, costituiscono un riferimento assai vicino, pur rimanendo un evento sostanzialmente non ipotizzabile rispetto a Cerredolo, per struttura e caratteristiche stesse del paese. La paura delle stragi, o comunque di rappresaglie nazifasciste, a seguito 62
dell' annientamento del presidio repubblichino sarà comunque un evento messo in cantiere, ma non paralizzante, rispetto alla comunità. Solo una testimone, in particolare, ne riferisce in merito: Avevamo paura di un rastrellamento (a seguito dell' annientamento del presidio di Cerredolo, n.d.r.). Dicevamo: chissà cosa ci faranno i tedeschi? Allora siamo scappati tutti verso i monti, direi tutti, tutti. Mi ricordo che siamo andati con i materassi in testa fin nel bosco; siamo andati in questi boschi, credevamo di essere sicuri. Poi ci hanno visto, sono passati i tedeschi; noi ci sentivamo più sicuri. Siamo rimasti fuori nel bosco per una settimana, poi abbiamo cambiato posto e siamo andati verso Massa, a Lupaccio lR •
Probabilmente, in questo senso, è avvenuta una generalizzazione di un pericolo di rappresaglia, vissuta come emergenza dalla famiglia dell 'intervistata, forse più preoccupata di eventuali ulteriori regolamenti di conti da parte delle formazioni partigiane, che ormai si andavano ricompattando nella primavera del 1944. In generale, prima dell'attacco al presidio fascista del maggio '44 dominava una sensazione diffusa di guerra controllata da parte della comunità, anche rispetto al coprifuoco; alcuni lo ricordano attivo solo negli ultimissimi mesi (quelli che, per maggior precisione, coincidono con l'insediamento del presidio GNR nell'ammasso sotto la guida del comandante Michele Licata, riconosciuto per la durezza con cui manteneva l'ordine pubblico in paese). Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la percezione della guerra era stata condivisa con la fortissima preoccupazione per gli effetti della frana che nel 1941 divorò la parte centrale del paese, costringendo molte famiglie a lasciare la propria casa. Già l'anno successivo furono ricostruite quattro case popolari in cui si erano trasferiti molti degli intervistati. Abbiamo avuto anche la frana nel '4i: anche una parte della nostra casa era franata. Lo Stato ci è venuto incontro e ha costruito queste quattro case che adesso sono occupate dall' intendenza di finanza; tutti i commercianti erano ospitati lì, assieme, all' osteria della famiglia Guiducd 9•
Cerredolo peraltro continuava a svolgere ancora durante la guerra un ruolo primario nell' economia e nel commercio montano, convogliando sul suo importantissimo mercato (di grande rilevanza la contrattazione dei bovini e delle granaglie) gli interessi e le attenzioni del versante modenese e reggiano. L'ammasso granario, costruito nel 1936 costituiva nella percezione comune una vera roccaforte di ricchezza. Cerredolo - sostiene un testimone - era un paese ricco perché era il cumulo della montagna, si facevano dei mercati, che venivano dappertutto (i contadini), c'erano due banche; un ammasso del grano che conteneva 12.000 quintali di grano e poi c'era una cantina che pigiava J 8.000 quintali di uva all'anno. Neanche Castelnuovo aveva quel che aveva Cerredolo; allora, finita la guerra, dato che Cerredolo era pur sempre un paese di operai che ha sempre votato a sinistra, i sindaci, a parte subito dopo la Liberazione, non l' hanno più sviluppato. Se si va a veder Cavola, Massa, Toano, Quara ." qui invece non danno licenze per costruire per nessun motivo21l ,
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La guerra, dunque, non aveva costituito una cesura negli scambi e nel commercio, anche perché il controllo della statale per le Radici non poteva indurre a provocare strozzature e imbottigliamenti proprio a Cerredolo. L'immobile dell'ammasso granario era dunque una sorta di cambiale girata dal paese al fascismo, che a sua volta aveva "garantito" il controllo del territorio e l'ordine pubblico con un irrobustimento del presidio Nel deposito a fianco facevano il razionamento alimentare con i bollini - afferma Fe.W -l'ufficio di quell' ammasso lì era dove c'era la cassa di Risparmio. Migliaia di quintali di grano. Ma in quel periodo in parte era vuoto 21 •
Prendere possesso dell' ammasso segna simbolicamente la tenuta in scacco del nemico, garantendosi il vettovagliamento, oltre che naturalmente consentire la creazione di una corsia di passaggio per la statale delle Radici e i presidi montani di Montefiorino, Frassinoro, Piandelagotti. Era comunque un obiettivo ambito, soprattutto dal punto di vista della guerriglia. Il possesso dell 'immobile garantiva il riconoscimento visibile della propria ricchezza, ma la popolazione lo ricorda al tempo del presidio come particolarmente blindato, estraneo; la composizione del presidio era di elementi tutti estranei al paese, anche se alcuni ben conosciuti (per es., vengono citati Ermete ed Ettore Gazzotti di Toano, che qualcuno timidamente si spinge a considerare come arruolati per pure necessità familiari). «Era un presidio, ma erano militi buoni, c'erano anche delle persone anziane» afferma Fe. W. 22 , nella tessitura della sua memoria antipartigiana. Ancora sul quadro socio economico del paese, molti testimoni non declinano dall' autorappresentarsi positivamente, solidamente strutturati, in una memoria lunga che come abbiamo già accennato sommariamente taglia trasversalmente la guerra e ne accelera per certi versi l'uscita.
Paese e comunità I commercianti qui sono sempre stati benino: due banche, Cassa di Risparmio e Cassa San Geminiano San Prospero fin dall' epoca del fascismo, c'era la caserma qui - i carabinieri si sono spostati già durante la guerra a Toano la guardia di finanza ... San Cassiano, qui vicino, è un paese di contadini sì, m.a molto ricchi, che a Cerredolo portava i propri risparmi 23 •
Questa situazione favorevole costituisce a suo modo un lasciapassare per la fine della guerra che non è tuttavia sufficiente - a detta di tutti - al decollo del paese, alla sua trasformazione nel processo di modernizzazione e successiva ricostruzione. Tornando al quadro sociale di riferimento e alle appartenenze non è facile poter descrivere Cerredolo in modo lineare: presenta senza ombra di dubbio forti spaccature interne, anche se non identificabili come autentiche lacerazioni e scomposlzloni. Quando si affronta l'indagine relativa alla composizione del fronte antifascista cerredolese, il suo milieu, l'ambiente culturale di riferimento, quan64
d'anche si analizzino le specifiche storie familiari, qui si avverte un salto: Cerredolo è un paese che esprime una forte compagine operaia, risulta il primo paese tra i comuni della zona (Toano, Quara, San Cassiano, Cavola) che fin dall'immediato dopoguerra abbia espresso una maggioranza di sinistra, ma questa rimane sostanzialmente bloccata. Alcuni sottolineano una consistente coscienza antifascista, ma al contempo la dichiarano esplicitamente "in ostaggio" rispetto a una forte tradizione e controllo della destra. Qui a Cerredolo non mi sembra che fosse un paese molto antifascista, ma c'erano alcune famiglie di forte fede fascista; c'erano riunioni con le donne fasciste, la maestra le organizzava. Qui hanno raccolto l'oro e il rame, durante la guerra d'Etiopia, e la gente dava volentieri. Altro che se hanno fatto la raccoltap4.
E ancora: Il banchiere della Cassa di Risparmio era davvero un fascista che comandava; sotto, sotto, ma comandava. La popolazione ha sofferto molto. Dopo la liberazione qui il Fronte Popolare ha vinto, come sezione però; a Toano su dieci sezioni non c'era niente25 •
Anche la presenza di una forte Cooperativa di Produzione Lavoro, poi fascistizzata, che impegna molti cerredolesi nella costruzione e ricostruzione del paese non modifica sostanzialmente il quadro di riferimento socio-economico entro cui ci si muove. Qui a Cerredolo c'era una cooperativa di lavoro che aveva origine prima del fascismo, poi fascistizzata che gestiva il padre di quel Paglia Pietro (allude a quel Paglia ricercato invano dai partigiani prima dell' eccidio, riconosciuto come uno tra i più pericolosi elementi del fascismo locale, n.d.r.) anche mio padre faceva parte della cooperativa; mio padre era un bravo muratore (. .. ). La cooperativa era in piazza nel centro del paese ed era solo cooperativa di produzione lavoro. Poi, dopo la guerra, la cooperativa era stata affidata a un certo Borghi, un antifascista; (. .. ) abbiamo fatto il ponte di Cavola, oltre al nostro, e avevamo fatto anche una cooperativa di consumo ... che disturbava un po' (. .. ). Anche durante la guerra la cooperativa ha fatto le case popolari, gli ingranaggi, quando c'era la frana si è lavorato soprattutto in edilizia. (. .. ) Anche l'ammasso e la cantina sono della Cooperativa Produzione Lavoro: questi lavori sono del '37- '38. Poi però a Cerredolo che era un paese di operai, molti sono in gran parte emigrati in Belgio, Francia, Torino e Milan0 26 •
Molto ci sarebbe ancora da indagare sui contesti socio-economici, soprattutto nel senso della costruzione degli immaginari e dei contesti collettivi che hanno poi strettamente determinato il clima e le memorie tra guerra e dopoguerra; i testimoni, in questo senso, manifestano una sensibilità diffusa a voler discutere il capitolo della guerra più in relazione alle dinamiche complessive antecedenti e successive i fatti del maggio 1944. Ma è altrettanto evidente che l'azione di guerriglia e di azzeramento del presidio costituisce un discrimine e una soglia ben precisa. In ogni caso, la stessa commemorazione del!' attacco all'ammasso sarà congelata dalle dinamiche della guerra 65
fredda. L'episodio dell' eccidio decanta e fissa molte delle percezioni della guerra attorno al suo nodo e ai suoi enigmi rendendo per certi versi "trapassate", "remote" le memorie. La comunità fatica a dipanare la memoria di tutti i fatti relativi all' assalto, alla sparatoria, e al successivo assedio del presidio con il precipitarsi del massacro, nel loro incalzante susseguirsi, anche se quasi tutti padroneggiano la dinamica complessiva, conservandone il senso di un evento fondante la stessa comunità, pur nella sua inenarrabilità. Come altri episodi simili combattuti e guerreggiati nell' assalto di un immobile, durante la notte, il teatro dell'azione si sottrae per certi versi alla zona di visibilità pubblica che rimane spazio di confronto solo tra presidio e formazioni partigiane. Solo alla fine dell' azione, alle luci dell 'alba la gente potrà andare ad osservare, a ricostruire di persona, a riconoscere i morti, a chiedere e scambiare informazioni direttamente sul luogo. La invisibilità dei fatti e la conseguente impossibilità alla testimonianza oculare sottraggono molto l'episodio dalla scena pubblica, rendendo più ardua la fissazione dei fatti. Gli effetti della rimozione di un episodio di violenza che non si riesce coscientemente a padroneggiare e la difficoltà a collegare immediatamente ragione dell' eccidio e specificità della violenza, colta postuma in tutto il suo raccapriccio, allontanano la possibilità d'identificare una ragione comune sufficiente per poter costituire una memoria collettiva della violenza in sé utilizzabile, a posteriori, nell' intento di ricostruire la comunità su riferimenti . . e neSSI comunI. Così come è stato possibile raccogliere testimonianza di alcuni "attori" che direttamente hanno partecipato all'attacco, allo stesso modo si sono raccolte le memorie dei civili; si tratta di commercianti, artigiani, ex contadini, ex dipendenti pubblici, che ben rappresentano l'eterogeneità del campione anche rispetto al grado di rappresentatività delle subculture di appartenenza, ai valori e alle strutture ideologiche di riferimento. Con loro è stato così possibile costruire e rimontare "memorie lunghe" in grado di attraversare guerra e dopoguerra fino alla percezione che gli stessi testimoni hanno della comunità dell' oggi, nel difficile passaggio tra fascismo e Repubblica attraverso il nesso della democrazia che costruisce il presente.
L'ininterrotta ricostruzione Si è dunque esplicitata una grande voglia di raccontare il paese tutto intero, con le sue luci e le sue ombre, dalla guerra alle questioni dell'oggi, con una straordinaria ricchezza di particolari. Qui si ritrova tutto il senso della comunità civile che non si nasconde all'autorappresentazione, capace di fare storia del tempo presente, forse perché ha bisogno di potenziare la propria rappresentanza. In paese sussistono meccanismi un po' ossidati nello scambio tra narrazione, memorie collettive e politica. Tuttavia Non s'è creata divisione tra noi, c'era piuttosto dispiacere per il massacro, tutti quanti non è che vedessero molto bene i partigiani a fare quel lavoro lì; che avessero ragione io non discuto, ma il massacro era stato fatto e non era da farsi ... Eh, perché erano sempre persone .. Y.
Al fenomeno delle memorie divise va qui a combinarsi uno strano impatto di rimozione degli eventi nel limbo della guerra. Ho un vuoto dopo questo fatto - afferma una testimone - non mi ricordo più niente27bis • Uscire velocemente dalla guerra, comportava anche rinchiudere il ricordo di quell' eccidio in un' area privata della memoria, che tuttavia è sempre costantemente viva e vivace, rinnovando sofferenza e raccapriccio. Anche i più prudenti che tratteggiano a tinte morbide l'occupazione nazifascista, la presenza del presidio, le implicazioni della guerriglia partigiana sull' azione dell' ammasso non possono che incagliarsi nella memoria dell' eccidio: è lo scandalo della violenza di guerra, in particolare della guerra civile, che colpisce in tutta la sua brutalità, nonostante l'estrema ragionevolezza dimostrata da parte della comunità nel comprendere i contesti. Si è cercato di dimenticare: secondo me il paese è stato intelligente, da tutte le parti. Cerredolo - dicono 0.0. e O.R, - non voleva imbarazzarsi molto di politica perché voleva continuare i suoi mestieri. Il paese s'è sempre dato da fare per superare l' ostacol02~.
Un' altra testimone sostiene: Nelle case ... capirà si continua a parlare di questa cosa avvenuta qui ... un periodo che si cerca di dimenticare, ma certe cose restano, proprio lì davanti agli occhi ... Non si si può, non si può, si dovrebbe perdonare ma, ... 29. C'era un po' di timore di rappresaglia, ma poi tutti sono spariti perché la gente non voleva più saperne 30 •
G.G. così conclude sulle questioni guerra-dopoguerra: La gente è rimasta scioccata dei fatti di Cerredolo. Nel dopoguerra ... non si è parlato di fatti di guerra a scopi politici, piuttosto di regime, di ideologie. L'episodio è un episodio morto: era un gioco da bimbi. C'era un' ideologia più allargata".
C'è poi chi sul fatto intende riportare particolari assolutamente inediti di cui non è facile trovare riscontri oggettivi certi, ma che rivelano in ogni caso una particolare attenzione sui particolari e sui rapporti intersoggettivi legati all' episodio: Mi ricordo che la mattina su venne la Barbolini e c'era la moglie di un morto che ricordo sempre la frase che disse - "Mi dispiace ... ". "Eh, beh - disse la Barbolini alla moglie - uno che muore per la patria non è da piangere". Una frase che mi rimase impressa da ragazzo. Non mi ricordo chi poi li abbia portati
. ... --. " vw
Per quanto riguarda la dinamica degli eventi molti concordano che l'azione era già largamente preannunciata; si erano già intravvisti durante il mercato alcuni partigiani assai riconoscibili che si aggiravano a Cerredolo per avere dimestichezza con i luoghi e concordare con precisione la logistica dell' azione. La ricostruzione sulla dinamica dei fatti è per tutti abbastanza concorde:
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Questi fascisti erano nel presidio da quattro o cinque mesi (in realtà era poco più di due mesi, n.d.r.); nell' ammasso c'era un po' di grano ma per lo più l'avevano svuotato. lo lo so bene. Siccome avevamo le mucche giù alla valle, io c'andavo a portare il latte, li conoscevo, erano circa una ventina. E' successo che mi sono trovato dei morti dietro la strada ed erano anche di Toano; c'era la guardia che l'avevano uccisa con uno stratagemma. Una donna era andata a chiedere del farmacista, lui non se n'era accorto e lei l' ha ucciso; questa donna era di Sassuolo. H anno accerchiato l'ammasso: i morti sono stati tredici. Quando i fascisti si sono arresi hanno chiuso le porte, perché prima avevano dato fuoco alla porta, nel frattempo è stato ucciso un partigiano (... ) Dei fascisti, un certo Baldi, un cantoniere, gli hanno fatto caricare un camion di grano con i sacchi e poi l' hanno ucciso ed è rimasto in cima alle piante. (... ) Del presidio, ce n'erano di Toano, di Reggio, i giovani che erano dentro li hanno levati tutti in mutande, poi li hanno mollati, hanno tenuto solo gli anziani, quelli colpevoli. (... ) l morti fascisti erano dodici, tredici con Paglia Arturo: quando si sono arresi hanno chiuso il consorzio e non li hanno uccisi subito, poi sono andati al!' albergo Regina; il gestore Guiducci, siccome li conosceva, in particolare Nello e un altro di Rubbiano e ha detto: "Cosa avete fatto?" e lui: "Li abbiamo chiusi nell' ammasso e li andiamo ad uccidere". "Lascia perdere Nello - sottolinea Guiducci - ormai li avete presi ... e al zop? (riferendosi ad Arturo Paglia, conosciuto in paese per la sua menoma zio ne, n.d.r.). (... ) L'ammasso al mattino era una cosa terribile; avevano messo tutti al muro, c'era uno che aveva le stampelle (... ). Quasi tutti sono andati a vedere, san rimasti male, però nello stesso tempo dicevano: "Ma se si arrendevano non gli facevano mica niente. Ma i partigiani avevano fretta, a loro interessava il grano (... ) c'erano dei partigiani toscani, modenesi e di Palagano ... "33.
B.S. sottolinea inoltre la prevedibilità dell' azione: La sera prima che invasero l'ammasso io sapevo che c'erano già dei partigiani qui in giro; c'era un ragazzo che era dentro all' ammasso e sapeva benissimo che alla sera sarebbero venuti (... ). lo sono stato il primo la mattina ad andare giù, gli ultimi partigiani stavano risalendo (... ). Due fascisti, uno morto davanti lì, uno morto nell' angolo e poi hanno fatto la battaglia fino alle quattro del mattino. (... ) Cerredolo è stato l'ultimo presidio prima del rastrellamento dell'estate33bis.
Questo il racconto di uno tra i protagonisti "interni", il partigiano S.R.: Nella primavera del '44 ero nella zona di Montefiorino; eravamo con una formazione garibaldina nel Comune di Palagano, sotto Monte Mulino, nella formazione comandata da Fulmine, che precedentemente era stata nientemeno di Nello. Ero caposquadra di questa formazione e presi parte alla vicenda dell' ammasso (... ). Ho partecipato alla riunione che facemmo il giorno prima; il comandante ci disse che dovevamo essere assieme ad altre due formazioni partigiane. Si trattava di attaccare questa caserma e di dare un segnale alla popolazione che i partigiani c'erano. ( .. .) lo ricordo che siamo partiti da Monte Mulino; era tardo pomeriggio e in fila indiana per sentieri non molto agevoli, con le nostre divise colorate, addirittura cantavamo, pur sapendo di andare ad un' azione non facile che poteva trasformarsi in uno scacco militare; il presidio era abbastanza numeroso, armato e interno a un centro, dentro un immobile solido 68
con finestre piuttosto difficili da sfondare. (. .. ) Noi sapevamo tutto questo: era un' operazione di grande rischio. Già prima sapevamo chi dovevamo colpire ... coloro che si erano macchiati di delitti; sapevamo che c'erano persone tra noi che non valutavano fino in fondo la propria scelta ... Ma la guerra non va per il sottile (... ). Se devo riferire con la coscienza di oggi, il comando aveva certamente un disegno ampio, ma alle formazioni questo disegno non era stato esplicitato (. .. ). Noi dovevamo andare lì, occupare momentaneamente il paese, dare un segno della nostra presenza, eventualmente il disegno era liberare l'area dal presidio, allora non parlammo dell' insieme dell'area che doveva essere liberata: è stata una successione che ha portato via (. .. ). C'era una lista nell'inquadramento dei fascisti più compromessi che dovevano essere presi; (. .. ) ci fu una valutazione del comando partigiano di carattere generale, c'erano certamente presidi meno compromessi. Fu un comportamento diverso da quello che si ebbe in altre azioni (. .. ) Il mandato era di colpire e ritirarci, non era il presidio per mantenere delle posizioni (. .. ). lo torno al concetto di prima: potevamo fare prigionieri? Come? Dove? Anche noi possiamo aver commesso certamente eccessi, naturalmente c'erano anche delle presenze spurie, ma questo non voleva dire niente: c'erano i ripensamenti, i tormenti, le sofferenze, ma eravamo figli del popolo ... 34. Non ci aspettavamo una cosa del genere, che poi facesse un certo effetto sulla popolazione è indiscutibile ... Pur essendo un' azione di guerra, non era necessario fare quello che hanno fatto (alludendo ai toscani soprattutto, n.d.r.). (. .. ) A noi, quello che ci ha colpito di più è stato che è capitato sul nostro territori0 35 •
Nelle due testimonianze di partigiani presenti ai fatti, resa secondo la prospettiva offerta dai vari luoghi dell'azione, risulta la forte spinta nel considerare i contesti complessivi della guerra, rispetto allo specifico assalto del presidio, rivendicando inoltre che vanno trovati termini e formule giuste per definire la stessa azione di guerriglia: il termine eccidio, secondo alcuni, non è adeguato. L'eccidio - ricorda UP - non è quello di Cerredolo, bensì quello di Monchio, Susano e Costrignano dove sono utilizzati vecchi, donne, bambini (. .. ). Nel suo insieme c'era una popolazione che ha un po' risentimento verso i partigiani, ma soprattutto per il fatto che sulla popolazione ha gravato la confisca degli alimenti imposta per i partigianP6.
Tuttavia molti rassicurano che non c'è una vera e propria memoria antipartigiana perché ... la gente qui sapeva cosa avevano fatto i fascisti e i tedeschi a noi a Monchio, i partigiani non avevano colpa. La gente era anche matura delle cose che vedeva. Poi i vecchi fascisti non han più parlato di fascismo, anzi i veri fascisti non sono andati nella Repubblica di Salò e di fascisti ce n'erano tanti, anche cattivi J7 •
Anzi la popolazione ricorda con altrettanto forte indignazione la cattura dei quattro militari sbandati verso Toano che cercavano di unirsi alle bande partigiane, catturati proprio ad opera dei repubblichini venuti di rinforzo a Cerredolo, il giorno dopo l'attacco al presidio, con l'intento di vendicare i militi morti nell' ammasso 38 • 69
Ma la frattura comunitaria delle memorie e il loro congelamento pubblico nel dopoguerra hanno contribuito a una lettura strettamente politico-militare e stragista dell'azione partigiana da parte della destra che ha alimentato risentimenti familiari e privati, sull' onda lunga di uno specifico immaginario dei vinti. L'intento di ristabilire la "verità" sui fatti, sui responsabili, sulle dinamiche della violenza perpetrata, stigmatizzata sotto le forme del "'esecuzione capitale", ben aldilà delle considerazioni sui contesti di guerra (e tanto di più sulle dinamiche scatenate dalla guerra civile) ha prodotto un'indagine storica sul tema dell'azione partigiana analizzata come eccidio38bis. Di ulteriore, particolare interesse è il documento di denuncia (riprodotto in appendice) spedito dai congiunti del!' aiutante Rinaldo Morini (comandante del presidio della GNR di Cerredolo di Toano) all'Ufficio Politico Investigativo (UPI) e al Comando Generale GNR in data 13 maggio 1944 - XII. I familiari chiedono espressamente un'inchiesta e un procedimento a giudizio contro i responsabili del Comando Provinciale GNR circa l'omissione immediata di soccorsi urgenti richiesti dal Presidio di Cerredolo attaccato. Il documento risulta importante sia nella valutazioni delle dinamiche interne alle competenze della gerarchia militare, che nel significato di aperta dissidenza a quest'ultima che si schiude con l'annientamento del presidio di Cerredolo. L'oggetto disputato nella denuncia è il richiamo al valore e dell' onore dei militi per tutta la durata dell 'assedio partigiano, sostenuto dalla famiglia del milite deceduto e delle responsabilità precise e dirette da parte delle autorità militari, non solo durante l'azione guerrigliera, ma richiamate anche rispetto alla scelta di aver voluto sguarnire il presidio stesso, nonostante la domanda di rafforzamento. Riguardo alla memoria dei funerali delle vittime non tutti ricordano la scansione precisa degli eventi. Viene ricordato assai bene il funerale di Arturo Paglia, il civile cerredolese, considerato forse la vittima che provocherà risentimenti e ripensamenti maggiori a causa della sua menomazione e dei suoi trascorsi antifascisti, nonostante la famiglia di formazione e fede fascista e l'adesione dell 'ultim' ora alla Repubblica di Salò. Di Arturo - ricorda G.G., - è stato fatto il funerale che c'era anche Paglia Piero (il segretario politico repubblichino di Cerredolo n.d.r.) al funerale che urlava: "Camerati di Paglia Arturo? - "Presente!", dicevano tutti gli altri (. .. ). Ilfunerale, essendo uno del paese, l' hanno fatto qui e l' hanno sepolto al cimitero vecchi0 39 •
Rispetto al dopoguerra e alla memoria delle celebrazioni, molti sottolineano che non era particolarmente sentita l'esigenza di dedicare, segni, monumenti, piazze, ai fatti del maggio 1944 e in generale dedicate alla guerra di Liberazione e alla Resistenza. Ricorda un testimone: Qui è stato fatto un monumento a tutti caduti, ma solo per educazione: erano state fatte quattro facciate per non andare a mescolare; nessuno poi era andato a rivendicare: "Voglio il nome di ... ". Solo una volta hanno fatto qui in piazza una manifestazione che parlò ... circa quindici anni fa. Ricordo che fecero un discorso e lo moglie di quello di Toano che avevano ucciso urlò a voce alta, avvicinandosi al palco e c'è stato un po' di imbarazzo. Famiglie divise? C'è un po' di ruggine. 70
E ancora: "La battaglia per il monumento è stata nel 1970-1972: io e mio fratello siamo stati i promotori e abbiamo messo tutti i partigiani, i dispersi, i caduti, ma quelli dei partigiani non la volevan0 4o •
L'eliminazione del presidio di Cerredolo sposta l'asse della guerra partigiana sul presidio di Montefiorino, mentre invece era da considerarsi sgombro l'asse reggiano di collegamento tra Toano, Ligonchio, Frassinoro Cerredolo. Una volta che il presidio di Cerredolo fu completamente eliminato, l'ammasso granario svuotato e parte del grano contingentato dai partigiani per il vettovagliamento, (mentre la parte rimanente andò ripartita e distribuita alla popolazione), cosÌ rimase fin dopo la fine della guerra. Da parte dei fascisti - afferma u.P. - non c'è stata una risposta, è finita per loro. Con la presa di Montefiorino il fascismo in montagna era sparito. Dopo Cerredolo non c'è stata una reazione forte. Forse avevano capito che da parte loro era finita. A Cerredolo dei partigiani ce n'erano molti, non credo che ci fossero reazioni da parte di altre famiglie, anzi secondo me c'era paura. Non mi hanno mai chiesto se c'era questa o quest' altra persona. Se io mi mettessi nei panni della gente - è difficile perché ero dall' altra parte - hanno capito. Non so neanche se fosse una rassegnazione, un perdono (rispetto a Cerredolo, n.d.r.) è stato un mutamento da parte della gente che ha riconosciuto il male che àvevan fatto i fascisti nei confronti di tutta la popolazione montanara. In fin dei conti, sì hanno fatto una strage - però se la potevano anche meritare (00')' Certe cose io stesso me le sono chieste: "lo vado dappertutto e quando mi vedono, mi abbracciano, mi baciano e mi chiedono: Come la spieghi una reazione del genere?" Quello, mi dovrebbe odiare perché gli ho preso la mucca. Però, l' ha capita 41 •
La questione che colpisce in particolar modo nella ricomposizione delle vicende, soprattutto da parte dei protagonisti partigiani presenti all'attacco del presidio di Cerredolo, è il grado di autoriflessione complessiva, sull'uso e anche sull' abuso della violenza. Contestualizzare la violenza partigiana nell'ambito della guerra di Liberazione e della scelta per la democrazia, non sottrae queste memorie anche dal riconoscimento degli eccessi consumati. Se ne può parlare, apertamente, anche di figure come quella assai controversa di Nello Pini, da tutti riconosciuto, assieme alla formazione partigiana dei toscani, come l'epicentro della violenza. Dunque, attorno all'ammasso, svuotato della sua funzione, teatro di esecuzioni, segno della violenza di guerra, si è andata costituendo nell' arco di mezzo secolo una sorta di cintura sanitaria della memoria, sedimentatasi come memoria remota non ancora pubblica, coltivata nelle famiglie anche attraverso il dibattito sulla ricostruzione del paese. La cornice è quella di un lungo dopoguerra, molto vivace polemico, fortemente connotato dal dibattito politico su come e dove ricostruire il paese, anche in relazione agli eventi, bellici, geologici, economici, che lambisce e si protende sul presente. Si tratta, evidentemente, di questioni pubbliche relative a un piano di sviluppo complessivo del paese rimasto ingessato anche per una sorta di incapacità ad elaborare una propria memoria pubblica e un'identità collettiva forte rispetto alle origini repubblicane, costrette a passare per la cruna stretta della violenza e attraverso le fratture della guerra civile. 71
1. G. Franzini, Storia della Resistenza reggiana, A NPI, Reggio Emilia, 1982, III edizione, pp. 137-138. 2. C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1945, Franco Angeli, Milano, 1998. 3. E. Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino, Il Mulino, Bologna, 1966, pp. 157 e 276. 4. Archivio storico Istoreco, d'ora in poi AISRE, busta 14D, fasc. 4. 5. AISRE, busta CPM, foglio matricolare. 6. Archivio Istituto storico di Modena, GNR - Comando Generale, notiziario 5.5.1944; inoltre: Centro Ferrari, Fondo E Gorrieri, GNR - Comando Provinciale di Reggio Emilia, Situazione partigiana in provincia di Reggio Emilia, 1.6.1944; AISRE, busta 14C, fasc.11. 7. AISRE, busta 14 C fasc. 11, Comando provinciale GNR, Castelnuovo Monti, 4 maggio 1944; cfr. inoltre Testimonianze partigiane della divisione Modena, ANPI, Modena, p.7; Centro Ferrari, Fondo E Gorrieri, busta 14. 8. cfr. M. Albicini, A. Zanni, Formazioni locali, 1971, in Testimonianze partigiane della divisione Modena, op. ci!.; inoltre AISRE, Comando Provinciale GNR, ci!. e AISRE, fascicolo Denuncia familiari R. Morini. 9. ,,114 corrente, alle ore 3 circa, 150 ribelli armati attaccarono l'ammasso granario di Cerredolo (Reggio Emilia), ove trovavasi accasermato un posto fisso della GNR. I militi resistettero fino ad esaurimento delle munizioni. I ribelli, approfittando della cessazione del fuoco, incendiarono le porte di accesso all'edificio e, penetrato vi, vi trucidarono barbaramente 12 militi, lasciando in libertà gli altri 7, componenti il posto fisso, dopo averli disarmati e denudati. Con un camioncino requisito sul posto, provvidero quindi ad asportare 25 quintali di grano e indumenti e generi alimentari, saccheggiando anche delle abitazioni private, ... ", Archivio Istituto storico di Modena, GNR Comando Generale, ci!. 9bis. Circa le incursioni partigiane alla ricerca dei fascisti macchiati di atti di sopruso nel paese, vedi R. Grossi, Memorie di vita partigiana, Tecnostampa, Reggio Emilia, 1982. 10. Centro Ferrari, Fondo E Gorrieri, busta 9, Ricordi di Savoniero, p. 13. 10bis. (Questi) i legionari più anziani identificati: - Aiutante Rinaldo Morini; Vice brigadiere, Antenore Terzi; gli allievi Biagio Ghini da Toano; Ettore ed Ermete Gazzotti da Toano; Giovanni Montanari; il milite Aldo Schenetti da San Cassiano di Baiso, Gherri Dante e Virginio Meli; Bonvicini Ariento; Ghirri Dante; ci!. AISRE, fasc. 11 b.14 c. 11. «Una camera ardente, piccola e semplice, adorna soltanto del Tricolore: nel mezzo un tumulo austero, coperto con la bandiera sulla quale spicca il grigioverde della bustina militare e il coloniale del casco da legionario"; in Diana Repubblicana, Reggio Emilia, 19.5.1944, a.XXII ci!.; cfr., inoltre, Il Solco Fascista, Reggio Emilia, 6.5.1944. 11 bis. Questi i nomi in elenco nel documento di segnalazione di attività delle bande armate del 4 maggio 1944 del Presidio di Castelnuovo Monti: 1) Cattaneo Luigi di Angelo e di Podestà Margherita, nato a Soncino (Cremona) il 31/7/1925, ivi residente, fochista; 2) Spinelli Vittorio di Biagio Fausto e di Balladio Maria, nato 1'8/9/1923 a Cremnago (Como) (... ) meccanico; 3) Duzioni Santo di Pietro e di Diffidati Alessandra, nato a Verdello (Bergamo) il 6/8/1924 e residente a Cantù Clemente (Como), meccanico; 4) Cecchinelli Gaetano fu Alessandro e fu Martelasio Rosa, nato il 26/9/1923 e residente a Vailate (Cremona) contadino; AISRE, b.14 c, f. 11. 12. "Nella stessa giornata entrarono in Toano i partigiani della formazione Toscana composta di circa 46 partigiani provenienti dalle diverse città della Toscana (Viareggio, Livorno, Siena, ecc.) comandati da un certo Gernando e aventi come intendente Pietro. La formazione aveva il comando e l'infermeria nella vicina villa Erasmi... La formazione Toscana si distinse anche nel razziare nelle case dei cittadini... Fu saccheggiato il comune e furono distrutti incartamenti". Centro Ferrari, Fondo E Gorrieri, Appunti Archivio Toano, pp. 15-16. 13. In un'affermazione del commissario Davide, Osvaldo Poppi: "Non è vero che i militi furono torturati: io stesso con la rivoltella in pugno impedii che fossero anche semplicemente battuti. D'altra parte all'assalto c'erano anche partigiani ai quali era stato ucciso il nonno, era stato ucciso il fratello, che avevano visto incendiare la zona, per cui la reazione dei partigiani contro quei militi era più che naturale e d'altro canto, anche dal punto di vista militare, noi volevamo infliggere un colpo decisivo che avrebbe dovuto significare la ripresa assoluta della lotta senza quartiere e senza compromessi. Dei militi fatti prigionieri, una parte, quelli che erano giovani di leva, furono liberati e rispediti a casa in mutande e scalzi, i rimanenti furono fucilati. Tale fucilazione avvenne per disposizione del comando e tale era il nostro intendimento. Che poi l'abbia compiuta Nello (a Nello verrà attribuita la maggiore responsabilità relativa alla violenza
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perpetrata a Cerredolo; da notare che lo stesso partigiano Nello verrà giustiziato a Montefiorino nell'estate '44 dal Tribunale partigiano della Repubblica di Montefiorino, con pesanti capi d'accusa, relativi inoltre a saccheggi e furti alla popolazione civile, n.d.r.) ... Nè va dimenticato che il nostro proposito era quello non di ben realizzare un'azione, non di eliminare un determinato numero di nemici (. ..) il risultato più importante della nostra azione consisteva nell'impedire l'arruolamento della gioventù italiana sotto le insegne del fascismo, Centro Ferrari, Fondo E. Gorrieri, Polinago 13/11/1963. Osservazioni constrastanti invece emergono da alcune altre testimonianze partigiane; cfr. M. Albicini, A. Zanni, "Non era a nostro giudizio un'azione da fare. Forse avremmo avuto gli stessi risultati mandando li via in mutande come facemmo con quelli di Montefiorino, anche perchè si arrendessero più facilmente ... Nello invece li falciò (. ..) Magari selezionarli e fucilarli quelli che si sapeva che avevano fatto del male ... ma così ... senza interrogatorio, senza niente (. ..) un'azione un po' da macellaio ... Non erano cose da fare'. In particolare, C. Silingardi Una provincia partigiana. Guerra e resistenza a Modena, 19401945, cit., cap. "La conquista di Montefiorino". 14. L'edificio dell'ammasso granario, sede del presidio durante la guerra e teatro dell'eccidio, pur tornando in uso dal dopoguerra ad oggi (prelevato dal Consorzio Agrario Provinciale) rimarrà tragicamente segnato dall'assalto della notte del 3 maggio. Sono ben visibili ancora i colpi di mitragliatore sulla facciata laterale, proprio in concomitanza con la scritta "Vincere". 15. Il lavoro sulle memorie collettive di Cerredolo ha avuto un suo primo esito nel dibattito pubblico organizzato a Cerredolo il 10 maggio 1998, concludendo una serie d'incontri seminari ali dal titolo "Alle origini della Repubblica: per una politica di riconoscimento" organizzati da Istoreco; l'ultimo tra questi è stato dedicato, appunto, al caso di Cerredolo, con la partecipazione dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in Provincia di Modena e con l'Amministrazione comunale di Toano presso la Sala Polivalente di Cerredolo. 16. U. P., maschio, classe 1922, Montefiorino, 2 maggio 1998 17. Fr.W, maschio, classe 1924, Cerredolo, 21 marzo 1998 18. Fe. w., femmina, classe 1922, Cerredolo, 21 marzo 1998. 19. Fe. w., femmina, classe 1922, Cerredolo, 21 marzo 1998 20. B.S., maschio, classe 1927, Cerredolo, 22 aprile '98. 21. Fe. w., femmina, classe 1922, Cerredolo, 21 marzo, 1998. 22. Ibidem. 23. Ibidem. 24. Ibidem. 25. B.S, maschio, classe 1927, Cerredolo, 22 aprile 1998. 26. Ibidem. 27. D.B., femmina, classe 1928, Cerredolo, 30 marzo 1998. 27bis. Fe. w., femmina, classe 1922, Cerredolo, 21 marzo 1998. 28. G.G. e G.R. fratelli, maschi, Cerredolo, 30 marzo 1998. 29. Fe. w., femmina, classe 1922, Cerredolo, 21 marzo 1998. 30. D.B., femmina, classe 1928, Cerredolo 30 marzo 1998. 31. G.G., maschio, Cerredolo, 30 marzo 1998. 32. G.R., maschio, Cerredolo, 30 marzo 1998. 33. G.G., maschio, Cerredolo, 30 aprile 1998. 33bis. B.S., maschio, classe 1927, Cerredolo, 28 aprile 1998. 34. S.R. maschio, classe 1925, Modena, 29 aprile 1998. 35. U.P., classe 1922, maschio, Cerredolo, 2 maggio 1998. 36. U.P., maschio, classe 1922, Montefiorino, 2 maggio 1998. 37. G.G., maschio, Cerredolo, 30 marzo 1998. 38. G. Franzini, Storia della Resistenza Reggiana, ANPI, III edizione, 1982, p.138. 38bis. In tal senso è utile valutare la recente ricostruzione storiografica dell'azione partigiana compiuta da Luca Tadolini, presidente del Centro Studi Italia, in occasione dell'incontro di commemorazione delle vittime del presidio, il2 maggio 1998 presso l'Albergo Regina a Cerredolo e recentemente pubblicata sulla rivista Reggio Storia, n° 84, luglio-settembre 1999. L'impianto del lavoro d'indagine storica corrisponde alla volontà di oltrepassare la tesi dell'azione contro l'ammasso come deterrente comunitario rispetto all'adesione al fascismo, con tutte le aggravanti costituite - invece - dal proporre la tesi dell'eccidio intenzionale, con tanto di razzia, furti, sequestri di beni all'ammasso nei confronti della comunità. L'uso delle testimonianze è strettamente legato 73
alla ricostruzione delle vicende dell'assalto, dal punto di vista di chi ha partecipato all'azione o chi poi se ne è in qualche modo dissociato. Assai rilevante si dimostra qui la testimonianza di Cesare Palandri, nome di battaglia Balin (cfr. C. Palandri, La nascita ed i primi tempi della Brigata Dolo in Testimonianze partigiane della divisione Modena, ANPI, Modena, 1969, p. 7) che sottolinea la propria dissociazione rispetto agli eventi e alle risoluzioni sanguinarie prese da Nello Pini. Così ricorda Palandri: (.. .) Nello invece (. . .) li falciò, anche contro il parere (mi sembra) di Armando e di Davide (rispettivamente, Mario Ricci, comandante, di Pavullo e Osvaldo Poppi, commissario politico, n.d.r.). L'uso delle memorie tuttavia non ha qui il senso di utilizzare storie di vita in funzione di un riconoscimento comunitario, bensì costituiscono reperti di deposizione e testimonianza strettamente sulla dinamica dei fatti. 39. G.R., maschio, Cerredolo, 30 marzo 1998. 40. B.S., maschio, classe 1927, Cerredolo, 28 aprile 1998. 41. U.P., maschio, classe 1922, Montefiorino, 2 maggio 1998.
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Appendice
GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA COMANDO PROVINCIALE CREMONA
UFFICIO POLITICO INV. (U.P.I.)
Cremona, li 17 maggio 1944
Sezione lA N 83/R.S. - 4. lUpi.
OGGETTO: segnalazione
RISERVATISSIMA PER IL CAPO DEL SERVIZIO POLITICO AL COMANDO GENERALE DELLA G.N.R. - Servizio Polizia
P.d.C. 707 Per quanto di competenza, invio l'allegata denuncia presentata al Ministro di Stato FARINACCI dai congiunti de ... tante MORINI Rinaldo (comandate il presidio della G.N.R. di Ceretolo [sic] in Toano - Reggio Emilia) trucidato il 4 maggio da ribelli che assaltarono la sede del Presidio. Quanto contenuto nell'allegato é di particolare (... )tà perché i firmatari muovono accuse esplicite contro ... mandante Provinciale della G.N.R. di Reggio Emilia mi permetto consigliarne la necessità di un attento esame.
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IL COLONNELLO CAPO DELL'U.P.I. - Luigi Tambini DENUNCIA Il figlio Afro ed il fratello Celso, anche a nome del figlio Geo e della moglie Madureri Laura, dell'aiutante MORINI Rinaldo, trucidato la mattina del4 maggio u.s., in Ceretolo [sic] di Toano unitamente ad altri militi che difendevano il presidio, chiedono sia fatta inchiesta e proceduto a rigore di Legge contro i responsabili del fatto sotto indicato. Il Comando Provinciale della G.N.R. di Reggio è stato informato telefonicamente alle ore 1,30 circa dal presidio Ceretolo [sic] di Toano che era attaccato in forze da elementi ribelli, ed attendeva urgenti rinforzi. Contrariamente a quanto assicurato dal Presidio di Villaminozzo, e precisamente che avrebbe provveduto subito; i rinforzi partirono da Reggio solo alle ore 10. Quanto sopra per confessione stessa del Colonnello Comandante la G.N.R. e del Ten. Feretti, nonché può testimoniare il personale del Presidio di Villaminozzo, ed il Ten. Rinaldi di Reggio. La mattina del 10 c.m. i sottoscritti si recavano al Comando Provinciale e chiesero, dopo essersi presentati, di parlare con il Colonnello, il quale fece rispondere di attendere. Trascorso oltre un'ora e mezza di attesa invano e dovendo ripartire con il treno per Ciano d'Enza alle ore 12, riferirono al Ten. Ferretti, che motivo di conferire col Sig. Colonnello era per chiedere, se era lecito, a chi ricadeva la responsabilità di quanto sopra e della mancata fornitura richiesta di munizioni ed armi automatiche. A tale richiesta il detto Ufficiale rispose in malo modo che non vi era responsabilità di nessuno, perché gli uomini erano pronti delle ore 2, ma che la mancanza di automezzi non ha permesso di partire che alle ore 10. Aggiungeva inoltre che la partenza immediata non avrebbe servito a nulla, perché a suo dire il presidio avrebbe ceduto subito senza sparare, contrariamente a quanto avevano pubblicato i giornali. La sera stessa del1 Oi sottoscritti ricevettero avviso, tramite i militi del distaccamento di S. Polo d'Enza, di recarsi al Comando per comunicazioni urgenti. Ivi recati si la mattina di ieri 12, il Colonnello detto in modo altero ed intimidatorio, dichiarava ai sottoscritti che non deve dare giustificazione ad alcuno in quanto ha fatto, indi che contrariamente a quanto scritto sui giornali, il presidio di Ceretolo [sic] non ha fatta alcuna resistenza, che lui personalmente ha ricevuto la comunicazione da Villaminozzo e che ha disposto per l'invio dei rinforzi, i quali sono partiti come detto alle ore 10. Data la contraddizione cui è caduto il detto Colonnello e precisamente che il presidio non ha fatto resistenza, poi che è stato sopraffatto alle ore 3,30 dalle ore 1 e che é stato attaccato, che avrebbe ricevuta la comunicazione telefonica alle ore 1,30 mentre invece sembra abbia ricevuta la comunicazione a Correggio alle ore 3, ove si trovava per la uccisione del Commissario politico di quel capoluogo. In proposito a quanto sopra può essere sentito il capitano Pilati dell'Ufficio polizia segreta di Reggio. I sottoscritti avendo avuta l'impressione nei colloqui avuti col Ten. Ferretti e col Colonnello che si tenti sminuire il valore della resistenza opposta per ore dal presidio detto comandato dal loro caro Padre, fratello e sposa, rifiutandosi di credere che non abbia fatto resistenza fino all'ultima cartuccia, come pubblicato sui giornali, chiedono sia fatta luce e stabilito la responsabilità punendo esemplarmente i colpevoli. Si fa inoltre presente che il presidio di Ceretolo [sic], sembra fosse forte al momento del cambio, di una compagnia O.P. e che alla richiesta di aumentare il numero dei componenti a 50 anziché a 29 il comando detto ne tolse altri 7 dei migliori elementi cui faceva affidamento, così come non furono date le munizioni ed armi richieste. 75
Si è pure in dovere di segnalare che militi in servizio in vari altri presidi della Provincia, che a richiesta si possono nominare, se non sarà provveduto saranno costretti chiedere l'arruolamento in altri corpi. I sottoscritti si tengono a disposizione di codesto Ufficio per ogni altra precisazione che può servire in merito a quanto sopra. Cremona, li 13 maggio, 1944 XXII F.to F.to F.to F.to
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Morini Afro Morini Celso Madureri Laura Morini Geo
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Platzkommandantur Reggio. Aprile 1944 - Aprile 1945 MARGHERITA VALLI
Viene qui riproposta, per {' indubbio interesse che riveste, la memoria deffa profssa Margherita Valli già apparsa nel n. 64-66 di "RS". Si coglie l'occasione per rinnovare i ringraziamenti al/' Autrice, a suo tempo interprete presso il Comando Piazza germanico di Reggio (Le note a pie' di pagina sono redazionali)
I Comandi tedeschi I Comandi tedeschi erano in viale Timavo e nelle vie adiacenti. La PIatzkommandantur, nella villa Zironi, riguardava la provincia, l 'Ortskommandantur, nella villa Borzacchi, riguardava la città. Nella villa Pellizzi, in via Racchetta, c'era la Feldgendarmerie. Nel viale Timavo c'erano inoltre l'Ufficio del Lavoro, quello dell'Amministrazione, quello della Sanità e altri. La Platzkommandantur era divisa in due reparti: l'Abt. l A e l'Abt. l B. Nell' Abt. l A c'era l'ufficio del Comandante, quello del tenente 'Sachbearbeiter' (ufficiale addetto), qui stava anche l'ufficiale interprete e inoltre c'erano alcuni sottufficiali e soldati, e gli interpreti. In un primo tempo ci furono anche alcune ausiliarie tedesche, che poi vennero rimpatriate. lo lavorai all'Abt. l A dall'inizio dell'aprile '44 alla fine della guerra. Nell'Abt. l B c'era l'Ufficio Approvvigionamenti, con un tenente, un soldato e una interprete. Il Comandante della Piazza era il maggiore Wilhelm Frase (professione da civile: giudice); il tenente era allora il ten. Riemann, quando iniziai a lavorare là, ma di tenenti ce ne furono altri nel periodo in cui io rimasi. L'ufficiale interprete per le segrete cose era il dott. Otto Krieger di Stoccarda, che era un'ottima persona (professione da civile: commercialista): da lui ricevevo in gran parte il lavoro da svolgere. Tra gli altri ricordo in particolare il caporal maggiore Emil Schnaible, pure di Stoccarda (professione da civile: cassiere alla 'Sudwestbank' di Stoccarda. Banca Sud-occidentale). L'Abt. l B era diretto dal sottotenente Helmut Speidel. Nell' atrio convenivano le persone che avevano qualche cosa da lamentare o da chiedere: timbri, permessi, ecc. Là stava un' altra interprete: era una anziana tedesca, la signorina Marta Lohse. Qualche volta andavo anch'io nell'atrio. La gente parlava più vo79
lentieri con me: come italiana ero ritenuta più comprensiva da chi veniva a raccontare guai, miserie e preoccupazioni causati dall'occupazione. La signorina Lohse era brusca di modi, ma dal cuore buono. Per quanto poteva, aiutava. Per salvare una sua amica ebrea di ottant'anni, tutte le volte che veni va al Comando il capitano deII' SD gli si avvicinava e con insistenza gli chiedeva aiuto e interessamento a favore di lei. E così continuò fino a quando non ottenne che la sua amica non andasse a finire in un campo di concentramento, ma fosse ricoverata in una clinica l . Ebbi a lavorare più volte anche con la Feldgendarmerie, composta di quattro militari. lo lavorai solo con tre: il maresciallo Friedrich Leins (professione da civile: argentiere a Schwabish Gmiind, a 50 km. da Stoccarda), buon uomo, il sergente Meyer di Berlino, persona retta, e il mite sergente Emil Braun, che un commilitone chiamava 'Jesus', perché, diceva, quello pregava sempre. Col passare dei giomi fui in grado di conoscere a fondo quelli che ho detto e altri. Con me si confidavano, uno per uno, mai insieme, perché io dicevo schiettamente quello che pensavo, senza avere paura di nulla. Man mano che essi mi raccontavano delle loro vicende, delle città distrutte, delle loro case bombardate, delle famiglie di cui non avevano più notizie da tempo, del desiderio di pace, pensai che non fossero dei 'Nazi' (nazisti), ma che fossero anche loro " ... messi qui nella vigna a far da pali" e, per quanto non ne facessero apertamente menzione, capii che "il principale" dovevano averlo mandato "a quel paese" già da un pezzo. A me personalmente non risulta che siano mai partite di lì azioni di rappresaglia, però noi non venivamo a conoscenza di queste cose. Devo dire che non mi è mai stato chiesto se potevo dare qualche informazione su partigiani o altro. Per parte mia ebbi un solo principio: di poter dire alla fine della guerra che nessuno, né di una parte, né dell' altra, avesse avuto a patire qualche cosa per causa mia.
