Percorso di formazione e ricerca finalizzato alla individuazione e promozione di azioni formative a supporto dello sviluppo dei servizi dell’area anziani
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Versione provvisoria 1 Milano, ottobre 2010
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Indice Parte 1: Premessa Il percorso Le persone che hanno partecipato al lavoro Obiettivi del percorso Connettere formazione e contesti organizzativi - Orientamenti per la formazione - Orientamenti per un percorso di ricerca e formazione Il percorso operativamente Parte 2: Elementi emersi Riferimenti di contesto per i servizi residenziali anziani - Servizi in un contesto - Servizio come contesto - Le professioni in un contesto - Problematiche nell’assistenza e cura - Orientamenti di lavoro nella costruzione e realizzazione dei servizi residenziali L’interazione tra famiglie e servizi per la costruzione del progetto residenziale - La gestione dell’ingresso in una struttura residenziale - La costruzione del PAI nell’interazione con le famiglie - Rappresentazioni della famiglia come oggetto di lavoro per la RSA e per gli operatori - Il processo di inserimento e l’attenzione alla famiglia - Dimensioni istituzionali e istituenti nell’incontro tra famiglie e servizio - Orientamenti verso le attese e le problematiche delle famiglie Orientare e sostenere il lavoro degli operatori - Funzioni di coordinamento e controllo - Organizzazione del lavoro - Badanti e organizzazione del lavoro - Processi di lavoro e cultura organizzativa - Orientamenti - Il personale straniero: problematiche specifiche e modalità di sostegno Approfondimenti - Ritmi soggettivi e ritmi istituzionali - Rappresentare di più il lavoro di coordinamento e integrazione - Relazioni con il contesto - La formazione
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Parte 1 Premessa Il percorso Il percorso di formazione e ricerca, promosso dalla Provincia di Milano, si è sviluppato con Coordinatori e Dirigenti di RSA e di Servizi sociali territoriali appartenenti a: - Istituto Golgi - Redaelli di Abbiategrasso - RSA Gli Olenadri di Rozzano (Cooperativa Punto Service) - RSA Saccardo di Milano (Gruppo Segesta) - RSA Santa Lucia di Milano (Gruppo Segesta) - RSA Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta - RSA Fondazione La Pelucca - Comune di Locate Triulzi - Ambito sociale di Rozzano - Comune di Cesano Boscone - Ambito sociale di Corsico Per le RSA erano dunque presenti Coordinatori e Dirigenti di strutture pubbliche (Istituto Golgi – Redaelli, Azienda Specciale Consortile di Magenta), di area privato sociale o Onlus (Coperativa Punto Service, Fondazione La Pelucca), e di area privata (Gruppo Segesta) Per lo sviluppo del percorso si sono attivati due gruppi di lavoro - Gruppo di riferimento: gruppo costituito da responsabili di servizi anziani diurni e territoriali, con funzioni di progettazione generale, sostegno e facilitazione al percorso, elaborazione esiti - Gruppo di ricerca: gruppo costituito da operatori con funzioni di coordinamento o integrazione, con obiettivi di ricerca sul campo ed elaborazione Il percorso, come da progetto, si è sviluppato alternando: - incontri di analisi generale con il Gruppo di riferimento - incontri di approfondimento e di analisi dati con il Gruppo di ricerca - momenti di osservazione e raccolta materiali nei contesti operativi di RSA a cura del Gruppo di ricerca - momenti di confronto congiunti tra Gruppo di ricerca e Gruppo di riferimento. Complessivamente si sono realizzati: - 7 incontri di mezza giornata con il Gruppo di ricerca - 3 momenti di lavoro di mezza giornata per osservazione e raccolta materiali nei contesti operativi di RSA e 1 di approfondimento sulle problematiche di gestione degli operatori stranieri - 2 incontri di mezza giornata con il Gruppo di riferimento - 4 incontri di mezza giornata con il Gruppo di riferimento (3 con tutto il gruppo e 2 di approfondimento con sue componenti) - 2 incontri di mezza giornata unitamente con i due gruppi di ricerca e di riferimento Durante il percorso si sono tenuti scambi ricorrenti tra Provincia di Milano e Studio APS.
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Le persone che hanno partecipato al lavoro Gruppo di ricerca: Luisa Borghi Valeria Cesaroni Monica Crivelli Alessandro D’Amico Monica Giuttari Renata Maggetto Stefano Mantovani Teresa Panetta Paolo Schiavini Rosaria Tararà
RSA Fondazione La Pelucca RSA Saccardo di Milano (Gruppo Segesta) Istituto Golgi - Redaelli di Abbiategrasso RSA Gli Olenadri di Rozzano (Cooperativa Punto Service) Servizio Sociale Comune di Cesano Boscone RSA Fondazione La Pelucca RSA Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta Servizio Sociale Comune di Locate Triulzi RSA Santa Lucia di Milano (Gruppo Segesta) Istituto Golgi - Redaelli di Abbiategrasso
Gruppo di riferimento: Adriano Benzoni Cristina Caron Marco Noli Marco Parenti Daniela Ridolfi Rita Saluzzi
Istituto Golgi - Redaelli di Abbiategrasso Fondazione La Pelucca Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta Gruppo Segesta Ufficio di Piano Ambito sociale di Rozzano Ufficio di Piano Ambito sociale di Corsico
Hanno condotto il percorso Valter Tarchini Franca Olivetti Manoukian dello Studio APS di Milano Referente del progetto Carmen Primerano della Provincia di Milano
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Obiettivi del percorso Il progetto ha avuto come obiettivo generale il mettere a fuoco aree tematiche, problemi, attenzioni, relativi al funzionamento e allo sviluppo dei servizi residenziali rivolti alla popolazione anziana e alle loro famiglie rispetto ai quali la formazione potesse costituire una significativa risorsa. Questi servizi nelle loro modalità di individuazione, costruzione ed erogazione si confrontano con complessità che aprono all’esigenza di approfondire le modalità e le logiche attraverso le quali la formazione può rappresentarsi risorsa. Negli scenari in cui ci si trova oggi è strategico riuscire a investire in attività formative che siano in rapporto a snodi del funzionamento organizzativo dei servizi: - tenendo in connessioni tra loro dimensioni organizzative e professionali - connettendo sguardi sui singoli utenti con sguardi sui loro contesti familiari e sociali di riferimento - assumendo la complementarietà possibile tra risorse professionali e tra queste e risorse promuovibili nel contesto come ad esempio quelle volontarie - riconoscendo e agendo forme di regolazione attiva con le strategie delle famiglie - costruendo problemi e oggetti di lavoro che costituiscono risorsa per l’integrazione dei diversi apporti Nel far questo è importante che si entri in un reciproco riconoscimento tra proposte e complessità all’interno del quale si muove la costruzione dei servizi. Complessità collegate alle esigenze di sistema e di programmazione, ove ogni servizio è importante si connetta in politiche di governance territoriali finalizzate a produrre risposte coordinate, flessibili, articolate rispetto alle evoluzioni quantitative e qualitative delle domande. Imprenditività e autonomia dei soggetti sono dunque chiamate a giocarsi in una dinamica cooperativo-competitiva avente come riferimenti la responsabilità sociale e la creazione di giochi non a somma zero. Complessità connesse ai sistemi di gestione, in relazione alla compartecipazione di più soggetti organizzativi nella realizzazione dei servizi. Collegati da una parte alla messa in atto di offerte risultanti da integrazioni tra istituzioni e servizi con diverse competenze istituzionali, territoriali, sociali e sanitarie. Ma collegate anche ai processi di esternalizzazione, appalto, compartecipazione che portano ad avere diverse organizzazioni che operano dentro lo stesso servizio, unità d’offerta, processi di lavoro della filiera. Non da meno sono le complessità collegate alla individuazione dei “problemi” e degli “oggetti di lavoro” su cui sono chiamati ad operare i servizi e su cui cercare di far convergere le azioni professionali. Questi per essere definiti necessitano di investimenti conoscitivi che connettano indicazioni normative e orientamenti di lavoro dei servizi con letture articolate dei contesti di vita e di relazione, delle fenomenologie sociali quali l’aumento dei livelli di vita e di invecchiamento della popolazione, le fragilità e i sovraccarichi dei sistemi familiari, i fenomeni migratori legati al lavoro di assistenza familiare nella cura, ma anche specifiche caratteristiche delle famiglie e delle relazioni sociale. Questo per riuscire a costruire e realizzare servizi più interagenti con le risorse e i vicoli presenti nelle domande di assistenza e cura, più aperti a forme di interazione con le famiglie e con i contesti sociali. Complessità, non ultime, quelle collegate alla tradizionale e sempre persistente difficoltà di connettere apporti lavorativi di operatori appartenenti a diverse culture del sociale e del sanitario e a diversi codici professionali.
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Le attività formative più tradizionali, rivolte a specifiche figure professionali attorno ad elementi della loro identità o a strumenti specifici del loro lavoro, in questo scenario non risultano essere più risorsa sufficiente. Anzi, a volte rischiano di produrre ulteriori elementi di chiusura, rigidità, frammentazione, rispetto ai funzionamenti organizzativi oggi richiesti per la produzione di servizi. Rischiano di dare più enfasi a dimensioni del lavoro e a prassi autoreferenziali, rispetto a dimensioni di processo e di senso su cui dovrebbero convergere gli apporti lavorativi dentro ai contesti d’azione. Il progetto ha sviluppato questi approfondimenti attraverso un percorso di ricerca-azione che consentisse di sviluppare pensiero e proposta, anche attraverso implicazioni attive nella ricerca, nella autoriflessività e nella riformulazione di prospettive di persone operanti a diversi livelli nel sistema dell’offerta. Questo per consentire dunque alla Provincia di avviare azioni che le consentano di costruire un quadro di offerta articolato di proposte e di percorsi di formazione, nella prospettiva che questi siano sempre più risorsa connessa agli sviluppi qualitativi del sistema dei servizi.
