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CENSIS
Regione Marche – FSE – POR Obiettivo 3, 2000-2006 Asse A, Misura A1
AFFIDAMENTO DI ATTIVITA’ DI RICERCA E ANALISI SUL FENOMENO DEL LAVORO IRREGOLARE E SOMMERSO NELL’AMBITO TERRITORIALE DELLA REGIONE MARCHE
Rapporto finale Parte I ATI: Fondazione Censis – Centro Studi Investimenti Sociali (capofila), Assistedil – Ente per la formazione degli edili di Ancona e Ente scuola edile per l’industria edilizia di Ascoli Piceno
2006
INDICE Premessa
Pag.
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Nota di sintesi
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1. Il peso del lavoro irregolare nelle Marche 1.1. Il quadro di riferimento concettuale 1.2. La misura dell’irregolarità secondo le fonti ufficiali 1.3. I tassi di irregolarità provinciale 2. L’indagine di campo presso 80 testimoni privilegiati 2.1. Economia visibile ed invisibile. Un focus regionale 2.2. Il sommerso nelle Marche 2.4. Le politiche di contrasto del lavoro sommerso tra sostegno e repressione 2.5. Nota metodologica 3. I casi di studio 3.1. L’industria meccanica nella provincia di Ancona 3.2. Il distretto calzaturiero fermano-maceratese 3.3. Il tessile abbigliamento del Pesarese
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Rapporto per i relatori
PREMESSA Il presente rapporto raccoglie una parte dei risultati delle attività realizzate nell’ambito della ricerca “Analisi sul fenomeno del lavoro irregolare e sommerso nell’ambito territoriale della regione Marche”, commissionata dalla Regione Marche al raggruppamento di imprese composto dal Censis, dall’Ente Scuola Edile di Ascoli Piceno e dalla Scuola Edile di Ancona. La ricerca ha inteso analizzare l’impatto e l’evoluzione del fenomeno del lavoro irregolare e sommerso nella realtà marchigiana con particolare attenzione al comparto edile. In questa parte del testo, preceduta da una nota di sintesi in cui sono indicate le principali evidenze emerse dall’attività di ricerca, è realizzata una lettura di carattere più generale del fenomeno, che si sviluppa attraverso: - un’analisi quantitativa del fenomeno del lavoro irregolare nella regione, a partire dai dati di fonte Istat, e le stime Censis, di carattere settoriale; - un’indagine di campo condotta presso 80 testimoni privilegiati, scelti tra i rappresentanti regionali e provinciali delle istituzioni (Servizi per l’impiego, Ispettorati del lavoro, Camere di Commercio, Inail, Inps), del mondo imprenditoriale e sindacale (associazioni di categoria), del mondo dei liberi professionisti (commercialisti, consulenti del lavoro) che ha consentito di individuare le caratteristiche del lavoro e delle imprese irregolari nella regione, le rispettive differenze territoriali, tanto con riferimento alle caratteristiche - sociali, economiche, culturali – dei soggetti interessati, che dei rispettivi ambiti di attività; - 3 casi di studio settoriali, realizzati nel comparto della meccanica di Ancona, nel calzaturiero Fermano Maceratese e nel settore tessile di Pesaro-Urbino, aree di specifico interesse per delineare una mappatura del fenomeno del sommerso in relazione ai processi che le stanno investendo.
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Rapporto per i relatori
NOTA DI SINTESI
a)
La doppia anima del sommerso marchigiano
Le Marche costituiscono un punto di osservazione del tutto privilegiato nell’analisi delle complesse fenomenologie che caratterizzano il sommerso, non fosse altro perché ne offrono uno spaccato estremamente indicativo delle evoluzioni che il fenomeno ha subito negli ultimi anni nel nostro Paese a seguito dei profondi mutamenti che hanno interessato l’economia italiana. E’ opportuno sottolineare, in via preliminare, che il sommerso, pur presente nella realtà regionale, non ne costituisce tuttavia un elemento strutturale: è questa l’indicazione che emerge con maggiore evidenza dall’analisi sia delle fonti di statistica ufficiale, che stimano per le Marche un’incidenza del lavoro irregolare del 10,7%, inferiore sia a quella nazionale (13,4%) che alle regioni del Centro (12,3%) sia dal giudizio dei testimoni locali, secondo cui il sommerso è soprattutto un fenomeno marginale (la pensa così il 39,4% degli intervistati), ciclico (31%) o assolutamente irrilevante (1,4%). Solo il 28,2% (contro una media nazionale del 43,5%) pensa invece che sia diffuso e strutturale. Peraltro, se a giudizio dei testimoni locali il fenomeno sembrerebbe essere rimasto tendenzialmente stabile negli ultimi anni, le stime Istat ne segnalano addirittura una diminuzione (il tasso di irregolarità del lavoro è passato dal 13,9% del 2000 al 10,7% del 2003) dovuta presumibilmente alla regolarizzazione di numerosi immigrati impiegati in nero. E’ impossibile tuttavia, dalla lettura dei risultati dell’indagine di campo svolta presso 80 testimoni locali, e dei casi di studio realizzati, che hanno visto protagonisti i settori di punta dell’economia marchigiana – tessile, calzaturiero, meccanica – ricondurre la complessa fenomenologia che si cela sotto il termine sommerso, ad un'unica categoria di analisi. Non fosse altro perché la varietà di vocazioni, la pluralità dei soggetti e la velocità di risposta alle sfide poste dal sistema che da sempre caratterizza questo spaccato di economia nazionale, rende particolarmente ostico qualsiasi tentativo di imbrigliamento concettuale.
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Nelle pluralità delle forme di manifestazione del sommerso è tuttavia possibile individuare un filo conduttore che ne segna di fatto l’evoluzione, da un sommerso di tipo tradizionale, “distrettuale”, fortemente legato alle caratteristiche del sistema produttivo marchigiano, di cui ha rappresentato forse uno dei principali motori di crescita, ad un sommerso di tipo postindustriale, cresciuto e alimentatosi all’ombra dei processi di terziarizzazione che hanno investito l’economia marchigiana, e che hanno fatto progressivamente trasmigrare l’irregolarità, d’impresa e di lavoro, dall’industria al terziario, affievolendo il contributo che questa parte di economia che vive al di fuori delle regole è in grado di apportare al sistema. Queste due anime ancora coesistono. La prima sopravvive in alcuni specifici comparti del manifatturiero, e come messo in evidenza nei casi di studio realizzati, tende a presentarsi come sommerso parziale, fatto soprattutto di fuoribusta, di utilizzo improprio dei contratti, di sottodichiarazioni: insomma di tutte quelle forme di elusione delle norme che in definitiva avvantaggiano, da un punto di vista retributivo, sia lavoratori che imprenditori. Mentre forme di lavoro totalmente irregolare trovano spazio solo in presenza di specifiche categorie di lavoratori: doppio lavoristi, pensionati, o quanti percepiscono qualche forma di assistenza o integrazione al reddito, cumulabile solo con retribuzioni in nero. E’ per certi versi un sommerso “ricco”, e strettamente connesso alle caratteristiche del sistema produttivo locale, che è un sistema fatto di imprese che vivono essenzialmente di subfornitura: è al proposito indicativo che ben il 73% dei testimoni privilegiati interpellati (contro il 42,7% nazionale) indichi proprio le caratteristiche del sistema distrettuale come principale causa del sommerso. Il secondo – il sommerso post industriale – è quello che invece sta crescendo con maggiore intensità. E’ un sommerso legato ai fenomeni di terziarizzazione, ma non estraneo all’industria, e che tende ad assumere i tratti tipici dell’economia terziaria, adeguandosi a quelle logiche di flessibilità, individualità del lavoro che l’economia post-fordista si porta dietro. Si plasma a seconda delle caratteristiche dei settori, assumendo forme più pesanti in quei contesti – servizi a domicilio, turismo, trasporti – dove l’invisibilità dei luoghi di lavoro, la stagionalità dei rapporti di lavoro o il basso livello di qualificazione dello stesso sono gli elementi caratterizzanti. Tende invece a configurarsi come semi irregolarità o evasione in quei contesti caratterizzati da elevata flessibilità nell’organizzazione del lavoro e maggiore professionalizzazione.
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E’ difficile ovviamente ricondurre all’uno o all’altro dei “modelli” indicati le complesse fenomenologie emerse dall’analisi, ma l’immagine generale che emerge ne conferma i tratti caratteristici, di un sommerso che: - si concentra prevalentemente nei servizi (l’Istat stima un’incidenza del 14,3% contro il 2,6% dell’industria), non solo in quelli a basso valore aggiunto (nei servizi domestici e di assistenza alla persona i testimoni privilegiati stimano addirittura un’incidenza di lavoratori irregolari del 47% e 45,7%), o tradizionalmente ad alta intensità di irregolarità, come bar e ristoranti (23,3%), agriturismo (17,7%) piccoli esercizi commerciali (15,3%), ma anche quelli a più alto contenuto professionale: intermediazione immobiliare (11,2%), consulenza alle imprese (7,7%), intermediazione finanziaria (6,7%); - tende a presentarsi essenzialmente sotto forma di evasione diffusa e di irregolarità parziali nei rapporti di lavoro, legate anche all’utilizzo improprio degli strumenti di flessibilità contrattuale: evasione fiscale, evasione contributiva, fuori busta e doppie buste paga, utilizzo improprio dei contratti a progetto sono infatti, dopo il lavoro totalmente irregolare prestato dagli immigrati, le fenomenologie di sommerso più diffuse sul territorio.
b)
Immigrazione e “flessibilità”: i nuovi fattori di rischio
Assieme alla terziarizzazione dell’economia, l’altro potente vettore di trasformazione del sommerso è stato negli ultimi anni l’accesso crescente di immigrati nel mercato del lavoro marchigiano che hanno di fatto prodotto una sorta di “ricambio antropologico” del sommerso stesso, tanto che oggi gli immigrati risultano di gran lunga i soggetti più coinvolti nell’irregolarità di lavoro. Basti da questo punto di vista solo considerare come: - la totalità dei testimoni privilegiati pensa che quello del lavoro irregolare prestato dagli immigrati sia uno dei fenomeni di sommerso più rilevanti nel territorio regionale, e ben il 59,7% reputa gli immigrati i soggetti più coinvolti nell’irregolarità di lavoro;
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- secondo le stime dei testimoni, lavorerebbe in nero (sarebbe cioè completamente irregolare) circa il 27,5% degli immigrati occupati nelle Marche. Di questi, il 40,4% sarebbe clandestino, il 27,5% avrebbe un permesso di soggiorno diverso da quello per motivi di lavoro e il 32,1% uno per motivi di lavoro diversi dal lavoro svolto. L’altro elemento connesso allo sviluppo di un sommerso da immigrazione è la crescita sul territorio delle imprese gestite da immigrati, che vivono spesso e volentieri ai margini della legalità. E’ quello delle imprese etniche sommerse uno dei fenomeni che più ritorna nei colloqui e nelle interviste effettuate sul campo, e che sembra caratterizzare in modo particolare il territorio regionale, se si considera che ben il 37,9% degli intervistati reputa significativa la presenza di questo tipo di imprese (il dato nazionale si colloca la 30,4%) e che la maggioranza degli interpellati giudica tale fenomeno in aumento. Una dinamica che potrebbe essere stata accentuata negli ultimi anni a seguito della crisi congiunturale che ha colpito vaste aree del manifatturiero marchigiano: non è improbabile che molte imprese locali abbiano tentato di salvare o recuperare quote di competitività tramite una delocalizzazione interna che, scaricando sulle imprese gestite dagli immigrati cresciute al di fuori del sistema dell’economia formale i costi di produzione, abbia consentito loro di arginare gli effetti di un processo di delocalizzazione che avrebbe potuto essere molto più esteso e traumatico di quanto non sia stato nella realtà. Ma la cattiva congiuntura potrebbe avere avuto un effetto non di poco conto nell’indurre le imprese a contenere il costo del lavoro, ricorrendo in misura sempre più cospicua a strumenti di flessibilità che consentissero agli imprenditori di contare su un relativo risparmio economico. E’ in questa prospettiva che va letto l’allarme lanciato dai testimoni privilegiati sull’utilizzo improprio delle collaborazioni a progetto, considerato in assoluto il fenomeno ascrivibile all’area del sommerso in maggiore crescita nell’ultimo triennio.
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c)
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Ripensare gli strumenti
L’avere a che fare con un fenomeno che si presenta estremamente articolato e segmentato, impone l’esigenza di un serio ripensamento degli stessi strumenti finalizzati al contrasto del sommerso, non fosse altro perché quelli finora predisposti sono stati considerati, salvo rarissimi casi – agevolazioni alla nascita di nuova imprenditorialità, incentivi alle assunzioni, e riforma dei servizi ispettivi – per lo più influenti: così come del resto l’operato degli organi che avrebbero dovuto agevolare i processi di emersione. Qualche fiducia gli attori locali la ripongono sulla flessibilità, che il 60% considera efficace ai fini della lotta al sommerso, ma è indubbio che un utilizzo disinvolto e spregiudicato, possa trasformarla da deterrente a vero e proprio vettore di crescita, come già evidenziato dall’analisi. Cosa resta allora da mettere nella cassetta degli attrezzi? Chi opera sul territorio, e ne conosce problematiche e fragilità chiede agevolazioni per le assunzioni innanzitutto che consentano, riducendo il costo del lavoro in fase di ingresso, di procedere ad assunzioni regolari (lo indica il 35,9% degli intervistati) e, pari merito, l’incremento dei controlli sul territorio e la possibilità di scaricare l’Iva su alcune tipologie di spesa o aumentare la gamma delle spese detraibili (34,4%). Un mix di premialità e sostegno da un lato, e attività ispettiva dall’altro. Ma con un’attenzione crescente al tema della responsabilità individuale: una scelta che va in direzione della responsabilizzazione diretta dei singoli nella lotta ad un fenomeno, che senza un coinvolgimento globale della popolazione, rischia di non essere controllabile. Ovviamente il tutto alla luce di un’opzione di fondo che tenga conto delle caratteristiche di un fenomeno che è sempre più articolato e poliforme, che si muove, cambia pelle, diventa sempre più rarefatto, e proprio per questo vanifica ogni sforzo normativo, che voglia imbrigliarlo in un un’unica logica omnicomprensiva; ma che continua, da anni, a fondarsi sulla solidità di quegli ingranaggi di reciproca utilità, che siano tra imprenditori e lavoratori, tra utenti e professionisti, tra commercianti e acquirenti, trovano in una generale e collettiva deresponsabilizzazione sugli effetti sociali che ciò produce, il loro anello di congiunzione.
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E’ in quest’ottica che non può che essere apprezzato positivamente l’introduzione del Durc e la normativa regionale in materia che ha reso le Marche la prima regione italiana in grado di rendere operativo tale strumento, compensando il ritardo del legislatore nazionale. E’ indicativo, infatti, che siano non solo i testimoni locali ad apprezzare tale strumento, che in definitiva aumenta la responsabilità degli imprenditori e delle pubbliche amministrazioni in materia, e almeno in prospettiva, l’efficacia dei controlli, ma che gli imprenditori stessi ne riconoscano le potenzialità: ben il 72,5% pensa infatti che il Durc avrà un impatto positivo ai fini della lotta al sommerso.
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IL PESO DEL LAVORO IRREGOLARE NELLE MARCHE
1.1. Il quadro di riferimento concettuale
1.1.1. Perché cresce il sommerso A tre decenni dalla prima definizione di economia sommersa si impone la necessità, oltre di rendere sistematici i metodi per la sua stima quantitativa e per la comparazione internazionale, di procedere ad un approfondimento concettuale di tale area produttiva e occupazionale. Fra i decisori politici, e ancor più nell’opinione pubblica, il sommerso equivale a qualcosa di nebuloso e oscuro, cui concorrono i più diversi fattori. L’illegalità, criminale o elusiva, si combina con l’“arte di arrangiarsi”; degrado sociale, povertà ed esclusione con un generale scarso senso civico; la diffusa abitudine a non rispettare le regole necessarie a garantire un’ordinata convivenza, con la corruzione o con gli eccessi del potere burocratico sui cittadini. Le differenze esistenti possono essere date per acquisite solo in una cerchia di specialisti e studiosi. D’altronde la stessa disomogeneità di fattori concorrenti a determinare un’estesa area di sommerso, non ha sufficientemente attratto l’interesse degli economisti, almeno al pari del coinvolgimento di statistici, territorialisti e sociologi, tanto da non poter disporre di una solida accumulazione teorica. E’ necessario, innanzitutto, ribadire che, da un punto di vista dell’evoluzione dei sistemi economici e sociali, l’attenzione va focalizzata sull’underground economy, da separare nettamente, nell’analisi concettuale ancor più di quanto non avvenga nella realtà, sia dall’economia criminale che dall’economia informale. La prima produce beni e servizi illegali. Anche quando si inserisce in un contesto di “normalità”, agendo come impresa legale (nella finanza, come nelle costruzioni, nei centri commerciali o nei trasporti), opera con un’organizzazione e con metodi che la pongono comunque nel novero delle
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attività criminali. Per le politiche pubbliche, diviene prevalente l’azione di repressione e contrasto alla criminalità economica organizzata rispetto a qualsiasi altra forma di possibile intervento. All’estremo opposto si colloca l’area di attività informali, generalmente legate a prestazioni elementari di singoli, che si esplicano al di sotto di una pur minima soglia organizzativa, con un forte contenuto di estemporaneità e bassi valori economici. Certamente si tratta di un comparto da accompagnare verso forme più evolute nei Paesi poveri, in quanto si tratta di, pur flebili, segnali di iniziativa sociale. Può costituire un interessante riferimento da utilizzare, ad esempio, nell’ambito dei programmi di poverty reduction lanciati dalla World Bank. Va considerata come fenomenologia sociale più che come componente produttiva nei Paesi avanzati o in transizione. Il “sommerso” da capire ed interpretare meglio, è quello che interagisce con i sistemi economici dei Paesi industriali. Un comparto costituito da produzione e/o lavoro irregolare ma collocato in contesti e settori produttivi ordinari, in grado di partecipare alle dinamiche di continua ristrutturazione dei modi di produrre. A sollecitare una tale riflessione sono due semplici osservazioni: - il sommerso, per quanto fino ad ora mal stimato e quantificato, copre in Europa e negli Stati Uniti una quota non marginale dell’economia, valutabile fra il 5 e il 20% a seconda dei Paesi. Nazioni come la Francia, che, per non riconoscere l’esistenza di questa anomalia e l’incapacità pubblica a contenerla, ne avevano negato la presenza nei loro confini, sembrano aver cambiato atteggiamento; - nell’area dell’Euro e in Germania in particolare, l’underground economy è cresciuta nell’ultimo quinquennio a tassi più elevati dell’economia regolare. Da qui l’esigenza di individuare modelli interpretativi che possano aggiungere ulteriori paradigmi e individuare nuove piste di lavoro per contrastare tali tendenze, distorcenti per il mercato e penalizzanti per gli introiti pubblici. E’ naturalmente vero e confermato che, a determinare l’economia sotterranea, sia la volontà di sottrarsi agli obblighi fiscali, contributivi,
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contrattuali, retributivi, normativi, di sicurezza, di affidabilità, di responsabilità ambientale e sociale. Le cose si complicano per l’ampia gamma di possibili situazioni e per le forti differenze d’intensità con cui si manifestano i comportamenti irregolari. Pertanto è sempre più difficile tracciare una linea di netta demarcazione fra “regolare” e “irregolare”, soprattutto nei sistemi economici che, superato lo stato nascente dello sviluppo spontaneo, raggiungono una notevole complessità e stabilità, aprendosi alle tensioni della competizione globale. Proprio nelle economie avanzate, il sommerso tende a configurarsi come un -“alone“ sfumato dalle varie tonalità del “grigio” fino al “nero”, attorno al nucleo dell’economia regolata. Una sorta di ammortizzatore dell’economia per attutire, in modo scorretto, gli effetti di un’eccessiva pressione fiscale o regolativa, per cercare di rispondere al nuovo e più impegnativo confronto competitivo proposto dalla globalizzazione, per riuscire a sopravvivere anche con bassissimi livelli di competenza organizzativa, strumentale e finanziaria. L’effetto ultimo è di depauperamento dei sistemi economici, che difficilmente per questa via possono compensare i ritardi nell’adeguare la struttura produttiva alle nuove sfide. All’avvio dei processi di modernizzazione, negli anni ’60, una certa quota di iniziativa spontanea ha saputo evolvere positivamente verso un sistema imprenditoriale strutturato e regolare, come è stato in Italia. Al contrario, l’attuale contesto del mercato internazionale, relega il sommerso, nei paesi più sviluppati, a insediarsi nei settori più arretrati dell’economia ovvero produce distorsioni alla concorrenza. Ma anche nei Paesi in transizione difficilmente sortisce effetti propulsivi, quanto piuttosto alimenta l’ambiguo intreccio fra attività economiche e corruzione, produce blocchi oligopolistici che frenano sul nascere le dinamiche di mercato. Le attuali forme che assume l’economia sotterranea vanno ricondotte alle trasformazioni in atto nell’impresa e nel mercato del lavoro. Per quanto attiene all’impresa si può sinteticamente affermare come le modalità prevalenti per affrontare i livelli attuali di competitività sono riconducibili a: - una destrutturazione strisciante della grande impresa, con il formarsi di organizzazioni complesse che integrano unità produttive diverse, piccole
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e anche micro, utilizzano diffusamente l’out-sourcing, tendono a flessibilizzare la produzione profilandola sui mutevoli andamenti della domanda; - la riduzione di peso delle attività manifatturiere, che modifica la composizione settoriale dell’economia, ampliando lo spazio per servizi rivolti al mercato familiare o individuale, con modelli operativi meno complessi, con basse necessità di investimento (dai servizi di prossimità, a quelli personali, dal piccolo commercio alle riparazioni, dalla ristorazione al turismo); - la delocalizzazione verso i Paesi a basso costo delle lavorazioni industriali, produce una rottura nel rapporto fra grande-media impresa e territorio, facendo crescere lo spazio, nella dimensione locale, delle imprese più piccole e delle attività user oriented. Questo processo fa profetizzare a Rifkin, in modo apodittico, che il futuro nei paesi ricchi sarà centrato sulla lotta fra economia sociale e economia sommersa, per il controllo del territorio; - la crescita dei comparti più innovativi della knowledge society che fondano la creazione di valore sulle competenze e sono molto centrate sul professionismo individuale, rafforza una tendenza al formarsi di aree molto competitive non necessariamente riconducibili a modelli e standard aziendali tradizionali. L’insieme di tali fattori spiega come la crescita nel numero di imprese e la sostenibilità di livelli competitivi anche con piccole dimensioni aziendali, in diversi comparti (arretrati ma anche avanzati) renda più facile il mimetismo del sommerso. La peculiarità italiana (ma anche spagnola o greca) può anche essere spiegata dall’esistenza in quei Paesi di un enorme quantità di imprese, in maggioranza piccole o micro, che consentono l’esistenza endemica di un’economia interstiziale. Sull’altro versante, quello del mercato del lavoro, altrettanto rilevanti sono le ambiguità che si riflettono nel sommerso: - la necessità di rendere il lavoro più mobile e flessibile può sortire effetti di elusione e nascondimento se riduce la sua portata alla sola riduzione di costi aziendali, e non si accompagna ad una crescita della produttività, ad un premio per la competenza e la responsabilità, ad un allargamento della partecipazione e lo sviluppo di nuove forme di lavoro;
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- l’afflusso di immigrati irregolari, il cui impiego è per definizione sommerso, mancando le condizioni per poter essere occupati legalmente; - l’indisponibilità di una sufficiente offerta occupazionale in determinati mercati del lavoro locale, induce chi ha già un lavoro regolare a svolgere una seconda attività in nero; - l’eccessivo gravame di oneri fiscali e contributivi sulle retribuzioni lorde che rende collusivo l’interesse fra imprenditore e lavoratore ad evaderli totalmente o parzialmente. Analizzando il sommerso a partire dall’economia reale e dai processi sociali, si perviene ad una prima conclusione: per ridurre l’area di economia sotterranea non è sufficiente agire sui soli paradigmi strutturali (alta regolazione e pressione fiscale, mancanza dei controlli, rigidità del mercato del lavoro), ma è indispensabile articolare le azioni di contrasto per tipologie, settori e territori. Mettendo nel conto che questo fenomeno merita una prolungata attenzione e un’organica azione di accompagnamento. 1.1.2. L’utilità di ragionare per tipologie Non tutto il sommerso può essere portato ad una condizione di normalità, in quanto in taluni casi l’emersione elimina alla radice ogni possibilità di sopravvivenza. A spiegarlo sono diverse ragioni fra cui: la intrinseca fragilità economica dell’unità produttiva, non in grado di assorbire i costi seppur agevolati dei processi di regolarizzazione; la non sanabilità dell’ambito di insediamento ove è ubicata; la perdita di convenienza da parte della clientela. Bisogna, pertanto, conoscere all’interno di ciascuna economia nazionale, quali tipologie di attività sia possibile accompagnare verso la regolarizzazione e quali inevitabilmente verranno eliminate da un intervento volto a ridurre i comparti anomali dell’economia. Nei territori dove il sommerso è presente secondo modalità strutturali (e non cicliche o marginali) le imprese irregolari presentano un’articolata differenziazione fra: - imprese trasgressive, del tutto visibili e conformi alle principali incombenze normative, ma con una elevata propensione ad organizzare
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evasione ed elusione fiscale e contributiva, a forzare l’utilizzo degli strumenti di flessibilità lavorativa e l’out-sourcing, a praticare sistemi di retribuzione non conformi a quella reale; - imprese minimaliste, che rispettano al minimo i requisiti di regolarità come iscrizione al registro ditte, posizione fiscale e previdenziale ma utilizzano una quota degli occupati totalmente in nero, con un diffuso occultamento fiscale, con una copertura parziale, e spesso solo formale, dei diversi obblighi connaturati a una corretta attività produttiva; - imprese mimetiche, generalmente di piccole dimensioni, attorno ai 5-10 addetti, totalmente sommerse, anche grazie al tipo di attività (servizi, edilizia) che non impone una sede visibile; - il formicaio, micro imprese o unità di lavoro individuali, con o senza partita IVA, in settori che per tipo di domanda (lavoro domestico o di cura presso famiglie) o contenuti del servizio (nuove tecnologie, attività professionali etc.) possono fruire di un elevato grado di nascondimento. Se osserviamo le stesse fenomenologie nella prospettive del mercato del lavoro troviamo fondamentalmente le seguenti categorie: - lavoratori regolari, che svolgono prestazioni in nero, in forma autonoma o subordinata, come seconda attività nello stesso ambito lavorativo o in diverso settore/ unità produttiva; - occupati alle dipendenze con condizioni minime di regolarità, ma con gran parte delle prestazioni non registrate sia ai fini fiscali che contributivi (straordinari, premi etc.); - lavoratori con contratti atipici o soci in cooperative di comodo, le cui forme contrattuali eludono l’effettiva condizione di occupati alle dipendenze; - dipendenti che accettano retribuzioni inferiori a quelle dichiarate; - lavoratori autonomi e professionisti irregolari; - dipendenti totalmente irregolari (non dichiarati, con retribuzioni totalmente in nero);