Il lavoro - I rapporti della Questura II lavoro, come ho detto, me lo dava di solito il dott. Krieger. In principio si trattò in parte di tradurre i rapporti della Questura. Per lo più erano insignificanti (ladri, truffatori), ma un giomo in un rapporto lessi: "Il sacerdote Prospero Simonelli ha una radio trasmittente". Che fare? Informarlo? In che modo? Dapprima pensai di mandare una amica (chissà perché pensai alla Carla Grasselli?), la quale, fingendo di confessarsi, lo facesse avvertito. Poi abbandonai l'idea. Non conoscevo ancora le persone con cui lavoravo e non volevo complicare le cose, dato che ho il difetto della sincerità. Stetti a vedere e non mi risultò che la cose avesse seguito. I rastrellamenti della scuola Monte Grappa Un giorno vennero alcuni ufficiali di reparti tedeschi che facevano rastrellamenti. Chiesero un interprete e fui mandata io con loro. Essi mi condussero alla scuola Monte Grappa, dove erano ammassati degli uomini rastrellati. Molte persone stavano davanti al cancello della scuola e si raccomandarono a me. Gli ufficiali ed io entrammo e subito uomini rastrellati, che si trovavano sulla scalinata, si mossero verso di noi e si raccomandarono. lo li pregai 80
di stare indietro, perché non conoscevo quegli ufficiali. Questi li fecero mettere in fila nel corridoio e diedero disposizioni. Coloro che avevano compiuto 60 anni ed erano in possesso della carta di identità vennero rilasciati. Altri, che protestavano di avere anche loro 60 anni, ma non avevano la carta d'identita, dovettero rimanere. Un signore, che aveva vicino a sé un giovanotto, mi disse: "E' mio figlio, è un idiota. Chieda che mi lascino insieme a lui". Gli fu concesso. Ad uno ad uno gli uomini furono fatti venire avanti. A un certo punto si presentò un tale un po' strano: barba e capelli formavano una corona tutt'attorno al suo viso (per di più allora non usavano i capelloni). Era veramente buffo. - Ridevano perfino quei poveretti. lo non potevo ridere, altrimenti essi avrebbero potuto pensare di essere del tutto abbandonati. Risero gli ufficiali tedeschi alle mie spalle. Mi voltai di scatto e urlai a un capitano: "Non c'è niente da ridere!"
L'ausiliaria Nell' atrio i nostri soldati avevano la precedenza sulla popolazione civile. Un giorno venne una ausiliaria in divisa e pretese di passare avanti. Dissi che mi dispiaceva, ma lei non era un soldato e doveva mettersi in fila. Quando venne il suo turno, ella volle parlare col Comandante e feci io da interprete. Come fu davanti al maggiore, l'ausiliaria si tolse il beretto e gli fece vedere che i partigiani le avevano tagliato i capelli. Non ricordo cosa costei volesse, ma ricordo che, per ciò che chiese, il Comandante doveva parlare col Comando di Modena. Al telefono la qualificò con certi aggettivi non lusinghieri; quardava me sorridendo e io guardavo lui sorridendo, perché capivo gli aggettivi, mentre quella se ne stava pacifica e forse credeva di essere entrata nelle grazie del maggiore con la sua testa pelata! Capii da quegli aggettivi che il maggIore non doveva essere un nazista (come poi fu dimostrato). Il prof Marconi Nei primi tempi in cui ero alla Platzkommandantur veniva a volte Emilio Marconi, perché suo padre, il prof. Pasquale Marconi, era in prigione. Non ricordo con chi Emilio dovesse parlare, né in quale prigione si trovasse suo padre. Il professore venne poi liberato e ricordo di aver sentito dire al Comando che nella sua liberazione c'entrava il ten. Speidel dell' Abt. l B (credo anche il maggiore Frase). Mi venne raccontato che tempo prima il ten. Speidel era rimasto ferito in una battaglia con partigiani e il prof. Marconi l'aveva curato. La prigione dei Servi Un giorno venne il sergente Meyer della Feldgendarmerie e mi chiese se avevo paura della prigione. Risposi che se ci andavo con lui non avevo paura. Andammo alla prigione dei Servi. Salimmo la scala e percorremmo un lungo corridoio tetro, in fondo al quale stava una guardia. Meyer fece chiamare due uomini. Essi furono accompagnati e Meyer mi disse di informarli che dieci giorni dopo sarebbero stati liberi. Quelli protestarono: non potevano rimanere in prigione dieci giorni, avevano il loro lavoro e non sapevano dove fossero i loro figli. Capii che i due dovevano essere padri di soldati fuggiti 81
dai reparti, perché in quel periodo venivano imprigionati i padri di soldati disertori. Meyer non parlava l'italiano, ma aveva capito; disse che se fosse dipeso da lui li avrebbe lasciati liberi subito, ma non dipendeva da lui bensì dal Comando dell' SD (Sicherheitsdienst = servizio di sicurezza). Mentre ripercorrevamo il corridoio, udii un canto melanconico di donne prigioniere. Quando fummo in fondo alla scala, Meyer mi chiese a bruciapelo: "Lei è fascista?" Gli chiesi perché mi facesse quella domanda, ed egli mi rispose: "Perché di fascisti adesso in Italia ce ne dovrebbero essere pochi!"
La donna di Villa Cadè (estate '44) Un sabato mattina d'estate venne una donna da Villa Cadè. Disse che l'aveva mandata un conoscente e raccontò che suo marito il lunedì seguente, cioè due giorni dopo, doveva partire per la Germania; lavorava per la TODT, ma all'Ufficio di Collocamento non volevano sentir ragione e volevano spedirlo in Germania. Le risposi che in quel momento non potevo muovermi, ma, se fosse tornata alla mezza, l'avrei accompagnata all'Ufficio tedesco del Lavoro, poco più in là. Tornò, andammo all'Ufficio tedesco del Lavoro ed esposi il caso all'ufficiale competente. Questi disse che, se quell 'uomo lavorava per la TODT, non doveva essere mandato in Germania e fece una dichiarazione in proposito. Allora la donna, felice, disse ancora: "Ci sarebbe anche mio cognato ... " Parlai anche per lui e l'ufficiale disse che, se anche il cognato lavorava per la TODT, nemmeno lui doveva andare in Germania e fece anche per lui una dichiarazione. Quando fummo uscite, la donna aprì la borsa e ne trasse un bel pezzo di burro, che mi porse. lo non lo volevo, ma lei insistette e lo presi. Pensando poi che dovevo andare a Bibbiano (dove io e i miei familiari eravamo sfollati) in bicicletta col sole e l'ora calda e che il burro nella rete si sarebbe sciolto, decisi di portarlo alla casa di Reggio, dove servì a me e a mio padre per condire la pastasciutta, quando a mezzogiorno pranzavamo in città. La padrona di via Borgogna Un giorno risposi al telefono. Una voce femminile disse: "Sono la padrona della 'casa' di via Borgogna. Ci sono qui dei soldati tedeschi ubriachi, che picchiano le ragazze!" "E io - risposi - che cosa ci posso fare?" Ella mi disse di mandare la Feldgendarmerie. Mandarono il sergente Braun, quello che pregava sempre. Schnaible - Casa bombardata Vidi un giorno il caporale Schnaible piangere, perché aveva ricevuto dalla moglie un telegramma con una sola parola: 'Obdachlos' (= senza tetto). La sua casa era stata bombardata. Supplente di Krieger Il dott. Krieger andò per un paio di settimane in licenza. A sostituirlo venne un tale dall'Alto Adige, il quale un giorno mi disse in italiano: "N ai tedeschi siamo stupidi, perché obbediamo senza riflettere!" Ripetè la stessa frase in 82
tedesco agli altri. Nessuno lo guardò, nessuno fece il mlllimo commento. Tutti continuarono il loro lavoro, come se quello non avesse parlato. Avevano paura ad esprimersi apertamente.
"Non credo più ... " Ci fu per un certo periodo un tenente, il quale un giorno mi chiese di accompagnarlo dalla sarta, che gli doveva fare una divisa. Strada facendo, mi disse: "lo non credo più in Dio, non credo più in una Potenza superiore" perché, continuò, del suo battaglione erano rimasti in pochi, aveva quattro fratelli mutilati, e della sua giovane e graziosa moglie, di cui mi fece vedere la fotografia, non aveva più notizie. Era di Chemnitz, la città della DDR (Rep.Democratica Tedesca), che ora si chiama Karl Marx-Stadt. Ritornando, gli dissi che il giorno seguente era un anno da quando lavoravo alla PIatzkommandantur. Il giorno dopo, quando arrivai, li vidi tutti disposti su due file, e il tenente mi porse un mazzo di garofano rossi.
Il giovane biondo Un giorno, nell 'ultimo periodo della guerra, mentre stavo per imboccare via Racchetta, vidi sulla destra un giovane biondo steso a terra, morto. Sapevo che in quel periodo, quando si compivano atti di sabotaggio, veniva fatta una rappresaglia su persone prelevate dalle prigioni. Pensai che il giovane fosse uno di quelli. Non sapevo chi dava tali ordini, ma, arrivata al Comando, urlai al primo che incontrai che avevo visto un giovane morto e che, se quello era tra i prelevati dalle prigioni, non poteva aver colpa di quanto era successo fuori. Colui al quale avevo parlato (era uno che era lì da poco) mi rispose: "Dobbiamo farci ammazzare tutti?" Da allora, quando passavo per via Racchetta, camminavo dalla parte opposta a quella dove avevo visto il giovane biondo. Solo poco tempo fa, passando da quelle parti, notai in via Porta Brennone una lapide che non avevo mai osservato. Mi avvicinai e lessi. C'erano quattro nomi e pensai che uno dei quattro caduti indicati fosse il giovane che avevo vist0 2 •
Festa al F eldlazarett Si fece il 30 gennaio 1945 una cerimonia al Feldlazarett (ora Ospedale Spallanzani), nell'anniversario dell'ascesa al potere di Hitler. Andammo anche io e la signorina Lohse. Nell'ingresso vidi su una porta una tabella, con una parola che non conoscevo: 'Entlausung'. Chiesi spiegazione alla signorina Lohse, la quale mi rispose sottovoce: "Sssst!!! - Lì dentro tolgono i pidocchi!" Di quella cerirmonia ricordo solo un bellissimo coro di soldati. Era l'inno di Beethoven: 'Die Himmel ruhmen die Ehre Gottes ... ' ('Coeli enarrant gloriam Dei ... ').
Il conte Calvi Negli ultimi mesi della guerra veniva spesso la contessa Calvi, insieme al figlio maggiore. Il marito, il conte Carlo Calvi, era in prigione, perché sospettato di appartenere al Comitato di Liberazione. Talvolta veniva anche la sorella del conte. Non feci mai loro da interprete, ma un giorno seppi che gli facevano il processo. Chiesi allora al dott. Krieger in italiano: "Come 83
va col conte Calvi?". Ed egli mI nspose, pure in italiano, queste testuali parole: "E' condannato a morte, ma il maggiore (Frase) non vuole! Ha sette figli!" Questa frase la ripetei alla contessa Calvi alla fine della guerra. Non ricordo da che fonte, seppi che col conte Calvi furono salvati anche un altro democristiano, il dott. Ferrari e due socialisti, Gino Prandi e un altro. Angelo Zanti non potè essere salvato, perché era comunista3 • Credo che alla liberazione del conte Calvi e degli altri abbia contribuito anche il col. Dollmann. Questi veniva a volte alla Platzkommandantur, accompagnato da un grosso cane. Non parlava con nessuno e andava direttamente dal Comandante. Qualche volta lo sentii pronunciare alcune frasi in italiano. Era un italiano perfetto, senza alcuna inflessione straniera. Dopo la guerra lessi in un settimanale che Hitler lo aveva fatto colonnello delle SS per la sua padronanza assoluta della lingua italiana nei servizi di interprete.
Rastrellamento a Fogliano Un mattino, al mio arrivo, trovai l'atrio pieno di donne. Venivano da Villa Fogliano, dove truppe tedesche avevano rastrellato gli uomini. Partì per Fogliano il ten. Kuhn dell'Ortskommandantur (credo con Rabotti), disse che a Reggio comandavano loro e ordinò a quelle truppe di lasciare andare liberi gli uomini. Natale non in pace Quando ormai il fronte era arrivato alle porte di Bologna, Krieger mi disse: "Natale lo passiamo in pace". Invece né il Natale, né la Pasqua potemmo ancora passare in pace. La battaglia di Fabbrico Alla fine del febbraio 1945 ci fu a Fabbrico una battaglia tra tedeschi e partigiani. Qualche giorno dopo il dott. Krieger mi chiese se mi ricordavo il maggiore Smola, che era stato lì la settimana prima. Risposi di no, non l'avevo conosciuto e Krieger mi disse che quel maggiore era morto nella battaglia di Fabbrico. Un giorno vidi nell'ufficio una valigia, sulla quale c'era un indirizzo: «An Frau Nietta Smola - Wien». Pensai che la valigia fosse indirizzata alla vedova del maggiore Smola e mi colpì il nome italiano della signora. La cosa finì lì, ma dopo la guerra fui chiamata in Municipio, dove il signor Otofredo Siliprandi mi chiese se sapevo qualcosa di un certo maggiore Smola. Era andato da lui un signore per conto di un amico, cognato della signora Smola. A questa un soldato aveva dichiarato a Vienna che il marito era morto in provincia di Reggio Emilia, ma la testimonianza del soldato non era sufficiente, perché la signora potesse avere una pensione. Mi ricordai allora dell'affermazione del dott. Krieger e della valigia che avevo visto e dovetti fare in proposito una dichiarazione scritta all'allora Sindaco di Reggio Cesare Campioli, così la signora potè avere la pensione. Lettera del Vescovo Nella primavera del '45 il vescovo Eduardo Brettoni aveva scritto una lettera 'speciale', nella quale deplorava i fatti luttuosi che succedevano nella 84
provincia, ma non accusava nessuno in particolare. Era una lettera molto obiettiva4 • Un giorno incontrai in via Toschi mons. Leone Tondelli; era con un altro prelato, mi pare il Vescovo, ma non ricordo bene. Mons. Tondelli mi chiese di diffondere quella lettera nei Comandi tedeschi, ma non ce ne fu bisogno. La lettera era piaciuta e il capitano dell' SD se ne era fatto dare parecchie copie da don Dante Caliceti, parroco di S.Zenone, giacché i Comandi tedeschi erano sotto la sua giurisdizione spirituale.
Ultimi giorni Mentre si avvicinava la fine della guerra, il dott. Krieger mi diede il suo indirizzo, pregandomi di scrivere a sua moglie, a guerra finita. Nel pomeriggio di sabato 21 aprile si cominciarono a sentire i primi spari dei partigiani. La domenica 22 andai alla Messa delle 8.30 in S.Pietro. Mentre il parroco mons. Augusto Pasi celebrava, gli spari furono continui. Sembrava chc sparassero contro le vetrate dell' abside. II lunedì 23 mio padre non voleva che andassi più alla Platzkommandantur, ma io volli andare per un saluto, poiché i Tedeschi stavano già preparando la ritirata. Già qualche giorno prima avevo visto una volta l'attendente del maggiore in abito borghese. C'era una grande confusione al Comando, quando arrivai: biciclette, gente che andava di qua e di là. Furono contenti di vedermi e il dott. Krieger mi rinnovò la preghiera di scrivere a sua moglie. Chiesi cosa dovessi scrivere ed egli mi rispose: "Scriva che mi ha visto fino al 23 aprile ... " e mi consegnò un libro di Emilio Cecchi: 'America amara', dicendo che non poteva portarlo con sé.
Dopo la guerra Non ne seppi poi più niente, fino al mese di giugno, quando un giorno venne da me la Silvia Lari e mi portò una lettera, che erroneamente era stata recapitata a casa sua. Non compresi la calligrafia della busta, ma dentro vi trovai una lettera del dott.Krieger, data 29 aprile, nella quale egli mi comunicava di essere in un Ospedale militare italiano a Brescia, ma di non essere ferito. Attendeva di essere consegnato agli Americani e mi pregava ancora di scrivere a sua moglie. Per un anno gli Alleati non permisero di scrivere in Germania. Quando potei, scrissi alla signora Krieger e mi rispose egli stesso. Aveva trascorso l'estate in un campo per prigionieri a Livorno e a Pisa, poi era stato con altri rimpatriato. Non essendo egli mai stato iscritto al partito nazista, al suo rimpatrio fu lasciato subito libero, mentre un altro che era alla Platzkommandantur, il quale nel passato aveva fatto parte delle SS, dopo essere stato rimpatriato fu messo di nuovo in un campo di prigionia e perse il posto di maestro. Krieger mi raccontò inoltre nella sua lettera di alcuni, che erano morti durante la ritirata (tra cui il ten. Speidel e il ten. Natter). Egli mi spiegò poi che aveva potuto non iscriversi mai al partito nazista, perché nelle grandi città i liberi professionisti riuscivano ad evitarlo.
Lettere di Krieger II dott. Krieger mi scrisse poi parecchie volte nei primi anni dopo la guerra. Venne una volta a Reggio con la famiglia e andammo insieme da 85
Rabotti. Le sue lettere sono un quadro della Germania negli anlll del dopoguerra.
Identificazione di soldati morti Dopo la guerra venni chiamata più volte in Municipio dal signor Siliprandi per l'identificazione di soldati tedeschi morti durante la ritirata, per conto della Croce Rossa Internazionale. Una prima volta egli mi consegnò dei documenti. Il parroco di Villa Cadè li aveva tolti a nove soldati morti durante la ritirata, aveva però tolto anche la piastrina di riconoscimento, così non si poteva sabilire l'esatta identità di ciascuna salma. Attraverso quei documenti su nove ne identificai sei: alcuni dal libretto personale, altri attraverso lettere. Ricordo la lettera di una mamma, che diceva press'a poco: « ... tuo fratello ... morto, l'altro prigioniero in mani russe, e di ... che ne sarà?» Anche il destinatario era morto. Un' altra volta il signor Siliprandi mi diede un documento, disinfettato con la formalina; era solo un permesso di viaggio, non so se sia stato sufficiente per l'identificazione. Anche il Cappellano Militare mi chiamò, perché erano andati da lui familiari di caduti, per portare vie le salme. La signora Smola La vedova del maggiore Smola (era veramente una italiana, una fiumana) mi scrisse che sarebbe venuta a Reggio, per visitare la tomba del marito al Cimitero tedesco di Pieve Modolena. Quando venne andammo in Municipio dal signor Siliprandi. Egli ci accompagnò al Cimitero e spiegò che, essendo il Cimitero di Pieve ormai insufficiente, i Tedeschi avevano intenzione di allargarlo. Gli ultimi caduti erano stati sepolti fuori dal Cimitero ed avevano una croce di legno, provvisoria, al posto della lapide, di marmo. Alla fine della guerra le donne del paese bruciarono quelle croci, ma il Comune di Reggio fece portare quei morti dentro il Cimitero e in Municipio c'era una mappa, da cui si poteva dedurre l'ubicazione di ognuno. Così la signora Smola potè rintracciare la tomba del marito e volle per lui una lapide uguale agli altri. L'accompagnai allora dal marmista Sezzi, che aveva fatto le altre lapidi. Ella mi raccontò poi di essere rimasta sola. L'unica figlia di vent'anni era stata sepolta da una valanga durante una gita di fine anno sul Semmering e lei era in quel periodo in Italia, ospite di una sorella. Tornò più volte alla Pieve. In seguito mi scrisse che si era risposata con un ingegnere, amico del defunto marito. Ambedue vennero ancora alcune volte al Cimitero della Pieve e, quando i caduti tedeschi in Italia furono tutti raccolti al passo della Futa, la signora mi scrisse che lei e il marito sarebbero venuti a prendermi per andare insieme colà. Ma poi ricevetti la notizia della morte dell' ingegnere e di lei non seppi più nulla. Mi scrisse poi Krieger che il maggiore aveva ottenuto il risultato sperato e che ciò che aveva contato di più era stata la lettera del prof. Marconi, perché era intestata: 'Camera dei Deputati' . Viaggio a Stoccarda Il dott.Krieger mi invitò più volte a casa sua e, una decina di anni dopo la guerra, vi andai per qualche giorno. Ebbi un'ottima accoglienza da parte 86
sua, di sua moglie e dei figli: il ragazzo frequentava la seconda liceo e la ragazzina la seconda media, e alla metà di luglio andavano ancora a scuola. Krieger e la moglie mi fecero visitare la città (la signora mi fece tra l'altro notare una collina alla periferia della città, alta 500 metri, formata dalle macerie dei bombardamenti) e i dintorni nella Foresta Nera.
La città è salva! Ho trovato tra vecchie carte la lettera che il dott.Krieger mi aveva scritto, in lingua italiana, cinque giorni dopo la ritirata, il 29 aprile 1945. Tra l'altro egli mi diceva che, secondo lui, la città di Reggio non doveva aver subito danni, poiché, mentre loro Tedeschi uscivano da una parte, gli Alleati entravano dall'altra parte della città. Effettivamente fu così. Mentre rileggevo quelle parole (" ... a Reggio i danni saranno pochi - alle quattro del pomeriggio abbiamo lasciato la città, pare che gli Americani erano già entrati dall'altra parte ... "), e osservavo quella data, il pensiero andava ad un importante avvenimento degli ultimi giorni di guerra, del quale pure ho ritrovato un documento: si tratta del voto, proposto dal vescovo Brettoni, che i cittadini reggiani fecero allora, 'con una solenne funzione sacra al Tempio della Beata Vergine della Ghiara" la domenica 15 aprile 1945, per implorare da Lei protezione, affinché la città fosse risparmiata dalla guerra. Essi si obbligarono, 'con voto pubblico cittadino', dice la lettera del Vescovo, a celebrare 'con speciale solennità' per sette anni la festa del 29 aprile, ricorrenza del primo miracolo della Madonna della Ghiara (la prima volta, il primo dei sette anni, cadde appunto il 29 aprile 1945) e ad erigere un 'tempio votivo' alla 'Regina della Pace'. L'attuale chiesa 'Regina Pacis'.
1 Marta Lohse era stata prima govemante della famiglia Monti (grossisti di stoffe), poi "dama di compagnia" della signora Salmon Tedeschi, ebrea, nei primi mesi dell'occupazione germanica. AI riguardo si veda la testimonianza di Mons. Angelo Cocconcelli in "Ricerche storiche", n. 62/63, p.45. 2 Nei pressi di via Racchetta, il 3 febbraio 1945, i fascisti fucilarono i patrioti Sante Lusuardi e Dino Turci, di Correggio. Vittorio Tognoli, di Scandiano e Cristoforo Carabillò, di Palermo. 3 Il tribunale militare straordinario fascista aveva condannato a morte, 1'8 gennaio 1945, Angelo Zanti (comunista), Gino Prandi (socialista), Carlo Calvi e Luigi Ferrari (democratici cristiani). Il giorno successivo si tenne presso il Militarkommandantur di Parma una riunione, fatta convocare dal col. Eugenio Dollman, a conclusione della quale fu deciso di eseguire la sentenza soltanto contro Zanti, che venne fucilato il 13 gennaio. AI riguardo si veda G. Franzini, Storia dello Resistenza Reggiana, p. 495 e segg., nonché pagg. 836-838 (dove si pubblica il verbale della riunione di Parma). 4 È la lettera pastorale con la quale Mons. Brettoni esortava "i fedeli a tenersi lontani dalla politica come "terreno infido"»(S. Fangareggi, Il partigiano Oossetti, p. 83).
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"Avevamo la morte addosso" Intervista a Gianni Franceschi* a cura di MASSIMO STORCHI
Com' è iniziata la sua esperienza nella RS/? Ho iniziato scrivendo su "Diana repubblicana", quando la federazione era stata riaperta da poco da Wender, Aleotti e ToreIIi, che furono i primi, a Reggio, a dar vita al partito fascista repubblicano. Non era passato molto tempo dopo l '8 settembre 1943, quando mi presentai in Federazione con un articoletto, che a me sembrava beIIissimo, chiedendo del direttore del settimanale. Wender mi riceve subito, legge quel foglio, dice "non va" e lo butta nel cestino. "Scrivi più semplicemente", mi ha detto. Mi ha dato dei buoni consigli, pur non essendo uomo del mestiere. Qualche giorno dopo gli ho portato un altro articolo, e lui lo ha pubblicato. Qualche mese dopo, aIIa fine deI febbraio 1944, mi sono arruolato volontario neIIa GNR, ed assegnato aIIa compagnia giovanile che si trovava ad Albinea, comandata dal tenente Reverberi. Dopo qualche tempo, sono andato ad Orvieto, quindi a Corno, al battaglione scuola aIIievi ufficiali. Ho seguito tutto il corso ma non sono diventato sottotenente perché ero troppo giovane (appena 17 anni). Da Corno, aIIa fine del corso, sono stato trasferito, con tutti i "non promossi", a Mompiano di Brescia, in una formazione deIIa legione "Mussolini". A Mompiano giunse l'ordine di un nuovo trasferimento, stavolta a Vienna, per seguire un corso di addestramento neIIa contraerea tedesca, la Flak. Con i tedeschi non ci andavo volentieri, e fra noi italiani e loro non c'era sempre buon sangue. C'erano sì rispetto e ammirazione più sotto il profilo militare che su queIIo politico (anche se aIIora non si conosceva granché suIIa dottrina nazionalsocialista). In più si vociferava che avremmo dovuto indossare la divisa tedesca. E questo non mi andava giù. Questa situazione, infatti, andava contro i motivi deIIa mia scelta. lo ero cresciuto in un clima fascista, le scuole di aIIora erano cosi. Ma mio padre era morto in guerra, in Albania, nel 1941. Per me accettare l'armistizio deII' 8 settembre significava abdicare a quei valori e a queIIa lotta per cui mio padre aveva dato la vita. lo non ce l'avevo né con gli antifascisti né con i comunisti. Volevo fare la * Gianni Franceschi, giornalista professionista, vive a Roma da11951. Ha lavorato nella redazione
romana del quotidiano "La Gazzetta del Sud"; e stato caposervizio e vice redattore capo del settimanale "Lo Specchio", capocronista al "Giornale d'Italia", redattore capo del mensile "L 'Automobile". Attualmente dirige la rivista "L'Accademia" dell'Accademia italiana della cucina, nel cui ambito e anche vice presidente del centro studi.
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guerra agli inglesi, ai nemici della patria. Solo in seguito, casomai, sono maturate altre motivazioni. Quindi, andare a Vienna era contrario al mio progetto. Volevo fare la guerra agli inglesi, non m'importava niente dei partigiani. lo cercavo il "mio" nemico, che era un altro: gli inglesi e gli americani. A Mompiano eravamo un gruppo di reggiani, tutti d'accordo e, anziché andare a Vienna (e quello che facemmo era diserzione bella e buona) alla stazione di Brescia saltammo su uno dei pochi treni che andavano in direzione opposta e, un po' a piedi, un po' in treno, arrivammo a Reggio. Eravamo una dozzina, ci siamo presentati al Comando provinciale della GNR dicendo "eccoci qua". Eravamo giovani, entusiasti e incoscienti. Meno male che partì subito un fonogramma dal comando di Reggio per il Quartier Generale, così ci siamo salvati dalle conseguenze della diserzione. lo, con alcuni altri dello stesso gruppo, fummo presi in forza alla compagnia OP (Ordine Pubblico.). Degli altri, qualcuno ha tagliato la corda, per ragioni famigliari o altro, del resto c'era gente di Scandiano o di altre zone di montagna: tornati a casa si sono trovati di fronte ad un'altra realtà. Poi, nell' autunno, ci fu l'episodio di Ferri, il Federale che abbandonò precipitosamente Reggio all'insaputa di tutti. Lo ricordo molto bene. lo ero alla caserma "Carmana" (dei Carabinieri), alla notte i portoni erano chiusi, la sentinella stava all'interno. Eravamo come isolati. Non si sapeva cosa succedesse fuori. Qualche volta si facevano dei servizi di pattuglia durante il coprifuoco, ma in genere con il buio si chiudeva il portone. Beh!, una mattina si apre il portone e si presentano tre militi della Brigata Nera che, arrivando in Federazione per prendere servizio, avevano trovato la sede vuota. Erano tre semi-invalidi, che avevano il permesso di dormire a casa. Questi si presentano, e dicono che alla Brigata nera non hanno trovato nessuno, la caserma deserta, il portone aperto, gli automezzi scomparsi, il magazzino vuoto. Ferri, si seppe dopo, era andato a Soncino con tutti i suoi, e lì dette vita alla brigata nera mobile "Pappalardo" (**), dal nome di un caduto. Si disse poi che Ferri avesse saputo di una sua imminente sostituzione per non aver saputo creare a Reggio una Brigata Nera sufficientemente numerosa ed efficiente e che di conseguenza, con un colpo di testa, avesse scongiurato in quel modo il pericolo. Ricordo anche che nei giorni immediatamente successivi ci furono dei rapporti piuttosto burrascosi tra il Comando provinciale della GNR e laPlatzkommandantur del maggiore Frase perché i tedeschi, dopo la fuga di Ferri, volevano imporre un loro uomo come segretario federale del PFR. Il Comando della GNR reagì sostenendo che la nomina era di assoluta pertinenza delle autorità italiane. Si arrivò quasi ad uno scontro, tant'è vero che una notte la compagnia OP circondò (c'ero anch'io) la villa Zironi in viale Timavo (sede della PIatzkommandantur). Nella notte ci siamo schierati intorno alla villa, eravamo sul fosso di viale Timavo, sotto al viale, con i fucili mitragliatori, e alla mattina e uscito il Platzkommandant Frase a parlamentare. La cosa si risolse presto, e come Segretario federale venne nominato il colonnello Ignazio Battaglia. Di questo Battaglia si dicevano molte cose, "radio fante" asseriva che volesse (**) Guglielmo Ferri, dopo la sua fuga da Reggio, fondò la Brigata "G.Gentile" che combatté fino alla fine del conflitto come è riscontrabile nel saggio di P. Calestani in questo numero di RS (n.d.r)
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cambiare il nome alla piazza XXIII Marzo (data di fondazione dei fasci, nel 1919) intestandola a se stesso, e che si fosse fatto fare un busto da uno scultore che aveva lo studio a palazzo Guatteri in Ghiara, per metterlo poi sulla piazza (lo scultore era lo stesso che aveva fatto il busto ad Anna e Luigi Parmeggiani). Si diceva di lui che fosse un maresciallo o furiere dell'esercito che 1'8 settembre, trovandosi a Cefalonia e visto che i tedeschi fucilavano o catturavano tutti gli italiani, trovato un cappello da ufficiale superiore buttato in un cespuglio, se lo sarebbe ficcato in capo presentandosi al primo ufficiale germanico sbattendo i tacchi nel saluto romano e dichiarando "voglio continuare la lotta con i camerati tedeschi ": caricato su un aereo e portato alla "tana del lupo" di Hitler presentato come uno dei primi alti ufficiali non badogliani. Sarà vero? Non ho mai potuto saperlo. Il federale Battaglia durò poco, fu avvicendato da Renato Rossi, che forse era il candidato dei tedeschi. Arrivò da Vicenza con una squadra di vicentini come guardia del corpo, ed anche per rinsanguare le sparute file della Brigata Nera locale. Ricordo che erano tutti sergenti, e si pavoneggiavano con divise nuovissime e gradi luccicanti. Rossi, giovane e dinamico, riuscì a ricostituire la Brigata Nera di Reggio. Com' erano i rapporti tra GNR e Brigata Nera? Non erano strettissimi. Noi ci sentivamo "legalitari". Loro erano volontari come noi, ma raccolti qua e là. Non ricordo molte differenze di trattamento. Però nella brigata Nera era molto più facile fare carriera. Ricordo che due ex allievi ufficiali GNR di Orvieto, bocciati agli esami finali e rimasti con il grado di sergente, me li ritrovai nella Brigata Nera con il grado di capitano. Dalla fine del 1944 non ci sono state grandi operazioni contro i ribelli. Mi ricordo un' azione tra Modena e Reggio, più che altro si controllavano i documenti ai posti di blocco, si faceva un'azione di ordine pubblico. Salvo gli ultimi giorni a Bibbiano, non ci sono stati combattimenti. C'era spazio per il dibattito politico? O i conflitti si basavano su contrasti personali ? La Federazione di Reggio venne aperta da Aleotti, che nel dopoguerra fu direttore delle farmacie comunali (ed oggi alto dirigente anche internazionale del settore farmaceutico), da Dante Torelli e da Armando Wender. Il PFR nacque, a Reggio, ad opera di persone che non avevano ricoperto ruoli di rilievo nel PNF: si voleva rompere con il passato, c'era un volontarismo spontaneo, di base. Tra i più noti dirigenti del PNF Bolondi se ne va, Mariani presidente della federazione commercianti abitava a Como con ufficio a Milano. Patroncini, già comandante della GIL, fu comandante della GNR di Imola. Solo Celio Rabotti rimase a Reggio, e divenne Podestà. Dante Torelli subì alcune vicissitudini: prima espulso dal PFR (che aveva fondato), venne successivamente riammesso, se non riabilitato. Della base, chi aderì? I giovani e alcuni anziani squadristi. I grossi nomi rimasero fuori, "Ritorno alle origini" era lo slogan, quello era il substrato ideologico. Noi eravamo dei ragazzini, guardavamo quelli che avevano "fatto la rivoluzione" nel 1922, e questi qualche volta forse ci hanno anche usato. Quelli che erano stati i "gerarchi" del PNF locale erano assenti. Ricordo un 92
periodo in cui ero sfollato a Regnano, dopo il bombardamento alleato del 7 gennaio 1944: segretario del PFR locale era un vecchio squadrista, un agricoltore, che andava in federazione, prendeva dei volantini per affiggerli qua e là. Era la sua "Azione politica". Malgrado ciò, le adesioni erano consistenti. Fra noi giovani si discuteva del "manifesto di Verona", i vecchi squadristi erano dubbiosi, forse ci credevano poco. Ma la vera polemica era contro i traditori, il Gran consiglio, la monarchia, la borghesia, Badoglio, i fascisti profittatori. C'era entusiasmo quando si seppe che era stata socializzata la Fiat, tanto Agnelli continuò a produrre camion e autoblindo per i tedeschi e per noi (aiutando sottobanco i partigiani). La canzone "la borghesia cancrenosa e decadente" andava bene anche per noi, non solo per i partigiani. Ma c'era una divisione netta: noi e i nemici. Ed erano davvero tanti: Mosca, il comunismo, la monarchia, i capi fascisti traditori. Nemici erano sempre stati i capitalisti ed i sovversivi. Sul piano ideologico, inglesi e americani passavano in secondo piano. La socializzazione e stata un' apertura di orizzonti nuovi. A Reggio e stato fatto poco: solo qualcosa a livello di negozi, ristoranti, spacci. C'è stato anche qualcosa sulla ricerca storica delle radici repubblicane. C'erano i gruppi mazziniani del professor Corradi, che pubblicava i "Quaderni di Azione mazziniana", opuscoli, con la copertina verde, il colore dei repubblicani storici. Si ragionava sulla motivazioni della scelta repubblicana, ma non c'è stato né tempo né possibilità di creare un luogo di discussione. Molta curiosità suscitò il Raggruppamento Repubblicano Socialista di Edmondo Cione, che a Reggio aveva come promotore un certo Giraud (si videro dei manifesti sui muri del centro). Ma fu solo una fiammata. I luoghi più interessanti sono stati le scuole allievi ufficiali della GNR. Eravamo tutti studenti, a Orvieto c'erano molte discussioni ideologiche cui partecipavano tra gli altri Enzo Erra, Pino Rauti, Egidio Sterpa, orientati su una posizione diversa, propugnando un' aristocrazia intellettuale al potere.
Quali erano i vostri rapporti con la popolazione. Vi sentivate accettati o respinti? Cantavamo "le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera" e un po' era così, ma non c'interessava la popolarità. Di quella canzone ricordo che nacque come un sonetto (come si vede dalla sua struttura), s' intitolava "Canzone strafottente" e il testo fu scritto da Mario Castellacci (quello del "Bagaglino" e della televisione) sulla tovaglia di carta di una trattoria di Orvieto. Castellacci lasciò il corso allievi ufficiali per andare a Brescia con il tenente Zanfagna, a fondare il settimanale "Camicia Nera", organo della Guardia Giovanile Legionaria. Zanfagna, nel dopoguerra, fu redattore del "Mattino" e consigliere comunale missino a Napoli. Come fece il sonetto a diventare una canzone? Musicò i versi il maestro Francesco Pellegrino, che era capitano al battaglione "Orvieto". A Brescia, poi, Castellacci dette i versi al maestro Vagnozzi, che dirigeva la banda del Comando Generale GNR, e così si ebbe un' altra musica ed un altro ritmo. Castellacci nel dopoguerra lavorò a lungo alla Rai. D'altra parte il giornalismo, il teatro, l'arte hanno assorbito nel dopoguerra molte delle nostre forze intellettuali, erano forse le uniche professioni dove si potesse lavorare senza il 93
brevetto di partigiano. Penso a Giose Rimanelli (oggi insegna in una università americana) e Adriano Bolzoni, che hanno scritto bei libri sulla guerra civile vista dalla nostra parte. Poi Giorgio Albertazzi, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Walter Chiari. Il famoso radiocronista Enrico Ameri era anche lui allievo ufficiale ad Orvieto. Per tornare ai rapporti con la gente, i cosiddetti "attendisti" erano i più disprezzati da noi (e, credo, anche dai partigiani). Erano quelli che stavano alla finestra aspettando di vedere chi avesse vinto per accodarsi. Anche le ragazze stavano attente, difficilmente familiarizzavano. Poi c'erano le ausiliarie, sulle quali non c'è una buona letteratura (d'altra parte, anche per noi è la stessa cosa) ma devo dire che generalmente erano entusiaste e serie. Erano il corrispettivo delle staffette partigiane, rappresentavano l'ingresso delle donne nella vita politica e militare. Molti anni fa ho scritto una cosa che rimugino ancora dentro. E cioè che noi non abbiamo mai odiato il nemico, il partigiano o l'inglese che fosse. Non l'abbiamo mai odiato ed e stata la nostra fortuna, la nostra salvezza morale. Proprio per fortuna, dicevo e lo dico ancor oggi, tutto è finito un attimo prima che cominciassimo ad odiare. Cos' ha provato quando ha capito di avere perso? Non c'è stato un momento esatto. C'era una sensazione di fondo, inespressa ma ben presente, del "morire in bellezza", la morte era protagonista, era nel conto. Nelle canzoni, in tutto, nelle preghiere, nei nostri colori. Avevamo la morte addosso. La fine è arrivata all'improvviso, in modo inatteso. Credevamo però che anche il nemico non ci odiasse. Invece non era cosÌ. Per una serie di circostanze il 25 aprile, a Cremona, ho trattato la resa dei miei camerati, sia pure con molta difficoltà. Poi ho messo l'abito borghese, sono tornato a Reggio, nella bocca del leone. Sono stato in carcere per sette mesi, perseguitato da una denuncia falsa. Non mi aspettavo questo odio verso di noi. lo sono stato preso prigioniero a Villa Cella il 2 maggio del' 45. Venivo da Cremona a piedi, fui preso dai partigiani del distaccamento volante SAP "Delmino Spaggiari", fui portato a Reggio nelle scuole di via Guasco, trasformate in "carcere del popolo", come si diceva allora. La prigionia all'inizio è stata dura, molto dura, di notte venivano a picchiare questo o quello, le cose sono migliorate solo quando sono arrivati i carabinieri. A Villa Cella, quando sono stato preso, si sentivano delle raffiche di mitra: sparavano sui prigionieri o era per spaventarci? Non sono finito a Coltano; ero già pronto a partire quando sono stato tirato giù dal camion perché ero stato deferito alla Corte d'Assise straordinaria. Era la già citata denuncia falsa, firmata "Tarzan", falsa nella firma e nel contenuto, che mi accusava di avere malmenato il patriota "Cirillo" il quale, bontà sua, dopo sette mesi andò a testimoniare a mio favore negando la cosa. Cosi venni prosciolto in istruttoria e scarcerato. Ricordo che nei primi tempi della prigionia nelle scuole di via Guasco, ogni giorno veniva prelevato un certo numero di prigionieri per dei servizi di corveè (pulizie, spesa al mercato, etc.). Una volta ho fatto parte della corveè in Corso Cairoli, dov'era la sede della Brigata Nera, per rimuovere un soppalco e ripulire dei locali pieni di carte da buttare via. Sarà stato il 15 maggio o giù di lì. Ricordo le carte buttate all'aria, credo fossero carte della brigata nera e della Federazione del PFR. Forse era il loro archivio. FinÌ tutto nella spazzatura: tanto era tutta roba dei fascisti. Oggi servirebbe a ricostruire la storia. 94
"Non riesco a farmi coraggio mi pare di essere capitato in un bosco oscuro" Repertorio di documenti provenienti dal Fondo uCarteggio fascista 1943-45" (Archivio Istoreco) a cura di MARCO MINARDI e MASSIMO STORCHI
Erano i primi mesi del 1944 e la Repubblica sociale italiana era alle prese con la costituzione di un apparato militare in grado di affiancare l'esercito tedesco al fronte contro l'esercito Alleato e di contrastare la nascente resistenza armata antifascista. Il fronte interno rappresentava un pericolo che rischiava di minare alla base il progetto di rinascita neofascista. 41° COMANDO DEPOSITO MISTO PROVINCIALE P.d.C. 823, 31/3/944=XXUO POSTA DA CAMPO 823 Riservata Personale AI ten.Col. i.g.s. Giuseppe Gambarotta Comandante del 41 ° Comando Provinciale Posta da Campo n° 823 A completamento della consueta relazione sullo stato d'animo dei reparti, scrivo personalmente a macchina le seguenti osservazioni, dettatemi da quanto ho potuto osservare in questo periodo: 1) UFFICIALI = Posso calcolare che all'incirca un terzo comprendono il loro dovere e lo compiono in maniera lodevole. Tuttavia, anche una parte di questi non è al corrente degli obblighi inerenti all'ufficiale, per quanto dimostri buona volontà e entusiasmo. Il rimanente disbriga il servizio come un obbligo imposto e spesso ignora i più elementari principi delle proprie funzioni. Ciò accade, specialmente, nei più giovani. Già ebbi modo di constatare e di prospettare ai superiori comandi, in oltre tre anni passati in reparti in zona d'impiego, che gli ufficiali di nuova nomina, seppure nella generalità possedevano una normale cultura tecnica, mancavano dell'essenza militare, di spirito di sacrificio e d'iniziativa, e, in poche parole, della coscienza militare. Ciò, devo constatare ancora oggi. Vi sono dei subalterni che danno la sensazione d'aver quasi paura del grado che ricoprono, tanto da far credere di temere il contatto con la truppa e di chiedere ad essa quasi scusa di ricoprire un grado, che essi avevano meritato nelle scuole, ma non nelle funzioni. Su questa massa amorfa, esortazioni, rimproveri, punizioni, hanno scarsa presa. Manca, ripeto, la coscienza e l'intima persuasione. Qualcuno è stato alle armi al solo scopo di percepire uno stipendio che, in nessun caso, saprebbe guadagnarsi 95
nella vita civile. Posso affermare che, da un mese a questa parte, ho notato un miglioramento, ma taluni elementi sono refrattari. E li andrò gradualmente segnalando. Noto l'illusione, dovuta ad inesperienza, di poter ottenere lauti guadagni nell'esercizio di una professione civile o di un impiego. Infine, per quanto la verità sia dura, un certo timore per la propria incolumità personale è abbastanza diffuso a causa dei vari attentati ad ufficiali in provincia e fuori provincia. 2) SOTTOUFFICIALI = Vale quanto si è detto per gli ufficiali, seppure in minor misura in rapporto alla cultura e alla capacità. Salvo qualche rara eccezione, che è perfettamente a posto. 3) TRUPPA = L'essenza non è né peggiore, né migliore di quella del 1939. Anche allora, all'atto della prima mobilitazione, si ebbe qualche caso sporadico di canti sovversivi e di fioriture d'iscrizioni clandestine. Alla prova però, se guidati bene, i soldati seppero combattere. E mia convinzione che le eventuali tendenze a carattere sovversivo siano soltanto una vernice dovuta all'ignoranza assoluta di problemi e di fatti. E valga, come semplice dimostrazione, il timore di dover commbattere. È innegabile che sfruttando il basso istinto della conservazione, la propaganda nemica abbia avuto larga presa. In tutta la truppa è radicato e ossessionante il timore di essere inviati in Germania. Esatti informatori affermano che v'è gente disposta al suicidio piuttosto che varcare le Alpi. Suicidio a parole, ma che può risolversi a fatti nella pena di morte per diserzione. Altro argomento su cui insiste, e non infruttuosamente, la propaganda avversaria: creare la confusione fra Esercito e Partito. L'ordine del DUCE sull'apoliticità dell'Esercito è poco compreso e spesso travisato. Per quanto ciò non accada presso questo Deposito, so che altrove i volontari sono ingiuriati e dileggiati come accadeva nel 1915. Le assenze arbitrarie sono favorite dal reclutamento regionale e dalla incoscienza delle famiglie timorose della minima sofferenza fisica del loro rampollo: sulla base che, seppure in caserma mangia e riposa meglio che a domicilio, e lavora meno, non è "a casa sua". E poiché è ben nota la larga disponibilità in generi e in denaro della categoria rurale di questa provincia, tutto favorisce i tentativi di eludere la disciplina militare. La paura di andare in Germania deriva sempre dalla propaganda nemica che prospetta la certezza dell'invio sul fronte russo. Paura instillata da troppi reduci da tale fronte della Armata che vi fu impiegata. Ribadisco la mia asserzione con il fatto constatato che la massa è sana e che anche i pochi elementi contrari non sanno esattamente e neppure larvatamente che cosa vogliono, se non rimanere a casa, lavorare nulla, lucrare molto e, frase tipica, godersi la vita perché "siamo giovani abbiamo diritto di vivere". La massa, generalizzando sui pochi profittatori e disonesti del vecchio fascismo lo confonde con il nuovo e trova la parola ostica, e anche ciò favorisce la propaganda avversaria sull'argomento "pace ad ogni costo", preparata per anni, culminata nelle ultime giornate del Luglio e perpetrata 1'8 settembre. Argomento preferito di seminagione di odio antigermanico perché "se non c'erano i tedeschi la pace era fatta". Debbo notare che molti di coloro, i quali accettano il servizio militare come una pena, appartengono agli strati sociali più elevati. L'ottimo trattamento che viene usato alla truppa sugl'ordini ricevuti, non è seguito in altre provincie. Di qui, fughe e diserzioni di fronte ai disagi. Ritengo di aver tracciato il quadro esatto delle attuali condizioni e, ripeto, che esse sono in via di notevole miglioramento. A questo dirigo ogni mio sforzo assieme a quello di quei collaboratori che dimostrano la necessaria sensibilità militare. Ritengo, tuttavia, di fare qualche proposta: 1) PER GLI UFFICIALI = Adunate provinciali per grado sino a quello di capitano 96
e cernita di coloro che volontariamente accettano nell'attuale momento il loro posto di responsabilità. Non mi faccio illusioni sul numero degli aderenti, ma almeno questi pochi saranno gente di fede. Per i richiamati, un addestramento preventivo di almeno dieci giorni perché ridiventino ufficiali nel senso vero della parola; addestramento da compiersi in località eccentriche e senza nessun aspetto sostanziale di "scuola". Pochi agi e molta disciplina. 2) PER I SOTTOUFFICIALI = Gradualmente e senza che ne soffrano i delicati servizi ad essi affidati, sboscarli dalle furerie e dagli uffici, nei quali, a parte ogni organico, possono essere sostituiti da graduati o da semplici, intelligenti e capaci. Instillare ad essi, che non lo possiedono se non in minima parte, la coscienza del grado. Mandare a spasso tutte le cariatide inamovibili da vent'anni nei loro vari uffici in cui si sono incancreniti fisicamente e moralmente. Ciò, ripeto, non può avvenire che gradualmente; minimo un mese, per non mettere in crisi i vari servizi. 3) TRUPPA = Trattarla, come si fa, il meglio possibile dal punto di vista materiale e, tuttavia, allenarla anche ai disagi più duri con attendamenti, campi, esercitazioni esterne in località dove il materialismo famigliare non sia accessibile; e armarla. So le difficoltà che ci si sforza di superare in ogni modo, ma so anche come i giovani sentono l'orgoglio di avere in consegna un'arma. Naturalmente, dopo il necessario addestramento. Qualora ve ne sia la disponibilità, la stessa cernita fra quelli che possono riscuotere fiducia e gli incerti, sarà un elemento efficacissimo di coesione e di emulazione. 4) RICOSTRUZIONE, per costrizione volontaria, dei vecchi reggimenti. Per Reggio Emilia: 12° Bersaglieri e 3° Artiglieria d'Armata. Non ho elementi sul primo. Sul secondo, al quale ho appartenuto, riterrei che, se delle cinquanta batterie mobilitate, se ne potesse ricuperare anche una sola, questa sarebbe valida e decisa, poiché lo spirito di corpo è ancor vivo. IL TENENTE COLONNELLO Comandante del Deposito (Fulloni Antonio)
*** Un ispettore del Ministero delle forze armate della Repubblica sociale italiana, rimasto anonimo, giunto a Reggio Emilia nella primavera del 1944 inviò al ministero un breve rapporto sulla situazione del comando provinciale reggiano. Poche righe, ma indicative della situazione e del clima che circondavano comandi e ispettori in quei mesi. Da notare l'utilizzo delle presunte abitudine sessuali come elemento di discredito, in questo caso del comandante militare, segno evidente della cultura razzista e reazionaria che circolava negli ambienti neofascisti di Salò. IL MINISTERO FF.AA. - S.I.D. REGGIO EMILIA Viene riferito che nell'ambito del Comando Provinciale si noterebbe una deficienza nell'azione di comando ed una scarsa preparazione morale della truppa. Il Comandante Provinciale viene definito come elemento enfatico, a sfondo retorico che si manifesterebbe attraverso l'ostentazione di un comportamento antimonarchico 97
che non persuade nessuno. In pubblico si registrano dubbi sulla sua rettitudine in campo di forniture e approvvigionamenti. Voci insistenti e diffuse lo definiscono quale pederasta. La graduale eliminazione, con motivi non rispondenti al vero, di elementi di sicura fede e noti per l'opera svolta nei primi tempi della ricostruzione dell'Esercito Repubblicano, offre lo spunto per rendere sospetto l'attività del locale Comando Provinciale. Viene infine posta in particolare rilievo la mancanza di norme precise che disciplinano la concessione degli esoneri essendosi dato dei casi di malcontento e di lavoratori i quali, non sentendosi sufficientemente protetti dalle Autorità italiane, si sono rivolti al Comando tedesco, ottenendo l'esonero. 7 maggio 1944 - XXllo
*** Sono i mesi in cui il ricorso massiccio alla propaganda e gli appelli a schierarsi nel campo neofascista investirono la società civile e la chiesa. Il documento rappresenta una delle numerose circolari emanate dalle autorità di Salò nel tentativo di indurre i dirigenti fascisti periferici a premere sulle autorità ecclesiastiche locali per indurle ad aderire pubblicamente alla Repubblica sociale italiana. PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO RISERVATA QUARTIERE GENERALE 7/12/943 - XXII Prot. n 5413 Ai Capi delle Provicie ai commissari e ai triumvirati delle federazione fascite repubblicane È noto che tra gli ecclesiastici possono esserci - sa dir poco - di quelli che non nutrano simpatia per la nostra azione. A parte ogni altra reazione del caso è opportuno contrapporre alla loro eventuale propaganda un'azione tendente a neutralizzare gli effetti che essi potrebbero produrre. E tale nostra azione si può proficuamente sviluppare attraverso altri ecclesiastici. I Commissari federali prendano perciò contatti con quei vescovi e parroci - pochi o molti - di sentimenti fascisti, per convincerli a dare la loro opera di affiancamento al Fascismo repubblicano, invitandoli a tenere discorsi, prediche all'aperto, fuori dalla chiesa, a scrivere articoli che prospettino al popolo i vantaggi raggiunti dalla Chiesa nei venti anni di Fascismo; valorizzino la Conciliazione tra Stato e Chiesa, che ha dato agli italiani l'unità spirituale, illustrino i principi sociali e morali informatori dei 18 punti orientativi del Congresso di Verona, che proclamano la religione Cattolica Apostolica Romana, religione della Repubblica; presentino i pericoli dell'azione dissolvitrice delle correnti religiose ed atee penetrate al seguito degli eserciti angloamericani; facciano meditare i credenti sul pericolo bolscevico che sovrasta la nostra Patria, qualora fosse sconfitta, ciò che comporterebbe la perdita della libertà religiosa, la minaccia all'istituto familiare e la distruzione di tutto i patrimonio morale e artistico creato con il sacrificio e la volontà del popolo italiano, ecc. ecc. Il Segretario del P.F.R. 98
(Alessandro Pavolini)
*** Tracce della scarsa tenuta del nuovo "esercito" soggetto a diserzioni continue si trovavano anche nelle lettere dei militari, censurate dalle autorità provinciali e nei rapporti ufficiali, dove l'annoso problema è presente fin dai primi mesi del 1944. (Lettera censurata) di un milite del battaglione Granatieri, intercettata il 16.6.1944
"... ne mancano una cinquantina, i nostri ufficiali sono molto incazzati e pare non ci sia più libera uscita. Quì adesso c'è un casino di roba e chi può si salvi perché tutti rubano. Ieri mattina sono partito con dolore e dispiacere e anche ieri e oggi sono molto a terra. Non riesco a farmi coraggio mi pare di essere capitato in un bosco oscuro ... " (Lettera censurata) di un milite della Compagnia deposito, intercettata il 20. V.44
"... Mi trovo abbastanza, sono con tanti compagni conoscenti, con Tonino, Franco ecc. Ma però non so ancora d'un giorno all'altro che strada mi prenda perché la Germania nessuno l'ha vorrebbero prendere. In quanto la situazione va sempre peggio. Ne scappano più di prima; ad ogni modo mi raccomando sempre di stare attento oppure caso mai per disgrazia dovesse capitare qualche cosa domanda di andare nella Milizia così si é salvi. Ieri mattina ne hanno presi 4 a Pantano sono stati condotti alla Milizia e già salvi. .. " 1122 luglio 1944 una nota, allegata ai testi censurati, annunciava che "in riferimento al foglio di cui sopra informa che il soldato Notari Battista risulta assente arbitrario dal 9 Giugno c.a.