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Connettere formazione e contesti organizzativi Orientamenti per la formazione Nei servizi residenziali e domiciliari rivolti alla popolazione anziana e alle loro famiglie sono presenti diverse sperimentazioni e innovazioni che cercano di confrontarsi in modo proattivo con le nuove problematiche che si hanno nella loro realizzazione. Problematiche collegate in particolare: - all’evoluzione delle condizioni e delle risorse di salute e di relazione delle persone anziane e delle loro famiglie; - alla integrazione organizzativa tra operatori di diverse professioni con appartenenze organizzative diversificate in relazione ai processi di esternalizzazione, e con diverse culture della cura collegate alla presenza di sempre maggiori operatori di nazionalità non italiana; - all’integrazione tra servizi sociali e socio sanitari nell’ambito di un sistema territoriale che presenta più attori e punti di programmazione e progettazione. Dal punto di vista gestionale è risultato importante investire su figure interne di integrazione, come ad esempio dei referenti di nucleo. Figure che assumono a tema del proprio lavoro la connessione tra le diverse figure e le diverse variabili; figure che sono importanti interlocutori per la direzione, snodo per la comunicazione la gestione. In diverse esperienze la formazione è risultata essere una risorsa preziosa per sostenere queste sperimentazioni e innovazioni. La formazione può esser fattore che aiuta ad introdurre nuove visioni, ad aprire pensieri su aree di connessione dove prevale la separazione, a far vedere problemi su cui investire, ad aiutare gli operatori a diventare parte attiva di un’organizzazione più flessibile, meno rigida, proceduralizzata, deresponsabilizzante. Però la cosa tiene se anche i dirigenti lo vedono, lo rappresentano, lo sostengono. Questo è stato possibile quando la formazione è stata oggetto di uno sforzo ed un investimento per collegarla: - alle esigenze concrete del funzionamento organizzativo quotidiano; - al sistema delle comunicazioni e dei ruoli e alla valorizzazione di figure intermedie di coordinamento e integrazione; - all’elaborazione e la diffusione di esperienze e sperimentazioni in atto; - ai cambiamenti in atto negli anziani, nelle famiglie negli operatori, nei servizi. Attorno a queste attività formative è stato possibile cercare di rappresentare e connettere le diverse esigenze e le diverse problematiche in gioco, e quindi sostenere dei possibili cambiamenti che le vedessero in relazione. Sono risultate invece meno risorsa per i cambiamenti delle attività formative più generali o indirizzate ai singoli in generale. A volte queste attività, in una situazione come quella attuale dei servizi, con faticose operazioni cognitive ed emotive di connessione tra dimensioni prestazionali e relazionali, tra senso e operatività, rischiano di essere utilizzate o vissute più come compensazione o evasione, come ricerca di contenuti tecnici validi in sé ma sganciati dai processi, anche come risorsa per cambiare lavoro: tutte questioni di per sé legittime, ma
8 che rischiano di amplificare prese di distanza tra i singoli e il processo organizzativo, e che possono rendere ancora più fragile e sofferta la situazione complessiva, anche degli stessi singoli operatori. Anche dalle esperienze sul campo si vede dunque che la formazione come offerta generale ai singoli e sganciata da investimenti nella sua connessione con le dinamiche organizzative risulta poco efficace. Si sono sperimentati interessanti esiti attraverso investimenti in percorsi che hanno avuto come caratterizzazione: - l’investimento su una comunicazione aperta e interattiva tra i diversi ruoli e livelli di responsabilità - la valorizzazione di figure intermedie di coordinamento e integrazione - l’elaborazione e la diffusione di esperienze e sperimentazioni Per promuovere connessioni è richiesto spazio e tempo elaborativo attorno alla costruzione delle iniziative di formazione. Ma questo da anche loro una efficacia e una fattività dal punto di vista del sostegno ai processi di lavoro dentro un sistema organizzativo in cui interagiscono diverse domande di senso e di riconoscimento. Inoltre se l’operatore si sente più preso in carico, anche lui è più in grado di prendere in carico l’anziano, le sue dimensionali relazionali e familiari. Orientamenti per un percorso di ricerca e formazione Per lavorare sulle questioni precedentemente delineate è stato sviluppato un percorso di ricerca e formazione che ha operato per un approfondimento conoscitivo collegato all’analisi dei contesti operativi e alla costruzione di letture e ipotesi condivise. Il percorso è stato orientato all’approfondire le modalità di lavoro e le iniziative di innovazione in atto in alcune situazioni organizzative e in specifico le connessioni attivabili con la formazione. Questo per cercare di ricostruire e di “ri-conoscere”: - le letture dei problemi che le hanno avviate - le ipotesi che le hanno sostenute - le dimensioni metodologiche che le hanno accompagnate Frequentemente infatti innovazioni anche importanti avvengono per intuizioni, poggiano su sensibilità, fanno riferimento a ipotesi anche raffinate ma che sono, o rimangono implicite. Riconoscere ed esplicitare queste consente di costruire un patrimonio di riferimento anche per altri attori, ma anche per gli stessi attori che vi hanno partecipato. Nuove modalità di lavoro, riprogettazioni di ruoli, “prassi” diverse, non hanno un valore oggettivo in sé, non sono indifferentemente applicabili in contesti altri da quelli che le hanno prodotte. Il loro valore e la loro generatività sono infatti legati al senso che le ha sostenute, all’interazione che hanno avuto con il contesto riconoscendo in esso una pluralità di fattori e interagendovi in forma proattiva. Collegate a questo le scelte operative, le prassi, gli strumenti acquistano così un valore. È su questi livelli di riconoscimento ed elaborazione che è andato ad operare il percorso di formazione e ricerca. È quindi importante un approfondimento che si pone l’obiettivo di una conoscenza contestualizzata inerente le caratteristiche che stanno assumendo oggi i servizi nell’area anziani e le aree, i problemi e le modalità con le quali diventa importante investire in
9 formazione. E’ importante altresì una costruzione di convergenze e di interesse all’investimento attorno a questo da parte di attori del sistema, perché i processi formativi è importante avvengano dentro un quadro di attenzioni, di attese, di reciprocità tra gli attori che sono in gioco nei diversi livelli organizzativi e programmatori. Un approfondimento conoscitivo unito quindi ad una costruzione di convergenze che permettano di ri-vedere e rinominare i problemi e le aree su cui investire ci paiono importanti. Le risorse, non solo quelle finanziarie, ma anche ad esempio i tempi operativi delle persone sono scarsi. Con esigenze sentite ed espresse di avere attivati sostegni formativi, convivono spesso anche immaginari attorno alle risposte possibili che rimandano a percorsi più tradizionali, incentrati sulle tecniche, sugli strumenti, sulle identità. Aprire spazi di riconoscimento e di investimento su dimensioni più connesse ai processi e alle dinamiche organizzative che tengono in relazione i servizi e i loro contesti chiede un lavoro di avvicinamento ai problemi sentiti o percepiti dagli attori per riconoscerli e costruirne delle possibili riformulazioni che siano sentite come risorsa. Il cambiamento reale nelle operatività avviene attraverso la comprensione dell’opportunità/necessità di adottare nuove modalità di lavorare e produrre, ovvero attraverso riformulazioni di orientamenti e di pratiche, attraverso delle ri-costruzioni di senso delle attività, che implicano un attivo coinvolgimento dei diversi attori sociali presenti sulla scena organizzativa. Anche nelle realtà dei servizi anziani, soprattutto se lo sguardo si apre sul sistema di interazioni che questi hanno con le famiglie il lavoro degli operatori può poggiarsi sia su delle competenze definite, ma anche su dimensioni di discrezionalità e di proattività orientate. Questo lavoro conoscitivo e di costruzione di convergenze è stato quindi sviluppato attraverso un percorso di ricerca-azione con il coinvolgimento attivo delle persone operanti nel sistema dei servizi. Un percorso che si è caratterizzato nel perseguire gli obiettivi di ricerca conoscitiva costituendosi al contempo risorsa formativa e risorsa relazionale all’interno del sistema.
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Il percorso operativamente Il percorso ha seguito uno sviluppo in cui si sono alternati incontri di lavoro con il Gruppo di riferimento, con il Gruppo di ricerca, momenti di osservazione e analisi in contesti operativi (vedi fig. 1). Con il Gruppo di riferimento Con il Gruppo di riferimento si è operato a diversi livelli. Inizialmente sono stati realizzati due incontri finalizzati alla costruzione e condivisione del progetto di lavoro, alla individuazione generale degli snodi di approfondimento e alla individuazione delle caratteristiche degli operatori da coinvolgere nel Gruppo di ricerca. Durante il percorso del Gruppo di ricerca vi sono state interazioni più individuali con i singoli componenti per monitorare l’andamento, verificare il mantenimento delle condizioni di partecipazione dei loro collaboratori, e per supportare la costruzione delle visite nelle loro strutture. Al termine del percorso si sono poi incontrati invece assieme ai loro collaboratori per riflettere assieme sugli esiti. Con il Gruppo di ricerca Si sono svolti 7 incontri di mezza giornata con tutto il gruppo e, tra un incontro e l’altro dei sottogruppi hanno realizzato momenti di approfondimento nei contesti operativi attraverso visite, colloqui-intervista, osservazione, analisi di materiali. I momenti di visita nelle strutture sono stati incentrati su un problema e su un contesto. Si sono cioè identificati alcuni problemi da approfondire, si sono costruite in gruppo alcune mappe orientative per il suo approfondimento, e si sono identificati i contesti operativi che si candidavano a fare da riferimento per approfondire quel problema in modo contestualizzato. La visita era un’occasione di approfondimento sia per i membri di quel contesto, chiamati a presentare ad altri come lavoravano su quel problema, sia per i componenti del gruppo appartenenti ad altre strutture e che quindi erano esterni al contesto. Le presentazioni, le osservazioni degli ambiti operativi nella loro fisicità e nei loro movimenti, le interazioni tra esterni ed interni al campo hanno consentito alcune operazioni conoscitive quali: il pensiero attorno alle ipotesi spesso implicite o poco consapevoli attorno al lavoro in atto da parte di chi operava nel contesto; il ripensamento delle ipotesi presenti nei propri contesti da parte degli esterni in vita; un maggiore riconoscimento delle questioni connesse ai vari problemi, delle identità ed identificazioni professionali in gioco da parte degli operatori, delle implicazioni relative alle dinamiche di integrazione e supporto organizzative. Predisposizione della visita, visita con approfondimento in contesto, ripresa delle riflessioni nel contesto allargato del Gruppo di ricerca con anche chi non era presente, ha così consentito di costruire delle circolarità di “osservazione-autoriflessività-rielaborazione” mobili e feconde nel rapporto, anche qui circolare, tra “ipotesi-azioni-contesto”. Tutelare queste circolarità, queste relazioni tra “prassi-problemi-ipotesi” è determinate ai fini conoscitivi e di sviluppo, altrimenti l’esperienza della visita ad altri contesti, prassi molte volte utilizzata dalle organizzazioni e dalla formazione, rischia di servire più a “misurare le distanze”, a fare dei distinguo, a dire “si, ma però loro…. mentre noi….”.
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I temi che sono stati sviluppati attraverso gli approfondimenti in gruppo e le osservazioni nei contesti sono stati: -
le famiglie: il lavoro con le attese e le rappresentazioni delle famiglie per la costruzione del progetto residenziale (l’approfondimento è stato effettuato partendo dalla visita all’RSA dell’Istituto Golgi - Redaelli di Abbiategrasso)
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l’oggetto di lavoro: la costruzione del PAI: le relazioni con le famiglie e il sostegno al lavoro degli operatori (l’approfondimento è stato effettuato partendo dalla visita alla RSA dell’Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta).
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il personale straniero: le problematiche specifiche che si incontrano e le modalità che si mettono in campo nel sostenere i processi di lavoro (l’approfondimento è stato fatto attraverso una griglia di analisi da parte dei partecipanti al gruppo)
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il progetto di struttura: orientamenti e processi organizzativi a sostegno del progetto di struttura e del lavoro degli operatori (L’approfondimento è stato realizzato partendo dalla visita alla RSA Saccardo di Milano del Gruppo Segesta).
Con il Gruppo di ricerca e il Gruppo di accompagnamento in forma congiunta Al termine del percorso del Gruppo di ricerca si sono realizzati alcuni incontri congiuntamente con i due gruppi allo scopo di presentare e approfondire ulteriormente le questioni messe a fuoco dal Gruppo di ricerca, individuarne le ricadute in termini anche gestionali e di possibili interventi formativi di supporto alle evoluzioni. Nella figura 1 è rappresento visivamente il percorso.
12 Figura 1: raffigurazione del percorso Gruppo di Riferimento 1 Condivisione progetto
Gruppo di Ricerca
2 Individuazione snodi di approfondimento e operatori da coinvolgere
1 Costituzione gruppo e approfondimento progetto 2 Approfondimento percorso di ricerca e modalità
Facilitazioni
3 Analisi ed elaborazioni materiali
1 Osservazione Struttura A
2 Osservazione Struttura B
e sostegni al lavoro del Gruppo di ricerca
4 Analisi ed elaborazioni materiali 5 Analisi ed elaborazioni materiali 6 Analisi ed elaborazioni materiali 7 Elaborazioni di sintesi, valutazioni, utilizzi
Gruppo di Ricerca e di Riferimento 1 Scambio su elementi emersi 3 Approfondimenti ulteriori con alcuni componenti dei gruppi 4 Approfondimenti ulteriori con alcuni componenti dei gruppi
2 Approfondimento esiti, diffusioni, utilizzi
3 Osservazione Problema stranieri
4 Osservazione Struttura C
Raccolta elementi attraverso: - osservazioni incrociate in contesti operativi -colloqui e interviste -analisi materiali
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Parte 2:Elementi emersi Presentiamo ora una sistematizzazione degli elementi emersi dalla ricerca, e che connettono le elaborazioni prodotte con il Gruppo di ricerca nella fase di analisi dei contesti con le elaborazioni realizzate congiuntamente alla fine da parte dei due gruppi. Lo presentiamo in relazione a tre questioni attorno alle quali abbiamo aggregato i diversi elementi emersi nel corso del lavoro: - Riferimenti di contesto per i servizi residenziali anziani - L’interazione tra famiglie e servizi per la costruzione del progetto residenziale - Orientare e sostenere il lavoro degli operatori
Riferimenti di contesto per i servizi residenziali anziani Una prima parte del lavoro è stata dedicata al riconoscimento e alla ricostruzione di riferimenti di contesto macro e micro in cui si inseriscono i servizi residenziali rivolti alla popolazione anziana. Servizi in un contesto I servizi residenziali rivolti alle persone anziane sono inseriti in un contesto e con questo interagiscono. Lo possono fare in modo più difensivo, cercando di richiudersi in logiche burocratiche e professionali autoreferenziali; oppure subendolo e scontandone al proprio interno le contraddizioni; oppure ancora possono assumerlo, cercando di comprenderne le implicazioni rispetto al loro servizio, ma anche rispetto alle persone accolte e alle loro famiglie e di interagire in forme maggiormente progettuali. Alcuni elementi del contesto che hanno a che fare con le attese verso i servizi e i loro funzionamenti sono: - Gli orientamenti sociali verso la malattia, la sofferenza, la non autosufficienza e la morte. Orientamenti di negazione, di pretesa (o illusione) di soluzione tecnica di ogni problema, sofferenza e limite. Sono queste dimensioni rilevanti nel configurare le dimensioni emotive e le attese con le quali le persone ospiti, ma di più ancora le loro famiglie si rapportano ai servizi e ai loro processi di assistenza e cura. - Le problematiche delle famiglie e dei loro contesti domiciliari. Di una famiglia come quella di oggi sovraccarica di funzioni di welfare inter e transgenerazionali, tra coniugi e verso i figli e i genitori, in una situazione caratterizzata da incertezza e rischio sul piano del lavoro, delle tutele sociali e delle relazioni, dal venir meno di forme di solidarietà sociale più strutturate, da instabilità nei legami coniugali, esposta a sensi di colpa e inadeguatezza se cede rispetto alla domiciliarità nella gestione dei problemi. - Gli orientamenti e le forme della programmazione politico-sociale-sanitaria. Orientamenti e forme che non incidono solo sulle dimensioni economiche o sulle
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dimensioni organizzative, ma configurano anche degli “oggetti attesi” e delle filosofie di realizzazione dei servizi. Dinamiche del lavoro e delle professioni, delle migrazioni, delle esternalizzazioni Questo fa sì che oggi molte professioni siano svolte da persone straniere di diversi paesi e che, con anche le esternalizzazioni di componenti di servizi o di quote di personale si pongano nuove problematiche di integrazione organizzativa.