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- immigrati irregolari. Tali schematiche tipizzazioni riguardanti l’impresa e i lavoratori, vanno poi proiettate per settori e per territori. In definitiva, per “sezionare” il sommerso le principali variabili da combinare in una ideale matrice a quattro dimensioni riguardano le caratteristiche dell’impresa, i rapporti di lavoro, il settore di attività, l’area locale di insediamento. 1.1.3. All’origine del fenomeno Considerata la molteplicità delle manifestazioni del fenomeno del lavoro irregolare, le cause sono difficilmente individuabili in modo esauriente e univoco. Tuttavia, la presenza e la crescita del fenomeno del lavoro irregolare derivano essenzialmente da fattori riconducibili a poche tipologie di motivazioni che, differentemente combinate fra loro, possono originare molteplici espressioni di lavoro sommerso. I modelli interpretativi proposti possono ricondursi ai seguenti: Il sistema economico La struttura del sistema economico locale incide in modo significativo sulla dimensione del fenomeno. La realtà delle piccole imprese appare più favorevole allo sviluppo di rapporti di lavoro non formalizzati per ridurre drasticamente i costi di produzione a vantaggio dei livelli di competitività dell’azienda stessa. Le motivazioni possono essere ricondotte sia ad aspetti strutturali e alle dimensioni delle aziende, sia ai livelli di regolamentazione e conseguente controllo da parte delle autorità, sia ai differenti livelli di competitività dei sistemi locali. L’apparato fiscale, legislativo e amministrativo Per quanto attiene agli aspetti legati alla pressione fiscale è evidente che un livello di tassazione e di contribuzione sociale elevato possa favorire nei
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datori di lavoro e nei lavoratori la ricerca di soluzioni alternative, fra le quali la non formalizzazione del rapporto di lavoro. L’esistenza di procedure burocratiche ed amministrative complesse può rappresentare un ulteriore incentivo alla crescita del fenomeno. Questa considerazione negli ultimi anni ha portato molti Stati europei alla semplificazione delle pratiche amministrative. Elemento ancora più determinante nel processo di diffusione del lavoro sommerso è rappresentato dalla difficoltà dei sistemi legislativi di adattarsi ai rapidi mutamenti del mercato del lavoro, che portano alla nascita di nuove figure professionali e di nuove tipologie di rapporti di lavoro non regolamentate. L’eccessiva pressione fiscale e la bassa capacità di controllo e sanzione può inoltre favorire il ricorso a rapporti di lavoro non formalizzati. Il contesto ambientale e culturale In molti Stati Membri, con significative differenze in termini di diffusione, è presente un certo livello di giustificazione culturale nei confronti dell’economia informale. Appare rilevante l’influenza del livello culturale sulla capacità di riconoscere le conseguenze sociali del lavoro sommerso. Un ulteriore elemento che può avere effetti significativi sulla tendenza all’evasione fiscale, e quindi anche al ricorso a forme di lavoro non formali, è rappresentato dal livello di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche. La disparità del potere di influenza Per disparità di potere non si intendono le consuete categorie della disparità di reddito e di benessere, ma quelle disparità relative al potere di influenza, con cui le imprese o i gruppi di potere “manipolano” il funzionamento delle istituzioni. Normalmente questi comportamenti distorsivi interferiscono sulla credibilità del sistema giudiziario, sul ricorso ai tribunali, sulla tax compliance (l’adesione spontanea dei contribuenti agli obblighi fiscali), sulla corruzione
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e sulla propensione delle imprese ad attuare ristrutturazioni. Tutti questi elementi sono indicatori utili a identificare la propensione delle imprese al ricorso a forme di lavoro irregolare. Secondo questo modello interpretativo, infatti, la disparità di potere esercita un impatto negativo sulle scelte delle istituzioni pubbliche, e sui comportamenti delle imprese nei riguardi delle stesse istituzioni. Tra le imprese si manifestano sui diritti fondamentali con forzature, indebiti, pressioni sulle aziende più deboli, nonché di barriere all’ingresso più elevate per le imprese di minori dimensioni. In questo modo, le imprese tendono ad avere meno fiducia nelle istituzioni formali, a migrare verso l’economia sommersa, a dedicarsi all’evasione fiscale e alle attività in nero. L’influenza delle attività di tipo criminale E’ il caso del Mezzogiorno d’Italia, dove il maggior costo del denaro, la carenza di infrastrutture e l’elevato rischio di impresa, conseguente anche alla maggiore diffusione della criminalità organizzata e comune, induce a ricorrere al sommerso per compensare la più ridotta produttività media rispetto al Centro-Nord. Infine, la presenza di una illegalità diffusa, aumentando i rischi connessi alla visibilità imprenditoriale (controlli e ingerenze delle organizzazioni malavitose) costituisce un fattore – secondario ma comunque importante - di permanenza nell’ombra. Le rigidità del mercato Indubbiamente, l’incidenza della sfasatura tra la rigidità di un sistema garantistico di tutela del lavoro e le esigenze di flessibilità nell’utilizzo delle prestazioni lavorative imposte all’impresa dall’evoluzione del ciclo economico sono fattori che influiscono sulla diffusione del lavoro sommerso. Secondo questa ottica, si potrebbe interpretare il fenomeno del sommerso come una forma di “vendetta del mercato” rispetto alle rigidità del sistema regolativo positivo, implicante una sorta di necessitata e spontanea
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autodifesa dell’impresa che, per garantire la propria sopravvivenza, assume assetti in palese contrasto con quelli prefigurati dalle norme giuridiche. Il prolungamento della strutturalità del fenomeno oltre le fasi embrionali La “normalità” di lavoro sommerso nella fase embrionale di un impresa si impone come fenomeno stabile e definitivo, oltre le fasi iniziali, nei contesti in cui le imprese terziste - non avendo autonomia sul prezzo di vendita imposto dal committente - sono costrette a ridurre i costi di produzione per accrescere i margini di profitto, attraverso due strategie: ricorrendo a rapporti di lavoro irregolari o decentrando la produzione all’esterno dell’azienda. In questo modo le imprese contoterziste diventano a loro volta committenti di altre imprese, con il duplice vantaggio, da un lato, di controllare i costi di produzione e dall’altro, di scaricare il “rischio sommerso” sui livelli più bassi della filiera. Si viene così a creare una filiera piramidale, che si sviluppa dall’impresa committente a quella contoterzista, ai laboratori artigianali fino al lavoro a domicilio e che realizza di fatto, oltre al decentramento della produzione, un progressivo trasferimento di costi e di rischi sugli anelli via via più deboli della struttura; ciò tuttavia garantisce anche a questi ultimi l’inserimento in una catena di produzione che offre, oltre alla sicurezza della committenza, anche il trasferimento di competenze e know how: un bagaglio indispensabile per il passaggio al livello più alto della piramide. 1.1.4. La struttura del sommerso Per una maggiore chiarezza nell’analisi del fenomeno, può essere opportuno dotarsi di una griglia concettuale di lettura del fenomeno, individuando le dimensioni rispetto alle quali una determinata realtà produttiva o lavorativa può definirsi sommersa. Sotto il profilo strutturale, è possibile individuare degli aspetti di invisibilità che costituiscono le condizioni di base per il ricorso ad irregolarità sotto il profilo giuridico-formale. In questo caso, l’invisibilità dell’attività svolta si configura con riferimento alle dimensioni (tav. 1):
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Tav. 1 - Tipologie di “sommerso” LIVELLO DI INVISIBILITÀ
QUASI-SOMMERSO
SEMI-SOMMERSO
SEMI-EMERSO
Aspetti di invisibilità
SOMMERSO
FISICA/TERRITORIALE
l’attività non necessita di un luogo stabile per essere svolta
l’attività, per essere svolta necessita l’attività viene svolta in un luogo l’attività viene svolta in un luogo di un luogo fisico stabile, ma questo fisico visibile, che contiene fisico stabile, visibile e regolare sotto viene nascosto irregolarità il profilo normativo
DI PRODOTTO
Servizio
semi lavorato
DI MERCATO
il prodotto o servizio non ha uno sbocco “pubblico” di mercato
il servizio o prodotto è destinato a il prodotto è destinato ad altre esistenza di un marchio proprio di distributori o figure intermediarie che imprese, manca di un marchio produzione lo rivendono poi ad aziende o proprio di produzione commercianti
FISCALE
assenza di partita Iva; assenza di dichiarazione dei redditi
apertura della partita Iva e irregolarità nella fatturazione e nelle irregolarità nella fatturazione e nelle dichiarazione dei redditi con forti dichiarazioni fiscali dichiarazioni fiscali irregolarità nelle dichiarazioni fiscali
NORMATIVA
mancata iscrizione presso il Registro imprese; mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro con i dipendenti; mancato rispetto del ccnl
iscrizione al Registro imprese; iscrizione mancata regolarizzazione dei assunzione dipendenti ; mancato rispetto del ccnl contratto e del lavoro; del ccnl
CONTRIBUTIVA
mancata iscrizione all’Inps e Inail del titolare e dei dipendenti
mancata iscrizione all’Inps e Inail dei iscrizione dei dipendenti all’Inps e regolare iscrizione all’Inps e Inail dei dipendenti Inail con irregolarità nel versamento dipendenti e regolare versamento dei contributi degli oneri contributivi
RETRIBUTIVA
paga di fatto
paga di fatto
Fonte: elaborazione Censis
prodotto finito
al Registro imprese; dei dipendenti con registrazione all’Ufficio irregolarità nel rispetto
doppia busta paga
prodotto finito
iscrizione al Registro imprese; assunzione dei dipendenti con contratto e registrazione all’Ufficio del lavoro; rispetto completo del ccnl
fuoribusta
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Rapporto per i relatori
- fisico/territoriale: la maggiore/minore visibilità del luogo fisico in cui viene svolta l’attività costituisce uno dei principali indicatori di sommerso, dal momento che esiste tra i due fenomeni un nesso reciproco di causa effetto: se da un lato infatti, chi lavora nel sommerso tende comunque a nascondere il luogo in cui viene svolta l’attività, d’altro canto, la mancanza di un luogo fisico di lavoro o la sua invisibilità incentiva fortemente il ricorso al lavoro sommerso. Tale aspetto risulta naturalmente strettamente connesso con le dimensioni stesse dell’attività; - di prodotto: anche la maggiore o minore visibilità del prodotto dell’attività condiziona la propensione allo svolgimento di attività in modo irregolare. Quest’ultima risulta infatti più alta con riferimento ai servizi; più bassa rispetto alle attività che hanno ad oggetto una specifica produzione. In quest’ultimo caso, il rischio di sommerso diminuisce quando il prodotto dell’attività è destinato alla vendita diretta mentre aumenta se si tratta di un semilavorato, destinato all’assemblaggio; - di mercato: tra le condizioni strutturali di svolgimento dell’attività il ricorso a forme di attività sommerse risulta infine strettamente legato alla maggiore/minore visibilità dell’attività nel mercato. In genere, quando l’azienda risulta visibile sul mercato, perché produce con un proprio marchio di vendita, la propensione all’immersione risulta abbastanza bassa. Al crescere invece dell’invisibilità di mercato, o perché si produce per grossisti o perché si lavora solo a façon, aumentano i rischi di immersione. Sotto il profilo giuridico-formale, relativo cioè all’esistenza di irregolarità nello svolgimento dell’attività lavorativa, l’invisibilità tende a realizzarsi rispetto ai seguenti sistemi: - fiscale: rispetto a questa dimensione l’attività d’impresa può risultare parzialmente o totalmente invisibile. Dalla situazione più grave, di assenza di partita iva e mancata dichiarazione fiscale, al ricorso occasionale a sottofatturazione o altre forme di evasione, le ipotesi di irregolarità rispetto a questa dimensione sono molteplici; - normativo: sotto questo aspetto, l’invisibilità tende a configurarsi nel mancato rispetto di tutte quelle procedure connesse al regolare esercizio dell’attività quali l’iscrizione al Registro imprese, la formalizzazione dei
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rapporti di lavoro con registrazione presso gli uffici del lavoro, il rispetto del contratto collettivo nazionale; - contributivo: sotto questo profilo le ipotesi di irregolarità si configurano rispetto al mancato adempimento degli obblighi assicurativi e previdenziali. Anche in questo caso, le ipotesi di invisibilità variano di livello: dalla mancata denuncia di titolare e dipendenti ad entrambi gli enti (Inps e Inail), al parziale adempimento degli obblighi contributivi attraverso una serie di pratiche sommerse, quali la dichiarazione di un numero di giornate lavorative inferiore a quante effettivamente lavorate o il mancato rispetto dei minimi retributivi e contributivi previsti dal ccnl; - retributivo: in questo caso è la parte retributiva del costo del lavoro a risultare totalmente o parzialmente invisibile: le forme più diffuse sono la mancata registrazione della retribuzione nel libro paga dell’azienda (“retribuzione di fatto”), la registrazione di una retribuzione superiore a quanto effettivamente percepito (“doppia busta paga”) o l’erogazione di fuoribusta (in genere per il pagamento del lavoro straordinario o quando il dipendente risulta inquadrato in un livello inferiore e parte della retribuzione effettiva figura come fuoribusta). Sulla base degli aspetti rispetto ai quali l’attività può risultare sommersa e del livello di invisibilità, è stata costruita una tipologia che individua quattro profili ideali di impresa. Impresa sommersa: rientrano in questa fattispecie di sommerso totale, tutte quelle attività legate a prestazioni di lavoro individuale, nelle quali l’oggetto dell’attività è la prestazione di un servizio (alta invisibilità del prodotto del lavoro), che non richiede un luogo di lavoro fisso e stabile e la cui clientela di destinazione è privata. Possono essere ricomprese in tale tipologia tutte le attività connesse alla ristrutturazione e ai servizi di manutenzione legati all’edilizia, ai servizi di cura e assistenza alla persona svolti a domicilio, al settore delle autoriparazioni. Le condizioni strutturali dell’attività contribuiscono sicuramente a rendere conveniente il ricorso all’irregolarità totale sotto il profilo fiscale, contributivo, retributivo e formale. Si tratta di piccole imprese (2-3 addetti), non registrate nel Registro imprese e che lavorano senza partita IVA. La mancata iscrizione al Registro imprese impedisce anche l’apertura della posizione previdenziale e assicurativa sia per il titolare che per i dipendenti.
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Impresa quasi sommersa: configura un tipo di attività sotto il profilo giuridico formale molto simile alla precedente, ma differente con riferimento alle condizioni strutturali di svolgimento. In genere l’attività ha per oggetto la produzione di un manufatto o di un semilavorato destinato ad entrare nel mercato attraverso figure intermediarie che “piazzano” il prodotto presso aziende terziste, negozi, mercati, venditori ambulanti. Al basso livello di visibilità del prodotto e dell’azienda nel mercato, si accompagna l’immersione territoriale, determinata, diversamente dalla prima fattispecie, dalla volontà di nascondersi: l’attività richiede infatti un luogo fisico per essere svolta, ma questo viene intenzionalmente occultato. Rientrano in tale tipologia molti tipi di lavorazione di carattere artigianale (tessile, calzaturiero, oreficeria, lavorazione pelli, falegnameria). La realtà tipo è quella di un laboratorio ubicato generalmente in scantinati, garage, palazzi o, molto frequentemente, nella stessa abitazione del titolare. La dimensione media del laboratorio è di 2-3 addetti. Generalmente il titolare apre la sola partita iva; talvolta, a questa segue l’iscrizione dell’attività al Registro imprese necessaria alla regolarizzazione della posizione previdenziale almeno del titolare. La manodopera è invece occupata in modo del tutto irregolare. Impresa semi sommersa: rispetto alla precedente tipologia, l’impresa semi-sommersa configura una realtà imprenditoriale più strutturata. I settori in cui tale tipologia è più diffusa sono il tessile, l’agroalimenatre, il meccanico, la falegnameria: attività che hanno per oggetto un prodotto generalmente finito destinato ad essere venduto ad imprese terziste. Saltuariamente l’impresa è anche presente su piccola scala con un marchio proprio. L’attività viene svolta in luoghi visibili, anche se raramente rispetta i requisiti previsti dalla L. 626/96 in materia di sicurezza. Il profilo dimensionale dell’impresa semi sommersa è una variabile molto importante: il numero medio di addetti si aggira tra le 5 e 20 unità. L’azienda è registrata nel Registro imprese e generalmente la maggioranza dei dipendenti, assunta con regolare contratto di lavoro, è registrata all’Inps. Tuttavia, sono ampiamente diffuse forme di irregolarità sotto il profilo fiscale, normativo e contributivo quali il ricorso più o meno sistematico all’evasione fiscale, il non rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro, la doppia busta paga o la
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dichiarazione di un numero di giornate lavorative inferiore a quante effettivamente lavorate. Impresa semi emersa: quest’ultima tipologia è quella che più si avvicina alla condizione di regolarità nello svolgimento dell’attività d’impresa. Si tratta di un tipo di impresa di dimensioni variabili, in genere oltre i dieci dipendenti, la cui attività viene svolta in luoghi normalmente in regola sotto il profilo di sicurezza degli ambienti di lavoro. L’azienda produce generalmente con marchio proprio sul mercato nazionale e il prodotto è quindi destinato alla vendita diretta. E’ iscritta al registro imprese e i dipendenti sono assunti con regolare contratto di lavoro: in genere la loro posizione risulta regolare sotto il profilo del versamento dei contributi previdenziali e assicurativi. Esistono tuttavia irregolarità relative a fenomeni di evasione fiscale e retributiva: sottofatturazione e pagamento di straordinari fuoribusta sono le modalità più diffuse.
1.2. La misura dell’irregolarità secondo le fonti ufficiali
1.2.1. Il problema della misurazione del sommerso e l’approccio dell’Istat Il tema della misurazione rappresenta da sempre uno dei nodi centrali e più critici nella comprensione del sommerso: prova ne è la pluralità stessa degli approcci metodologici adottati. A tal proposito è possibile distinguere i metodi “in uso” per misurare il peso dell’economia sommersa in almeno tre distinti gruppi, vale a dire in: - metodi indiretti, ovvero metodologie fondate sull’uso di indicatori statistici, sulla base del cui confronto è possibile stimare l’entità del fenomeno. Rientrano in questa categoria la metodologia di stima utilizzata dall’Istat per l’individuazione del numero dei lavoratori sommersi, i metodi fondati sulla domanda di moneta o quelli basati sul confronto di indicatori statistici differenti, come il valore della produzione vs consumi delle famiglie, reddito reale vs reddito dichiarato dalle famiglie e consumi di energia elettrica erogata vs consumi delle attività produttive regolari;
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- metodi diretti, vale a dire quelle metodologie di tipo statistico fondate su indagini di tipo campionario realizzate generalmente tramite interviste a testimoni privilegiati, imprenditori e lavoratori; - i modelli econometrici, vale a dire modelli matematici complessi che calcolano l’entità dell’economia sommersa mettendola in relazione con alcuni indicatori delle sue cause. L’Istat definisce il lavoro irregolare come “prestazione lavorativa svolta senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabile direttamente presso imprese, istituzioni e fonti amministrative. Rientrano pertanto nell’ambito delle attività lavorative non dichiarate le seguenti tipologie di prestazione lavorativa: 1) continuative, 2) occasionali svolte da persone che si dichiarano non attive, in quanto studenti, pensionati o casalinghe, 3) gli stranieri non residenti e non regolari e 4) le posizioni plurime non dichiarate alle istituzioni fiscali”. L’approccio di stima del lavoro irregolare utilizzato dall’Istat è di tipo indiretto e deriva dalla Contabilità nazionale. Sinteticamente, viene misurato l’intero ammontare della produzione nazionale (compresa quella non regolare) effettuata sul territorio, e, deduttivamente, la quantità di lavoro (input di lavoro) impiegato per ottenere l’intero volume di prodotto nazionale (occupazione sommersa ed emersa). Lo scarto tra l’input di lavoro necessario, e quello dichiarato dalle imprese e dai lavoratori (derivato dall’Indagine sulle Forze di Lavoro) consente pertanto di pervenire alla stima del lavoro irregolare1. 1.2.2. Il lavoro irregolare nelle Marche: un breve sguardo alle statistiche ufficiali Sulla base delle definizioni e delle metodologie di misurazione descritte, le ultime stime fornite dall’Istat (dicembre 2005) calcolano, per il 2003, l’incidenza del lavoro irregolare nelle Marche al 10,7%: un valore inferiore alla media nazionale, del 13,4%, e delle stesse regioni del Centro Italia (13,3%), dove si riscontra una situazione molto variabile, con realtà come il
1
Per approfondimenti metodologici sul metodo di stima del lavoro irregolare, si veda Istat, La misura dell’occupazione non regolare nelle stime di contabilità nazionale, 2004
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Lazio (14,4%), l’Umbria (12,8%) e Abruzzo (12,6%) in cui l’incidenza del lavoro irregolare risulta più marcata (tab. 1). Tab. 1 - I tassi di irregolarità del lavoro nelle regioni italiane, per settore, 2003 (val.%)
Agricoltura Industria Regioni
Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale Italia Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno
20,4 26,9 19,9 22,2 27,6 33,0 26,1 24,2 20,1 25,9 28,4 35,6 27,4 28,7 42,6 41,7 34,9 50,8 42,4 25,6 32,9 20,8 25,9 28,4 41,1
3,1 3,5 1,6 6,9 1,8 3,3 7,0 2,5 4,2 6,1 2,6 13,8 8,6 16,3 19 18,1 25,4 38,2 28,0 13,1 7,1 2,4 2,5 7,2 20,6
Industria in senso Costruzioni stretto
3,3 1,4 1,2 8,1 1,1 2,4 6,1 2,8 3,9 5,8 2,7 9,5 4,7 16,5 16,6 14,2 27,1 34,3 24,7 11,8 5,4 2,0 2,2 5,3 17,1
2,6 5,9 3,7 4,9 4,5 7,0 8,7 1,4 5,2 7,0 2,6 20,1 19,4 15,9 24,3 26,1 22,4 41,8 33,1 15,0 12,5 3,9 3,7 12,3 27
Servizi
11,7 17,5 10,2 11,3 11,6 15,7 12,2 10,5 11,8 15,2 14,3 13,8 13,0 19,4 22,6 18,3 16,4 24,3 23,4 18,9 14,5 10,9 11,6 13,3 20,9
Totale economia
9,2 14,7 7,3 10,9 8,7 12,8 11,5 8,6 9,8 12,8 10,7 14,4 12,6 19,2 23,2 20,9 20,8 31,0 26,0 18,3 13,4 8,3 9,3 12,3 22,8
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
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Rapporto per i relatori
Ovviamente, il ricorso a forme di lavoro irregolare, risente fortemente delle specificità dei singoli settori, risultando di gran lunga più rilevante nel comparto agricolo, dove il tasso di “sommerso” arriva al 28,4% (ma a livello nazionale il dato si colloca al 41,1%), e nei servizi, dove l’Istat conta quasi 15 lavoratori irregolari ogni 100: dato questo che risulta peraltro identico a quello nazionale, segnalando pertanto una specifica criticità del problema in questo comparto. Al contrario, risulta particolarmente bassa l’incidenza dell’irregolarità nell’industria in senso stretto e nelle costruzioni: nel manifatturiero, infatti, a fronte di un valore nazionale del 5,4% e ripartizionale del 5,3%, le Marche, con “solo” 2,6 lavoratori irregolari ogni 100, presentano uno dei livelli di irregolarità più bassi della penisola (sono infatti precedute solo da Valle d’Aosta, Lombardia e Veneto); nell’edilizia, con solo il 2,6% di lavoratori irregolari sul totale la Regione si contende il primato della regolarità con l’Emilia Romagna (1,4%), presentando valori di gran lunga inferiori alla media italiana (12,5%). Entrando più nel dettaglio dei singoli settori, secondo la stima elaborata dal Censis2, sempre a partire dai dati dell’Istat, il settore che presenta maggiori criticità è quello dei servizi domestici, dove si stima vi siano quasi 7 irregolari ogni 10 occupati. E non meno problematica è la situazione del settore trasporti-comunicazione e turismo (alberghi e ristoranti) dove il tasso di irregolarità arriva rispettivamente al 34% e 18,3% (tab. 2). Nell’ambito manifatturiero le differenze infrasettoriali appaiono invece meno rilevanti: da segnalare è la maggiore incidenza di lavoro irregolare nell’ambito del comparto tessile-abbigliamento-calzaturiero.
2
La metodologia utilizzata per la stima microsettoriale è descritta nell’ultimo capitolo del presente rapporto
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Rapporto per i relatori
Tab. 2 - Stima Censis dei tassi di irregolarità nei settori delle Marche, 2003 (val. %)
Tasso di irregolarità 2003 Marche Italia
Agricoltura, silvicoltura e pesca Industria in senso stretto Estrazione di minerali e produzione acqua e energia Industria manifatturiera Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco Industrie tessili e dell'abbigliamento Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, elettrici ed ottici; mezzi di trasporto Industria del legno, della gomma, della plastica e altre manifatturiere Altro Costruzioni Servizi Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa Alberghi e ristoranti Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari ed imprenditoriali Altre attività di servizi Servizi domestici presso famiglie e convivenze Totale
28,4 2,7 1,3 2,7 2,8 4,1
32,9 5,4 2,6 5,5 5,9 8,4
2,5
5,2
2,0
4,1
3,1
6,3
2,4 2,6 14,3
5,0 12,5 14,5
6,5
6,4
18,3 34,0
18,3 33,9
14,1
14,1
14,1 67,1 10,7
14,0 66,9 13,4
Fonte: stima Censis su dati Istat
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Rapporto per i relatori
Spunti interessanti sono forniti anche dall’analisi dell’evoluzione del fenomeno, che sottolinea come negli ultimi tre anni di riferimento si sia registrato una netta contrazione dell’irregolarità del lavoro: se nel 2000 infatti il tasso si collocava al 13,9%, di solo un punto distante dalla media nazionale, già nel 2001 scendeva al 12,5%, nel 2002 all’11,4% per assestarsi definitivamente sul 10,7%. (figg. 1-6). Una tendenza questa che stando alle stime dell’Istat avrebbe interessato in particolare il comparto edile, dove il tasso di irregolarità è progressivamente passato dall’8,2% del 1998, al 4,5% del 2000 fino al 3,2% del 2002 e 2,6% del 2003, e in parte i servizi, comparto in cui tuttavia, le Marche registrano un miglioramento contenuto se confrontato alle tendenze nazionali: a fronte infatti di una diminuzione del tasso di irregolarità di quasi 4 punti a livello nazionale (si è passati dal 19,4% del 2000 al 15,5% del 2002), nelle Marche il calo è stato di un solo punto percentuale. L’andamento dei tassi rispecchia la generale contrazione del ricorso al lavoro irregolare avvenuta nell’ultimo decennio. Fatti 100 gli occupati irregolari nelle Marche nel 1995, nel 2003 se ne contavano 2 di meno (98,2). La contrazione più netta si è registrata, da questo punto di vista, nel settore delle costruzioni, dove nel 2003 il dato è sceso al 38,5, seguito da industria (73,6), agricoltura (85,2). In aumento invece è risultato il numero complessivo degli irregolari nell’ambito dei servizi (+4,1%), sebbene il tasso di irregolarità sia risultato in diminuzione per effetto di un incremento più che proporzionale del numero complessivo di occupati – regolari e non – nel settore (tab. 3 e fig. 7).