*** COMANDO 41° DEPOSITO MILITARE PROVINCIALE
N. 20 R.P. di Prot.
Posta da Campo N. 823 li 30 Aprile XXII
OGGETTO: RISERVATA PERSONALE AL COMANDANTE DEL 41° COMANDO PROVINCIALE SEDE Per quanto ho constatato personalmente, risulta che, per motivi vari, molti elementi da trasferirsi non si riesce a farli partire perché si assentano ogni qualvolta sanno di figurare sui ruolini di marcia, e questo accade anche dopo che sono stati distribuiti loro i viveri a sacco per la durata del viaggio e sono stati comunque soddisfatti di ogni loro competenza. Per affrontare decisamente un simile stato di fatto che minaccia di estendersi sempre più, chiedo l'autorizzazione di agire come segue: Presi accordi con la G.N.R. improvvisamente tutti i partenti saranno indrappellati 99
ed accompagnati al treno circondati da guardie armate di fucile mitragliatore, Accompagnati a destino dal personale del Deposito, integrato però dal concorso energico della G.N.R. Le Ferrovie dello Stato debbono dare evasione alla richiesta di almeno due carri da bestiame che verranno piombati come hanno fatto i tedeschi nei riguardi dei nostri contingenti deportati in Germania. Molti elementi, già trasferiti, si trovano attualmente al Deposito perché o non presentatisi al Corpo di destinazione, o perché da questo, ne sono fuggiti. IL TENENTE COLONNELLO COMANDANTE IL DEPOSITO Renato Rinaldini
*** Non solo dubbi sulla reale capacità della Repubblica sociale italiana di dotarsi di un esercito affidabile ma anche atti di disobbedienza e di "antifascismo" latente, come il canto di "Bandiera rossa", il più sovversivo di tutti. 130 0 BATTAGLIONE GENIO F.C. = COMANDO = N° 408 PROTIR/T/ 28372/A li 15/3144 XXII
FELDPOST
OGGETTO: Rapporto. AI 41 ° COMANDO MILITARE INTERPROVINCIALE
=
PIDICI
823 Il giorno 1413 verso le ore 16.35 circa, la IVA Cpg. al comando del s. ten. ZAIA Mario, che procedeva in testa al Reparto affiancato dal Ser. A.U. GlORI ROBERTO, rientrava in Gualtieri di ritorno da una esercitazione di marcia. Ordine di marcia: 1110 = 110 = IO Plotone; plotoni per 2 distanza fra Plotone e Plotone 20m. AI passaggio sul ponte di Baccanella alcuni militari al centro del 110 Plotone, mentre i camerati del Plotone di testa e quelli del Plot. di coda accompagnavano il passo con canzoni militari, intonavano a voce non molto elevata, l'inno "Bandiera rossa". Il legio. di servizio al ponte, rilevata la cosa, sporgeva immediato rapporto al Cmm. Politico di Guastalla, transitante di li in automobile, senza né avvertire subito l'Ufficiale del Rep., né il sottufficiale di coda, né i CC e neppure il Com. di Btg. Dall'inchiesta subito effettuata preso il Rep. si è potuto stabilire: nessuna responsabilità da attribuirsi a carico del S. Ten. Zaia né del Serg. A.U. Giori e neppure dei sottouff. Spaggiari Aimone ed A.U. Morselli Tiberio marcianti in coda al rep., poiché a causa anche del fortissimo vento non potevano percepire il motivo della canzone. I due sottouf. di coda infatti, appena rientrati agli accontamenti, vennero a conoscenza di ciò che era accaduto perché comunicato loro da alcuni militari di testa del 1° Plot., fecero immediatamente rapporto al Com. di Cpg. (detto personale fidato e di assoluta fede patriottica fascista). 100
I nominativi dei militari che per esclusione e volontariamente hanno asserito di avere cantato la canzone suddetta. Gen. Galaverna Gioacchino di Ariodante cl. 1925 Gen. Giberti Arnaldo di Silvio cl. 1925 Gen. lotti Ivo di Roberto cl.1925 Gen. Malassi Oddone di Rinaldo cl. 1925 Verso i suddetti militari sono stati presi severi provvedimenti disciplinari in attesa delle decisioni di codesto Comando. Il Comandante del Battaglione (Cap. O. A. Roberti Gino)
*** GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA - LEGIONE TERR. DEI CARABINIERI BOLOGNA Sezione di Guastalla N°10/2-1 di P/Ilo div. Riservate
Guastalla, li 18 Marzo 1944 - XXW
OGGETTO: - Canto sovversivo di reclute viaggianti su una autocorriera ALLA PREFETTURA ALLA QUESTURA AL 41° COMANDO MILITARE INTERPROVINCIALE REGGIO EMILIA AL COMANDO 79° LEGIONE G.N.R. AL COMANDO 3° REGG/TO ARTIGLIERIA AL COMANDO GRUPPO CARABINIERI AL COMANDO PRESIDIO MILITARE GUASTALLA AL COMANDO COMPAGNIA INT. CARABINIERI REGGIO EMILIA
Oggi, ore 14 circa, vicebrigadiere G.N.R. FABBI Attilio, comandante posto blocco Baccanello (Guastalla), ha riferito comandante distaccamento Guastalla, che trovandosi egli e legionario BRUNAZZI Pietro, entrambi appartenenti 3/\ Compagnia - 2° Battaglione - Legione G.N.R. di Reggio Emilia, su autocorriera che fa servizio pubblico Reggio Emilia - Reggiolo e che muove da Reggio Emilia, udirono che dalle reclute che avevano preso posto sull'imperiale dell'autocorriera stessa, intonarono, ad alta voce "bandiera rossa", di cui cantarono una o due strofe.= Predetti militi, siccome erano entro l'autocorriera assieme a molti altri viaggiatori, non poterono individuare chi delle reclute sull'imperiale cantava.= Poiché nella vettura non trovavansi altri militari, per evitare ribellioni od altro, credettero opportuno procedere allorché l'autocorriera fosse passata da un posto dove avrebbero trovato rinforzi. - Infatti giunti al ponte del Baccanello (Guastalla), in unione alle altre G.N.R. colà di servizio, identificarono le reclute predette per: 1) Caminelli Carlo 2) Mondini Sante 3) Belli Erminio 101
4) Codeluppi Francesco 5) Codeluppi Antenore 6) Berni Angelo 7) Coppi Francesco 8) Pecchini Asdrubale 9) Ugolini Giacomo 10) Leviani Mario 11) Orani Giorgio 12) lori Vincenzo 13) Simonazzi Francesco 14) Mozzi Giacomo 15) Pantroli Dino 16) Batini Nearco 17) Sariani Pierino 18) Bini Amedeo 19) Angeli Marco Di esse però non presero, per dimenticanza, le generalità complete o quanto meno la paternità, la classe e dove dirette.= Provenivano tutte dalla caserma del 3° Reggi to Artiglieria di Reggio Emilia; erano state inviate in permesso (si sconosce da chi concesso e dove dovevano fruirlo), ed erano tutte vestite in borghese. Chi di esse e se tutte esse avevano cantato non fu anche accertato, come del pari se nelle fermate di S. Vittoria di Gualtieri e di Gualtieri, le uniche fatte dall'autocorriera, ebbero a scenderne dall'imperale ed infine fu pure omesso di prendere le generalità di qualcuno dei viaggiatori borghesi.= Dovrebbero rientrare in sede lunedì prossimo, 20 corrente.= IL l° AIUTANTE COMANDANTE DELLA SEZIONE (Calogero Falzone)
*** Comando delle Truppe del 41.° Deposito Misto Provinciale Ufficio COMANDO N. 175/cl di Prato
Posta da Campo N. 823 addi 6 Aprile 1944 - XXW
OGGETTO: Canto sovversivo di reclute.-
AI 41° COMANDO MILITARE PROVINCIALE POSTA DA CAMPO 823 AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
f. f 1347/A.V. 29 Marzo 1944 - XXW O
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Per quanto riguarda i presenti colpevoli del canto di "bandiera rossa", la comunicazione della G.N.R. apparve subito troppo generica per stabilire una responsabilità 102
individuale fra chi aveva cantato e chi no. Nel primo capo, si sarebbe dovuto necessariamente applicare l'art. 183 del C.P.M.; ma non vi era prova alcuna: e gli accusati smentirono recisamente il fatto loro addebitato. Dissero di aver sentito cantare nella vettura rimorchio, ma non dalla motrice, in cui essi si trovavano. Comunque una punizione disciplinare, stabilita la colpa, sarebbe stata insufficiente. Ho inflitto 78 gg. di C.P.R. per l'allontanamento illecito ed ho compreso i militari nel 6° Battaglione allorchè esso partì per Torino. IL TEN. COLONNELLO COMANDANTE DEL DEPOSITO ANTONIO FULLONI
* * * Una volta giunti In montagna la diserzione nei reparti della Guardia nazionale repubblicana diventava quasi consuetudine, ponendo in seria di difficoltà la credibilità dei comandi, e pensare che si era appena all'inizio. Quando poi arriverà l'estate e la caduta di Roma, il fronte si trasferisce a ridosso dell' Appennino tosco-emiliano e la sconfitta militare dei tedeschi appare inevitabile, il livelli di diserzione diventano, in alcuni momenti, di massa. La parte montana della Provincia di Reggio Emilia è fortemente insidiata dai ribelli, mentre si nota che la G.N.R. non risponde affatto alle aspettative. Gli elementi provenienti dai carabinieri, anche in questa Provincia, si sono dati alla macchia nella quasi totalità. Il locale Comando Provinciale della G.N.R. pur di aumentare il numero dei militi, ha reclutato senza discernimento, sicchè spesso si sono verificati casi di fuga e di abbandono di posto. A Scandiano, sono passati ai ribelli, prima un plotone della G.N.R. con in testa il comandante del plotone, poi altri due, tre squadre. A Toano, il capitano comandante della Compagnia della G.N.R. ha chiesto aì dipendenti chi voleva andarsene a casa, in quanto sapeva che molti dei militi non erano sicuri. Infatti due squadre al completo sono scappate dandosi alla macchia. I presidi della G.N.R. di Ligonchio, Castellarano, Collagna sono passati ai ribelli. Il parere di Wender su questi episodi, è che essi sono dovuti alla scarsa oculatezza nella scelta degli arruolandi, dovuta alla preoccupazione del Comando Provinciale della G.N.R. di reclutare il maggior numero possibile di militi. Altro episodio che illustra l'attività dei ribelli è l'occupazione della località Villa Minozza, che hanno poi abbandonato alle fiamme. A Reggio i rapporti fra il Capo della Provincia ed il Comandante Provinciale della G.N.R. sono molto tesi. La popolazione è al corrente di ciò. In città circola la voce che il Capo Provincia fosse scappato, poi che fosse stato arrestato dalla G.N.R. In una sua visita a Reggio, pare che il Generale Ricci (assente il Capo Provincia) abbia detto che se ci fosse stato, l'avrebbe preso a calci. Il Commissario Federale ha cercato di calmare gli animi e di metter pace, ma senza alcun risultato positivo. Egli ha fatto notare che sarebbe opportuno allontanare i militari dalla zona di normale residenza, ciò che comporta disordine, fughe e mancanza di disciplina, specialmente nell'ambito della GNR. Archivio Centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Repubblica sociale italiana, b. 79 (data presunta aprile-maggio 1944).
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* * * Un inizio difficile quindi per l'esperienza militare della Repubblica sociale italiana, difficoltà che caratterizzerà tutto il restante periodo dell' occupazione tedesca. Diserzione, sfiducia e mancanza di "intima persuasione" sono tratti, non solo fondanti ma inveterati nell' organizzazione militare neofascista, che alla base la credibilità stessa della Repubblica sociale italiana. 41° DEPOSITO MISTO PROVINCIALE 41 a Compagnia Provinciale Posta da campo 823 li 27 Gennaio 1944 XXII OGGETTO: Relazione mensile sull'addestramento. AL 41° COMANDO MILITARE PROVINCIALE /e p.c. AL 41 ° COMANDO DEPOSITO MISTO PROVINCIALE - SEDE Per il mese di gennaio il programma di addestramento da svolgere era il seguente: - Istruzione formale senza armi e colle armi. - Lezioni teorico pratiche sul fucile modo 91 e 41 - sul fucile mitragliatore Breda 37 - sulle Bombe a mano S.R.C.M. e O.T.O. - Ginnastica - scuola morale - regolamenti codice penale - canto corale. La mancanza di una profonda preparazione spirituale della truppa, l'abulia di moltissimi sottufficiali lo scarso senso di disciplina e di attaccamento al dovere e il quasi totale assenteismo dimostrato in special modo dalla maggior parte dei militari (sbandati - renitenti - mancanti alla chiamata - rastrellati) affluiti in questa Compagnia in questi ultimi mesi e parecchie difficoltà di ordine materiale hanno impedito che il su-riportato programma potesse essere svolto interamente e col risultato cui esso tendeva. E' innanzi tutto da mettere in rilievo che la mancanza di equipaggiamento e l'impossibilità di fornire di divisa circa due terzi della truppa - tutt'ora in borghese - e di dare in dotazione a tutti i militari della Compagnia un'arma individuale, influisce assai negativamente sul morale e rende vano gli sforzi compiuti dagli Ufficiali tendenti ad inculcare nell'animo dei dipendenti la coscienza della propria forza e delle proprie possibilità di contribuire attivamente al movimento di ricostruzione nazionale. Le partenze di militari trasferiti ad altri corpi - verificatesi frequentemente in questi tempi - il giornaliero affluire di militari renitenti e sbandati da altri corpi - privi di divisa e con scarso addestramento -, i lavori di organizzazione in seno alla Compagnia (numerosa di ben trecento militari circa) - dovuti ai movimenti di cui sopra -, la scarsa preparazione tecnica professionale di parecchi sottufficiali, la continua affluenza di militari provenienti dal carcere dei Servi - in condizioni materiali, sanitarie e igieniche deplorevoli -, le difficoltà incontrate nell'ottenere il necessario materiale di casermaggio, gli attuali lavori di sdoppiamento della Compagnia Provinciale in due Compagnie (Compagnia Provinciale e Compagnia Provvisoria), il continuo avvicendarsi di nuovi Comandanti di Compagnia e di nuovi Ufficiali subalterni, hanno per ovvi motivi distolto dai loro compiti quanti erano preposti alla preparazione spirituale e materiale della truppa. 104
30,1 Brigata FASCISTI. i Camerati
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sono stati vilmente trucidati da sicari al notte tra il 16..17 c. m. mentre cllmph'ano il loro normaJe di pattugliamento. .. In conseguenza di que~ì orrendo crimine 'he per la eale5ima volta abbruna i nostri .,""gliardetti la Brigata Nera ha#~,rC)to ceduto immediatamente alla Qterosa rapp;resaIUa.. SoDD
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La sentenza del Processo tenutosi a Reggio Emilia presso la Corte di Assise Straordinaria nel luglio 1945 contro i membri della cosiddetta "Banda Ferri" risulta di particolare interesse per una pluralità di motivi. Innanzitutto perché consente di gettare lo sguardo su una serie di episodi particolarmente tragici della Resistenza reggiana, restituendoci con la nettezza del linguaggio giudiziario il clima di violenza e di disfacimento morale diffuso all'interno delle Brigate Nere, nate nel luglio 1944 come tra()formazione armata del PFR e divenute un "corpo separato" all'interno dell' universo repressivo repubblicano e con le altre parti del medesimo in conflitto e concorrenza. Con la conduzione di Guglielmo Ferri della Federazione reggiana, dopo la crisi che aveva portato alla sostituzione di Armando Wender, la parabola del fascimo reggiano tocca il suo livello più basso con la fuga nottetempo del Ferri stesso e di un folto gruppo di brigatisti a Soncino, preceduta dal saccheggio della federazione stessa. Ma dalle varie testimonianze emergono anche informazioni preziose sulla dinamica di altri episodi, come quelle legate alla diretta responsabilità di elementi italiani nella strage di Cervaro lo compiuta il 20 marzo 1944 da elementi delle SS germaniche. Per ultimo la lettura completa del dispositivo della sentenza e delle successive appendici giuridiche rende anche conto dell' attività di distruzione sistematica operata nei mesi e anni successivi dalla Corte di Cassazione nei confronti delle sentenze pronunciate a carico dei fascisti responsabili di stragi e uccisioni, un' attività che consentì, unitamente all' infelice amnistia promulgata dal Ministro della Giustizia dell' epoca Palmiro Togliatti, nel giro di pochissimi anni, la rimessa in libertà dei colpevoli lasciando del tutto insoddisfatta la richiesta di giustizia di vittime e resistenti. Per meglio inquadrare l'attività della "banda Ferri" si pubblicano anche altri documenti inediti, tutti di parte fascista, relativi all' eccidio di Reggiolo (17 settembre 1944) che del processo è oggetto delle accuse principali.
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Sentenza n.12 del 24 luglio 1945 data depos. in canc. 29 luglio 1945 In Nome di S.A.R. UMBERTO DI SAVOIA Principe di Piemonte Luogotenente Generale del Regno La Corte Straordinaria di Assise di Reggio Emilia composta da: Cav.Uff. dott. Guido Neri Presidente Lino Lorenzelli Giudice popolare Giuseppe Sassi Walter Sacchetti Geo Ossi con intervento del P.M. rappresentato dal dott.Arturo Loffredo, Procuratore del Regno assistita dal Cancelliere Antonio Ortaggio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale del Pubblico Ministero contro 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35.
FERRI GUGLIELMO .. nato a Firenze il 23/4/1907... SPAGNI GIUSEPPE .. nato a Reggio Emilia il 28/9/1898... ZANOTTI GIORGIO ... nato a Frassinoro il 5/6/1925... ZANICHELLI NELLO .. nato a Sorbolo il 14/11/1921... PATERLINI GIOVANNI..nato Reggio Emilia il 1/3/1923... STORCHI GAETANO GIOVANNI..nato a Villa Rotta di Luzzara il 13/7/1901 GIORGI ALBERTO .. nato a Cadelbosco Sopra il 3/2/1909... PAVARINI AMLETO .. nato a Reggiolo il 6/1/1906... MARIANI VITTORIO .. nato a Castellarano il 4/11/1927... TAFFURO SALVATORE .. nato a Trepuzzi di Siena il 2/10/1890 BORGONOVO CLAUDIO ... nato a Monza 1'8/7/1901 BONETTI FRANCESCO... PENNINO NINO... ROSSI DANTE... RUINI ARRIGO... BERTANI VINCENZO... PALAZZI MARIO.. DI FUSCO LUIGI.. DE VITA MARIO... SPALLANZANI RENATO GHERARDI ARMANDO ZERBINI ERARDO BEGGI TOMMASO MUSSINI RENATO FERRETTI GINO MANZINI ANGIOLINO VERZELLESI GAETANO BELLAZZI BRUNO GUALERZI WALTER MANGONI GIUSEPPE BERNI ANDREA VEZZANI PRIMO PAGLIANI ARNALDO GIORGI FRANCESCO CI POLLI STELIO
detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto detenuto latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante latitante deceduto deceduto deceduto deceduto deceduto 107
36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43.
SCHIATTI DANTE ZECCHINI SERGIO MELEGARI ENEA BARBIERI LEOPOLDO lOTTI ALFEO GIORGI SILVIO SANTACHIARA ERMETE CARATOZZOLO CARMELO
deceduto deceduto deceduto deceduto deceduto deceduto deceduto deceduto
IMPUTATI (come da richiesta di citazione del 20 giugno 1945) tutti a) di concorso nel delitto di cui agli art.110-112 n.1 575-576-577 n.3 e 4, n.61 n.1 e 2 e 5, 81 comma seconda del cod. peno per avere in Reggiolo nel settembre 1944, con più azioni contestuali del medesimo disegno criminoso, cagionato la morte, mediante colpi di arma da fuoco, di Polacci avv.Massimiliano, Sacchi ten.col. Giuseppe, Angeli ing.Antonio e Marani avv.Germano, commettendo il fatto in numero di più di 5 persone, con premeditazione per abbietti motivi, ed inoltre profittando di circostanze (per ragioni di tempo, di luogo e di persone) da essi stessi posti in essere, di assoluta privazione, della pubblica e privata difesa dei cittadini. b) di concorso nel delitto di cui agli art.110 C.P. (5 decreto legge luogotenenziale 27 luglio 1944 n.159, 1 del decreto legge luogotenenziale 22 aprile 1945 n.142, punibili ai sensi dell'art.51 del C.P. militare di guerra per avere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, in concorso tra di loro, quali elementi di organi e formazioni irregolari a carattere militare, col mezzo dell'uccisione delle persone di cui al precedente capo e devastazione dei beni di un cittadino di Reggiolo (Lui Egisto), sparso il terrore tra la popolazione di questo comune e dell'intera provincia reggiana, al fine, pienamente raggiunto, di tenerle soggette al tedesco invasore del territorio sottratto ai poteri dello stato italiano impedendo e paralizzando ogni possibilità di difesa contro il tedesco stesso, e così spiegando opera di aiuto, di assistenza e collaborazione a favore di esso. Il Tafuro anche: del delitto di cui all'art.646 n.5 e 11 cod.pen. per essersi in Guastalla nel 17 settembre 1944, al fine di procurarsi un profitto ingiusto, appropriato di un orologio a danno di Sacchi Angiolino e di lire 13 mila a danno di Angeli Rosa, delle quali cose egli era venuto in possesso, commettendo il fatto con abuso di autorità e profittando di circostanze che ostacolavano la pubblica e privata difesa. Il dott.Bertani e Beggi anche: Del resto di cui all'art.1 dec.Legge luogot.22.4.1945 n.142 per aver collaborato col tedesco invasore nella specifica forma di membri di tribunali straordinari. I primi trenta, inoltre: (come da richiesta di citazione in 23.6.1945): del reato di cui agli art.110 C.P. e decr. LL. 27.7.1944 n.159 punibile, ai sensi del D.L.L. 22.4.1945 n.142 a art.51 e 54 C.P.M.G. per avere in concorso tra di loro commesso delitti contro la fedeltà e la difesa dello stato con specifico aiuto al tedesco invasore, concretandosi nella organizzazione e partecipazione a rastrellamenti di patrioti, con e senza le truppe tedesche, nella partecipazione ad azioni di rappresaglia, di devastazione, di strage, promosse per incutere terrore nella popolazione; con la partecipazione volontaria a plotoni di esecuzione di patrioti dai quali, mediante efferate servizie, in alcuni casi causa di morte estorcevano informazioni dirette ed altre rappresaglie a danno di altri cittadini. (In territorio di Reggio Emilia dall'ottobre 1944 all'aprile 1945) (Per il Ferri anche in territorio di Parma) \08
Fatto e diritto Dopo 1'8 settembre 1943 nel periodo infausto in cui le truppe tedesche calpestavano ed opprimevano la sventurata patria nostra connivente e tramite la sedicente repubblica sociale, la provincia di Reggio Emilia fu assogettata ad un regime di autentico terrore mediante l'opera delittuosa continuata di numerosi criminali alle dipendenze del segretario federale Ferri Guglielmo. E furono rastrellamenti, uccisioni, rapine, torture efferate, di cui si resero colpevoli i suddetti criminali che costituiscono la quasi totalità dei numerosi imputati di questo gravissimo dibattimento. Una lunga sequela di testimoni, dei quali sarà più in particolare fatto cenno in prosieguo, ha riferito sulle atrocità eseguite dai banditi in camicia nera, atrocità che nel loro complesso vengono a costituire la più completa e squisita prova del collaborazionismo col tedesco invasore di cui alla rubrica. La pubblica accusa ha nella sua requisitoria fatto perno esclusivamente sull'eccidio di Reggiolo avvenuto il 17.9.1944 allorché, a seguito di misteriose uccisioni di due militi fascisti si dettero convegno, per ordine del federale, squadre di azione da Reggio Emilia e da molti altri luoghi della provincia, e furono uccisi quattro intemerati cittadini, incendiata una casa e sparso il terrore nella popolazione. Il fatto fu indubbiamente assai grave, ma la Corte crede di non considerarlo isolatamente ma come uno dei tanti episodi analoghi occorsi nel periodo anzidetto (eccidi di Campagnola, Villa Sesso, Villa S.Maurizio, Villa Coviolo ed altri) onde tutto il complesso di tali misfatti risulti come quel delitto di collaborazionismo che era il fine a cui i singoli delitti sovraintendenti servivano di mezzo. Il Ferri federale, il suo capo di stato maggiore Pennino, i comandanti delle brigate nera e i loro gregari nelle diverse località, sono appunto gli imputati odierni, i quali, raggiunti da prove sicure in ordine al resto o a quel delitto, finiscono con meritare quella pena che al tradimento della patria concretato mediante la collaborazione col tedesco invasore commina l'articolo 51 del C.P.M. di di Guerra espressamente richiamato dalla legge speciale che questa Corte Straordinaria è chiamata ad applicare. Tutto ciò premesso, e passando all'esame delle singole responsabilità si osserva che per il Ferri Guglielmo, oltre la responsabilità presunta che la legge gli attribuisce stanno questi fatti: Egli fece parte a Reggiolo della commissione che deliberò l'eccidio, mentre dal coimputato Pilati venne indicato come uno dei principali colpevoli. Egli fu autore del manifesto pubblicato per notiziare la popolazione di quanto vi era definito come una doverosa rappresaglia; invano egli protesta di aver pubblicato quel manifesto per coazione tedesca là dove questa circostanza, che del resto non è provata, concorre a dimostrare sempre più la servilità della sua opera in favore del tedesco invasore e quindi il suo collaborazionismo. Il Pilati afferma ancora che fu il Ferri a fornire un bidoncino di benzina che servì per l'incendio della casa Lui. Per l'eccidio di Coviolo ove furono trucidate delle persone il teste Longagnani ricorda che la lista dei predestinati alla morte fu presentate allo Spagni e poi al Ferri mentre lo stesso coimputato Spagni ricorda che il federale voleva almeno venti vittime trattando lui da coniglio perché mostrava di accontentarsi di un numero minore. Il Ruini Arrigo fece parte della Commissione che deliberò l'eccidio di Reggiolo, comandò le squadre di brigate nere ivi operanti secondo le dichiarazioni dei coimputati Giorgi, Borgonovo e Mariani; minacciò di morte sul luogo dell'eccidio la stessa vedova dell'avv. Polacci, una delle vittime. Prese parte al rastrellamento di Villa Masone il 21.8.1944 secondo le deposizioni dei testi Olivieri e Scorticati, nonché alle azioni delittuose di Campagnola il 6 ottobre 1944. Il Bertani faceva parte della Commissione di Reggiolo che ordinò l'eccidio secondo lo stesso Ferri, Pilati ed altri. È colpito dalla presunzione di legge per essere stato membro del Tribunale Straordinario di Modena secondo la Gazzetta Ufficiale n.85 che é in atti. Partecipò 109
al rastrellamento di Villa Masone e Villa S.Maurizio, ove furono uccise due persone (teste Olivieri), nonché a quello di Rio Saliceto il15 agosto 1944 ove si ebbero nove fucilati (teste Battini Prospero). Il Palazzi fu tra i più accaniti sostenitori dell'eccidio di Reggiolo, come hanno affermato i coimputati Ferri e Zanotti, comandò anzi il plotone di esecuzione secondo le dichiarazioni dei coimputati Bergonovo e Paterlini. Insieme al Mangoni fu esecutore materiale dell'omicidio di tal Ghidoni a Villa S.Peliegrino nella primavera del 1944, come di quello del Corradini Gisberto il 21 agosto 1944 (testi Corradini Remo, Ferrini e Olivieri). Il coimputato Borgonovo lo rammenta come partecipante alla ferale rappresaglia di Campagnola del 6 ottobre 1944. Lo Spagni comandava la squadra delle Brigate Nere della Federazione ed era fiduciario di Ferri, mentre il coimputato Storchi lo indica come facente parte del plotone di esecuzione in Reggiolo. Non può tacersi che la sua viltà giunge al punto che egli esplose colpi di pistola sui corpi dei fucilati (vedova Polacci e coimputato Mariani). Anche a Coviolo la prodezza di sparare sulle vittime rubando quello che i disgraziati avevano indosso (coimputato Zanotti). Si rese colpevole dell'omicidio di Spaggiari Umberto in Villa Masone (teste Spaggiari Aldina ed Emore), nonché di altri omicidi a Gavasseto ed altrove (omicidio di lori Domenico). Il De Vita fece avvertire il Ferri dell'episodio che diede poi luogo all'eccidio di Reggiolo rispondendo poi a lui che gli arrestati, cioé l'avv. Polacci e gli altri, erano buoni per ogni evenienza. Fu sul luogo del delitto durante l'esecuzione (teste ved.Polacci) mentre era stato presente in Caserma allorché era stato dato l'ordine della fucilazione (teste Ballasini Adriana); può dirsi così che esso De Vita sia stato tra i preparatori più attivi ed efficaci dell'eccidio secondandone e vigilandone l'atroce esecuzione. Lo Zanotti fu l'esecutore principale dell'eccidio di Villa Coviolo, dell'omicidio di Braghini Silvio (teste Braghini Egidio) mentre a Reggiolo aveva presentato a Ferri in caserma le note delle persone ai ranghi delle quali [sic] si doveva esercitare la rappresaglia intimando poi alla Commissione che stava per deliberare: "Se non li uccidete voi, li uccideremo noi" (teste Ballasini). Fu a Villa Sesso ove dal drappello comandato da lui furono uccise quattro persone e viene indicato dai testi Leoni e Pezza rossa come uno dei torturatori di Villa Cucchi. A questo proposito la Corte vuoi ricordare quanto fu oggetto di altro dibattimento, qui celebrato il 6 giugno U.S. contro tali Pilati, Barozzi ed altri, cioé i famigerati componenti dell'U.P.1. che avevano in Reggio stabilito nella villetta Cucchi una vera e propria officina di atroci torture ed efferate sevizie di cui molti e molti innocenti rimasero vittime. E fra i torturatori più ricordati oltre lo Zanotti v'é l'attuale imputato Zanichelli Nello, che sottopose agli orribili procedimenti ivi in uso la Soncini Attica, il Conte Calvi, il Lusuardi Ireo ed altri; A Reggiolo fu tra coloro che arrestarono l'avv. Polacci, partecipò all'eccidio di Villa Sesso il 15.12.1944 mentre il teste don Gambino lo ricorda come uno che volontariamente si offrì per l'uccisione degli innocenti. Prese parte ancora alla cattura di quattro persone a Pieve Modolena il 19.12.1944, uccise Avanzi Dante di Montecchio (teste Zannone) nonché il Pinotti Mario nel gennaio 1945 (teste Bertani e Rinotti) ed infine il Simonazzi Loris iI20.12.1944 (teste Simonazzi Afro). Anche il Paterlini è raggiunto da prove imponenti sulle manifestazioni diverse della sua criminalità. Fu a Reggiolo contribuendo ad arrestare l'avv.to Polacci, partecipò all'eccidio di Villa Sesso e all'omicidio di Lelli Luigi (testi Aguzzoli Giovanni) nonché a quello del Pinotti Mario (testi Pinotti Elide e Bertani Silvio). Torturatore efferato della Villa Cucchi secondo le vittime Soncini e Cattani, e confessa infine di aver partecipato a ben venti rastrellamenti. 110
Circa lo Spallazani Renato é costante la sua presenza a Reggiolo ove giunse nella impudenza a salutare in caserma quell'avvocato Polacci di cui poi doveva decidere la fucilazione, dimostrandosi anzi fra i più accesi sostenitori del misfatto (vedi dichiarazione dei coimputai Pilati e Zanotti). Lo Storchi Gaetano fu visto a Reggiolo marciare in testa al plotone di esecuzione che si avviava a trucidare i quattro martiri ed intimava quanto si affacciavano [sic] alla finestra di ritirarsi prontamente se non volevano che si sparasse contro di loro (testi Accordi e Lui). Subito dopo la esecuzione ebbe la sfrontatezza di dire alla vedova Polacci che nulla sapeva di quanto era avvenuto dando così prove di cinismo di cui era stato animato nella partecipazione allo eccidio. Anche Giorgi Alberto è raggiunto da prove efficienti. Egli ha confessato di aver prestato servizio di guardia agli arrestati nella caserma di Reggiolo minacciando poi la vedova Polacci e la cognata di lui affinché si allontanasse dal cadavere della vittima e sfrontatamente dicendo alla vedova: "Perché piangi? Due dei nostri, quattro vostri". Partecipò anche ai fatti di Rio Saliceto (teste Battini Prospero) ed è da molti testimoni accusato come uno dei più feroci sostenitori delle rappresaglie che tanto si sperava giovassero al tedesco invasore. La difesa ha chiesto l'ammissione di una perizia psichiatrica sulle condizioni mentali di lui sulla base di certificati comprovanti una paralisi da cui furono colpiti i suoi genitori e presentando testimoni che avrebbero dovuto riferire sulla morte di parecchi fratelli di esso Giorgi. Senonché la corte non ritiene che tali elementi concernenti esclusivamente il parentado possono costituire una base adeguata per disporre indagini peritali sullo stato di mente di una persona che risulta immune da ogni infermità psicopatologica. Non é poi dalla voce di testimoni che si potrebbero trarre argomenti sulle causali delle morti dei fratelli Giorgi onde la richiesta di perizie si appalesa come un espediente privo di serietà, meramente dilatorio e così da respingersi. Il Pavarini fornì al federale Ferri le informative alle persone che a Reggio dovevano essere rastrellate; anzi sembra per la deposizione del coimputato Zanotti che sia stato il principale informatore e preparatore dello eccidio. E bene egli doveva aver compiuto il suo triste mestiere se egli stesso confessa di essersi allontanato dopo l'eccidio insieme al De Vita provvisto di ben quarantamila lire versate dalla federazione fascista, certo in premio dell'opera così egregiamente prestata. Del resto anche la vedova Polacci ha riferito come egli in antecedenza ebbe a scrivere due letteredenunzie al fascio di Reggiolo a carico di Loris Veneri e dell'avv.to Polacci, i due cioé fra le persone più in vista sulle quali stava per sfogarsi l'odio dei seviziatori dell'invasore. Tornando al Giorgi la Corte vuoi rammentare come egli abbia cooperato a Rio Saliceto ed in altre località vicine il 31 dicembre 1944 alla cattura di nove persone delle quali tre furono poi fucilate dietro decisione sua e del Pilati (testi Battini Prospero e Cagozzi); concorse nelle sevizie fatte al Lusuardi secondo le confessioni e dai suoi stessi rapporti in data 1 e 4 gennaio 1945. Il 31 dicembre aveva partecipato alla cattura di tre persone, tali Lusuardi Sante, Santi Lino e Lusvardi Francesco dei quali non si ebbero più tracce e fu autore di un furto sacrilego in danno del sacerdote don lori Guido, in Rio Saliceto il 18.11.1944. Tanto si é voluto aggiungere perché più completo apparisse il quadro delle responsabilità gravanti sul Giorgi Alberto. Il Manzini Angiolino concorse nell'omicidio di Lelli Luigi il 11.6.1944 in Reggio Emilia (teste Aguzzoli e dichiarazione del coimputato Paterlini). Prese parte all'eccidio di Sesso dove il 20 dicembre 1944 furono uccise 14 persone (rapporto Bresci della Brigata Nere) nonché all'eccidio di Cadelbosco di Sotto il 28.2.1945 ove furono fucilate dieci persone (teste Ferrari Umberto). Eseguì l'omicidio di Avanzi Dante il 27.12.1944 111
(teste Zannoni Margherita e Avanzi Alma). Fu uno dei più emeriti torturatori di Villa Cucchi ai danni specialmente del Cattani Bruno e di Foscato Umberto. Possono tralasciarsi episodi minori. Lo Zerbini Erardo partecipò al plotone di esecuzione di Reggiolo (deposizione Accorsi Ugo) mentre per il Beggi Tommaso sta il fatto che avendo il grado di capitano della brigata nera fu tra i cooperatori presenti all'eccidio di Reggiolo (coimputato Paterlini) nonché quello di aver preso parte al Tribunale Straordinario nominato dall'allora capo della provincia Savorgnan condannò a morte nel novembre 1943 [dicembre] i fratelli Cervi (ben sette persone) e nel 30 gennaio 1944 don Pasquino ed altri (testi Boccardi a avv.to Grandi). Circa il Tafuro Salvatore, si osserva: per il fatto di Reggiolo pare che sia giunto sul posto dopo l'esecuzione e quindi la sua attività criminosa sia rimasta nel puro campo intenzionale. Ma sta di fatto che per ben due mesi egli fece parte, per sua stessa ammissione, del plotone speciale di polizia nel carcere dei Servi, tristemente famoso a Reggio e nella provincia per le torture e le soppressioni compiutevi. Come membro di tale plotone, si recò al poligono conducendo alla fucilazione il sacerdote don Pasquino ed altre otto persone il30 gennaio 1944 (deposizione Codeluppi Amleto, Fieni Adelmo e dichiarazioni del coimputato Paterlini). Anche i sette fratelli Cervi ed un loro servo furono nel novembre [dicembre] 1943 accompagnati al poligono per la fucilazione dal Tafuro, la cui scusa di aver ignorato il motivo di tale gita è lugubremente ridicolo. Può aggiungersi che egli minacciò di morte e perseguitò anche nel carcere dei servi il Friggeri Fiorello. Stanno a carico del Tafuri anche le dichiarazioni dei coimputati Paterlini e Pilati. Il suo attivo e costante ed efficiente collaborazionismo non pare abbia bisogno di ulteriore dimostrazione. Solo vuole ricordarsi che egli venne in possesso del denaro tolto ad alcuna delle vittime di Reggiolo, dopo l'esecuzione, denaro che non venne se non in parte restituito ai parenti. Tale fatto di appropriazione indebita rientra ad avviso della corte nei reati mezzo di cui gli imputati si servivano per giungere al criminoso fine di spargere terrore ed opprimere sempre più le popolazioni a vantaggio del tedesco invasore. Il Borgonovo Claudio partecipò all'operazione di rastrellamento nella zona di Campagnola e dintorni, con il conseguente arresto di venti pesone, delle quali sei furono soppresse. A carico del Bonetti stanno le deposizioni Ferrari e Compagnoni. E' da ricordare che egli era segretario del fascio repubblicano di Luzzara, ove furono nell'aprile 1945 tratti in arresto sette giovani, fucilati poi il giorno 14. L'operazione fu compiuta da elementi della brigata nera estranei al paese, il quale era in grado di indicare le persone che potevano costituire un pericolo per gli oppressori (vedi testi Compagnoni, Ferrari Maria e lotti Maria). Il Mussini Renato partecipò all'eccidio di Franchini Fausto e di altre persone, avvenuto in Pieve Modolena il19 novembre 1944 (dichiarazioni del correo Zanichelli). Fu curatore del Cattani Bruno. Prese parte infine al secondo eccidio di Villa Sesso, ove il 20 dicembre furono trucidate 14 persone (accusa del coimputato Paterlini). Del resto numerosi testimoni hanno ricordato il Mussini come uno degli strumenti più feroci del sistema di tortura instaurato dall'UPI a Villa Cucchi. Il Gualerzi Walter comandò la brigata nera nel rastrellamento di Bibbiano il 27 agosto 1944, secondo le dichiarazioni del coimputato Bonetti, mentre dal Mariani fu rivelato alla vedo Polacci che lo stesso Gualerzi aveva partecipato al plotone di esecuzione dei martiri di Reggiolo. Per il Mangoni Giuseppe la sua attiva presenza a Reggiolo in compagnia dello Spallanzani è stabilita dalle testimonianze Gianferrari e Giampietri: fu esecutore dell'omicidio di Ghidoni Romeo a Villa S.Peliegrino, secondo le dichiarazioni del 112
coimputato Pirati, mentre [a teste Munarini C[eonice [o accusa del ferimento grave in persona del marito di lei. Vuo[si ora parlare della figura camaleontica del Pennino Rino, i[ quale ha cercato di attaccarsi ora all'una ora all'altra parte in contesa, allo scopo di trarre per se i migliori vantaggi. La deposizione del Commissario di P.S. Bertani che ha eseguito a Brescia e a Mi[ano particolari indagini, sulla condotta di lui, e quanto mai precise e chiarificatrici, ma per quel che riguarda [a sua posizione in ordine ai fatti ascrittig[i basti rammentare come cercando di trovare credito presso i sacerdoti che nella montagna di Reggio cooperavano con i partigiani, egli fu indubbiamente colpevole dell'eccidio di Cervaro[o avvenuto i[ 20 marzo 1944. Come si è detto piomba a Cervaro[o, paesello sperduto fra i monti a quattro ore di marcia da Villa minozzo, un forte nucleo di SS tedesche di Bo[ogna che incendia i[ paese, uccide i[ prete ed altre venti persone, dopo aver denudato i[ sacerdote e [asciatolo sulla neve per parecchie ore. E' assolutamente impossibile che [e SS di Bo[ogna potessero venire a conoscenza che in quel remoto borgo vi fossero partigiani a[ cui movimento prestava aderenze i[ parroco, se non fossero stati informati da persone che di tutto questo era bene a conoscenza. E questa persona non può essere stata se non i[ Pennino, sia per [o strano contegno da lui tenuto con don Pigozzi, sia per i[ rapporto in atti della Questura di Bo[ogna, che definisce i[ Pennino come uno dei migliori e più fidati strumenti della SS tedesca di Bo[ogna. Ma a carico di lui sta anche ['eccidio di Campagnola avvenuto quando egli era già capo di stato maggiore del famigerato federale Ferri, per i[ cui episodio egli è stato accusato nel modo più fermo e reciso dalla vedova del Pergreffi Ernesto. Essa ha ricordato come i[ Pennino, ben riconosciuto da lei tra i detenuti in udienza, [e disse di averle ucciso i[ marito e che altrettanto avrebbe fatto con lei e con i suoi figli, se non avesse consentito a baciare [a camicia nera da lui indossata. E' inutile dopo di ciò dilungarsi a seguire [e acrobazie politiche del Pennino a Brescia e a Mi[ano dove giunse persino a sorprendere [a buona. fede dell'ufficia[e americano Lispios, sempre allo scopo di trarre vantaggi personali per cui riusciva ad accaparrarsi denaro, automobili e preziose suppellettili. È forse [a figura del Pennino [a più losca del processo, in quanto egli ha cercato con inganno di sorprendere [a credulità degli altri, fingendosi ora aderente a[ partito repubblicano, ora cercante [a simpatia dei partigiani. Ma i due episodi di Cervaro[o e di Campagnola [o inchiodano inesorabilmente a[ suo posto di responsabilità, come strumento efficiente e pericolosissimo del tedesco invasore. Anche per il Ferretti Dino usciere della federazione fascista emerge [a prova della sua responsabilità per quanto hanno riferito i coimputati Pirati, Spagni e Borgonovo i[ quale anzi [o indica come facente parte del plotone di esecuzione. Così riassunti gli elementi di fatto è agevole concludere che tutti gli imputati sunnominati si sono resi colpevoli del delitto di collaborazionismo nella forma più grave, cooperando a[ tradimento della patria a beneficio dello invasore e meritando così ['applicazione a [oro carico dell'articolo 51 del Codice Mi[itare di Guerra. Figure minori nel quadro della responsabilità di quella triste congrega chiamata dalla coscienza popolare esprimentesi nella pubblica voce come banda "Ferri" sono apparse quelle degli imputati Mariani, Rossi, G. Verzellesi, Gherardi e Be[[ezzi. Il Mariani fu certamente, come egli stesso ha ammesso, a Reggio[o e a Campagnola ove sarebbesi [imitato a far da guardia ad un posto di blocco cooperando così ad impedire [a fuga dei disgraziati che erano braccati dagli assassini. [[ Verzellesi fu col Mariani insieme ad altri militi della b.nera di Novellara. [[ Gherardi fu visto tornare da Reggio[o insieme allo Spa[[anzani e a Mangoni (teste Giampietri) mentre i[ giornale "La Diana Repubb[icana" [o indicò fra i partecipanti alla delittuosa 113
spedizione. Il Rossi Dante confidò al teste Terzi Osmeno di aver preso parte ai fatti di Reggiolo ove secondo il teste il Melli arrivò con la squadra di Guastalla prima che dalla Commissione di cui si é parlato fosse deciso l'eccidio. Il Pubblico Ministero ha nei loro confronti richiesto la condanna per correità in omicidio col beneficio dalle attenuanti generiche, se la Corte è di avviso che mentre non ricorre motivo alcuno per la concessione di attenuanti generiche, la loro responsabilità può inquadrarsi nelle figure minori previste e punite dall'art.58 del Cod. Militare di Guerra in quanto le loro azioni erano certamente dirette spargendo (sic) il terrore nel paese e menomare la fedeltà dei cittadini verso lo stato italiano. Pena adeguata appare la reclusione per anni venti diminuiti di un terzo per il Mariani il quale, al momento del reato non aveva ancora raggiunto gli anni diciotto. Per gli imputati Pilati e Barozzi l'azione penale deve dichiararsi estinta in quanto essi furono già giudicati e condannati per i fatti di cui all'attuale rubrica. Noi confronti degli imputati Zerbini Sergio, Barbieri Leopoldo e di Fusco Luigi la Corte ritiene che essendo in atti fondati elementi risultanti dai rapporti dei carabinieri e dalle lettere di un sacerdote che essi siano nelle more deceduti il procedimento debba sospendersi a norme dell'art.89 C.di P.P. Per gli altri imputati di cui vi é in atti la prova dell'avvenuta morte l'azione é estinta. P.Q.M. Respinge anzitutto l'istanza di perizia psichiatrica presentate per il Giorgi Alberto. Visti gli art.1 D.L.L. 22.4.1945 n.142 art.5 D.L.L. 27 luglio 1944 n.159; art.51-58 C.P.M.C.; art.29 C.P.PC. art.51 C.P.M.G. DICHIARA Ferri Guglielmo, Ruini Arrigo, Bertani Vincenzo, Palazzi Mario, Spagni Giuseppe, De Vita Mario,Zanotti Giorgio, Zanichelli Nello, Paterlini Giovanni, Spallanzani Renato, Storchi Gaetano, Giorgi Alberto, Pavarini Amleto, Zerbini Erardo, Beggi Tommaso, Tafuro Salvatore, Borgonovo Claudio, Bonetti Francesco, Mussini Renato, Ferretti Gino, Manzini Angiolino, Pennino Rino, Gualerzi Walter, Mangoni Giuseppe, colpevoli del delitto di cui alla richiesta di citazione in data 23 giugno 1945, ivi dichiarando assorbiti gli altri delitti contestati in rubrica e li condanna alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena. Dichiara Mariani Vittorio, Verzellesi Gaetano, Gherardi Armando, Bellazzi Bruno e Ruozi Dante, colpevoli del reato di cui all'art.58 del C.P.M.G. ivi assorbita ogni altra imputazione, col beneficio per il Mariani dell'età minore degli anni 18 e maggiore dei 14, e condanna il Verzellesi, il Gherardi, il Bellazzi e il Rossi alle pene di anni 20 di reclusione ed il Mariani a quello di anni 13 e mesi 4, nonché tutti i cinque alla interdizione perpetua dei pubblici uffici e alle spese processuali che li concernono. Visto l'art.89 C.P.P. ordina sospendersi procedimento nei confronti degli imputati Zecchini Sergio, Barbieri Leopoldo e di Fusco Luigi. Visto l'art. 479 C.P.P. dichiara di non doversi proceder contro Vezzani Primo, Pagliani Arnaldo, Berni Andrea, Giorgi Francesco, Cipolli Stelio, Schiatti Dante, Melegati Enea, lotti Alfeo, Giorgi Silvio, Santachiara Ermete, Caratozzolo Carmelo per essere estinte nei loro confronti l'azione penale in seguito a morte. Reggio Emilia, 24 luglio 1945 Il Presidente f.to Neri Il Cancelliere f.to Ortaggio
114
(... )
La Corte di Cassazione-Sezione Speciale di Milano con sentenza in data 25 agosto 1945 annulla la sentenza nei confronti di Zerbini, Gualerzi, Ferretti, Pavarini, Tafuro, Bonetti e Mariani rinviando per nuovo giudizio alla Corte Straordinaria di Assise di Parma, annulla senza rinvio la sentenza per Rossi Dante per non aver egli commesso il fatto, dichiara che la pena di morte inflitta al Ferri con sentenza della corte di Parma in data 2.7.1945 assorbe quella inflitta dalla Corte di Reggio; rigetta i ricorsi di Spagni Giuseppe, Zanotti Giorgio, Zanichelli Nello, Paterlini Giovanni, Storchi Gaetano, Giorgi Alberto, Borgonovo Claudio, Pennini [sic] Rino. Il Cancelliere f.to Ortaggio (... )
La Corte di Cassazione, Sezione Speciale di Milano con sentenza in data 9.11.1945, annulla la precedente sentenza nei confronti di Beggi Tommaso, Bellazzi Bruno e Davita Mario; rinviando la causa per nuovo giudizio alla Corte di Assise di Parma. Il Cancelliere f.to Ortaggio (... )
La Sezione Speciale di Corte di Assise di Reggio Emilia riunitasi in Camera di Consiglio il 21 gennaio 1946, ha ordinato su istanza del P.M. la confisca dei beni ai condannati Giorgi Alberto fu Luigi, Spagni Giuseppe fu Pietro, Zanotti Giorgio fu Ambrogio, Zanichelli Nello di Abelardo, Storchi Gaetano Giovanni fu Agenore, Borgonovo Claudio fu Umberto, Pennino Rino di Alfonso, Palazzi Mario di Guido, Spallanzani Renato di Enrico, Mussini Renato di Francesco, Manzini Angiolino di Antonio, Ruini Arrigo fu Umberto, Bertani Vincenzo fu Remiglio, Gherardi Armando fu Domenico, Verzellesi Gaetano di Nino, Mengoni Giuseppe di Francesco. Il Cancelliere f.to Ortaggio La Corte riunitasi in Camera di Consiglio il 21 gennaio 1946, con ordinanza in data 30 luglio 1946, ha dichiarato cessata l'esecuzione delle condanne e le pene accessorie nei confronti di Verzellesi Gaetano, per effetto di amnistia, ordinandone la scarcerazione. Il Cancelliere f.to Ortaggio La Corte di Cassazione, con sentenza in Camera di Consiglio in data 9 luglio 1946, rigetta il ricorso del Giorgi avverso l'ordinanza di confisca dei beni. Il Cancelliere f.to Ortaggio La Corte di Cassazione, con sentenza 26 luglio 1946 annulla la sentenza della Corte d'Assise Sezione speciale di Reggio Emilia nei confronti di Spallanzani Renato, Mussini Renato, Manzini Angiolino, Mangoni Giuseppe e Palazzi Mario, per nullità 115