Servizi in un Contesto Orientamenti sociali verso la malattia, la sofferenze, la non autosufficienza, la morte
Servizi verso le persone anziane
Dinamiche: -del lavoro e delle professioni -delle migrazioni -delle esternalizzazioni Orientamenti e problematiche delle famiglie e dei contesti domiciliari
Orientamenti e forme della programmazione politicosociale-sanitaria
Servizio come contesto Il servizio stesso rappresenta un microcontesto aperto, con il quale e al cui interno interagiscono personale, persone ricoverate, ma anche famiglie, volontari e associazioni, servizi del territorio portando attese, risorse e problemi. La costruzione del servizio residenziale è dunque importante che assuma il reticolo relazionale complessivo, e quello delle famiglie in partcilare.
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Le professioni in un contesto La professionalità è un esercizio contestualizzato della professione. Nel caso delle professioni socio-sanitarie in specifico, occorre sostenere un riconoscimento e una identificazione (non scontati) con i contesti specifici, con gli orientamenti organizzaztivi, con gli obiettivi ed i problemi che vengono lì affrontati. Occorre sostenere una costruzione di ruolo professionale che dialoghi, ma non venga ridotto ma che dialoghi con le altre due dimensioni che concorrono alla professione: la professione, rappresentata dai saperi e dalle prospettive conocitive alle quali si è formati (medico, infermiere, ASA, Animatore sociale…); la logica della figura professionale, che rappresenta una sorta di organizzazione astratta delle mansioni e dei contenuti del lavoro, ma che è su base normativa generale e astratta dai contesti specifici.
Problematiche nell’assistenza e cura Le logiche di funzionamento Le organizzazioni di servizi è come se avessero applicato il modello industriale classico, della divisione del lavoro e della parcellizzazione. Si fa quello che è stato prescritto, e quello che è stato prescritto va bene in sé. Non si riaprono più domande di senso. Riaprire sul senso, sulla relazione, è anche investire sul contenimento dei costi. La salute nelle persone anziane oggi Le persone anziane chiedono molto di avere della “rassicurazione”. La dimensione “sanitaria” (e spesso farmacologica) è utilizzata spesso come principale risorsa per questo, ma di fatto non riesce a contenere questa domanda di rassicurazione, anzi può concorrere ad amplificarla. Si amplifica con questo anche la dinamica dei costi. La dimensione relazionale che potrebbe essere messa in gioco, anche da operatori sanitari, è sottovalutata, sottoinvestita. Tra gli ospiti in RSA vi sono sempre più persone che presentano rilevanti problematiche di tipo sanitario, di disturbo del comportamento, di demenza.
16 Questo anche collegato al fatto che la scelta prevalente degli anziani e delle famiglie è quella di rimanere al proprio domicilio supportati da servizi assistenziali pubblici o da badanti. Si accede quindi tendenzialmente in RSA quando la dimensione domiciliare non regge più, quando la famiglia non regge più. Nelle RSA ci sono persone con instabilità cliniche notevoli, con continui eventi acuti. L’RSA cerca di gestire questo ricorrendo il meno possibile all’ospedalizzazione. Sono elevate le spese farmacologiche delle strutture. Tra RSA e Ospedale non ci sono strutture intermedie. In rapporto a queste situazioni e agli eventi clinici che costantemente insorgono, la gestione di una RSA è come un continuo “problem solving”. Orientamenti di lavoro nella costruzione e realizzazione dei servizi residenziali L’esplicitazione, la visibilizzazione e il sostegno degli orientamenti, delle filosofie e delle logiche che informano il servizio è fondamentale per sostenerne la sua realizzazione e per indirizzare e sostenere il lavoro degli operatori. In particolare è importante che nei servizi residenziali per anziani si promuovano orientamenti che sostengano funzionamenti organizzativi e professionali che riconoscano nella dialogicità tra dimensioni sociali e sanitarie, tra persone ospiti e loro contesti di vita le loro specificità identitarie. E’ questo un orientamento più coerente con il contesto di servizi quali quelli residenziali che operano in rapporto con le dimensioni della cronicità, orientati ad un benessere possibile di un paziente “ricomposto” nella sua globalità, anche storica ed in relazione con i suoi microcontesti affettivi e relazionali. La famiglia è, in questa visione, un soggetto, con i suoi problemi e le sue risorse, assunto a oggetto di lavoro nei processi di assistenza e cura. Sono questi degli orientamenti che sono meno consolidati, meno presenti nei percorsi di formazione degli operatori, in particolare quelli sanitari. Sono infatti più presenti, anche nell’immaginario sociale, orientamenti di cura sostenuti da una logica ospedaliera classica1, informata da scomposizioni “tecniche” dell’oggetto “paziente”, da separazioni definite nei ruoli e nelle posizioni, da distinzioni (anche scissioni) tra dimensioni tecniche e relazionali. In questa logica la famiglia è vista prevalentemente come sfondo o interferenza rispetto ad un lavoro incentrato prevalentemente sulla persona ricoverata. Nello schema vengono visualizzati questi due orientamenti.2
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Utilizziamo il termine “ospedaliera classica” nel senso che anche all’interno della sanità sono aperte visioni e sperimentazioni, anche se minoritarie o riferite a sottosistemi, per sostenere orientamenti di salute e di cura più relazionali. 2 Lo schema è ripreso e riadattato da A. Dalponte, F. Olivetti Manoukian, Lavorare con la cronicità, Carocci Faber, Roma, 2004.
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Logica di azione SANITARIA TRADIZIONALE
CURA DELLA MALATTIA DA GUARIRE
Pensieri guida
Relazione
Comport.nti Operativi
Prodotti attesi
Destinatari
Divisione del lavoro
-Eliminare disfunzionemalattia. -A problema, soluzione. -Saperi e tecniche specialistici -Pensiero scientifico classico.
L-’operatore è l’esperto specialista che sa’. -Richiesta di osservanza, dipendenza. -Collaborazione attesa senza ambivalenze.
-Malattia da trattare con sequenze di azioni nella linea: Diagnosi Terapia Guarigione
-Eliminazione della malattia. -Efficacia, efficienza.
Singoli portatori di patologie.
-Divisione di compiti per specializzazio ni e livelli gerarchici. -Procedure collaudate. -Controlli di osservanza.
-Relazioni multiple e variegate, più operatori. -Più soggetti, strategie, interessi. -Fondamentale ascoltare. -Gestire microconflittualità.
-Situazione da gestire. -Interventi da mettere a punto via via. -Processualità -Connessioni tra soggettiazioni. -Adeguatezza -Agire pensante.
-Gestione del benessere possibile. -Mantenimento di una situazione relazionale positiva. -Monitoraggio vigile.
-Vari soggetti: pazienti, famiglie, operatori, volontari, associazioni , amministrator i locali ….
-Organizzazione per equipe che sostiene un lavoro per processi. -Coordinamenti più funzionali che gerarchici.
-Contenere deterioramen SOCIALE E to e SANITARIA sofferenza. DIALOGICHE -Sostenere risorse. CURA IN -Complessità RAPPORTO non ALLA CRONICITÀ eliminabile. -Per il malato e non solo per organismo
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L’interazione tra Famiglie e Servizi per la costruzione del progetto residenziale Il tema affrontato è stato in particolare quello delle forme di coinvolgimento della famiglia nella costruzione dell’ingresso prima e nella costruzione e accompagnamento del progetto di assistenza e cura poi. La gestione dell’ingresso in una struttura residenziale. Problematiche presenti e ipotesi Da parte delle famiglie c’è molta ansia e disorientamento nella fase in cui deve decidere di affidare il proprio congiunto ad una struttura. C’è la questione della conoscenza del dove si andrà a ricoverare la persona e delle sue modalità di funzionamento. Ci sono dimensioni emotive legate al fatto di affidare ad altri il proprio congiunto. C’è ansia per quello che succederà. Tutto questo fa si che le questioni non siano risolvibile solo sul piano “razionale” dalla fornitura di informazioni verbali o di una “carta dei servizi”. Tutte queste dimensioni rendono spesso difficile alle persone il comprendere o il “trattenere” quanto gli viene detto. Come è stato affrontato: un’esperienza3 La questione è stata affrontata a due livelli: - reinterpretando il tema dell’ingresso non come “momento” ma come “processo”. - cercando di fare in modo di costruire dei riferimenti identificati e stabili per la famiglia. Reinterpretare in termini di processo l’ingresso in termini di processi organizzativi, strumenti, procedure ha voluto dire pensare che una serie di questioni e temi possono essere “distesi” nel tempo e nei contenuti attraverso alcuni passaggi: 1) Accostamento e predisposizione - presa di contatto e visita alcuni giorni prima - visita alla camera per condividere alcune scelte di personalizzazione del suo arredamento - ricostruzione di alcuni elementi importanti per rappresentare continuità rispetto alla storia - consegna di scheda informativa semplice con indicazioni base 2) Ingresso vero e proprio 3) Telefonata alla famiglia dopo la prima notte Per ogni passaggio sono stati predisposti materiali informativi semplici ed essenziali su aspetti sia alberghieri che sanitari. 3
Le riflessioni si riferiscono all’esperienza dell’Istituto Golgi – Redaelli di Abbiategrasso
19 Interlocutore diretto in tutti questi passaggi è il Coordinatore-Capo reparto. Nell’esperienza analizzata c’è l’ipotesi di avere nel Coordinatore-Capo reparto un interfaccia e un riferimento stabile e accessibile rispetto alla famiglia: - è figura di responsabilità che integra le diverse dimensioni in gioco nella residenzialità; - è figura che ha conoscenza quotidiana delle dimensioni di vita e di cura dell’ospite; - è figura con una asimmetria meno marcata verso la famiglia (rispetto esempio a figure direttive o mediche). Sulle problematiche dell’inserimento in una struttura residenziale dunque: - è interessante lavorare sull’accoglienza non pensando che questa si gioca tutto al momento dell’ingresso, ma pensarla come un processo a tappe, anche brevi, ma che consentono però decantazioni, appropriazione di informazione e riferimenti, una messa in campo un po’ alla volta anche da parte della famiglia di dubbi, attenzioni, elementi di storia; - valorizzare l’accoglienza e l’ingresso come momento in cui si sperimenta fiducia, costruzione di riferimenti, accessibilità; - far percepire alla famiglia una dimensione di “accessibilità” verso la struttura e verso il come si sviluppa il percorso di vita interno; - fare percepire la possibilità di costruire dimensioni di “continuità” nelle relazioni, negli arredi, nella quotidianità. Altre esperienze In relazione alle riflessioni svolte si sono riconosciute e descritte altre due modalità presenti nelle esperienze del gruppo di lavorare sulla costruzione dell’accesso o sulla regolazione delle attese in relazione alla famiglia. a) La vista domiciliare E’ la modalità adottata dall’Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta. In questa esperienza si ha il Coordinatore della RSA che opera una visita domiciliare presso le famiglie o le persone che richiedono l’ingresso in struttura. L’obiettivo è valutare la situazione, raccogliere elementi informativi, chiarificare la problematica del ricovero. La situazione domiciliare consente anche alla famiglia di presentare elementi in una situazione emotivamente più protetta. b) La scheda delle attese E’ la modalità adottata dal reparto riabilitazione ambulatoriale dell’Istituto Golgi – Redaelli. Non si tratta della dimensione residenziale, ma la logica e lo strumento possono avere declinazioni anche nella residenzialità. E’ stata costruita una scheda per definire le aspettative riabilitative da parte del paziente o dei suoi familiari e per monitorare poi, anche da parte del paziente, le evoluzioni. L’obiettivo è coinvolgere nel progetto riabilitativo l’utente e i familiari: - cercando di costruire attese realistiche rispetto alla riabilitazione; - favorendo auto-osservazioni mirate da parte del paziente; - evitando che le attese siano riversate solo sugli operatori della riabilitazione. La costruzione del PAI nell’interazione con le famiglie
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Il processo di costruzione del PAI La costruzione del PAI nelle strutture è supportata da strumenti, da schede. Lo strumento è importante venga visto come supporto ad un processo di lavoro e di relazione tra operatori e con le famiglie. E’ dunque importante vedere lo strumento, la “scheda”, dentro un processo di relazione, e non vedere la scheda in sé. Lo strumento consente di raccogliere diverse prospettive osservative, di connetterle tra di loro e di individuare un piano di azioni professionali collegate però dentro una visione ed una prospettiva accomunante ed integrata. E’ questo un processo è importante veda presente la famiglia come soggetto. PAI e processo di lavoro Documento PAI Piani operativi Azioni professionali
Prospettive osservative
Interazioni con le famiglie
L’apporto della famiglia Le normative e le procedure prevedono la necessità del consenso della famiglia al PAI nelle sue revisioni periodiche. Nelle realtà delle RSA le forme di coinvolgimento della famiglia in questo processo sono diversificate. Si hanno: • situazioni ove il PAI è elaborato dagli operatori, senza il coinvolgimento della famiglia, e questa sostanzialmente da il suo consenso formale; • situazioni ove il PAI è elaborato dagli operatori ma si investe poi sulla relazione con la famiglia per consentirle di comprendere, esprimersi, assumere consapevolmente le diverse implicazioni; • situazioni ove la famiglia è implicata anche nella definizione del PAI, prevedendo in questo anche delle sue modalità e forme di presenza attiva nel piano di lavoro, su operazioni naturalmente consentite dalle normative. Si hanno dunque delle posizioni raggruppabili secondo un continuum dalla minima alla massima implicazione Apporto della famiglia Consenso più formale
Comprensione attiva
Implicandola nella definizione
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Lo strumento a supporto del PAI Nelle realtà si hanno diversi strumenti a supporto della costruzione del PAI. Si va da strumenti con items sostanzialmente “aperti”, ove si registrano le osservazioni e le valutazioni, a strumenti con items a risposte “pre-codificate”.