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Rapporto per i relatori
Fig.1 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, totale economia , 1995-2003 (val.%) 16,0 15,0 14,5
14,8
14,5
15,1
15,0
14,0
15,1
15,0
14,2
13,9
13,4 13,0
12,9 12,5
12,0
11,7
12,0
11,7
12,0 11,4
11,0
10,7
10,0 1995
1996
1997
1998
1999
2000
Marche
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat Fig. 2 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, industria, 1995-2003 (val.%)
10,0 8,3
7,8
7,5
7,9
8,1
8,1
8,1
8,1
7,6
7,1
5,0 3,9
3,8
3,3
2,5
3,2
3,5
3,5 2,8
2,3
2,6
0,0 1995
1996
1997
1998
1999
Marche
2000
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat
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Fig. 3 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, agricoltura, 1995-2003 (val.%) 36,0
32,4
32,0
33,7
33,1
32,9
30,7 29,6 28,7
28,0
27,9
28,4
27,6
27,2
27,0 25,3 24,3
24,0
23,5
23,9
23,6
21,4 20,0 1995
1996
1997
1998
1999
2000
Marche
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat Fig. 4 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, industria in senso stretto, 1995-2003 (val.%) 10,0
7,5
5,9
5,5
5,4
5,0
5,7
5,8
5,8
5,8
3,3
3,4
5,5
5,4
2,7
2,7
4,0 3,1 2,5
2,8 2,2 1,5
0,0 1995
1996
1997
1998 Marche
1999
2000
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat
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Rapporto per i relatori
Fig. 5 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, edilizia, 1995-2003 (val.%) 20,0 17,5 16,5 15,0
16,2
15,7
16,5
15,9
15,5
15,3 13,9
12,5
12,5
10,0 7,5
8,2
7,4
6,5
5,9
5,0
4,5
4,1
3,3
2,5
3,2
2,6
0,0 1995
1996
1997
1998
1999
2000
Marche
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat Fig. 6 - Andamento del tasso di irregolarità del lavoro, in Italia e nelle Marche, servizi, 1995-2003 (val.%) 20,0 19,4 19,0
18,0 17,6 17,0
16,0
16,8 16,6
16,9 16,6
16,6
16,9 16,7
16,6
16,3 15,9 15,7
15,8
15,5
15,0 14,5 14,3 14,0 1995
1996
1997
1998 Marche
1999
2000
2001
2002
2003
Italia
Fonte: stima Censis su dati Istat
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Rapporto per i relatori
Fig. 7 - Andamento delle unità di lavoro regolari e non nelle Marche, per settore, 1995-2003 (Numeri indice, 1995=100)
120
114
110,8
110
105,4
104,4
107,5
104,1
100 90
85,2 Agricoltura
80 70 60
98,2
88,5 Industria
Industria in senso stretto
C ostruzioni
Servizi
Totale economia
73,6 64,1
50 40 38,5
30 ULA non regolari
20
ULA Totali
Fonte: stima Censis su dati Istat
31 FONDAZIONE CENSIS
Tab. 3- Numeri indice delle unità di lavoro non regolari e totali per regione e per settore di attività economica dal 1995 al 2003 (Base 1995=100)
Regioni
Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Trentino A.A. Veneto Friuli V.G. Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale Italia Nord-ovest Nord-est Centro Mezzogiorno
Totale economia ULA non regolari ULA Totali
94,1 97,8 69,3 92,7 83,4 118,2 95,5 86,3 88,2 95,7 98,2 97,0 111,4 142,9 105,9 112,7 127,5 114,4 138,0 119,8 99,2 78,8 89,2 94,5 117,6
Fonte: stima Censis su dati Istat
105,5 106,7 108,0 108,7 107,7 106,3 105,6 107,9 107,3 109,7 107,5 111,3 106,5 105,4 108,6 105,0 105,0 103,6 107,6 107,5 107,6 107,1 107,7 109,3 106,7
Agricoltura ULA non regolari ULA Totali
97,4 87,5 102,3 107,0 83,4 97,4 108,2 86,8 138,5 89,1 85,2 88,1 75,0 62,5 81,2 97,6 79,8 104,8 96,0 79,0 92,4 100,9 88,2 95,8 91,8
76,8 68,4 84,5 84,3 78,9 79,3 80,2 74,6 90,4 74,2 64,1 80,7 77,2 62,1 73,4 78,1 70,3 85,4 77,5 78,5 78,4 80,9 77,7 79,5 77,6
Industria ULA non regolari ULA Totali
75,9 250,0 32,8 344,0 49,7 100,0 96,0 66,4 71,4 70,1 73,6 94,9 154,8 140,5 91,7 111,4 209,0 104,7 134,7 96,3 89,0 48,4 72,4 84,6 112,5
96,3 110,2 100,3 112,5 105,1 103,3 100,7 105,9 98,1 109,3 105,4 105,9 103,9 110,0 107,7 106,5 117,7 104,9 109,3 109,4 103,3 99,3 105,8 102,9 107,7
Industria in senso stretto ULA non regolari ULA Totali
85,6 0 27,7 355,6 37,8 114,3 141,0 74,6 68,0 77,4 88,5 110,6 247,6 141,7 95,0 115,5 287,9 110,1 167,7 110,4 90,8 47,9 73,2 87,6 123,7
91,6 104,3 97,9 106,3 101,0 103,8 95,8 104,6 93,1 109,1 104,4 97,6 108,2 105,6 104,2 102,1 124,1 98,0 111,6 108,7 99,9 96,1 102,9 97,9 106,0
Costruzioni ULA non regolari ULA Totali
49,3 200,0 43,8 314,3 69,7 84,6 67,7 34,0 81,9 57,1 38,5 86,3 123,8 138,5 87,2 107,2 132,4 100,8 110,2 83,5 86,8 49,4 70,8 81,4 101,8
118,6 117,2 112,5 125,3 125,1 101,6 111,0 112,2 120,8 109,7 110,8 121,1 93,7 118,9 116,2 116,9 108,1 112,5 105,8 110,5 114,8 114,1 118,2 118,7 110,7
Totale servizi ULA non regolari ULA Totali
97,0 95,1 75,4 77,8 89,4 123,8 94,5 89,7 88,9 103,8 104,1 98,4 112,9 184,8 117,0 120,4 118,8 124,9 154,7 138,5 103,1 83,3 92,0 96,6 129,1
113,7 109,2 114,5 110,5 112,7 110,1 108,4 113,7 113,0 113,6 114,0 114,2 112,0 112,4 114,1 110,9 108,2 109,0 112,7 112,1 113,0 113,5 112,6 113,8 112,2
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Rapporto per i relatori
1.3. I tassi di irregolarità provinciale Di recente (luglio 2005), l’Istituto Nazionale di Statistica ha per la prima volta diffuso delle stime sui tassi di irregolarità del lavoro a livello provinciale, colmando, anche se solo parzialmente, una delle principali lacune informative su tale argomento. Le stime tuttavia, non forniscono un’indicazione puntuale dei livelli di irregolarità, ma presentando molteplici margini di incertezza, forniscono delle misure statistiche per intervalli. L’analisi delle cartografie, mostra con riferimento al territorio regionale, una situazione abbastanza articolata, almeno per quanto riguarda le tendenze generali. Pesaro Urbino è la provincia che presenta il livello più alto di irregolarità, con un tasso che oscilla dal 14,7% al 19,3%, simile a quello di altre province del centro-nord, quali LaSpezia, Rieti, Viterbo. Tale dato è riconducibile ad una condizione di particolare criticità nei servizi, dove il tasso di irregolarità supera addirittura la soglia del 22,4%, allineando Pesaro a numerose realtà del Sud Italia. A seguire, si colloca la provincia di Ascoli Piceno, che presenta, stando alle indicazioni dell’Istat, un tasso di irregolarità oscillante tra il 10,1% e il 14,7%; anche in questo caso, è la maggiore irregolarità nell’ambito dei servizi (tra il 15,1% e 17,9%) ad innalzare la media della provincia. Seguono infine Macerata ed Ancona, collocate nel gruppo delle province con i livelli di irregolarità più bassi, inferiori al 10,1%.
33 FONDAZIONE CENSIS
Mappa 1 – I tassi di irregolarità provinciale
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2.
Rapporto per i relatori
L’INDAGINE DI CAMPO PRESSO 80 TESTIMONI PRIVILEGIATI
2.1. Economia visibile ed invisibile. Un focus regionale
2.1.1. L’economia marchigiana tra stagnazione e attendismo Ragionare dell’economia di qualsiasi parte del territorio nazionale presuppone l’analisi congiunta di formalità e informalità, se è vero che questa ultima rappresenta una quota tanto rilevante del tessuto produttivo e dell’economia nazionale, come emerge dalle statistiche e dalle stime ufficiali. Esiste, peraltro, un legame profondo tra l’andamento delle due componenti, tra visibilità dei fenomeni economici e loro sotterraneità. Le variazioni dell’una, l’espansione generata da cicli economici favorevoli, così come la contrazione che segue a fasi recessive, si riversano, quasi si insinuano, modificando forma e contenuto di quello che potremo definire il lato oscuro dell’economia italiana. Si parla di un sommerso da economia ricca, economia che cresce come accadeva negli anni sessanta e poi venti anni più tardi negli anni ottanta, o come accade anche ora in aree più ricche del Paese. Ma c’è anche un sommerso povero, quello che si espande quando l’economia procede a rilento, e gli operatori occultano, perché il rispetto delle regole mina la propria sopravvivenza. E ora che l’economia attraversa una fase recessiva sembra opportuno rileggere il fenomeno del sommerso, tentare di analizzarne l’entità e le dinamiche, ripercorrere quel filo che lega inscindibilmente economia visibile ed invisibile. Quali sono i territori e le produzioni dove questo legame appare più forte e lì che forma assume? Cosa accade all’interno di un’economia come quella marchigiana animata da una molteplicità di Pmi e da una pluralità di vocazioni produttive dal tessile, al calzaturiero, alla meccanica, all’elettronica, al turismo?
35 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
A rispondere sono gli operatori locali - rappresentanti del mondo imprenditoriale, sindacale, istituzionale (Camere di Commercio, Inps, Inail, Servizi per l’impiego) – che, interpellati tra febbraio e aprile 2005 ricostruiscono, attraverso le proprie percezioni derivate dal contatto con il territorio e dalla partecipazione alla definizione dell’economia locale, lo scenario regionale in cui si muove il “sommerso”, approfondendo i collegamenti tra economia formale e informale. Partendo dall’analisi generale dello stato di salute dell’economia provinciale, quella che delineano è una condizione di forte criticità: il 97% degli intervistati ritiene che la regione stia attraversando un periodo di difficoltà. Per il 35% si può parlare di un’economia in crisi e per il 62% di un’economia in stallo. Meno del 3% evidenzia l’esistenza di segnali ripresa. Nessuno dei testimoni locali registra segnali di decisa crescita. La percezione delle difficoltà insite nei meccanismi economici territoriali appare anche più acuta di quella, non certo favorevole, che viene espressa più generalmente dagli operatori diffusi su tutto il territorio nazionale, rilevata tramite una simile indagine realizzata dal Censis per conto del Ministero del lavoro nel corso del 2005 (tab. 4 e fig. 8)3. Tab. 4 - Il giudizio dei testimoni locali sullo stato di salute dell’economia locale, per provincia, Marche – Italia, 2005 (val.% sui rispondenti)
In ripresa
In decisa crescita
In crisi
In stallo
Totale
Ancona Ascoli Piceno Macerata Pesaro e Urbino
13,8 77,8 54,5 7,7
82,8 22,2 45,5 85,0
3,4 0,0 0,0 7,7
0,0 0,0 0,0 0,0
100,0 100,0 100,0 100,0
Marche
35,2
62,0
2,8
0,0
100,0
Italia
41,7
52,2
5,4
0,7
100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
3
Nel corso del rapporto, laddove possibile, verranno effettuati i confronti con la situazione nazionale, come emersa dall’Indagine “Mappatura aggiornata del sommerso e dei fenomeni di irregolarità del lavoro su base locale” realizzata dal Censis nel 2005 per conto del Ministero del lavoro
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Rapporto per i relatori
All’interno del territorio regionale, sono soprattutto l’area di Ascoli Piceno e quella di Macerata che – secondo i testimoni locali – mostrano la situazione più preoccupante: il 77,8% giudica l’economia della provincia di Ascoli in crisi e il 54,5% lo rileva per la provincia di Macerata. Nessuno parlerà, con riferimento a questi territori, di economia in ripresa. Migliori prospettive vengono in parte accennate per l’area di Pesaro e Urbino (in crescita per il 7,7%), dove però la maggior parte dei testimoni locali (85%) tende a condividere l’idea che l’economia locale si posizioni in una condizione di stallo. Questo per dire che nella migliore delle ipotesi, quando dunque non si registra una crisi, i testimoni delineano un’economia inerte, bloccata. Fig. 8 - Il giudizio dei testimoni locali sullo stato di salute dell'economia locale, Marche-Italia, 2005 (val.%)
2,8
5,4
35,2 41,7
62,0 52,2
Marche
Italia
In stallo
In crisi
In ripresa
In decisa crescita
Fonte: indagine Censis, 2005
Se l’economia locale viene descritta come inceppata, ciò non pregiudica irrimediabilmente il clima di fiducia all’interno del contesto locale. Il 71,8% dei testimoni privilegiati registra l’attesa di segnali di ripresa. Il restante 28,2% mostra una visione pessimistica, che si traduce in un abbandonarsi a
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Rapporto per i relatori
sensazioni di insicurezza e di sfiducia. Sembra, invece, non esserci nella regione alcuna spinta reattiva. Gli operatori si pongono in una condizione di passività, di attendismo che poi può essere venato da ottimismo o da pessimismo. Questa ultima condizione appare più diffusa in quelle province – Ascoli Piceno e Macerata – dove l’economia mostra segnali di maggiore criticità (tab. 5). Ad una disarticolazione provinciale emerge che: - le province di Ancona e di Pesaro - Urbino fanno corrispondere ad una situazione di stallo, la prevalenza di un clima di attesa per la ripresa, anche se non di reattività; - le province di Ascoli Piceno e Macerata registrano la crisi in modo così evidente che gli operatori spesso mostrano una profonda negatività che oscilla tra paura e sfiducia.
Tab. 5 - Il giudizio degli operatori economici (imprese, professionisti, lavoratori) sul clima prevalente nel territorio provinciale, Marche-Italia, 2005 (val.% sui rispondenti)
Attesa di segnali di ripresa
Sfiducia e passività
Sfida e reattività
Ancona Ascoli Piceno Macerata Pesaro e Urbino
82,8 55,6 54,5 84,6
10,3 16,7 27,3 7,7
0,0 0,0 0,0 0,0
6,9 27,8 18,2 7,7
100,0 100,0 100,0 100,0
Marche
71,8
14,1
0,0
14,1
100,0
Italia
61,6
15,1
5,3
18,1
100,0
Insicurezza e paura
Totale
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
2.1.2. I segni del cambiamento L’analisi dei testimoni privilegiati procede esplorando le condizioni del cambiamento, ricostruendo le tracce dei fenomeni che lo hanno determinato fino a creare nuovi assetti locali ed un nuovo scenario. Sono senza dubbio tre i nodi cruciali che descrivono l’economia marchigiana degli ultimi anni: la crisi dei settori tradizionali - il 98% degli intervistati lo considera un fenomeno significativo nel processo economico territoriale degli ultimi tre anni -, l’impiego di extracomunitari nelle aziende (lo conferma la totalità degli intervistati) e la delocalizzazione verso paesi a basso costo (86%). Il sistema produttivo locale, costituito in gran parte da Pmi appartenenti a settori tradizionali, subisce la spinta verso il basso dei costi di produzione. Ulteriori elementi – la nascita di imprese di extracomunitari (69,4%) e la crescita del lavoro irregolare (55,7%) - raccontano di un sistema alla ricerca di soluzioni per contrastare l’incrinarsi della propria competitività (tab. 6, fig. 9). Il territorio appare inserito nelle dinamiche globalizzanti e gestisce flussi di scambio in entrata e in uscita. Nella regione, l’immigrazione è senza dubbio un dato di realtà, una forza economica che non genera solo manodopera ma anche innesti imprenditoriali. Esistono nell’area dei segnali di vivacità imprenditoriale (lo afferma il 50% del campione), una crescita dell’occupazione (42,6%), ed un’espansione all’estero di imprese locali (34,9%). Così i fenomeni di apertura e di vitalità del sistema appaiono più evidenti di quanto non accada in altre aree del territorio nazionale. Delocalizzazione produttiva, nascita di imprese di extracomunitari, espansione all’estero di imprese locali, dinamicità imprenditoriale e crescita dell’occupazione sono fenomeni presenti qui più che altrove, mentre altri fenomeni come la crescita del lavoro irregolare, seppur rilevante, appare qui più contenuta. Così come appare marginale il deflusso migratorio (11,7%) e del tutto irrilevante, l’ingerenza di fenomeni di illegalità diffusa (5,1%).
39 FONDAZIONE CENSIS
Tab. 6 - Fenomeni che hanno interessato significativamente l'economia locale negli ultimi tre anni, per provincia, MarcheItalia, 2005 (val.% sui rispondenti)
Impiego di extracomunitari nelle aziende Crisi nei settori tradizionali Delocalizzazione verso paesi a basso costo del lavoro Nascita di imprese gestite da extracomunitari Crescita del lavoro irregolare Dinamicità imprenditoriale Crescita occupazione Espansione all'estero di imprese locali Emigrazione di residenti in altre aree del paese per lavoro Ingerenza dei fenomeni di illegalità diffusa Attrazione di investimenti stranieri
Fonte: indagine Censis, 2005
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
100,0 100,0 89,3 74,1 74,1 59,3 70,4 46,4 7,4 7,4 0,0
100,0 100,0 94,4 66,7 46,7 13,3 6,7 33,3 20,0 0,0 7,1
100,0 100,0 100,0 66,7 50,0 44,4 11,1 22,2 12,5 0,0 0,0
100,0 90,0 58,3 63,6 27,3 81,8 50,0 18,2 10,0 10,0 0,0
100,0 98,4 86,6 69,4 55,7 50,0 42,6 34,9 11,7 5,1 1,6
88,0 91,2 65,8 63,8 64,7 48,3 29,6 29,9 40,0 24,5 9,6
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Rapporto per i relatori
Fig. 9- Fenomeni che, secondo i testimoni provinciali hanno investito l'economia regionale negli ultimi tre anni in modo significativo (val. % sui rispondenti) 100,0
Impiego di extracomunitari nelle aziende
98,4
Crisi nei settori tradizionali
Delocalizzazione verso paesi a basso costo del lavoro
86,6 69,4
Nascita di imprese gestite da extracom
55,7
Crescita del lavoro irregolare
50,0
Dinamicità imprenditoriale
42,6
Crescita occupazione
34,9
Espansione all'estero di imprese locali
Emigrazione di residenti in altre aree del paese per lavoro
11,7 5,1
Ingerenza dei fenomeni di illegalità diffusa
1,6
Attrazione di investimenti stranieri
0
20
40
60
80
100
120
Fonte: indagine Censis, 2005
La disarticolazione geografica per province permette di approfondire le differenze emerse nella descrizione dei territori provinciali. La provincia di Pesaro e Urbino emerge come la provincia più dinamica e sana. Questa è la provincia che avrebbe risentito meno della crisi dei settori tradizionali e dove è stata minore la spinta alla delocalizzazione. Per l’81,8% degli intervistati l’area mostra una vivacità imprenditoriale, e secondo la metà del campione si è registrata una crescita dell’occupazione, mentre meno di un terzo dei testimoni locali parla di una crescita del lavoro irregolare. La provincia di Ancona mostra da un lato segnali positivi più evidenti secondo il giudizio degli operatori: dinamicità imprenditoriale (59,3%) e crescita dell’occupazione (70,4%), nascita di imprese gestite da extracomunitari (74,1%), espansione all’estero di imprese locali (46,4%). Contemporaneamente, però, sembra essere interessata da una crescita del lavoro irregolare: lo confermano 7 operatori su 10.
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Rapporto per i relatori
Il passaggio congiunturale comprime le spinte propulsive nelle altre due province. Nel maceratese il 44,4% descrive un tessuto produttivo dinamico e l’11,1% un innalzamento della domanda nel mercato del lavoro. Un effetto amplificato nel territorio di Ascoli: tra gli intervistati solo il 13,3% rileva una vivacità imprenditoriale e il 6,7% una crescita dell’occupazione. In entrambe le aree, le imprese sono coinvolte in processi delocalizzativi che mirano all’abbattimento dei costi di produzione. Circa la metà del campione registra una crescita del lavoro irregolare nelle due province. 2.1.3. Sistema produttivo e contoterzismo Un sistema produttivo di Pmi operanti principalmente all’interno dei settori tradizionali trova nella subfornitura il meccanismo di funzionamento essenziale, una miriade di imprese che si intersecano per ricostruire l’intera filiera produttiva. Un meccanismo che in passato ha consentito al sistema produttivo nazionale, e nello specifico a quello marchigiano, di raccogliere ampi margini di competitività, e che ora di fronte ad opportunità di aree e paesi a basso costo di produzione, glieli sottrae. La tabella 7 mostra chiaramente la contrazione delle commesse per le aziende di subfornitura nell’ultimo biennio, come confermato dall’88,7% dei testimoni locali che ne attesta la diminuzione. Una situazione per le Marche più critica di quella che tendenzialmente è comune a tutto il Paese. E nelle province di Ascoli Piceno e Macerata tale affermazione trova un giudizio unanime. In ogni caso, nessuno degli intervistati parlerà di un aumento delle commesse, eventualmente di stazionarietà nei territori – Anconetano e Pesarese – dove la crisi dei settori tradizionali sembra essere più contenuta. La sfavorevole congiuntura economica internazionale rappresenta per 5 operatori su 10 la causa della contrazione dei mercati locali. Senza dubbio, dunque, esiste un calo della domanda riconducibile a tendenze recessive in atto, ma delocalizzazione produttiva e spostamento della domanda dei clienti verso altri territori sottolineano la consapevolezza di una perdita di competitività del tessuto locale (fig. 10). Il 17,7% del campione sostiene che il ridimensionamento del sistema locale vada ricondotto alla tendenza delocalizzativa delle imprese clienti, ed un ulteriore 17,7% alla propensione verso altri mercati extranazionali (con punte che superano il 30% per Ascoli e Macerata).
42 FONDAZIONE CENSIS
Tab. 7 - L'andamento delle commesse provenienti alle aziende subfornitrici della provincia secondo l'opinione dei testimoni locali tra il 2003 e il 2005, Marche-Italia (val.% sui rispondenti)
Aumentate Rimaste stabili Diminuite - a causa della sfavorevole congiuntura economica - alcune aziende clienti del territorio hanno spostato la produzione all'estero - alcune aziende clienti si sono rivolte ad altri mercati extranazionali - alcune aziende clienti si sono rivolti ad altri mercati sul territorio nazionale Totale
Fonte: indagine Censis, 2005
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
0,0 24,0 76,0 52,0 20,0 4,0 0,0 100,0
0,0 0,0 100,0 47,1 17,6 35,3 0,0 100,0
0,0 0,0 100,0 44,4 11,1 33,3 11,1 100,0
0,0 9,1 90,9 63,6 18,2 9,1 0,0 100,0
0,0 11,3 88,7 51,6 17,7 17,7 1,6 100,0
Italia
2,7 26,1 71,3 47,6 10,6 9,5 3,5 100,0
Fig. 10- L'andamento delle commesse provenienti alle aziende subfornitrici della provincia negli ultimi tre anni (val.%)
diminuite perché alcune aziende clienti si sono rivolti ad altri mercati sul territorio nazionale 1,6% diminuite perché alcune aziende clienti si sono rivolte ad altri mercati extranazionali 17,7%
diminuite perché alcune aziende clienti del territorio hanno spostato la produzione all'estero 17,7%
Fonte: indagine Censis, 2005
Rimaste stabili 11,3%
diminuite a causa della sfavorevole congiuntura economica 51,6%
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Rapporto per i relatori
2.2. Il sommerso nelle Marche
2.2.1. Le caratteristiche del fenomeno La congiuntura negativa a livello internazionale, l’impatto della globalizzazione che si traduce in perdita di competitività dei settori tradizionali, in delocalizzazioni produttive verso paesi a basso costo, nell’intensificarsi di flussi migratori rappresentano un mutamento dello scenario sociale ed economico che ha ripercussioni evidenti anche sulla connotazione del sommerso nella regione. Stando al giudizio dei testimoni locali, il sommerso nelle Marche sarebbe un fenomeno comunque contenuto, di carattere per lo più ciclico, quindi legato a settori caratterizzati da elevata stagionalità (turismo, agricoltura, in parte tessile-abbigliamento ed agroalimentare), che non diffuso e strutturale. Ben il 39,4% lo definisce infatti un fenomeno presente solo marginalmente, il 31% un fenomeno ciclico e “solo” il 28,2% un fenomeno strutturale: un dato quest’ultimo che scosta la realtà marchigiana da quella del Paese, dove al contrario, ben il 43,5% dei testimoni locali interpellati pensa che il sommerso in Italia sia un fenomeno diffuso e strutturale (fig. 10 e tab. 8). La disarticolazione provinciale mette in evidenza l’ambiguità della correlazione tra andamento dell’economia formale e quello dell’economia informale. Se l’area di Pesaro e Urbino, che avverte meno la crisi, non fa emergere la presenza di un sommerso strutturale, questo sembra essere più rilevante nell’Anconetano (lo afferma il 37,9% del campione) piuttosto che nel Maceratese (18,2%), nonostante sia questa ultima provincia a segnalare le maggiori difficoltà a livello di sistema. A sottolineare che la correlazione tra crisi di sistema e sommerso non è inevitabile. Senza dubbio, il confronto provinciale, con le differenze locali a cui si accennava, consente di evidenziare l’idea di un sommerso che tende a presentarsi in forma ciclica.