di notifica del decreto di citazione e rinvia per il nuovo giudizio alla Sezione Speciale di Corte d'Assise di Parma. Il Cancelliere f.to Ortaggio Questa Corte, riunita in Camera di Consiglio, con ordinanza in data 3 dicembre 1946 dichiara estinto per amnistia il reato cessata l'esecuzione della condanna e delle pene accessorie inflitte a Gherardi Ermanno e revoca il mandato di cattura contro l'istanza di amnistia del medesimo. Il Cancelliere f.to Ortaggio La Corte di Cassazione con sentenza in data 24.11.1947 annulla con rinvio, nei confronti di Bertani Vincenzo, alla CASo di Perugia, per mancanza di regolare costituzione del rapporto processuale, in seguito al ricorso proposto avverso la presente sentenza e ordinanza. Il Cancelliere f.to Pagnoni
PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO Federazione dei Fasci Repubblicani Corpo Ausiliario CC.NN. "Brigata Nera" Reggio E. UFFICIO COMANDO OGGETTO: Rapporto
R. Emilia, 19/9/1944
AI Segretario del PFR-Comandante del Corpo Ausiliario delle Squadre di Azione CC.NN-Posta da Campo 704. e per conoscenza: AI Prof.Franz Pagliani - Delegato Regionale del PFR AI Capo della Provincia - Reggio Emilia AI Comando SS di Parma AI Platzkommandantur di Reggio Emilia Dalle informazioni in possesso del nostro Ufficio Politico risulta che [in] una zona vastissima della piana reggiana squadre e gruppi di partigiani, appoggiati da elementi isolati della GAP svolgono un'attività intensissima che va dall'assalto dei presidi della 3D/ma Brigata Nera, all'uccisione del fascista isolato, dal mitragliamento degli automezzi che transitano nelle strade, al saccheggio, all'incendio o al furto; dalla intimidazione alla propaganda attraverso tutti gli abituali mezzi, sia in italiano che in tedesco. Questa situazione che noi fronteggiamo da mesi e che in ogni modo cerchiamo di contenere, reprimere od eliminare, ha continuato anche nella notte dal 16 al 17 corrente, con l'uccisione dei fascisti Zanotti Ambrogio e Bianchini Arturo, assaliti e trucidati mentre insieme ad altri due camerati uscivano di pattuglia dalla caserma del nostro presidio di Reggiolo. Gli assalitori, in numero rilevante, armati di armi automatiche, si sono allontanati 116
immediatamente dopo il misfatto, con un camion, e questo di fronte all'atteggiamento estremamente deciso del nostro Presidio, che, dopo l'uccisione dei due camerati, si trovava composto di soltanto altri tre uomini. La gravità di questa situazione non é tanto determinata dalla presenza di questi gruppi di partigiani, ma bensì dal fatto accertato e stabilito che una parte della popolazione dei luoghi di questa vasta zona, vive in correità con essi, fornendo loro aiuto ed assistenza nelle forme più svariate e complete. Questa complicità é stabilita soprattutto per conto, sebbene limitato, di categorie di intellettuali, professionisti, possidenti e nobili della nostra provincia. In seguito all'uccisione dei due camerati del presidio di Reggiolo, d'accordo col Comando della GNR, che ha inviato immediatamente sul posto una squadra del proprio Ufficio Politico, abbiamo fatto affluire a Reggiolo circa duecento elementi di questa Brigata ed in un'azione vasta di rastrellamento, abbiamo potuto riunire una trentina di elementi risultanti, sia nelle cartelle dell'Ufficio Politico della 79a Legione, sia attraverso il nostro Ufficio Politico, colpevoli di tutte le forme di propaganda antinazionale e antitedesca, ex fascisti che hanno tradito durante il periodo badogliano, ora in connivenza con gli elementi sovversivi e partigiani, sovvenzionatori dei gruppi e delle bande e degli isolati che nella bassa reggiana agiscono diuturnamente sia contro di noi che contro le Forze Armate Tedesche. Tra gli elementi così riuniti si é trovato l'avv.POLACCI Massimiliano, il T.Colonnello SACCHI Giuseppe, l'ing.Agr. ANGELI Antonio e l'avv.MARANI Girolamo, in possesso di armi corte e, nelle perquisizioni effettuate nell'abitazione dei sopracitati, di fogli propagandistici in italiano e in tedesco, di cui alleghiamo copia. Costoro sono stati passati immediatamente per le armi. L'esecuzione di questi quattro elementi ha determinato una impressione favorevolissima in tutto l'ambiente fascista, nella popolazione di tutta la Provincia, perché ben conosciuti da sempre come elementi responsabili materialmente e moralmente nella (sic) situazione di sovvertimento, di disordine antinazionale, antitedesco e decisamente pro-nemico. All'immediata spontanea azione nella zona dove sono stati trucidati i nostri due camerati, ha fatto seguito, la sera stessa, poco lontano dal paese di Reggiolo, un'azione ribellistica contro degli automezzi tedeschi di cui uno carico di carburante, veniva incendiato. I camerati germanici, in questa azione hanno avuto quattro feriti. I funerali dei nostri fascisti della Brigata Nera, uccisi a Reggiolo, hanno avuto luogo ieri, 18 settembre XXII, in Reggio. Possiamo affermare che non si sono mai svolti in Reggio funerali più imponenti per manifestazione di spontaneo cordoglio, per l'intervento di Autorità militari e civili, per la massa di popolo che ha voluto, seguendo i nostri camerati all'ultima dimora, manifestare così il suo sdegno verso i sicari di tutti i colori e di tutte le categorie sociali, prezzolati, o comunque, venduti al nemico. Noi abbiamo lasciato Reggiolo senza presidio, affinché la popolazione tutta sia responsabile della situazione locale e non si possa dire che elementi sovversivi hanno compiuto atti di violenza perché presenti i fascisti della Brigata Nera, e questo d'accordo con un Ufficiale tedesco del Comando di Gonzaga, che é stato inviato appositamente sul luogo per rendersi conto della situazione. Possiamo aggiungere che il Commissario Prefettizio di Reggiolo, iscritto al PFR, si é suicidato ieri mattina in quanto, e, in seguito all'uccisione dei due fascisti Zanotti e Bianchini, ha ritenuto di essere stato tradito dai cittadini che egli ha beneficiato della sua opera e della sua munificenza, per molti anni. IL COMMISSARIO FEDERALE COMANDANTE LA 30a BRIGATA NERA "A.MARAMOTTI" F/to Guglielmo Ferri 117
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Copia dell'articolo "Kara-Kiri" pubblicato sul quotidiano politico "II Solco fascista" n. 220 in data 19/9/1944 KARA-KIRI I vecchi e generosi samurai del glorioso Impero Giapponese, onusto di gloria e di storia, preferivano farsi kara-kiri piuttosto che assistere alla vergogna della Patria. Popolo nobilissimo e fiero quello dei samurai che preferivano la morte al disonore. Ebbene, un commovente episodio di fede e di coraggio che somiglia proprio a quei tanti che hanno onorato la storia giapponese - ed anche in moltissimi casi, la nostra - si é verificato in provincia di Reggio Emilia. Il Podestà di Reggiolo, vecchio e ardente fascista devoto alla Patria, nell'apprendere che mani sicari [sic] avevano assassinato i due generosi della Brigata Nera, disgustato che tanto oltraggio insanguini ancora le nostre strade e metta a gramaglie [sic] madri pietose e spose devote, figli e fratelli, rinnegando così ogni principio umano e sociale, si è suicidato. Egli ha fatto kara-kiri come un samurai dell'Augusto Impero asiatico ed é morto come un Senatore di Roma. Insegni questo sacrificio; dica ai cuori tutti quale leva potente sia nello spirito l'amore per la Patria e la fiducia nel suo avvenire. C'é tanto orgoglio e tanto profondo disprezzo in questo gesto di un uomo che si sottrae alla vita - e lo lascia scritto - piuttosto che assistere alla vergogna dei suoi connazionali. Per noi c'é un comandamento: reagire. * * *
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Ministero dell'Interno Direzione generale di polizia Divisione Polizia. Sez.1 Alla Divisione Affari Generali Riservati SEDE ogg.: Nasuelli Augusto fu Pietro. Commissario Prefettizio del Comune di Reggiolo. Suicidio. Per conoscenza, si trascrive quanto comunica la Questura di Reggio Emilia con nota n.0188-R/S del 29/9 u.S.: . "II Comandante della locale Brigata Nera ha trasmesso al Segretario del PFR la relazione che unisco in copia (... ). Tale relazione per quanto riflette la situazione della Provincia in rapporto all'attività ribellistica indubbiamente é attendibile. Non altrettanto può dirsi però quando sostiene che la rappresaglia a carico dei quattro individui giustiziati a Reggiolo ha determinato una reazione favorevolissma in tutto l'ambiente fascista e nella popolazione di tutta la Provincia. Tale reazione favorevole si limita invece ai pochi fascisti di tendenza più che estremista, per i quali la rappresaglia è un mezzo che va comunque applicato indipendentemente dal fatto che gli elementi contro i quali si scatena siano o meno incorsi in responsabilità tanto gravi da giustificarla. Tutto il resto della popolazione ad anche i ,fascisti con la testa sul collo, è invece rimasta vivamente sconcertata dall'accaduto. E opinione diffusa che i quattro giustiziati 118
non siano stati trovati né armati né in possesso di manifesti di propaganda. È anche trapelata la notizia che il suicidio del Commssario Prefettizio Augusto Nasuelli sia stato determinato dall'impressione prodotta sullo stesso dalla loro esecuzione. Un corsivo dal titolo" harakiri" apparso sul locale "Solco Fascista" col quale si tenta di avvalorare l'ipotesi che il Nasuelli si sia suicidato per le ragioni che il Commissario federale accenna nell'ultima parte del suo rapporto, è stato male accolto e ampiamente criticato. Allego copia di tale corsivo (... ). E' opportuno notare che il Commissario Prefettizio Nasuelli era iscritto al PFR. Trasmetto, infine, copia del rapporto che il segretario del Comune di Reggiolo ha indirizzato al Capo Provincia (... ). Tale rapporto deve considerarsi come una serena esposizione dello svolgimento dei fatti. Mi risulta che il Capo Provincia ha predisposto per i prossimi giorni un'adunata della popolazione di Reggiolo alla quale porterà la sua parola. Reputo infine doveroso far presente che nei frequenti contatti da me avuti nei giorni scorsi con il Commissario Federale Ferri, questi mi é apparso come un elemento perfettamente equilibrato che ad una indiscutibile fede fascista unisce i necessari requisiti di competenza, sensibilità politica e serenità di giudizio, tanto da farmi ritenere che la rappresaglia di Reggiolo, che io persisto nel ritenere avventata e inopportuna, sia stata la conseguenza di informazioni a lui fornite da elementi locali più o meno in buona fede. Tutto ciò perché non é possibile pensare che una persona equilibrata, come io ho ragione di ritenere ormai il Federale Ferri, abbia potuto a sole 24 ore dal suo arrivo in Provincia, assumere tanta responsabilità, se non convinto di agire con piena aderenza ai criteri di severa giustizia, cui deve ispirarsi l'azione del Partito." Il Direttore Capo della Polizia (*) Il documento si trova in Archivio Centrale dello Stato. Ministero degli Interni. Pubblica Sicurezza. Busta 438. * * *
Spesso nella memorialistica e nella pubblicistica postfascista viene riportato il topos tipico della presenza fascista, della Repubblica di Salò come istituzione, fino all' azione delle singole figure sul territorio, quale elemento di moderazione nei confronti della durezza dell' alleato. Una presenza che avrebbe evitato il dispiegarsi della potenza distruttrice limitando i danni al paese occupato e cobelligerante. In realtà, come la coralità delle fonti conferma e la storiografia da tempo ha sottolineato, i termini della questione andrebbero simmetricamente ribaltati, nel senso che è ricorrente la presenza fascista come motore per lo scatenamento ulteriore della violenza, anche in situazioni dove esigenze politiche o militari, tralasciando ovviamente aspetti etici ed umanitari, sconsigliavano tale comportamento. In sede reggiana basti ricordare le fucilazione dei fratelli Cervi e di don Pasquino Borghi o l'eccidio di Legoreccio del novembre 1944, quando sono i militi repubblicani a richiedere e ottenere dalle truppe tedesche la immediata fucilazione dei partigiani del distaccamento "Cervi", catturati dietro garanzia di incolumità. Il documento che segue, già pubblicato a suo tempo dal Franzini, si riferisce all' incontro avvenuto presso la Militarkommandantur di Parma, pertinente per territorio, per decidere della sorte dei membri del Comando Piazza di Reggio Emilia, processati e condannati a morte. Ancora una volta si scontra la tendenza alla vendetta ad ogni costo con la opportunità di 119
usare la situazione favorevole per colpire ulteriormente il movimento partigiano. A porre fine alla discussione é 1'intervento di autorità del col. Eugene Dollmann che decreta la fucilazione del solo Angelo Zanti, comunista, per introdurre un elemento di divisione fra le fila resistenziale, differenziando il comportamento repressivo a seconda dell' appartenenza politica. I rimanenti membri del Comando Piazza, come noto, vennero scarcerati solo al momento della Liberazione. * * * Breve rapporto della seduta del 9 gennaio 1945 presso la Militaerkommandantur Presidente: Militaerkommandant Ten. Col Muehe Partecipanti: Col. Dr. Dollmann Magg. Strauss Magg. Frase Capit. Alberti Capit. Leibold Ecc. Rocchi, Alto Commissario per l'Emilia Ecc. Caneva, Capo della Provincia di Reggio E. Col. Ballarino, Comandante Provinciale Reggio E. Magg. D'Amico, Consulente giuridico presso il Comando Provinciale Reggio E. Interprete. Inizio della seduta: ore 11 Il Ten. Col. Muehe saluta i presenti. Lo scopo della conferenza è il contatto fra le autorità italiane e germaniche circa l'opportunità di giustiziare i sei ribelli condannati a morte nel processo di Reggio. Il Comandante rammenta il grande processo contro i ribelli nel giugno 1944, nel quale 50 individui furono condannati, i quali durante un rastrellamento sul monte Montagna erano stati sorpresi la notte ed arrestati, ma non immediatamente fucilati. Allora il Duce ha graziato quasi tutti i condannati contro la decisione del Presidente del Tribunale Straordinario Ecc. Griffini e del Comandante regionale Gen. Magaldi. Accennando a questo avvenimento il Comandante prega di prendere posizione di fronte al problema dell'eventuale esecuzione delle sei condanne a morte. Egli fa presente che la popolazione delle singole province deve avere piena fiducia nella giustizia e nella umanità delle decisioni. Le autorità militari hanno tutto l'interesse a non disingannare la fiducia del popolo perché proprio quella fiducia deve garantire la pace e l'ordine della vita economica. Da parte italiana si fa presente la differenza nel grado della gravità della colpa dei condannati. L'Ecc. Caneva e il Col. Ballarino comunicano estratti del verbale. Da quello risulta che dei sei condannati a morte Zanti è il più colpevole. Si tratta di un comunista e allo stesso tempo di un membro del C.L.N. Il Cap. Alberti fa presente quale importanza hanno i comunisti nel C.L.N .. Secondo l'opinione generale sarebbe molto opportuno giustiziarlo. Il caso Calvi è più difficile. Costui, un membro dirigente del Partito Democratico Cristiano, è padre di sette figlioli. Il Col. Dr. Dollmann sconsiglia la sua esecuzione, perché sarebbe molto imprudente creare un martire di un padre di famiglia con sette bambini. Gli altri quattro condannati a morte erano anche membri del Partito Democratico Cristiano. La loro posizione è molto meno aggravante di quella del Zanti. 120
Il Cap. A[berti osserva che non pare opportuno scegliere alcuni dei sei suddetti e giustiziarli, graziando gli altri. Si presenta [a alternativa, o fucilare tutti o solo Zanti, [a cui causa è molto più grave di quella degli altri. Col. Dollmann e Ten. Col. Muehe propongono poi di giustiziare solo Zanti, di graziare invece gli altri. Col. Dollmann motiva tale presa di posizione facendo presente che e specialmente anche ['importanza politica dell'esecuzione deve essere considerata. Una esecuzione draconiana non sarebbe sempre ['espressione del potere, e nel momento sarebbe senza dubbio nell'interesse del Governo Italiano unire risolutezza con prudente moderazione. L'Ecc. Rocchi dichiara in seguito che non sarebbe competenza sua di accordare [a grazia, ma che [e domande dovrebbero essere inoltrate a[ Comando Regiona[e dell'Esercito Repubb[icano a Bo[ogna. A queste difficoltà risponde i[ Col. Dollmann che c'è una contraddizione ad una asserzione di Rocchi del giorno precedente, secondo [a quale egli (Rocchi) sarebbe autorizzato a graziare. Col. Muehe propone di pregare immediatamente i[ Duce di prendere una decisione in questa causa; secondo [e esperienze della Mi[itaerkommandantur un ordine del Duce molte volte ha chiarito gli affari interni italiani. Col. Dollmann prega ['Ecc. Racchi di sottoporre [a causa a[ Duce in tale senso, ma Rocchi non si mostra d'accordo. Col. Ballarino dice che si presume che i[ Comando Regiona[e a Bo[ogna prenda [a decisione nel senso delle considerazioni del Comando Germanico. Il Magg. D'Amico personalmente porterebbe [e domande a Bo[ogna e informerebbe i[ Comando Regiona[e. Ne[ caso che vi siano delle difficoltà inaspettate ci rimarrebbe sempre [a possibilità di appellarsi a[ Duce. L'Ecc. Caneva domanda che cosa dovrebbe essere fatto con gli altri sedici denunciati. Si prende ['accordo - dopo ['iniziale opposizione del Col. Ba[[arino - che questi devono essere consegnati a[ Tribuna[e Mi[itare Ordinario di Brescia. Ne[ momento in cui i[ Col. Muehe vuole ricapitolare i[ risultato della conferenza, i[ Prefetto Caneva fa un'altra obiezione. Domanda che cosa deve essere fatto dei circa 40 arrestati che dovrebbero essere denunciati più tardi. Qui ['Ecc. Rocchi interviene energicamente e cerca di perorare che non sia fatto i[ processo a questi elementi, perché dopo sarebbero graziati, ma che invece dovrebbero servire come ostaggi per essere giustiziati nel caso di esecuzione dei nostri da parte dei partigiani. [[ Col. Muehe fa presente che bisogna prendere contatto con i[ Comando tedesco prima di fucilare qualcuno. Contro quello obietta ['Ecc. Rocchi (perdita di tempo, possibilità di intercettare [e comunicazioni telefoniche); ma [e obiezioni sono confutate. [[ Col. Dollmann protesta che 40 uomini sono fatti ostaggi permanenti quale provvista eterna per scopo di fucilazione. Questo sarebbe contrario alle massime dell'umanità che mai dovrebbero essere dimenticate. [n relazione a ciò i[ Cap. Leibo[d dice che nella prigione Brigata Nera a Reggio si trovano degli arrestati fermati per settimane prima che [a denuncia sia fatta a[ Tribuna[e. A questo proposito i[ Col. Do[[mann osserva che [a Brigata Nera non è una forza di polizia e che in futuro deve consegnare i fermati immediatamente a[ SD o alla Polizia italiana. [[ Col. Muehe ringrazia i signori di essere venuti e ricapitola i[ risultato della conferenza come segue: Le domande dell'esecuzione della condanna a morte del Zanti e della grazia degli altri cinque saranno inoltrate subito a[ Comando Regiona[e di Bo[ogna. Ne[ caso che ci fossero difficoltà, [e autorità italiane sono pregate di rivolgersi a[ Duce per [a sua decisione personale. La procedura contro gli altri 16 denunciati sarà inoltrata a[ Tribuna[e Mi[itare Ordinario di Brescia. Fine della seduta: ore 13. 121
L'istruzione obbligatoria a Poviglio fra il 1864 e il 1915 SILVIA PASTORINI
Le considerazioni che fanno parte di questo breve articolo nascono da un progetto di valorizzazione del materiale documentario conservato nell' Archivio Comunale di Poviglio, riguardante le scuole elementari del comune nel periodo fra Unità d'Italia e Prima Guerra Mondiale. Le cartelle recuperate, numerate da l a 82, riguardano le annate dal 1864-65 fino al 1968-69. Mancano esclusivamente gli anni scolastici 1887-89; 1892-93; 1894-95; 192728 e 1958-59. La consistenza del materiale era perciò notevole e abbastanza completa. Il contenuto di tali cartelle è costituito da Registri scolastici del capoluogo e delle frazioni di Casalpò, Fodico, Godezza, San Sisto e Molinara. Nonostante le variazioni negli anni, i registri contengono gli stessi dati. Erano suddivisi inizialmente in Registri di iscrizione, che indicavano i dati anagrafici degli alunni, Registri mensili riportanti nominativi, assenze e voti per materia, Registri annuali compilati con nominativi, punteggi per materia ed esami di compimento dell' anno scolastico. In seguito, venne adottato un Registro unico giornaliero, mensile e annuale, in cui erano compresi anche i dati di iscrizione; un Elenco degli alunni obbligati; un Registro degli esami, contenente i relativi verbali. Tutto questo materiale è stato inventariato, producendo un catalogo delle annate scolastiche e del loro contenuto secondo alcuni criteri: il numero della cartella, quello dei fascicoli contenuti in ognuna, l'anno scolastico a cui sono riferite, le località, il tipo di registro, le classi. I dati contenuti nei Registri risultano omogenei e riguardano due serie di dati: - quantitativi, relativi agli iscritti, frequentanti, promossi e bocciati riportati in uno specchietto statistico al termine di ogni Registro scolastico; - qualitativi, indicanti il sesso, la condizione socio-economica della famiglia, l'età, il luogo di nascita, la residenza, le classi frequentate, le località sede della scuola elementare trascritti all 'interno del Registro. Ad un' osservazione più attenta, i dati non sono risultati completi per tutti gli anni, infatti per i primi dieci anni mancano le notizie sulla condizione socioeconomica, mentre spesso non risultano le date di nascita o la residenza o il luogo di nascita. 123
La ragione di queste lacune, soprattutto per il materiale più antico, è da attribuire a due fattori: i Registri venivano compilati dai maestri, ma non da tutti con regolarità, mentre i genitori che fornivano le informazioni non erano sempre in grado di dare indicazioni esatte probabilmente per la difficoltà di tradurre in italiano parole dialettali. Ciò sembra confermato dai diversi modi in cui si trova trascritta una stessa strada nei diversi registri (Pollina o Polina; Argine Mola o Argine Mula). Allo stesso tempo, sono state trovate numerose lettere in cui il Provveditore agli Studi o gli ispettori scolastici, chiedevano al Comune di sollecitare i maestri a trasmettere i dati statistici necessari per controllare la situazione dell' obbligo scolastico. Oltre ai Registri scolastici, sono di grande interesse altre fonti, le cartelle della categoria Istruzione Pubblica (IX), Titolo 13, depositate presso l' Archivio dell' amministrazione comunale di Poviglio. Il contenuto delle cartelle è costituito dalla corrispondenza fra comune, ispettori scolastici, il Provveditore agli Studi della provincia di Reggio Emilia. Questo materiale è servito anche per capire la connessione fra la legislazione scolastica nazionale e i documenti locali.
Uno sguardo sull'obbligatorietà Un aspetto importante per capire la storia dell 'istruzione in Italia è il dibattito sui progetti legislativi e sulle leggi emanate nel periodo unitario, valide su tutti i territori divenuti indipendenti nel periodo risorgimentale. La maggior parte del territorio nazionale viene liberato e unificato già dal 1859-60, pur restando esclusi Roma ed il Veneto, per i quali l'indipendenza e l'inclusione nel Regno d'Italia avverranno rispettivamente nel 1866 e nel 1870. La preoccupazione dei governi della Destra storica in materia di istruzione, riguardava il modo di conservare e creare le basi culturali delle future classi dirigenti. In questo senso il dibattito sull' ordinamento scolastico italiano prendeva strade già note e le leggi proposte ed approvate le confermavano. L'istruzione elementare obbligatoria non era uno dei problemi più urgenti, sebbene fosse sempre più richiesta: essa rispondeva a principi illuministici e teorici di allargamento del sapere alle classi popolari e non era sentito come esigenza più profonda di fornire gli strumenti e le conoscenze necessarie, affinché quelle stesse classi potessero raggiungere maggiore benessere e riconoscimento sociale e politico. Più sentito era il dibattito sull' istruzione superiore, sulla contesa fra istruzione classica e istruzione tecnico-scientifica nella scuola secondaria e sul ruolo dell 'università. La scuola tecnica, ad esempio, era stata curata negli indirizzi che avrebbero dovuto dare sbocco alle professioni utili per inserirsi nella Pubblica Amministrazione, secondo la tradizione della nostra borghesia, mentre lo Stato aveva trascurato di pubblicizzare e far crescere gli indirizzi che davano accesso alle professioni agricole, industriali e commerciali. L'imprenditorialità italiana chiedeva allo Stato di reagire e di appoggiare lo sviluppo economico di fronte alla concorrenza europea, così come chiedeva di svecchiare la scuola italiana e di preparare i figli della borghesia ad essere i 124
nuovi dirigenti, pronti a capire e ad agire di fronte alle trasformazioni economiche della società italiana ed europea. L'attenzione dello Stato si diresse soprattutto in questa direzione, negli anni che andiamo ad analizzare, mentre l'istruzione elementare viaggiò se non in sordina, molto lentamente, anche durante i governi della Sinistra storica. Per il momento, come in tutti gli ordinamenti scolastici del tempo, scuole elementari e scuole superiori erano concepite in funzione dei ceti sociali: a quello popolare i principi del dovere, dell' obbedienza, dell' ordine e del lavoro, a quello borghese nozioni e cultura classica. All'uno veniva assegnata una posizione remissiva e si rifiutava loro un' evoluzione sociale e politica, all'altro si indicava la via per aggregarsi alle classi più agiate del paese.
Le leggi fondamentali Per ciò che riguarda la scuola elementare, i governi della Destra storica e della Sinistra storica emenarono quattro leggi fondamentali per capire i problemi dell' alfabetizzazione della popolazione italiana: - 1859 Legge Casati sull 'istruzione gratuita e obbligatoria nel Regno sardo e in Lombardia poi estesa alle altre regioni d'Italia negli anni successivi; - 1877 Legge Coppino sui provvedimenti adottati per assicurare la frequenza scolastica; - 1904 Legge Orlando, sull'estensione dell'obbligo scolastico e provvedimenti per i maestri; - 1911 Legge Daneo-Credaro sull' avocazione della scuola elementare allo Stato. Scorrendo le tematiche affrontate in queste leggi saltano agli occhi alcuni argomenti ricorrenti, considerati nodi problematici da sciogliere.
Le autorità Secondo la Legge Casati, il Ministro della Pubblica istruzione agiva attraverso un Consiglio superiore e tre ispettori generali addetti all'Università, alla scuola secondaria ed alla scuola primaria. In loco, il potere era trasmesso al Rettore per l'Università, al Provveditore per l'istruzione classica e tecnica, all'Ispettore per la scuola elementare. Si aggiungeva un Consiglio Scolastico Provinciale, copia minore del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. La gerarchia così delineata indicava chiaramente una centralità degli indirizzi dati alle scuole in materia di programmi, personale e finanziamenti, in modo particolare per la scuola secondaria e l'Università. L'istruzione elementare, invece, era affidata ai comuni per ciò che riguardava le risorse finanziarie e locali. All'interno del Consiglio Scolastico Provinciale i rappresentanti dell 'istruzione elementare avevano un peso minore. Di contro le figure del Provveditore, che presiedeva il Consiglio, del Vice-Presidente, un ispettore di nomina regia, del Preside del Liceo, del Direttore del Ginnasio e della scuola tecnica, emergevano figure che non erano espressione del mondo scolastico né dell'istruzione popolare, ma membri del mondo politico nominati dalle deputa125
zioni provinciali e comunali. Il governo della destra esprimeva in questo modo la volontà di controllare rigidamente il sistema scolastico italiano, senza dare voce alle richieste di maggior potere decisionale degli esperti e del personale docente nelle province e nei comuni. Anzi, il particolare assetto finanziario della scuola elementare metteva in serie difficoltà le istituzioni locali e i maestri. Questo indirizzo si accentuò ulteriormente con la legge Coppino del 1877: nata con l'intento di garantire una vigilanza più stretta sull' obbligo scolastico, che aveva affidato alla stretta collaborazione del Provveditore e del Prefetto nel Consiglio Scolastico Provinciale, la legge aveva rafforzato il potere e il controllo del Ministro dell 'Interno sui Comuni in materia di prescrizione scolastica. Con l'avocazione dell' istruzione elementare allo Stato, la legge Daneo-Credaro del 1911, i Comuni vennero sollevati dai problemi finanziari più pesanti ed ebbero maggior potere decisionale ed autonomia. Infatti, i Comuni più grandi e quelli che erano riusciti a migliorare le condizioni delle scuole locali, potevano richiedere l'autonomia scolastica ed amministrare direttamente l'istruzione elementare. In realtà, erano pochi i Comuni che potevano permettersi un discorso di autonomia, mentre nella maggioranza dei casi l'istruzione popolare passava allo Stato; il rischio, paventato da molti parlamentari e dalle forze politiche locali, era quello di vedere distaccato il discorso educativo dalle esigenze reali del territorio.
Il problema dei Comuni Fin dal 1859, i Comuni dovettero provvedere a loro spese al primo biennio obbligatorio della scuola elementare e, nei Comuni oltre i 4.000 abitanti o sedi di scuole secondarie, ad un secondo biennio. Ciò significava costruire o recuperare locali scolastici, provvedere agli arredi ed al materiale didattico, pagare gli stipendi ai maestri, loro dipendenti. La legge Casati stabiliva il principio dell'istruzione primaria gratuita, ma metteva i Comuni in una difficile situazione: le non floride condizioni finanziarie dei comuni rurali del Nord Italia e di quelli più popolosi nel Sud, limitavano enormemente il processo di alfabetizzazione. Solo successivamente, nel 1876, vennero approvati aumenti di stipendio per il personale docente dei Comuni con meno di 1000 abitanti e considerati in difficoltà finanziaria; nel 1878, si istituì il Monte Pensioni formato dai contributi di Stato, enti locali e insegnanti. Da questo momento le spese comunali per il personale e la costruzione di edifici scolastici aumentò progressivamente: un provvedimento legislativo del 1878 istituì la possibilità di chiedere prestiti agevolati con la Cassa Depositi e Prestiti per la costruzione di edifici scolastici destinati alla sola scuola elementare obbligatoria, in un primo tempo, e, nel 1888, anche di locali per le classi non obbligatorie. Il primo provvedimento si basava sul principio che i Comuni più piccoli fossero anche i più poveri, cosa vera nelle regioni dell 'Italia settentrionale, ma non nel Sud, dove i contadini si concentravano nei comuni più popolosi; perciò i contributi statali finirono per agevolare il Nord d'Italia. 126
Il secondo provvedimento, quello dei prestiti agevolati, presupponeva la capacità finanziaria di restituire il prestito e, in molti casi, i Comuni che non riuscivano a provvedere alle spese obbligatorie per l'istruzione, erano nell 'impossibilità di contrarre prestiti a buone condizioni. Ancora una volta, furono i Comuni dell 'Italia settentrionale ad essere privilegiati. Il problema venne nuovamente affrontato nel 1906, dopo la legge Orlando. Il Ministro Orlando istituì fondi per il restauro di edifici scolastici, l'istituzione di scuole, asili, corsi serali e per adulti, corsi festivi, l'assistenza scolastica soprattutto nel Mezzogiorno. In seguito fu approvata una legge affinché i Comuni meridionali, colpiti dal terremoto del 1908, potessero accedere a mutui agevolati per la ricostruzione degli edifici scolastici. Secondo un' inchiesta del periodo, tuttavia, il contributo dello Stato era andato ai Comuni che avevano più scuole, cioè maggiori risorse finanziarie da destinare all'istruzione. Con l'avocazione allo Stato dell' istruzione primaria, i Comuni poterono occuparsi di seguire meglio le famiglie sia per ciò che riguardava la vigilanza dell'obbligo, sia per ciò che riguardava l'assistenza scolastica ai nuclei familiari più bisognosi, attraverso l'istituzione dei Patronati Scolastici. Il Patronato Scolastico non sopravvisse però al fascismo, durante il quale perse la sua autonomia e venne gestito dall'Opera Nazionale Balilla. In tutti i Comuni, ma soprattutto nel Nord d'Italia, aumentarono i servizi offerti alla popolazione quali l'istituzione di biblioteche, la creazione delle colonie estive, la fornitura di materiale didattico. L'alfabetizzazione non procedette come si sperava: i tre censimenti del 1861, 1871, 1881 dimostrarono che l'incremento degli alfabetizzati era stato modesto. Le regressione dell' analfabetismo, inoltre, era più veloce al Nord, poiché il Sud e le isole erano partiti da condizioni peggiori di quelle di altre parti d'Italia. Ciò può essere attribuito alla incertezza con cui i governanti italiani affrontarono il problema dell'istruzione primaria, particolarmente deficiente dal punto di vista finanziario, come abbiamo visto, ed alla debolezza del lato legislativo e di quello amministrativo e didattico. L'incremento degli alfabetizzati si fece sentire nei primi decenni del 1900, soprattutto dopo la legge Daneo-Credaro del 1911.
L'obbligo Un ulteriore ostacolo all 'aumento degli alfabetizzati, era costituito dalle difficoltà che le famiglie contadine dovevano affrontare per mandare i propri figli a scuola. Non dobbiamo scordare che nell 'ultimo trentennio del 1800, assistiamo all 'ingresso dell 'Italia nel mercato europeo e internazionale, fenomeno che comportò una forte concorrenza straniera rispetto ai prodotti agricoli nazionali e agli scarsi prodotti industriali italiani. Ne conseguì una processo di trasformazione capitalistica delle campagne, soprattutto al Nord, che colpì sia le forme proprietarie, sia il mercato del lavoro agricolo, con l'impoverimento delle classi contadine ed il passaggio dalla piccola proprietà al bracciantato, ma anche con grosse sacche di disoccupazione ed emigrazione. Sopravvivere a queste condizioni, voleva dire sfruttare tutte le risorse che una famiglia contadina aveva al suo interno: perciò i figli venivano sì mandati a scuola, ma ritirati spesso e volentieri per seguire i lavori in campagna dell 'in127
tero nucleo familiare. Di fronte a questa situazione, i governanti italiani non riuscirono ad attuare una stretta sorveglianza sull' osservanza dell' obbligo e manifestarono una scarsa attenzione ad una legislazione sul lavoro minorile, che doveva essere in sintonia con la legislazione sull' obbligo scolastico. Com'era organizzata la nostra scuola elementare? La scuola elementare era divisa in un corso inferiore ed un corso superiore, entrambi della durata di due anni. Erano previste una classe maschile ed una classe femminile per ogni corso. Solo il primo biennio della scuola elementare era obbligatorio ed era effettivamente insufficiente per insegnare a leggere ed a scrivere a bambini abituati a parlare in dialetto sia in famiglia che fuori. La progettazione della legge Casati era piuttosto debole e, come riportano i ministri chiamati a confrontarsi con gli altri paesi europei su temi didattici e organizzativi, decisamente arretrata e poco affidabile. Cosa importava avere una minima alfabetizzazione, se poi questa non poteva essere spesa nel lavoro e nella vita sociale? Le famiglie non avevano ragione di mantenere i figli a scuola, con grossi sacrifici economici. L'astensionismo era, perciò, molto frequente e l'unico provvedimento per le famiglie inadempienti consisteva nell' esortazione del Sindaco affinché i figli continuassero a frequentare la scuola; la proposta dei parlamentari di adottare pene pecuniarie per risolvere questo problema, sembrava troppo drastica e penalizzante per la classi meno abbienti. La miseria delle famiglie, prima ancora che l'incuria e l'ignoranza, impedivano la regolare iscrizione e frequenza degli alunni. D'altro canto i locali scolastici erano insufficienti ad accogliere tutti gli alunni iscritti, ragione di più perché gli stessi Comuni osservassero una sorveglianza elastica. La legge Coppino istituì l'obbligo del primo biennio della scuola elementare per i bambini dai 6 ai 9 anni e fissò, nonostante le perplessità, le ammende per i genitori inadempienti. Il risultato fu che le somme ricavate, reinvestite nella scuola, andarono naturalmente a coloro che frequentavano regolarmente e, quindi, ai figli delle famiglie più agiate. L'importanza delle legge sta, però, nell' affermazione di principio dell' obbligatorietà e nell 'impegno che si richiedeva allo Stato ed ai Comuni per sviluppare la scuola elementare. I Comuni dovevano compilare gli elenchi dei fanciulli obbligati e i registri di iscrizione tramite i maestri elementari. Al Consiglio Scolastico Provinciale andava il compito di analizzare questi dati informativi e intervenire sull' andamento delle iscrizioni e delle frequenze tramite le figure degli ispettori scolastici. Le informazioni sul numero degli alunni e delle classi di ogni Comune veniva trasmesso al Provveditore agli Studi, che ufficializzava l'elenco dei Comuni in cui vigeva l'obbligatorietà scolastica. Ciò riguardava le scuole statali, quelle private, i corsi serali e festivi, quelli per gli adulti. Nel 1911, il controllo del Regio Provveditore agli Studi si intensificò, ma la situazione dell' istruzione primaria non migliorava. Legare l'istruzione, l' educazione come fattore culturale, alla possibilità di eleggere i propri rappresentanti nelle liste elettorali, avrebbe reso la popolazione partecipe della vita poli128
tica del paese. Nel 1882, la Sinistra emanò una legge secondo la quale potevano essere elettori tutti i cittadini secondo i requisiti d'età (21 anni), di capacità, di censo: la richiesta del censo, il cui tetto minimo era stato abbassato, era alternativo alla licenza della 2a classe elementare. Un progresso era stato fatto, ma anche così venivano esclusi tutti i cittadini analfabeti e quelli che non potevano permettersi un' istruzione. Eliminare il censo come requisito e giungere al suffragio universale, significava riconoscere ai ceti contadini e operai un ruolo sociale e politico all'interno della società italiana, fenomeno che le classi dirigenti italiane non erano ancora pronte ad accettare; solo più tardi, sotto la spinta delle organizzazioni politiche e sindacali, durante il governo Giolitti, si arriverà al riconoscimento del diritto di voto per tutti i cittadini di sesso maschile. In secondo luogo, non era stata stabilita un'età minima per il lavoro minorile che corrispondesse al termine dell' obbligo scolastico: ciò impediva ai figli dei contadini di essere impegnati solo a scuola. La legge Orlando estese l'obbligo scolastico dai 9 ai 12 anni, età minima in cui i bambini potevano iniziare a lavorare. Nel contempo le classi elementari venivano elevate alla VI classe. Il superamento dell' esame di compimento della III elementare dava accesso al diritto di voto. Chi voleva proseguire gli studi avrebbe sostenuto un esame di maturità al termine del IV anno, gli altri avrebbero terminato senz'esame la Vela VI classe del corso cosidetto popolare. La legge istituiva corsi serali e festivi con corsi di scrittura, lettura, aritmetica, insegnamenti tecnico-pratici legati al mondo del lavoro.
I programmi La scuola italiana non diede una spinta culturale all' istruzione popolare. Molto dogmatica e verbalista, era diretta a creare una classe dirigente impregnata di cultura classica, ma distaccata dalle esigenze del territorio, poco attenta alle trasformazioni economiche della società. Gli stessi programmi della scuola elementare risentivano di questa impostazione; essi riguardavano la scrittura, la lettura, le nozioni elementari del sistema metrico, la conoscenza dei fatti salienti della storia italiana. Il metodo didattico era strettamento legato all' esposizione di principi morali, all' inculcamento di valori e ideali (Dio, Patria e Famiglia). Sia i programmi che i metodi, non favorivano la crescita cognitiva e culturale dell' individuo, che avrebbe dovuto avere una buona preparazione di base, finalizzata ad affrontare una società ed un mondo del lavoro in profonda evoluzione. La revisione dei programmi della scuola elementare nel 1888, avvenne sotto la spinta del pensiero positivista e grazie all' opera di alcuni pedagogisti come il Gabelli. La nuova didattica fondava l'insegnamento sull'osservazione per sviluppare la riflessione razionale e portare anche nella scuola elementare lo spirito della scienza sperimentale. Abbracciato dalla parte progressista delle nostre forze politiche, cioè buona parte della Sinistra, il nuovo metodo didattico suscitò l'opposizione delle forze cattoliche e moderate, che temevano di far penetrare l'ateismo nella scuola 129
primaria, ateismo che avrebbe messo in discussione l'autorità e la religione, una base importante della scuola italiana e della nazione intera. I pedagogisti dell'epoca difesero i programmi al di sopra delle parti politiche, sostenendo il valore metodo logico della scelta e affermando che il loro laicismo non era in contrasto con la morale tradizionale. Il ministro Coppino, che approverà la revisione dei programmi, cercherà di conciliare i contrasti dottrinali e trovare una mediazione fra morale laica e morale tradizionale. Il risultato fu una programmazione che non chiudeva la porta alla didattica positivistica, ma che fu molto ammorbidita nella legislazione successi va. Nelle scuole elementari vennero introdotte l'educazione fisica e il lavoro manuale, insieme all'educazione scientifica, per correggere l'impostazione verbalistica e meccanica dell 'istruzione. Il dibattito sui programmi della scuola elementare continuò senza grossi cambiamenti fino al 1905, anno in cui lo Stato si limitò a differenziare l'istruzione pubblica per chi proseguiva gli studi e chi si avviava al mondo del lavoro, introducendo minime modifiche.
La professionalità dell'insegnamento Un altro elemento a sfavore della scuola elementare era la dequalificazione professionale dei maestri: ciò era dovuto al metodo con cui venivano scelti i docenti ed alla loro posizione stipendiale. I maestri delle scuole elementari venivano eletti dal Consiglio comunale, al quale venivano presentati domanda di assunzione e documenti di rito. Fondamentali erano il patentino d'idoneità all'insegnamento nel corso inferiore o nel corso superiore, conseguito presso le Scuole normali esistenti nel territorio provinciale, e l'attestato di moralità rilasciato dal Sindaco del Comune in cui il maestro aveva risieduto per l'ultima volta. Minore importanza era data al servizio prestato presso le scuole. Le elezioni dei maestri venivano approvate dal Consiglio Scolastico Provinciale. Le assunzioni valevano tre anni; al termine del terzo anno il maestro poteva essere confermato per un secondo triennio o anche a vita, ove lo decidesse il Comune. In realtà, non c'era abbastanza personale qualificato, perché esistevano poche Scuole Normali in Italia e molte erano considerate di scarsa qualità e molto costose per lo Stato. Il personale in uscita era abilitato soprattutto per il corso inferiore e pochi maestri potevano insegnare nel corso superiore. Il Comune, che aveva potere decisionale e necessità di personale, assumeva così persone di fiducia, il parroco, religiosi di ordini minori, maestri conosciuti dalla comunità, senza tenere conto dei titoli professionali e accontentandosi dell' attestato di moralità, nei casi più urgenti. Questa confusione nel reclutamento del personale, creava un gruppo di maestri e sotto-maestri che abbassava la professionalità della categoria. Per ciò che riguardava la posizione stipendiale, la legge Casati aveva stabilito le tabelle dei minimi stipendiali, variabili secondo l'agiatezza del Comune. Esistevano scuole urbane e scuole rurali, perciò i maestri urbani e rurali erano pagati in modo differente. Le maestre avevano lo stipendio ridotto di un terzo rispetto agli insegnanti maschi; ai sotto-maestri e alle sotto-maestre veniva corrisposta una somma pari alla metà dello stipendio minimo stabilito. I Comuni provvedevano a queste spese con le rendite derivanti da entrate proprie e dell'imposta comunale ordinaria, destinate all'istruzione primaria. 130
Lo Stato e le Province concorrevano con sussidi ai Comuni più bisognosi per stipendi e spese correnti. La situazione non era rosea per i maestri: alloggiati nei locali soprastanti gli edifici scolastici, in ambienti di fortuna, riuscivano a malapena a pagarsi vitto e alloggio, dato che i Comuni assegnavano di norma il minimo dello stipendio, viste le difficoltà di bilancio. Un altro tasto dolente, era il Monte Pensioni, al quale gli enti pubblici versavano il 2% sopra il minimo stipendiale stabilito; della dotazione del Monte Pensioni facevano parte le somme versate dall' erario statale, ma anche largizioni di enti morali e di privati. Al termine di trent'anni di servizio e cinquantacinque d'età, i maestri facevano richiesta motivata di pensionamento al Consiglio Scolastico Provinciale, tramite il Comune; le numerose cause avviate per veder riconosciuto questo diritto dal Consiglio, dimostrano come anche in questo caso lo status professionale e lavorativo dei maestri non fosse affatto scontato. Solamente con la legge Nasi del 1903, il reclutamento del personale venne regolarizzato tramite concorso pubblico, valutato dal Consiglio Scolastico e, poi, dai Comuni. Nella stessa occasione si riconosceva la parità di trattamento economico fra maestri e maestre, ponendo fine ad una lunga discriminazione. Più tardi, nel 1911, i maestri diventarono dipendenti statali e migliorarono la loro condizione economica. Sarebbero stati pagati dallo Stato, attraverso il Consiglio e i Comuni. Nel caso in cui i Comuni avessero tardato nei pagamenti, il Consiglio avrebbe provveduto direttamente a pagare i maestri. Con questi provvedimenti la figura del maestro aveva ottenuto il riconoscimento del proprio lavoro.