Aperto
Strumento Pre-codificato
Anche la raccolta delle osservazioni e valutazioni segue modalità diverse. Si hanno situazioni ove lo strumento è compilato all’interno di riunioni d’équipe con presenti i diversi operatori, a situazioni ove lo strumento è compilato dal coordinatore dopo aver raccolto le diverse osservazioni degli operatori Compilazione Il coordinatore avendo raccolto le varie osservazioni
L’equipe multiprofessionale incontrandosi
Processo di costruzione e strumentazioni operative a supporto della definizione del PAI oscillano dunque nelle diverse realtà tra alcune polarità. Snodi nelle interazioni con le famiglie Fiducia Il familiare è chiamato a rimodulare la sua responsabilità verso il congiunto perché ora vi sono anche responsabilità che vanno agite da parte della struttura. Deve costruire delle nuove rappresentazioni e dei nuove connessioni tra il prima e l’ora. Nella costruzione del piano assistenziale entrano in gioco anche problemi di comprensione da parte delle famiglie rispetto ad alcuni cambiamenti del parente o rispetto al senso di azioni di cura. In questi processi uno degli snodi critici è la costruzione di fiducia da parte delle famiglie. La fiducia sostiene collaborazioni più produttive. Dentro relazioni di fiducia nella costruzione del PAI si possono valorizzare di più le letture della famiglia. Le dimensioni alberghiere della struttura residenziale. Le famiglie in generale sono molto attente alle dimensioni “alberghiere” della dimensione residenziale. Rientrano in questo temi quali igiene, cambi biancherie, così come all’alimentazione. L’attenzione a queste dimensioni, anche chiedendo per il proprio congiunto
22 delle cose e dei trattamenti che non fan parte della sua esperienza e dei suoi stili di vita, è molto spesso collegato a forme di “scarico” del senso di colpa dovuto alla scelta di ricoverare. Forme di apporto Frequentemente le famiglie tendono a delegare alla struttura, a pretendere che faccia la struttura. Ci sono però interessanti esperienze di coinvolgimento delle famiglie che vanno in RSA per visitare o accudire i parenti. In alcune situazioni si sono rimodulati dei PAI per prevedervi e dare spazio a interventi di collaborazione nell’accudimento da parte dei familiari (lavare, imboccare…..). Si possono in questa direzione operare investimenti che consentano di amplificare e valorizzare dimensioni collaborative nella relazione con loro. Questo consente non solo un apporto di risorse, ma anche una possibile implicazione progettuale costruttiva. In queste situazioni anche l’apporto degli operatori professionali viene incentivato ad avere uno sguardo più ampio sul processo di assistenza e cura. Su questi aspetti vengono però segnalati orientamenti diversi da parte delle ASL nel riconoscerne o meno la possibilità: interpretazioni cioè diverse attorno a quelli che vanno considerati atti di cura non delegabili da parte della struttura e degli operatori professionali. Tempi e spazi per la presenza Ci sono situazioni dove gli orari di accesso della famiglia alla struttura non hanno vincoli, per cui possono entrare in qualsiasi ora della giornata e fermarsi per il tempo che lo ritengono. L’orientamento è quello della massima facilitazione nel mantenimento dei rapporti in base ai vincoli dei familiari, ma anche in base ai processi di relazione costruibili tra persona ricoverata e famigliari. In queste dinamica anche gli interventi professionali degli operatori sono chiamati a rappresentarsi in una logica di contesto relazionale, in contiguità con altre presenze. Ci sono situazioni invece dove i tempi di acceso sono regolamentati ad alcune ore al giorno. Investimenti senza contenimenti. Nelle situazioni di residenzialità è molto alto l’investimento in termini di risorse, emotive ed anche economiche, da parte delle famiglie e del contesto. Le famiglie integrano l’assistenza in struttura delle badanti. La domanda di cura sanitaria e farmacologica è elevata e, sembra, irrefrenabile. Ma allo stesso tempo è come se non bastassero mai. Ci sono dimensioni emotive che anche a livello sociale non sono elaborate e confluiscono qui. Il fine vita E’ una questione questa che si tende a rimuovere. Si sono però anche avviate interessanti esperienze formative e sostegno rivolte ai famigliari sui temi dell’accettazione e dell’accompagnamento alla morte. Ci sono esperienze di famigliari che continuano come volontari nella RSA anche dopo la morte del loro congiunto. Orientamenti a sostegno
23 Le regolazioni nel rapporto con le famiglie sono rese più complesse dalla presenza di operatori che non italiani, con difficoltà linguistiche, con orientamenti culturali diversi sui temi relazionali. I familiari che sono presenti nelle strutture nell’arco delle giornate o di alcuni momenti peculiari sono parecchi. E’ importante sostenere negli operatori una visione del lavoro per cui il loro operato si svolge verso un doppio cliente: l’ospite e il familiare. Le famiglie sono diverse, vi sono famiglie più orientate alla collaborazione e famiglie che, per diversi motivi sono più conflittuali, distanti, rivendicative. E’ importante che gli operatori si pongano secondo orientamenti uniformi per non creare disorientamenti, amplificare incertezze, aumentare conflittualità. Conta come si muove la singola famiglia. Ma è fondamentale che ci sia un orientamento del servizio, una visione del modo di interagire con le famiglie che sostenga e orienti e sostenga il comportamento lavorativo degli operatori. Senza un orientamento esplicito il singolo operatore è più esposto, le azioni sono più frammentate e la conflittualità è meno regolata. Rappresentazioni della famiglia come oggetto di lavoro per la RSA e per gli operatori La famiglia, le sue rappresentazioni e le sue problematiche in relazione al ricovero in struttura non sempre sono percepiti e assunti come “oggetto di lavoro” da parte dalle strutture e degli operatori. Non sempre queste problematiche sono presenti nelle rappresentazioni dei contenuti professionali degli operatori e nella presentificazione degli obiettivi e dei processi di lavoro che vengono costruiti nelle strutture residenziali. Le attese delle famiglie possono non essere riconosciute e trattate ma subite, espulse, o interfacciate conflittualmente. Raramente dunque sono trattate in modo esplicito le ipotesi e le modalità con le quali le famiglie e le loro problematiche si presentano alle RSA. Questo porta a far si che di fatto, nella quotidianità del lavoro, in rapporto a problematiche, vengano agiti individualmente dei modelli professionali, che spesso sono anche impliciti o inconsapevoli. Il rischio è che gli operatori interpretino implicitamente o inconsapevolmente la loro professione secondo il modello sanitario e ospedaliero classico. Se invece sono riconosciuti, esplicitati e sostenuti, gli orientamenti più specifici e contestualizzati legati al lavoro con la cronicità diventerebbero risorsa in termini di identità professionale e organizzativa fertile, per questo allargamento di orizzonti sul senso e valore dei servizi residenziali. Nella quotidianità della dinamica organizzativa e professionale di fatto però le famiglie “ci sono”: sono presenti in diversi momenti e tempi della vita delle RSA come all’inizio quando c’è da scegliere e definire l’ingresso in struttura, nei momenti di revisione dei PAI, così come in spazi e tempi della quotidianità in momenti di compagnia, di assistenza e accudimento. E’ una presenza che però, come si diceva prima, non è detto che diventi anche una presenza rappresentata di soggettività con cui interagire, riconosciuta ed elaborata dentro ai quadri di riferimento professionale e in processi di lavoro. Non è detto cioè che diventi un soggetto che è destinatario del servizio assieme alla persona ricoverata, e come soggetto interlocutore con il quale co-costruire il percorso di assistenza. Inoltre, più che “la famiglia” ci sono “le famiglie”, soggettività caratterizzate da specificità in termini di risorse, problemi, età, attese (o anche non attese), atteggiamenti (di delega, di controllo o di interazione collaborativa).
24 Operatori e strutture hanno dunque a che fare quotidianamente con le famiglie. Ma è su queste modalità che è importante interrogarsi e mettere a disposizione degli operatori degli orientamenti di lavoro e di interpretazione delle professioni socio-sanitare nel contesto della RSA che li sostengano nel rappresentarsi modalità di lavoro orientate a costruire reciprocità più costruttive e collaborative tra famiglie, operatori, strutture residenziali. Vi sono obiettivi cui tendere quali: • far rientrare le famiglie nell’orizzonte professionale degli operatori; • aumentare il riconoscimento dei suoi problemi e delle sue risorse • allargare gli spazi di presenza e di attività delle famiglie; Il processo di inserimento e l’attenzione alla famiglia Nell’incontro tra famiglie e strutture della residenzialità, in particolare nel momento iniziale in cui si costruisce l’inserimento, possiamo individuare tre momenti critici: -
La decisione: il come e il quando la famiglia e il congiunto arrivano a decidere per la residenzialità
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L’incontro il come e quando la famiglia incontra la struttura e si costruiscono le condizioni dell’accesso della persona anziana
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Il progetto: il come e il quando si definisce il progetto di permanenza e di cura della persona anziana
La decisione Alla decisione di ricorrere ad una struttura residenziale si arriva sempre “a ridosso” della necessità concreta. Si arriva per cedimenti della persona assistita o del nucleo curante, per aggravamenti delle condizioni di salute, per il venir meno di risorse di cura ecc.. Quello del ricorso al servizio residenziale è un pensiero che è tenuto lontano sino al momento in cui bisogna per forza farci i conti. Si arriva così sovente senza un pensiero o con pensieri impliciti, sottaciuti, rimossi. E’ un momento che può aprire a conflittualità interne al sistema familiare allargato (coniugi, figli, fratelli….). E’ un momento segnato tensioni, ambivalenze, sensi di colpa. Sono poche le famiglie che incontrano operatori professionali con cui elaborare queste questioni. In genere in queste scelte sono accompagnate dai servizi sociali le famiglie che già per altri motivi sono in rapporto con questi; le altre tendenzialmente sviluppano il percorso decisionale da sole. L’incontro L’incontro tra famiglie e struttura avviene con modalità diverse. Nell’incontro la struttura mostra un suo volto, una sua fisionomia. In questo momento si configurano e si strutturano delle attese. Alcune attese sono più rappresentate, più prese in carico in questo incontro, mentre altre restano più sullo sfondo. Alcune attese sembrano essere più riconosciute come
25 oggetto di lavoro della struttura, e altre meno, sono eventualmente e implicitamente lasciate a successivi aggiustamenti, oppure anche sottostimate e poco considerate. Nell’analisi delle esperienze che è stata fatta dal Gruppo di ricerca abbiamo visto come questo incontro possa essere rappresentato non tanto e solo come un evento a se, ma come un processo che può essere “disteso” nel tempo e nei contenuti per facilitare dimensioni di orientamento e conoscenza. Il progetto L’inserimento in una struttura residenziale viene anche a rappresentare una consegna. Questo passaggio chiama i familiari a rimodulare le loro responsabilità verso il congiunto, perché ora vi sono anche responsabilità che vanno assunte e agite da parte della struttura. E’ un passaggio, una consegna che può essere una delega, una perdita, o un momento per riformulare forme di continuità e di discontinuità. La famiglia è chiamata a costruire delle nuove rappresentazioni e delle nuove connessioni tra il prima e l’ora. Nell’analisi delle esperienze si è visto che questo momento può essere preparato, curato, accompagnato attraverso operazioni come la ricostruzione della storia, delle abitudini, degli interessi; la predisposizione della stanza nei suoi componenti e nei suoi arredi; la costruzione di riferimenti interni che consentano ai familiari di rappresentarsi anche delle relazioni possibili, degli operatori e responsabili e accessibili. Il processo di costruzione del PAI iniziale può essere orientato ad assumere e trattare queste dimensioni interloquendo dialogicamente con le famiglie. Dimensioni istituzionali e istituenti nell’incontro tra famiglie e servizio L’incontro tra le famiglie e le strutture è, come abbiamo visto, segnato da molte dimensioni emotive, da molte attese che possono prendere vie dialoganti, piuttosto che vie di pretesa o di delega. La dinamica di queste attese non è di per sé fissa, statica, ma è piuttosto qualcosa che entrando in relazione con il sistema dell’offerta della struttura si mobilizza e può essere sostenuto nel suo configurarsi. In questo senso è anche importante dare importanza al come, istituzionalmente, viene costruito questo incontro. L’analisi delle esperienze ci ha consentito di vedere diverse modalità di gestire questo incontro. Modalità che anche in questo caso a volte sono pensate, definite consapevolmente in questo modo per degli obiettivi espliciti, mentre altre volte sono l’esito di aggiustamenti progressivi anche poco consapevoli ed espliciti che hanno poi portato a stabilizzarne le modalità. Possiamo ricondurre a tre tipologie queste modalità istituzionali attraverso le quali avvengono le prime interazioni tra famiglie e strutture. La struttura si mostra nella sua dimensione “Gestionale-Sanitaria” In questo caso la famiglia incontra il direttore di struttura e/o il direttore sanitario. L’incontro è soprattutto sulle garanzie istituzionali, sanitarie e gestionali del percorso che si andrà a fare. Le attese al centro dell’incontro sono soprattutto quelle legate alla qualità dell’assistenza alberghiera e sanitaria e al progetto complessivo di struttura.