45 FONDAZIONE CENSIS
Fig. 10 - Il giudizio dei testimoni locali sul sommerso con riferimento all'economia locale, MarcheItalia, 2005 (val.%)
1,4
1,4
30,8 39,4
24,4
31
43,5 28,2
Marche
Italia
diffuso e strutturale
ciclico
presente solo marginalmente
irrilevante
Fonte: indagine Censis, 2005
Tab. 8 - Il giudizio dei testimoni sul sommerso con riferimento all'economia locale, Marche-Italia, 2005 (val.% sui rispondenti)
Ancona
Diffuso e strutturale Ciclico Presente solo marginalmente Assolutamente irrilevante Totale
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
37,9 34,5
38,9 27,8
18,2 36,4
0,0 23,1
28,2 31,0
43,5 24,4
27,6
27,8
45,5
76,9
39,4
30,8
0,0
5,6
0,0
0,0
1,4
1,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
Laddove il sommerso costituisce una realtà strutturale dell’economia, ciò è da ricondurre all’esistenza di un tessuto produttivo estremamente frammentato, poco consolidato, e caratterizzato da una pluralità di imprese che vivono essenzialmente di subfornitura: 7 intervistati su 10 la considerano il fattore determinante nel produrre irregolarità. E’ la connotazione tipica delle economie locali, il meccanismo di dipendenza legato al sistema delle commesse che rende il tessuto produttivo fragile ed impone il ricorso al sommerso. Al contrario, peserebbero meno altri aspetti che pure risultano centrali nel confronto con il quadro nazionale, quali l’insostenibilità della pressione fiscale e del costo del lavoro (indicato solo dal 26,3% degli intervistati nelle Marche, contro un dato nazionale del 52,5%). Fig. 12- fattori che rendono il sommerso un fenomeno strutturale, Marche-Italia (val. % sui rispondenti) 9,5
assenza di aree industriali
10,8
ingerenza della criminalità sulle attività economiche
13,3
carenza di infrastrutture
Marche
Italia
15,8 32,9
elevato assistenzialismo che spinge ad irregolarità per ottenere sussidi
21,1 52,5
insostenibilità della pressione fiscale ed elevato costo del lavoro
26,3 12
cattivo funzionamento delle istituzioni locali
31,6
la presenza di un tessuto imprenditoriale principalmente in outsourcing
42,7 73,7 0
10
20
30
40
50
60
70
80
Fonte: indagine Censis, 2005
Contribuisce al consolidarsi del sommerso anche il cattivo funzionamento delle istituzioni locali (lo indica al terzo posto il 31,6% dei testimoni locali,
47 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
contro il 12% di quelli nazionali) e l’elevato assistenzialismo che induce chi percepisce sussidi pubblici (disoccupazione, mobilità, cassa integrazione, pensioni) a svolgere forme irregolari di lavoro per mantenere i diritti acquisiti (21%). Appesantisce il funzionamento del tessuto locale, provocando effetti distorsivi, anche il grado di infrastrutturazione (15,8%), mentre viene totalmente esclusa la possibilità che il sommerso sia determinato dall’ingerenza di fenomeni criminali e tanto meno dalla carenza di aree industriali. In sintesi, i fattori determinanti sono insiti nello stesso sistema: articolazione del tessuto produttivo centrato sulla subfornitura e funzionamento delle istituzioni locali. Sono questi i nodi critici per il territorio regionale. Un giudizio che si distanzia in parte dalle valutazioni espresse più generalmente a livello nazionale, dove si legge una minore polarizzazione rispetto ai diversi fattori presi in considerazione. Dopo aver cercato di verificare se si parla di economia irregolare connessa inevitabilmente a quella regolare, quindi come elemento di struttura del sistema produttivo locale piuttosto che di recidività patologica dello stesso, quindi di stagionalità; e dopo aver esplorato cosa rende strutturale il sommerso, lì dove questa strutturalità esiste, occorre entrare nello specifico del fenomeno. Quali pratiche e ritualità definiscono il sommerso locale? Di cosa parliamo quando quantifichiamo un’economia che si nasconde? Quali di tutte le pratiche sotterranee che animano l’economia sommersa prendono corpo in questa regione, e poi nelle singole province? Ripercorrendo la serie di items proposti all’attenzione degli operatori locali e analizzando la composizione delle risposte ottenute, appare evidente come il sommerso locale sia articolato e complesso perché, se si esclude la connessione con la criminalità subita o agita, ognuna delle pratiche che lo caratterizza trova spazio nell’economia regionale. Senza dubbio, il sommerso dell’area è principalmente evasione, contributiva (98,4%), fuori busta e doppia busta paga (97%), utilizzo improprio dei contratti a progetto (96,8%) – forma edulcorata del contenimento dei costi – evasione fiscale dei commercianti (92,3%) e dei professionisti (89,2%). Le fenomenologie di sommerso totale vengono espresse con minore enfasi, se si esclude il lavoro nero prestato da immigrati che viene posto al primo posto, e si lega alla debolezza contrattuale di questi soggetti. I testimoni privilegiati collocano il secondo lavoro irregolare (95,4%) al sesto posto seguito dal lavoro sommerso autonomo (95,2%), il commercio ambulante abusivo (92,3%), le imprese emerse con lavoro irregolare (92,2%). Il lavoro
48 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
dipendente totalmente sommerso appare al dodicesimo posto (89,2%), la ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi (84,6%) e quindi le imprese totalmente sommerse (76,8%), e le imprese sommerse gestite da immigrati (57,4%). L’invisibilità del nucleo imprenditoriale – forma estrema di sommerso – viene preceduta dall’utilizzo improprio di partire iva (86,2%) e dall’utilizzo improprio di associazioni a partecipazione (83,1%). Laddove in un quadro di apparente legalità si individuano ulteriori strumenti volti al contenimento del costo del lavoro (tab. 9 e fig. 13). Tab. 9 – Fenomeni di sommerso rilevanti a livello locale, Marche-Italia, 2005 (val.% sui rispondenti) Marche Italia non non rilevante rilevante rilevante rilevante
Le imprese che evadono Il lavoro irregolare prestato dagli immigrati L'evasione contributiva I fuori busta/la doppia busta paga L'utilizzo improprio dei contratti a progetto (ex cococo) Il secondo lavoro irregolare Il lavoro sommerso autonomo L'evasione fiscale da parte dei commercianti Il commercio ambulante abusivo Le imprese emerse con lavoro irregolare Le imprese che delocalizzano all'estero Il lavoro totale sommerso L'evasione fiscale da parte dei professionisti L'utilizzo improprio della p.iva La ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi L'utilizzo improprio delle associazioni a partecipazione Le imprese totalmente sommerse Le imprese totalmente sommerse gestite da immigrati Le imprese vittime della criminalità diffusa Il sommerso legato alle attività criminose
100,0 100,0 98,4 97,0
0,0 0,0 1,6 3,0
95,8 97,5 97,4 94,8
4,2 2,5 2,6 5,2
96,8
3,2
93,2
95,4 95,2 92,3 92,3 92,2 90,6 89,2 89,2 86,2
4,6 4,8 7,7 7,7 7,8 9,4 10,8 10,8 13,8
91,3 91,8 96,0 90,0 91,3 69,9 88,8 92,4 80,4
6,8 8,7 8,2 4,0 10,0 8,7 30,1 11,2 7,6 19,6
84,6
15,4
88,1
11,9
83,1 76,8
16,9 23,2
77,1 75,0
22,9 25,0
57,4 20,3 20,0
42,6 79,7 80,0
49,6 45,4 43,6
50,4 54,6 56,4
Fonte: indagine Censis, 2005
49 FONDAZIONE CENSIS
12467_04
Rapporto per i relatori
Fig. 13- Le caratteristiche del sommerso: i fenomeni più rilevanti a livello locale, 2005 (val.% su totale rispondenti) 100,0
Il lavoro irregolare prestato dagli immigrati
100,0
Le imprese che evadono
98,4
L'evasione contributiva I fuori busta/la doppia busta paga
97,0
L'utilizzo improprio dei contratti a progetto (ex cococo)
96,8 95,4
Il secondo lavoro irregolare
95,2
Il lavoro sommerso autonomo
92,3
Il commercio ambulante abusivo L'evasione fiscale da parte dei commercianti
92,3
Le imprese emerse con lavoro irregolare
92,2 90,6
Le imprese che delocalizzano all'estero
89,2
L'evasione fiscale da parte dei professionisti
89,2
Il lavoro totale sommerso
86,2
L'utilizzo improprio della p.iva
84,6
La ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi
83,1
L'utilizzo improprio delle associazioni a partecipazione
76,8
Le imprese totalmente sommerse
57,4
Le imprese totalmente sommerse gestite da immigrati Le imprese vittime della criminalità diffusa
20,3
Il sommerso legato alle attività criminose
20,0 0
20
40
60
80
100
Fonte: indagine Censis, 2005
2.2.2. L’irregolarità tra impresa e lavoro: entità e caratteristiche L’analisi del sommerso d’impresa nella regione evidenzia – secondo le stime degli operatori - una minore entità del fenomeno rispetto a quella riscontrabile a livello nazionale (43,1% contro il 53,1% espresso in generale). L’incidenza delle imprese totalmente sommerse (7%) è marginale in confronto alla presenza di imprese emerse che evadono sistematicamente il fisco (13,6%), e la tipologia di irregolarità prevalente è quella delle imprese che utilizzano manodopera irregolare (22,6%) (tab. 10 e fig. 14). Un’articolazione del fenomeno che seppur attenuato nella regione, trova corrispondenza con le dinamiche espresse dal tessuto produttivo nazionale. Se il sistema regionale riesce a contenere, rispetto ad altri territori, la quota
50 FONDAZIONE CENSIS
120
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Rapporto per i relatori
di imprese che sistematicamente ricorrono all’evasione, l’incidenza delle imprese che hanno manodopera irregolare si mostra omogeneo con i valori nazionali, aggirandosi sul 20%. Un dato che forse non presenta notevoli differenziazioni anche all’interno dei diversi contesti provinciali, con una punta nel maceratese, dove supera il 32,1%. Al contrario, l’incidenza di imprese totalmente sommerse oscilla dal 4% della provincia di Pesaro e Urbino a valori doppi in quella di Ancona (8,3%). Una dinamica differenziata caratterizza la diffusione di imprese che evadono con sistematicità: essa non raggiunge il 7% nell’area di Pesaro, la percentuale si raddoppia nell’anconetano e nell’area di Ascoli Piceno (13% e 15,5% rispettivamente), per poi raggiungere il 24,2% nel maceratese. Nell’ambito del territorio regionale, è la provincia di Macerata a registrare un livello di imprese irregolari rilevanti – ben il 61,3% -: un valore peraltro superiore anche a quello nazionale.
Tab. 10 - L'incidenza delle imprese irregolari per tipologia secondo la stima dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val. medi)
Ancona
Imprese sommerse Imprese emerse che hanno anche manodopera irregolare Imprese emerse che sistematicamente evadono il fisco Totale imprese con irregolarità ed evasione
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
8,3
7,5
5,0
4,0
7,0
9,7
20,0
24,5
32,1
20,2
22,6
23,4
13,0
15,5
24,2
6,9
13,6
20,0
41,3
47,5
61,3
31,0
43,1
53,1
Fonte: indagine Censis, 2005
51 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
Fig. 14- Incidenza delle imprese irregolari, per tipologia, secondo le stime dei testimoni locali, Marche-Italia (val. medi) 35
Marche
30
25
22,6
Italia
23,4 20
20
15
13,6 9,7
10
7,0 5
0 Imprese sommerse
Imprese emerse che hanno anche manodopera irregolare
Imprese emerse che sistematicamente evadono il fisco
Fonte: indagine Censis, 2005
In ogni caso, il sommerso d’impresa sembra restare legato principalmente al meccanismo della subfornitura. Le aziende irregolari producono generalmente (57,6%) in subfornitura soprattutto per aziende con sede della regione (47%) che per aziende esterne (10,6%); anche se una parte dei testimoni locali sostiene che siano imprese con una produzione in conto proprio che vendono direttamente sul mercato (21,2%), o tramite intermediari (21,2%) (tab. 11). Nel confronto interprovinciale, il maceratese evidenzia una maggiore integrazione del sommerso con il sistema produttivo locale: quasi i due terzi delle imprese sommerse operano in subfornitura per aziende localizzate nella regione. Emerge il profondo legame tra sommerso e subfornitura e contemporaneamente l’esistenza di un a dinamica di sistema. Nel territorio di Pesaro e Urbino, invece, si registra una quota più elevata (46,2%) di imprese sommerse che operano autonomamente sul mercato, mentre appare minore l’incidenza del legame con la subfornitura (38,5%).
52 FONDAZIONE CENSIS
12467_04
Tab. 11 -
Rapporto per i relatori
Modalità prevalenti di produzione delle aziende irregolari secondo l'opinione dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.%)
Direttamente per aziende committenti - con sede nella regione - con sede fuori regione Per conto proprio con vendita diretta sul mercato Per intermediari che distribuiscono il prodotto presso altre aziende Totale
Ancona
Ascoli Piceno
63,0 55,6 7,4
58,8 35,3 23,5
66,7 66,7 0,0
38,5 30,8 7,7
57,6 47,0 10,6
46,6 35,6 11,0
11,1
17,6
22,2
46,2
21,2
37,9
25,9
23,5
11,1
15,4
21,2
15,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Macerata
Pesaro e Marche Urbino
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
Parallelamente, anche sul fronte dell’irregolarità di lavoro, il fenomeno registra un peso inferiore rispetto a quello registrato a livello nazionale. Stando alle stime fornite dai testimoni locali, i lavoratori dipendenti che lavorano completamente in nero, senza regolare contratto di lavoro, sarebbero nelle Marche il 18,2%, contro il 27,9% stimato a livello nazionale. Di questi, il 6,9% lavorano presso imprese totalmente irregolari, e l’11,3% presso imprese sommerse. A tale fetta di lavoro nero, si aggiunge un alone abbastanza consistente di lavoro semi irregolare – il 23,2% degli occupati - rappresentato da tutti quei lavoratori che, pur avendo un regolare contratto, sono soggetti a trattamenti di fatto irregolari, dal fuoribusta alla doppia busta paga (tab. 12 e figg. 15 e 16). All’interno della regione, il fenomeno dell’irregolarità lavorativa tra gli occupati dipendenti appare accentuato nelle province di Macerata, dove l’incidenza del lavoro sommerso arriva al 21%, Ancona (19,9%) e Ascoli Piceno (18,3%), mentre è Pesaro e Urbino la provincia che si presenta da questo punto di vista più virtuosa (11,7%). Per quanto riguarda il lavoro autonomo irregolare, secondo i testimoni locali il fenomeno interesserebbe il 13,1% dei lavoratori autonomi. E non si
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12467_04
Rapporto per i relatori
registrano particolari differenze all’interno del territorio regionale: la percentuale è poco più elevata soltanto nell’anconetano (15,4%).
Fig. 15- Incidenza dei lavoratori in nero sul totale dei lavoratori alle dipendenze, secondo le stime dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.medi) 30
27,9
25
21,0 19,9 20
18,3
18,2
15
11,7 10
5
0 Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
54 FONDAZIONE CENSIS
12467_04
Tab. 12 -
Rapporto per i relatori
L'incidenza del lavoro irregolare secondo le stime dei testimoni locali, per tipologia di irregolarità, Marche-Italia, 2005 (val.% medi)
Ancona
LAVORATORI AUTONOMI IRREGOLARI
Ascoli Macerata Piceno
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
15,4
12,0
10,6
10,5
13,1
16,2
7,5
9,0
3,7
5,1
6,9
14,2
12,4
9,3
17,3
6,6
11,3
13,7
19,9
18,3
21,0
11,7
18,2
27,9
27,6
19,1
20,7
18,6
23,2
22,5
47,5
37,4
41,7
30,3
41,4
50,4
LAVORATORI DIPENDENTI IRREGOLARI
Lavoratori occupati presso imprese sommerse Lavoratori alle dipendenze presso imprese emerse senza regolare contratto di lavoro Totale lavoro nero (senza contratto di lavoro) Lavoratori dipendenti presso imprese emerse con trattamenti di fatto irregolari Totale lavoratori irregolari
Fonte: indagine Censis, 2005
55 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
Fig. 16- Incidenza dei lavoratori in nero sul totale dei lavoratori alle dipendenze, secondo le stime dei testimoni locali, per tipologa, Marche-Italia, 2005 (val.medi) 60
Lavoratori dipendenti presso imprese emerse con trattamenti di fatto irregolari Lavoratori alle dipendenze presso imprese emerse senza regolare contratto di lavoro
50
Lavoratori occupati presso imprese sommerse
40
22,5 27,6 20,7
30
23,2
19,1
13,7
18,6
20
12,4
9,3
11,3
17,3
10
6,6 7,5
9,0 3,7
5,1
Macerata
Pesaro e Urbino
14,2 6,9
0 Ancona
Ascoli Piceno
Marche
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
2.2.3. Lavoro irregolare: soggetti e settori L’irregolarità di lavoro sembra concentrarsi prima che nella produzione vera e propria, nella terziarizzazione che potremmo definire “di confine”, quella costituita dai servizi di assistenza alla persona (badanti, baby sitter) e dai servizi domestici, dove l’incidenza dei lavoratori irregolari arriva al 47% e il 45,7%, quindi nel settore agricolo (27%) e nelle costruzioni (23,9%). A ben vedere, quello che accomuna i tre settori è l’ampio utilizzo di manodopera immigrata che certo favorisce – per il minor potere contrattuale di questo tipo di lavoratore – la diffusione e l’utilizzo di modalità sommerse e di irregolarità di lavoro. Nel caso dell’agricoltura e delle costruzioni va aggiunta l’esistenza di una stagionalità produttiva che rappresenta un ulteriore presupposto che favorisce il ricorso a configurazioni irregolari di
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Rapporto per i relatori
lavoro. Una stagionalità che caratterizza anche i pubblici servizi, dove si stima una presenza di lavoro irregolare del 23,3% (tab. 13 e fig. 17). In ogni caso è il comparto dei servizi ad evidenziare una predisposizione all’irregolarità del lavoro. Tassi di irregolarità non irrilevanti si leggono per agriturismo e campeggi (17,7%), alberghi (15,9%), piccoli esercizi commerciali (15,3%), mentre al sommerso si sottrae la grande distribuzione (3%). Così come viene coinvolto nell’utilizzo di lavoro irregolare anche il terziario più avanzato: servizi sociali (12,3%), intermediazioni immobiliare (11,2%), servizi di consulenza alle imprese e ai privati (7,7%) e servizi informatici (6,5%). Nel confronto la produzione industriale mostra un peso ridotto di sommerso, con valori più elevati nella produzione manifatturiera del tessile, abbigliamento, calzaturiero (17,5%), che scende al 10,9% nel comparto del legno e al 10,5% nella meccanica.
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Tab. 13 -
Rapporto per i relatori
Incidenza del lavoro irregolare sull'occupazione complessiva, per settore, secondo la stima dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val. medi)
Ancona
Ascoli Piceno
48,0
58,1
45,7
32,2
47,0
37,1
50,6
56,2
30,6
31,9
45,7
37,0
32,9 26,0
22,6 25,0
30,6 23,3
16,6 18,1
27,0 23,9
25,9 24,5
26,1
18,3
32,0
17,2
23,3
22,3
20,8
24,0
18,3
19,7
21,0
24,4
20,4
18,8
15,5
12,2
17,7
17,3
17,7
24,8
14,2
9,9
17,5
12,8
18,9
15,9
9,6
13,5
15,9
12,1
19,3
17,4
8,1
7,9
15,3
17,4
9,0
25,8
11,8
3,8
12,3
10,3
11,0
12,7
9,5
11,2
11,2
12,4
13,5 14,3 11,6
8,0 9,9 11,4
15,3 7,5 12,0
6,0 4,0 3,9
10,9 10,5 10,0
9,2 8,8 8,6
8,0
8,2
11,2
4,4
7,7
9,5
8,2
6,5
10,3
2,0
6,7
8,8
6,3
5,8
12,0
4,4
6,5
8,8
3,8
4,1
1,8
0,9
3,0
6,0
Servizi domestici Assistenza alla persona (badanti, baby sitters) Agricoltura Costruzioni (sub appalti) Pubblici esercizi (bar ristoranti) Costruzioni (ristrutturazioni) Agriturismo, campeggi Tessile/abbigliam./ manifatturiero Alberghi Piccoli esercizi commerciali (negozi) Servizi sociali Intermediazione immobiliare Legno/mobilio Meccanica Trasporti Servizi di consulenza alle imprese e ai privati Intermediazione finanziaria Servizi informatici Grandi esercizi commerciali (supermercati ..)
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
Fonte: Indagine Censis, 2005
58 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
Fig. 17 - L'incidenza del lavoro "in nero", per settore, secondo le stime dei testimoni locali, 2005 (val. medi) Grandi esercizi commerciali (supermercati ..)
3,0
Servizi informatici
6,5
Intermediazione finanziaria
6,7
Servizi di consulenza alle imprese e ai privati Trasporti
7,7 10,0
Meccanica
10,5
Legno/mobilio
10,9
Intermediazione immobiliare Servizi sociali Piccoli esercizi commerciali (negozi) Alberghi
11,2 12,3 15,3 15,9
Tessile/abbigliam./manifatturiero
17,5
Agriturismo, campeggi
17,7
Costruzioni (ristrutturazioni) Pubblici esercizi (bar ristoranti) Costruzioni (sub appalti) Agricoltura
21,0 23,3 23,9 27,0 45,7
Assistenza alla persona (badanti, baby sitters)
47,0
Servizi domestici
Fonte: indagine Censis, 2005
L’articolazione del sommerso per settore produttivo definisce anche la tipologia di soggetti coinvolti nel fenomeno. Sono, infatti, gli immigrati (59,7%) la categoria maggiormente interessata da ipotesi di lavoro irregolare, un dato che trova correlazione negli alti valori di sommerso registrati in agricoltura, servizi alla persona e domestici e nelle costruzioni, comparti in cui è molto diffuso l’uso di manodopera immigrata. A questi, secondo l’opinione dei testimoni locali, si affiancano i giovani in cerca di prima occupazione (40,3%), una componente estremamente debole sul lato dell’offerta di lavoro (tab. 14 e fig. 18). Alla debolezza contrattuale riconducibile alla spinta di entrata nel mercato dell’immigrato o di chi non ha esperienza lavorativa, si aggiunge il gruppo di coloro che sono spinti al nero dall’esigenza di mantenere diritti già acquisiti: chi dal mercato del lavoro dovrebbe già essere uscito, i pensionati (35,8%), quindi i lavoratori in mobilità, in cassa integrazione e i percettori di sussidi (26,9%): tutti
59 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
soggetti appartenenti a categorie che lavorano in nero per non rinunciare ai benefici acquisiti.
Tab. 14 - I soggetti più coinvolti nell'irregolarità secondo l'opinione dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.% sui rispondenti) (*)
Immigrati Giovani in cerca di prima occupazione Pensionati Lavoratori in mobilità, cassa integrazione, Isu, percettori sussidi Giovani studenti Casalinghe Disoccupati di lunga durata Occupati regolari
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
76,0
44,4
36,4
69,2
59,7
52,7
44,0
27,8
72,7
23,1
40,3
46,7
28,0
33,3
36,4
53,8
35,8
24,2
20,0
55,6
9,1
15,4
26,9
25,1
24,0 4,0 0,0 4,0
11,1 5,6 22,2 0,0
9,1 18,2 0,0 9,1
0,0 15,4 7,7 7,7
13,4 9,0 7,5 4,5
13,0 5,5 19,5 7,0
Marche
Italia
(*) Il totale degli items non è a somma 100, in quanto sono previste più risposte Fonte: indagine Censis, 2005
Infine, prima dei disoccupati di lunga durata (7,5%), che rappresentano la parte marginale del sommerso, vengono menzionati i giovani studenti (13,4%) e le casalinghe (9%), soggetti per cui il lavoro è solo un’attività parziale per ottenere un’integrazione reddittuale. Nella provincia di Ascoli Piceno, il fenomeno sembra interessare – probabilmente per le maggiori difficoltà di penetrazione del mercato del lavoro – soprattutto i lavoratori in mobilità/cassi integrati (55,6%) – prima che gli immigrati (44,4%) e i pensionati (33,3%), quindi i giovani in cerca di prima occupazione (27,8%) e i disoccupati di lunga durata (22,2%). Nel maceratese sono, invece, i giovani in cerca di prima occupazione la categoria più a rischio (72,7%), mentre immigrati e pensionati vengono collocati sullo stesso piano (36,4%). Nell’area di Pesaro e Urbino si fa riferimento ad immigrati (69,2%) e ai pensionati (53,8%), mentre i giovani
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Rapporto per i relatori
in cerca di prima occupazione (23,1%) e, soprattutto le altre categorie, restano in secondo piano. Fig. 18- Soggetti più coinvolti nel lavoro irregolare secondo i testimoni locali, 2005 (val.% su totale rispondenti)
4,5
Occupati regolari
Disoccupati di lunga durata
7,5
Casalinghe
9
13,4
Giovani studenti
Lavoratori in mobilità, cassa integrazione, Isu, percettori sussidi
26,9
35,8
Pensionati
40,3
Giovani in cerca di prima occupazione
59,7
Immigrati
0
10
20
30
40
50
60
Fonte: indagine Censis, 2005
2.2.4. Lavoro irregolare immigrato La presenza di lavoratori immigrati è da ricondurre alla configurazione del sistema produttivo locale, basato essenzialmente sulla presenza di tutta una serie di servizi connessi all’offerta turistica e settore agricolo in entrambe le province, e più specificatamente alle attività di costruzioni, e al calzaturiero: tutti settori che per l’elevata richiesta di manodopera, spesso poco qualificata, si prestano all’utilizzo di lavoro irregolare immigrato. Attualmente nelle Marche, secondo le stime dei testimoni locali, 27,5 immigrati su 100 lavorerebbero in nero, con una leggera prevalenza di lavoratori immigrati sommersi nel territorio di Ancona, dove la media dei
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lavoratori immigrati irregolari sale, secondo la stima dei testimoni locali, al 32,6% (fig. 19).
Fig. 19 - Incidenza stimata dai testimoni locali degli occupati immigrati "in nero" sul totale degli occupati immigrati, per provincia, Marche, 2005 (val. medi) 36,7 32,6 29,7 27,5
Ancona
Ascoli Piceno
19,6
18,9
Pesaro e Urbino
Macerata
Marche
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
La maggior parte degli immigrati che svolgono lavoro irregolare (41,3%) sono senza permesso di soggiorno, situazione che riflette quella generale a livello nazionale, indice della sussistenza, nonostante i decreti sulle regolarizzazioni, del ricorso ancora piuttosto frequente all’utilizzo di lavoratori clandestini, i soggetti più esposti al lavoro irregolare, che accettano di lavorare in tali condizioni irregolari in molti casi per mancanza di occupazioni alternative, ma spesso anche per tacito consenso, motivati dall’obiettivo di massimizzare i guadagni nel minor tempo, in previsione di un ritorno a breve in patria (tab. 15 e fig. 20).