Istruzione primaria a Poviglio: un insuccesso? Questa panoramica dei problemi riscontrati nell 'alfabetizzazione della popolazione italiana aiutano a leggere la situazione locale di Poviglio. Il primo blocco di notizie e anche il più ampio, riguarda gli iscritti, i frequentanti, i promossi e i bocciati delle scuole elementari. I cinque decenni che sono stati considerati vedono un' espansione della scolarità abbastanza completa sul territorio comunale. I corsi elementari vengono aperti prima a Poviglio Borgata e a San Sisto, che fra il 1864 e il 1884 accolgono i fanciulli obbligati: le frazioni di Casalpò e Fodico compaiono sporadicamente con un solo corso, ciascuna nei primi decenni. Successivamente, fra il 1884 e il 1904, sono presenti varie classi a Poviglio, San Sisto, Fodico, Godezza, Casalpò e, solo dal 1908, anche la frazione di Molinara. Proprio quest'ultimo decennio, è significativo per il numero della classi attivate e per la composizione stessa delle classi. Mentre nei primi ventitré anni la classi sono 4 o 5 in tutto, nei vent'anni successivi l'incremento è regolare, anche se modesto, e si raggiungono 17 classi nel 1910. Al contrario, fra 1911 e 1914, in un lasso di tempo brevissimo, il numero della classi aumenta rapidamente, basti pensare che esistono ben 32 classi fra 1908 e 1911 e 46 nel solo anno scolastico 1913-14. Le classi più frequentate sono, naturalmente, la 1a e la 2a del primo biennio obbligatorio ed anche la 3a elementare, primo anno del secondo biennio obbligatorio per i Comuni con popolazione superiore ai 4.000 abitanti. Il secondo biennio obbligatorio completo raggruppa poche classi e pochi alunni, data la 131
frequenza con cui i fanciulli abbandonavano gli studi per lavorare. Le 4e e le 5e elementari vengono aperte solo nei centri più importanti, Poviglio per prima, Fodico e Godezza. Fino a questa data ci troviamo di fronte a gruppi pluriclasse che riunivano l a, 2a, 3a elementare sotto un unico maestro, soprattutto nelle piccole frazioni. Le pluriclassi erano divise in maschili e femminili, come era indicato dalla legge Casati; ogni sezione osservava programmi leggermente diversi, lavori domestici per le femmine, materie scientifiche per i maschi. Dal 1900, le pluriclassi tendono a diminuire, pochissimi i casi di classi miste, a Fodico e Godezza, nel primo ventennio del periodo preso in esame. L'uso della pluriclasse denota un numero basso di iscritti e la necessità per il Comune di utilizzare solo il personale strettamente necessario: l'aumento del numero di alunni per classe, convincerà amministratori e maestri ad adottare le classi singole. La crescita della classi singole avviene secondo l'ordine di importanza delle frazioni e una precisa cadenza cronologica. Dagli inizi del 1900, lentamente, ma progressivamente fino all'anno scolastico 1913-14, ogni località avrà un corso maschile e un corso femminile per ogni singola classe. Fanno eccezione Casalpò e Molinara, che mantengono solo i primi tre anni della scuola elementare, mentre Poviglio Borgata apre due classi 5e, sezione maschile e sezione femminile. A confronto di queste considerazioni, vale la pena di osservare l'andamento delle frequenze sulle iscrizioni ed anche quello degli insuccessi sul totale delle frequenze. Le iscrizioni subiscono un incremento sia alla fine dell 'Ottocento (anni '90) che, principalmente, nel 1900. Seguono questo andamento anche le frequenze, in aumento nell' anno scolastico 1899-1900. Ciononostante, se consideriamo in percentuale il rapporto fra iscrizioni e frequenze secondo un ordine temporale, la media degli alunni effettivamente presenti va dal 53% nell'Ottocento al 55% nel quindicennio 1900-1915. Allo stesso tempo, abbiamo un 29% di insuccessi scolastici sul totale dei presenti, fra Otto e Novecento, che aumenta a 37% nel 1900-1915. Se da un lato assistiamo alla costruzione di nuovi edifici scolqstici, all' espansione delle classi singole, all'aumento delle sezioni maschili e femminili, dall'altro non c'è miglioramento nelle iscrizioni, né un maggior numero di promossi nelle classi. Come possiamo interpretare questa situazione? Senza dubbio si evidenzia un' espansione delle scuole sul territorio, dovuta alle leggi del 1878 e 1888, che permettevano ai Comuni di accedere ai prestiti statale per l'edilizia scolastica, sia per i corsi obbligatori che per le classi non obbligatorie. D'altro canto, la legge Orlando del 1904 e la legge Daneo-Credaro del 1911 hanno influito positivamente sull' andamento dell' obbligatorietà, impegnando i Comuni, lo Stato e le istituzioni scolastiche ad un controllo più severo e costante dei fanciulli in età dell' obbligo. È vero anche, che, oltre ai solleciti ed alle ammende nei confronti delle famiglie inadempienti, non vennero trovati mezzi efficaci per incrementare le iscrizioni e la frequenza. È utile ricordare che, approvare una legislazione più rigida sul lavoro minorile e fissare nel contempo un'età più alta dell'obbligo, sarebbe stato più efficace. Ciò sembra confermato dalla valutazione sui bocciati al termine del compi132
mento di ogni classe: all' interno della categoria non si trovano solo i bocciati, ma moltissimi alunni che hanno abbandonato la scuola per il lavoro. Gli abbandoni scolastici sono frequenti sia per le femmine che per i maschi, che rimangono a scuola durante i mesi invernali, mentre nei mesi primaverili sono impegnati in campagna, come attestano le note individuali sui Registri e le relazioni finali degli insegnanti di Poviglio. La costanza degli abbandoni nel tempo può essere collegata alla situazione di disagio che subirono le famiglie contadine in coincidenza della crisi agraria del decennio 1880-90 e della crisi economica generale del 1880-95; la trasformazione agraria ed il forte movimento migratorio, che si protrasse ben oltre il 1895, influirono sul cambiamento della piccola proprietà contadina della regione emiliana. In Emilia stava infatti iniziando un'epoca di rapida trasformazione capitalistica, segnata dallo sviluppo delle bonifiche e dell'aumento della produzione cerealicola e zootecnica, cosÌ come dalla crescita del proletariato agricolo.
M aschi e femmine La popolazione scolastica delle scuole elementari ammonta a 21.725 alunni fra maschi e femmine nel periodo 1864-1915. Pur tenendo conto della mancanza di registri per tutte le classi presenti sul territorio, consideriamo senza stupore la prevalenza degli alunni maschi sulle alunne femmine: 12.503 maschi contro 9.222 femmine. Dagli anni' 80 dell 'Ottocento, il totale complessivo dei bambini cresce progressivamente, nei primi anni ci troviamo di fronte a 400/500 alunni, che passano a 700/800 negli ultimi anni prima della guerra. Le differenze dei totali per ogni annata, rivelano una diminuzione dei bambini in alcuni periodi, la più significativa in coincidenza della crisi economica di fine secolo ed alle soglie della guerra mondiale. Il rapporto maschi/femmine è abbastanza regolare: dividendo il periodo considerato in quattro fasce, nei primi venticinque anni le femmine sono il 32%, 34% del totale, mentre i maschi ammontano al 68%, 66%. Successivamente si assiste ad un lieve aumento delle femmine (46%, 43%) rispetto ai maschi (54%, 57%), imputabile ad un maggior controllo su obblighi, iscrizioni e frequenze. La popolazione scolastica maschile è maggiore, essa ha molti picchi e ricadute, ravvicinati negli anni '80 e '90 del secolo scorso, mentre si regolarizza maggiormente nel 1900, anche a confronto della popolazione femminile. Le diverse percentuali indicano la minore importanza che veniva data all'istruzione delle bambine, infatti la loro assenza da casa modificava l'equilibrio della famiglia contadina. Le donne, dalla più giovane alla più anziana, secondo la capacità e l'età, venivano chiamate a collaborare al ménage familiare: accudivano i figli, si occupavano del vitto, del vestiario, degli altri lavori domestici, del lavoro nei campi. Nei momenti di maggior bisogno, le bimbe venivano ritirate da scuola per aiutare a casa le madri, impegnate nei lavori agricoli; a maggior ragione i maschi abbandonavano la scuola per seguire le attività lavorative dei genitori sia nel regolare svolgimento dell'anno solare che nei momenti di crisi.
Le famiglie Un aspetto interessante e vivo della lettura dei dati qualitativi è l' osservazio-
ne dei mestieri, delle attività presenti nel mondo del lavoro a Poviglio, la condizione socio-economica delle famiglie, che è regolarmente trascritta sui Registri fra i dati anagrafici degli alunni. La maggioranza delle famiglie gravita sull' agricoltura, direttamente o indirettamente, nelle attività ad essa collegate. Ben 10.016 genitori sono contadini generici ed è la fetta più consistente della popolazione (il 46% sul totale delle famiglie registrate). Seguono gli affittuari (1267), i proprietari (1012), i braccianti (468), i mezzadri (208) e i contadini-proprietari (135). L'area di Poviglio è una zona in cui prevale la figura del contadino, coltivatore diretto, che lavora su un appezzamento di terreno proprio. Alcune figure presenti sul territorio, configurano tuttavia una realtà spuria: contadini che si dichiarano proprietari, contadini-braccianti, contadini-mezzadri e così via. Lo stesso accade per affittuari e proprietari. E da approfondire se si tratti di una realtà in trasformazione o se, semplicemente, i capifamiglia definissero se stessi in modo generico, senza specificare il tipo di patto agrario che li legava, eventualmente, al proprietario vero e proprio della terra. A questi si aggiungono le categorie dei mestieri legati all'agricoltura ed all'allevamento, cascinai (250), mugnai (153), casari, fornai, caciai, bovari. Come si può notare anche dalla tabella relativa, la definizione dei mestieri risente di una certa confusione: si può presumere che gli interessati cercassero di tradurre dal dialetto all'italiano il nome del proprio mestiere, creando una terminologia di dubbia interpretazione. Frequenti altre categorie di attività, i muratori (368), i carrettieri (174), i giornalieri e gli stradini. Nella categoria degli artigiani, troviamo figure molto varie, i falegnami (278), i calzolai (254), i sarti (217), i fabbri (135), i cestai (84), i meccanici (66). Altre figure di un artigianato minore sono ombrellai, orologiai, scopai, seggiolai, stagnini. Nel settore delle vendite e del commercio, troviamo i negozianti generici (306), i mediatori (126), a cui si aggiungono macellai, ortolani, pizzicagnoli, pollivendoli e, nel settore della "ristorazione", gli osti (151). Le categorie degli impiegati e dei professionisti non sono molto affollate: impiegati (48), maestri (39), cancellieri (22), guardie municipali. Pochi i professionisti, dotati di un' istruzione superiore o universitaria: medici (20), avvocati (11) e giudici (2).
La società di Poviglio, fino alla prima guerra mondiale, è una società contadina, che non ha sviluppato ancora un settore industriale, ma vive dell'artigianato al servizio dell' agricoltura e tende a sviluppare il settore edilizio e del commercio.
[l luogo di nascita e la residenza Osservando le diverse località, sede di scuola elementare, e, contemporaneamente, i luoghi di nascita dei bambini iscritti, possiamo notare che il bacino di utenza della nuova scuola non è solo quello delle frazioni del comune, ma si estende anche ad altre zone limitrofe: verso il Po e il confine lombardo e verso Parma, nella stessa direzione. Molte famiglie di piccole frazioni o dei comuni di queste zone si trasferiscono a Poviglio per un naturale movimento migratorio intercomunale. Fra i primi del territorio reggiano troviamo Boretto, Brescello, Gualtieri, Campegine, Ca134
stelnuovo Sotto e, al di là del confine, Viadana. Verso Parma, i paesi di Gattatico, Praticello, Lentigione, Nocetolo, Sant'Ilario. Fra i luoghi di nascita del territorio parmense, troviamo Parma e altri centri come Antognano, Busseto, Collecchio, Colorno, Felino, Fontevivo, Lesignano, Noceto, Ravadese, San Lazzaro, San Pancrazio e San Secondo. Raramente, ma comunque presenti, bambini nati all'estero, in America, fra New York, Buenos Aires ed il Brasile; altri nati in Svizzera ed in Belgio. Siamo di fronte a casi isolati di famiglie di emigranti tornati in patria, se consideriamo che l'ondata migratoria inizia proprio negli ultimi anni del secolo e si arresta temporaneamente con la l a guerra mondiale. Le sedi in cui confluiscono gli alunni provenienti dai comuni limitrofi sono principalmente Poviglio, San Sisto e Fodico. Le scuole di Poviglio attraggono i residenti della zona centrale e dell' area fra il centro e la frazione di Fodico e Godezza da un lato, fra il centro e Casalpò dall'altro. Numerose le vie nominate: via Burra, via Cantone, Casa Gialdi, via Casalpò, via Circondario, via per Fodico, Fossa marza, via Grande, via per Godezza, via Molinara, via Noce, Sant' Anna e via Pilota. Come mai questa grossa affluenza a Poviglio? E' interessante leggere una relazione del 1877 scritta dal Sovrintendente scolastico e inviata ai consiglieri comunali di Poviglio. Nella relazione, il Sovrintendente lamenta il fatto che i genitori iscrivano i propri figli nelle scuole di Poviglio, contestando la competenza dei maestri nelle frazioni. Di conseguenza, mentre in Borgata le classi erano numerosissime, nelle ville gli alunni scarseggiavano. L'abitudine ad iscrivere i bimbi nelle scuole dove i maestri erano conosciuti e di diffidare dei nuovi assunti, creava grosse difficoltà di gestione delle classi: il Sovrintendente consigliava il Comune di limitare la libertà dei genitori di iscrivere i propri figli dove meglio credevano. Negli altri casi, l'affluenza è regolare: San Sisto raccoglie gli alunni delle aree di Enzola, via Argine Mola (sui confini fra Brescello e Gattatico), via Maestra, via Motta, via Poggio e via Polina. Fodico attrae i nuclei abitativi di Casa Gialdi, via per Molinara, ma anche Poviglio e Sant' Anna. Godezza accoglie gli abitanti della frazione e di via Noce o Strada Gruara, via Cervaro letta, San Sisto e via Radice. Diversa la situazione di Casalpò: la scuola iscrive bambini provenienti da Enzola e Godezza, insieme ad una piccola porzione di alunni provenienti da San Sisto. A Molinara confluiscono, oltre gli alunni della villa, una parte di bambini di Sant' Anna e Godezza.
La scolarizzazione delle frazioni Le prime sedi delle scuole elementari sono a Poviglio e San Sisto, i cui Registri scolastici sono presenti già nel 1864-65: di queste scuole compaiono solo alcuni registri, poichè le classi erano più numerose, come risulta dalle relazioni degli ispettori scolastici e dalle relazioni dei consiglieri comunali. Per le altre frazioni, bisogna aspettare gli anni successivi. La scuola di Fodico appare con regolarità nel 1876-77, quella di Godezza nel 1884-85, ultime quelle di Casalpò nel 1897-98 e quella di Molinara nel 1909-1910. Per queste ultime ville, troviamo notizie nelle carte dell' Archivio comunale: 135
1'istituzione di una scuola mista a Casalpò viene richiesta già nel 1889, in una lettera sottoscritta dal parroco e dai parrocchiani, indirizzata al Sindaco del comune. In questa lettera si apprende che, nel passato, la scuola elementare esisteva già nella frazione, poi era stata abolita per il basso numero di iscritti. Riunendo gli alunni di Casalpò e di Enzola, dicono gli abitanti della frazione, si sarebbe raggiunto il numero necessario ad aprire la scuola, alleggerendo così le classi numerosissime di Poviglio e San Sisto. Ciò avrebbe permesso agli alunni di percorrere distanze minori e frequentare regolarmente la scuola. In una relazione finale per l'anno scolastico 1907-08 firmata dal Direttore didattico, si parla dell 'istituzione della scuola mista di Molinara, che avrebbe raccolto gli alunni della frazione insieme a quelli allora iscritti a Fodico e Poviglio. Da queste ed altre lettere, è evidente che il Comune di Poviglio, come altri comuni d'Italia, aveva privilegiato le frazioni più importanti ed il centro, con l'intento di risparmiare sul personale e sulla costruzione di nuovi edifici: ciò aveva creato difficoltà didattiche e disciplinari ai maestri e reso difficile lo svolgimento regolare della programmazione. Le classi della Borgata, di Fodico e di San Sisto sono le più popolose. Nell'arco del cinquantennio gli alunni a Poviglio sono 9.282, a San Sisto 5.132, 3.857 a Fodico e a Godezza 2.154. Durante le singole annate, a partire dagli anni' 80, le scuole sono frequentate in media da 260 alunni a Poviglio, 130 a San Sisto e Fodico, 84 a Godezza.
Classi e fasce d'età Come già si è detto nel capitolo su iscrizioni e frequenze, le classi più numerose e presenti già dagli inizi dell' Ottocento sono le classi del primo biennio obbligatorio e le pluriclassi che comprendevano anche il terzo anno del corso elementare. Complessivamente le le raggiungono la cifra di 4.440 alunni, le 2e di 1.851 alunni, le 3e di 1.433; le pluriclassi 1a, 2a, 3a hanno 2.728 alunni, le 1e, 2e, 3e, 4e hanno 6.812 bambini dagli anni '90; le 4e classi elementari, 1.749. Le pluriclassi sono presenti e più numerose nelle frazioni minori e nei primi anni del periodo preso in esame, mentre le singole classi tendono a crescere di numero con il passare del tempo e sono più frequenti nella Borgata e nelle frazioni più grandi. Da un verbale del Consiglio comunale degli anni '70, veniamo a conoscenza del fatto che a Poviglio Borgata le classi erano frequentate da 70-80 bambini, numero che successivamente arrivò anche a 90 e 100. Si comprendono bene le difficoltà di insegnamento lamentate dai maestri nelle loro relazioni finali e le critiche degli stessi ispettori scolastici. Si sovrapponeva un altro problema. La differenza di età fra alunni complicava il lavoro dei maestri: nei primi anni del secolo scorso, infatti, sono molto consistenti le fasce di età fra i 9 e i 12 anni, ma parecchi alunni ali 'interno del primo corso obbligatorio, hanno anche 15 e 16 anni. Più si va avanti nel tempo, più le fasce d'età corrispondono agli anni giusti del corso elementare, che prevedeva l'obbligo fino ai 12 anni. Dal 1900 in poi, i gruppi di alunni più numerosi sono quelli fra i 6 e gli Il anni. Nel verbale degli anni '70, il Sindaco proponeva la suddivisione delle classi e l'assunzione di più maestri sia con la [36
patente d'insegnamento di grado inferiore che con quella di grado superiore, il che avrebbe garantito maggior agilità e qualità nella scuole; questo progetto si scontrò con le difficoltà finanziarie dell' amministrazione per pagare il personale aggiunto e con lo scarso numero dei maestri abilitati all 'insegnamento nel grado superiore; gli interventi si limitarono, perciò, a Poviglio Borgata. La suddivisione delle classi numerose fu un problema molto sentito che ritorna spesso nei documenti ufficiali del Sindaco e dei consiglieri da un Iato, dei direttori didattici dall' altro. La soluzione venne più tardi nel tempo con l'avocazione deIIa scuola elementare allo Stato. II sovraccarico degli alunni e il rallentamento dei programmi, era aggravato dal mantenimento delle sezioni maschili e femminili, specialmente nelle frazioni di Fodico, Godezza e San Sisto. Fu sempre più frequente istituire classi promiscue in modo che il maestro potesse seguire non tre classi per volta, ma due o una sola: ad esempio, solo la l a, sempre molto numerosa, o la 2a e la 3a, meno numerose. Così, il numero degli alunni per insegnante sarebbe diminuito e non ci sarebbe stato bisogno di personale aggiunto. Da una relazione sui dati statistici relativi agli edifici scolastici del 1912, inviata dai maestri al Direttore didattico, emergono le condizioni dei locali: le aule a disposizione per le lezioni erano davvero poche, in genere due per la sezione maschile e per la sezione femminile, ciascuna delle quali veniva usata per le tre classi l a, 2a, 3a. Le aule erano poco illuminate, poco riscaldate d'inverno e molto calde nell'estate. Gli arredi erano inadeguati per i bambini, il materiale didattico scarso: una scuola decisamente poco curata. Oltre alla suddivisione delle classi, all'istituzione delle classi promiscue, si cercò di risolvere il problema del numero di alunni per classe, adottando il sistema delle classi alternate con orario a 4 o a 6 ore, nelle ore antimeridiane e pomeridiane. II dato quantitativo rimane piuttosto arido se non viene calato nella storia locale e correlato al quadro più ampio della storia dell'istruzione e della storia nazionale. A questo riguardo è molto importante poter accedere al materiale presente nell'Archivio comunale di Poviglio per affrontare una ricerca sulla scuola elementare del territorio. Nello sfogliare le carteIIe della categoria "Istruzione Pubblica", sono emerse tematiche molto varie, ma tutte collegate agli argomenti affrontati e che meriterebbero una trattazione più attenta: basti pensare alla storia deIIa costruzione degli edifici scolastici, ai rapporti fra istituzioni scolastiche ed enti locali, alla documentazione sul personale docente. Altrettanto interessante il discorso sui programmi, le prove d'esame, insomma l'impostazione culturale deIIa scuola italiana, ricavabile sia dai documenti d'archivio che dai verbali d'esame presenti nelle cartelle dei Registri scolastici.
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Bibliografia minima A. Semeraro, Il sistema scolastico italiano, 1996 Nuova Italia Scientifica; G. Canestri-G. Ricuperati, La scuola italiana in Italia dalla Legge Casati ad oggi, 1976 Loscher Editore; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, voI. VI, 1977 Feltrinelli; A. Zambonelli, Poviglio storia di lotte, 1978 Comitato povigliese per le celebrazioni della Resistenza; S. Gabbi, Poviglio storia e cronaca, Docu mentazione Registri scolastici e Categoria IX, Titolo 13 "Istruzione Pubblica", Archivio comunale di Poviglio.
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Patrick Le Guirriec Comunismo locale, Resistenza e Partito Comunista Francese. I tre elementi del potere in un comune bretone a cura di MARCO FINCARDI Nel continuare la r(flessione sui diversi aspetti della guerra di liberazione e sulle sue memorie, proponiamo la lettura di un non recente studio bretone, che ci pare possa offrire efficaci spunti di r(flessione. Presentiamo qui la traduzione di uno scritto di una quindicina di anni fa: Patrick Le Guirriec, Communisme loeal, Résistanee et PCF, apparso in "Études rurales", janvier-juin 1986, n. 101-102, pp. 219-230. La rivista, edita dall' École des hautes Études en sciences sociales, studia le campagne dal punto di vista storico, sociologico ed economico. Nel caso specifico, si tratta di un numero monografico intitolato "L'État en perspective", che prende in considerazione diverse casistiche di rapporti tra comunità rurali e stato. L'articolo è tratto dalla comunicazione presentata a un convegno sulla Resistenza (promosso dall' ARF) a M ontpellier nel 1983. È la sintesi di un studio realizzato nell' ambito di una tesi di terzo ciclo, discussa all' Università di Nanterre nel dicembre 1984, intitolata: Paysans, parents, partisans. L' ordre soeial dans une eommune bretonne. La Bretagna, paese fortemente tradizionalista e cattolico, presenta pure delle piccole enclaves laiche e minuscole ma agguerrite isole rosse, che ne variano il panorama politico e creano conflitti culturali tra le diverse aree della regione. La storiografia francese dispone, per questa come per altre regioni, di una tradizione pluridecennale di studi monografici, in particolare di voluminose e succose tesi di dottorato, che hanno fatto dell' interpretazione delle diversità regionali una fondamentale chiave di lettura, che arriva anche a spiegare diverse propensioni politiche e tipici movimenti collettivi che caratterizzano i diversi territori all'interno della Francia e di sue singole regioni. Ai pionieristici studi di Ernest Labrousse, o - proprio per il NordOvest a cui appartiene la Bretagna - di André Siegfried e di Paul Bois, ormai superati dalla storiografia degli ultimi decenni, si sono sistematicamente aggiunte monografie di elevato valore scientifico, che rendono conto - in termini strutturali e anche nel dettaglio - delle crisi e trasformazioni della società in specifiche aree l • Non siamo qui alla ricerca di analogie tra la resistenza comunista bretone e quella di altre regioni rurali, come l'Emilia. Certo, la situazione dell' Italia o di una regione come l'Emilia presenta differenze veramente notevoli di tradizioni e situazioni contingenti, anche fermandosi solo alla visione dall'alto di un paesaggio e di insediamenti umani completamente diversi, o all' ovvia immediata considerazione che la Resistenza non si sviluppa in 140
Francia dopo oltre due decenni di fascismo (come avviene invece in Italia, dove prima della dittatura c'erano stati due anni di terrore nero, con una generalizzata e violentissima resa dei conti dell' élite sociale contro l'associazionismo popolare, seguita nel tempo da migliaia di condanne del Tribunale speciale ad antifascisti emiliani), e ciò ha condizionato decisamente anche il conflitto sociale, o lo scontro armato coi collaborazionisti. Anche il rapporto tra società contadina e proprietà fondiaria pare difficilmente raffrontabile. Per noi, l'utilità comparativa di uno studio come quello di Le Guirriec sta innanzitutto nel cogliere specificità e differenze, rispetto all' Emilia; non le somiglianze, che possono essere superficiali o illusorie. Detto questo, la problematica abbozzata da questo giovane studioso ha un interesse eccezionale per una regione come l'Emilia, dove il radicalismo democratico rurale e la sua conversione al comunismo hanno ben altre dimensioni che in Bretagna, dove invece il movimento comunista si è radicato solo in un numero limitato di comuni, in una regione che forse come nessun' altra in Europa è assurta a baluardo del tradizionalismo più energico e di un inossidabile cattolicesimo conservatore. Ma anche un qualsiasi raffronto tra il modo generale di approcciarsi alla guerra partigiana tra il nostro paese e la Francia può essere interessante. Innanzitutto perché dai francesi, generalmente, la Liberazione e la successiva epurazione vengono considerate a pieno titolo due importanti capitoli della storia civile nazionale, senza continui e insidiosi tentativi delle forze politiche - come avviene in Italia, fin dal dopoguerra - di sminuirne la rilevanza e le motivazioni etiche, per scopi strumentali che rispondono solamente a scontri interni al sistema dei partiti. Inoltre, un simile approccio alla guerra partigiana e alla sua memoria ha per noi un aspetto interessante e inconsueto: studia la società e i suoi più diffusi meccanismi di potere; non gli organigrammi e le ideologie di vecchie e nuove élites, chiodo fisso della tradizione storiografica italiana. E la riflessione non si limita alla congiuntura dell' occupazione nazista, ma spazia decisamente sui tempi lunghi in cui si dipanano le strategie popolari di democratizzazione della società; in particolare l'emancipazione dalla soggezione alla proprietà terriera e ai notabili di paese. Nella narrazione collettiva sta la forza che permette di legittimare degli equilibri sociali che sono stati modificati da una radicale mobilitazione popolare. E questa narrazione continua a sostenere determinati equilibri, anche quando - col succedersi di diverse generazioni, un certo uso pubblico della memoria diviene difficile da gestire e va perdendo efficacia, perché i soggetti in campo si sono offuscati, o hanno modificato il loro essere sociale, o riescono loro meno immediati l'identificazione e il collegamento con determinate forze politiche. La difficoltà che in Italia ancora abbiamo nel mettere a fuoco le componenti di scontro sociale che - ha giustamente sottolineato Claudio Pavone 2 - sono state una fondamentale componente della guerra di liberazione, possono senza dubbio giovarsi di questi approcci alla tematica che c'interessa, propri della storia sociale, che vediamo utilizzati abitualmente Oltralpe. La ricerca di Guirriec non era ispirata da revisionismi, nemmeno da quelle riflessioni etiche e non strumentali sulla Resistenza di Tzvetan Todorov, che solo negli anni successivi hanno influenzato il dibattito francese e anche europeo sulla Resistenza. Le considerazioni di questo studioso bretone, allora 141
appena laureato, rimandano piuttosto a una logica tutta antropologica di decostruzione e interpretazione delle leggende e della memoria comunitaria, attraverso l'analisi delle strutture sociali. Suoi problemi essenziali sono le preclusioni imbarazzate o il sostanziale disinteresse verso la storia riscontrati nei soggetti socio-politici da lui studiati, che pure affermano di fondare su decisivi eventi del passato i propri valori. Questa ricerca di taglio antropologico non porta a svalutare le conoscenze storiche, ma semmai incentiva ad approfondirle, anche attraverso un' accorta distinzione tra storia e memoria: entrambi settori da indagare con le diverse e appropriate metodologie. Persino in un contesto regionale dove all' epoca erano forti le spinte del movimento autonomista bretone, l'autore non svaluta il carattere nazionale o patriottico della Resistenza, ma lo inserisce opportunamente in una lunga durata delle relazioni di potere comunitarie, e in una necessaria (e ancora oggi pochissimo indagata) dialettica tra il piano locale e quello nazionale 3 . Se poi l'autore fissa la propria attenzione su due distinte memorie comuniste della guerra partigiana, non ne fa comunque un problema tipico ed esclusivo di ambienti comunisti. Non esclude, in sostanza, che il fenomeno indagato si ripresenti, magari in forme analoghe, in zone dove i partigiani siano stati piuttosto influenzati dai gaullisti, o comunque ideologicamente orientati in modo diverso, oppure in ambienti - cattolici o laici - dove i sentimenti comunitari si siano mantenuti diffidenti verso la Resistenza. Utile anche il suo modello antropologico della microstoria applicato a uno studio sui partigiani, sulle loro mitologie identitarie, sulle loro memorie; così diverso - metodologicamente e anche nei risultati conseguibili - dalla storiografia localistica cui siamo abituati in Italia, che raramente va oltre una genealogia agiografica dei partiti popolari e a una ricostruzione sommaria della loro ascesa al potere municipale, dall' unità nazionale al secondo dopoguerra. Certo, non si tratta di uno studio approfondito, e non necessariamente certi concetti possono essere generalizzabili, o applicati con efficacia in situazioni diverse. Ma risulta subito evidente che mettere alla prova questi concetti in situazioni differenti è una riflessione creativa, di carattere scientifico, che può aiutare molti a chiarire le idee su guerra e dopoguerra. Una pratica di ricerca ben più proficua di certi strumentali quanto deprimenti processi ideologici alla storia e ai suoi protagonisti, a cui in quest' ultimo decennio ci è toccato - purtroppo - assistere frequentemente. 1. La più recente e qualificata tra le monografie sulla Bretagna (che in diverse occasioni si occupa anche della Scrignac rossa studiata da Le Guirriec) è opera di uno tra i più autorevoli storici cattolici: Michel Lagrée, Religion et cultures en Bretagne (1850-1950), Paris, Fayard, 1992. 2. Claudio Pavone, Una guerra civile, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991, pp. 313-412; cfr. Guido Crainz, Padania, Roma, Donzelli, 1994, pp. 217-246; Mirco Dondi, La lunga liberazione, Roma, Editori Riuniti, 1999, pp. 147-162. 3. Su questa articolazione tra spazio politico locale e nazionale, in Italia, è stato uno tra i più acuti studiosi delle culture politiche popolari ad avanzare delle interessanti riflessioni: Danilo Montaldi, Militanti politici di base, Torino, Einaudi, 1971, pp. XIV-XVI.
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Scrignac A Scrignac, l'acutezza del!' opposizione tra destra e sinistra, i riferimenti costanti ai partiti, l'importanza riservata al discutere di politica, che trovano il loro posto in tutti gli aspetti della vita quotidiana, lasciano pensare che questo comune rurale del Centro-Finisterre sia perfettamente integrato nel tessuto politico nazionale. La presenza del Partito comunista francese (PCF), a cui dal 1945 appartengono tutti i consiglieri comunali I, sembra confermare questa prima impressione. Tuttavia, un'osservazione più raffinata fa emergere un profondo attaccamento dei comunisti alle radici storiche del loro potere e rivela di conseguenza un'inadeguatezza tra le sollecitazioni nazionali ed internazionali del Partito ed i legami essenzialmente locali dei suoi simpatizzanti. Questa contraddizione si manifesta, nell' esercizio del potere municipale, in un conflitto latente tra i rappresentanti dei due modi - coabitanti - di intendere l'essere comunisti: il sindaco ed il segretario di sezione. Per cogliere l'ambiguità delle loro relazioni, conviene analizzare i fondamenti di legittimità del potere comunista in questo paese e di metterne allo scoperto le articolazioni e allo stesso tempo le incompatibilità col comunismo ortodosso. Tali sono le questioni a cui tenteremo di rispondere, e i limiti posti a questo articolo, centrato sulle relazioni tra un partito politico, che rappresenta la società inglobante, e i suoi militanti, la cui l'identità politica risponde invece a logiche peculiari.
Gli effetti della Resistenza dal gruppo sociale al partito politico Scrignac, che non appartiene propriamente a nessuno dei paesi che costituiscono la Bretagna, si inserisce tuttavia in un territorio nettamente delimitato al Nord dal Léon clericale ed al Sud dalla Cornovaglia moderata; meno nettamente a Est e a Ovest, dove si prolunga la catena dei Monti di Arrée, alle estremità della quale si smorza progressivamente il radicalismo politico. I comuni della Montagna - in tutto una ventina - sono fortemente caratterizzati. Distanti dalle principali vie di comunicazione, immersi negli arcaismi, vi si manifestano comportamenti anomali, riportati nella letteratura orale. Formano un territorio che si fa notare, la cui rudezza e austerità sono evocate spesso: "Laggiù sono dei duri". Nel 1913, André Siegfried sintetizzava in questi termini i caratteri della vita politica in questa regione della Bretagna: «Assenza di influenza nobile e clericale, uguaglianza dei piccoli proprietari indipendenti, giusto sufficientemente proprietari per non essere collettivisti, ma abbastanza modesti, abbastanza dipendenti dal loro lavoro per tendere sempre verso ciò che la democrazia offre loro di più avanzato»2. Questa emancipazione e l'attaccamento dei piccoli coltivatori ad un' ideologia profondamente egualitaria favoriscono di conseguenza l'insediamento di un potere comunista che appare come il risultato di un lungo processo storico, le cui tappe sono state tanto più violente, quanto rilevante era la disuguaglianza tra i proprietari terrieri - nobili, poi borghesi sostenuti dal clero - e la plebe rurale. Tuttavia, in questo territorio tradizionalmente di sinistra, il comunismo si è radicato con forza solamente nei quattro comuni situati all'est dei Monti di Arrée: Huelgoat, Berrien, Scrignac e Bolazec. 143
Le rivolte contadine che sporadicamente scuotono le campagne francesi, a partire dal XVII secolo, non risparmiano la Bretagna e toccano principalmente il Centro-Finisterre, dove nasce la rivolta dei Berretti Rossi nel 1675. La Rivoluzione permetterà agli abitanti di Scrignac di essere liberati del! 'influenza dei nobili che - coi preti refrattari, che rifiutano la costituzione - saranno incarcerati tra 1792 e 1793, in seguito a moti di rivolta da essi scatenati. Ma è solamente un secolo più tardi che il sistema di potere dei grossi proprietari terrieri sarà scardinato. Nel 1870, un piccolo proprietario che non nasconde il suo attaccamento alla Repubblica catalizza le rivendicazioni dei fittavoli e, facendo la sua propaganda elettorale in bretone, permette ai contadini monolingui di prendere parte al dibattito politico. Eletto nel 1878 al consiglio comunale assieme a parecchi altri fittavoli, cercherà di emanciparsi dal potere clericale e, sebbene alla sua morte nel 1886 i proprietari riprendano il municipio, il conflitto tra le municipalità e la fabbriceria si protrae: ordinanze municipali vietano le questue; la vendita di parecchie cappelle di frazione irrita tanto più il clero dal momento che i proventi ricavati sono impiegati nella creazione di due scuole laiche; nel 1910, l'aumento della pigione per la canonica porta il vescovo a chiedere la partenza dei preti, che ritorneranno solamente quattro mesi più tardi. Questa battaglia anticlericale - ma non si trattava più solamente di ciò - raggiunge il suo parossismo e trova il suo termine definitivo nel 1943, quando don Perrot, accusato di aver denunciato dei membri della Resistenza, è ammazzat0 3 • Peraltro, se l'influenza del partito comunista si sviluppa negli anni venti, diffondendosi tra i cavatori di granito del capoluogo di cantone, è solamente alla Liberazione che le strutture del Partito si insediano a Scrignac, dove, nella cornice della Resistenza, si è affermata una dimensione politica del conflitto preesistente tra Piccoli e Grossi4 e, come nota J. Touchard, «per qualcuno che aveva scoperto la politica all'epoca della Resistenza, era normale, nel 1944-1945, sentirsi vicino al partito comunista, piuttosto che a quell 'universo della SFIO che sembrava essersi conservata integra dalla fine del XIX secolo»'. La guerra ha provocato un' accelerazione dell' evoluzione politica. Scrignac è passata direttamente dal radical-socialismo del 1935 al comunismo di dieci anni più tardi, senza essere stata socialista. Sono tuttavia dai socialisti di anteguelTa che si sono reclutati i primi resistenti, e il comunismo ne è direttamente generato; mentre i socialisti del 1945 erano radicali prima della guerra. Se il comunismo si evidenzia come risultato logico di un processo storico, sembra che la Resistenza abbia giocato un ruolo essenziale, intensificando il radicalismo politico e rafforzando l'insediamento del partito comunista in questo cantone. Tuttavia, in diciotto mesi di mia presenza in questo comune, non sono mai riuscito ad ottenere notizie dettagliate su questo periodo della storia, di cui determinate persone mi hanno fatto tuttavia un racconto di questo genere: «Per sfuggire al STO e soprattutto per combattere i nazisti, numerose persone sono entrate nella Resistenza. I resistenti si reclutavano tra i Poveri del comune, mentre i Signori, i Grossi continuavano a lavorare nei loro poderi e collaboravano coi tedeschi. La liberazione del paese si deve ai patrioti, che senza tregua hanno reso la vita dura a tedeschi e collaborazionisti». I non-resistenti, in compenso, esibiscono la loro versione, o per anticomunismo, o perché ritengono che il potere attuale acquistato grazie al 144
movimento di resistenza è un'impostura. Negano beninteso il contenuto del racconto e non parlano certo di patrioti e di eroi, ma di terroristi e di banditi a fianco dei quali avevano rifiutato di combattere. Non si sarebbe trattato di azioni contro i tedeschi, ma di saccheggi e di rappresaglia a danno dei grossi proprietari. Una sera, durante il pasto, chiedo a lean le B. se ha fatto la Resistenza. Lui continua a mangiare la sua minestra e non insisto. Alcuni istanti più tardi, solleva la testa, mi guarda cogli occhi pieni di lacrime e mi racconta: «Una notte, mentre Gisèle e io eravamo coricati, tre uomini sono entrati nella camera. Avevano un foulard sul volto e due di essi che non ho riconosciuto spianavano su di noi una pistola e volevano che dessi loro i miei stivali. Il terzo era restato nell' ombra e aveva ridacchiato; il suo riso l 'ho riconosciuto. Quando penso che ancora oggi bisogna vivere accanto a queste persone - aggiunse, mostrando la direzione di una casa del villaggio - mai avrei voluto battermi al loro fianco». lean si ricordava ancora l'umiliazione che aveva subito quarant'anni prima, durante la notte in cui era stato trattato da nemico e ridicolizzato dal suo vicino. Suo padre era pure consigliere comunale radical-socialista prima della guerra, ma lui aveva sposato una ragazza proveniente da una famiglia di grandi proprietari, e ciò bastava agli occhi dei resistenti a renderlo sospetto. Si vede allora come i Poveri hanno tratto vantaggio dal movimento di resistenza, sebbene questa non fosse una finalità dichiarata, per liberarsi dell'antica oppressione che subivano da parte dei Signori. Non tutti hanno partecipato assiduamente alla Resistenza, ma nessun grosso proprietario o commerciante ha combattuto alloro fianco nei partigianifranc-tireurs (FTP), e solamente nel 1943-1944 questi sono entrati nei FFI. L'antagonismo tra i piccoli fittavoli ed i proprietari era troppo forte perché questi due gruppi potessero dividere una stessa causa e dunque battersi insieme. In più, a questi due gruppi corrispondono oggi due differenti interpretazioni dei fatti storici. L'assenza di documenti su questo periodo ed il silenzio degli anziani resistenti c'impedisce di ricostituire la storia locale della Resistenza e di ridefinire gli assetti vissuti della società di allora. Un' analisi più precisa dei suoi schemi mentali, che possono corrispondere al campo del mito e della religione 6 , sembra allora permetterci di individuare i fondamenti dell'organizzazione politica attuale in questo comune. Difatti, quando Lévi-Strauss insiste a interrogarsi sull'appartenenza agli ordini concepiti della ideologia politica delle società contemporanee, ci mostra la direzione da seguire, perché si trova nel racconto della Resistenza un certo numero di analogie coi miti originari da lui studiati. Difatti, la relazione che in questo comune si è stabilita tra i contenuti del racconto e la divisione attuale del potere tra i gruppi socio-economici, e in più il riferimento costante alla Resistenza nella definizione ideologica e politica di ogni individuo, ci porta necessariamente a veder~ in questo racconto qualcos' altro che una semplice narrazione di fatti. E solamente dandogli tutta la dimensione di un mito che se ne può cogliere l'interesse, come elemento di comprensione dell'attuale organizzazione politica. È perciò essenziale escludere le connotazioni negative che si danno alla parola mito nel linguaggio consueto, per restituirgli integralmente il suo senso. Si tratta allora di utilizzare, per l'analisi della narrazione della Resistenza, un concetto elaborato dall'etnologia delle società esotiche, ma che può avere ben più 145
ampie applicazioni. Per Malinowski, la principale funzione del mito è di raccontare come una realtà è giunta a esistere. Non bisogna cercare di ricostituire la realtà storica a partire dal racconto mitico, e Malinowski precisa: «l miti servono a coprire certe discordanze create da eventi storici, piuttosto che a registrare esattamente questi eventi»7. Nel mito si trova pure una giustificazione della gerarchia sociale: «La causa storica del mito è interessante, poiché in quell'aspetto, preso come un tutto, tale mito non può essere una sobria storia spassionata, siccome è sempre elaborato ad hoc per assolvere una determinata funzione sociologica, di glorificare un determinato gruppo, o di giustificare una condizione sociale anomala»8. Si può notare infine che in tutto il corso della sua analisi, Malinowski insiste sulla sacralità del mito dove si evolvono non degli uomini, ma degli eroi, e nota: «La terza classe di storie (cioè i miti) è presa in considerazione non soltanto come vera, ma come venerabile e sacra, e vi assume un notevole rilievo»9. Non si può pretendere che in questo comune rurale la dimensione del mito possieda la stessa forza e la stessa estensione che nella società melanesiana studiata da questo antropologo. Tuttavia, se si accetta di applicare alla narrazione della Resistenza quella che sembra fondare l'unanimità tra la popolazione comunista - un certo numero di criteri d'analisi dei miti delle origini, vi si possono individuare i fondamenti strutturali dell' organizzazione politica e particolarmente la spiegazione della perpetuazione del potere comunista, plebiscitato alle elezioni municipali da 1945 dal 70% degli elettori. La narrazione della Resistenza si distingue per il suo essere asciutta, esprimendo essenzialmente l'opposizione tra Signori e Poveri. Ciò ci spinge a rievocare i miti di origine totemica, di cui Lévi-Strauss dice: «La povertà dei miti totemici deriva dal fatto che ciascuno ha esclusivamente per funzione di fondare una differenza come differenza»lo. Una caratteristica che non è riservata unicamente ai miti totemici. In particolare, ogni richiesta di notizie complementari, a Scrignac, cozza con un rifiuto sistematico, tanto che pare impossibile trovare degli informatori capaci di parlare della Resistenza per qualche ora. Il sindaco, presso cui ho lavorato per ben sei mesi, ci teneva a farmi incontrare un partigiano, ma il proposito non ha mai trovato attuazione. Il sindaco stesso, che aveva appena 16 anni alla Liberazione, come le altre persone della sua età non possedeva che poche notizie sommarie su quel periodo. Infine, quando i ragazzi chiedono ai più anziani dei chiarimenti su questo argomento, si risponde loro immancabilmente: «Lo imparerete più avanti». Sembra che il carattere superficiale del racconto ed il rifiuto di approfondirlo permetta ai testimoni di questa storia di passare sotto silenzio un certo numero di errori che sono stati inevitabilmente commessi, in conseguenza della natura stessa del movimento, e il cui riconoscimento rischierebbe di rendere il potere locale vulnerabile, mettendone a rischio l'integrità. Per quanto riguarda la generazione dell' attuale ceto politico, che conosce poco quell'epoca, essa si pregia di discendere da quei patrioti. La narrazione la valorizza, giustificando pienamente il potere che detiene. La fede che ha in questo racconto e l'impedimento morale che prova a rimetterlo in discussione gli dà la certezza che esso è veritiero e che la superiorità politica dei Poveri sui Signori è pienamente legittimata dallo svolgimento degli avve146
nimenti anteriori. Si nota che i comunisti, in primo luogo il partito, ricordano durante certi rituali il loro ruolo determinante nella Resistenza. Quando, nel 1982, il Monumento ai Caduti è stato distrutto da una carica di plastico l l in risposta alla distruzione, alcuni giorni prima, della croce dove era caduto l'Abate Perrot, gli abitanti di Scrignac ed i rappresentanti dei differenti gruppi di resistenti della regione sono sfilati dietro l'unica bandierina della manifestazione: Partito comunista Francese - Sezione di Scrignac. Il ricordo, ravvivato da questa occasione, ha permesso di commemorare la lotta che, nel racconto, ha opposto i Poveri ai Signori, i resistenti ai collaborazionisti. Questi ultimi, e non i tedeschi, erano,designati come i soli nemici, nei discorsi che sono seguiti, dove si è sentito: «E tempo di distruggere il mito di Perrot l2 , santo e difensore della Bretagna, di eliminare i Mordrel l3 e altri delinquenti». Questa manifestazione, vero rito celebrativo, ricorda che il merito di avere combattuto l'occupazione tedesca spetta ai piccoli coltivatori, che in seguito hanno aderito al partito; e che il loro detenere il potere si fonda sulla passata dimostrazione delle loro qualità morali. Invece, i grossi proprietari e certi commercianti, solidali all'abate Perrot, sono caduti in disgrazia malgrado la loro entrata tardiva nei FFI. La loro candidatura alle elezioni municipali irrita i comunisti, che trovano questa opposizione inopportuna, perché il loro potere è il solo storicamente legittimo. Questa legittimità non appartiene propriamente a nessuna delle tre forme pure distinte da Max Weber l4 • Il potere dei capi della Resistenza, capibanda e capipopolo più che capi militari, era verosimilmente di origine carismatica. Oggi, tuttavia, il potere non poggia più su un uomo ma su un sistema di valori, resi autentici dal PCE La personalità dei consiglieri municipali che appartengono tutti al partito sembra giocare un ruolo minore agli occhi degli elettori, che non eleggono un candidato ma l'ideologia che incarna. Questi candidati sono i successori spirituali degli eroi della Resistenza. La devozione degli elettori abitualmente non si rivolge né alla loro persona, né alle loro qualità, ma agli eroi che fanno rivivere, perpetuando i valori tradizionali - l'essere Piccoli, Rossi e Laici - e conservando il potere al proprio gruppo. L'autorità di questo potere trova essenzialmente le sue radici nel passato. Da ciò deriva un invecchiamento della rappresentanza municipale, la cui la media di età passa da 37 anni nel 1945 a 56 nel 1983. Tuttavia la rarità dei riti storici e commemorativi tende ad allontanare i giovani da questo passato mitico; numerosi tra loro, anche comunisti, sono incerti sulla legittimità del monopolio detenuto dai comunisti. A questa autorità di un eterno ieri preferiscono il pragmatismo, e sono unanimi a chiedere un ringiovanimento della rappresentanza municipale. Infine, se i comunisti sono coscienti del}a validità del loro mandato, ciò non rimanda a delle competenze particolari. E perciò possibile fare entrare dei frammenti di legittimità del potere comunista dentro a ciascuna delle categorie definite da Weber, ma non fino al punto di giustificare il dominio di una sola di queste divisioni formali. Sembra che una spiegazione gratificante della divisione manichea della società e della pregnanza del potere comunista non possa ignorare nella sua argomentazione i caratteri miti ci della narrazione della Resistenza, che ricorda come i detentori attuali del potere abbiano conquistato la loro legittimità. Si vede anche che, per i comunisti di Scrignac, la Resistenza è il termine 147
di una lotta iniziata parecchi decenni prima; mentre per il PCF, che essa ha insediato nel comune, è il suo principale punto di ancoraggio. Questa differenza di interpretazione della Resistenza spiega la tensione che oggi si può constatare tra il comunismo locale ed il PCF.