26 La struttura si mostra nella sua dimensione del “Sistema curante quotidiano” In questi casi la famiglia incontra il coordinatore responsabile di reparto, e in alcuni casi anche alcuni membri delle équipes professionali. L’incontro è sopratutto sulle caratteristiche della vita in residenzialità, sulle regole di riferimento ma anche sulle dimensioni di personalizzazione possibili. Le attese al centro dell’incontro sono soprattutto quelle legate alla conoscenza e visibilità del sistema curante che interagisce quotidianamente e alla costruzione di riferimenti accessibili che diano anche fiducia e aprano alle future relazioni. La struttura si mostra nella dimensione del “Funzionamento amministrativo” In questi casi la famiglia incontra il direttore amministrativo o un responsabile del settore amministrativo. L’incontro è sopratutto sulle caratteristiche amministrative, economiche e pratiche della residenzialità. Le attese al centro dell’incontro sono soprattutto quelle legate al rapporto tra costi e offerta, e sulle sue implicazioni sulle dimensioni alberghiere e assistenziali. Riconoscendo la complessità dei problemi e delle attese che le famiglie mettono in gioco nella decisione di ricorrere alla residenzialità e che di fatto entrano in gioco nell’incontro con la struttura, diventa rilevante porsi la questione del che cosa viene assunto ed elaborato in queste modalità di incontro e del che cosa resta fuori e, quali possono essere le ipotesi e le modalità per riaprire un dialogo con le famiglie sulle problematiche più complessive in gioco. Assumendo che ognuna di queste modalità è parziale, anche se vi sono delle qualità intrinseche differenti, diventa rilevante se quanto non è contenuto in una modalità resti “non rilevante” o diventi oggetto di lavoro a qualche altro livello o passaggio successivo. Se non assunte, le attese che le famiglie mettono in gioco possono diventare non riconoscimenti, sofferenze, ma anche conflittualità quotidiane. Orientamenti verso le attese e le problematiche delle famiglie Emergono dunque orientamenti e modalità diverse rispetto al come le strutture considerano e trattano le attese delle famiglie. -
La famiglia è lasciata a sé stessa, dentro modalità di rapporto più formali e burocratiche.
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La famiglia viene indirizzata in senso amministrativo e in senso sanitario a quello che saranno le modalità di vita nella struttura
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La famiglia è accompagnata, ci si mette vicino, con modalità che le consentano di esprimere le incertezze e di comprendere i diversi aspetti dei percorsi.
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La famiglia è sostenuta rispetto alle sue difficoltà, è assunta dentro uno sguardo più complessivo che la connette ai processi in atto nella struttura
Le strutture possono scegliere se stare su un tipo di orientamento o su un altro, se promuovere evoluzioni. E’ anche esplicitando e sostenendo con coerenza degli orientamenti che si sostengono modificazioni nei modelli e nei comportamenti professionali degli operatori.
27 Per le strutture è importante provare rappresentarsi come questi orientamenti, queste modalità si intrecciano con alcuni dei passaggi relativi al processo di interazione delle famiglie con i servizi residenziali:
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Orientare e sostenere il lavoro degli operatori Il tema affrontato è stato in particolare quello delle forme di coordinamento, controllo e sostegno alla realizzazione del servizio che sono agibili dentro le strutture sia da parte delle persone con funzioni di coordinamento, che da parte dei responsabili direzionali delle strutture, e della loro relazione con gli orientamenti di lavoro inerenti i servizi e la configurazione dei processi organizzativi. Funzioni di coordinamento e controllo. Quelle di coordinamento sono funzioni particolarmente preziose nel tutelare il funzionamento dei servizi residenziali anziani. Sulle figure di coordinamento convergono molte esigenze sia macro che micro organizzative, sia di programmazione che di gestione quotidiana di eventi. Convergono esigenze di controllo sugli aspetti generali dell’andamento del servizio, ma anche sui comportamenti operativi specifici e quotidiani degli operatori sanitari ed assistenziali. Convergono i rapporti con le famiglie nelle fasi iniziali di costruzione dell’ingresso in struttura ma anche molte richieste di intervento quotidiano su microconflittualità tra operatori o con le famiglie. La scelta fatta nelle organizzazioni a cui appartengono i partecipanti al gruppo di lavoro è di rendere queste figure molto “accessibili”, cioè facilmente contattabili sia da parte degli operatori che da parte dei familiari degli ospiti. L’”accessibilità” di queste figure da una parte può aumentare la mole delle richieste inerenti conflittualità o microproblemi operativi. Dall’altra la loro “accessibilità” contribuisce a creare maggiore fiducia da parte delle famiglie e degli operatori e a stemperare conflittualità che altrimenti potrebbero prendere strade più formali e rivendicative, irrigidendo il sistema delle relazioni e spostandolo su dimensioni reciprocamente difensive. Sono dunque funzioni che hanno rilevanti responsabilità e sollecitazioni. Il rischio molto presente è l’eccessivo accentramento sulla figura del coordinatore di tutta una serie di istanze, anche quotidiane e minuziose di indirizzo e controllo, con sovraccarico di chi copre la funzione e rischio di deresponsabilizzazione da parte di altri operatori. E’ un problema comunque aperto quello di favorire responsabilizzazione, autocontrollo da parte del personale che opera nelle strutture. Favorire autocontrollo Nelle tre strutture presenti nel gruppo di lavoro sono stati individuate delle modalità per favorire autocontrollo da parte delle persone, e attenuare quindi le esigenze di intervento diretto del coordinatore. Anche nei piccoli gesti infatti (esempio la pulizia delle camere, l’interazione con gli oggetti lì presenti) passano le forme del riconoscimento e del rispetto delle soggettività e delle intimità delle persone e dei loro reticoli relazionali. Ne presentiamo le caratteristiche.
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Pianificazione e Schede di supporto4 La logica è quella di costruire un sofisticato sistema di pianificazione del lavoro, predisponendo sia gli orari, ma anche i tipi di servizio da effettuare. Il tutto supportato da sistemi informatici. Per i servizi critici, sia sanitari che assistenziali, o per i servizi dei quali si coglie una reiterata esecuzione non corretta, vengono inoltre predisposti dei “patentini” con le loro specifiche. Lo sviluppo di questo sistema è collegato in particolare all’esigenza di gestire del personale che è in gran parte straniero, con diverse lingue e culture di riferimento. Vi sono poi degli infermieri che vengono incaricati di fungere da referenti di piano o di turno. Investire nella costruzione dei PAI5 Nell’esperienza analizzata è in corso un lavoro per favorire maggiori condivisioni attorno al senso del lavoro e al senso del servizio che passa anche nei gesti quotidiani attraverso un investimento nelle modalità di costruzione del PAI. La costruzione del PAI è fatta attraverso riunioni appositamente dedicate in cui sono copresenti le figure coinvolte (Responsabile sanitario, eventuale Medico geriatra, Coordinatore di struttura, Infermiere in turno, Responsabile di nucleo o di area di reparto, Coordinatore di struttura, Fisioterapista, Psicologo, Animatore o Terapista della riabilitazione, eventualmente anche il Direttore). La riunione è condotta dal Coordinatore di struttura. L’investimento è dunque sulla equipe come luogo di conoscenza e condivisione e va anche nella direzione di creare e diffondere più conoscenza condivisa e più informazioni, così da articolare e diffondere le forme del controllo e le risorse di autocontrollo. L’obiettivo è che attraverso questo sia possibile sostenere comportamenti professionali meno orientati a prestazioni in sé e più a un processo di servizio. Attivazione di Gruppi di scambio6 Si sono promossi dei “gruppi di scambio” che si ritrovano a cadenza mensile, anche per solo mezzora, a cui partecipa il personale dei vari reparti e delle varie professioni (ASA, OSS, Infermieri) con anche la presenza del coordinatore. L’obiettivo è consentire alle persone di parlare, di mettere in campo il loro sguardo e il loro vissuto, di dare loro modo di esprimersi e di esprimere opzioni, di far si che siano loro a definire i problemi da discutere. Il coordinatore ascolta ed entra in relazione coi temi posti da loro. Attraverso questo dispositivo si favorisce il fatto che le persone vedano di più la complessità e le connessioni tra le varie operazioni e professioni. 4
Si fa riferimento all’esperienza dell’RSA Saccardo del Gruppo Segesta Si fa riferimento all’esperienza dell’Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta 6 Si fa riferimento all’esperienza dell’Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta. 5
30 Si cerca di tutelare di più il rapporto del comportamento lavorativo con gli orientamenti e la missione del servizio. Si hanno degli esiti, anche se parziali, si vedono dei miglioramenti nei comportamenti dei singoli e dei gruppi. Spostare autorità e autonomia verso il basso7 La logica è quella di spostare autonomia e responsabilità verso il basso, cioè verso operatori vicini al contesto operativo. L’organizzazione della RSA è su base di reparti, ognuno dei quali ha un “caporeparto” che ha elevate autonomie e responsabilità, sia verso gli operatori interni che nelle relazioni con i familiari. Sono inoltre identificate delle figure interne cui vengono delegate responsabilità quando il caporeparto non è presente in struttura. Questo consente di avere centri di responsabilità e regolazione più differenziati, vicini e interagenti con la dinamica quotidiana. Trasversalmente Nelle esperienze sono dunque presenti azioni di sviluppo della “risorsa coordinamento”, quindi della risorsa organizzativa che va oltre il ruolo in se del coordinatore, che possiamo riportare a delle ipotesi: -
La condivisione di informazioni e di criteri aumenta le risorse di autocontrollo e di coordinamento da parte degli operatori.
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Lo spostamento verso il basso di deleghe e autorità crea maggiori risorse di responsabilità nel regolare la quotidianità.
-
La differenziazione e frammentazione nelle caratteristiche e appartenenze degli operatori che presente oggi nelle strutture richiede un forte investimento su strumenti visibili di pianificazione, interrelazione ed esplicitazione degli apporti.
Le attenzioni vanno nella direzione di evitare che il controllo sia eccessivamente riferito e centralizzato sulla figura di un coordinatore centrale, ma siano create condizioni perché conoscenze, criteri, contenimenti siano più diffusi e possano sostenere gli apporti degli operatori.