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Rapporto per i relatori
Tab 15 - La distribuzione degli immigrati che svolgono lavoro irregolare per tipologia e provincia secondo le stime dei testimoni locali, Marche – Italia, 2005 (val. %)
Senza permesso di soggiorno Con permesso di soggiorno diverso da quello per lavoro Con permesso di soggiorno per motivi di lavoro diverso da quello svolto Totale
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
43,3
38,8
36,1
45,0
41,3
40,4
27,0
27,3
47,2
25,6
30,2
27,5
29,7
33,8
16,7
29,4
28,5
32,1
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
Fig. 20 - La distribuzione degli immigrati "sommersi" per tipologia secondo le stime dei testimoni locali, Marche, 2005 (val %)
Con permesso di soggiorno per motivi di lavoro diverso da quello svolto 28,5%
Senza permesso di soggiorno 41,3%
Con permesso di soggiorno diverso da quello per lavoro 30,2%
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
I lavoratori clandestini sono distribuiti piuttosto uniformemente nelle province marchigiane, con una maggiore concentrazione nel territorio di Pesaro e Urbino (45,0%) e di Ancona (43,3%). Ma numerosi sono anche gli immigrati presenti nella regione in condizioni parzialmente illegali, che hanno un permesso di soggiorno, ma per motivi diversi da quelli di lavoro: il 30,2% degli immigrati che lavorano irregolarmente. Infine sarebbero il 28,5%, gli immigrati con un permesso di soggiorno per motivi di lavoro diverso da quello effettivamente svolto, percentuale che passa da un 33,8% nel territorio di Ascoli Piceno, ad un 16% nella provincia di Macerata. I lavoratori immigrati irregolari che arrivano nelle Marche provengono principalmente dai Balcani (57,6%, valore che in Italia è del 49,4%) e dai Paesi dell’est (53,0%), probabilmente per il facile accesso da queste aree attraverso l’Adriatico, ma anche a causa dell’elevata richiesta di manodopera poco qualificata in alcuni settori produttivi caratteristici del territorio marchigiano, come le costruzioni e l’agricoltura (tab. 16).
Tab 16 - Principali paesi di provenienza dei lavoratori immigrati irregolari secondo la stima dei testimoni locali per provincia, Marche-Italia, 2005 (val.%) (*)
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
48,3 55,2 37,9 13,8 31,0 0,0
73,3 53,3 40,0 13,3 20,0 0,0
70,0 20,0 70,0 30,0 10,0 0,0
50,0 75,0 16,7 50,0 8,3 0,0
57,6 53,0 39,4 22,7 21,2 0,0
Balcani Europa dell'est Asia Medio Oriente Africa America centro, sud
Italia
49,4 58,3 18,0 44,3 23,1 2,1
(*) Il totale degli items non è a somma 100, in quanto sono previste più risposte Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
I lavoratori immigrati irregolari provenienti dai paesi Balcanici, sarebbero concentrati principalmente nelle province di Ascoli Piceno, dove il 73,3% dei testimoni privilegiati indica quella dei Balcani come la principale area di provenienza dei lavoratori immigrati irregolari, e dove troverebbero impiego essenzialmente nel campo edile e nella carpenteria, e a Macerata (70%). La capillare diffusione di asiatici inizia ad investire anche il territorio marchigiano, ed infatti ben il 39,4% dei testimoni privilegiati, più del doppio della media italiana (18%), ritiene che i lavoratori immigrati irregolari provengano principalmente dai Paesi asiatici, impiegati soprattutto nella provincia di Macerata (dove l’Asia è indicata tra le aree di maggior provenienza dal 70,0% dei testimoni locali), ma anche molto ad Ascoli Piceno (lo indica il 40,0% degli intervistati) e ad Ancona (37,9%). Ma il fenomeno del lavoro irregolare riguarderebbe anche un discreto numero di immigrati che provengono dal Medio Oriente (indica quest’area il 22,7% degli intervistati) e che lavorerebbero principalmente a Pesaro e Urbino (50,0%) e a Macerata (30%). Un po’ meno significativa sarebbe la percentuale di lavoratori irregolari Africani (21,2%, ma ad Ancona arriva al 31,1%). Come già anticipato, i settori in cui i lavoratori irregolari immigrati verrebbero maggiormente impiegati, sono quelli in cui vi è un’elevata richiesta di manodopera, spesso non qualificata, primo tra tutti i servizi domestici e di assistenza alla persona (colf, badanti), dove secondo le stime dei testimoni privilegiati, si concentrerebbe il 29,2% dei lavoratori immigrati irregolari (nella maggior parte dei casi lavoratrici provenienti dai Paesi dell’Est), e in edilizia (23%) (tab. 17 e fig. 21).
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Rapporto per i relatori
Tab. 17 - La distribuzione per settori di attività dei lavoratori immigrati irregolari secondo le stime dei testimoni locali per provincia, Marche-Italia, 2005 (val.%)
Servizi domestici ed assistenza alla persona Costruzioni Agricoltura Turismo Industria Commercio Altri servizi (trasporti, interm immobiliare, ..) Totale
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
26,0
31,7
28,8
33,2
29,2
26,6
25,2 24,8 9,0 6,6 5,6
19,7 15,5 6,3 11,1 10,1
28,8 18,1 7,3 5,5 8,1
18,2 12,3 10,9 8,9 10,0
23,0 19,2 8,4 8,0 7,9
24,4 22,8 6,9 7,5 8,4
2,8
5,7
3,5
6,5
4,3
3,4
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
Fig. 21 - La distribuzione degli immigrati irregolari, per settore di attività, secondo le stime dei testimoni locali, Marche, 2005 (val %)
Industria 8,0% Turismo 8,4%
Commercio 7,9%
Agricoltura 19,2%
Altri servizi (trasporti, interm immobiliare, ..) 4,3%
Servizi domestici ed assistenza alla persona 29,2%
Costruzioni 23,0%
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
Elevata anche la presenza di lavoratori immigrati irregolari nel settore agricolo (19,2%, ma ad Ancona arriva al 24,8%), soprattutto impiegati stagionalmente a svolgere le attività operative più pesanti, come la vendemmia o le raccolte. Considerando gli altri settori, emerge che vi è una discreta presenza di lavoratori immigrati irregolari anche nel turismo (8,4%, con punte del 10,9% a Pesaro Urbino e del 9% ad Ancona), dove la stagionalità rende necessario, nei periodi di punta, l’impiego di manodopera aggiuntiva, nell’industria (8% che sale all’11% ad Ascoli Piceno) e nel commercio (7,9% con punte del 10% ad Ascoli Piceno e Pesaro Urbino), soprattutto in quello ambulante e nei piccoli esercizi. Anche nelle Marche, come nel resto d’Italia, è sempre più evidente l’incremento delle imprese sommerse gestite da immigrati. Infatti ben il 37,9% dei testimoni locali (valore anche superiore alla media nazionale che è del 30,4%) ritiene che nella propria area di riferimento vi siano numerose imprese sommerse gestite da extracomunitari, percentuale che arriva a toccare punte del 53,6% ad Ancona e del 50% ad Ascoli Piceno (fig. 22). Fig. 22 - Testimoni locali che reputano significativa la presenza di imprese immigrate irregolari nelle territorio, per provincia, Marche, 2005 (val.%)
53,6 50,0
37,9 30,4
18,8
Ancona
Macerata
Ascoli Piceno
16,7
Pesaro e Urbino
Marche
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
Si tratta principalmente di imprese che operano nell’industria, tessile e calzaturiera, come dichiarato dall’88% dei testimoni locali, una valore molto alto, se si considera che la media nazionale di coloro che ritengono che le imprese sommerse gestite da immigrati operino principalmente nel manifatturiero tessile e calzaturiero è del 45%: dato collegabile alla storica presenza di piccole e medie imprese che operano in questi tradizionali settori manifatturieri, nei quali probabilmente molti immigrati hanno incominciato a lavorare inizialmente come dipendenti, probabilmente irregolari, per poi decidere successivamente, dopo aver appreso bene il mestiere, di compiere il grande passo e mettersi in proprio (tab. 18). Negli altri comparti tale presenza si attesta su valori più vicini a quelli nazionali, con un 44% di testimoni locali che ritengono che nella propria area di riferimento vi siano imprese sommerse gestite da extracomunitari nel campo edile, 32% nei servizi, 24% nel commercio e 8% nel settore agricolo e della pesca.
Tab. 18 - Settore prevalente di attività delle imprese straniere sommerse secondo le stime dei testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.% ) (*)
Marche Italia
Trasporti, turismo, alberghi e ristoranti
Industria (Tessile e calzaturiero)
Edilizia
Commercio
Servizi
8,0
88,0
44,0
24,0
32,0
0,0
10,5
45,0
52,6
39,7
29,2
6,7
Agricoltura e pesca
(*) Il totale degli items non è a somma 100, in quanto sono previste più risposte Fonte: indagine Censis, 2005
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2.2.5. Dinamica evolutiva del sommerso locale Quanto negli ultimi anni il sommerso abbia mostrato una dinamica espansiva o restrittiva è difficile dirlo, non fosse altro perché alla domanda diretta sull’andamento dell’economia sommersa, il campione risulta esattamente spaccato a metà tra un 46,3% che pensa che il sommerso sia in aumento e un 47,8% stabile. Quello che è indubbio è che questa parte del tessuto economico locale non ha subito una contrazione, come affermato solo dal 6% degli operatori. Il dettaglio provinciale forse fornisce maggiori elementi. Posizioni più nette sono visibili nella provincia di Macerata e Pesaro Urbino dove si registra una tendenza più accentuata alla stabilizzazione del fenomeno (62,5% e 46,2% rispettivamente) o alla sua diminuzione (12,5% e 15,4% rispettivamente) (tab. 19).
Tab. 19 - Il giudizio dei testimoni locali sull'andamento dell'economia sommersa tra il 2002 e il 2005, Marche-Italia (val.%)
L’economia sommersa è:
Ancona
Ascoli Piceno
Macerata
Pesaro e Urbino
Marche
Aumentata Diminuita Rimasta stabile Totale
55,2 0,0 44,8 100,0
47,1 5,9 47,1 100,0
25,0 12,5 62,5 100,0
38,5 15,4 46,2 100,0
46,3 6,0 47,8 100,0
Italia
45,8 4,6 49,7 100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
Qualche spunto di valutazione può invece essere fornito dall’analisi dell’evoluzione delle singole fenomenologie che definiscono il sommerso locale da cui emerge una crescita significativa del sommerso legato alla flessibilità, immigrazione ed evasione. Una lettura del giudizio espresso dai testimoni locali sottolinea che:
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Rapporto per i relatori
- l’irregolarità di lavoro sempre più si lega ad un uso distorto dei meccanismi di flessibilità, con un aumento dell’utilizzo improprio di contratti a progetto (ex cococo) (66,7%) e delle partite iva (49,2%); - la connessione sommerso-immigrazione tende ad accentuarsi, laddove aumenta il lavoro irregolare prestato dagli immigrati (56,9%) e il sommerso nelle imprese gestite da immigrati (51,6%); - l’evasione tende ad aumentare, in termini di imprese che evadono (55%), di evasione contributiva (49,2%) e di fuori busta e doppia busta paga (47%); - il lavoro irregolare si diffonde tra le imprese emerse (51,6%) e tra coloro che per cui rappresenta il secondo lavoro (46,2%) (tab. 20 e fig 23).
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Rapporto per i relatori
Tab. 20 - Fenomeni di sommerso giudicati in crescita dai testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val. % sui rispondenti)
Negli ultimi tre anni sono in aumento :
L'utilizzo improprio dei contratti a progetto (ex cococo) Il lavoro irregolare prestato dagli immigrati Le imprese che evadono Le imprese emerse con lavoro irregolare Le imprese totalmente sommerse gestite da immigrati L'evasione contributiva L'utilizzo improprio della p.iva I fuori busta/la doppia busta paga Il secondo lavoro irregolare L'evasione fiscale da parte dei professionisti L'evasione fiscale da parte dei commercianti Il lavoro sommerso autonomo L'utilizzo improprio delle associazioni a partecipazione Il commercio ambulante abusivo La ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi Il lavoro totale sommerso Le imprese totalmente sommerse Il sommerso legato alle attività criminose Le imprese vittime della criminalità diffusa
Ancona
Ascoli Piceno
Pesaro e Urbino
Marche
72,4
50,0
75,0
66,7
66,7
58,7
64,3
80,0
44,4
23,1
56,9
59,5
60,0
62,5
42,9
41,7
55,0
46,3
60,7
56,3
50,0
25,0
51,6
41,0
38,5
53,3
12,5
16,7
51,6
57,9
51,7 48,3 65,5 48,3
53,3 60,0 31,3 53,3
14,3 44,4 11,1 44,4
58,3 41,7 50,0 33,3
49,2 49,2 47,0 46,2
48,4 47,2 44,0 40,5
34,5
43,8
62,5
25,0
38,5
35,1
41,4
37,5
62,5
16,7
38,5
37,6
42,9
31,3
66,7
23,1
38,1
40,3
31,0
37,5
50,0
41,7
36,9
41,8
34,5
50,0
37,5
25,0
36,9
47,6
24,1
60,0
12,5
7,7
27,7
38,9
24,1 20,7
40,0 11,1
11,1 11,1
8,3 7,7
23,1 14,5
35,3 28,5
17,2
6,3
12,5
8,3
12,3
35,7
20,7
0,0
14,3
0,0
10,9
35,6
Macerata
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
Fig. 23- I fenomeni di irregolarità in crescita nelle Marche, 2005 (val.% su totale rispondenti) L'utilizzo improprio dei contratti a progetto (ex cococo)
66,7
Il lavoro irregolare prestato dagli immigrati
56,9
Le imprese che evadono
55
Le imprese totalmente sommerse gestite da immigrati
51,6
Le imprese emerse con lavoro irregolare
51,6
L'utilizzo improprio della p.iva
49,2
L'evasione contributiva
49,2
I fuori busta/la doppia busta paga
47
Il secondo lavoro irregolare
46,2
L'evasione fiscale da parte dei commercianti
38,5
L'evasione fiscale da parte dei professionisti
38,5
Il lavoro sommerso autonomo
38,1
Il commercio ambulante abusivo
36,9
L'utilizzo improprio delle associazioni a partecipazione La ricerca di lavoro irregolare da parte di disoccupati che usufruiscono di sussidi
36,9 27,7
Il lavoro totale sommerso
23,1
Le imprese totalmente sommerse
14,5
Il sommerso legato alle attività criminose
12,3
Le imprese vittime della criminalità diffusa
10,9 0
10
20
30
40
50
60
70
80
Fonte: indagine Censis, 2005
Secondo l’opinione degli intervistati, la crescita dell’economia irregolare va ricondotta principalmente all’accresciuta competitività dei paesi a basso costo (87%), elemento che si lega alla considerazione che sia stata la crisi economica ad influenzare i tassi di crescita del sommerso negli ultimi tre anni (82,6%). E l’incidenza di questi due fattori appare accentuata nelle province di Ancona e di Ascoli Piceno (tab. 21 e fig. 24). In questa ultima
72 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
provincia per il 94,4% del campione di intervistati la crisi economica ha gonfiato le cifre del sommerso.
Tab. 21 - I fattori che stanno incidendo sulla crescita dell'economia irregolare secondo i testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.%) (*)
L'accresciuta competitività dei paesi a basso costo delle lavorazioni Lo stato di crisi in cui versa l'economia Il fabbisogno di manodopera immigrata non soddisfatto dai flussi La paura dell'impoverimento ed il caro vita L'accresciuta disponibilità di liquidità che si è creata
Ancona
Ascoli Piceno
Pesaro e Urbino
Marche
96,6
88,2
80,0
69,2
87,0
84,4
85,7
94,4
81,8
58,3
82,6
84,3
74,1
70,6
62,5
58,3
68,8
47,8
76,9
64,7
37,5
66,7
66,7
70,4
40,0
12,5
25,0
0,0
23,0
18,0
Macerata
Italia
(*) Il totale degli items non è somma 100 in quanto sono previste più risposte Fonte: indagine Censis, 2005
La dinamicità del sommerso e dei fattori che la determinano appare accentuata nella provincia anconetana, seguita dall’area di Ascoli e di Macerata, mentre il contributo dei diversi items considerati tende a ridimensionarsi e bilanciarsi nel territorio di Pesaro e Urbino, dove peraltro il tessuto produttivo ha risentito meno della perdita di competitività e della crisi. L’analisi dei giudizi espressi dagli intervistati evidenzia un sommerso che non si genera da un’economia in espansione, ma da un’economia che stringe le maglie per difendersi da un ciclo economico negativo e da una perdita di competitività. Laddove la linea strategica delle imprese guarda ad un contenimento dei costi attraverso il lavoro irregolare, l’evasione e la ricerca di forniture a basso costo che spiega l’ampia presenza di sommerso nel
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Rapporto per i relatori
sistema della subfornitura e tra le imprese gestite da immigrati. Piuttosto rilevante è peraltro il vincolo imposto dalla legge Bossi-Fini all’assunzione di lavoratori extracomunitari. Una carenza di manodopera che viene indicata come causa dell’aumento del sommerso dal 68,8% dei testimoni locali, e che avrebbe spinto le imprese di fronte ad un bacino lavorativo insufficiente, a far ricorso a manodopera immigrata irregolarmente. Altrettanto rilevante (66,7%) nella crescita delle irregolarità appare la paura dell’impoverimento ed il caro vita. Un fattore che può aver determinato l’incremento di offerta di lavoro irregolare, almeno tra chi ha poco interesse ad ottenere una posizione lavorativa regolarizzata, come nel caso del secondo lavoro e dei percettori di sussidi o forme di integrazione del reddito. Invece, i testimoni locali giudicano poco significativo nella creazione di sommerso la maggiore disponibilità di liquidità creatasi nel sistema (lo pensa il 23% del campione).
Fig. 24- I fattori che stanno incidendo sulla crescita dell'economia irregolare nelle Marche, 2005 (val.% su totale rispondenti)
87,0
82,6
68,8
66,7
23,0
Lo stato di crisi in cui versa l'economia
L'accresciuta competitività dei paesi a basso costo delle lavorazioni
Il fabbisogno di manodopera immigrata non soddisfatto dai flussi
La paura dell'impoverimento ed il caro vita
L'accresciuta disponibilità di liquidità che si è creata
Fonte: indagine Censis, 2005
74 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
2.4. Le politiche di contrasto del lavoro sommerso tra sostegno e repressione
2.4.1. Esperienze e strumenti di “emersione” Il rafforzamento dell'efficacia della normativa e dei sistemi di controllo fiscale e di regolarità dei rapporti di lavoro non può conseguire il suo intento di tutelare gli interessi della collettività, se non si coniuga ad una strategia che miri ad agevolare l'incontro fra domanda ed offerta nel mercato del lavoro attraverso lo sviluppo di strumenti e strutture efficienti, flessibili ed adattabili ai mutamenti del mercato del lavoro. Anche perché è opinione diffusa che il sistema di regole spesso finisca per ostacolare le imprese, incidendo sulla loro capacità competitiva con dei costi che possono eccedere i benefici prodotti dalla regolarizzazione stessa, al punto da rendere quasi normale che esse si sottraggano a determinati vincoli troppo onerosi. Nonostante emerga una percezione diffusa piuttosto negativa dell’economia sommersa, sono meno concordi le posizioni degli intervistati sulla valutazione della sua funzionalità sul versante economico. Se da un lato, infatti, l’economia sommersa viene considerata dal 91% degli intervistati un meccanismo di concorrenza sleale tra le imprese, uno strumento di cui si avvantaggiano in pochi (secondo l’85,3% degli intervistati) e che produce esclusione e marginalità sociale (89,2%) dall’altro, solo il 63,2% ritiene che il sommerso sia di ostacolo allo sviluppo economico e all’opposto il 36,8% ne riconosce la funzionalità in termini di crescita economica: valore questo addirittura superiore alla media nazionale, che è del 31,4% (tab. 22).
75 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
Tab. 22 - Il giudizio sul sommerso che, secondo i testimoni provinciali, prevale nella realtà locale, Marche-Italia, 2005 (val.%)
Il sommerso è un fenomeno:
Marche
Italia
Di ostacolo allo sviluppo economico Funzionale alla crescita economica Totale
63,2 36,8 100,0
68,6 31,4 100,0
Di cui si “avvantaggiano” in pochi Di cui si “avvantaggiano” tutti Totale
85,3 14,7 100,0
82,1 17,9 100,0
91,0
93,2
Che provoca concorrenza sleale tra imprese Funzionale alla competitività internazionale delle imprese italiane Totale
9,0
6,8
100,0
100,0
Che produce esclusione e marginalità sociale Che favorisce integrazione sociale Totale
89,2 10,8 100,0
91,2 8,8 100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
Un giudizio legato al prevalere di una mentalità tradizionalmente portata a riconoscere i vantaggi dell’economia sommersa, soprattutto in presenza di un sistema produttivo basato principalmente su numerose aziende di piccola e media dimensione, in cui la diffusione di un organizzazione informale, tra familiari e conoscenti, rende quasi socialmente più accettabile l’irregolarità. Ecco quindi che nonostante prevali ormai un atteggiamento orientato al rifiuto e alla delegittimazione dell’economia sommersa, ancora persiste una quota consistente di quanti, pur condannandola, non la contrastano, ed infatti solo il 14,5% degli intervistati ritiene che nelle propria realtà locale vi siano state esperienze significative di emersioni di imprese o di lavoratori irregolari, esperienze che sono state in gran parte sollecitate dall’intensificarsi delle attività di controllo (è quanto dichiara il 55,6% dei
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Rapporto per i relatori
testimoni locali) e dall’efficacia di specifiche normative sull’emersione (44,4%) (fig. 25 e tab. 23).
Fig. -25 - Testimoni locali che dichiarano la presenza di significative esperienze di emersione nella realtà locale nell'ultimo triennio, per provincia, Marche e Italia (val.%)
18,2
19,6
17,9 15,4
14,5
5,9
Macerata
Ancona
Pesaro e Urbino
Ascoli Piceno
Marche
Italia
Fonte: indagine Censis, 2005
A fare emergere le irregolarità avrebbero contribuito a seguire, entrambe secondo il 22% degli intervistati, la denuncia da parte dei lavoratori e l’utilizzo da parte delle imprese di strumenti di incentivo alle assunzioni, che avrebbe mitigato l’esoso carico fiscale e contributivo che grava sulle aziende, contribuendo a ridurre il ricorso a lavoro sommerso.
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Rapporto per i relatori
Tab. 23 - Fattori che, secondo i testimoni locali, hanno determinato le esperienze di emersione, Marche-Italia, 2005 (val.%) (*)
Crescita dei controlli effettuati sul territorio Specifiche normative, Legge Tremonti, su emersione Utilizzo di strumenti di incentivo alle assunzioni Dalla denuncia dei lavoratori Apertura di nuovi sbocchi di mercato per aziende interessate Innalzamento dei livelli tecnologici dell'azienda Passaggio da un'attività di subfornitura ad una propria Costituzione di consorzi, partecipaz. a marchi di qualità ...
Marche
Italia
55,6 44,4 22,2 22,2 11,1 11,1 0,0 0,0
61,3 47,4 24,8 25,5 5,8 5,8 4,4 3,6
(*) Il totale degli items non è a somma 100, in quanto sono previste più risposte Fonte: indagine Censis, 2005
E’ interessante evidenziare, come inoltre il territorio marchigiano continui ad essere caratterizzato da un sistemo produttivo con dei tratti estremamente dinamici ed innovativi, capace di rinnovarsi e rimodellarsi in base alle richieste e alle tendenze del mercato nazionale ed internazionale. Infatti tra i testimoni locali vi è un quota non trascurabile (11,1% degli intervistati, ma la media nazionale è del 5,8%), di quanti ritengono vi sia un legame significativo tra le esperienze di emersione avvenute nella propria provincia e processi di crescita e sviluppo dell’economia territoriale, come l’innalzamento dei livelli tecnologici delle aziende e l’apertura di nuovi sbocchi di mercato per le aziende, elementi che contrassegnano il sistema produttivo marchigiano come dotato di una esclusiva vivacità, che spinge le imprese a regolarizzarsi, pur di non rinunciare a cogliere spunti per accrescere le proprie potenzialità. Per favorire una maggiore competitività delle imprese, che non si avvalga sull’utilizzo di mezzi illeciti per ridurre il carico fiscale e contributivo e il costo del lavoro ricorrendo all’utilizzo di lavoratori irregolari, diventa prioritaria, secondo i testimoni locali un’azione combinata che, tra premi e sanzioni, sia funzionale alle emersioni.
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Rapporto per i relatori
Ecco che tra gli interventi per contrastare il lavoro irregolare, al primo posto risulta la crescita delle agevolazioni per le assunzioni, indicata dal 35,9% degli intervistati, seguita a pari merito (34,4%), dall’aumento dell’efficacia dei controlli e dalla possibilità di scaricare l’Iva su alcune spese. Vi è inoltre un 23,4% di intervistati che ritiene indispensabile per la lotta al sommerso la fiscalizzazione sul costo del lavoro in aree ad alta densità di sommerso (fig. 26 e tab. 24). Emerge quindi una richiesta sì di interventi di sostegno per agevolare le imprese, ma anche la necessità di ispezioni mirate e controlli più efficaci, che consentano di sanzionare quelle imprese che, pur in presenza di una serie di condizioni messe a disposizione per favorire l’abbattimento dei costi di produzione (sgravi e incentivi), decidono comunque di rimanere sommerse o di utilizzare lavoro irregolare. In tal senso non è irrilevante inoltre la quota (20,3%) di coloro che ritengono il riordino del sistema degli ammortizzatori sociali funzionale a contrastare il lavoro irregolare, ad esempio limitando l’utilizzo improprio di agevolazioni e sussidi (ad esempio da parte di lavoratori sommersi, ai quali conviene continuare a risultare disoccupati).