Comunismo locale e PCF. La divisione del potere Il potere attuale è basato sui tre elementi principali presenti nel racconto sulla Resistenza: il comunismo locale, sistema di valori di riferimento per i piccoli coltivatori, il movimento di Resistenza in sé, ed il PCF. Si può pensare che alla fine della guerra si fosse stabilito un consenso tra il comunismo locale ed il PCF, che offriva ai piccoli coltivatori un luogo di cristallizzazione delle loro rivendicazioni ed un apparato perfettamente strutturato, che permettesse loro di accedere al potere. Alla Liberazione, difatti, i comunisti hanno investito sul potere non solo installandosi al consiglio comunale, ma anche, più profondamente, organizzandosi in seno ad un partito. Questi due organi si compenetravano tanto meglio quanto il segretario del municipio, vero detentore del potere municipale, non era altro che il segretario di sezione del partito, ex vicesindaco a Huelgoat, la locale culla del PCF. Peraltro, aderire al PCF permetteva agli anziani resistenti di rinforzare a posteriori la dimensione ideologica e politica della lotta che avevano condotto, e di continuare a perseguire gli obiettivi di questa lotta. Il partito beneficiava dunque dell' adesione di un certo numero di militanti di cui canalizzava le aspirazioni, secondo lo schema proposto da Suzan Berger: «Votare comunista significa identificarsi con una tradizione di sinistra, i cui i valori fondamentali provengono dall'eredità giacobina. In parecchie località di campagna, come ha mostrato E. Morin nel caso di Plodémet, il PC è considerato come l'erede autentico della Sinistra che difese la Repubblica e la scuola laica sotto la Terza Repubblica: votare comunista è manifestare il proprio attaccamento a queste istituzioni ed ai valori che rappresentano»l5. L'adesione implicava dunque la volontà di proseguire la battaglia ideologica cominciata parecchi decenni prima; ma questa volta dentro ad un partito che assumeva a proprio carico i conflitti interni alla comunità, alimentandoli. Il trittico comunismo locale/Resistenza/PCF di cui i due elementi estremi si richiudono sul quadro centrale per formare un sistema di potere unico e coerente si è scisso progressivamente in due. Il comunismo locale poggia su un proprio sistema di valori, dove la sociabilità e la solidarietà occupano la cima della scala e non possono esprimersi che presso i piccoli coltivatori, poiché sono i soli a non essersi lasciati alienare dall'attività economicoprofessionale. Il sindaco mi parlava di un buon comunista di cui augurava la presenza al suo fianco alle municipali del 1983 e giustificava questa scelta spiegandomi che nel 1965 questo coltivatore si era fatto costruire una stalla per 20 mucche da latte e che oggi non ne aveva una di più. Ma questa scelta del sindaco non ha potuto andare in porto, dato che il PCF impone che i candidati siano scelti in seno al partito, e questo buon comunista ha sempre negato di aderirvi. Lo sfasamento tra questi due comunismi, che oppone nel comune il sindaco al segretario di sezione, si è affermato durante le elezioni cantonali del 1982, che hanno visto la disfatta del candidato del PCF presentato dall'Ufficio 148
federale, di fronte al sindaco comunista di un comune vicino, espulso dal partito per avere mantenuto la sua candidatura contro il candidato ufficiale. La sua esclusione dal partito non ha avuto nessuna influenza sugli elettori, che hanno preferito il comunista locale al candidato ufficiale estraneo al territorio. Si osserva questa sfasatura politica anche per l'assenza di coltivatori nei posti-chiave della struttura del partito, occupati da un operaio e un segretario comunale in pensione, un maestro e un impiegato municipale. Il primo ha lasciato il comune all'indomani della guerra e ha militato più di vent' anni a Parigi, dove era facchino alle Halles. Il secondo, ex assessore di Huelgoat, ha organizzato il partito a Scrignac. Il terzo è segretario della sezione e la sua adesione al PCF risale al suo ingresso alla Scuola Normale. D'altra parte, la cellula più attiva è quella del borgo, dove si trova un numero importante di pensionati che hanno fatto la gavetta a Parigi e hanno dato un' altra dimensione all'attivismo politico. I dirigenti locali del partito e i militanti più attivi si sono dunque formati all'esterno del comune; le loro preoccupazioni si allontanano sempre più dal comunismo locale, che si vive al quotidiano, nel podere e nel villaggio, nella squadra di lavoro e nel caffè. Il discorso che il rappresentante del comitato federale fa ogni anno alla Festa della Terra attira molta meno gente del piccolo bar vicino. La funzione principale del partito è di inserire in un dibattito ideologico più vasto l'opposizione tra i Poveri, piccoli, rossi e laici ed i Signori, grossi, bianchi [conservatori, ndt] e clericali. Questa divisione, già presente nella narrazione della Resistenza, è mantenuta attiva dal PCF che, così, giustifica la prosecuzione di ciò che considera come una lotta di classi. I comunisti possono esistere come membri di una classe sociale, nello spirito del partito, solo se esistono contraddizioni che generano una pratica di classe. Quindi i coltivatori di Scrignac si trovano nella situazione immaginata da S. Berger, quando dice: «Perché appaiano dei gruppi e degli interessi rivali che pretenderebbero di parlare in nome dell'agricoltura, occorrerebbe che la pace sociale degenerasse in lotta di classi»16. Ma non è certo che i comunisti locali vogliano mantenere un simile clima. Difatti, per perpetuare questa situazione, il PC è portato ad orientare i comportamenti dei propri simpatizzanti. La zona campione avviata nel Finisterre tra 1957 e 1962 doveva accordare ai coltivatori un certo numero di vantaggi finanziari e materiali; ora il partito vieta ai suoi aderenti di iscrivervi il loro podere, e questa discriminazione accentua l'opposizione economica tra piccoli e grossi e provoca una scissione tra i piccoli coltivatori che condividevano fino allora una situazione economica identica, a seconda che aderiscano o no al partito. Sebbene la maggior parte dei coltivatori comunisti non trovi giustificato questo provvedimento, il ricordo della Resistenza è per essi troppo vicino perché sacrifichino la loro identità politica a un incremento dei loro utili di produzione. Tuttavia, ancora oggi, ammettono a maggior ragione il deterioramento delle relazioni sociali generato da quella interdizione, che ha sostituito un ordine politico esogeno alle divisioni economiche ed ideologiche locali. In ogni caso, il partito rappresenta un luogo di identificazione che permette agli abitanti di Scrignac l'inserimento in un sistema ideologico. E anche in caso di disaccordo col funzionamento di questo sistema, non possono rigettare il partito finché questo conserva le sue radici nella storia locale. Da qui si constata il ruolo di giuntura tra questi due comunismi assolto dalla Resistenza. 149
Al contrario, si trova nella municipalità che teoricamente è il secondo organo del potere locale, una forte rappresentazione dei piccoli coltivatori e un' esclusione dei membri più attivi del partito, la cui ortodossia rischierebbe di provocare una disaffezione dell'elettorato. I resistenti, che formavano l'essenziale del consiglio comunale nel 1945, sono stati progressivamente sostituiti dai buoni comunisti, scelti in seno ad ogni cellula in funzione del loro luogo di residenza e della rete della loro parentela, affinché rappresentassero, al di là delle etichette politiche, il più gran numero di elettori. Solo ne sono esclusi i grossi, che costituiscono circa il 30% della popolazione. Ma se è facile verificare come il partito esercita la sua autorità sui suoi aderenti, è molto difficile scoprire il potere di cui dispone la municipalità, e non si può che essere colpiti dal contrasto tra l'animosità che caratterizza la campagna elettorale e,il poco interesse che suscitano le decisioni prese dal consiglio comunale. E vero che questo comune - alla pari di numerosi comuni rurali - dispone di un bilancio molto limitato. Non è che la municipalità abbia molta scelta nei suoi poteri; le sue decisioni sono oggi adempimenti indispensabili, che lasciano poco spazio all'ideologia. Tuttavia, il PCF ricorda la posta nazionale delle elezioni municipali, e nel 1983 il programma elettorale si conclude così: «Per realizzare questo programma, i candidati della lista dell'Unione della Sinistra hanno bisogno dell' appoggio compatto di tutta la popolazione. Condannerete le ambizioni revansciste della Destra e darete alla Sinistra al potere un nuovo slancio per avanzare nella politica di cambiamento voluto dalla maggioranza dei francesi in maggio e giugno 1981 ». Questa dichiarazione finale, dove si vede il partito come forza non più locale ma nazionale, che esula dall'ambito comunale, si 'può supporre esista concretamente in numerosi comuni francesi. Si vede dunque l'intromissione dello stato, o meglio della politica nazionale, nelle elezioni municipali che si distinguono tradizionalmente come luogo di incontro dei differenti gruppi sociali, nel quadro limitato del comune. Il potere del consiglio comunale, che si esercita sull 'insieme della comunità, si distingue per la sua assenza di autorità. Questo potere appare come il risultato di un compromesso tra le direttive del PCF e l'insieme della popolazione comunale. All'inverso, la funzione del PCF trova la sua principale giustificazione nel contrasto tra gruppi sociali. Ma i fattori di divisione tra piccoli e grossi spariscono progressivamente. Oggi tutti i piccoli coltivatori sono proprietari di almeno una parte del loro terreno da coltivare. Non esiste più una scuola privata da almeno vent' anni e a messa la domenica ci va solamente una decina di persone. L'opposizione esercitata dal PCF ha perso i suoi fondamenti economici e ideologici, per conservare solamente la sua dimensione politica. Resta dunque da verificare quanto i comunisti locali siano pronti a mettere in pericolo la coesione della loro comunità per delle ragioni - per legittime che siano - che esulino dalle competenze locali. L'erosione progressiva dell'influenza del partito comunista 17 , parallelamente alla sua crescente integrazione nelle strutture istituzionali nazionali, svela una diffidenza della popolazione riguardo alla politica, quando questa emana dallo stato. Il peso della storia locale è troppo importante perché gli abitanti di Scrignac possano trasferire i conflitti interni della loro comunità in una sfera dove il loro modo di pensare sarebbe ignorato. In cambio della legittimazione e dell'identità che conferisce ai suoi simpatizzanti, il partito 150
fa rispettare un certo numero di doveri e vincoli. Questa reciprocità ha potuto funzionare finché il partito sembrava essere un' emanazione diretta della storia locale, la definizione formale di un contenuto preesistente. Ma a partire dal momento in cui si discosta da tale logica, le direttive che tenta di fare rispettare sembrano troppo costrittive agli abitanti di Scrignac che non vi trovano più l'espressione delle loro proprie ispirazioni. Di conseguenza, il PCF perde le sue funzioni identificative. Si comprende allora questa opposizione tra la municipalità e il PCF come un conflitto tra la sincronia e diacronia l8 , dove i comunisti locali tentano di ignorare la storia e di riprodurre l'ordine consueto, instaurato dagli eroi della Resistenza, dove i piccoli, definiti dal loro attaccamento a certi valori, detengono insieme il potere, senza discriminazioni di ordine esclusivamente politico. In compenso, il PCF alimentato da un' ideologia esogena, cerca di fare evolvere il comunismo locale tanto nella sua dimensione spaziale che temporale, dando la precedenza all'adesione al partito, piuttosto che al rispetto dei valori locali. Se è certo che il potere comunista deriva la propria legittimità dalla Resistenza, questa rappresenta per il comunismo locale un equilibrio perfetto che bisogna perpetuare, mentre il PCF vede nella Resistenza il manifestarsi di una situazione nuova che non ha interesse che nei suoi sviluppi ulteriori. 1. In base agli accordi nazionali, dal 1977 si tratta di liste dell'Unione della Sinistra, dove si trovano 4 socialisti su 15 consiglieri comunali. 2. André Siegfried, Tableau politique de la France de l'Ouest, Paris, Armand Colin, 1913. 3. Il movimento autonomista bretone era costituito di due tendenze. Una molto attivista, diretta per Mordrel cooperò largamente con la Gestapo nella caccia ai resistenti. La seconda era più moderata e ricercava innanzitutto il mantenimento delle tradizioni e la promozione della cultura bretone. L'abate Perrot apparteneva a questa ultima e nessuna prova sostiene le accuse di collaborazione di cui è stato fatto oggetto. Tuttavia, le presunzioni di colpevolezza che pesano su lui, nel contesto della guerra di Liberazione, sembrano sufficienti per spiegare la sua esecuzione. Un'inchiesta recente (T. Guidet Qui a tué Yann - Yari Perrot, Braspart Beltan 1986), condotta da un giornalista, dà risposta a tutte le domande che pone questa morte. 4. Nel senso di benestanti, appartenenti ai ceti superiori. 5. J. Touchard, La Gauche en France depuis 1900, Paris, Le Seuil, 1971, p. 252. 6. Claude Lévi-Strauss, Anthropologie structurale, Paris, Plon, 1973 (ediz. italiana: Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1966). 7. Bronislav Malinowski, Magie, Science and Religion and Other Essays, London, Free Press, 1948 (ried. 1974, Souvenir Press, p. 125). (Esiste un'edizione italiana di questo volume: Magia, scienza, religione, Roma, Newton Compton, 1976; ma purtroppo non contiene il saggio qui citato). 8.lbid. 9. Ibid., p. 107. 10. Claude Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Paris, Plon, 1962, p. 306 (Ediz. italiana: /I pensiero selvaggio, Milano, Il saggiatore, 1964). 11. L'attentato è stato rivendicato con la sigla Kevrenn Yann Kel Kemaleguen, dal nome d'un membro del FLB (Fronte di liberazione bretone) ucciso nel 1976 dalla bomba che stava sistemando per un attentato contro una caserma militare. 12. Atto non rivendicato. 13. Cfr. nota 2. 14. Max Weber, Le savant et la politique, Paris, UGE 1979. 15. Suzanne Berger, Les paysans contre la politique, Paris, Le Seui I, 1975, p. 218. 16. S. Berger, Les paysans contre la politique, cit., p. 95. 17. Tra il 1967 e il 1981 alle elezioni legislative la percentuale dei voti comunisti passa dal 65% al 43%, mentre nello stesso tempo, i suffragi ottenuti dai socialisti passano dall'8% al 30 %. 18. C. Lévi-Strauss, /I pensiero selvaggio, cito \5\
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/I nostro convegno sul curricolo
verticale di storia CESARE GRAZIOLI
Non è mai accaduto che questa rubrica della rivista ospitasse il resoconto di un convegno, ma l'eccezione si impone per "La storia insegnata: riflessioni e proposte per il nuovo curricolo verticale", convegno nazionale tenutosi a Reggio Emilia il 24 e 25 febbraio 2000, congiuntamente promosso da Istoreco, Insmli e Landis con il contributo dell' Aministrazione Provinciale di Reggio. La sala Di Vittorio in cui si è svolto, messa a disposizione dalla Camera del Lavoro di Reggio, ha ospitato una folta platea di partecipanti, evidentemente attirati dall'attualità e dall'importanza dell'argomento affrontato. L'appuntamento si configurava anche come seconda parte della scuola di formazione del Landis (Laboratorio nazionale di didattica della storia) "Quale storia per queste generazioni". Proprio dalla prima parte di tale scuola, tenutasi all'inizio del '99 a Bologna con un taglio eminentemente storiografico, era emersa l'esigenza di una seconda parte che ponesse al centro la storia insegnata/imparata, ovvero la dimensione didattica. In quella sede era emersa altresì la richiesta al nostro Istituto di farsi carico della progettazione e organizzazione, a Reggio, di questa due-giorni. L'accelerazione dei processi di riforma della scuola verificatasi nei mesi successivi ci ha poi indotto a focalizzare il convegno sul tema del curricolo verticale. In quale scenario e con quali prospettive? Come ha illustrato la relazione introduttiva della presidente del Landis Aurora Del Monaco, dopo decenni di semi-immobilismo la scuola italiana è ora al centro di processi di cambiamento sempre più rapidi e radicali: dall'autonomia (con la legge Bassanini nel '97) all'innalzamento dell'obbligo scolastico, al varo del nuovo esame di stato, alla riforma dei cicli scolastici, recentemente approvata dal Parlamento (2-2-2000) secondo la formula 7 + 5: cioè sette anni di una nuova scuola di base, che sostituisce e unifica le attuali elementari e medie inferiori, e poi cinque anni di scuola secondaria, articolata in un primo biennio, entro il quale si completa l'obbligo scolastico, e in un triennio che anticipa da 19 a 18 anni la conclusione del percorso formativo. Ma i cambiamenti in atto non riguardano solo gli aspetti strutturali, cioè la diversa architettura dei cicli scolastici. La vera "rivoluzione copernicana" dovrebbe consistere nel passaggio dal centralismo all'autonomia, e dal primato dell'insegnamento (con tutte le sue implicazioni: il nozionismo, le pratiche trasmissive, ecc) al primato dell' apprendimento (che pone al centro 153
il discente, che valorizza il processo anziché il prodotto, ecc). In altri termini, la nuova scuola dell' autonomia, oltre a configurare la sua offerta formativa complessiva (esplicitata nel POF, il Piano dell 'Offerta Formativa) anche in rapporto con le risorse e le domande del territorio, e nel contesto di nuovi rapporti tra reti di scuole, dovrà riorganizzare gli insegnamenti disciplinari non più nella logica dei programmi, quanto sulla base delle competenze (disciplinari e trasversali) e dei nuclei fondanti disciplinari. In questo scenario, i vari soggetti che operano nei campi delle didattiche disciplinari sono chiamati a concorrere alla definizione dei nuovi curricoli, nella consapevolezza che ragionare in termini di competenze degli studenti significa fare interagire gli statuti disciplinari e i descrittori interdisciplinari. Tra questi soggetti chiamati a fare proposte ci sono (ovviamente nel campo specifico della storia) la rete delle sezioni didattiche degli Istituti storici e il Landis: in virtù non solo della Convenzione da anni operante tra MPI e INSMLI, ma anche del contributo decisivo che, al centro e in periferia, gli Istituti della rete hanno fornito in questi anni alla realizzazione del Progetto Storia, avviato dal Decreto Berlinguer sull 'insegnamento del Novecento. Non a caso, il convegno di Reggio è nato anche dall'esigenza di rispondere a una sollecitazione in tal senso proveniente dal MPI, in vista dell'imminente costituzione di commissioni di lavoro che dovranno elaborare i nuovi curricoli disciplinari. Come ha sottolineato nel convegno Laurana Lajolo (vicepresidente Insmli e coordinatrice della commissione didattica nazionale della rete degli Istituti), il patrimonio di esperienze ed elaborazione dei nostri Istituti e del Landis ha alcune specificità molto marcate: l'uso delle fonti nella didattica della storia, la logica del laboratorio, la valorizzazione della pluralità delle storie (e tra queste, della storia locale) e del rapporto tra storia-ricerca e storiamemoria (o meglio, memorie, da declinare al plurale, spesso come "memorie divise"); l'attenzione alla storia di genere e di generazione, al nesso presentepassato-presente, e alla storia del Novecento come terreno privilegiato di lavoro. Non era e non è scontato che da queste specificità, da questo patrimonio di esperienze discenda automaticamente una proposta organica di revisione del curricolo verticale di storia; anzi, sia nelle fasi preparatorie che durante il convegno stesso, è emersa talora la preoccupazione di avventurarci su un terreno meno familiare di quelli usualmente battuti. Oltretutto, questo è un terreno ... minato, e per diverse ragioni. Parte di queste ragioni si devono alla centralità che la storia ha e avrà anche nella nuova scuola (ove sarà presente in tutti gli ordini e gradi, "privilegio" che condividerà con due sole materie: ovviamente la lingua madre, l'italiano, e la matematica); altre ragioni hanno a che fare con i significati e le valenze che, propriamente e spesso impropriamente, all'insegnamento della storia vengono assegnati ai fini della formazione civico-politica. Sarebbe miope nascondersi che, di fatto, questa non è una "materia come tutte le altre", e che nella categoria dell"'uso pubblico della storia" rientrano anche, a pieno titolo, i dibattiti infuocati e le polemiche che si scatenato (non solo dentro la scuola ma nel mondo accademico, tra gli opinion-makers, sulla grande stampa nazionale) attorno ad ogni riforma, fatta o solo annunciata, dei programmi scolastici: dalla proposta Falcucci sul biennio alle discussioni all'interno della Commissione Brocca, al DM Berlinguer sull'insegnamento 154
del Novecento, alla riforma dei programmi degli Istituti professionali. Il problema di questa "sovraesposizione" della storia-materia non è certo attutito, ma semmai complicato, dallo status di "materia cenerentola" che, di fatto, essa continua a rivestire nella prassi quotidiana del lavoro scolastico, e che discende dai noti motivi: le poche ore settimanali previste per il suo insegnamento, la preparazione non specialistica dei docenti (quasi mai laureati in storia), l'abbinamento, molto spesso in posizione "ancillare", con altre discipline nella stessa cattedra (italiano o filosofia), la scarsa disponibilità del mondo accademico italiano a porsi problemi di tipo didattico, e quindi la totale latitanza della formazione iniziale (e l'avvio delle scuole di specializzazione post-laurea, anche laddove c'è stato, non sembra dare segnali molto incoraggianti al riguardo ... ). Quale sia la posta in gioco per chi, avendo presente questi problemi e conoscendo i rischi a cui va incontro, voglia ragionare e fare proposte su un nuovo curricolo verticale di storia, è stato messo a fuoco dalla relazione di Mario Pinotti (rappresentante dell 'Insmli al Forum delle Associazioni disciplinari). La centralità delle competenze è la sfida da accettare per invertire la deriva verso una progressiva marginalizzazione e insignificanza della scuola come luogo di formazione e di crescita culturale. Ciò riguarda tutte le aree disciplinari, ivi compresa quella geo-storico-antropologica, secondo una duplice necessità: da una parte, valorizzare le specificità degli statuti epistemologici delle diverse discipline o aree disciplinari; dall'altra parte, costruire un sistema integrato di apprendimento basato sulla trasversalità interdisciplinare, intesa come incontro di conoscenze, come incontro di competenze, come comunicazione tra linguaggi e codici diversi. Con l'avvertenza, posta dal relatore con molta forza, che senza questa comunicazione, ossia senza traduzione da un linguaggio all'altro e da un codice all'altro, le competenze non si trasferiscono, non sfondano gli steccati disciplinari, non si fissano, e in definitiva non producono un sapere spendibile e realmente significativo. Le fondamentali competenze perseguibili con l'apprendimento della storia sono quelle proprie della ricerca storico-antropologica, se e quando l'apprendimento ne ripercorre i processi (anziché limitarsi ad assimilarne i risultati): la delimitazione del campo d'indagine, la formulazione di ipotesi di ricerca, l'analisi delle fonti tramite selezione delle informazioni, la generalizzazione, la costruzione di mappe concettuali relative all'ambito indagato, nonché di un' adeguata grammatica del tempo e dello spazio. Oltre che come sequenze logiche di operazioni, le competenze vanno viste anche nella loro valenza affettivo-relazionale. Dell 'una e dell'altra accezione è massima espressione la didattica del laboratorio, inteso sia come luogo logico (cioè modalità di apprendimento attivo, che ripercorre le tappe della storia-ricerca) sia come luogo fisico, le cui risorse vanno dallo stesso spazio-scuola al territorio agli spazi virtuali messi a disposizione dalle nuove tecnologie informatiche e multimediali. Sulla base delle coordinate e delle scelte di fondo prospettate dalle prime due relazioni, è poi toccato al sottoscritto il compito di proporre un' ipotesi di articolazione del nuovo curricolo verticale: proposta aperta, ovviamente, che da una parte opera una sintesi di quanto emerso dal dibattito di questi 155
anni e, per quanto riguarda la rete delle sezioni didattiche degli Istituti, dalle riunioni preparatorie al convegno; e che dall'altra va vista come proiezione delle opzioni di fondo di cui sopra, senza le quali si ridurrebbe a mera "ingegneria curricolare". Dando per acquisito che nella nuova scuola delle competenze e dell' autonomia una parte non marginale del curricolo sarà (o dovrebbe essere) il risultato della progettazione dei singoli docenti, consigli di classe, collegi, non si può eludere il problema della koiné culturale delle future generazioni, di quei nuclei fondanti che dovranno essere patrimonio condiviso in tutto il territorio nazionale; né il problema del superamento dell'attuale ripetitività del curricolo, già ora insoddisfacente, e a maggior ragione impresentabile nella cornice della riforma dei cicli. La nostra ipotesi, ovviamente pensata in funzione della futura scuola (7 anni di scuola di base + 2 anni di obbligo scolastico + 3 anni conclusivi), si può così sintetizzare: a. il primo quadriennio della scuola di base (dai 6 ai lO anni) deve essere dedicato alla formazione del senso spazio-temporale tramite l'acquisizione delle competenze essenziali geo-storico-sociali (senza distinzioni interne tra le materie di questa area). Ciò può avvenire secondo diversità nelle strategie didattiche e nella scelta dei nuclei fondanti (ad esempio partendo dal vicino allontano e dal presente al passato, valorizzando l'ambiente e la storia locale, ecc.), ma comunque nel rispetto delle strutture cognitive e socio-affettive del bambino, e arrivando alla costruzioni di grandi quadri geo-storici (i macro-ambienti, e i modelli più generali di società: preagricole, agricolopastorali, industriali); b. il quinquennio centrale del curricolo verticale (dai lO ai 15 anni, comprensivo del triennio conclusivo della scuola di base e del biennio inserito nell' obbligo scolastico) deve essere dedicato a una nuova geo-storia generale, intesa come conoscenza "a maglie larghe" del passato e orientativa ai fini del presente. Se l'elemento più caratterizzante del presente è la globalizzazione, la prospettiva da privilegiare per lo studio del passato dovrà essere quella planetaria, assunta come un macro-contenitore entro cui in scrivere poi le altre storie, pertinenti a scale spaziali più circoscritte. Le dimensioni ecologica e demografica, economica, sociale, politica, culturale saranno altrettante angolazioni visuali che consentono di concettualizzare, tematizzare e periodizzare secondo diverse prospettive la visione del passato e il rapporto passato-presente (in luogo del tradizionale approccio unilineare, cumulativo ed etnocentrico dell'attuale storia generale). Come nuclei fondanti (o macro-temi) di questi 5 anni abbiamo proposto: - cU: la prima grande periodizzazione della storia umana: il processo di neolitizzazione - cUI: i principali modelli di società agricole (qui, e sempre, attraverso casi significativi) - cUII: la seconda grande partizione della storia: l'industrializzazione - cUV: il "lungo Ottocento", ovvero l'avvio del mondo contemporaneo - cl.V (cioè 2° anno della secondaria): il Novecento, nei suoi tratti distintivi rispetto alle epoche precedenti e nelle sue periodizzazioni interne, in primo luogo tra "mondo contemporaneo" e "mondo attuale"; c. il triennio conclusivo (15-18 anni) deve essere dedicato all' approfondi156
mento di temi e problemi, da affrontare prevalentemente mediante l'uso delle fonti, il confronto tra tesi storiografiche, la costruzione di percorsi di ricerca, disciplinare e interdisciplinari, anche (ma non solo) in relazione alla "curvatura di indirizzo" specifica. Questi percorsi modulari potranno essere preceduti/accompagnati da "moduli-cornice" che assolvano alle funzioni di contestualizzazione spazio-temporale e di raccordo con gli altri moduli. In termini indicativi, si è ipotizzata la seguente possibile ripartizione nei tre anm: - I (classe 3"): temi e problemi riferiti a storie di lungo o lunghissimo periodo, ad esempio inerenti la storia di genere e di generazione; il rapporto uomoambiente; la strutturazione delle gerarchie geo-economiche (il rapporto centro-periferia, il rapporto città-campagna, la storia urbana); la formazione delle tradizioni culturali, degli stereotipi, degli scambi tra culture e aree di civiltà, ecc. - II (classe 4"): temi e problemi riferiti ai secoli più recenti, quali ad esempio: la nascita e l'evoluzione dello stato moderno; le economie-mondo e la progressiva espansione di quella europea; i tratti di permanenza e di trasformazione del mondo rurale; le rivoluzioni industriali; le trasformazioni nella sensibilità religiosa, nella mentalità collettiva, ecc. - III (classe 5"): temi e problemi riferiti alla storia del Novecento e alla "storia del presente", quali ad esempio: la mondializzazione della storia, l'evoluzione degli equilibri internazionali, il rapporto Nord/Sud; le grandi ideologie politiche; le guerre e i massacri (il secolo dei lager, dei gulag e delle pulizie etniche); i diritti, i consumi di massa, le conquiste della tecnologia; le tappe dell 'unificazione europea; fasi e problemi della storia italiana contemporanea, ecc. Nel dibattito che ha seguito le tre relazioni della prima giornata è intervenuto tra gli altri Alberto De Bernardi (direttore dell 'Insmli), che ha di fatto appoggiato questa ipotesi di curricolo verticale. Nell'equilibrio tra nuclei fondanti, competenze e capacità, il cui dosaggio cambia da materia a materia, la finalità della storia insegnata è di formare gli studenti a "pensare storicamente", dimensione senza la quale l'apprendimento scade a nozionismo; ciò premesso, secondo De Bernardi l'acquisizione di capacità deve essere il fulcro della ]Jarte iniziale del curricolo, le conoscenze disciplinari della parte conclusiva. Sul piano dell'architettura del curricolo, il nodo di fondo è dove collocare la storia contemporanea, e su questo egli ha appoggiato l'opzione di collocarla nella fase conclusiva dell'obbligo scolastico, per il suo valore orientativo, cioè nel nuovo biennio, e di recuperare così al triennio finale la dimensione dei tempi lunghi della storia. Nella mattina del secondo giorno, la relazione di Antonio Brusa aveva il compito di delineare una nuova storia generale. L'immagine attuale, sorprendentemente simile nei programmi di paesi dalle più diverse tradizioni scolastiche, è imperniata sull' idea della genealogia della nazione: quindi un racconto unilineare, etnocentrico, incrostato di stereotipi straordinariamente tenaci da rimuovere perché divenuti patrimonio condiviso di intere generazioni. Ma la risposta non può essere il rifiuto della storia generale, la fuga nelle storie settori ali, o nella microstoria e nel localismo (come pure, anche nel dibattito, è talora affiorato). Tale "pensiero debole" della storia non farebbe che rafforzare l'idea che quella tradizionale è l'unica forma possibile 157
di storia generale. Si tratta invece di contrapporle una nuova storia generale, ovvero un diverso racconto del passato, adeguato ai problemi e alle istanze del presente e alle risorse di cui la storiografia attualmente dispone: una storia del mondo che possa parlare a tutti, che quindi abbracci secondo le diverse dimensioni (ambientali, economiche, sociali, politiche, culturali) la scale spazio-temporali più ampie possibili pertinenti ai problemi di volta in volta indagati; ma che nel fare questo, sappia costruire un' altra immagine forte - e al contempo condivisa, non etnocentrica - del passato; e che utilizzi le strategie didattiche di volta in volta più coinvolgenti ed efficaci in relazione alle fasce d'età degli studenti che si hanno di fronte e alle competenze da attivare in essi. Nel pomeriggio della seconda giornata il lavoro si è articolato in gruppi sulla base delle diverse fasce scolari (iniziale, centrale, terminale) di cui i partecipanti avevano esperienza diretta. Tali gruppi, coordinati rispettivamente da Mario Pinotti, Maurizio Gusso e dal sottoscritto, hanno consentito di esaminare i problemi del curricolo nell' ottica di esperienze didattiche, sperimentazioni, problemi legati al quotidiano rapporto d'aula. Alcune delle esperienze e dei materiali presentati nei gruppi, nonché i materiali contenuti nelle cartelline del convegno (cioè i testi delle relazioni) sono disponibili sul sito internet di Istoreco, e possono concorrere al dibattito che, ci auguriamo, contribuirà alla costruzione del nuovo curricolo verticale di storia.
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"Sulle tracce di Anne Frank: persecuzioni, giovani, memoria" Seminario con il sostegno della Commissione Europea 17-18-19 ottobre 1999 Reggio Emilia - Fossoli - Montefiorino
Informazioni sul progetto a cura di Matthias Durchfeld Nell'agenda delle celebrazioni del '900, il 1999 ha segnato l'occasione per ricordare con alcune iniziative il 70° compleanno di Anne Frank, giovane ebrea perseguitata e simbolo della deportazione europea. Dopo la distribuzione del suo diario alle scuole reggiane, il viaggio con il Centro giovani del Comune di Campagnola a Bergen Belsen, luogo di morte di Anne, la mostra sulla sua vita ai Musei Civici di Reggio Emilia, inaugurata il 25 Aprile 1999, e un progetto video, Istoreco ha proposto nei giorni 17-18-19 ottobre 1999 un seminario dal titolo "Sulle tracce di Anne Frank: persecuzioni, giovani, memoria" che è stato approvato dalla Comunità Europea e cofinanziato nel progetto Gioventù per l'Europa Azione El. Questa iniziativa si è connotata come importante appuntamento per gli operatori della memoria e ha individuato le nostre province come punto di riferimento a livello europeo per la riflessione su memoria e politiche giovanili. Hanno partecipato operatori dei più significativi luoghi della memoria in Europa, che si sono confrontati sulle diverse metodologie utilizzate nel difficile compito di trasmettere ai giovani la memoria storica della Shoah, sulle prassi divulgative e sulla possibilità di costruire una rete permanente di scambi. I partner del progetto hanno discnsso: - esperienze di trasmissione della memoria - la trasmissione di conoscenze e valori sul passato come strumento di lotta al razzismo e all'antisemitismo e di diffusione dei valori della solidarietà e dell'inclusione - i modi e le difficoltà dell'informazione, i metodi innovativi per la divulgazione - tecnologie per la divulgazione destinata ai giovani - l'esperienza acquisita nel corso delle attività di accoglienza di delegazioni giovanili e di sviluppo delle comunicazioni nei confronto di un target giovanile - l'efficacia della comunicazione: discussione e valutazione delle reazioni del pubblico di giovani - verifica della trasferibilità in paesi diversi dei metodi di trasmissione della memoria adottati da ciascun partner.
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Programma: Domenica 17 ottobre 1999 ore 15.30 - 18.00 Comune di Reggio Emilia, Via Guido da Castello 14 I sessione: "Trasmettere ai giovani la memoria dei giovani perseguitati" Contenuti: Ogni organizzazione partecipante illustra i principi di metodo e di contenuto su cui basato il proprio lavoro e la mission della organizzazione. Si indicano anche i principali problemi culturali, politici e organizzativi che si devono affrontare nel lavoro. Obiettivi della sessione: Permettere a ciascun partecipante di presentare la propria organizzazione per quello che riguarda la strategia di comunicazine della memoria su cui si fonda il lavoro dell'istituzione rappresentata. - Chairman: Massimo Storchi, Presidente Istoreco - Notizie sul progetto: Matthias Durchfeld, Istoreco - Introduzione alla discussione: Antonio Canovi, Istoreco - interventi dei partecipanti Lunedì 18 ottobre 1999 Tema generale della giornata: "Esperienze e buone prassi sul tema della trasmissione della memoria ai giovani" Contenuti: Presentazione analitica delle esperienze positive e difficili inscritte nei relativi contesti nazionali delle istituzioni europee che lavorano sulla trasmissione della memoria, dalla persecuzione giovanile alle politiche per le minoranze. Obiettivi: Approfondire la conoscenza di esperienze concrete; discussione e valutazione di casi. Riflessioni sulle reazioni del pubblico giovanile su questi temi. II Sessione: "Anne Frank e non solo" - Chairwoman: Nora Sigman, Centro di Documentazione delle Donne, Modena ore 9.30 - 10.15 Museo Monumento al Deportato di Carpi - Introduzione (con visita guidata): Roberta Gibertoni ore 10.30 - 12.30 Carpi - Sala dei Congressi, Via Peruzzi - interventi dei partecipanti e dei discussants
III Sessione: "Politiche per le minoranze" ore 15.30 - 18.00 Carpi - Sala dei Congressi, Via Peruzzi 162
- Chairman: Guido Pisi, Direttore Istituto storico della Resistenza di Parma - interventi dei partecipanti il seminario e dei discussants Martedì 19 ottobre 1999 ore 9.30 - 12.30 Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino IV sessione: "Proposte per la costruzione di una strategia di informazione comune" Contenuti: Costruire una rete europea permanente sul tema della trasmissione della memoria. Obiettivi: - Discussione sui futuri progetti di scambio - Collaborazioni concrete nella produzione e diffusione di informazioni - Proposte per la circolazione di prodotti di informazione - Confronto fra le strategie formative - Chairman: Claudio Silingardi, Direttore del Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino - Introduzione: Marco Mietto, Istoreco - interventi dei partecipanti e dei discussants
"Auf den Spuren von Anne Frank: Verfolgung, Jugendliche, Erinnerung" Seminar mit Unterstiltzung der Europiiischen Union: 17. - 18. - 19. Oktober 1999 Reggio Emilia - Fossoli - Montefiorino (Italien)
Informationen iiber das Projekt: Matthias Durchfeld 1m Rahmen der Feierlichkeiten zum Ende des 20. Jahrhunderts bot sich im Jahre 1999 die Mèiglichkeit, mit einigen Veranstaltungen an den 70. Geburtstag von Anne Frank zu erinnem, der jungen verfolgten Jtidin und dem Symbol der europaischen Deportation. Nach der Verteilung des "Tagebuch der Anne Frank" in den Reggianer Schulen, nach der Reise mit dem Jugendzentrum Campagnola zum Todesort von Anne nach BergenBelsen, nach der am 25. ApriI 1999 (Tag der Befreiung) erèiffneten Ausstellung tiber das Leben von Anne in den stadtischen Museen in Reggio Emilia und nach einem Videoprojekt, hat Istoreco ftir die Tage des 17., 18. und 19. Oktober 1999 ein Seminar mit dem Titel "Auf den Spuren von Anne Frank: Verfolgung, Jugendliche, Erinnerung" vorgeschlagen. Das Projekt wurde von der Europaischen Gemeinschaft angenommen und im Rahmen von "Jugend ftir Europa - Aktion El" mitfinanziert. Diese Initiative wurde zu einem wichtigen Treffen ftir die Erinnerungarbeiter und hat unsere Landkreise zum Bezugspunkt ftir die Reflexion tiber Erinnerung und Jugendpolitik auf europaischem Niveau gemacht. Erinnerungsarbeiter aus den bedeutendsten Gedenkstatten Europas nahmen teil und tauschten sich tiber die verschiedenen Methoden aus, die sie bei der Weitergabe der historischen Erinnerung der Shoa an Jugendliche anwenden, sie sprachen tiber ihre wissenschaftliche Praxis und tiber den Aufbau eines kontinuierlich arbeitenden Netzwerks auf dem Gebiet der Erinnerungsarbeit. Diskussionsthemen der Projektpartner waren: - Erfahrungen mit der Weitergabe von Erinnerung. - Weitergabe von Wissen und Werteinschatzungen tiber die Vergangenheit, als Grundlage 163
der Arbeit gegen Rassismus und Antisemitismus und ftir die Verbreitung der Werte der Solidaritat. - Moglichkeiten und Schwierigkeiten bei der Weitergabe von Informationen, innovative Methoden. - Technologien fiir die Weitergabe von Informationen an Jugendliche. - Erfahrungen mit dem Empfang von Jugendgruppen. - Kommunikationsansatze fiir die Zielgruppe der Jugendlichen. - Wirksamkeit dieser Kommunikationsansatze: Diskussion und Bewertung der Reaktionen. - Methoden der Erinnerungsarbeit: Uberpriifung von Transfermoglichkeiten in andere Lander. Programm: Sonntag, 17. Oktober 1999: 15.30-18.00 Dhr Comune di Reggio Emilia, Via Guido da Castello 14 I. Sitzung: "Die Weitergabe der Erinnerung veifolgter Jugendliche an Jugendliche" Inhalte: Jede Partnerorganisation erlautert die grundlegenden Methoden und Inhalte, auf denen die Arbeit vor Ort aufbaut. Erklart werden die kulturellen, politischen und organisatorischen Probleme, die in der Arbeit immer wieder auftauchen. Ziel: Jede Partnerorganisation hat die Moglichkeit sich vorzustellen und Strategien fiir Kommunikationsansatze darzustellen. -
Chairman: Massimo Storchi, Pdisident Istoreco Informationen iiber das Projekt: Matthias Durchfeld, Istoreco Einfiihrungsreferat: Antonio Canovi, Istoreco Beitrage der Seminar- und Diskussionsteilnehmer
Montag, 18. Oktober 1999: Tagesthema: "Eifahrungen und praktische Ansiitze zur Weitergabe der Erinnerung an Jugendliche" Inhalte: Analytische Darstellung von positiven und schwierigen Beispielen im jeweiligen nationalen Zusammenhang, die von den europaischen Institutionen auf dem Gebiet der Weitergabe von Erinnerungen von der Jugenverfolgung bis zur Minderheitenpolitik gemacht wurden. Ziel: Vertiefung des Wissens iiber konkrete Erfahrungen. Diskussion und Bewertung der Falle. Beschreibung der Reaktionen von jugendlichen Besuchern der jeweiligen Veranstaltungen und Projekte. 9.30-12.30 Dhr: II. Sitzung "Anne Frank war nicht allein" - Chairwoman: Nora Sigman, Frauendokumentationszentrum Modena 164
9.30 - 10.15 Uhr Museo Monumento al Deportato di Carpi - Einfiihrungsreferat (mit Fuhrung durch die Gedenkstatte): Roberta Gibertoni 10.30 - 12.30 Uhr Carpi, KongreBsaal, Via Peruzzi - Beitrage der Seminar- und Diskussionsteilnehmer 15.30 - 18 Uhr
III. Sitzung "(Erinnerungs- )Politik for Minderheiten" - Chairman: Guido Pisi, Direktor des Istituto Storico della Resistenza Parma - Beitrage der Seminar- und Diskussionsteilnehmer Dienstag, 19. Oktober 1999 9.30-12.30 Uhr Museum der Partisanenrepublik Montefiorino IV. Sitzung: "Vorschliige for eine Strategie zur gegenseitigen Information" Inhalte: Aufbau eines kontinuierlich arbeitenden europaischen Netzwerks auf dem Gebiet der Erinnerungspolitik. Ziele: - Diskussion zukunftiger Projekte - konkrete Zusammenarbeit bei der Produktion und Verbreitung von Informationen - Vergleich der Ausbildungs- und Weiterbildungsmoglichkeiten - Vorschlage fUr die Verteilung von Informationmaterial-untereinander - Chairman: Claudio Silingardi, Direktor des Museums der Partisanenrepublik Montefiorino - Einfiihrungsreferat: Marco Mietto, Istoreco - Beitrage der Seminar- und Diskussionsteilnehmer
[Ùbersetzung von Steffen Kreuseler]
L'Europa di Anne Frank Ragionando di giovani, memoria, diritti di Antonio Canovi Incipit Il seminario ha preso avvio, simbolicamente, dalla visita alla vecchia sinagoga di Reggio Emilia. Si tratta di un edificio eretto alla metà del secolo scorso nel cuore dell'ex ghetto ebraico, a pochi metri dalla via Emilia. E' oggi in via di ristrutturazione, per iniziativa del comune di Reggio Emilia e della comunità ebraica di Modena (Reggio non ha attualmente i numeri per ricostituire la comunità). L'edificio venne prima razziato dai nazi-fascisti, poi danneggiato nel corso dei bombardamenti bellici, quindi - nel dopoguerra - a lungo riutilizzato come garage ... Il monumento sinagoga, che tanto ha patito le ingiurie degli uomini e del tempo, parla attraverso le sue ferite di una vita comunitaria che possiamo ora soltanto immaginare. E' tale silenzio a renderei presente 1'esperienza storica dell'insediamento ebraico a Reggio 165
Emilia. Istoreco, nell'accogliere i partecipanti al Seminario, ha dunque inteso rimarcare questo preciso significato simbolico. La Sinagoga richiama il luogo dell' assenza, di quel che è stato e che ora non si dà più, o si dà in misura incommensurabile rispetto all'anteguerra. Per abitare - ovvero dar voce e sentimento - la nostra contemporaneità, occorre praticare una politica di riconoscimento delle memorie che hanno attraversato il "secolo spezzato" dall'esperienza della guerra fascista.
1.L'approccio metodo logico La cornice nella quale si è aperta la discussione seminari aIe comprende, da un lato, la memoria, e dall'altro le politiche giovanili. Il medium comune è l'esperienza diretta dei giovani perseguitati, esperienza riassunta simbolicamente dalla tragica vicenda di Anne Frank: perseguitata in Germania in quanto ebrea, ricercata ad Amsterdam in quanto clandestina, viva nella nostra memoria presente in quanto giovane donna. La prima giornata (intitolata "Trasmettere ai giovani la memoria dei giovani perseguitati") è stata rivolta all'esposizione dei "problemi" comuni. Ad Istoreco - il partner che ha proposto il seminario - è toccato il compito di introdurre l'argomento per "temi e problemi", . evidentemente facendo tesoro della propria, pluriennale esperienza. Innanzitutto, va evidenziata la scelta di questo istituto ad occuparsi - ad un tempo - di ricerca, didattica, divulgazione storica. Nell'affrontare un oggetto tanto sfaccettato - la ricerca storica in quanto disciplina scientifica, l'insegnamento storico come processo formativo rivolto istituzionalmente ai giovani, la produzione di una strumentazione storica che si rivolge al "cittadino" - si è via via compresa l'esistenza di una domanda di "storia" diffusa quanto, spesso, inevasa. La materia storica non appare affatto anacronistica, come viene volentieri affermato, sui media, dai molti promotori di "fenomeni" giovanili. La produzione e la trasmissione del sapere storico, tuttavia, faticano a rispondere e ad incrociare quelle domànde di "senso" che ciascuno di noi formula rispetto al proprio tempo presente. Si sono dunque promosse, in questi anni, una serie di ricerche e di riflessioni, particolarmente rivolte allo stato dell'insegnamento della storia impartito nella secondaria superiore. Con una prima azione è stato chiesto agli insegnanti cosa pensano e, soprattutto, quel che si attendono e vorrebbero dal punto di vista del proprio fabbisogno formativo. La ricerca si è poi indirizzata agli studenti e alle studentesse delle secondarie superiori: sono stati interpellati a proposito dell'insegnamento concretamente ricevuto nella materia storica, per trarne indicazioni rispetto al "senso" complessivo che i giovani vi attribuiscono. Si è trattato di un approccio duplice, perché non è tanto la storia in sè che interessa quanto le modalità di trasmissione: sussiste un aspetto metodologico, di efficacia del discorso svolto, ma non è meno importante la definizione delle domande di formazione che presiedono all'aspetto applicativo. Nell'apprendimento della storia, in altri termini, sembra contare moltissimo la domanda: "Che cosa vogliamo ricordare?". Questo ci pone, a noi tutti, un problema. Quali centrali, oggi, determinano la richiesta di memoria: la scuola, i media, i governi, i partiti politici, la famiglia ... ? Il conclamato "rifiuto" della storia da parte dei più giovani - ma nel corso dell'indagine questo atteggiamento è emerso piuttosto come l'altra faccia di un'impellente, per quanto confusa, richiesta di orientamento - rappresenta allora una sfida cruciale: investe la scienza e la metodologia del lavoro storico, ma anche l'etica del nostro operare. Ricostruire una storia, quella storia piuttosto di un'altra - e tanto più quando si milita "per" la memoria - significa fare scelte rilevanti, che hanno a che fare con le memorie collettive e le identità sociali. L'historia magistra vitae ha avuto un senso preciso entro la cornice filosofica che definiva la ciclicità del movimento storico, regolando il tempo umano in "corsi e ricorsi". Oggi, in tempi di "presentismo" e in una società attraversata da flussi imponenti di mobilità, la comunicazione storica risulta sempre meno efficace nella riconferma dell'appartenenza (territoriale, etnica, politica). Siamo nell'epoca della storia "progressiva", in cui si vive tutti sul filo di un calendario 166
lineare che ci impone di procedere avanzando con sistematicità. Il "senso" di questo movimento non viene allora dato dalla "tradizione" espressa da un determinato e stabile ambiente sociale (a carattere tribale, familiare, agrario, protoindustriale, ecc.) bensì dalla "memoria". Ciò che definiamo, tra di noi, "dovere" di memoria costituisce in realtà una scelta "per" la memoria: nell'atto del "ricordare" si manifesta una "necessità" interpretativa del nostro presente. Di più. Quel medesimo atto di rammemorazione, quando sa coniugare il soggetto individuale all'esperienza collettiva, diviene una risorsa personale e un "sapere" sociale. Partners istituzionalmente diversi si sono incontrati, grazie al Seminario, interrogando si sulla crescente domanda di senso storico che investe il nostro presente quotidiano. Ciò implica - e questo è apparso chiaro a tutti gli intervenuti - un problema di verifica dell'efficacia negli interventi svolti da ciascuno, a partire dalla domanda: "Come comunicare memoria"? Su questo piano è possibile unificare l'ampia e frastagliata azione di associazioni, istituti e fondazioni che si sono dati come mission la salvaguardia e la comunicazione ai giovani dell' esperienza storica antifascista europea. Si tratta di una memoria costitutiva e operante nell'Europa del citoyen, antirazzista e multiculturale. Il costante richiamo alle persecuzioni perpetrate in nome della razza dai fascismi e dal nazismo, sino allo scatenamento della seconda guerra mondiale, mantiene questo preciso significato: ogni azione discriminatoria verso il singolo soggetto costituisce un'offesa sociale al comune sentimento di cittadinanza. Istoreco ha tradotto in italiano il catalogo della mostra realizzata a Moringen da Martin Guse e Andreas Kohrs e sta ora proponendolo alla rete degli istituti storici in Italia. Nella quarta di copertina del catalogo c'è una frase che ben riassume l'approccio prescelto: "In questa microstoria, contestualizzata nella macrostoria, riscontrate dei meccanismi di discriminazione che, in forme diverse, sono presenti anche oggi". Si è così inteso "attualizzare" eventi ed esperienze "altre" in chiave formativa, mirando dritto al soggetto: micro versus macro, oggi versus ieri. Nel pensare un'iniziativa che dovesse accompagnare, e dunque interpretare, una ricorrenza significativa come il 60° delle leggi razziali varate dal fascismo italiano, indubbiamente ha agito in noi anche una sorta di imperativo morale pedagogico: la "salvaguardia" della memoria. Per la buona comprensione di questa proposta - che, in effetti, sta ricevendo una certa fortuna grazie alla circolazione tra istituti storici e Assessorati alla cultura - è stato ed è fondamentale un approccio non moralistico (che suonerebbe un po' così: "guardate cosa accade, se dimenticate ..."), né semplicemente "esemplare" (del tenore: "ecco a voi gli errori sconosciuti ..."). Si è concepito questo approccio in quanto "paradigmatico". E' stata così suggerita una riflessione critica, sotto il profilo etico, insieme salvaguardando scale di comparazione e di raffronto. La propedeutica del "tabù", per quanto comprensibile sotto l'aspetto morale, denuncia grandi e irreparabili carenze dal punto di vista formativo. Libertà di memoria a nostro avviso significa offrire a ciascun soggetto, e soprattutto ai più giovani, gli strumenti per costruirsi i propri sistemi simbolici di riferimento e di autorappresentazione. La memoria, infatti, è una risorsa scarsa, facilmente deperibile, ma anche - sia pure per strade tortuose e sovente poco intellegibili - rinnovabile.