Sostegni al Coordinamento Conoscenze, Criteri, Supporti
Op Coordinatore 7
Op
Op Si fa riferimento all’esperienza dell’Istituto Golgi-Redaelli di Abbiategrasso Op
Op
Conoscenze, Criteri, Supporti
Conoscenze, Criteri, Supporti
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Organizzazione del lavoro Le RSA presentano al loro interno un’organizzazione del lavoro complessa. Sono emerse delle diverse configurazioni operative del lavoro assistenziale. Organizzazione per ospite e compiti8 In questo caso si ha una doppia configurazione. In una prima fase, nel periodo delle alzate (sino verso le 11,00) sia un’organizzazione del lavoro incentrata sull’ospite, sul suo piano di assistenza e cura. Si hanno dei compiti specifici dati agli operatori in rapporto a determinati ospiti e alle operazioni da svolgere con loro. In una seconda fase (dopo le 11,00) si ha un’organizzazione per compiti trasversali. In questo caso si hanno operatori che sono addetti ad sorveglianza più generale degli ospiti. Questo e collegato ad un sistema di pianificazione e controllo sostenuto da una elevata informatizzazione di dati gestionali e alla predisposizione di “patentini” con indicazioni operative specifiche da dare agli operatori a supporto di operazioni peculiari. Vi sono poi fogli firma per il controllo delle operazioni realizzate. Organizzazione per zone o aree di lavoro9 In questo caso il lavoro è organizzato “spazialmente” per zone o per aree di lavoro. Ad un gruppo di operatori si assegnano dei gruppi di ospiti e in questo ambito vi sono poi livelli di auto-organizzazione interna. Anche qui vi sono poi fogli firma per il controllo delle operazioni realizzate. Il controllo Associate alle diverse configurazioni vi sono sistemi di pianificazione e controllo specifici. L’esigenza di forme efficaci e oggettivabili di controllo delle operazioni lavorative e delle procedure, la possibilità di risalire ai loro percorsi e alle responsabilità anche individuali, è stato più volte sottolineato come rilevante per rispondere alle dimensioni normative e alle problematiche poste dalle non infrequenti ispezioni realizzate dalle Asl o dai Carabinieri. Ispezioni che nelle esperienza tendono ad essere prevalentemente orientate alla verifica della proceduralità formale. Il rischio è che, se rimangono solo così, o vissute così, tendano a rafforzare comportamenti operativi più orientati alla prestazione, restringendo spazi di azione per comportamenti più orientati all’obiettivo e al processo. A questo livello è interessante aprire degli spazio di pensiero e di progettazione nelle RSA, ma anche in relazione con le Asl. Questo per evitare che forme del controllo prevalentemente incentrate su meccanismi formali, o mutuati dal mondo della sanità ospedaliera, da una parte non riescano a “leggere” elementi della potenziale qualità delle RSA, ma dall’altra anche le 8
Si fa riferimento all’esperienza della RSA Saccardo del gruppo Segesta Si fa riferimento alle esperienze del Golgi – Redaelli di Abbiategrasso e dell’Azienda Speciale Consortile Servizi alla Persona di Magenta. 9
32 “costringano” a operare secondo modalità che rinforzano più le logiche sanitarie tradizionale a discapito delle logiche più relazionali. Badanti e organizzazione del lavoro E’ significativa la presenza di badanti all’interno delle strutture. Questo da luogo a interazioni complesse sia con le famiglie che con gli operatori professionali. Le badanti vengono ad assolvere diverse funzioni, non solo quelle di ordine praticoassistenziale. Spesso rappresentano una sorta di controllo da parte delle famiglie di quel che succede in struttura, anche per gestire e attenuare dei sensi di colpa rispetto al ricovero del congiunto. E’ come se le badanti venissero a rappresentare dei “prolungamenti” di altro. Diverse volte le badanti, anche per dare un senso alla loro presenza, tendono a sostituirsi ad autonomie possibili dell’ospite, altre volte tendono a gestirlo nei momenti di socialità, sottraendolo a proposte più generali della struttura. La presenza delle badanti è importante sia anche oggetto di pensiero da parte della struttura. In alcuni casi nelle strutture esistono dei “regolamenti” sulle forme e modalità di presenza delle badanti. La gestione del problema richiede però non solo la regolamentazione, ma anche un investimento sulla relazione specifica con le singole famiglie e le singole badanti. Processi di lavoro e cultura organizzativa L’analisi delle esperienze e il confronto anche con altre realtà, ha messo in luce l’importanza che ha quella che può essere definita come cultura gestionale dell’organizzazione. Una cultura che viene a caratterizzare l’insieme del funzionamento organizzativo, le sue regole, le sue quotidianità, la sua logica. Si sono evidenziate due culture organizzative, che si muovono molto diversamente rispetto alle problematiche dell’integrazione delle varie componenti interne. Da una parte una cultura organizzativa dove c’è uno sforzo di mettere al centro i processi di realizzazione del servizio verso gli utenti, e in relazione a queste si cerca di far collegare e mediare le componenti interne. Le diverse componenti organizzative (amministrativa, alberghiera, logistica, sanitaria….) sono stimolate e sostenute nel produrre azioni orientate a queste centralità. Questo vuol dire che vengono promossi orientamenti e vengono definite procedure che cercano di tenere al centro i processi di assistenza e cura rivolti agli ospiti. In questa logica, il problema di riparazione dello scarico riportato in precedenza ad esempio viene letto non nella logica referenziale amministrativa, ma della necessità del reparto. Dall’altra una cultura organizzativa più tradizionale, più amministrativa-burocratica, dove le diverse componenti organizzative (amministrativa, alberghiera, logistica, sanitaria….) operano con maggiori autoreferenzialità, viaggiano su binari paralleli, imponendo una all’altra i loro tempi e le loro procedure rispetto ai problemi.
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Cultura tradizionale Settore A
Cultura orientata ai processi Settore A
Settore B
Settore C
Settore B Assistenza e cura Assistenza e cura Settore C
Sostenere un passaggio da una cultura più tradizionale amministrativa-burocratica, che è collegata alla storia delle strutture residenziali, che poi come riportato nei capitoli precedenti si è saldata con una cultura sanitaria tradizionale richiede investimento gestionale. Il gruppo dirigente10 Aiuta in questo costruire una dinamica di gruppo dirigente, una sorta di “nucleo di gestione integrata” con i ruoli di responsabilità che interagiscono in momenti di analisi e decisione per sostenere un lavoro dei vari comparti orientato al problema, e non autocentrato sulla logica del singolo settore. E questo non è scontato, richiede investimento ricorrente. Il sentire-vedere che dietro c’è un gruppo dirigente che sostiene è importante e può rappresentare una risorsa per sostenere processi di innovazione. I coordinatori Allo stesso tempo si è visto come anche il coordinatore di reparto ha delle grosse potenzialità nel promuovere dinamiche integratorie, gestendo dal basso tutta una serie di ricomposizioni in rapporto ai problemi di lavoro e alle separazioni organizzative. Questo comporta anche notevole impegno di energia, e può portare a senso di solitudine. C’è il rischio che il reparto somigli al coordinatore, oscillando tra solitudine e espressività, tra soddisfazione per il lavoro e frustrazione per il distacco dalle dinamiche più complessive. Orientamenti Nelle analisi delle esperienze è emersa l’importanza del fatto che a livello di struttura siano presenti, vengano esplicitati, sostenuti e resi visibili degli “orientamenti” riferiti al servizio. Ovvero delle indicazioni che colleghino una visione del senso e delle caratteristiche del servizio, declinate con una visione delle modalità di esplicare gli apporti professionali e con una attenzione alle loro connessioni con la quotidianità organizzativa. Orientamenti che, al fine di supportare le operatività quotidiane del personale siano coerenti con i problemi da affrontare e rendano visibili le attenzioni da avere e i processi di lavoro cui collegarsi al fine di sostenere il funzionamento della RSA. Orientamenti dunque che colleghino e che sostengano coerenze tra i diversi apporti professionali. Questi sono aspetti per nulla scontati. A volte si da poca attenzione a questo investimento sugli orientamenti e sulla loro coerenza con quanto poi avviene, e il rischio è che gli operatori 10
Si fa riferimento in particolare alle esperienze delle RSA Santa Lucia e Saccardo del gruppo Segesta.
34 si chiudano su visioni personaliste, oppure su comportamenti professionali più di tipo “prestazionale”, e su atti che alla fine risultano giustapposti tra di loro senza però essere supportati da una visione generale. In generale si rileva uno scarso investimento sulla loro manutenzione. Quello che si riscontra è che nelle realtà delle RSA sono presenti diversi orientamenti, che però sono “parziali”, appartengono ad alcune delle loro aree o ad alcune delle loro componenti. Orientamenti parziali rispetto ai quali occorre dunque investire in integrazione e coerenza. Nelle RSA, anche se non sempre espliciti o consapevoli, ne agiscono almeno tre tipologie: -
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Orientamenti a matrice professionale: sono questi quelli riportabili alle tipologie di professioni e di mansioni che sono presenti quali la “sanitaria”, la “ sociale” e la “amministrativa”. Orientamenti a matrice culturale: sono questi quelli collegati alle provenienze del personale, dato che il personale “non italiano” rappresenta una quota sempre più significa di coloro che operano oggi nelle RSA, e in particolare in quelle gestite dal privato e del privato-sociale . Orientamenti riferiti alle componenti organizzative: sono quegli orientamenti, sguardi sulle cose che sono collegati ai diversi livelli e soggetti implicati nel governo e nella gestione dei servizi, quali quelli presenti nei livelli politici dei Consigli di amministrazione, nei livelli gestionali e dirigenziali, nei livelli tecnicoprofessionali. Orientamenti sensibili a questioni legittime che spesso non vengono connesse tra di loro quali il consenso, l’efficienza economica, le specificità dei problemi assistenziali.
Nelle RSA a in rapporto a tutti questi orientamenti, legittimo ma parziali, si vedono frequentemente delle scissioni, delle coesistenze parallele, delle diversità non ricomposte. Si è visto che sono presenti anche orientamenti diversi da reparto a reparto, legato alle storie di quei reparti (particolari figure che vi hanno operato), ai problemi specifici che affrontano (tipologie di persone e loro condizioni di salute), alle visioni di cui sono portatori i coordinatori (storie, valori, sensibilità). Questo fa si che nelle stesse RSA siano presenti sia una cultura organizzativa, sia culture organizzative e del servizio “locali”. Culture organizzative e del servizio locali alcune delle quali sono ritenute più innovative e dinamiche, e altre meno. Questo da una parte porta a riconoscere il contributo dato dai coordinatori nel promuoverli e mantenerli, dall’altro apre anche a sensi di solitudine da parte degli stessi, quando si trovano ad affrontare le diverse componenti e culture interne in relazione a problemi. Problemi anche molto quotidiani e non banali dentro una visione integrata del servizio: la rottura di uno scarico di un lavandino, per la componente amministrativa può essere un evento non significativo da mettere in lista di attesa per poi chiamare l’idraulico quando si ha una massa critica di riparazioni da effettuare; per una gestione di reparto impregnata sulla massima valorizzazione delle autonomie e dei tempi e ritmi delle persone può portare a significativi problemi e impedimenti.