Fig. 26 - Interventi che potrebbero risultare più efficaci per contrastare il som m erso, nelle Marche e in Italia, 2005 (val.%) Arginare la delocalizzazione delle imprese italiane all'estero Aumentare possibilità di licenziamento da parte delle imprese Più incentivi a crescita imprese con fusioni, consorzi Riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali Fiscalizzazione sul costo del lavoro in aree ad alto sommerso Possibilità di scaricare Iva su alcune spese, e più spese detraibili Aumentare l'efficacia del controllo e dell'azione di repressione Accrescere agevolazioni per le assunzioni
6,2 6,3
Italia
10,8 10,9 16,4 17,2 16,5 20,3
Marche
32,9 23,4 31,2 34,4 39,3 34,4 40,3 35,9
Fonte: indagine Censis, 2005
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Tab. 24 - Interventi che, secondo i testimoni locali, potrebbero risultare più efficaci per contrastare il sommerso, per tipo di organizzazione di appartenenza, Marche, 2005 (val.%)
Associazioni Ccia, Inail imprenditoriali Inps
Accrescere agevolazioni per le assunzioni Aumentare l'efficacia del controllo e dell'azione di repress Possibilita di scaricare Iva su alcune spese, o aumentare spese detraibili Fiscalizzazione sul costo del lavoro in aree ad alto sommerso Riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali Più incentivi a crescita imprese con fusioni, consorzi Aumentare possibilita di licenziamento da parte delle imprese Arginare la delocalizzaz delle imprese italiane all'estero
Fonte: indagine Censis, 2005
Consulenti del lavoro
Servizi per l'impiego
Sindacati
Totale
36,8
66,7
33,3
33,3
13,3
35,9
36,8
50,0
16,7
25,0
33,3
34,4
26,3
58,3
16,7
16,7
46,7
34,4
21,1 15,8
8,3 8,3
33,3 33,3
16,7 50,0
40,0 6,7
23,4 20,3
21,1
0,0
16,7
8,3
33,3
17,2
26,3
0,0
16,7
0,0
6,7
10,9
5,3
8,3
16,7
0,0
6,7
6,3
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Rapporto per i relatori
Risulta interessante la disaggregazione dei dati per tipologia di organizzazione, da cui emerge come non siano solo gli organi istituzionali e gli enti previdenziali a richiedere una maggiore efficacia dei controlli e delle azioni di repressione per la lotta al sommerso (indica l’item il 50% degli intervistati di Inail, Inps e Camere di Commercio), ma anche gli stessi imprenditori, tra i quali insieme ad un 36,8% di quanti ritengono sia fondamentale accrescere le agevolazioni per le assunzioni, vi è un altro 36,8% che mette al primo posto, tra le strategie d’intervento per contrastare il lavoro irregolare, l’incremento dell’efficacia delle ispezioni. Inoltre sono sempre le stesse associazioni imprenditoriali a suggerire per la lotta al sommerso l’aumento per le aziende delle possibilità di licenziamento (indica l’item il 26,3% degli imprenditori). I sindacati indicano al primo posto tra le strategie d’intervento la possibilità di scaricare l’Iva su alcune spese e l’aumento della gamma di spese detraibili (lo indica il 46,7%) e, a seguire, la fiscalizzazione sul costo del lavoro in aree ad alto sommerso (item indicato dal 40% dei testimoni appartenenti ad associazioni sindacali). A richiedere più incentivi per accrescere la competitività delle imprese favorendone la crescita la crescita mediante fusioni e consorzi sono sempre i sindacati (33,3), seguiti dagli imprenditori (21,1%). Quanto agli altri tipi d’intervento, va segnalato che il riordino del sistema degli ammortizzatori sociali trova seguito soprattutto (50%) presso i servizi per l’impiego, mentre la necessità di frenare la delocalizzazione delle imprese italiane all’estero, fa registrare la più alta percentuale di consensi (16,7% a fronte di una media del 6,3% tra tutte le organizzazioni), tra i consulenti del lavoro. 2.4.2. Il giudizio sulle politiche di contrasto al sommerso L’elevato peso della pressione fiscale e contributiva nel nostro Paese ha inciso notevolmente sul ricorso sempre più frequente a forme di lavoro più flessibili, con l’intento di favorire la riduzione dei costi di produzione e consentire alle imprese di organizzare meglio le risorse, evitando quindi di indurle a ricorrere a lavoro irregolare.
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Rapporto per i relatori
Pertanto la flessibilità, laddove utilizzata correttamente si configura ancora come un valido strumento per contenere il lavoro sommerso: è quanto emerge dal giudizio ancora abbastanza positivo, dei testimoni privilegiati sull’efficacia della flessibilità ai fini della lotta al sommerso, confermato dal 60% dei testimoni che ritengono che una maggiore flessibilità possa servire a contrastare il fenomeno. Sono principalmente i consulenti del lavoro (83,3%) a ritenere la flessibilità uno strumento rilevante per disincentivare il lavoro sommerso, convinti che una maggiore razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro (che le misure di flessibilità dovrebbero garantire), possa essere di aiuto a contenere il ricorso a forme di lavoro irregolari. Ma altrettanto ampio è il consenso fornito dalle organizzazioni di rappresentanza datoriale (77,8%) e dai Centri per l’Impiego (66,7%). Emerge invece un giudizio ambivalente da parte dei rappresentanti degli Istituti previdenziali e assicurativi (Inail ed Inps), che risultano divisi esattamente a metà tra chi crede nell’efficacia della flessibilità ai fini della lotta al sommerso (50%), e chi risulta al riguardo meno fiducioso (50%). I più scettici sull’efficacia della flessibilità nel contrastare il fenomeno sono i sindacati, maggiormente preoccupati probabilmente dall’uso irregolare di tali strumenti di flessibilità da parte delle imprese. Il loro giudizio negativo il 71,4% dei testimoni appartenenti ad organizzazioni sindacali, dichiara che una maggiore flessibilità del mercato del lavoro non serve a contrastare il lavoro sommerso – può essere ricondotto dalla considerazione da parte dei sindacati che la flessibilità, seppur offra maggiori opportunità di trovare un impiego e di sviluppare competenze diversificate, spesso finisca per deresponsabilizzare le imprese, che mosse dall’intento di ridurre il costo del lavoro si avvalgano impropriamente degli strumenti di flessibilità reclutando lavoratori precari (fig. 27).
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Rapporto per i relatori
Fig. 27 - L'efficacia della flessibilità come antidoto al sommerso, per tipo di organizzazione, Marche-Italia, 2005 (val.%)
83,3
85,5 77,8
Marche
78,0
Italia
66,7 60 50
44,7 28,6
Consulenti lavoro / commercialisti
Associazioni imprenditoriali
Servizi per l'impiego
54,8
46,5
25,2
Sindacati
CCIA, Inail, Inps
Totale
Fonte: indagine Censis, 2005
Al di là della flessibilità, i testimoni locali sono stati chiamati ad esprimere un giudizio anche sull’insieme di misure adottate dal Governo per contrastare il lavoro sommerso. Tra queste le più efficaci sono risultate le agevolazioni alle nuove imprenditorialità, il cui impatto è stato valutato in termini positivi ai fini dell’emersione dall’80,3% degli intervistati, ottenendo un consenso superiore alla media nazionale (in Italia il provvedimento ha ottenuto il 75,6% dei giudizi positivi) e gli incentivi alle assunzioni (ne dà un giudizio favorevole il 78,0% dei testimoni), a conferma di una preferenza nel territorio marchigiano, nei confronti di una strategia di controllo del lavoro sommerso che si basi su di un atteggiamento premiale per combattere il fenomeno (fig. 28).
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Rapporto per i relatori
Fig.28 - Il giudizio dei testimoni locali sull'effetto di alcuni provvedimenti finalizzati al contrasto del lavoro sommerso, Marche, 2005 (val.%)
78,0
Incentivi alle assunzioni Durc (docum. unico di regolarità contributiva)
Legge Bossi-Fini
33,3
Cles
25,5
Positivo
2,2
36,4 64,4 63,5
5,8 33,9
26,8 26,3
37,7
25,5
30,8
Legge Tremonti per l'emersione
25,9
11,5
38,2
Studi di settore
Commissioni per l'Emersione
12,1
50,8
Nuovi strumenti contrattuali legge Biagi
26,4
0
62,1
39,3
14,0 3,9 Negativo
19,7 22,0
0,0
73,6
Riforma servizi ispettivi
Riallineamento contrattuale
0,0
80,3
Agevolazioni nuova imprenditorialità
59,6 70,6 Ininfluente
Fonte: indagine Censis, 2005
Ma significativa è anche la percentuale di coloro che ritengono altrettanto efficaci alcuni provvedimenti che svolgono una funzione di controllo per contrastare il lavoro nero, come il Documento unico di regolarità contributiva, valutato positivamente dal 73,6% degli intervistati. Sempre nell’ambito dell’attività di controllo rientra la recente riforma dei servizi ispettivi, valutata in termini positivi dal 62,1% degli intervistati, mentre meno consensi ottengono altri provvedimenti, come i nuovi strumenti introdotti dalla legge Biagi, o gli studi di settore, valutati positivamente dal 38,2% degli intervistati. Giudizio decisamente negativo è stato, invece, espresso rispetto all’operato dei soggetti predisposti appositamente per favorire i processi di emersione: i Comitati per il lavoro e l’economia sommersa (Cles), il cui operato è stato giudicato ininfluente dal 70,6% degli intervistati, e le Commissioni per l’Emersione, che il 63,5% dei testimoni considera ininfluenti ai fini della lotta al sommerso.
84 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
A seguire tra i provvedimenti che hanno ottenuto il minore consenso, vi sarebbero gli strumenti normativi specificatamente predisposti dal governo per contrastare il fenomeno, la legge Tremonti per l’emersione, valutata ininfluente dal 59,6% e addirittura negativa dal 14,0% dei testimoni e la legge Bossi-Fini, considerata ininfluente e negativa ai fini della lotta al sommerso rispettivamente dal 33,3 e 39,3% degli intervistati. Confrontando i dati con quelli nazionali, l’unica differenza sostanziale che emerge è che nelle Marche ottiene maggiori favori rispetto alla media italiana l’efficacia dell’impatto delle agevolazioni alle nuove imprenditorialità (80,3% dei consensi contro il 75,6% in Italia), dato probabilmente riconducibile al già evidenziato spirito d’adattamento e innovazione che da sempre caratterizza le dinamiche alla base dello sviluppo del sistema produttivo locale. Da qui il riconoscimento dell’importanza di condizioni che favoriscano lo sviluppo di nuove imprenditorialità, per contrastare il lavoro sommerso. Disaggregando i dati per organizzazione di appartenenza, emerge che le agevolazioni alla nuova imprenditorialità risultano al primo posto tra i provvedimenti valutati efficaci nella lotta al sommerso secondo il parere di tutti i testimoni degli istituti previdenziali e assicurativi, delle Camere di commercio, delle associazioni imprenditoriali (89,5%) e dei Servizi per l’Impiego (83,3%), mentre gli incentivi alle assunzioni riscuotono maggiori consensi oltre che dai servizi per l’impiego anche dai sindacati (78,6%) (tab. 25).
85 FONDAZIONE CENSIS
Tab. 25 - Il giudizio dei testimoni locali sull'effetto di alcuni provvedimenti finalizzati al contrasto del lavoro sommerso, per organizzazione di appartenenza Marche e Italia, 2005 (val.%)
Associazioni Ccia, Inail Cons. lavoro imprenditoriali inps
Agevolazioni nuova imprenditorialità Incentivi alle assunzioni Durc (docum. unico di regolarità contributiva) Riforma servizi ispettivi Nuovi strumenti contrattuali legge Biagi Studi di settore Riallineamento contrattuale Commissioni per l'Emersione Legge Bossi-Fini Legge Tremonti per l'emersione Cles
Fonte: indagine Censis, 2005
89,5 64,7 75,0 56,3 78,9 20,0 16,7 26,7 33,3 33,3 25,0
100,0 77,8 90,0 90,9 50,0 60,0 50,0 11,1 44,4 10,0 22,2
50,0 66,7 60,0 33,3 50,0 20,0 16,7 20,0 0
Servizi impiego
83,3 100,0 14,3 75,0 50,0 58,3 66,7 54,5 18,2 30,0 22,2
Sindacati
Totale
Italia
64,3 78,6 93,3 46,2 14,3 41,7 23,1 38,5 16,7 28,6 38,5
80,3 78,0 73,6 62,1 50,8 38,2 33,3 30,8 26,8 26,3 25,5
75,6 80,6 76,4 58,8 51,6 40,3 32,8 29,5 35,6 30,1 28,2
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Rapporto per i relatori
Il Durc, è apprezzato soprattutto dai sindacati (93,3%) e dalla Ccia, Inail ed Inps (90%), mentre le riforme dei servizi ispettivi vengono giudicate positivamente dagli stessi istituti previdenziali ed assicurativi (90,9%). Sono principalmente le associazioni imprenditoriali (78,9%) a ritenere valido il contributo dei nuovi strumenti contrattuali introdotti dalla legge Biagi, mentre appare chiaro che l’efficacia degli studi di settore è percepita soprattutto dagli organismi più istituzionali Ccia, Inail ed Inps (60%) e Servizi per l’Impiego (58,3%). 2.4.3. Il ruolo dei soggetti Il vantaggio che possono trarre le imprese sommerse nel venire in superificie, è legato alla possibilità di vedere rimosse alcune delle cause principali che le hanno indotte ad operare in condizioni di irregolarità, e che trovano spesso e volentieri origine negli elementi di contesto che caratterizzano lo scenario in cui operano. E’ dunque a tal fine che devono essere predisposte le azioni che i policy makers devono intraprendere, a livello territoriale, per creare un ambiente favorevole alla loro emersione. E’ dall’alto che dovrebbero partire gli interventi, stando alle testimonianze degli intervistati, che ritengono fondamentale al fine di incoraggiare le imprese alla regolarizzazione la predisposizione di una serie di interventi di sostegno economico alle imprese, primo tra tutti una maggiore accessibilità a credito e strumenti finanziari, item indicato dal 52,4% dei testimoni privilegiati (tab. 26).
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Rapporto per i relatori
Tab. 26 - Azioni da realizzare a livello locale per creare un contesto favorevole all'emersione secondo i testimoni locali, Marche-Italia, 2005 (val.%) (*)
Più accessibilità a credito e strumenti finanziari Snellimento della burocrazia Migliore infrastrutturazione del territorio Sostegno all'innovazione tecnologica e alla R&S Potenziamento del sistema formativo Più diffusione tecnologie informazione e comunicazione Più assistenza nell'internazionalizzazione Maggiore sicurezza sul territorio
Marche
Italia
52,4 41,3 22,2 22,2 17,5 14,3 12,7 12,7
54,6 39,3 29,1 13,3 16,2 13,0 6,8 15,3
(*) Il totale degli items non è a somma 100, in quanto sono previste fino a due risposte per ciascun rispondente Fonte: Indagine Censis, 2005
E’ importante inoltre, secondo il 41,3% degli intervistati, snellire le procedure burocratiche, spesso troppo gravose, e scoraggianti per chi avesse deciso di intraprendere le pratiche per uscire allo scoperto. A seguire tra le azioni prioritarie per favorire l’emersione, vengono indicate a pari merito dal 22,2% degli intervistati, il miglioramento delle infrastrutture del territorio (anche se quest’esigenza nel territorio è sentita di meno rispetto alla media nazionale) e il sostegno all’innovazione tecnologica, elemento quest’ultimo che conferma la vocazione al progresso e la capacità del sistema produttivo marchigiano di autorigenerarsi adattandosi all’evoluzioni del territorio e del mercato. Altre priorità, meno urgenti, ma comunque non trascurabili, sarebbero, il potenziamento del sistema formativo (secondo il 17,5% degli intervistati), elemento determinante al fine di garantire una continua crescita professionale sempre certificata e la diffusione di maggior tecnologie dell’informazione e della comunicazione, secondo il 14,3% degli intervistati, a sottolineare l’importanza della trasparenza delle attività economiche al fine di generare uno sviluppo economico condiviso.
88 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
In ultimo vengono indicate a pari merito (12,7% degli intervistati), l’esigenza di una maggiore sicurezza sul territorio, favorita dall’incremento dei controlli, e un’assistenza più ampia durante i processi di internazionalizzazione. Confrontando i dati territoriali con quelli nazionali, emerge come, mentre in tutti gli altri items non si registrano sostanziali differenze tra le risposte degli operatori marchigiani e i valori medi nazionali, sono l’innovazione tecnologica e l’assistenza nell’internazionalizzazione ad essere indicate tra le azioni per favorire l’emersione dai testimoni delle Marche con una frequenza maggiore rispetto alla media nazionale, che scende al 13,3% per coloro che ritengono fondamentale sostenere le innovazioni tecnologiche (nelle Marche è del 22,2%) e al 6,8% per quelli che suggeriscono una maggiore assistenza nelle internazionalizzazioni (contro il 12,7% degli intervistati marchigiani). In ogni caso alla richiesta più precisa di individuare le “condizioni” necessarie a stimolare le imprese a partecipare ai processi di emersione il campione non ha dubbi: il 41,8% considera prioritario incrementare l’efficacia dei controlli effettuati sul territorio da parte degli istituti di vigilanza e dalle forze dell’ordine (tab. 27).
Tab. 27 - Condizioni per cui le imprese potrebbero partecipare a fenomeni di emersione, Marche-Italia, 2005 (val.%)
Promozione Apertura di Entrata in dei processi di Efficacia dei nuove circuiti controlli emersione da prospettive di dedicati allo parte delle effettuati sul mercato a sviluppo organizzazioni territorio livello locale economico locali
Marche Italia
14,9 16,6
41,8 43,9
25,4 23,1
17,9 16,4
Totale
100,0 100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
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Rapporto per i relatori
Anche se appaiono importanti le prospettive che il mercato può offrire. A tal proposito il 25,4% pensa che l’apertura di nuove prospettive di mercato a livello locale sia una valida ragione per indurre le imprese a partecipare a fenomeni di emersione e di coloro, e il 17,9% attribuisce rilevanza all’entrata in circuiti dedicati allo sviluppo economico
2.5. Nota metodologica L’indagine di campo è stata realizzata presso un campione di 80 testimoni privilegiati locali, individuati tra i responsabili provinciali delle associazioni imprenditoriali – Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, CNA – dei sindacati, del mondo delle istituzioni - Inail, Inps, Camere di Commercio e Servizi per l’Impiego – e del mondo delle professioni – Ordini provinciali dei dottori commercialisti e dei Consultenti del lavoro. La rilevazione è stata effettuata attraverso la somministrazione – via e-mail e via fax – di un questionario strutturato, articolato per aree tematiche, tra febbraio e aprile 2005. Il campione dei testimoni locali è risultato così distribuito nelle 4 province marchigiane: 40,8% ad Ancona, dove si è registrato il maggior numero di questionari compilati, 25,4% ad Ascoli Piceno; 18,3% a Pesaro e Urbino e 15,5% a Macerata (tab. 28). Con riferimento all’organizzazione di appartenenza, invece, il 31% del campione è risultato appartenente alle associazioni imprenditoriali. A seguire il 22,5 % dei testimoni privilegiati è costituito dai rappresentanti dei Servizi per l’impiego. I sindacati rappresentano il 21% del campione, seguiti dai responsabili delle Camere di commercio, dell’Inail e dell’Inps (16,9%) e dai consulenti del lavoro, e commercialisti (8,5%) (tab. 29).
90 FONDAZIONE CENSIS
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Rapporto per i relatori
Tab. 28 - La composizione del campione, per tipologia di organizzazione, 2005 (val. %)
%
Associazioni imprenditoriali Servizi per l'impiego Sindacati CCIAA, Inps, Inail Consulenti del lavoro Totale
31,0 22,5 21,1 16,9 8,5 100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
Tab. 29 – La composizione del campione, per provincia, Marche, 2005 (val. %)
%
Ancona Ascoli Piceno Pesaro Urbino Macerata Totale
40,8 25,4 18,3 15,5 100,0
Fonte: indagine Censis, 2005
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3.
Rapporto per i relatori
I CASI DI STUDIO
3.1. L’industria meccanica nella provincia di Ancona
3.1.1. Lo scenario di un’economia poliedrica La provincia di Ancona assume sul versante produttivo una dimensione poliedrica sia dal punto di vista delle tipologia imprenditoriale – dalla micro impresa alla medio-grande – che della tipologia settoriale, per cui si affiancano imprese appartenenti a settori tradizionali come il tessile/abbigliamento/calzaturiero e la meccanica, ad imprese di settori tecnologicamente avanzati quali l’elettronica, l’informatica e l’impiantistica. Un sistema produttivo articolato che si riproduce e si sviluppa sulle adiacenze, sulle trasformazioni di prodotti e di processi in un iter di adattamento ai cambiamenti ambientali e storici. Un tessuto di imprese in cui prevale la piccola dimensione dove l’insediamento produttivo si interseca con quello urbano, e ogni aggregato di comuni viene ad addensarsi in un articolazione di rete-sistema sociale ed economico. Così l’impresa diventa soggetto identitario ed elemento di radicamento e coesione nel territorio. Il modello marchigiano attiva modalità di sviluppo basate sull’integrazione tra componenti storiche, culturali, sociali ed economiche che agiscono in un potenziamento reciproco, mentre il processo di industrializzazione dell’area non comprime gli standard di qualità della vita. Il sistema produttivo provinciale conta circa 49mila imprese attive, vale a dire un’impresa ogni nove abitanti. Nel territorio anconetano vengono registrati 8 distretti industriali: dalla meccanica alla gomma e plastica, alla carta, al tessile, agli strumenti musicali fino alla lavorazione di metalli preziosi ed oggettistica da regalo. In particolare, guardando alla localizzazione geografica dell’industria meccanica regionale essa si concentra prevalentemente nei comuni della
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Rapporto per i relatori
provincia di Ancona, dislocati lungo la valle del fiume Esino. Nella maggior parte dei comuni distrettuali4, la meccanica concorre alla formazione di oltre il 50% dell’occupazione complessiva nell’industria, contro il 21% delle Marche5. L’elevata specializzazione in questi comuni determina elevati indici di concentrazione superiori a quelli della regione. Il settore della meccanica conta oltre 2000 unità locali e 31mila addetti (tab. 30). Nel territorio provinciali sono localizzati 7 degli undici poli meccanici marchigiani, le cui esportazioni costituiscono il 62,1% dell’export provinciale. Una produzione che si rivolge sia all’Europa comunitaria – in particolare Germania, Francia e Gran Bretagna – che all’Europa extra UE, agli Stati Uniti, al Medio Oriente e all’Asia orientale. La propensione alla polivalenza che abbiamo riscontrato nella composizione settoriale viene riprodotta all’interno del comparto della meccanica. Non è, infatti, univoca la vocazione meccanica dell’area, piuttosto articolata in diverse produzioni sviluppatesi nel corso degli anni con un’accumulazione di conoscenze ed evoluzioni tecnico-produttive che proprio per adiacenza hanno trasformato prodotti e processi in nuove entità di sistema. La produzione degli elettrodomestici e delle cappe a Fabriano, la meccanica tradizionale e le macchine per l’agricoltura a Jesi; le macchine per impieghi speciali a Castelfidardo; la produzione di stampi a Camerano, Osimo e Catselfidardo; i circuiti stampati nel territorio a sud di Ancona; gli altoparlanti a Senigallia, la cantieristica navale ad Ancona. Un comparto meccanico differenziato e diffuso sul territorio provinciale, dove i confini si fanno labili e le produzioni a volte si integrano e si sovrappongono. Il distretto degli elettrodomestici e delle cappe del fabrianese assorbe il 14% delle imprese meccaniche provinciali, l’80% della produzione nazionale di cappe ed oltre un terzo della produzione mondiale. Nel comune di Fabriano si localizzano grandi gruppi industriali come Merloni, leader mondiale nella produzione di elettrodomestici, Elica e Faber, specializzati nella produzione di cappe aspiranti da cucina e di componentistica. Nel corso degli anni, accanto alle grandi realtà degli elettrodomestici, si sono sviluppate a Fabriano, aziende che realizzano parti della produzione o componentistica. Così il distretto si anima di numerose piccole e medie imprese che coprono il ciclo delle componenti, dai motori ai filtri, agli stampi.
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I distretti industriali cui si fa riferimento sono stati riconosciuti dalla Regione Marche sulla base delle delimitazioni previste nel D.G.R. n. 259 del 29.07.1999 Si fa riferimento a dati forniti dalla CNA di Ancona
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Se nel fabrianese la produzione è omogenea, nello jesino la connotazione meccanica dell’area appare più articolata. Le imprese producono macchine e apparecchi meccanici (macchine per l’agricoltura e la silvicoltura, macchine per impieghi speciali, macchine per uso domestico), prodotti in metallo (fucinatura, stampaggio, trattamento e rivestimento dei metalli, elementi da costruzione in metallo,..), macchine e apparecchi elettrici (apparecchiature per la distribuzione e il controllo dell’elettricità, altri apparecchi elettrici) autoveicoli (carrozzerie per autoveicoli, rimorchi, parti e accessori per autoveicoli e motori). Da un lato la meccanica tradizionale – con una specializzazione nella produzione di stampi – dall’altra la presenza rilevante di produzione di macchine agricole, con la presenza della New Holland Italia e il Gruppo Pieralisi. La produzione della meccanica nell’area di Osimo, Castelfidardo si lega alla preesistenza e all’evoluzione del distretto degli strumenti musicali nell’area tra le valli dell’Aspio e del Musone. Un distretto che tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni Sessanta aveva il proprio nucleo storico nel comune di Castelfidardo, con insediamenti localizzati negli altri comuni dell’area a sud di Ancona e nella provincia di Macerata. In tale periodo operavano nell’area imprese anche di medie e grandi dimensioni, ma l’organizzazione produttiva era largamente imperniata sul decentramento e la divisione del lavoro tra imprese. La crisi degli anni Sessanta determinò un ridimensionamento dimensionale e numerico del tessuto imprenditoriale locale. Allo stesso tempo, però, si verificò un mutamento nell’orientamento produttivo e di mercato. La produzione di fisarmoniche si differenziava aprendosi a nuovi segmenti di mercato e a nuove produzioni. L’elevata accumulazione di conoscenze tecniche e l’alta professionalità richiesta nella lavorazione della fisarmonica si diffondeva e trasmigrava in altre produzioni. Pertanto da un lato, sempre nel comparto degli strumenti musicali, si avviava la produzione della fisarmonica elettronica oltre che di quella classica, nonché la produzione di altri strumenti musicali elettronici, dall’altro il know how accumulato nella produzione di filarmonica si trasferiva in altre produzioni, dalla minuteria metallica, agli utensili per macchine operatrici, agli stampi. Nel corso degli anni il gap tecnologico accumulato rispetto al Giappone e ai paesi anglosassoni, determinerà verso la fine degli anni Ottanta, una seconda - e definitiva - crisi strutturale che segnerà il passaggio e la riallocazione degli addetti in altre produzioni. Così lo sgretolamento del distretto specialistico monosettoriale degli strumenti musicali originava il distretto plurisettoriale di Castelfidardo, Osimo e Recanati.
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Tab. 30 - Unità locali e addetti alle unità locali nel settore delle industrie meccaniche nell'area Censimento 2001 (v.a. e val. %) (*)
Unità locali v.a. %
Addetti alle unità locali v.a. %
Provincia di Ancona
2.110
5,1
31.011
16,5
Regione Marche
6.580
4,5
69.271
12,0
217.902
4,6
2.184.882
11,3
Italia
(*) La percentuale è calcolata sul totale delle unità locali e degli addetti alle unità locali del territorio considerato Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
3.1.2. La meccanica raccontata dai testimoni locali La composizione e definizione del comparto meccanico dell’area viene ricostruita facendo riferimento ad interviste in profondità svolte con testimoni locali, rappresentanti istituzionali, appartenenti ad associazioni di categoria e ai sindacati, imprenditori. L’obiettivo è quello di indagare le caratteristiche della meccanica nella provincia di Ancona e, poi attraverso il racconto dei testimoni privilegiati, sondare il legame del settore con il sommerso. “Nel settore della metalmeccanica abbiamo più di mille imprese che occupano più di diecimila addetti su tutto il territorio, quindi rappresentano il 18,8% delle imprese manifatturiere; il 62% viene esportato”.
La disarticolazione produttiva del tessuto imprenditoriale La descrizione degli operatori locali delinea il tessuto produttivo locale elencando le specializzazioni produttive, facendo emergere una realtà economica che affianca un nucleo di imprese di medio-grande dimensione ad una molteplicità di pmi nate spesso per gemmazione da dipendenti che diventano imprenditori
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“..uscire dalle aziende magari più importanti e quindi…inventarsi questa nuova figura di imprenditore che…. “ho imparato il mestiere, mi metto in proprio”, quindi lavorando come dipendenti e mettendosi poi in proprio, questo era il fenomeno classico”. “generalmente sono tutte piccole aziende, le più grandi hanno cento dipendenti, … ci sono un paio di aziende che superano i cento dipendenti, le altre sono tutte al di sotto, compresa la mia, al di sotto dei cinquanta dipendenti…….”.