Di quale strumentazione, metodologica e politica, abbiamo bisogno per comunicare memoria? Dal punto di vista della metodologia della ricerca storica, tengo qui a segnalare che - a partire dagli anni Settanta -l'attenzione alla soggettività (e alla sociabilità) ha raggiunto risultati importanti grazie agli apporti della "microstoria", della "storia orale", della "storia di genere". In questo "riconoscimento" del valore inalienabile dell'esperienza personale - come della cultura di ogni comunità, e perciò del diritto primario a formarsi e a difendere la propria memoria - ritrovo, prima del pronunciamento di qualsivoglia giudizio di merito, 167
il significato universale delle variegate Resistenze europee. Vale qui un'ulteriore considerazione, su quel che l'esperienza della seconda guerra mondiale può rappresentare per il nostro presente, specie in Europa. E si tratta, lo ribadisco, di una questione di scelta meditata e autoriflessa, non di generica e astorica eredità tradizionale. Chi può pensare che oggi, nel Novecento - il secolo/millennio che si chiude secondo convenzione, ma ugualmente con un fortissimo senso di vertigine vi siano tout court "buone" tradizioni condivise da salvaguardare? Vi sono state, certo, molte innovazioni buone (il voto alle donne, la tutela dell'infanzia, la cultura dei diritti umani). Ma si tratta, appunto, di discontinuità che si sono affermate grazie ai movimenti politici di lotta; che hanno meritato di tradursi in consuetudine politica ma, tutto sommato, non corrispondono ancora ad una tradizione condivisa. Quanto alle "buone" e "vecchie" tradizioni celebrate nell'Europa di fine Ottocento, due guerre mondiali le hanno spazzate via impietosamente: prima con la carneficina pagata con il sangue dell'Europa contadina, quindi con la terribile guerra civile europea inflitta dai fascismi dentro il corpo di ogni comunità, nazionale e locale, sino al concepimento della "soluzione finale". Da ciò, e non è mai scontato ricordarlo, il valore paradigmatico che si attribuisce universalmente all' ebraismo, in quanto memoria presente di un'Europa sopravvissuta alla peggiore tra le barbarie sinora conosciute. In questo nostro presente confliggono la logica dello sterminio di massa - biologico, etnico, culturale - e la capacità di resistenza del soggetto che vive, quand'anche gli sia negato il corpo, nella memoria cosmopolita delle generazioni che verranno. Qualora si valutino la storia ed il presente del vecchio continente, la mancanza di una rete europea per la trasmissione ai giovani della memoria delle persecuzioni (di ogni persecuzione, lasciando a ciascuno la possibilità di pronunciarsi nel merito con massima libertà di giudizio) risulta il frutto di una grave sottovalutazione, tanto più significativa nel quadro di un'Unione Europea che si propone di allargare - nello spazio e nei diritti - la sfera della comune cittadinanza. Va perciò configurato come un obiettivo di lotta: da perseguire contro ogni risorgente discriminazione, senza reducismi, convinti come siamo che l'identità sociale e culturale dell'Europa affonda, prima che altrove, nelle scelte di Liberazione operate tra il 1939 e il 1945. Questa Europa che ci piace immaginare più aperta e affratellata ha bisogno come il pane di quella che storici e antropologi - da più parti - chiamano "politica del riconoscimento" delle memorie. Delle memorie diverse e, persino, avverse: riconoscere significa volontà di ricordare la storia di ciascun soggetto e non rendere omaggio ad una generica entità collettiva; rendere a noi comprensibili le ragioni o i torti di ognuno; dare un nome e un cognome ad ogni vittima; restituire loro la voce per rendere a noi comprensibili e interpretabili - nel presente - le ragioni e i torti di ciascuno. 2. Il "lavoro della memoria": esperienze a confronto Al confronto reciproco intorno alle esperienze di lavoro con la memoria, già avviato sin dalla prima giornata, è stata dedicata una sessione specifica (la seconda: "Esperienze e buone prassi sul tema della trasmissione della memoria ai giovani") ma ha prodotto "ricadute" lungo l'intero seminario. Tre, in sostanza, sono i nodi problematici a cui si può ricondurre la vasta discussione: il "dovere" della memoria; l'efficacia riscontrata nelle modalità di trasmissione; la profondità di proiezione nel futuro. Il primo termine della questione riguarda la nozione di "dover'edella memoria. Nel primo dopoguerra - con la parziale eccezione del Portogallo e della Spagna, per i lunghi anni in cui si sono mantenute le dittature nazionaliste e fasciste - l'ambiente europeo marchiato a fuoco dall'esperienza sconvolgente dei fascismi e della guerra mondiale ha in qualche modo "formato" le nuove generazioni. Nell'arco degli anni Ottanta e Novanta, altre generazioni sono venute manifestando una quota di indifferenza, e per qualcuno di refrattarietà, nei confronti della memoria "pubblica" fondata sulla convenzione antifascista. Tali manifestazioni solo raramente sono sfociate in aperta rivendicazione 168
neofascista e razzista, ma sono proprio questI I casI 1ll cui è possibile - ed ancora "doveroso" - prendere posizione (come sta dimostrando, in questi mesi, la reazione nei confronti del governo austriaco sostenuto dal leader nazional-liberale Jorg Haider). Come reagire, allora, di fronte ad atteggiamenti come quello riassunto da Heribert Fachinger, laddove un giovane nipote di ebrei sterminati ad Auschwitz giunge esplicitamente ad affermare: "Che c'entro io? Non mi riguarda. Perché debbo assumermi quella storia?". Questa disposizione d'animo - secondo quanto riportato da diversi partners - si ritrova tra i giovani con sempre maggiore diffusione, ed equivale ad un' esplicita rinuncia ad assumersi la responsabilità di quella memoria. Tra gli intervenuti, soprattutto Fachinger e Guido Pisi hanno allora suggerito l'esigenza di studiare e comparare le diverse modalità di trasmissione familiare della memoria esistenti in Europa. Basti dire che, mentre in varie culture si parla di "memoria", in tedesco si preferisce "ricordare". La differenza risulta evidente. Trasmettere memoria è un "atto sociale"; viceversa, si "ricorda" solo ciò che si è vissuto, dunque per la tradizione culturale germanica il ricordo resta un fatto privato, o comunque non prelude ad una pubblica condivisione, propria di un'esperienza comune. Tali considerazioni indicano, in particolare, la necessità di riconsiderare i rapporti esistenti tra la famiglia e la scuola, per la funzione che assolvono tra i più giovani in qualità di "centrali" di riproduzione della memoria. La necessità di una configurazione "pubblica" nella trasmissione di memoria è stata individuata da altri partners nella scelta e cura di "depositari" esterni all'ambiente familiare, o comunque disposti a farsi "testimoni". Laddove la cornice della famiglia risulta tanto rigida da provocare piuttosto autocensura, occorre intervenire per spostare il "ricordo" al livello di un confronto infragenerazionale capace di innescare la circuitazione tra le "memorie". Al di là del tasto su cui si spinge, è insomma apparso chiaro a tutti gli intervenuti che l'affidarsi al "dovere" di memoria risulta essere oggi una strategia debolissima. La discussione si è così spostata sui criteri con i quali valutare l'efficacia dell'intervento "pro" memoria. Julius Krizsan si è chiesto, riassumendo una preoccupazione diffusa: "Che cosa faremo quando non ci saranno più i testimoni?". Il confronto, serratissimo, ha consentito di illustrare la varietà sperimentale delle prassi inaugurate in questi ultimi anni. Alla nozione di "monumento", in particolare, è venuta sostituendosi quella di "luogo" di memoria: si va sempre meno, anche nei confronti di un "oggetto" martire - evento o manufatto - a "rendere omaggio". Tale modalità, propria di chi ricorda per "dovere", è infatti prerogativa soprattutto di chi "ha vissuto" e perciò già "sa"; ma appare irreparabilmente "altra", o comunque troppo silenziosa e inesplicabile, per chi non ha "avuto" diretta esperienza del martirio. L'approccio topologico alla memoria consente di riprogettare, alla propria misura, un percorso di avvicinamento all'oggetto storico, e infine ne fa un "luogo" di scoperta con diretta ripercussione sulla coscienza, nel presente. Il cuore della riflessione personale, allora, diventa: "Che c'entrano con me Auschwitz, Bergen Belsen, Fossoli ... ?". Per sollecitare la ricerca di luoghi come questi occorre offrire buona informazione ed anche fare promozione. La tendenza registrata volge alla diminuzione delle visite guidate e all' aumento degli stages, ciò che significa mettere in campo capacità "formative" e risorse organizzative sempre più impegnative; viene differenziata anche l'offerta delle visite guidate, per avvicinarla ad un'utenza a sua volta affamata di "domande" inedite; infine, laddove è possibile, vengono attrezzati campi estivi per consentire il confronto e l'aggregazione multiculturale attorno a temi precisi. In tutti questi casi, il tentativo è quello di "soprendere" il visitatore, specie se giovane, proponendogli - attraverso il lavoro documentario sui "dettagli", ma anche sulla "testimonianza" - di procedere insieme nella scoperta dell'oggetto storico in esame (nei casi esposti: la natura del sistema concentrazionario nazista, la vita di Anne Frank). Matthias Durchfeld ha ben sintetizzato la triplice scelta adottata per promuovere ed 169
accompagnare i gruppi tedeschi che fanno visita in Emilia: dei luoghi, quindi del "dove" comunicare memoria; del tema, quindi del "come" parlare di giovani per parlare ai giovani; e del punto di attacco (il "dettaglio"), privilegiando la quotidianità e l'amore piuttosto della politica (che semmai resta un punto di arrivo). Sempre ai fini di provocare nei più giovani diretta esperienza della "memoria", Norbert Hinterleitner ha illustrato una modalità di trasmissione contemplata nella proposta di visita alla Casa di Anne Frank ad Amsterdam, che consiste nell'utilizzo di giovani che guidano altri giovani. Su questo punto, in effetti, non si è raggiunta una sintesi: alcuni partners, soprattutto quelli che progettano abitualmente politiche giovanili, hanno sottolineato l'efficacia di un simile intervento; altri, più legati all'attività storiografica, hanno sollevato serie obiezioni di metodo, paventando nella perfetta identificazione generazionale il rischio di innescare un "corto circuito" della memoria. La posizione di stallo è stata superata spostando il piano del confronto dalla prassi all'orizzonte prospettico in cui inserire il "lavoro della memoria" cui attende ogni partner. Il problema di fondo, ha sottolineato Nadia Baiesi portando un esempio concreto, non è quello del "buon" funzionamento della trasmissione: quando c'è un Vittorio Foa (personaggio piuttosto noto in Italia per la lunga militanza antifascista, resistenziale, sindacale) gli incontri con gli studenti hanno sempre funzionato benissimo, eppure lui stesso non manca di ricordare che la sua testimonianza «può piacere, come piace un film, ma resta incomparabilmente "altra" dai giovani». Serve allora la consapevolezza della frattura tra passato e presente, come di un dato "irreparabile" e insieme "necessario", per poter "scegliere" che cosa va "dimenticato". La storia e la memoria, per quanto siano beni delicati e deperibili, diventano suscettibili di essere incentivati e riprodotti. Certo, non si tratta di lavorare a tavolino: è proprio il processo di trasmissione della memoria a costituire il modo e il momento in cui si produce storia. Aprire al futuro significa abbandonare i modelli chiusi di appartenenza per lavorare sull'inedito. Nora Sigman ha chiamato al "rispetto", nella trasmissione della memoria, sia per le generazioni che raccontano sia per quelle a cui si racconta; e questo rispetto va, evidentemente, contro ogni "dovere" (cioè "obbedienza") di memoria. Bisogna insomma lasciar parlare i ragazzi; fare in modo che siano protagonisti e non ricettori passivi, all'interno di una definizione esplicitamente "relazionale" (dunque adattabile) del ricordo, finalmente in grado di contemplare il "conflitto" generazionale come espressione di un'attenzione reciproca, dunque di una tensione positiva. L"'irruzione" dei giovani, in quanto soggetto protagonista e non più solo "oggetto" misterioso da comprendere ed orientare, è avvenuta in corrispondenza della m Sessione, dedicata alle "Politiche per le minoranze". Andreas Kohrs ha voluto richiamare alla prudenza nell'uso delle categorie con cui si definisce l'utenza: in Germania - secondo la sua esperienza - la storia a scuola ha funzionato poco, mentre il discorso sulla "memoria" per dimostrarsi efficace necessita la rivalutazione delle culture giovanili (la musica, i fumetti, i viaggi culturali), e pone ad esempio gli immigrati nella posizione privilegiata di "nuovi" testimoni di storia. Quest'ultima considerazione è stata ripresa da Antonio Zambonelli: ritornando sulla Sinagoga di Reggio Emilia, ha sottolineato come la condizione di "assenza" contribuisca a fame un "monumento" per la convivenza multi culturale nel presente e, proprio perciò, un luogo "autentico" dove si rende manifesta la possibilità di far scattare il racconto (diverso) di ciascuno. L'intreccio tra condizione giovanile ed ethos multiculturale - in quanto brodo di coltura costitutivo delle identità e memorie collettive - è stato colto e valorizzato in vari interventi, da angoli geostorici e prospettici diversi (tra gli altri, Loli Martinez da Bilbao, Deborah Krieg da Francoforte, Eva Holpfer da Vienna, Karel Rozec da Terezin). 3. Il ventaglio delle soluzioni avanzate La N e ultima Sessione è stata rivolta alla formulazione di "Proposte per la costruzione di una strategia di informazione comune". I nodi posti in evidenza nel corso delle tre 170
giornate sono stati sintetizzati da Marco Mietto, il quale ha insistito sull'importanza di ritrovarsi tra persone che operano - sia pure con le diverse modalità esposte - in luoghi di "produzione" della memoria, quindi in luoghi dove le tradizioni civiche e politiche si riproducono e/o modificano. Il passaggio non è banale, quando solo si pensi che nel corso del Novecento i più grandi "inventori" di moderne tradizioni politiche sono stati i fascismi, e che con l'esperienza fascista - direttamente e per il tramite della memoria - ci si ritrova in Europa a fare quotidianamente i conti. La medesima valutazione intorno ai "numeri" fatti circolare tra i seminaristi, a proposito delle visite e dell'utenza con la quale si entra in contatto nei vari "luoghi di memoria", si è così prestata ad un dibattito nel merito della saldezza e delle prospettive future di una "memoria presente" europea che - nonostante simboli e memorie "condivise", a cominciare da Anne Frank - rimane estremamente fragile e fortemente condizionata dal rapporto intrattenuto con la vicenda della seconda guerra mondiale. Proprio questo genere di considerazioni ha generato, infine, una notevole aspettativa nei confronti di un possibile network incentrato sulla triade "Memoria/GiovanilDiritti Umani". "Mettersi in rete" serve, evidentemente, per far meglio circolare le cose che già si fanno, ma anche per produrre, consapevolmente, memoria storica "per" l'Europa della cittadinanza democratica e antirazzista. In questa direzione, sono state enumerate alcune "azioni" da avviarsi nel futuro, a breve come a lungo termine. Eccone un elenco: - socializzare la memoria dell'antifascismo (Julius Krizsan); - lavorare con i giovani esclusi dai processi sociali di comunicazione (Andreas Kohrs); - produrre uno studio comparato sul razzismo, mettendo al centro la relazione evidentemente culturale e politica piuttosto che etnica - tra vittime e carnefici (Luca Pes); - tematizzare dal punto di vista metodologico il "lavoro della memoria" in quanto base comune di espressione della cittadinanza (Maria Nella Casali); - comparare le modalità di insegnamento della storia (Cesare Grazioli); - coniugare le memorie con le politiche giovanili, ponendo al centro l'incontro multiculturale e i diritti delle minoranze (Loli Martinez); - incentivare lo scambio intraeuropeo, specie con l'Est, per salvaguardare le reciproche identità collettive mentre se ne rafforza la comune prospettiva democratica (Karel Rozec).
Das Europa der Anne Frank Uberlegungen zu Jugendlichen, Erinnerung, Menschenrechte [Ùbersetzung von Steffen Kreuseler]
Einleitung Das Seminar fand seinen symbolischen Beginn beim Besuch der alten Synagoge in Reggio Emilia. Es handelt sich hierbei um ein Mitte des 19. Jahrhunderts errichtetes Gebaude im Herzen des ehemaligen jiidischen Ghettos unweit der Via Emilia. Auf Initiative der Stadt Reggio Emilia und der Jiidischen Gemeinde von Modena (in Reggio gibt es momentan nicht geniigend Juden, um eine Gemeinde wieder aufzubauen) wird das Gebaude heute rekonstruiert. Die Synagoge wurde von den Nazifaschisten gepliindert, dann im Laufe der Kriegsbombardements beschadigt und nach dem Krieg lange Zeit als Garage genutzt ... Das Denkmal Synagoge, das schon viele Beleidigungen durch die Menschen und die Zeit erduldet hat, zeugt mit seinen Wunden vom Leben einer Gemeinschaft, das wir uns heute nur mehr vorstellen konnen. Es ist jene Stille, die uns die historische Erfahrung jiidischen Lebens in Reggio Emilia verdeutlicht. Bei der BegriiBung der Seminarteilnehmer wollte Istoreco genau diese symbolische 171
Bedeutung unterstreichen. Die Synagoge erinnert an die Abwesenheit dessen, was war und was jetzt nicht mehr ist, oder in nicht messbarer GroBe im Vergleich zur Vorkriegszeit vorhanden ist. Um unsere Gegenwart zu leben oder besser, ihr Stimme und GefUhl zu geben, ist es notwendig, eine Politik der Anerkennung zu betreiben, die Anerkennung der Erinnemngen, die dieses von der Erfahmng des faschistischen Krieges "gespaltene J ahrhundert" durchquert haben. 1. Der methodische Ansatz Der Rahmen, in dem die Diskussion begann, umfasste die Erinnemngspolitik in der Jugendarbeit. Das gemeinsame Medium ist die direkte Erfahmng der verfolgten Jugendlichen, eine Erfahmng, die in der tragischen Geschichte Anne Franks symbolisch vereint ist: als Jiidin in Deutschland verfolgt, als Illegale in Amsterdam gesucht, als junges Madchen in der heutigen Erinnemng lebendig. Der erste Tag (Thema: "Die Weitergabe der Erinnemngen verfolgter Jugendlicher an Jugendliche") wurde der Darstellung der gemeinsamen "Probleme" gewidmet. Istoreco, als Organisator, hatte die Aufgabe, eine Einleitung zu "Themen und Probleme" zu geben und dabei natiirlich auf die eigene langjahrige Erfahmng zUrUckzugreifen und einzugehen. Zuallererst solI die Entscheidung dieses Instituts unterstrichen werden, sich gleichzeitig mit Forschung, Didaktik und Verbreitung der Geschichte zu besch1iftigen. Bei der Beschaftigung mit einer so facettenreichen Thematik - mit historischer Forschung als wissenschaftliche Disziplin, mit Geschichtsunterricht als Bildungsprozess, der sich institutionell auf Jugendliche bezieht, der Erarbeitung historischen Materials, das sich an alle "Biirger" richtet - hat man Stiick fUr Stiick verstanden, dass es ein weitverbreitetes Verlangen nach "Geschichte" gibt, das aber zumeist unbefriedigt bleibt. Der historische Stoff erscheint absolut nicht anachronistisch, wie allzugem in den Medien und von den Erfindem der "Jugendproblematik" behauptet wird. Die Art der Erstellung und Weitergabe historischen Wissens reicht oft nicht aus, auf die Fragen nach dem "Sinn", die jeder von uns in Bezug auf die eigene Gegenwart formuliert, zu antworten. In den vergangenen Jahren wurde daraufhin eine Reihe von Uberlegungen und Forschungen begonnen, die sich insbesondere auf den Geschichtsunterricht in den Gymnasialstufen beziehen. In einer ersten Aktion wurden die LehrerInnen zu ihren Gedanken und vor allem zu ihren Erwartungen und Wiinschen hinsichtlich der fUr sie personlich notwendigen Weiterbildung befragt. Die Nachforschung wandte sich dann an die Schiilerinnen und Schiiler der Oberstufe: Um zu erfahren, we1chen "Sinn" die Jugendlichen dem Geschichtsunterricht beimessen, wurden sie zu ihren eigenen Erfahrungen im Unterricht befragt. Es handelte sich um einen doppelten Ansatz, denn es ist nicht so sehr die Geschichte an sich, die uns interessiert, sondem die Art und Weise ihrer Weitergabe: Es besteht ein methodischer Aspekt hinsichtlich der Effektivit1it unserer Arbeit, aber es ist nicht weniger wichtig, auf die Ausbildung derer, die den Lemprozess begleiten, acht zu geben. Es scheint, um es mit anderen Worten auszudriicken, dass beim historischen Lemen eine Frage besonders wichtig ist: "Woran wollen wir erinnem?" Das stellt uns alle vor ein Problem. We1che Institutionen entscheiden heute iiber die Nachfrage nach Erinnemng: die Schule, die Medien, die Regiemngen, die politischen Parteien, die Familie ... ? Die ausgesprochene "Ablehnung" der Geschichte seitens der Jugendlichen - im Laufe der Umfrage jedoch hat sich diese Verhaltensweise eher als eine drangende, da weit verbreitete Fordemng nach Anleitung herausgestellt - ist also eine entscheidende Herausfordemng: Sie fordert die Wissenschaft und die Methodik des historischen Arbeitens, aber auch die Ethik in unserem Wirken. Vor allem, wenn man sich "fiir" die Erinnemng einsetzt, bedeutet die Rekonstmktion einer Geschichte, einer Geschichte, die einer anderen Erinnemng entspringt, bedeutende Entscheidungen zu fallen, die mit den kollektiven Erinnemngen und den sozialen Identit1iten in Zusammenhang stehen. Das 172
"historia magistra vitae" hatte einen prazisen Sinn innerhalb des philosophischen Rahmens, we1cher den zyklischen Ablauf der historischen Bewegung beschrieb und somit die menschliche Zeit in "Kreislaufe" einteilte. Heute, zu einer Zeit, die im Jetzt verhaftet ist, und in einer Gesellschaft, die von beeindruckenden Mobilitatsfltissen durchzogen wird, stellt sich die historische Kommunikation als immer weniger wichtig ftir die Bestatigung von ZugehOrigkeitsgeftihl heraus (territorial, ethnisch, politisch). Wir befinden uns in der "progressiven" Geschichtsepoche, in dem wir uns alle nach einem linearen Kalender richten, we1cher uns dazu zwingt, immer weiter systematisch geradeaus zu gehen. Der "Sinn" dieser Bewegung entspringt also nicht der "Tradition", die Ausdruck eines bestimmten und festen sozialen Urnfelds ist (im Sinne von Stammen, Familien, Landwirtschaft, Frtihindustrie etc.), sondem der "Erinnerung". Das was wir, unter uns, als "Erinnerungspflicht" beschreiben, ist in Wirklichkeit eine Entscheidung "zur" Erinnerung: 1m Akt des "Erinnems" manifestiert sich die "Notwendigkeit", unsere Gegenwart zu interpretieren. Mehr noch. Derselbe Erinnerungsvorgang wird, wenn das individuelle Subjekt ihn mit der kollektiven Erfahrung zu verbinden weiB, zu einem personlichen Schatz und sozialem "know how" werden. Partner verschiedener Institutionen haben sich dank des Seminars getroffen und sich der Frage zum wachsenden Verlangen nach historischem Sinn, die unseren heutigen Alltag bedrangt, gestellt. Das schlieBt auch ein Problem mit ein - und dies war ftir alle Diskussionsteilnehmer klar -, dass wir die Effektivitat der von jedem von uns geleisteten Arbeit, ausgehend von der Frage "Wie tibertragt man Erinnerung?", tiberprtifen. Auf dieser Ebene kann man die weitgehenden und differenzierten Aktivitaten der Vereine, Institute und Stiftungen verifizieren, die sich selbst als Mission die Wahrung und die Weitergabe der historischen europaischen antifaschistischen Erfahrung an Jugendliche gesetzt haben. Es handelt sich um eine grundlegende und gtiltige Erinnerung im antirassistischen und multikulturellen Europa der Btirger. Der fortlaufende Verweis aut die von den Faschismen und vom Nazismus im Namen der Rasse vertibten Verfolgungen bis hin zur Entfesselung des Zweiten Weltkrieges, bewahrt diese bestimmte Bedeutung: Jeder Akt von Diskriminierung eines einzelnen Subjekts ist eine soziale Beleidigung gegen das gemeinsame staatsbtirgerliche Empfinden. Istoreco hat den Katalog der in Moringen von Martin Guse und Andreas Kohrs erstellten Ausstellung ins Italienische tibersetzt und bietet sie nun dem Netz der italienischen Institute ano Auf der vierten Umschlagseite des Katalogs steht ein Satz, der den gewahlten Ansatz gut zusammenfasst: "In dieser kleinen Geschichte, die in den Kontext der groBen Geschichte eingeftigt ist, werdet ihr die Diskriminierungsmechanismen wiederfinden, die in abgeanderter Form auch heute wirken." Auf diese Weise wurde versucht, "andere" Ereignisse und Erfahrungen bildlich zu "aktualisieren", die direkt auf den Betrachter abzielen: kleine Geschichte versus groBe Geschichte, Gegenwart versus Vergangenheit. Bei dem Gedanken an eine Initiative, die den bedeutenden 60. Jahrestag der vom italienischen Faschismus erlassenen Rassegesetze begleiten, also interpretieren sollte, hat in uns zweifellos auch eine Art moralisch-padagogischer Imperativ gewirkt: die "Wahrung" der Erinnerung. Um diesen Vorschlag richtig zu verstehen, war und ist kein moralistischer Ansatz (der in etwa so klingt: "Seht, was passiert, wenn ihr vergesst ... ") und auch kein einfach "exemplarischer"Ansatz (nach dem Motto: "Hier habt ihr die unbekannten Fehler der Vergangenheit. .. "), erforderlich. Es wurde ein "paradigmatischer" Ansatz entwickelt, um unter ethischen Gesichtspunkten kritisches Nachdenken zu fOrdem, stets vergleichende MaBstabe wahrend. Die unter moralischen Gesichtspunkten verstandliche Vermittlung eines "Tabu" legt groBe und nicht wieder gut zu machende Mangel offen. Die Freiheit der Erinnerung bedeutet nach unserem Empfinden, jedem Individuum, vor allem aber den Jtingsten, Mittel und Moglichkeiten anzubieten, um sich eigene symbolische Bezugs- und Selbstdarstellungssysteme zu schaffen. Erinnerung ist in der Tat ein sparliches und leicht verderbliches Gut, aber auch emeuerbar. 173
Welcher methodischer und politischer Mittel miissen wir uns bedienen, um Erinnerung weiter zu geben? !eh machte darauf hinweisen, dass seit den siebziger Jahren hinsichtlich der Methodik in der Geschichtsforschung die der Subjektivitat (Sozialitat) verstarkt gewidmete Aufmerksarnkeit zu wichtigen Ergebnissen gefUhrt hat (Dank der Beitrage aus der "Mikrogeschichte", der "orai history" und der "Geschiechtergeschichte"). In dieser "Anerkennung" der unverauBerlichen Werte persanlicher Erfahrungen - wie die Kultur jeder Gemeinschaft, und sornit das Grundrecht, sich zu biIden und die eigene Erinnerung zu verteidigen - finde ich, ohne dabei jegliches Urteii auszudriicken, die universelle Bedeutung der zahireichen europaischen Widerstandsbewegungen wieder. Es Iohnt, noch eine weitere Bemerkung dartiber zu machen, was die Erfahrung des Zweiten Weltkrieges fiir unsere Gegenwart, insbesondere fUr Europa, darstellen kann. Es handelt sich hierbei wiederum um eine gut durchdachte und seIbstbestimmte Entscheidung, und nicht um allgemeines und ungeschichtIiches traditionelles Erbe. Wer denkt denn, heute, im 20. Jahrhundert, gabe es "gute", allgemein giiltige Traditionen zu wahren? Ganz sicher gab es vie1e gute Innovationen (das Frauenwahirecht, den Schutz der Kinder, die Menschenrechtskultur). Aber es handelt sich hierbei um bestimmte Abschnitte und Erfolge, die dank des Kampfes politischer Bewegungen erreicht wurden, sie haben es verdient, zu politischen Gewohnheiten zu werden, aber alles in allem stellen sie noch keine aligemein giiltige Tradition dar. Genauso die "guten" und "schiechten", im Europa des 19. Jahrhunderts gefeierten Traditionen, we1che von zwei WeItkriegen rnitleidios hinweggefegt wurden: zuerst in dem Massaker, in dem das bauerliche Europa rnit seinem Blut bezahlte, und spater rnit dem schreck1ichen Biirgerkrieg, der in Europa jeder Gemeinschaft, egai ob nationaler oder 10kaIer, von den Faschismen aufgezwungen wurde, bis hin zur Pianung der "End16sung". Daher der paradigmatische Wert des Judentum, da es seIbst die gegenwartige Erinnerung eines Europa ist, das die schIimmste aller bisher bekannten Barbareien erlebt hat. In unserer Gegenwart steht die Logik der biologischen, ethnischen, kulturellen Massenvemichtung im Gegensatz zur Widerstandsfahigkeit des Individuums, das, auch wenn es keinen Karper mehr besitzt, in der kosmopolitischen Erinnerung zukiinftiger Generationen Iebt. Wenn man nun die Geschichte und Gegenwart des Alten Kontinents bewertet, stellt das FehIen eines europaischen Netzwerks fUr die Weitergabe der Erinnerung an die Verfolgungen (an jede Art von Verfolgung, jedem sornit die MagIichkeit Iassend, sich diesbeziiglich rnit der graBtmagIichen Meinungsfreiheit auszudriicken) an JugendIiche das Ergebnis einer schweren Unterschatzung dar, die im Rahmen einer Europaischen Union umso bedeutender ist, weii diese dabei ist, sich sowohi territoriai ais auch in Hinblick auf Menschenrechte zu erweitem. Es wird somit ein Kampfziel, das gegen jede aufkommende Art von Diskrirninierung zu verfolgen ist; in der Uberzeugung, dass die soziale und kulturelle Identitat Europas, mehr ais woanders, auf den in den Jahren 19391945 vollbrachten Entscheidungen fiir die Befreiung basiert. Dieses Europa, we1ches wir uns gem offener und brtiderlicher vorstellen, braucht so dringend wie das tagliche Brot, das, was Historiker und Anthropologen unterschiedIichster Herkunft die "Politik der Anerkennung" der Erinnerungen nennen. Der verschiedenen Erinnerungen, und SOgar der gegensatzIichen: Anerkennen bedeutet die Bereitschaft, Geschichte zu erinnem, Geschichte eines jeden Individuums, und nicht eine bestimmte kollektive GraBe zu ehren; sie bedeutet auch, uns die Beweggrtinde und erfahrenen Ungerechtigkeiten jedes EinzeInen begreiflich zu machen, jedem Opfer einen Vor- und Nachnamen zu geben, ihnen ihre Stimme zurtick zu geben, um uns heute, in der Gegenwart, ihre Beweggrtinde und erfahrenen Ungerechtigkeiten verstandlich werden zu Iassen. 2. Die "Erinnerungsarbeit": Erfahrungen im Vergleich Eine spezielle Sitzung war dem gegenseitigen Vergieich der "Erinnerungsarbeit" gewidmet, aber wahrend des gesamten Serninars gab es hinsichtlich dieses Themas immer wieder "Riickfalle". Es waren hauptsachIich drei Probiempunkte, auf die sich die 174
umfangreiche Diskussion sUindig bezog: die "Erinnerungspflicht"; die Effektivitat in der Art und Weise der Weitergabe der Erinnerung; die Projektionstiefe in die Zukunft. Der erste Punkt der Fragestellung betrifft die "Erinnerungspflicht". In der unmittelbaren Nachkriegszeit - mit der teilweisen Ausnahme von Portugal und Spanien, in den langen Jahren, in denen sich die nationalistischen und faschistischen Diktaturen gehalten haben - hat das von Faschismus und Weltkrieg erschiitterte Europa auf bestimmte Weise die neuen Generationen "geformt". 1m Laufe der 80er und 90er Jahre sind neue Generationen nachgeriickt und zeigen eine gewisse Gleichgiiltigkeit in Bezug auf die "offentliche" Erinnerung, we1che auf antifaschistischen Konventionen fuBt. Diese Bekundungen miinden nur selten in offen neofaschistische und rassistische Bekenntnisse (aber gerade das sind die Falle, in denen es moglich und auch "notwendig" ist, Position zu beziehen, wie es in diesen Monaten die Reaktionen auf die osterreichische Regierung, we1che vom national-liberalen Jorg Haider unterstiitzt wird, zeigen). Wie reagiert man denn am besten aufVerhaltensweisen wie jene von Heribert Fachinger geschilderte, als der junge Enkel in Auschwitz ermordeter Juden dahin kommt zu sagen: "Was geht mich das an? Das betrifft mich nicht. Warum sollte ich mich mit dieser Geschichte belasten?" Wie von mehreren Partnern bestatigt wurde, findet sich dieser Seelenzustand immer haufiger bei Jugendlichen und kommt damit einer Ablehnung gegeniiber der Verantwortung fiir diesen Teil der Erinnerung gleich. Vor allem Fachinger und Guido Pisi (Parma) waren es, die auf die Notwendigkeit hingewiesen haben, die verschiedenen Arten und Weisen der Weitergabe der Erinnerung innerhalb der Familien in Europa zu studieren und zu vergleichen. Es geniigt in diesem Zusammenhang darauf hinzuweisen, daB in verschiedenen Kulturen vom "sich erinnern" gesprochen wird, wahrend man in Deutschland lieber vom "etwas gedenken" spricht. Dieser Unterschied scheint grundlegend zu sein. Gedenken ist ein "sozialer Akt"; umgekehrt erinnert man nur an das, was erlebt/gelebt wurde, das heiBt, fiir die deutsche Kultur bleibt das Erinnern ein rein privater Fakt, es deutet zumindest nicht auf eine allgemein geteilte, gemeinsame Erfahrung hin. Diese Betrachtungen weisen auf die Notwendigkeit hin, das Verhaltnis zwischen Familie und Schule auf ihre Funktion als "Reproduktionszentren" der Erinnerung gegeniiber den Jiingsten erneut zu iiberdenken. Der Notwendigkeit der Weitergabe VOTI Erinnerung eine "offentliche" Form zu geben, ist von anderen Partnern festgestellt worden bei deren Pflege und Entscheidung fiir "Erinnerungstrager" auBerhalb des familiaren Bereichs, oder zumindest "Erinnerungstrager", die bereit sind, sich zu "Zeitzeugen" machen zu lassen. Dort, wo der familiare Rahmen zu fest ist und eher Selbstzensur provoziert, ist es notwendig einzugreifen und die "Erinnerung" auf eine Ebene zu stellen, die Auseinandersetzungen zwischen den Generationen ermoglicht und den Kreislauf zwischen den Erinnerungen aktiviert. Fiir alle Teilnehmer ist jedenfalls klar geworden, daB die Strategie, sich auf die "Erinnerungspflicht" zu verlassen, wenig Aussicht auf Erfolg hat. 1m folgenden hat sich die Diskussion auf die Bewertungskriterien in Bezug auf die Effektivitat des eigenen Wirkens "fiir" Erinnerung verlagert. Eine weit verbreitete Befiirchtung aufgreifend, hat Julius Krizsan sich gefragt: "Was werden wir tun, wenn es einmal keine Zeitzeugen mehr gibt?" Der sehr angeregte Austausch hat die Darstellung der zahlreichen, in den vergangenen Jahren eingefiihrten, experimentellen Praxen ermoglicht. An Stelle des Begriffs "Denkmal" trat "Gedenkstatte": selbst an "Martyrerplatzen" wird immer weniger "geehrt". Dieses Vorgehen derjenigen, die aus "Pflicht" erinnern, ist in Wirklichkeit ein Vorrecht derjenigen, die "erlebt" haben und deshalb schon "wissen"; aber es erscheint denjenigen, die keine direkte Erfahrung mit dem "Martyrium" gemacht haben, viel zu weit weg, oder zumindest zu unwirklich und unerklarlich. Das ortsbezogene Herangehen an Erinnerungsarbeit erlaubt die Planung eines maBgeschneiderten, langsamen sich Annaherns an das historische Objekt und macht daraus am Ende einen "art" der Entdeckung mit direkter Auswirkung auf das eigene Gewissen, auf die Gegenwart. Der Kern personlicher Reflektion wird also: "Was haben Auschwitz, Bergen-Belsen, Fossoli ... mit mir zu tun?" 175
Um die Entdeckung so1cher Orte zu beschleunigen, mlissen angemessene Informationen gegeben und Werbung gemacht werden. Die zu verzeichnende Tendenz weist in Richtung Abnahme der gefUhrten Besuche und Anstieg der Projekttage, das bedeutet, daB mehr "Bildungsmoglichkeiten" und immer aufwendigere organisatorische Fahigkeiten bereitgestelIt werden mtissen; auch werden verschiedene Arten von Ftihrungen angeboten, um sie den jeweiligen Erfordemissen anzupassen, es werden Sommerlager durchgeftihrt, we1che die Beschiiftigung mit speziellen Themen und gleichzeitig multikulturelles Zusammenleben ermoglichen. In alI diesen Fiillen wird versucht, den Besucher zu tiberraschen. So wird insbesondere jungen Besuchem die Entdeckung des historischen Objekts mittels eigener Dokumentationsarbeit tiber "Details", aber auch tiber "Zeitzeugnisse" angeboten (in den erwillmten Ftillen: die Beschaffenheit des nationalsozialistischen Konzentrationslagersystems, das Leben von Anne Frank). Matthias Durchfeld hat gut zusammengefasst, auf we1che Kempunkte man sich bei der Betreuung der Jugendgruppen konzentriert, die in die Emilia kommen: auf die Orte, also auf das "wo" tiberrnittelt man Erinnerung; auf das Thema, also das "wie" spreche ich mit Jugendlichen tiber Jugendliche; und auf den Bezugspunkt (das "Detail"), und somit mehr auf AlItag und Liebe als auf Politik (so es denn tiberhaupt einen Zielpunkt gibt). Immer mit Bezug auf das Ziel bei den Jtingsten eine direkte Erfahrung mit "Erinnerung" hervorzurufen, wird im Anne-Frank-Haus in Amsterdam versucht, Jugendliche zu gewinnen, die bereit sind, andere Jugendliche durch die Ausstellung zu begleiten. Norbert Hinterleitner hat diese Vorgehensweise erlautert. Man ist in diesem Punkt aber zu keiner Einigung gekommen: Einige Partner, vor alIemjene, die gewohnheitsmaBig Jugendprojekte erstellen, haben die Effektivitat eines so1chen Vorgehens bestatigt; andere, mehr der Geschichtsforschung zugewandte, hatten emste methodische Einwande, birgt doch eine volIstandige Identifikation mit anderen Generationen das Risiko, einen "KurzschluB" in der Erinnerung zu bewirken. Diese Pattsituation wurde tiberwunden und die Diskussion vom praktischen Gesichtspunkt hin zu den Erwartungen gelenkt, in die es die Erinnerungsarbeit der Partner einzufUgen gilt. Nadia Baiesi hat hervorgehoben, das nicht das "gute" Funktionieren der Weitergabe der Erinnerungen das grundlegende Problem ist, und brachte dazu ein Beispiel: Wenn Vittorio Foa (eine Personlichkeit, die aufgrund ihres langen antifaschistischen, widerstandlerischen, gewerkschaftlichen Wirkens bekannt ist), an Treffen mit Schtilem teilnimmt, funktioniert das immer ganz hervorragend, obwohl er selbst stets daran erinnert, dass sein Zeugnis "gefallen kann, so wie ein Film gefalIt, aber dennoch fUr die Jugendlichen unvergleichlich fremd bleibt". Um auswlihlen zu konnen, was "vergessen" wird, braucht man deshalb das BewuBtsein tiber die Trennung von Vergangenheit und Gegenwart, wie von einem nicht zu reparierenden und gleichzeitig notwendigen Bruch. So werden die zerbrechlichen und leicht verderblichen Werte Geschichte und Erinnerung beflihigt, gefOrdert und wiedergegeben zu werden. Sicher, dabei handelt es sich nicht um die Arbeit am Planungstisch: Der Prozess der Weitergabe von Erinnerung ist die Art und Weise und der Augenblick, in dem Geschichte produziert wird. Sich der Zukunft zu offnen bedeutet, die festgefUgten Herkunftsmodelle auBer acht zu lassen und das Neuartige zu bearbeiten. Nora Sigman hat "Respekt" bei der Weitergabe von Erinnerung gefordert, sowohl fUr die Generationen, die erzahlen, als auch den Generationen gegenliber, denen erzahlt wird; dieser Respekt stelIt sich nattirlich gegen jede Erinnerungspflicht (d. h. "Erinnerungsgehorsam"). Man muss in jedem Fall die Jugendlichen reden lassen; einen Weg finden, der sie Protagonisten, nicht passive Empfanger sein lasst, und wir sollten endlich flihig sein, den Generationenkonflikt als einen Ausdruck gegenseitiger Aufmerksamkeit zu begreifen, also als eine positive Spannung. 1m Laufe der dritten Sitzung, die der Politik fUr Minderheiten gewidmet war, wurde viel tiber die Jugendlichen als agierende Subjekte und nicht mehr als mysteriose Objekte, die es zu verstehen und zu orientieren gilt, diskutiert. Andreas Kohrs hat zur Vorsicht im Umgang mit den Kategorien aufgerufen, mit denen man die "Zielgruppen" beschreibt: 176
Nach seiner Erfahrung hat der Geschichtsunterricht in der Schule nur wenig erreicht, um aber einen effektiven Diskurs iiber Geschichte fiihren zu konnen, miissen die Jugendkulturen aufgewertet werden (die Musik, die Comics, kulturelle Reisen). Er sieht die Immigranten als "neue" .geschichtliche Zeitzeugen in privilegierter Funktion. Letztere Einschatzung wurde von Antonio Zambonelli wieder aufgenommen: Nochmals an die Synagoge in Reggio Emilia erinnemd, betonte er, wie der Zustand der "Abwesenheit" dazu beitragt, aus ihr ein Denkmal fiir multikulturelles Zusammenleben in der Gegenwart zu machen. Gerade da der authentische Ort der geeigneteste Platz ist, eines jeden Geschichte aufzunehmen. Die Verkniipfung von Jugendkultur und multikulturellem Ethos als kulturelle Grundlage fiir Identitlit und kollektive Erinnerung, wurde in zahlreichen Beitragen von verschiedenen Personen und unter unterschiedlichen Gesichtspunkten angesprochen und bewertet (unteranderem Loli Martinez aus Bilbao, Deborah Krieg aus Frankfurt, Eva Holpfer aus Wien, Karel Rosezc aus Terezin).
3. Die Bandbreite der vorgeschlagenen Losungen Die vierte und letzte Sitzung widmete sich der Formulierung von "Vorschlligen fiir eine Strategie zur gegenseitigen Information". Die im Laufe der drei Tage zum Vorschein gekommenen Vorschlage wurden von Marco Mietto zusammengefasst. Er war es, der darauf bestanden hatte, dass sich Personen treffen, die, auf unterschiedliche Art und Weise, an Orten der"Schaffung" von Erinnerung wirken, also an Orten, in denen sich die zivilen und politischen Traditionen reproduzieren und/oder verandem. Dieser Gedankengang ist absolut nicht banal, wenn man bedenkt, dass die groBten "Erfinder" modemer politischer Traditionen im Laufe des 20. Jahrhunderts die Faschismen waren, und dass man sich bis heute direkt oder mittels der Erinnerung in Europa tagtliglich mit der Erfahrung im Faschismus auseinandersetzen muss. Die Beurteilung der Besucherzahlen und Fiihrungen in den verschiedenen Gedenkstatten hat zu einer Debatte iiber die Festigkeit und Zukunft einer heutigen europaischen Erinnerung gefiihrt, we1che trotz anerkannter Symbole und Erinnerungen, wie beispielsweise Anne Frank, extrem zerbrechlich und stark beeinflusst vom Verhaltnis zu den Geschehnissen im Zweiten Weltkrieg bleibt. Gerade diese Art von Einschatzung hat am Ende zu beachtlichen Erwartungen hinsichtlich eines moglichen Netzwerks iiber "Erinnerung, Jugendliche, Menschenrechte" gefiihrt. Sich zu vemetzen, dient ganz offensichtlich dazu, die Sachen, die man macht, besser bekannt zu machen, aber auch dazu, bewusst geschichtliche Erinnerung fiir ein Europa der demokratischen und antirassistischen Gesellschaften zu produzieren. In dieser Hinsicht sind einige Aktivitaten genannt worden, die sowohl in Kiirze, als auch auf langere Sicht hin in Angriff genommen werden konnten. Hier ein Ausschnitt der Liste: - die Erinnerung an den Antifaschismus sozialisieren (Julius Krizsan); - mit den Jugendlichen arbeiten, die von den sozialen Kommunikationsprozessen ausgeschlossen sind (Andreas Kohrs); - Erstellung einer vergleichenden Studie iiber Rassismus, in deren Zentrum das Verhaltnis (das kulturelle und politische statt ethnische) zwischen Opfem und Tatem stehen soll (Luca Pes); - aus methodischer Sicht die Erinnerungsarbeit als Basis fUr gemeinsame Ausdrucksweise der Biirger thematisieren (Maria Nella Casali); - die Lehrmethoden im Geschichtsunterricht vergleichen (Cesare Grazioli); - die Erinnerungen mit der Jugendpolitik vereinen und hierbei das multikulturelle Zusammentreffen und die Minderheitenrechte ins Zentrum riicken (Loli Martinez); - den innereuropaischen Austausch, insbesondere mit Osteuropa intensivieren, um die gegenseitigen kollektiven Identitliten zu wahren, wahrend die gemeinsamen demokratischen Perspektiven bekraftigt werden (Karel Rosezc).
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I Partner del progetto si presentano Die Projektpartner stellen sich vor Anne Frank Youth Center - Center for Intercultural Encounter The core interests of the Anne Frank Youth Center are the advancement of human rights and the promotion of understanding between different cultures, nations and religions. Anne Frank was born in Frankfurt on June 12 in 1929. The Frank family had already lived there for a long time when Nazis took power in 1933 and forced the Franks into exile. In Amsterdam they started to build up a new existence. In 1942, after German occupation of the Netherlands, the family had to go into hiding. Hidden in arear part of a house, Anne wrote her famous diary. In August 1944 their hiding-place was betrayed and Anne Frank was deported to Auschwitz. From there she was deported to the concentration camp Bergen-Belsen where she died from hunger and typhus. The story of Arme Frank refers to such topics as migration, escape from persecution and expulsion. However, c10sely connected with these problems are subjects such as racism, antisemitism and other forms of prejudice and discrimination (stereotyping and scapegoating) that hinder and threaten corporate life of different groups and cornrnunities. The Anne Frank Youth Center offers seminars and projects on aH these issues. The biography and the diary of Anne Frank constitute the points of departure and reference for our work. Her fate stands for aH victims of Nazi persecution and murder. The Anne Frank Youth Center wants to carry Anne's message, her hope for tolerance in the world. At the same time we want to remind the public of the Holocaust. The Anne Frank Youth Center · presents the exhibition "Anne from Frankfurt" composed by the Historical Museum ofFrankfurt in 1990 and develops pedagogical concepts for educational work in museums. · is currently establishing a reference library covering the subjects Jewish life in Germany, the history of National Socialism and the Holocaust, Racism, Antisemitism, as weH as useful pedagogical and political material. · organizes research-projects on the history of Jews and other minorities' life in Frankfurt. · organizes and supports visits to memorial sites, gives advice to those planning such visits and offers seminars on the history of National Socialism and the Holocaust. · conducts international meetings of young people from different nations. · develops concepts on intercultural and antiracist learning, organizes supportive training for the enhancement of democratic convictions (civil courage). · offers projects on conflict resolution and peermediation, and gives advice to schools and other institutions on conflict management. · participates in current discussions on conflicts and problems in immigration societies and develops pedagogical concepts within the thematic triangle of cornrnemoration, intercultural learning and human rights.
address: Jugendbegegnungsstatte Anne Frank (Anne Frank Youth Center), HansaaHee150 - 60320 Frankfurt am Main - Germany. tel.: 0049-69-5600020 - fax: 0049-69-56000250, e-mail:
[email protected] - internet: http://www.jbs-anne-frank.de contact person: Deborah Krieg
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The Anne Frank House The Anne Frank Foundation was established in 1957, by Otto Frank, and a group of friends and intellectuals with the aim to preserve the building n.263 ofPrinsengracht (where the members of the family Frank and their friends had spent two years in hiding between July 1942 andAugust 1944) and to propagate the ideals left as a legacy to the world in the "Diary of Anne Frank". The 3 May 1960 the Anne Frank House was inaugurated. The House endeavours to further advance the ideals expressed in the Diary by combating prejudice, discrimination, and oppression and by striving for a democratic society everywhere, both in form and content, as described in the "Universal DecIaration of Human Rights". Temporary exhibitions and debates have been organized on human rights, apartheid in South Africa, re-emergence of politica! extremism in Europe and racism. From the 1985 onwards, the Intemational Department of the Anne Frank House has organized two worldwide travelling exhibitions. The first intemational exhibition "Anne Frank in the World", was inaugurated in New York, 1985. The second, "Anne Frank, a history for today" is currently shown in many countries. The goal of these exhibitions is to keep alive the memory of Anne Frank and of the historical period when national Socialism was in power and to inspire people all over the world to become actively involved in defending freedom and human rights. contact: tel.: 0031-20-5567178 - fax: 0031-20-6389856 e-mail:
[email protected] Director of the Anne Frank House: Mr. Hans Westra. Head of the Intemational Department: Mr. Jan-Erik Dubbelman. contact person: Norbert Hinterleitner -
[email protected] e Maria Teresa Brancaccio -
[email protected]
International Youth Meeting Centre in Oswiecirn/Auschwitz The German poet Volker von T6me dreamed of a house where young people from different countries would come together to take up the challenge posed by the history of Auschwitz. He wanted to create a pIace for discussìon and dialogue, for criticaI evaluation of the past and presento After long years of effort to find politica! acceptance and financial support, the German organization Action ReconciliationiServices for Peace (Aktion SiihnezeichenIFriedensdienste) was able to realize T6me's vision. In the years since its festive opening on December 7, 1986, the anniversary of the German-Polish cooperation accord, the Intemational Youth Meeting Centre has hosted over 1100 groups from Germany, Poland, and other countries throughout the world. Our intemational staff has designed a range of seminars and intercultural programs for visiting youth groups and school cIasses. At the center of our work stands the history of Auschwitz with its meaning for the present and future. Our pedagogical team is made up of three Polish as well as a German pedagog and a couple of volunteers from Action ReconciliationiServices for Peace, Germany, Gedenkdienst, Austria, Peace Corps and Church of the Brethren, USA. Visiting groups can draw on their expertise in planning individualized, in-depth programs at the Youth Meeting Centre in Auschwitz.
Auschwitz as a Piace oJ Learning Dozens of buildings, thousands of originaI documents, objects, photographs, and artworks make it possible for the history of the camp and the fatesof its former prisoners to enter our imagination. 179
We need not only to grasp the extent of murder and torture, but also ask who was behind these crimes - who planned and executed them, who allowed them to happen or did nothing to prevent them. The confrontation with the people who suffered in Auschwitz, those who were killed and those who survived, demands that we face the issue of responsibility, both for the individual victims and groups who even today have to fight against discrimination. The knowledge of the political, social, and psychological processes which enabled something like Auschwitz to happen can help us understand and deal with current developments that echo the ideologies, language, and symbolism of National Socialismo The intensive confrontation with the history of Auschwitz offers the chance for us to develop greater sensitivity to the fate of our fellow humans - a first step toward shouldering our responsibility for the society in which we live. In this sense, Auschwitz provides a unique setting for us to leam about both the past and future. Activities at the International Youth Meeting Centre Located between downtown Oswiecim and the Museum of Auschwitz, the Youth Meeting Centre is made up of four bright, inviting pavillions surrounded by a large yard. The main building houses a forum and two seminar rooms for discussions, art exhibitions, theater and music performances, and free-time activities. A total of 35 rooms, divided between three separate buildings, can sleep up to 90 people. Each building is filled with comers and rooms where small groups can gather and ta1k. A library, along with a collection of videos enables visitors to deepen their knowledge about the history of Auschwitz. The yard provides a relaxing setting for campfires, games, and other activities.
adress: MDSMlIJBS ul. Legion6w 11, - 32-600 Oswiecim - Poland
tel.: 0048-33-8432107 - fax:· 0048-33-8433980 e-mail:
[email protected] - intemet:www.oswiecim.petex.com.pl contact person: Anja Postawska
Memorial Bergen-Belsen Chronology 1940 The army establishes a prisoner of war camp for 600 French and Belgian soldiers.