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Riflettendo sulle visite si è visto che ci possono essere orientamenti che spingono ad un’attenzione al come evolve la domanda di assistenza, alle domande delle famiglie e delle persone. Questo può poi trovare riscontri in processi lavorativi più capaci di confrontarsi con le complessità delle situazioni (es. nel confronto con persone con SLA, con alzheimer, con nuove forme di non autosufficienza……). Oppure vi possono essere orientamenti più chiusi, o non alimentati, che spingono spesso verso atteggiamenti difensivi verso le nuove domande e i nuovi problemi, che vengono visti e vissuti sostanzialmente come “problemi in più” o problemi “non significativi”. Un investimento sulla promozione di orientamenti coerenti e visibili può sostenere “apertura mentale”. Il personale straniero: problematiche specifiche e modalità di sostegno Questioni di contesto Oggi trovare personale che nelle RSA operi sulle funzioni assistenziali e su quelle infermieristiche è difficile. La presenza di componenti straniere nella composizione del personale assistenziale e infermieristico nelle RSA è elevata, anche se con distribuzioni difformi: si va da situazioni che hanno ancora una forte prevalenza di personale italiano, a situazioni ove la gran parte del personale è straniero. La presenza forte di personale straniero la si ha soprattutto nelle strutture del privato e del privato-sociale, ma sempre di più anche tra gli operatori appartenenti a cooperative che operano nelle strutture pubbliche attraverso contratti di esternalizzazione di servizi o per la copertura di posti legati ai turn-over. L’incontro tra persone straniere e lavoro in RSA si inserisce in diverse dinamiche e contraddizioni. Alcune legate ai processi migratori: - confluiscono su ambiti di lavoro e tipologia di professioni non interessanti per gli italiani e di fatto lasciati scoperti; - hanno dietro motivazioni diverse che sostengono, nei processi migratori, l’accesso alle professioni socio-sanitarie , e in particolare di quelle socio-assistenziali, da parte delle persone straniere: da motivi di potenziale interesse per queste professioni , a professioni che sono scelte perché consentono un facile accesso al lavoro, con l’obiettivo di passare poi ad altro; - si ha anche presenza di reti di controllo malavitose nell’accesso all’immigrazione e al mercato delle professioni socio-sanitarie; - ci sono comportamenti di sfruttamento e massimizzazione del profitto da parte di cooperative gestrici di appalti in RSA, che non investono sul personale, in particolare quello straniero, e che lo spostano anche improvvisamente da turno a turno, o da una sede all’altra in funzione di “problem solving” organizzativi ecc.. Ci sono dunque diverse questioni, anche di reciproche strumentalità macro e micro, delle quali occorre tenere conto e che si riproducono nei luoghi organizzativi specifici. Altre legate alle logiche di mercato di queste professioni, che sono in generale molto contraddittorie e poco oggetto di investimenti qualitativi. Ci si aspetta molto da queste
36 professioni, sono chiamate ad operare in rapporto a situazioni di anziani e di famiglie molto compromesse, però: - hanno dietro investimenti formativi in fondo limitati: 800 ore per formarsi alla professione OSS (meno quindi di un qualsiasi corso di ufficio o di informatica); - si hanno difficoltà spesso a operare selezioni di merito all’interno dei corsi professionali, anche a fronte di presenze percepite come strumentali o poco adatte, sia perché serve il personale, sia perché a fronte dell’investimento migratorio ed economico fatto dalle persone straniere, risulta emotivamente difficile agire selezione; - si hanno salari tra i più bassi del mercato; In diverse situazioni si ricorre all’esternalizzazione di funzioni o di parti di personale, ma le condizioni di esternalizzazione sono molto diversificate tra i diversi enti gestori e territori. Non in tutte le situazioni vi è un investimento qualitativamente significativo sulle forme di rapporto con i soggetti cui si esternalizza. In diverse situazioni la politica del personale e della sua formazione è lasciata alle cooperative. In altre si investe invece sulla connessione tra i diversi soggetti interagenti nella RSA. Se ambivalenze nelle motivazioni d’accesso a queste professioni da parte delle persone straniere si incontrano prevalentemente con logiche di sfruttamento, il rischio è che la strumentalità reciproca aumenti, e che gli apporti lavorativi e i vissuti organizzativi siano più problematici. Non si può non tenere conto di questi aspetti di sfondo, anche se non tutto va ributtato come impotenza rispetto alle contraddizioni macro. Il contesto operativo e organizzativo specifico può essere oggetto di investimento per sostenere identificazioni e riconoscimenti costruttivi. Problematiche da affrontare Se a livello macro sono poco ridefinibili i diversi “giochi”, almeno nel medio-breve periodo, si tratta di capire se, nell’incontro micro, quello che avviene a livello organizzativo nelle RSA, sono gestibili delle logiche e delle azioni che valorizzino le dimensioni più costruttive che vi sono presenti. Un primo aspetto riguarda la formazione a supporto del lavoro. Oltre alla formazione istituzionale, si tratta di vedere in che termini sia possibile individuare e promuovere spazi per una formazione “organizzativa”, costruita e gestita dalle stesse organizzazioni, sia attraverso iniziative formative specifiche, sia attraverso “attenzioni formative” che possono più consapevolmente accompagnare l’esercizio delle funzioni di coordinamento e responsabilità. Un secondo aspetto riguarda gli investimenti progettuali delle persone. Ci sono, è vero, le problematiche generali e contraddittorie delle dinamiche migratorie, ma a livello delle organizzazioni è possibile costruire condizioni di lavoro, di motivazione professionale, per ricontestualizzare un proprio progetto migratorio investendo sulla professione nel servizio. Un terzo aspetto riguarda il tema del riconoscimento. Si parte spesso dall’idea che sono solo loro a dover riconoscere noi. L’uguaglianza richiede il riconoscimento delle diversità. Forse va riconosciuto che anche noi dobbiamo riconoscere
37 loro. C’è in questo anche un grosso lavoro da fare, che nelle condizioni attuali rischia di essere percepito (prima ancora di essere) un sovraccarico. Già è complicato con le risorse professionali tradizionali. Con la diversità, che amplifica tante viabili, le cose sono difficili. La presenza di tanti stranieri pone quindi questioni importanti nella gestione quotidiana. Le contraddizioni generali, se non gestite, vanno ad aumentare tensioni e difficoltà presenti nelle RSA. Nei contesti specifici possono essere promosse azioni risorsa per agganciare e valorizzare dimensioni ed energie più costruttive. Cooperando tra RSA, e in rapporto con Enti di formazione o con la Provincia si possono promuovere azioni-risorsa più di sistema. Aree di frizione In relazione alla presenza e alle modalità di svolgere il lavoro da parte delle persone straniere si vengono a creare delle aree di difficoltà e di frizione. Nelle relazioni con gli ospiti e le loro famiglie: - sono legate a difficoltà linguistiche nella relazione tra ospiti e personale, non solo legati alla conoscenza dell’italiano in sè, ma anche al fatto che diversi ospiti faticano ad esprimersi bene, e quindi risultano più difficilmente comprensibili nelle loro richieste; altri ad esempio si esprimono solo in dialetto ecc.. - si ha, in forma non infrequente, un utilizzo di linguaggi offensivi e di atteggiamenti maltrattanti verso il personale assistenziale da parte di alcuni ospiti; verso il personale straniero questi atteggiamenti sono più frequenti e spesso più pesanti; - si hanno atteggiamenti e parole di delegittimazione del personale straniero: non parla bene, allora questo vuol dire che è stupido, che non capace; - si hanno atteggiamenti di colpevolizzazione degli operatori stranieri da parte delle famiglie. Questo quando la famiglia vede cose che non vanno, o quando percepisce o immagina delle difformità di trattamento del proprio congiunto: - il personale straniero viene dunque a fare da capro espiatorio rispetto a più generali malfunzionamenti e rispetto a dei sensi di colpa o alle tensioni. Nelle relazioni tra il personale: - si verificano spesso difficoltà a riconoscere i ruoli di autorità affidati a stranieri, e questo sia da parte di italiani, sia da parte di stranieri appartenenti ad altre aree geografiche o nazionalità; - c’è tendenza da parte dei lavoratori stranieri a fare gruppi chiusi per nazionalità, con conseguenti difficoltà di comunicazione, giochi di potere, potenziali conflittualità. Se il tema del “riconoscimento” è un tema generale nel rapporto con il proprio lavoro e la propria organizzazione, nel caso delle persone straniere questo si pone ancora di più, proprio per la presenza di maggiori dimensioni umilianti e disconfermanti. Questo anche per evitare regressioni comportamentali o coalizioni di gruppo difensive. Ci sono tra l’altro persone straniere con studi anche significativi che accedono alle figure assistenziali di base. Anche conoscere e interloquire di più con queste dimensioni e vissuti, anche senza poter modificare variabili organizzative, può essere un fatto importante.
38 Frizioni e scontri avvengono anche quando vengono fatte azioni che si basano su impliciti culturali diversi legate alla relazione, alla cura, alla morte. Si potrebbe dire ai lavoratori stranieri: ma perché non mi hai chiesto prima come fare questa cosa? Ma anche: come mai non gli ho dato indicazioni pensando che loro possono pensare diversamente? Gli operatori stranieri sono chiamati a imparare a filtrare, decodificare, ricollocare questi atteggiamenti. Sono chiamati ad riconoscere ed elaborare che gli ospiti e le loro famiglie hanno dei problemi, e che loro fanno da sfogo. E’ in questo senso che, dentro un’ottica gestionale attenta, vanno anche supportati. La presenza di molte culture porta anche a non dare per scontate tante cose. Si rischia altrimenti di colpevolizzare a senso unico. Ci sono questioni comunicative legate agli atti professionali da non dare per scontate. E tutto questo è anche molto faticoso. Attenzioni e azioni messe in campo Nelle esperienze specifiche si sono individuate alcune attenzioni ed alcune azioni che sono state messe in campo per gestire le situazioni e sostenere comportamenti professionali e relazioni più costruttive: Inserimenti Cercare di effettuare inserimenti graduali di personale straniero e non per blocchi, per poter meglio gestire l’incontro. Affiancamenti Si cerca di creare le condizioni organizzative per degli “affiancamenti” ai nuovi inseriti, finalizzati ad una corretta socializzazione al lavoro in quel contesto specifico. Costituzione gruppi Si cerca di evitare, nel limite del possibile, di costruire gruppi omogenei per aree di provenienza e nazionalità, per evitare il consolidarsi di dinamiche di gruppo chiuso. Formazione Si sono promosse iniziative formative, anche brevi, per facilitare la contestualizzazione della propria cultura e della propria professione nelle RSA. Generalmente sono state fatte in orario di lavoro. Erano state tentate anche al di fuori dell’orario ma, anche se pagate, non venivano frequentate (molti operatori hanno un doppio lavoro). Supporto psicologico Ci sono ipotesi allo studio di coinvolgere gli psicologi che collaborano con la RSA per creare spazi di ascolto verso il personale sulle difficoltà incontrate nel lavoro. Comunicazione Utilizzo di disegni, simbologie, per creare strumenti di lavoro utilizzabili da tutti e con ridotte ambiguità. Famiglie
39 Riunioni con le famiglie a cura del coordinatore per dare visioni univoche e orientanti delle logiche di lavoro del servizio. Questo anche per evitare ambivalenze nel rapporto con il personale straniero che poi generano conflittualità.
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Approfondimenti Ritmi soggettivi e ritmi istituzionali La possibilità di costruire un’organizzazione residenziale dove i processi di lavoro riconoscono e sostengono i ritmi soggettivi delle persone sembra spesso inibita. La dimensione di queste strutture, la quantità di personale che vi opera, l’esigenza di regolare il sistema degli apporti professionali dentro un quadro definito, controllato e controllabile, la logica dei minutaggi collegati alle dotazioni di personale, sembra rendere ineluttabile un’organizzazione del lavoro incentrata sulla pre-definizione dei tempi, con l’esigenza poi da parte di chi ci vive e che ci opera di subordinarsi a questa ritmica istituzionale. Tempi legati al riposo, all’igiene, all’alimentazione, agli interessi e alle relazioni vengono così ad essere contenuti, supportati e gestiti in quadri prefissati. Questo non significa che poi si sviluppino attenzioni e sensibilità negli apporti degli operatori orientati al massimo rispetto possibile delle compatibilità tra tempi personali e tempi organizzativi, e alla massima valorizzazione delle dimensioni soggettive. O ancora che si sviluppino pensieri e progettualità che tendono a connettere e integrare ciò che una logica di scomposizione funzionalista tenderebbe a separare: ad empio si possono fare “accompagnamenti” alla deambulazione da parte degli operatori assistenziali tra il letto e il bagno, o tra la stanza da letto e le stanze delle attività collettive che sono attenti alle dimensioni fisioterapiche dei gesti e dei movimenti, integrando nel quotidiano possibili scissioni tra un muoversi funzionale solo all’andare in un luogo e un muoversi più astratto in attività fisioterapica. Ma la possibilità di costruire un’organizzazione dove al centro c’è il ritmo e il tempo individuale sembra molto spesso vista come incompatibile con le strutture residenziali. Interessante a questo proposito è l’esperienza che si è osservata in un reparto Alzheimer 11, dove l’ipotesi di assistenza e cura è incentrata sul favorire un benessere possibile della persona attraverso la massima riduzione possibile dei fattori di stress indotti, e tra questi anche quelli collegati alla variazione o costrizione della sua ritmica di vita e dei suoi riferimenti spaziali e ambientali. In questo caso i processi di lavoro degli operatori tra di loro e in rapporto alle persone ospiti e ai loro famigliari presenti devono essere orientati al rispetto ritmiche soggettive. Gli orientamenti relativi al senso dell’apporto professionale e le modalità del lavoro di coordinamento vanno di conseguenza a sostenere questa impostazione. In questa situazione, anche in relazione al tipo di patologie presenti, sono presenti risorse e vincoli diversi che in altri reparti. Però è importante non prendere distanze dicendo “lì è possibile, da noi no”. L’esperienza è interessante, e andrebbe ulteriormente approfondita, perché apre a possibilità di riaprire pensieri dati forse troppo per scontati sulle modalità di funzionamento delle ritmiche organizzative. Forse ci sono spazi per intravedere spazi di sperimentazione anche in altre tipologie di contesto. 11
Si fa riferimento all’esperienza del Golgi – Redaelli di Abbiategrasso e al modello di cura Gentlecare.