Il racconto degli operatori ricompone il panorama economico nel comparto della meccanica provinciale da Fabriano con gli elettrodomestici e le cappe, alla produzione di macchine agricole della Pieralisi e della Fiat e la produzione degli stampi nello jesino. Una produzione, quest’ultima, riscontrabile anche nell’area di Ancona Sud (Osimo, Castelfidardo, Camerano), dove si affianca alla produzione di circuiti stampati. Fino alla produzione di altoparlanti nell’area di Senigallia e alla cantieristica navale ad Ancona. In ognuno di questi poli vengono evidenziate le imprese di punta, a volte grandi imprese, e l’esistenza di una rete di pmi che riproducono la costellazione tipica del sistema di subfornitura. Avviene nella produzione dell’elettrodomestico, della macchina agricola e forse ancora di più nella costruzione navale, dove la struttura dei cantieri rimanda alle caratteristiche di subfornitura e di subappalti tipica del settore edile. “A Fabriano c’è il polo degli elettrodomestici, leggi Merloni o Indesit Co., e le cappe aspiranti da cucina. Questo è un altro polo molto interessante, in quella zona viene prodotto l’80% delle cappe fabbricate in Italia e un terzo di tutte quelle fabbricate nel mondo, e c’è un’altissima concentrazione di imprese tanto che solo nella zona di Fabriano e Comuni limitrofi è concentrato il 14% di tutte le imprese meccaniche della provincia. C’è un altro polo a Iesi per quanto riguarda la meccanica più tradizionale, la lavorazione del ferro, la carpenteria sia leggera che pesante e la produzione di macchine per l’agricoltura, New Holland, ma anche altre piccole imprese o imprese diverse, come Pieralisi, quindi macchine per la spremitura dell’olio, carrelli....”. “Nella provincia la meccanica va dal distretto di Fabriano, che è il distretto in cui è concentrata l’industria Merloni, grande industria, quindi elettrodomestico, e delle cappe, dove parliamo sostanzialmente di una grandissima realtà tra aziende grandi committenti e indotto strutturate ormai da anni su produzioni quasi monocomponente.. Invece per quello che riguarda il distretto dello Iesino lì già c’è una differenziazione dal punto di vista produttivo perché è più diversificato, con una concentrazione nel segmento del settore degli stampi”. “Lo Iesino ha questa forte connotazione soprattutto nel settore degli stampi anche se poi, ci sono altre realtà molto significative perché c’è anche la presenza della Fiat, Fiat Trattori, per capirci è la New Holland...Comunque parliamo sempre di Fiat Trattori, è la Fiat sul mercato delle macchine agricole. C’è un grosso stabilimento, attualmente sono 1.065 dipendenti. Oltre alla Fiat c’è un’altra grande impresa che è leader nel settore, ed è
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la Pieralisi. Questi producono macchine per la raccolta olearia, raccolta delle olive. E’ un’azienda storica ed è un’azienda che da sola ha circa il 70% del mercato mondiale per quel settore specifico lì. E’ un segmento di mercato molto particolare, però è un’azienda che ha due stabilimenti e poi ne ha un altro in Calabria, e qui avranno circa sui 220 dipendenti diretti. I due stabilimenti sono sempre a Iesi, lì vicino. Un’altra grande presenza è un’altra multinazionale, la Caterpillar. Lo stabilimento si chiama Hydropro, proprietà della Caterpillar americana, loro fanno i cilindri per le macchine movimento terra, per bulldozer...Poi abbiamo la Rimeco, a la Gennari IT, e una serie di aziende interessanti che producono proprio macchine legate all’agricoltura, quindi per la spremitura delle olive, raccolta delle barbabietole e lavorazioni legate all’industria conserviera”. “Tra Osimo e Castelfidardo troviamo un polo che è riferito invece alla produzione di macchine per linee di montaggio, macchine speciali. Sempre ad Osimo e Castelfidardo, ma aggiungerei anche Camerano, abbiamo un polo di produzione di stampi. Gli stessi stampi sono prodotti anche in parte in alcune zone della Val Nerina, vedi Monte Roberto. Nella provincia ci sono 150 aziende di questo tipo, aziende che a vario titolo ruotano intorno al mondo degli stampi con una concentrazione, tra Osimo, Castelfidardo e Camerano. Poi nell’area sud di Ancona, quindi ancora Castelfidardo ecc., si producono circuiti stampati, quindi abbiamo soprattutto a Castelfidardo aziende piuttosto grandi come possono essere la Cibes, la Cisel, la Somacis (azienda da qualche centinaio di dipendenti), nonché la Roal e la Fine che sono del gruppo Merloni, sono tutte ubicate nella zona di Castelfidardo e hanno a loro volta un indotto di piccole aziende artigiane che lavorano in conto terzi per loro. Circuiti stampati, produzione di circuiti stampati”. “Un altro polo strategico è nella zona di Senigallia, quindi a nord della provincia di Ancona, e da Senigallia andando verso l’interno, in particolare nella zona di Ripe, il polo legato alla produzione di altoparlanti”. “In questo comparto della meccanica rientra anche la cantieristica navale che si sviluppa un po’ in tutta la fascia costiera, che vede ad Ancona la presenza di Fincantieri e quindi la costruzione di navi grandi, ma questo settore sta attraversando un periodo di crisi, mentre sta crescendo tantissimo la produzione di imbarcazioni da diporto, in particolare la costruzione di yacht e mega yacht. Ad Ancona c’,è ad esempio, la Nisa che è del gruppo Rodriguez, a Senigallia ma anche oltre la provincia di Ancona fino ad arrivare alla provincia di Pesaro-Urbino, a Fano è localizzato il gruppo Ferretti, la Percing, sono tutti grossi gruppi che costruiscono yacht e mega yacht e che si avvalgono delle imprese di sub fornitura locali”.
Nella molteplicità delle produzioni meccaniche individuabili nel territorio provinciale si leggono interdipendenze e autonomie produttive. A Fabriano si producono elettrodomestici e cappe, e il nucleo produttivo fortemente specializzato si articola in un indotto di alcune imprese medio grandi come la Merloni, L’Elica, la Faber. Un indotto che si estende nello jesino, creando delle convergenze per esempio sulla ricerca relativa agli acciai speciali. “Nello jesino c’è tutta una produzione di macchine, macchinari, beni strumentali, in alcuni casi connessi, ad esempio, all’agricoltura. E quindi è abbastanza diverso dal discorso di
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Fabriano, dove, invece, si è molto più forti nel settore elettrodomestici e……cappe. Però, la connotazione, per esempio della ricerca sugli acciai speciali, che fa riferimento alle cappe, direi che è estensibile anche al resto, insomma….”.
Nell’area di Jesi, si localizzano alcune realtà imprenditoriali di maggiori dimensione appartenenti al comparto delle macchine per l’agricoltura e un tessuto di pmi che producono stampi, e spesso lavorano in subfornitura. ”A Jesi sono localizzate due o tre realtà industriali di una certa dimensione, come la Pieralisi, macchine olearie, come la Fiat, macchine per l’agricoltura, trattori, eccetera, ……poi abbiamo, diverse industrie di stampi che però sono di dimensioni medio-piccole, ..forniscono prodotti, soprattutto per il mercato nazionale, ma anche per quello internazionale”.
L’area a Sud di Ancona sembra distanziarsi, soprattutto dal distretto dell’elettrodomestico, e mostrare una propria autonomia produttiva con una forte vocazione policentrica. Nel territorio esiste - fanno notare gli operatori – una propensione polisettoriale, sottolineando come dalla produzione originaria degli strumenti musicali, in particolare della filarmonica siano venute fuori altre specializzazioni, le più diverse. Un coacervo di piccole imprese con diverse microspecializzazioni: dal legno alla meccanica – stampi, stampaggio – agli articoli da regalo. “Ci sono un paio di aziende del fabrianese che sono venute a aprire o a rilevare aziende, come ha fatto Elica, o ad aprire proprio una unità produttiva nella zona di Ancona Sud. Però sono due entità completamente staccate. Fabriano è una cosa a sé stante, molto relazionata alle aziende grandi che ci sono nel fabrianese e animano tutto l’indotto delle cappe. …. Quest’area è nata a suo tempo come fisarmonica poi si è un po’ ampliata nell’ambito della metalmeccanica, piuttosto che degli strumenti musicali ….Invece c’è un collegamento con lo jesino… anche perché, logisticamente siamo a 35 chilometri, Fabriano sono 80….”. “In quest’area, diversamente dallo Iesino in cui c’è questa predominanza del settore degli stampi con questa presenza di grandi aziende multinazionali come la Fiat, la Caterpillar ecc., l’area produttiva, questo distretto che chiamiamo Ancona Sud, cioè Camerano, Castelfidardo, Osimo, Loreto, poi man mano fino alla provincia di Macerata e Recanati, è invece un distretto che ha una caratteristica particolare, e cioè è polivalente. Non prevale una specializzazione produttiva, ma una concentrazione plurisettoriale che va dalla rimanenza di quello che c’era dello strumento musicale, agli stampi e stampaggio di materie plastiche, fino agli articoli religiosi e articoli da regalo”. “E’ molto polivalente, l’esatto contrario di quello che c’è nel fabrianese in cui c’è una concentrazione enorme attorno all’elettrodomestico, qua invece trova settori e specializzazioni le più varie e le più diverse”.
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Sistema di imprese e subfornitura L’analisi dei testimoni locali si focalizza sulle modalità produttive del sistema territoriale. Il modello marchigiano è una propaggine adriatica del modello del nord-est, caratterizzato da una forte diffusione di imprese sul territorio, sopratutto imprese artigiane. Una pluralità di imprese, per lo più piccole e medie imprese, che operano soprattutto in un sistema di subfornitura. Si tratta di una struttura di sistema – quella della subfornitura che generalmente si traduce in una modalità competitiva che tende ad escludere la programmazione, l’investimento in tecnologia e innovazione: sono i limiti di un’impresa che spesso non supera i 10 dipendenti e, soprattutto, in quanto contoterzista, appare strettamente legata alle scelte operate dall’impresa committente. Una condizione che diventa rischiosa nel momento in cui la spinta competitiva globale porta la grande impresa committente alla delocalizzazione, e ad un abbattimento dei costi verso il basso che si riflette direttamente sul contoterzista, perché lo spinge fuori dal mercato o lo pressa in un gioco di ribasso dei costi. Un meccanismo che va esplorato perché nell’industria manifatturiera induce meccanismi di irregolarità e di sommerso. Il titolare della Brandoni srl, localizzata a Cerretano sostiene che oltre i due terzi della produzione locale è inserita in un meccanismo di subfornitura, mentre il resto della produzione viene collocato direttamente sul mercato. “qui da noi (Castelfidardo) grandi imprese non ce ne sono, in quest’area…è tutta piccola e media impresa….”. “L’ottanta per cento (delle imprese) lavorano in sub-fornitura, il venti per cento vendita diretta con prodotto personalizzato o comunque con proprio brand, con proprio marchio. Su mercati nazionali e internazionali, soprattutto credo che i più remunerativi o comunque più importanti siano quelli internazionali”.
Senza dubbio la pmi può contare sulla flessibilità, sulla sua capacità di reattività al cambiamento, ma se questo elemento in passato poteva essere sufficiente le dinamiche globali lo rendono ora inadeguato. La piccola impresa manca di strutture di supporto che le consentono di gestire la complessità di una competizione globale. Un imprenditore parla, dunque, della necessità di fare rete e presentarsi sul mercato con un assetto relazionale e, quindi, contrattuale potenziato. “Se da una parte la piccola azienda ha flessibilità e tempi di risposta sicuramente più rapidi di una grossa azienda, quello che viene a mancare alle piccole imprese è tutta una
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serie di strutture a supporto; è per questo, che, con questo tipo di evoluzione di mercato rapido, oggi, le piccole imprese si trovano un po’ a soffrire. Quindi bisogna riconfigurarsi velocemente e trovare nuove forme di associazionismo, di compartecipazione… ogni azienda, singolarmente, ha il proprio core-business, …. quindi, faccio l’esempio dello stampista…lo stampista, vent’anni fa, riusciva a fare lo stampo di un tipo e di una certa dimensione e riusciva a coprire comunque, non dico a trecentosessanta gradi ma molte tipologie produttive…oggi c’è necessità di specializzarsi…settori sempre più specifici, quindi, se io mi metto in casa un certo tipo di parco macchine, mi fa fare un certo tipo di lavoro, preferisco non investire in un’altra direzione e comunque delegare ai miei fornitori per essere sicuramente più flessibile, più snello e non avere dei costi produttivi che non pagano più….”.
Se, dunque, la subfornitura rappresenta un meccanismo strutturale del sistema produttivo locale, di fatto riduce lo spazio di azione della piccola impresa che viene compressa nella filiera produttiva in un legame di dipendenza con l’azienda committente. Un legame che tende a diventare più vincolante man mano che l’impresa subfornitrice scivola in basso lungo la filiera. Allora, solo la costruzione di alleanze tra subfornitori può consentire di aumentare il proprio potere contrattuale e indebolire il nesso di dipendenza. “ll committente che deve fare una lavatrice non vuole più parlare con uno che fa il pulsante, con uno che fa il cestello, uno che fa i piedini, uno che fa la cassa, uno che gli fa l’elettronica, etc, ma vuol parlare con tre sub-fornitori al massimo e poi sono questi tre che, semmai, parleranno con altri sub-sub fornitori, ecco…allora quello che è la scommessa è mettersi insieme, in modo da diventare quei sub-fornitori di prima fascia che parlano direttamente con il committente, che prendono direttamente un lavoro completo, la lavatrice, e poi, semmai, gestiscono, attraverso una rete di collaborazioni, la produzione dei singoli pezzi. Questa è la scommessa del sub-fornitore……Perché se uno fa il sub del sub del sub ha margini esigui, è alla mercè di tutti quelli che gli stanno sopra, è il primo che soffre, se si fanno due lavatrici in meno, perché, a cascata, il primo che soffre è quello che sta sotto, quindi la scommessa dei sub-fornitori è aggregarsi con altri per risalire la catena della sub-fornitura e andare a parlare direttamente con il committente…..”.
E’ il caso della Simex, un’azienda localizzata ad Osimo - 8 dipendenti e un milione di fatturato - che produce stampi, impianti per la produzione di articoli in plastica come le bottiglie per il settore delle acque minerali e soft drink “Parlo di trasformazione di plastica pet….. …non si vendono più bottiglie vuote come succedeva qualche anno fa, oggi la Ferrarelle ha al proprio interno un trasformatore di plastica, quindi io vendo impianti alle società di acqua minerale …se io dovessi costruire l’impianto completo, ma anche solo per lo stampo, che ha dimensioni di un certo tipo, sono stampi multicavità, …..un conto è mettere in casa una macchina che fa la parte interna e comunque la parte tecnologica dello stampo; …nell’azienda Simex abbiamo preferito far
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crescere la parte tecnologica, la parte ingegnerizzazione, …le macchine a livello produttivo, le macchine che fanno proprio la parte più tecnologica… tutta la parte meno importante, la delego ai miei fornitori. Questo tipo di collaborazione è, nel nostro caso specifico, una collaborazione che è nata come terzista, inizialmente, terzista puro, trovata nella zona Marche, …la cosa si è consolidata nel tempo e funziona proprio perché ci sono ormai delle esperienze e degli scambi che durano da quindici anni….”.
Anche un altro imprenditore, il titolare della Muffe, racconta delle alleanze, parla di partnership sul territorio per superare il conterzismo puro e semplice, sviluppando una relazionalità più articolata che rafforza le potenzialità interne dell’azienda e tutto il sistema locale. Perché accentuare i meccanismi di relazionalità permette all’impresa di accrescere l’innovazione. “Siamo un po’ anomali come industria metalmeccanica perché la nostra è una industria metalmeccanica ma noi realizziamo anche prodotti in materiale plastico, produciamo griglie per i nostri canali…facciamo uso di lavorazioni esterne, quindi in outsourcing continuamente sia per quanto concerne lavorazioni di assemblaggio, che facciamo fare qui in loco, qui intorno abbiamo un paio di terzisti. Collaboriamo con una industria metalmeccanica che produce stampi, che è la Meccanica Generale, sia per quanto riguarda lo sviluppo di nuovi prodotti, cioè di stampi relazionati a nuovi prodotti e collaboriamo anche per quanto concerne la produzione sempre in outsourcing..…Cerchiamo di avere dei tassi di crescita importanti, riusciamo a stare sempre oltre il trenta per cento. Stiamo esportando intorno al venticinque per cento di quello che è il nostro fatturato... E quindi, per avere crescite di questo livello dobbiamo utilizzare strutture in grado di darci un servizio veloce e ovviamente abbiamo bisogno di flessibilità..quindi per gestire picchi di domanda abbiamo strutturato delle partnership ….qui nell’area le aziende usano esclusivamente appunto dei terzisti…è difficile che abbiano rapporti così stretti, come li abbiamo noi con la Meccanica Generale di Jesi, con la quale collaboriamo con progettazione, produzione dello stampo e anche produzione di articoli. Più che altro le aziende, qui, utilizzano conto terzi per assemblare, per fare all’esterno quello che magari non riescono a fare all’interno o non vogliono fare all’interno, però, rapporti così stretti….. Abbiamo un’altra azienda qui, che si chiama Meccanica Gm, che è qui di Loreto, collaboriamo con un rapporto continuo e costante, è un partner per noi”.
Il titolare dell’azienda, localizzata nell’area di Castelfidardo, racconta della sua impresa, nata nel 1996, con 10milioni di euro di fatturato e 46 dipendenti: undici operai, nove magazzinieri, il resto personale commerciale e amministrativo. L’azienda, terza in Italia nel settore, produce canali per sistemi di drenaggio, utilizzando il polietilene alta densità che risolve i problemi di logistica riducendo il peso del prodotto. Con questa tecnologia l’impresa può superare il limite della produzione locale che vincola le imprese che nello stesso settore utilizzano il cemento. L’innovazione
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consente all’impresa di modificare il suo assetto competitivo e penetrare nuovi mercati. “….…in Italia nel 2004 eravamo la terza azienda come volume di fatturato.... Una è una multinazionale….un’altra una azienda italiana storica in questo settore, che produce sistemi di drenaggio in cemento, noi invece siamo il futuro perché produciamo canali in polietilene alta densità che sarebbero materiali con cui si fanno i tubi dell’acquedotto…..praticamente, una tecnica avanzata rispetto al drenaggio in cemento.. .il polietilene alta densità ci permette di esportare senza avere problemi di logistica, nel senso che il peso è basso e quindi riusciamo a spedire un camion intero di materiale in Spagna piuttosto che in Gran Bretagna e così via… Infatti le aziende che producono cemento sono aziende che fanno produzioni locali, quelle che fanno il calcestruzzo polimerico hanno comunque una produzione sempre locale”.
Il concetto di flessibilità muta: non si basa più sulla compressione dei costi e dei tempi – una condizione riscontrabile in molti paesi che producono a basso costo – ma sulla costruzione relazionale, sull’ipotesi di alleanze che generano innovazioni di processo e di prodotto. Così un altro intervistato sottolinea il cambiamento “Cambia anche il modo di essere flessibili, perché se la flessibilità prima era ridurre al massimo costi o fare le cose in tempi più brevi possibili, adesso la flessibilità è riuscire a vedere nella produzione o nelle caratteristiche di altre imprese una possibilità di relazione”.
Le imprese anche più piccole si trovano ad operare in uno scenario economico complesso e in continuo mutamento sia quando si tratta di collocare il proprio prodotto sul mercato finale che quando devono approvvigionarsi di materie prime per le lavorazioni. “Il nostro prodotto è un sistema di drenaggio, quindi un canale con una griglia. Le griglie possono essere realizzate in più materiali, dall’acciaio, allo zincato, all’acciaio inox, alla ghisa sferoidale. La ghisa sferoidale la importiamo o dalla Cina o dalla Francia o dalla Croazia. Adesso c’è un bel problema con la ghisa che arriverà, che deve arrivare dalla Cina c’è un dazio, stanno cercando di mettere un dazio anti-dumping del settanta per cento. Importiamo dalla Francia oltre al cinquanta per cento. La Croazia, abbiamo iniziato da un mese e mezzo, quindi siamo ancora a livelli molto bassi, roba da tre, cinque per cento, ancora”.
Ma sul territorio costruire una rete relazionale non è così semplice perché c’è una forte spinta all’individualismo, sottolinea un altro imprenditore titolare della General Stampi a Monteroberto (nello jesino), un’azienda nata nel 1966 che produce stampi, 30 dipendenti e un fatturato di 3milioni e
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mezzo di euro. L’impresa produce in subfornitura sia per imprese italiane (il 30% della produzione) che per imprese estere (il 70%). “Cerchiamo di organizzarci, però ancora non ci siamo riusciti…E perché siamo tutti individualisti, perché sennò non facevamo quello che facciamo….e quindi, di conseguenza, siamo poco spinti alla cooperazione…”.
Il sistema della subfornitura tende a spingere i costi verso il basso, allora le imprese guardano alla delocalizzazione verso paesi a basso costo del lavoro per mantenere i propri livelli di competitività. “E’ molto difficile, però ci stiamo pensando. Non solo noi, eh! alcuni già l’hanno fatto. Un’azienda grande che ha cento dipendenti, ha fatto una joint venture giù in Cina. Altre aziende lo hanno fatto, questo da parecchi anni, a Malta. Altre aziende stanno tentando di farlo in Unione Sovietica”.
Per qualcuno non si tratta di una scelta, di un ventaglio di possibilità che si schiude nella scoperta di nuovi mercati, ma di una pressione alla migrazione che ricorda quella degli individui che hanno esaurito nel proprio ambiente ogni possibilità. Allora si parla di imprenditore emigrante “…che cosa significa andare a investire in Cina …ha un senso in una logica di multinazionale ma è assolutamente deleterio a livello di piccola azienda, perché, oggi, l’imprenditore è costretto a diventare imprenditore emigrante, …”.
3.1.3. Meccanica e sommerso. Dinamiche e osservazioni La ricostruzione delle caratteristiche del settore meccanico nella provincia permette di individuare le relazioni che esistono con l’economia sommersa. Qual è l’incidenza del sommerso nell’area, e che configurazione assume? In che modo le connotazioni specifiche della produzione meccanica, gli assetti competitivi e i comportamenti degli operatori ne influenzano, incentivano o disincentivano la formazione? L’analisi delle interviste con i testimoni privilegiati consente di osservare come ci siano elementi che costituiscono un disincentivo al sommerso. Quando si parla di industria manifatturiera, l’innovazione e la tecnologia sono probabilmente i fattori centrali su cui far leva affinché un sistema produttivo possa sottrarsi alla perdita di competitività giocata sui costi, e contemporaneamente aprendosi a dinamiche globali – dalla fornitura alla collocazione del prodotto finale – slegarsi in parte dal contesto locale e dalle
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alleanze distorsive necessarie per innestare un circuito di economia sommersa. Probabilmente è questo il dato più rilevante, insieme alla tendenza - forse ancora embrionale sul territorio - di sviluppare forme di relazionalità, partnership, tra imprese terziste in modo da superare i limiti del sistema di subfornitura, bacino di infezione da sommerso. Proprio per le caratteristiche dell’industria meccanica l’incidenza del sommerso nel settore viene considerata abbastanza contenuta, ma la poliedricità dell’economia locale si riflette anche sulle sfumature che il sommerso assume nell’area e nello specifico settoriale. Si tratta di un sommerso di lavoro piuttosto che di impresa. Non si parla, infatti, di imprese sommerse, piuttosto di irregolarità di lavoro, o di lavoro nero. Il racconto degli operatori evidenzia un sommerso da economia ricca – fuori busta come incentivo per trattenere una manodopera qualificata e scarsa – o un nero alimentato da soggetti già percettori di reddito (pensioni, sussidi) che si inseriscono nelle maglie della subfornitura, all’interno di imprese di minori dimensioni, creando una convergenza di interessi lavoratore-datore di lavoro. Parallelamente si registra un sommerso legato ai subappalti della cantieristica navale – dove la manodopera qualificata si confonde con quella generica: locale, nazionale, immigrata regolare e clandestina - che nella forma della paga globale richiama i meccanismi ben conosciuti nell’edilizia. Rischio, tecnologia, innovazione e internazionalizzazione. I fattori che limitano il sommerso Un settore come quello della meccanica sembra, a detta degli operatori, abbastanza estraneo alle dinamiche di sommerso. La meccanica non genera sommerso: alcuni dei testimoni locali lo escludono tassativamente. La specializzazione, le tecnologie, la pericolosità di alcune produzioni, la necessità di addestrare in tempi lunghi la manodopera, l’esistenza di forti legami nell’approvvigionamento e nella fornitura con imprese estere, sono tutti fattori che tendono a limitare il ricorso al sommerso. Ripetutamente i testimoni locali escludono l’ipotesi di sommerso, di nero nella meccanica, sottolineando che - nella regione e nella provincia – se il sommerso c’è, è altrove, nei servizi alla persona, nell’abbigliamento, nell’edilizia. “Allora, secondo me non c’è nessun sommerso nella meccanica nella provincia di Ancona….”.
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“Guardi, le assicuro di no! Oltretutto, anche se lo vogliamo non lo possiamo fare nella meccanica, perché lavoriamo per aziende più grandi, quindi, un’azienda più grande, lei pensa che prende un prodotto senza avere la fattura o la fattura più bassa? Ma nel modo più assoluto, anzi, magari ti chiede l’esatto contrario…” “Se prende l’edilizia, eh, qui…più che sommerso non c’è niente di emerso….quindi sono cose ben diverse…! Eh…se prende poi magari, che ne so…l’abbigliamento, anche lì…”.
Il rischio della produzione Gli operatori fanno riferimento al rischio insito in alcune produzioni meccaniche, come quella che si svolge all’interno delle fonderie. Una pericolosità che disincentiva le imprese dall’ipotizzare forme di lavoro nero o di irregolarità. “Ora, rilevare il sommerso in questo tipo di realtà produttiva è estremamente difficile. Nelle fonderie, quasi sicuramente non c’è il sommerso, a livello di lavoratori, perché è un’attività che comporta dei notevoli rischi, per quanto riguarda la sicurezza, che l’azienda naturalmente non intende correre”. “Di lavoro nero credo che non se ne parli nemmeno ad eccezione se ci sarà qualche pazzo, non lo so, ma, nel nostro settore penso che nessun imprenditore voglia rischiare per tenere un dipendente in quelle condizioni, in quanto lei sa che la metalmeccanica ha anche un buon rischio di infortuni, quindi ci sono delle norme di sicurezza….e, lavoro nero, no, per quanto riguarda la metalmeccanica io direi, al 99,9 per cento no, e sono disposto a metterci anche la mano sul fuoco…”.