May 1941 The Camp is given the name, Stalag 311 (XI C). from July 1941 Arrival of an estimated 20.000 Soviet prisoners of war who are kept in the open and under extremely cramped conditions. Aprii 1943 A section ofthe camp is handed over to the SS: establishment of a "detention camp" (Aufenthaltslager) Bergen-Belsen for Jews who are intended for exchange against Germans held in intemment abroad. from March 1944 Establishment of a separate section of the camp for sick prisoners from other concentration camps 180
fromAugust 1994 ArrivaI of female prisoners especially from the concentration camp Auschwitz-Birkenau; some sent on to extemal concentration camp commandos. 3.11.1944 Margot und Anne Frank arrive from Auschwitz-Birkenau. January 1945 Dissolution of the prisoners of war campo from January 1945 Evacuation of tens of thousands of prisoners from concentration camps close to the front line to the concentration camp Bergen-Belsen. Extreme overcrowding of the campo Commencement of mass deaths. 15. ApriI 1945 Liberation of the camp by British troops. ApriJJMai 1945 Evacuation of the survivors to nearby barracks of the former German army, the Wehrmacht. To curb the risk of disease, the temporary huts of the Camp are bumt to the ground. ApriI 1990 Opening of extended and reorganised documentation centre and the new permanent exhibition. since 1991 The uncovering of the remains of buildings in the camp by youth organisations and school classes. Overall, Bergen-Belsen claimed the lives of about 50.000 prisoners of the concentration camp, and around 20.000 prisoners of war.
Information The Bergen-Belsen Memorial offers extensive Information: • a permanent exhibition on the history of the prisoner of war- and concentration camp Bergen-Belsen and of the overall history of the N ational Socialist system of persecution • an explanatory booklet on the permanent exhibition, published in severallanguages • special exhibitions • film shows • a library • guided tours for visiting groups by prior arrangement The Memorial ist visited by 300.000 people a year, one third from other countries.
address: Niedersachsische Landeszentrale ftir politische Bildung Gedenkstatte Bergen-Belsen - 29303 Lohheide - Germany teI.: 0049-5051-6011 - fax: 0049-5051-7396 contact person: Julius Kriszan
Theresienstadt Memoria} Short historical surrey: The Theresienstadt Memorial was founded in 1947 on the territory of the former Nazi 181
prison SmaIl Fortress and the former Jewish Ghetto Big Fortress at Theresienstadt near Litomerice, 60 km north of Prague. The MemoriaI was charged with searching alI the persecution acts in the Czech Republic. In addition to the department of history a new department was founded in 1993 - the department of education. In 1996 the Youth Meeting Centre of the Department of Education started its activities.
History of Small Fortress: The Small Fortress is an auxilliary fort of the Theresienstadt fortification system, situated about 1,5 km east of the main fort. It has been used from the very beginning as military prison. Till 1918 as a political prison, too. After the decline of the AstroHungarian Monarchy there was Czechoslovak military prison. During the war in 1940 a concentration camp was founded there. This camp existed there till the end of the war. About 35.000 prisoners of 17 nations passed through the campo History of Big Fortress: Big Fortress is the main part of the Theresienstadt fortification complex. Founded 1780 as a defence against the attacks of Prussian troops. In 19th century a large Austrian garrison town. In 1941 a transit ghetto for the Jews of Czechoslovakia. In 1942 Jewish transports from Germany, Austria, Holland and Denmark. 140.000 persons passed through Theresienstadt. Almost 90.000 were sent to the East. 35.000 died before the transports on the spot. 10.500 children up to 15 years of age were the victims of the Nazi persecution. Educational activities: In the Department 4 professional staff members carry out their working activities. 2 German and l Austrian volunteers help to care for the seminar groups. In the centre there is room for 40 seminar participants in a youth hostel with kitchen providing for catering. The participants can use for study copies of various documents from the archives of the Memorial. Their stays are mostly organised for 2-4 days. Sometimes there are only one day groups for the seminar stays. At the end of the stay the seminar groups develop a final report of their stays. address: Pamatnik Terezin Principova alej 304 - 41155 Terezin - Czech Republic tel.: 00420-416-782948 - fax: 00420-416-782245 e-mail:
[email protected] contact person: Karel Rozec
Die Volkshochschule der Ostkantone The Worker's and Social History project Project supervisor: Dr Herbert Ruland * Historical research * Documentation * Publication * Scientific consultancy for Film/TV and Radio Primary thematic features * "History from below" as the story of the common people rather than their rulers * "History of the working people" as the real-life history of working men and women in a state of dependance * "Local history" as a window onto the generally harsh everyday life of former times * "Regional history" as communicated by the fates of those directly concemed 182
Our Activities * The organization and holding of colloquia * Historical assistance to television and radio productions * Scientific publications * Antifaschist activity * Alternative guided tours of the town on the real "history of the textile industry" * The testament of eyewitness accounts / oral history Methodology * The localizing, accessing and study of sources * Eyewitness interviews and biographical study A necessary wishfor thefuture: The establishment of the "Sistenich-Weiss Institute", designed to serve as an archive "memory" of both individuaI eyewitnesses and social organizations from the Euregio. address: VHS Ostkantone NeustraBe 54 - 4700 Eupen -Belgium tel.: 0032-87-561754 - fax: 0032-87-558128 e-mail:
[email protected] director: Filip Dedeurwaerder contact person: Herbert Ruland
Jugendbuero Landkreis Northeim The youth-bureau is part of the youth welfare office which is located in the adrninistration ofthe district town ofNortheim (Germany). The task of the youth-bureau is to organize different programmes or to support local activities in the domain of youth work, youth exchange, protection of children and young persons and social work for the unemployed youth. Within the scope ofthis work and through the increase of right-wing radicalism and neofascism in this area during the last years the youth-bureau, often in collaboration with the Memorial of the Youth concentration Camp Moringen, forced activities (workshops, serninares, youth exchange, debates, lectures, exhibitions, concerts against racism) to protect young people from racism, neo-fascism and right-wing radicalism. address: Landkreis Northeim - JugendbUro Medenheimer Str. 6/8 - 37154 Northeim - Germany tel.: 0049-5551-708221 - fax: 0049-5551-708426 e-mail:
[email protected] contact person: Andreas Kohrs
Documentation Centre of Austrian Resistance eDOW) The Documentation Centre of Austrian Resistance was founded in 1963 by ex-resistance fighters and anti-fascist historians. D6w is a foundation since 1983 and receives financial support from the Austrian Government, the City of Vienna and the Verein Dokumentationsarchiv. 183
Research themes: Resistance and persecution (1934-1945), exile, Nazi crimes (especially the Holocaust) and right-wing extremism after 1945. Activities: - Securing and depositing source material for archival use and scientific evaluation (including special collections on Austrians in the Spanish Civil War and Austrian prisoners in women's concentration camp Ravensbriick). - Managing the archive and library, including provision of an advisory service for students, joumalists etc. - Education and information ifacilities for youths, school pupils and those involved in adult education. Dbw percei{res as one of its most important responsibilities the need to inform and enlighten the generaI public, especially young people and school children. - Providing educational mat~rial for the classroom, organizing talks in schools with survivors of the Nazi terror (teitzeugen). - Exhibitions, .guided tours archive, library and museum. The museum, or permanent exhibition, of DOW carries th~ title The Austrian Struggle far Freedam. The main theme on view is resistance to the NaZi occupation. Other subjects treated include the persecution of Austrians on racist, religious or national-patriotic grounds, and the expulsion of 130,000 Austrians from their native land following the German invasion ofMarch 1938. A separate section deals with extreme right-wing and neo-Nazi currents in Austria since the war. The exhibition is of special value to teachers, as it provides vivid supplementary material for the study of modem Austrian history.
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address: Dbw WipplingerstraBe 6-8 - lO lO Wien - Austria te!.: 0043-1-53436/01 779 - fax: 0043-1-53436/9901771, e-mail:
[email protected] Director of the Dbw: Dr. Wolfgang Neugebauer contact person: Eva Holpfer tel.: 0043-1-53436/01788, e-mail:
[email protected]:
[email protected]
Istoreco The Institute for the history of the Resistance and the war of Liberation in Province ofReggio Emilia (Istoreco) carne into being on 5 November 1965 in presence ofimportant personalities who fought against fascism during the Resistance. In 1967 Istoreco was juridically recognized by the State and today is one of the 61 institutes forming the national network. Since 1967 Istoreco has published 'Historical Researches' (abbr.: RS), magazine on the history of the Resistance and the contemporary society. Besides in contemporary history of the twentieth century, Istoreco also deals in intemational juvenile exchanges and antiracist politics.
Services oJ the Institute - library of over 10.000 volumes; - papery file of about 100.000 documents; - historical researches and scientific consultations on the Resistance and the contemporary society; - didactics: tools and updatings conceming the history of the twentieth century for primary and secondary schools through an interdisciplinary approach; 184
- RS, Historical Researches, four-monthly magazine published by Istoreco; - european projects together with historical institutes and cultural associations from ten countries; - juvenile politics on antifascismlantiracism in collaboration with Commune, Province, Region; - trips 'Bella Ciao' on the tracks of the Resistance: these trips are articulated in a series of walking or cycling-tours through the territory of Reggio Emilia, meetings with witnesses and debates; The last trips dealt with subjects like Resistance, antiracism, Jewish culture, identity of the so-called 'red' Emilia, birth of the New Left in the sixties, cooperation and alternative developement. The trips are organized by councillorships, Labour Unions, schools, self-managed historical institutes, pacifist and antifascist associations in Germany and Italy. European Projects - historical research and organizational support inside twinships (biographies of German deserters, letters of the theologian D. Bonhoeffer, political emigration. - collaboration with German museums/institutes in order to track down Italian testimonies (Neuengamme, Stadtallendorf) - itinerant show on the concentration camp for young people in Moringen: testimonies and concert of 'degenerate music' (forbidden by the nazism) - itinerant show in Germany on the Italian Resistance - show, trip, seminar in occasion of the 70 birthday of Anne Frank - WorldAntiracist Cup: initiatives in collaboration with the project 'Ultrà' ofthe regional UISP against racism in the world of football - international working group on behalf of SPIICGIL on the methods of memory's transmission in the adult education - 'Youth for Europe' in collaboration with Communes and schools in province ofReggio Emilia in order to reI ate juvenile exchanges and contemporary history - collaboration proposal to create a school of Peace in Montefiorino, historical pIace of the First Partisan Republic before the Liberation - european seminars on war, memory, community, recognition. address: Istoreco Via Dante 11 - 42100 Reggio Emilia - Italy tel.: 0039-0522-437327 - fax: 0039-0522-442668 e-mail:
[email protected] - www.istoreco.re.it Director: Massimo Storchi contact person: Matthias Durchfeld
Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Parma The historical istitute of the parmizan resistence was founded on June 26th 1964 by a group of authoritative exponents of the Resistance movement. Since 1967 the institute in Parma has been federated to the national institute for the history of the movement of liberation in Italy - with center in Milan - that, with other 60 in partnership institutes, constitute the widest net of centers for the study of the contemporary history on the national territory. The financings originate in maximum part from the conventions stipulated with numerous local institutions. 185
The Istitute concentrates its actlVlty on collecting and maintaining the patrimony documentary of antifascism in the Province of Parma from the origins up to the armed Resistance and rebirth of democracy in Italy. In the last decade the interest of the studies has finished with covering up the whole arc of the 20th century, with a detail attention to social history and communities studies. Periodically the institute promotes programs of research with local historians and of various italian and foreign universities. The results of the researches are documentated in the semestral magazine "Storia e Documenti" and in the monographs "Clio-Saggi". A very remarkable part of the activity has tumed to the schools through annual courses of updating for the teachers of history, seminars and lessons for the students of the secondary superior, unity and didactic runs for the primary school pupils and cultural exchanges with analogous foreign institutions. The services offered to the public are: archive (60.000 documents preserved), press, photos, audio recordings and videomagnetiche, library (6.000 books regarding contemporary history), history reviews (2lO), videolibrary (800 films). The catalog in inserted in the GeneraI catalog of parmizan libraries: (http://www.biblcom.unipr.it). The Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Parma has a lecture hall with lOO places. Our Istitute is open from Monday to Thursday (9-13, 15-18,30) and Friday (9-13). address: I.S.R. Parma Vicolo dell'Asse, 5 - 43lO0 Parma - Italy tel.: 0039-0521-287190 - fax: 0039-0521-208544 e-mail
[email protected] contact person: Guido Pisi, director
Modena Institute for the history of theResistance and Contemporary Society The Modena History Institute is a non profit-making cultural institution founded in 1950 by a number of anti-fascists and partisans, including the Mayor of Modena Alfeo Corassori, to study the resistance in the Modena area and preserve the relative documentary material. With the passage of time, it has become an institute of contemporary history, focusing on the history of the entire twentieth century, and this shift was officially recognised in 1987. The Institute is funded by Modena's Provincial Council and the local Municipalities, in recognition of the public services it offers the local population, and its educational and cultural activities. Institutional members include the local partisan, workers' and cooperative associations. The Bistory Institute holds an impressive body of documents, comprising a historic collection of over 120 archives relating to Modena's Twentieth Century history, a library specialised in contemporary history, and a photographic and audio-visual archive. AlI services are free of charge and open to the public. An important sector of the Institute's activity is the provision of courses for history teachers and the preparation of teaching materials. Its cultural activities involve the promotion of historic research, the organisation of exhibitions, debates, seminars and congresses, the publication of books on history and the history research joumal "Novecento"; and the scientific management of the Museum of the Partisan Republic of Montefiorino. 186
The History Institute forms part of the network of over sixty similar Institutes dedicated to the Resistance, headed by the Milan national Institute for the history of the Italian liberation movement. Today, this network of Institutes is Italy's largest, best-organised structure for the study of contemporary history (after the universities), for the collection and proper conservation of historic documentation (after the State Archives) and for the training and information of teachers. The national Institute and the network which it co-ordinates enjoy Govemment recognition under law n. 3, 16 January 1967. contact: teI.: 0039-059-219442 - fax: 0039-059-214899 e-mail:
[email protected] President and contact person: Lorenzo Bertucelli
The Museum of the Partisan Republic of Montefiorino The Museum ofthe Partisan Republic ofMontefiorino, founded in 1979, has been completely renewed and widened with the opening oftwo new rooms in 1996. The museum has devoted to the history of the first partisan republic constituted in Italy but it offers ampIe spaces to the history of the resistance and the circumstances of the other free zones conquered by the partisan in the North of Italy. The museum has center in the medieval Fortress ofMontefiorino and the new preparation has succeeded in valorizing the aboriginal structure of the rooms with results of big effect. The itinerary is developed through unity espositive devoted to the different thematic politics, social and military of the resistance, equipped by brief explanatory texts. Introduces photographic images, documents and objects of varied nature (weapons, c1othing, equipments). The poet Roberto Roversi has realized a second poetic run, parallel to that historical, transposing in verses passages of the letters of the convicts to death of the italian resistance. To these two runs has been added five audiovisual postings that introduces testimonies videoregistrate of the protagonists and images of epoch; a great plastic describes the territory of the Partisan Republic; a posting of slides; a computer point alIows to consult documents on the resistance and second world war. FinalIy, the museum has a didactic c1assroom, that offers the possibility to realize activity of thematic deepening with the schools in visit to the museum. contact: teI.: 0039-0536-965139 - fax: 0039-0536-965535 e-mail:
[email protected] Director of the Museum and contact person: Claudio Silingardi
Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale Deportee Memorial Museum Deportee Memorial Museum in Carpi opened on October 14, 1973 in the presence of more than 40,000 people inc1uded representatives from the govemment, the Army, the cultural, the artistic and the religious worlds, the Italian and foreign associations of Resistants and ex-deportees, the Jewish communities and representatives from alI the european countries who were victims of the Nazi and Fascist aggression. 187
As a matter of facts, the town had committed itself to the commemoration of the victims of the Deportation long before that date, always devoting its efforts to keeping their memory alive as a waming for the future. Since 1955 indeed, important celebrations and commemorative events had taken pIace in memory of the victims of the Nazi concentration camps. But the main project of the town adrninistration has become a reality with the setting up of a permanent exhibition in memory of alI the people who sacrified their lives for freedom. The museum was realized by the architects Banfi, Belgiojoso, Peressutti and Rogers, of the BBPR studio in Milan, in collaboration with Renato Guttuso. In 1944, both Belgiojoso and Banfi were taken to the camp of Gusen, as political prisoners, but only Belgiojoso carne back. The museum is located inside a large area at the ground floor of the Renaissance palace in the town centre of Carpi. Its structure developes through thirteen rooms of different dimensions where lighting and graphic elements create an atmosphere of highly emotive impact within a context that remains, however, sober, essential, and far from any superfici al rhetoric. The sense of continuity between the rooms is provided by the sentences which have been carved on the walIs. They come from the book titled Lettere dei condannati a morte della Resistenza Europea and, while accompanying the visitors along the way, they reveal themselves as the main evidence of the museum. Great painters such as Alberto Longoni, Pablo Picasso, Renato Guttuso, Corrado Cagli and Femand Legér, have made comments on the atrocities of the Deportation in drawings that have been made as graffiti on the walls too. The rooms are enriched by the presence of showcases in which only few items are displayed, in accordance with the generaI bareness of the rest, so emphasizing the modemity of the whole Museum complex. In the outer yard, which is also an integraI part of the structure, there are sixteen monoliths, made of reinforced concrete and six metres high each. They remind you of tombstones, and have been carved in capitalletters with the names of some of the Nazi concentration and extermination camps.
The Concentration camp of Fossoli About six kilometres far from Carpi centre, the sings of the former concentration camp of Fossoli, halting pIace on the way to the exterrnination Nazi camps, are still visible. Opened in 1942 by the Fascist troups, this prisoner camp was used between December 1943 and August 1944 by the Nazis as a transit camp to gather about 5,000 political and racial italian prisoners doomed to be deported. In August 1944, the camp was definitely deserted because the Nazis transferred the transit camp near Bolzano, where it stayed until the end of the war. After 1946, the camp was used for housing groups of refugees, being almost radicalIy transformed in its features. The present project of restoration which involves the whole camp area is the way through which the local public adrninistration demonstrates its strong will to preserve the historical memory of a pIace which appears fundamental in the process of reconstructing the story of the Deportation from Italy. address: teI.: 0039-059-644919 - fax: 0039-059-6221309 e-mail:
[email protected] contact person: Roberta Gibertoni and Annalisa Melodi
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Women's Documentation Centre The Association was bom to manage the homonymous cultural Insitute and among its basic purposes inc1udes the exploitation of the female experience and subjectivity through the acquisition, the protection, the preservation and the diffusion of oral and written sources. The Association promotes researches, organizes meetings, conventions, exhibitions, debates and other initiatives devoted to strengthen a gender culture. The Association also aims to undertake the transmission of the female knowledge and traditions through teaching programmes, seminars, educational courses. The Association also proposes to support the circulations of informations among the associations, female movements, the national, regional and local Commissions for Equitables Opportunities.
The documentation 2000 file orders containing documents testifying the activity of single women, associations, local and national associations from 1945 up today compose the Archive of the Centre. The images and the sound 6000 pictures, 600 Posters of different sizes, 700 audiotapes, 60 videotapes, form the audiovisual and iconographical collection of the centre. 120 audiotapes document the search for oral sources titled "Women and Resistance. The force of the memory".The collections, reordered and filed, can be looked on both paper and computered catalogues up. The books and the reviews 2000 volumes of specialized essays about the history of the gender and 50 national and intemational reviews, expression of the historical and cultural women's elaboration and formulation constitute the Library of the centre. The consultation can be done through the catalogues' interrogation on-line. Services Bibliographical consulting, advices on systems forregulating archives, local (S.D.T.RET.) and national (Lilith, S.B.N., Florence National Library) dat abse consulting. Membership cards provide also: press reviews on subjects, photocopies and booklending. address: Via del Gambero, 77 - 41100 Modena - Italy tel.: 0039-059-367815 - fax: 0030-059-372570 e-mail:
[email protected] contact person: Nora Sigmann
Coordinamento delle Associazioni per Monte SoleJl\tlarzabotto The "Coordinamento" is a non-profit educational and research organization bomaround the site ofthe so-called "massacre ofMarzabotto/Monte Sole" near Bologna (Italy), where many hundreds of civilians were murdered in a few days by the SS supported by local fascist elements at the end of 1944. The site has been protected from 1989 by a Regional Law and is the first example of Italian Historical Park. The seven NGO's who compound the "Coordinamento" have been since years active in the Park and on the themes related to the education to peace and to the human rights starting from the site of the massacre and from its memory. 189
These are very large (like Amnesty Intemational) and small organizations; their backgrounds go from feminist and gender studies to the counceling of teachers, and from the study of the politics of memory to the implementation of techniques of mediation, before, during and after the open conflicts.
About the Park Monte Sole is a triangle of hills, near Bologna, between the two valleys of the river Setta and of the river Reno. These mountains had been for a very long time, and were still, populated by different communities organized in villages. The villages had gradually lost their importance during the second half of the XIX Century, because of the creation of industries and railways connecting northem with centraI Italy, and passing west and east of the hills of Monte Sole, along the two riverso Most of the people were poor farmers who usually held the land for a master who used to live elsewhere, according to the metayage cropping system. At that time also some groups of partisans were living in those territories, though they were not much politicized and organized yet. About the Memory If you would visit these places today you would find nothing of these villages. Only some stones are left, and even those ones are being covered by grass: after fifty years nature has made the pIace scarcely recognizable. Neither any of the few survivers has continued to live on those hills, nor new villages have ben founded. The site in its actual impact on the visitor may cause a beautiful impression of peace and silence. In fact, for many decades after the war the memory of the massacre of Monte Sole was not connected to the top of the hills, but to the small city of Marzabotto, in the valley of the river Reno. Here was built in 1961 a memorial and ossuary where the remains of the bodies transferred from Monte Sole had been buried, according to the models of the First World War Memorials. Representatives of the partisans had also built a small monument on the top of the highest hill, the "Monte Sole". In 1989 a Regional law established Monte Sole as an Historical Park of ca. 6,000 hectares and the following program: * the preservation of the natural ambient, like in natural parks; * the restoration and conservation of the remains; * the reconstruction of the memory of the partisan actions and of the massacre, * the foundation of a School of Peace capable of transmitting that memory to the young generations and of preventing the rebirth of this phenomena; * the study and the explanation of the grounds wich made possible the birth of the fascist phenomenon in Italy, and of nazism in Germany. A Pilot experience: the Peace Camps project The experience of Peace Camps about the IsraellPalestine conflict started in 1991 and lasted until 1994. It was strongly wanted by a group of volunteer Organizations and financed by the Regional Government of the Emilia-Romagna to which Bologna belongs. Our aim was to join 3 groups of youngsters between 14 and 18 years old, two of which were in an actual conflict: one of Israelis, one of Palestinians, and one of Italians. By living together and by sharing the daily life they could understand who "the Enemy" is, and that "hate" is more a lack of understanding and knowledge than real hate for other human beings. Every year a first period - usually lO days - was spent by the seaside in a holiday village where groups of other youngsters were living. Then the rest of the time - about other lO days - was spent dose to Bologna, with a series of activities centered on the Historical Park.
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adress: Coordinamento delle Associazioni per Monte Sole c/o Landis, Via Castiglione, 25 - 40121 Bologna - Italy teI.: 0039-051-6767685 or 240412 - fax: 0039-051-6230204 or 260090 e-mail:
[email protected] contact person: Nadia Baiesi
Progetto Ultrà - UISP Emilia Romagna "Progetto Ultrà" intends to limit the violent and racist behaviour which is a characteristic of certain groups of supporters (in Italy they are called the "ultràs" ) both inside and outside football grounds. Inside the grounds, they are on view, and give free rein to those types of racist and intolerant behaviour which are an unfortunate sign of the times in some parts of European society (as is - unfortunately - particularly the case in Italy, which, of late, has seen large-scale immigration). Football terraces are a pIace where a culture has grown up capable of going beyond the space-time limits of the game itself, and which makes a marked impact on the daily life, the way of thinking and behaving, of many youths. The appeal of this culture lies in a set of values which are very closely tied up with an idea of "identity". These values may be simplified down to two levels: first, old-fashioned loyalty to one particular team, whom the fans support and cheer ono Within the ultrà groups, this identity - based on loyalty to the strip - is manifested in the individual's taking part in many activities. These include choreography, chants, scarves, producing gadgets to sponsor themselves, editing fanzines, following the club around the Country, and so on, which bond the fans and help the young supporter to grow and to realize his/her capabilities and responsibilities. The second level of identification is based on seeing oneself as somehow inherently "different" from the "outsider" (where the opposing team's supporter is seen as an intlÌlder, an enemy, different). This second level can bring aggressive behaviours, and can sometimes favour the opposition to alI the "outsiders", those, who belong to a group which is different, different because of skin colour, religion or way of life. The path that "Progetto Ultrà" has decided to follow, in its stated intent of lirniting intolerant and racist behaviours among football supporters, is not the way of repression. We feel that the measures adopted by the forces of law and order may be used in emergencies, as a protection against "crirninal elements", but must not become the norm, nor indeed the only remedy for violence and racism in football grounds. In the long run, they cannot give lasting results, because theif"intent is merely to punish, to hold in check, to discourage, and at times to repress, but not to constructively work for a change in mentality among the young people. "Progetto Ultrà" began in 1996 and the first phase consisted in the building of an Archive/Observatory on the football supporters phenomenon. It does not merely examine the phenomenon in Italy, but also looks at similar situations throughout Europe, to insert the ultrà event into a wider context. The Archive now has roughly 5,000 articles, on such subjects as youth culture, popular football culture, racism in society, and racism in football. At a local and nationallevel, we have built up the opportunities for ultràs to meet. The supporters of various Italian squads have been offered anti-racist football matches to play in, informaI meetings, discussions, and a conference. Conference itself improved things further for Progetto Ultrà, which is now dealing with groups throughout almost alI of Italy, and has planted deep roots in Bologna area.
address: progetto ultrà c/o Uisp Comitato Regionale Emilia-Romagna Via Riva Reno 75/3 - 40121 Bologna - Italy teI.: 0039-051-236634 - fax: 0039-051-225203 e-mail:
[email protected] contact person: Carlo Balestri 191
ANPI The provincial ANPI (Italian Partisans National Association) and the ANPI sections of the provincial Communes have always developed work-plans directed to every kind of schools. The provincial Commission of Education has planned the following initiatives: - Funds for school-visits to historical places of the fight against nazism and fascism: Marzabotto, Fossoli (Carpi), Montefiorino, Museo Cervi, Risiera di San Sabba (Trieste), and others. Visits to the nazist extermination camps in Europe. - Caravan of the Resistance in collaboration with Istoreco. - Meetings between students and ex-partisans or survivors of the nazist camps. - Remarkable: an ex-prisoner presents in all the secondary schools of Reggio Emilia an exhibition on the exterrnination camps. - Availability for the schools of many books, videocassettes, audiocassettes and documents on the resistance. Numerous the initiatives of the communal sections, in the context of the activities promoted by the Commission of Education. A special mention for: - The section of Cavriago that, together with S. Ilario, for many years has organized guided tours to Mauthausen for secondary schools' students. - The section of Correggio, that has managed to interest the young people thanks to very important initiatives. - The sections of the mountain, that have interested the students in commemorate the anniversaries of massacres committed by the nazifascists. address: Via Farini l - 42100 Reggio Emilia - Italy tel.: 0039-0522-432991 - fax: 0039-0522-453689 director: Giuseppe Carretti contact person: Glauco Bertani
Hanno inoltre partecipato al seminario: Desweiteren haben am Seminar teilgenommen: - KZ Gedenkstatte Osthofen Postfach 1253 - 67565 Osthofen - Germany contact person: Heribert Fachinger " Euskadiko Gazteriaren Kontseilua Corso Autonomia 44 - 48010 Bilbao tel.: 0034-94-4436143 - fax: 0034-94-4448171 e-mail:
[email protected] contact person: Loli Martinez
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V. Casotti, A. Margini, G. Riva Terra rossa. Cavriago nel Novecento Edizioni Bertani, 1999 ETTORE BORGHI
La comunità di Cavriago non è nuova ad imprese editoriali che riflettono un persistente impegno di ricerca e di illustrazione del proprio passato. Di altre, recenti prove, e della loro qualità scientifica, si è già dato conto su queste stesse pagine. Anche nel caso presente il rigore della documentazione e la correttezza dell' impianto sono fuori discussione, ma ciò che soprattutto sorprende è l'imponenza del progetto, che solo un gruppo di ricercatori molto ben affiatato poteva condurre a buon fine: tre autori, sette collaboratori, oltre all' autrice della presentazione e ad un editore per il quale la definizione di "coraggioso" non corrisponde di certo ad un banale stereotipo. E si tratta di forze "Iocali", che hanno agito per passione, non su commissione. Si sa quali rischi si possono correre quando la buona volontà ed il legittimo interesse per le cose di casa propria spingono chi non è storico professionale a dare alle stampe i risultati delle proprie ricerche. Il più temibile fra i possibili frutti del dilettantismo è senza dubbio quello di assumere a modello la forma più banale di giornalismo: la ricerca eccitata del "caso", dello scoop, sino ad abortire in forme di revisionismo pacchiano, da serata al bar, o all'osteria. Non è tuttavia da meno la tentazione di ricamare su una identità locale tutta inventata, immutabile e in confrontabile nella sua folcloristica, ma non perciò meno insidiosa, immagine "etnica". Ebbene, anche il più prevenuto dei lettori di Terra rossa non vi troverebbe alcuna traccia di questi esiti altrove frequenti. Siamo infatti di fronte ad una grande opera didattica (nel significato nobile del termine) in cui il "mondo di ieri" è fatto rivivere con simpatia, ma in forma molto controllata, attraverso la molteplicità dei modi in cui si articola il "narrare" rievocativo. Che non si esaurisce nella diacronia, nel racconto in senso stretto, ma si estende all'analisi "sincronica", al confronto statistico, alla iconografia (viene fatto di benedire i fotografi, ricordando il suggestivo accostamento di S. Kracauer fra l'arte del fotografo e quella dello storico). Quanto alla identità "cavriaghina", che pure in qualche modo è un tema presente nell' opera, essa non viene proposta come presunta e statica qualità del genio locale, ma è resa attraverso il suo costituirsi e variare nella vicenda storica del comune e della sua gente, presentata per la specificità delle sue risposte o per le sue peculiari divergenze rispetto alle complessive situazioni e fasi della storia nazionale. L'attenzione che viene dedicata alle "radici" (nel costume, negli usi linguistici, nella cultura materiale) fa parte dell'intento "didattico" di cui si è detto, ma è del tutto esente da lirici rimpianti del buon tempo andato: i mutamenti, o meglio ancora il progresso, costituiscono infatti l'orizzonte in cui, senza cedimenti "apocalittici", ma anche senza trionfalistiche celebrazioni, viene a disporsi la lettura degli eventi. Il lettore ne trova chiara conferma nella meditata Postfazione. La struttura "esterna" del lavoro, per la sua articolazione in sezioni o percorsi, è in primo luogo quella dell'opera destinata alla consultazione, che risulta agevolata dagli 195
indici molto accurati. Ma la chiarezza e la varietà caleidoscopica dell'esposizione consente anche una godibile lettura conseguente, o dell 'intero volume o dei singoli itinerari di cui si compone (la parte iconografica e didascalica è un racconto a sé, così come l'annalistica cronologia). Quanto all'impianto concettuale, viene rispettata la scansione "canonica", che è poi quella dei manuali scolastici: età giolittiana, Grande Guerra e crisi dello stato liberale, fascismo e II guerra mondiale, Resistenza e repubblica ... Ma questa ripartizione non è richiamata come astratta e sovrapposta cornice, bensì è fatta emergere dai risvolti locali, che non si limitano alla storia politica, ma si nutrono delle vicende economiche e demografiche, vengono colti nei programmi amministrativi e negli aspetti della organizzazione religiosa, così come nella vita scolastica e culturale della comunità. Tutti questi tratti si incarnano, nel modo più immediato ed avvincente, nelle innumerevoli biografie di cui il racconto è intessuto. Un secolo di passioni politiche e di drammatici conflitti viene rievocato dagli Autori sine ira ac studio. I giudizi sono equilibrati, equanimi, ma non reticenti. Qui tutte le diverse appartenenze e memorie trovano ascolto. Che non vuoI dire tuttavia generica indulgenza o banalizzante omologazione. Per queste ragioni, l'interesse dell'opera non si limita a quanti, residenti o emigrati, alla comunità, cavriaghese si sentono di appartenere. Lo spaccato di vita di provincia manifesta tratti essenziali della nostra storia generale. Perciò anche la sintesi dei vari capitoli in lingua inglese e francese si rivela forse un sovrappiù di accuratezza, ma non un peccato di presunzione.
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Christine Levisse-Touzé et Stefan Martens (s.d.), Des Allemands contre le nazisme. Oppositions et Résistance 1933-1945, Albin Michel, Paris 1997 ANTONIO CANOVI Il volume raccoglie gli atti del Colloque Franco-Allemande, organizzato a Parigi tra il 27 c il 29 maggio 1996 tra storici e studiosi di entrambi i paesi (esiste anche l'edizione tedesca). La rif1essione a più voci affronta, in chiave comparativa, il nodo delle "politiche" della memoria e delle rappresentazioni identitarie che ne sono conseguite. Jacques Rovan, storico ed ex internato politico, in apertura dei lavori rende omaggio ai resistenti tedeschi e in modo particolare ai centomila che passarono per Dachau prima ancora dell'inizio della guerra. Fa quindi pendere dal proprio intervento (I "non" tedeschi a Hitler) un'osservazione di stile giacobino (nostra traduzione, ndc): «Come si può uscire dalla storia senza sporcarsi le mani? (... ) Credo che Sieyès avesse detto che le fasi costitutive debbano essere brevi e oscure; per analogia, le epurazioni debbono essere sanguinose e brevi. Se non sono sanguinose, durano troppo tempo». Tra i numerosi contributi, vanno segnalati almeno quelli di François Bédarida, Jiirgen Danyel, Altred Grosser. Bédarida trae spunto dalla nozione di Résistance, la cui polisemicità sarebbe servita a fondare i nuovi assetti istituzionali generati dopo la fine della guerra, specialmente in Francia, Italia e Germania. La costruzione dell' identità collettiva nelle due Germanie viene anzi letta attraverso questo filtro particolare: l'una, quella comunista, scelse di darsi la patente di combattente antinazista facendo di Buchenwald - dove venne ucciso Thiilmann - il proprio ·'memoriale"; mentre l'altra, quella federale ed oggi largamente egemone, optò per la resistenza delle élites sino ad elevare il complotto militare mosso contro Hitler il 20 luglio 1944 a memoria pubblica e, infine, al solo evento passibile d'essere ereditato in chiave "antitotalitaria". Danyel, a sua volta, nota come la divisione tra le due Germanie abbia trovato un'importante espressione proprio nella distinzione sul piano della memoria pubblica, tanto da generare due racconti, ed infine due storie. Al paese ora riunificato corrisponderebbe una memoria presente dimezzata e, insieme, l'inedita lotta sostenuta dall'ultima generazione per ··riconoscere" e prendere coscienza delle vittime del nazismo. Grosser, in modo particolare, pone l'accento sulla memoria di un'Europa che non si tiene senza fare i conti con quella guerra che tutti coinvolse. Dalla Germania giunge anzi il messaggio di una generazione nuova che non si accontenta di quanto altri hanno raccontato e scritto, ma che vuole interrogare criticamente le memorie. In ultima analisi, di fronte al trattamento discriminatorio tuttora riservato ai disertori in Germania e al rifiuto di concedere l'asilo politico agli algerini democratici, si chiede: «dove cominciano i campi?».
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Antonio Bechelloni, Antifascistes italiens en France pendant la guerre: parcours aléatoires et identités réversibles, "Revue d'Histoire moderne et contemporaine", 46-2, avril-juin 1999, pp. 280-295 ANTONIO CANOVI Il saggio di Antonio Bechelloni - uno studioso di origine italiana che dirige da parecchi anni il Centre de Documéntation sur l'Emigration Italienne di Parigi, attualmente professore all'università Charles De Gaulle di Lille - ritorna sul fenomeno dell'emigrazione antifascista in Francia nel corso del Ventennio. Facendo seguito ai numerosi contributi che hanno affrontato l'argomento dal lato del confronto ideologico e della storia politica, questa rit1essione si rivolge finalmente ai soggetti in carne ed ossa, mettendo in evidenza l'ambiguità della loro condizione, volta a volta "rifugiati" in attesa di far ritorno in Italia od "emigrati" in attesa di legale integrazione nella società francese. In questo senso, Bechelloni parla di "identità reversibili", riferendosi a percorsi migratori costantemente aperti a due esiti, cui attese una catarsi talvolta tragica di fronte alla guerra nazi-fascista e all'impegno resistenziale di numerosi giovani usciti dai ranghi dell'immigrazione. In alcuni casi - tra i più noti, vengono citati i friulani Spartaco Fontanot e Rino Della Negra, quest'ultimo cresciuto nella comunità italiana di Argenteuil, entrambi fucilati al termine di un processo-farsa imbastito contro l'organizzazione di orientamento comunista denominata "Atì'iche rouge" - si tratta di giovani che traducono il proprio impegno politico "per la libertà" in un atto di assoluta dedizione alla nuova patria. Muoiono "per la Francia", e ne divengono tra i martiri più noti. Ad altri - che pure avevano avviato il percorso dell'integrazione - la tempesta della guerra sollecita ancora l'engagement, ma questa volta consumando il proprio ritorno in Italia. E' una scelta compiuta da giovani quali, ad esempio, Parades Giavarini (scomparso nel mese di febbraio ad Argenteuil, dove fece rapido ritorno nel 1945, al termine della lotta partigiana svolta nel paese di Cavriago) ma anche dal quadro comunista di origine reggiana Paolo Davoli. Alla sua vicenda - residente a Saint-Denis, sarto a Parigi, sposa una donna di origine francese con la quale ha una figlia, Paulette - Antonio Bechelloni dedica particolare attenzione. Lo colpiscono le parole dell'ultimo messaggio, lasciato tra le bende insanguinate dalla tortura, prima della fucilazione inì1ittagli per rappresaglia dai fascisti: "Vado alla morte, la mia mano non trema, non pensate a me, uccidono la mia persona, non l'idea, viva la libertà". E' qui il caso di riprendere qualche passo dello studioso, laddove risolve l'esistenza di queste identità migranti nella relazione problematica, e pure tanto feconda, tra locale (la comunità) e globale (l'internazionalismo) (nostra traduzione, ndc). «Che cos'è questa "idea"? E' evidente che si tratta soprattutto di un'attitudine davanti alla storia e alla vita. Esprime un'attesa, la credenza)n un futuro migliore, gli "indomani che cantano" dell' ultima lettera di Gabriel Péri. E ciò che permette di resistere alle peggiori sofferenze e di uscire talvolta indenni dalle peggiori prove. Per i suoi contenuti ha una dimensione eminentemente universalista, da cui la familiarità che mostrano 198
parecchi lavoratori italiani abituati da ormai varie generazioni a frequentare per necessità le contrade più diverse. Da cui, anche, la facilità con la quale i militanti italiani sono capaci di disporsi a tesserne gli elogi in numerose lingue. (... ) Paradossalmente, questo universalismo della fede (nel progresso, nell'uguaglianza, nella giustizia, nella libertà) si trova spesso associato, in Francia come in Italia, a concrete comunità, radicate territorialmente e di cui aveva finito per costituire un principio di identificazione e un cemento ideale. Ciascuno alla sua maniera, Fénain (la località francese dove venne fucilato il partigiano di origine toscana Eusebio Ferrari, ndc) e Reggio Emilia (... ) ne forniscono un esempio. Di là, il loro magnetismo, la loro capacità di voler esprimere delle nozioni che mirano ali 'universale attraverso una forte connotazione locale, quale sia potuta essere la loro origine o per lungo che sia potuto essere il loro soggiorno all' estero».
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Domenico Pietri, A viso scoperto. Antifascismo e Resistenza a Campogalliano nei ricordi di un giovane partigiano, Comune di Campogalliano, 1999 ANTONIO CANOVI
Lo zio, nei primi mesi dell' occupazione tedesca, raccontava ad un Domenico ancora ragazzo che «se tutti fossero stati uniti come le api, il fascismo avrebbe avuto le ore contate» (p. 29). Lo "zio" è una figura cruciale nella formazione del giovane partigiano e futuro sindaco: lo educa all'antifascismo propugnando una solidarietà fondata sulla condizione di "eguali" propria dei lavoratori. «Se tutte le persone che vivono del proprio lavoro unissero i loro sforzi ... i fascisti si ridurrebbero a ben poca cosa e non sarebbe necessaria alcuna violenza per liberarsi di loro. Ma prevale la paura, la diffidenza verso tutti e verso tutto, nessuno si fida l'uno dell'altro». (p. 29) Il faro supremo, in questo lembo di Emilia rurale, è l'Unione Sovietica. «Il resto della nostra zona era al buio due volte: per mancanza di elettricità e per le menzogne fasciste. I rovesci sul fronte russo e i successi militari del regime pesavano sugli zii al punto che glielo si leggeva sul viso. Lo zio Augusto continuava a ripetere che se Hitler e Mussolini ce l'avessero fatta a piegare i russi, anche il resto dell'Europa sarebbe prima o poi caduto nelle loro mani» (p. 35). Ma il grande pozzo cui attingere è la famiglia contadina allargata: unità produttiva e riproduttiva, infine vera e propria unità di guerra. «La mia famiglia era composta da sette persone adulte e da due bambini. In quattro eravamo volontari nella Resistenza, ma anche i restanti, se fossimo stati scoperti per una soffiata o un tradimento, sarebbero rimasti coinvolti. Tutte le ore del giomo riflettevo sui rapporti che intercorrevano fra noi, e che mutavano da un momento all'altro. Accadeva sempre più di frequente: si stava lavorando nei campi o in altre faccende quotidiane e di routine, e il rapporto fra zii e nipote era fondato sulla reciprocità di giudizio, anche critico. Poi, di colpo, tutto cambiava bruscamente alla comparsa di una staffetta, o di un partigiano arrivato in fretta con una comunicazione. All'improvviso, lo zio assumeva le sue funzioni di "comandante", il nipote del "subalterno"; le parole si trasformavano, dalla semplice conversazione, in ordini precisi e perentori, con l'obbligo morale di eseguirli nel pieno rispetto delle regole cospirative» (p. 65). Grazie alla coesione degli atfetti familiari si fa fronte alla guerra e anche la violenza - anche quella più tragica intlitta a prigionieri destinati a rimanere senza nome e senza riconoscimento - acquisisce un senso morale. «Legammo in cantina i tre tedeschi mentre le armi le nascondemmo tutte nel rifugio, fatta eccezione per le pistole. Nella mia ingenuità non avevo considerato che al disarmo e alla cattura dei tre tedeschi doveva fare seguito, inevitabilmente, la loro condanna a morte. Se li avessimo liberati, la condanna a morte sarebbe toccata a noi, con l'aggiunta della distruzione dell' intera famiglia, visto che tutti avevamo collaborato. (... ) Parlò lo zio Augusto: oramai era tardi, 200
o loro, o noi. Potevano essere senz'altro lavoratori come noi. Anche repubblichini come Cavani, Orlandi o Pellacani erano dei braccianti, ma stavano dall'altra parte (... ). Lasciarli liberi, non potevamo, non avevamo nè prigioni nè nascondigli in cui rinchiuderli come prigionieri. Alla fine lo zio concluse: "ora, non come zio ma come comandante, ti ordino di prendere la bicicletta e allontanarti. Vai altrove". Mi portati nei campi come impietrito, pieno di dolore e mortificato. (.... ) Per alcuni giorni mi interrogai sull'accaduto, lasciando attraversare la mia mente da infinite domande senza risposta» (p. 70). Quanto alla Liberazione, è il tempo della festa comunitaria. «Vivemmo i tre giorni successivi al referendum in uno stato di trepidazione indescrivibile, per via della lentezza del Ministero dell 'Interno che annunciava solo dati parziali e con il contagocce. (... ) Finalmente tutte le nostre paure si dissolsero quando i quotidiani uscirono in edizioni straordinarie annunciando a grandi titoli la vittoria della repubblica, anche se di stretta misura. La monarchia, che aveva aperto le porte al fascismo e a vent'anni di dittatura, che aveva dato il suo appoggio alle invasioni coloniali in Africa e nei Balcani, all'aiuto ai franchisti in Spagna, alle aggressioni e ai lutti della seconda guelTa mondiale, meritava di pagare il conto che le presentò il popolo italiano. Quella volta, la gioia della nostra gente fu ancora più sentita, più completa. Nessuno in quel giorno pensò che il pane era ancora razionato, che i negozi erano ancora sprovvisti di sale, di olio, di zucchero. Si fece festa con bottiglie di lambrusco, perché certo non avevamo dello champagne, ma si fece festa, la più bella che io ricordi» (p. 125). Comunità, in effetti, è il codice chiave nella memoria di Domenico De Pietri come di molta parte dei partigiani comunisti emiliani. E una comunità locale che evoca la condizione del "mir" russo: comunità di villaggio, mondo, pace. «Lotta partigiana e radicamento nella comunità sono cresciuti insieme, si sono nutriti l'uno dell'altra, e per questo l'esercizio della memoria non può che allacciarli entrambi. Ricordare la nostra Resistenza è ricordare come è nata la nostra comunità, e come ci è stato possibile costruire una comunità nuova» (p. 126).
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Rossi a Palazzo. Memoria e cronaca dalla Federazione reggiana del PCI-PDS in Palazzo Masdoni (1954-1991) ANTONIO ZAMBONELLI In epoca di affanno identitario, a sinistra, e di dibattito su radici da riconoscere o recidere, torna utile questo volume a più mani dedicato a "memoria e cronaca" della Federazione Pci-PdS di Reggio 1954-1991. Il 1954 è l'anno in cui i comunisti reggiani si insediarono da proprietari, dopo esser stati estromessi dall' ex Casa del fascio di Via Cairoli - nel prestigioso antico palazzo di Via Toschi. 1991, l'anno in cui i pidiessini abbandonarono (e vendettero) la principesca sede. In nome di un "partito leggero" (si passò da 200 a 8 dipendenti tra funzionari e tecnici, ci ricorda Fausto Giovannelli a p.97), che di leggero a quel punto doveva avere anche il portamonete - aggiungiamo noi - essendosi dovuto via via privare di altri gioielli di famiglia come la Libreria Rinascita e il Parco Fola (con annessa villa e dépendences). Alla operazione memoria contribuiscono foto d'epoca e le testimonianze di dieci, tra uomini e donne, che furono "abitatori" del Palazzo in posizioni di rilievo. Certo, il Partito per antonomasia non ha dipanato il filo della sua storia - tra il '54 e il '91 - tutto all' interno della Federazione. Negli anni Cinquanta e Sessanta il Pci reggiano era davvero capillarmente diffuso sul territorio. C'erano molte più sezioni di quante ne abbiano oggi DS e Rifondatori messi assieme. C'erano centinaia di cellule ( una ogni piccola borgata) oggi del tutto scomparse. C'erano sezioni, come la "Togliatti" di Via Guido da Castello, che ebbero un ruolo di primo piano nella vita politica e culturale della città, dopo la chiusura stalinista (era l'indimenticabile 1956 dell 'Ungheria ... ) del Circolo di cultura di Via Emilia San Pietro. E tuttavia risulta già efficace ripercorrere quegli anni dalla specola di un Palazzo che fu - per dirla con Antonio Bernardi (p. 58) - "un grande centro di vita e di rapporto tra il cuore città e la periferia". Anche perché per anni vi maturarono le decisioni che ebbero effetto sull' intera vita economica, sociale e politica della provincia, stimolando, accompagnando, e tendenzialmente governando, i processi che portarono il nostro territorio dalla depressione seguìta alla lotta delle "Reggiane" ai livelli di sviluppo che hanno fatto di Reggio un luogo oggetto di attenzione internazionale. Decisioni che si adottavano dopo "interminabili quotidiane riunioni" - ricordano collettivamente Ione Bartoli, Loretta Giaroni ed Eletta Bertani (p.36) - "che pur richiamandosi sempre retoricamente ai princìpi quale omaggio formale alla ortodossia" erano in effetti "impastate di realtà". Che era poi il tipico atteggiamento 'schizofrenico' dei comunisti reggiani (ma non solo): per anni si predicò la Rivoluzione - quasi secondo il catechismo dei Corsi Stalin - ma fortunatamente si praticò un riformismo le cui radici affondavano nella tradizione prampoliniana. Anche se la parola "riformismo" fu a lungo epiteto offensivo nel lessico familiare dei comunisti. Il Palazzo dei rossi era anche un luogo di socializzazione totalizzante, quasi una grande Casa del Popolo di antica memoria: oltre ai numerosi utIici di una Federazione di 64.000 comunisti, ospitava quelli della Fgci (che ebbe fino a 14.000 iscritti), i locali del Circolo ricreativo-culturale Gramsci, con annesso ristorante, la redazione provinciale de l'Unità, 202
una foresteria. Di pertinenza del vasto complesso, che ancora oggi si articola, malinconicamente vuoto, attorno a tre cortili, erano anche alcuni appartamenti abitati da privati (in uno abitava la famiglia di Romano Prodi) e perfino una chiesa sconsacrata. In una vasta nicchia della cosiddetta "sala del Cardinale" c'era una sorta di sancta sanctorum della memoria: in alcune vetrinette erano esposti preziosi cimeli (chissà che fine avranno fatto ... ) del movimento operaio reggiano dal 1919 alla Resistenza passando per gli anni della cospirazione antifascista. II volume, opportunamente corredato da "appunti" di Massimo Storchi e di Antonio Canovi, nonché da una cornice cronologica generale dello stesso Storchi, restituisce in modo suggestivo, con le immagini fotografiche, le testimonianze di alcuni protagonisti e brevi straici dai verbali dei Comitati federali, la temperie di una lunga stagione. Certo, alcuni dei protagonisti, assenti da queste pagine, hanno già obiettato che manca questo e quest'altro aspetto di una vicenda politca e umana assai complessa. Hanno certamente la loro parte di ragione. Ma Rossi a Palazzo, per esplicita dichiarazione dei promotori e dei curatori, non ha la pretesa di presentarsi come un saggio di storia "esaustivo" (d'altra parte nemmeno saggi o libri di storia possono risultare mai esaurienti). Ciononostante i principali eventi, locali, nazionali e internazionali che tra quel 1954 e quel 1991 coinvolsero e appassionarono migliaia di comunisti e post di questa "provincia rossa", sono efficacemente rievocati: le repressioni scelbiane, le lotte operaie e contadine, l'acceso dibattito per il "Rinnovamento" dopo i "fatti d'Ungheria", il luglio '60, il Vietnam, il Sessantotto, le frange impazzite del terrorismo rosso, il passaggio dagli "asili del popolo" alle scuole comunali d'infanzia ... Un bel pacchetto di appunti, visivi e scritti, per la memoria di un passato che riguarda tutti. Non solo i comunisti (ex, post o neo che siano).
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Finito di stampare nel mese di maggio 2000 da Grafitalia - Reggio Emilia