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Rappresentare di più il lavoro di coordinamento e integrazione In generale sull’integrazione organizzativa, sull’affiancamento professionale, sull’attenzione alle dinamiche con personale straniero è richiesto un lavoro molto intenso e ampio da parte delle figure di coordinamento. Un lavoro spesso “non visto” dalle altre componenti delle RSA, anche da quelle direzionali. Molte volte prevale una visione dell’organizzazione prevalentemente formale, rappresentata dai minutaggi di copertura e dalle prestazioni previste per il personale. Si rischia così di sottovalutare tanti problemi e di non generare apprendimenti organizzativi, pensando che le RSA siano come prima, che sono a posto se hanno i minutaggi formalmente coperti, e si rischia così di non vedere tutte le complessità gestionali che sono richieste per le caratteristiche degli ospiti, delle famiglie, del personale. Coordinamento come funzione e come ruolo Coordinamento e integrazione sono sia funzioni organizzative, ovvero dimensioni che l’organizzazione deve riconoscere, assumere e gestire per il suo funzionamento, sia attribuzioni specifiche che vengono assegnate ad alcuni ruoli organizzativi. La complessità delle problematiche con le quali si confrontano le organizzazioni e le professioni oggi fa si che le funzioni non siano centralizzate su alcuni ruoli, ma che più ruoli, pur con distinzioni e responsabilità differenziati, si sentano implicati nel concorrere alla tutela di funzioni organizzative. Nelle RSA i contenuti di ruolo delle persone che sono chiamati “coordinatori” sono molto diversificati, in funzione delle logiche di funzionamento e degli orientamenti verso il servizio da realizzare. Si hanno situazioni di coordinamento “centrale” e situazioni di coordinamento “ravvicinato” alle dimensioni del reparto, situazioni in cui si introducono “collaborazioni” al coordinamento e altre dove si introducono “referenze” di piano o di nucleo. In ogni caso è sentita l’esigenza che, attenzioni e consapevolezze, visioni condivise dell’oggetto di lavoro siano più diffuse, così che ci sia una dinamica più diffusa che concorre a sostenere coordinamento e integrazione. Una dinamica più orientata a vedere i diversi apporti lavorativi più interagenti con dei processi di cura e meno agiti come prestazioni a sé stanti. Livelli di lavoro Sono stati identificati tre livelli, tre modalità attraverso cui le figure preposte al coordinamento possono esplicare le loro funzioni. Fanno riferimento a tre diverse tipologie di controllo, intendendo con questo termine non qualcosa di prevalentemente normativo rispetto ai processi, ma piuttosto qualcosa che vi interagisce per mantenere questi processi in relazione a orientamenti, oggetti di lavoro, risultati attesi. Non sono una escludente l’altra. Ognuna ha potenzialità e limiti di cui occorre tenere conto. Questi sono: • Controllo da supervisione diretta
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Controllo attraverso procedure Controllo attraverso premesse
Controllo attraverso supervisione diretta Si esplica intervenendo direttamente in rapporto agli operatori e alle loro operazioni, correggendo, integrando, sostenendo. E’ utile in situazione di organizzazioni semplici, con contesti ravvicinati di relazione operativa, o anche in rapporto a compiti complessi ove serve una vicinanza di sguardi con maggiori competenze tecniche o con maggiori risorse conoscitive rispetto all’insieme in cui le operazioni avvengono. E’ molto dispendioso in situazioni di personale ampie. Rischia di dissipare risorse organizzative se interviene continuamente su comportamenti reiterati, e alla fine rischia di non costruire o sedimentare apprendimento organizzativo. Controllo attraverso procedure Si esplica costruendo procedure, ceck-list, note di riferimento che hanno l’obiettivo di sostenere il lavoro, evitare disattenzioni o salti di atti, controllo di esecuzione. Oppure che spingono ad avere attenzione a questioni che sarebbero altrimenti lasciate da parte (es passaggi da fare verso l’ospite, verso i familiari ecc..). Parliamo qui di procedure appositamente costruite dal coordinatore, anche unitamente a gruppi di lavoro di operatori. Fanno dunque parte di uno sforzo contestuale. Sono quindi di grado diverso da procedure organizzative più generali quali ad esempio quelle legate alla certificazione di qualità o a indicazioni organizzative più generali. Le procedure, se da una parte sostengono, evitano dimenticanze, permettono di risalire a chi ha compiuto determinate operazioni, hanno anche il rischio di far prendere distanza e deresponsabilizzare rispetto ad investimenti soggettivi. Controllo attraverso premesse Viene agito favorendo il riconoscimento e la condivisione di criteri e riferimenti che possono sostenere comportamenti più orientati e responsabili da parte dei collaboratori. Il controllo, da esterno, come attraverso quello esercitato con la supervisione diretta o le procedure, tende ad essere più interno e proattivo da parte degli operatori stessi, promuove auto-controllo. Si basa su investimenti discorsivi con gli operatori, riferiti anche a riconoscimenti e rielaborazione di errori, problemi, o anche nuovi compiti. Richiede investimenti ma consente poi dei ritorni di investimento in termini di consapevolezze e di azioni più orientate ai valori e agli obiettivi. E’ importante da sviluppare soprattutto in situazioni dove ci sono diverse variabili in gioco, dove vanno agiti comportamenti orientati più da criteri guida che da regole predefinite. Nei contesti operativi Allargando lo sguardo ai contesti operativi anche delle altri servizi territoriali del territorio, emerge che i coordinatori si muovono soprattutto con la supervisione diretta. E’su questo che interpretano il ruolo di coordinamento e controllo.12 Questo porta a sovraccarichi di lavoro, a rincorrere continuamente emergenze, e a rappresentarsi di più le dimensioni infermieristiche, percepite come le più critiche, rispetto a quelle socio-assistenziali. E’ importante allora rappresentarsi di più anche degli accompagnamenti al ruolo e dei sostegni alla costruzione di modalità di coordinamento per queste figure così critiche. 12
Questo è emerso anche in un percorso con coordinatori che hanno partecipato ad un’iniziativa formativa della Provincia di Milano “La funzione di coordinamento e integrazione nei Servizi Residenziali per Anziani: seminario di formazione per persone con ruoli di coordinamento” tenutasi in aprile e maggio 2010.
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Relazioni con il contesto Attivazioni, relazioni e promozioni Un’altro degli elementi colti e tematizzati nelle analisi è la natura e le forme del rapporto con l’esterno. Le strutture per anziani sono potenzialmente oggetto di interesse da parte di gruppi del territorio: dai gruppi di volontariato anziani, ai gruppi giovanili, dai gruppi legati ad iniziative culturali quali l’Università della terza età ad altri gruppi tematico-culturale, dalle scuole alle iniziative educative territoriali. Ci sono esperienze dove il rapporto con il contesto è dinamico, è sostenuto da un orientamento proattivo verso il contesto e i suoi soggetti, è sostenuto da idee e pensieri sull’interazione possibile, sugli oggetti attorno ai quali queste possono configurarsi. E’ importante che le strutture non affrontino queste dimensioni passivamente, ospitando e basta queste presenze e potenzialità. Spesso però queste forme di presenza sono invece solo tollerate, o agite da chi entra, e questo genera molto meno valore aggiunto di quanto potrebbe, quando addirittura non genera microconflittualità. Un lavoro non visto Un elemento che ha colpito il gruppo di lavoro, composto sia da operatori di RSA che da operatori dei Servizi sociali territoriali, è che questi ultimi si sono detti sorpresi dalla quantità e qualità di elementi che hanno scoperto essere relativi ai percorsi progettuali nelle RSA, sia verso le famiglie che verso gli ospiti. E’ come se, all’esterno delle strutture, nel territorio, vi fosse una scarsa visibilità delle problematiche trattate, dei percorsi di lavoro costruiti o costruibili. A questo sono associabili anche le dimensioni, più volte richiamate, di rifiuto da parte del contesto nel fare i conti con il limite, la sofferenza, la non autosufficienza, la malattia, la morte. La nostra società, soggiogata dalla razionalità strumentale, dall’illusione della risoluzione tecnica di ogni tipo di problema, e tra questi anche quelli di salute, mal sopporta di rappresentarsi la convivenza o il solo contenimento delle sofferenze e dei problemi. Azioni promozionali e culturali, agibili dai servizi residenziali in collaborazione con soggetti del territorio sono dunque importanti. Possono contribuire a produrre risorse collaborative, allargare i legami, favorire condizioni per orientare in modo più costruttivo le domande che poi arrivano. La formazione La formazione di base
44 La formazione di base rivolta alla preparazione degli operatori socio-assistenziali è oggi debole rispetto alle domande di professionalità presenti nei servizi e alle problematiche che poi gli operatori devono affrontare. Debole in termini di ore istituzionalmente predefinite. Ulteriormente indebolita dalle dinamiche precedentemente richiamate quali gestioni anche malavitose dei progetti migratori collegati a queste professioni, deficit anche forti nelle competenze linguistiche, difficoltà a operare selezioni orientate a garantire professionalità nei diplomati. Inoltre, nei contenuti in genere sviluppati nei corsi di base, vi è poca attenzione alla realtà delle RSA, e i modelli professionali proposti risentono più della logica sanitaria-ospedaliera tradizionale. Problemi simili si hanno anche con la formazione di base degli infermieri. Qui la quantità di ore di formazione è più rilevante. Ma anche qui i modelli proposti sono più quelli della sanità ospedaliera, con scarsa attenzione alle situazioni che operano con le dimensioni della vecchiaia e della cronicità. Il passaggio alle Università della formazione ha poi indebolito una serie di competenze pratico-operative, di vicinanza alle persone, prima presenti nei percorsi di formazione e socializzazione alla professione. La formazione nell’organizzazione Si apre dunque l’esigenza di valorizzare e investire in quella che può essere la formazione gestita nell’organizzazione. Ovvero è importante che le strutture si assumano con sempre maggiore consapevolezza l’esigenza di supportare una contestualizzazione degli apporti professionali, sostenendo le dimensioni deboli, o favorendo una declinazione delle professioni negli orientamenti di assistenza e cura che sono più coerenti. Una formazione che può passare attraverso iniziative formative specifiche, ma forse può passare anche molto nelle dimensioni gestionali. Dimensioni che, come dicevamo, è importante esplicito orientamenti di lavoro inerenti caratteristiche, qualità, esiti attesi del servizio in relazione all’assistenza e cura e in relazione alle famiglie. Dimensioni di coordinamento che è importante si collochino non solo sull’intervento diretto, ma costruiscano condizioni e procedure di supporto, che spingono ad avere attenzioni ad alcuni aspetti del lavoro, e che favoriscano costruzione di criteri di orientamento per i comportamenti operativi. Sperimentazioni possibili Se la formazione di base presa in generale presenta criticità non immediatamente risolvibili, o non immediatamente nelle possibilità di influenzamento dei servizi residenziali, possono però essere promosse sperimentazioni che ne attutiscono alcune contraddizioni e ne valorizzano le potenzialità. Una strada può essere quella di fare accordi con alcuni soggetti che gestiscono la formazione di base, assieme alla Provincia, per:
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Concordare problemi che sarebbe utile trattare nei corsi (questioni che sono anche trasversali alla logica delle discipline). Concordare la possibilità di apporti mirati di personale delle RSA Concordare modalità di tirocinio più utile alla formazione e alla rielaborazione.
Alcune di queste cose vengono fatte, ma però non inserite in accordi quadro di sostegno, oppure agite individualmente da operatori che sono chiamati a fare docenze. Inserite in un quadro di relazioni pattuite su obiettivi organizzativi e formativi potrebbero essere più produttive. Formazione e organizzazione Connettere formazione e organizzazione diventa dunque sempre più necessario e strategico. Questo dentro un’alleanza particolare tra direzioni di struttura e figure che, a vari livelli, sviluppano funzioni di integrazione e coordinamento. Le questioni che sono state sviluppate nel percorso di ricerca – le modalità di relazione con le famiglie e le modalità di supporto al lavoro degli operatori – consentono, come si è visto, di incrociare una serie di dimensioni relative alle ipotesi di assistenza e cura e alle modalità di costruire gli apporti professionali rispetto alle quali queste alleanze progettuali potrebbero svilupparsi, connettendo la messa a fuoco e la promozione di orientamenti lavorativi attorno alle caratteristiche del servizio, con attenzioni organizzative e gestionali da sostenere nella quotidianità.