Manodopera, tecnologia e qualificazione E poi quando l’impresa affronta i tempi e i costi della formazione di un personale a cui si richiede un’elevata specializzazione, la manodopera assume un valore rilevante, e non si ragiona quindi sull’abbattimento dei costi. “Secondo me dipende dalle categorie merceologiche, nel senso che, nell’azienda dove viene applicata la tecnologia, dove c’è bisogno comunque di personale specializzato, lo vedo anche difficile da applicare….nelle aziende in cui la manodopera è quella a basso costo, è chiaro che c’è una possibilità maggiore di far girare questo tipo di discorso…se, il valore aggiunto è l’uomo, non è la macchina…il personale ha bisogno di addestramento, …non è l’estracomunitario che ti suona al cancello e ti fa la differenza, insomma, bisogna individuare certe figure professionali ben specifiche, bisogna addestrarle …”. “Quando prende una persona la mette davanti alla macchina è un investimento enorme, perché parliamo di ore e ore di investimento, parliamo di mesi di investimento, formazione,
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eccetera…e poi per cosa? Per gestirlo non regolare? Come fai! Attenzione, io parlo di metalmeccanica….”. “…patrimonio delle aziende meccaniche di questo tipo di strutture qui è proprio la risorsa umana….non è la manodopera a basso costo….”.
Innovazione I testimoni locali osservano che quando il valore aggiunto della produzione si concentra sulla tecnologia, sull’innovazione, per l’impresa l’incentivo ad utilizzare sommerso è basso. Perché questo tipo di imprese affronta meglio i mutamenti ambientali, e riesce meglio di quanto non avvenga in altre produzioni manifatturiere a reggere la sfida della competitività internazionale. Perché la manodopera a basso costo si traduce, spesso, in un basso livello di conoscenze tecnologiche. Perché operare con la tecnologia implica relazioni con fornitori per l’approvvigionamento di materie prime, beni strumentali che sono estranei a meccanismi di sommerso, anche perché spesso si tratta di forniture che avvengono sui mercati internazionali. “…..le imprese tengono sull’esterno, sui mercati e allora il sommerso si riduce e nella meccanica, secondo me, è la parte meno evidente. Dove dà problemi è nei servizi, penso, per esempio alle installazioni, ai servizi alla persona, Poi man mano che si va su, appunto, nella scala tecnologica queste cosa è sempre meno evidente, anche per ovvii motivi perché, oggi, chi deve acquistare tecnologie, beni strumentali di un certo tipo non può operare in nero. Certo che, se lei vuole, potrebbe parlare del sommerso, così, nell’occupazione, però, anche lì, non ci risulta che abbia un….anzi, il problema di queste imprese è tenersi gli operai….”. “Questo discorso trova terreno fertile nelle aziende in cui non c’è un valore aggiunto a livello proprio di tecnologia applicata”. “è il tipo di valore aggiunto che dai al tuo prodotto, cioè partendo dalla categoria merceologica, a parità di prodotto che tu fai, se dai un valore aggiunto in termini tecnologici ti metti nelle condizioni comunque di non usufruire del sommerso perché è tutta manodopera a basso costo, ma a basso valore aggiunto in termini di conoscenze tecnologiche …”.
Il ciclo dell’approvvigionamento Qualcuno sottolinea l’importanza che ha – nella determinazione o meno di sommerso - il ciclo dell’approvvigionamento, quando il tipo di produzione non permette già a monte della filiera di innescare sommerso, in qualche modo ne blocca l’entrata anche successivamente. Se la produzione sfugge alla dimensione locale – e la meccanica si approvvigiona dei propri
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materiali, come l’acciaio, al di fuori dei confini nazionali – le distorsioni tendono a minimizzarsi. “Nel settore della meccanica no….ma non perché uno non lo voglia fare e perché siamo professionalmente più corretti…..perché storicamente ha sempre girato in una certa maniera, perché comunque le materie prime, gli acciai, insomma, non è che si producono. Chi vende un prodotto finito, come la plastica, come l’oggettistica, queste cose qui, ha un mercato prettamente locale è chiaro che fa innescare certi meccanismi, ..qui anche volendo non si riescono a innescare, perché comunque gli acquisti si fanno regolarmente e automaticamente… Se la materia prima è possibile acquistarla in nero, tutta la catena diventa a rischio…quando parliamo di acciaio, ormai, di nazionale non c’è più niente, nemmeno i depositi ci sono più, non dico le fonderie, ma… è scomparso tutto”.
Gli spazi del sommerso In ogni caso, secondo alcuni testimoni locali l’elevato costo del lavoro rappresenta per l’impresa un incentivo se non al lavoro nero tout court, alle irregolarità, come il fuori busta. Laddove, come nell’industria manifatturiera il costo del lavoro costituisce una voce rilevante dei costi, la perdita di competitività rispetto ad altri contesti produttivi extranazionali e la crisi economica in atto, sembrano spingere l’impresa verso il sommerso. Così, il sommerso diventa una necessità, sottolinea un imprenditore. Mentre si evidenzia la differenza del costo della manodopera con altri contesti europei come la Francia dove un lavoratore percepisce 100 e costa all’impresa 150, non 200 come in Italia. L’alto costo del lavoro può spingere le imprese, affermano i testimoni locali, a delocalizzare oppure ad utilizzare lavoro irregolare. “più elevato è il costo del lavoro, più si produce, paradossalmente, lavoro nero perché è conveniente, ….se il gioco vale la candela, se va bene un anno e con dieci dipendenti io ho risparmiato miliardi, io ci provo…. Insomma il cuneo fiscale, quella differenza che c’è fra costo del lavoro e salario effettivamente che va nelle tasche dei lavoratori è molto elevato, è chiaro che c’è un grosso incentivo a evadere…… se il costo indiretto del lavoro è molto elevato c’è un incentivo”. “….nei settori manifatturieri, dove il costo della manodopera incide tantissimo sul prodotto finito che tu produci, ripeto, prima era una volontà, oggi diventa purtroppo una necessità perché, o chiudi, o certi mercati non ti ci scontri, oppure trasferisci l’azienda all’estero, oppure sei costretto a ricorrere a certo tipo di manodopera, non è che ci sono molte scappatoie….è chiaro che è illegale, però, purtroppo diventa una cruda necessità, tra chiudere, tra spostare l’azienda….”. “Perché in Italia c’è sempre il problema che, tra quello che prende il lavoratore e quello che costa all’azienda, c’è un divario enorme, rispetto ad altri Paesi europei. Sono andato in Francia a vedere i costi per assumere delle persone per una filiale e ho scoperto che è
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ben diverso che da noi. ….lo stesso in Romania, in Gran Bretagna …Abbiamo rilevato che c’è una differenza abissale con l’Italia! In Francia, posto cento il costo del lavoratore, lei paga centocinquanta, centocinquantacinque…da noi, posto cento paga duecento, due e dieci…! Quindi, questo può essere un incentivo per le imprese a delocalizzare o…. a produrre irregolarità….”.
Incentivi e fuori busta Anzi nella meccanica - si evidenzia - che i lavoratori vengono pagati, e bene. Un testimone privilegiato parla della corresponsione della quattordicesima, una modalità non prevista dagli accordi sindacali. D’altro canto, la produzione meccanica basata su una manodopera specializzata che proprio per la sua specializzazione ha un alto valore per l’impresa, fa emergere piuttosto l’ipotesi del fuori busta, come incentivo al lavoratore e strumento di contenimento dei costi. Perché altrimenti il sabato lavorativo, una pratica piuttosto diffusa nell’area e nella meccanica, non avrebbe convenienza né per il lavoratore, né per il datore di lavoro. Allora si stipula un accordo sull’irregolarità. Quello che viene descritto è, dunque, un sommerso da economia ricca, dove l’irregolarità diventa uno strumento di incentivazione e fidelizzazione del lavoratore. D’altronde, si sottolinea, che il contratto dei metalmeccanici è tra i più bassi, quindi ci può essere un fuori busta che raggiunge anche il 25-30%. “…i dipendenti nel settore meccanico nella provincia di Ancona, siamo, fra diretti e indiretti, siamo duemilacinquecento persone…circa..in realtà …. paghiamo tutti al di sopra delle tariffe sindacali… Si, perché per esempio parecchie aziende hanno anche la quattordicesima, come la mia…, e a livello sindacale la quattordicesima non è contemplata da nessuna parte“. “magari…adesso, alcuni giorni fa c’è venuto l’ispettore dell’Inps, …a livello di controlli e sembra che ci sia una percentuale di aziende che non pagano i contributi, …. Non mi risulta che ci siano dipendenti che lavorano senza essere in regola, aziende che non pagano i contributi, a me non mi risulta, …... Poi, se a un dipendente gli vuoi regalare cento euro perché…non glielo metti in busta….ma quello va, secondo me, va un po’ al di fuori della statistica pura e semplice.. Vengono pagati regolarmente, poi se un titolare di azienda, che vuole dare cento euro a un dipendente”. “E quindi …ci sono casi di fuori busta….. Ma sotto questo profilo non è il sommerso….negativo capito? E’ il sommerso se vuole delle aree ricche che utilizzano certi strumenti per vincolare a sé dei lavoratori, che sono sempre più scarsi, soprattutto le fasce qualificate, specializzate. Allora, sotto questo punto di vista, si può sicuramente parlare di sommerso…”. “questo tipo di sommerso oppure di irregolarità nel lavoro, non lo sottovaluterei. Lei pensi, per esempio, ai sabati lavorativi. Qua, diciamo, anche in questi periodi di fornitura
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stagnante i sabati lavorativi, in alcuni settori, soprattutto nella meccanica, sono una norma. Il sabato lavorativo non è sempre conveniente per il lavoratore se viene regolarizzato … Quindi è un accordo tra lavoratore e datore di lavoro….. si tratta di un sommerso ricco …”. “Sommerso in linea di massima lo escluderei, non per lo meno in misura rilevante. Se parliamo di nero, di aziende che non sono state iscritte, ovvero che hanno dei lavoratori che non risultano nei libri paga, nelle aziende metalmeccaniche non credo che ci sia una grossa percentuale, sembra quasi inesistente la percentuale di aziende di questo tipo. Chiaramente per quello che invece riguarda le irregolarità verosimilmente ce ne saranno diverse, ma si tratta di altri aspetti - non so rendo l’idea – come pagamenti fatti fuori busta, di ore di straordinario non pagate ecc. ecc.”. “Se c’è qualcosa di diverso rispetto al regolare è semmai in più, cioè i nostri artigiani sono contenti di motivare i propri dipendenti, che spesso ricevono dei fuori busta anche molto interessanti per rimanere dentro le aziende e non andare al concorrente”. “Il rischio è quello del fuori busta perché, si rendono conto che quando hai persone che cominciano ad avere 30-35 anni, con il contratto dei metalmeccanici che non arrivi a 1.100 euro, si capisce che l’imprenditore intanto a) se lo vuole tenere, b) è una professionalità che non può perdere, c) è quasi un socio nell’impresa. E qui dipende dalle capacità e dal valore, però, insomma, diciamo che possono essere anche intorno al 25-30% dello stipendio”.
Peraltro, nel settore meccanico il ricorso a manodopera immigrata – che rappresenta una componente particolarmente debole sul lato dell’offerta nel mercato del lavoro, e quindi si presta a forme di nero/irregolarità - appare piuttosto ridotto. L’offerta di manodopera immigrata specializzata in questo settore è, di fatto, bassissima, in un mercato del lavoro che invece registra una domanda che resta insoddisfatta. Il settore meccanico lamenta, infatti, una carenza di manodopera. “Nel settore metalmeccanico in genere, la manodopera straniera è bassissima….Per una questione di qualificazione. Se ci fosse uno straniero che sa lavorare e tecnicamente è valido, si prende tranquillamente, però non esiste manodopera specializzata su questo settore”. “L’offerta di manodopera è bassissima, …quindi, obiettivamente, manodopera specializzata”.
servirebbe della
“…in alcune aree, in alcuni settori, il personale è scarso, anche in periodi di difficoltà. Gli organici restano sotto-dimensionati rispetto ad alcune categorie. Le imprese assumerebbero dipendenti se li trovassero! Però non li trovano. E queste cose sono sempre molto evidenti nella meccanica. ….fra l’altro nelle Marche ancora di più… c’è offerta di lavoro, sistematicamente al di sotto della domanda. Di fronte a questa difficoltà le imprese
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reagiscono come possono, cioè, in alcuni casi, rubandosi letteralmente i lavoratori. A quel punto, che altri strumenti hanno per rubarseli?”
Lavoro nero e sussidi In un mercato che cambia, anche il sommerso, il lavoro nero assume altre configurazioni, non è più quello del laboratorio familiare, della casalinga, ma di coloro che spinti fuori dal mercato in seguito a processi di delocalizzazione - lavoratori in mobilità, cassi integrati - rientrano nel mercato del lavoro invisibilmente per integrare i sussidi percepiti, mentre le imprese minimizzano i costi. “C’è un lavoro nero diverso, perché i processi di espulsione dalle grandi imprese per via delle delocalizzazioni, dello spostamento di grandi produzioni all’est o in Cina, determinano mobilità, licenziamenti, cassa integrazione ecc., in una fase come questa in cui già si vive male e non si arriva alla terza o quarta settimana, ... e le offerte di lavoro sul mercato in questa fase dal punto di vista delle assunzioni sono sempre di meno. Le imprese tendono a sopravvivere, a questo punto, strozzando ancora di più certi elementi, quindi magari, che so, quello che perde il posto di lavoro l’azienda glielo offre, ma prima di offrirglielo e prima di metterlo a tempo determinato, non dico assumerlo stabilmente, lo fa lavorare lì qualche settimana o qualche mese in nero; quindi dà 5-600 euro, stai lì tre mesi in nero, poi l’azienda vede e verifica.Questo fenomeno qui si allarga”.
Cantieristica navale e subappalti Nel settore della meccanica provinciale il sommerso è rilevante nella cantieristica navale, si insidia nelle pieghe del sistema degli appalti con cui si gestisce la produzione di uno yacht. Qualcosa di simile a quello che avviene nell’edilizia. Il decentramento delle attività innesca una filiera di subappalti che scivola fino a diventare caporalato. Qualcuno parla di paga globale, una retribuzione formalmente regolare, in cui tutte le voci indicate fanno riferimento a valori minimi per ore lavorate, trasferte, straordinari, etc.. in realtà contiene globalmente anche ore di lavoro, straordinari, trasferte che al lavoratore non saranno corrisposti. “Un altro grosso elemento di diffusione, qui più che di sommerso forse di irregolarità, è invece dato dagli appalti nella cantieristica navale. Ad Ancona c’è una grande impresa Fincantieri, che è l’impresa che produce le navi da crociera, per il trasporto commerciale ecc., e in più si è sviluppato negli ultimi anni – fortemente – un grosso e sempre più importante polo di cantieristica di nautica da diporto, cioè produzione di yacht di lusso, maxi yacht. Allora, la cantieristica ha sempre avuto come caratteristiche quelle di un fortissimo decentramento di attività, .... in tutti questi cantieri parliamo per ogni cantiere in cui i dipendenti diretti, fatto 100 come numero di dipendenti diretti, le imprese in appalto e sub appalto possono anche essere 250-300. Quindi non so, Fincantieri ha 600 circa
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dipendenti attualmente, nei momenti di maggior picco del lavoro e del mercato ce ne possono stare 8-900 o mille imprese in appalto. Questo decentramento, questa logica dell’appalto diventa poi spesso nella cantieristica sub appalto, sub sub appalto fino a forme anche a volte di caporalato vero e proprio. Tutte queste imprese che vengono da tutte le parti d’Italia, ma grossa parte dal sud, hanno trovato un meccanismo che, per esempio, è molto diffuso, ed è la paga globale. E’ una retribuzione formalmente ineccepibile ai fini di ciò che tu puoi presentare ad un ispettorato ecc., quindi hai un lavoratore a cui consegni la sua busta paga con la retribuzione, con tutte le voci, il mensile, le 168 ore, le 172, magari la trasferta perché parliamo di imprese che magari hanno la loro sede in Sicilia, in Calabria, nel Veneto. Questo meccanismo a paga globale, cioè io ti do una busta paga, la retribuzione con le voci minime, quindi il numero di ore del mese, magari una voce di trasferta e basta. I soldi che io do in mano a quel lavoratore sono soldi che in realtà poi contengono tutto globalmente, cioè poi tu lavoratore non mi puoi venire a reclamare e dire che hai diritto alle ferie, ai permessi, alla malattia, alla 13°, è tutto lì; in una paga di 1.300-1.400 euro...”. “Quelle imprese lì, quindi, per stare dentro ciò che gli viene indicato dal cantiere committente per i propri lavoratori non esistono le 8 ore giornaliere, gli orari di lavoro possono essere – e lo sono spesso – 7 giorni su 7, non sono le 8 ore giornaliere, possono essere 10 o 12, anche più quando c’è bisogno, e questo non va in busta paga, è evidente. E questo non va in busta paga perché da una parte viola le ore che sono previste contrattualmente e legislativamente, e quindi nessuno va a scrivere in busta paga che ha fatto in un mese 260 ore anziché le 172 o 168, ci sono situazioni di questo genere”. “In questo caso si, c’è una connivenza forte, è chiaro che quel lavoratore i soldi li prende e non paga le tasse manco lui. Io ho conosciuto lavoratori, anche extracomunitari che fanno i lavori più duri e difficili, lavoravano nei doppifondi delle navi, lavoratori che in certe situazioni e in certi casi portavano a casa 4-5-6 mila euro al mese, per cui era una parte formalmente a posto dichiarata con la busta paga. Lì è molto diffusa questa cosa. La paga globale ormai è diventato un elemento quasi di normalità, è anormale trovare ditte che pagano normalmente con una paga contrattuale e corretta e contabilizzata secondo i canoni legislativi e contrattuali previsti”.
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3.2. Il distretto calzaturiero fermano-maceratese
3.2.1. La storia del distretto fermano maceratese: l’intreccio tra economia formale ed informale Il distretto fermano maceratese rappresenta uno dei casi esemplari del percorso di sviluppo del nostro Paese, con tutte le caratteristiche ad esso connesse: la concentrazione di imprese in una determinata area geografica, dovuta all’effetto agglomerativo basato sulla riduzione di costi aziendali (trasporto, mercato del lavoro, competenze, ricerca e sviluppo), il conseguente formarsi di intense relazioni di filiera e sub–fornitura, la fertilizzazione e trasmissione delle conoscenze come conseguenza di un diffuso spin-off di personale (da operaio qualificato a piccolo imprenditore), la forte presenza nel più ampio contesto comunitario di reti sociali e collaborative dei diversi attori, protagonisti dei processi di sviluppo (istituzioni locali, associazioni, consorzi, ecc..); non ultimo la presenza di un’ampia area di economia informale, che ha contribuito, soprattutto nel passato, alla vitalità dell’area; e rappresenta ancora oggi, anche se in forma diversa, e sicuramente più contenuta, un importante fattore di alimentazione dell’economia locale. Capire le caratteristiche del sommerso in uno dei principali distretti industriali del Paese, significa ripartire dalle origini stesse dello sviluppo dell’area, individuandone le specificità produttive ed occupazionali che creano quell’innesto, specifico per ogni territorio, in cui si colloca il sommerso. “… I paesi della calzatura, la zona calzaturiera del fermano–maceratese, il comprensorio della calzatura, il polo di sviluppo artigiano - industriale del fermano, il distretto industriale calzaturiero fermano-maceratese…”.
Sono moltissime le denominazioni, assunte negli anni da una vasta area delle Marche comprendente ben trentatré comuni dislocati tra le Province di Ascoli Piceno, Macerata e Fermo. Piccole, piccolissime aziende familiari operavano sin dal medioevo nei comuni storici della calzatura quali Montegranaro con la propaggine di Monte San Giusto, S.Elpidio a Mare, Torre S. Patrizio ed altri piccoli centri del comprensorio fermano, la cui produzione arrivava all’Italia del nord per
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raggiungere addirittura il mercato balcanico. Una caratterizzazione produttiva che accompagnerà lo sviluppo economico del territorio in esame attraverso i secoli fino ai giorni nostri. Seppure appena percettibile, a cavallo delle due guerre mondiali si è registrato il primo evidente aumento sia della produzione che del numero delle aziende, anche se la vera e propria escalation artigiano-industriale è iniziata nel 1945, contestualmente all’evoluzione del settore agricolo. Come in tante aree del Paese iniziò una forte e massiccia emigrazione dall’area montano-collinare verso la costa adriatica concentrandosi, in particolare, nei comuni di Montegranaro, Monte Urano, S.Elpidio a Mare, Porto S.Elpidio. Intanto la proliferazione imprenditoriale straripava dagli storici comuni calzaturieri sopra citati per trasformare profondamente l’economia prevalentemente agricola in quella industriale per una ampia area comprendente i comuni di Fermo, Torre S. Patrizio, Monte S. Pietrangeli, Francavilla, Rapagnano, Magliano di Tenna, Falerone, Grottazzolina, Petritoli, Monte Giorgio ed alcuni altri comuni della provincia di Macerata come Civitanova Marche, Monte S.Giusto, Corridonia, Morrovalle. Il distretto, dunque, non è il risultato di un progetto industriale pensato e voluto, quanto piuttosto l’esito di un processo di graduale emersione di un’imprenditoria artigianale, nata prima in modo spontaneo, poi consolidatasi agli inizi degli anni ‘60, quando il tessuto produttivo locale si è strutturato su una specializzazione per fasi dei processi produttivi (la cosiddetta fabbrica diffusa) convergenti su comuni strategie di espansione. Il lavoro a rete, già presente nel territorio dagli inizi degli anni '80 e precursore per certi versi del post-fordismo, nel distretto ha garantito di giungere nel settore della componentistica al primato mondiale ed ha favorito l'integrazione di questa con moda e design. Successivamente per meglio rispondere alle sfide poste dalla globalizzazione dei mercati nel distretto si è fatta strada la convinzione che fosse giunto il momento di passare da una realtà organizzata in modo del tutto spontaneo, ad un governo del distretto, funzionale al suo sviluppo. “Dopo una lunga gestazione, con la L.R. n.32 del 30/11/1999 la Regione Marche ha stabilito di promuovere nell'ambito di diverse aree industriali della regione, una serie di interventi in via sperimentale volti a favorirne lo sviluppo e la qualificazione distrettuale.
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E' stato pertanto affidato alle province interessate il compito di promuovere la costituzione di organismi denominati Comitati di Indirizzo e Coordinamento dei distretti industriali interprovinciali (COICO) con funzioni di programmazione, indirizzo e controllo degli interventi da attuare, e le Giunte esecutive di distretto (GIE) con funzioni gestionalioperative e compiti di valutazione e monitoraggio degli interventi. I COICO e le relative GIE sono degli organismi creati a livello interprovinciale allo scopo di favorire la partecipazione alla programmazione concertata degli interventi per lo sviluppo economico, di una pluralità di soggetti sia tra le istituzioni pubbliche che tra gli operatori pubblici e privati nel campo della ricerca e dei servizi. Le province di Ascoli Piceno e Macerata hanno concertato la delimitazione territoriale del distretto interprovinciale ed identificato tutti i soggetti pubblici e privati che hanno costituito gli organismi previsti dalla legge”.
Questo approccio concertativo ha certamente contribuito a rendere coeso il distretto rispetto alla crisi internazionale ed alla forte concorrenza di paesi in via di sviluppo consentendo di reggere l’impatto spesso utilizzando la forte arma del gioco d’anticipo su temi come la qualità del prodotto, dell’innovazione e della ricerca che hanno avuto ricadute dirette sull’occupazione e sul lavoro sommerso. Le caratteristiche del sistema Il sistema distrettuale fermano maceratese è dominato da un elevatissimo numero di imprese medio-piccole e tale struttura dimensionale consegue direttamente dal processo di formazione imprenditoriale che ha caratterizzato quest’area. La struttura del distretto calzaturiero risulta molto articolata in quanto comprende imprese specializzate nelle diverse fasi della lavorazione (taglio, orlatura ecc ..) o nella produzione di tacchi, fondi ed accessori (stringhe, fibbie, etichette, ecc..) e calzaturifici veri e propri che assemblano il prodotto per conto terzi o producono direttamente con un marchio proprio. Del tutto particolare è il segmento dei fondi, che costituisce un comparto con proprie caratteristiche e specificità; si producono infatti fondi in cuoio, in poliuretano e gomma, con forti investimenti anche per quanto riguarda i macchinari e con una produzione particolarmente significativa in termini di fatturato in quanto ormai tradizionalmente ancorata al territorio e alla rete produttiva nazionale. Quello fermano-maceratese è pertanto un distretto tipico in cui è presente l’intera filiera: produzione, assemblaggio, servizi e spedizioni. La produzione di calzature interessa tutti i tipi di scarpe, se si escludono le
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scarpe sportive in tela e gli scarponi da montagna, ed è rivolta sia alle calzature da uomo che a quelle da donna e da bambino. I punti di forza della crescita economica del distretto possono essere così sintetizzati: - il carattere equilibrato dello sviluppo, sostanzialmente coerente con la distribuzione territoriale degli insediamenti urbani e con quella della popolazione. Tale peculiarità ha consentito di coniugare processi di sviluppo – che nel dopoguerra sono stati anche consistenti – con un'adeguata fruizione dello spazio e delle risorse; - la piccola dimensione delle imprese, espressione di attitudini imprenditoriali e di una cultura dello sviluppo proprie dei soggetti locali; - la crescita dal basso, caratterizzata dall’operare di una imprenditorialità di spiccata natura familiare, nel piccolo commercio, tra quadri tecnici ed operai delle imprese preesistenti; - un’elevata capacità imprenditoriale accompagnata ad una forte propensione al rischio e ad una forte capacità di sacrificio e dedizione al lavoro; - la flessibilità negli aspetti produttivi e negli orientamenti strategici delle aziende che si estrinseca in una forte capacità adattativa all’evoluzione del mercato; - la tendenziale integrazione sovraziendale di imprese che, presentando un forte livello di specializzazione, si complementano in cicli produttivi che coinvolgono una pluralità di aziende; - una vocazione industriale che, proprio perché estrinsecatasi in processi di sviluppo equilibrato e di piccola dimensione, ha dimostrato una elevata compatibilità e flessibilità nel realizzarsi con la persistenza di altre destinazioni d’uso del territorio. Una delle peculiarità positive dello sviluppo industriale del distretto è data da una crescita maturata senza fratture rispetto alle strutture sociali ed economiche preesistenti. Proprio le modalità dello sviluppo produttivo della realtà territoriale in esame lasciano supporre che ci sia stata nell’economia territoriale una fase in cui il sommerso d’impresa ha giocato un ruolo rilevante. Soprattutto in
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fase di start up del sistema, il basso livello di organizzazione, la scarsa (o assente) distinzione tra capitale e lavoro, i rapporti di lavoro occasionali regolati dalle relazioni personali o familiari, hanno creato quell’intreccio perverso tra economia formale e informale che se da un lato ha consentito l’espandersi della vitalità creativa del sistema, dall’altro ha contributo a rendere il sommerso un elemento strutturale di sviluppo del distretto. Contoterzismo e sommerso: il vizio d’origine II sistema di divisione del lavoro tra le imprese artigiane del settore è caratterizzato dal prevalere di imprese specializzate in singole fasi di lavorazione. La presenza consistente nel settore di imprese che producono in conto terzi e, in particolare, il forte peso di quelle che lo fanno quasi esclusivamente, delinea chiaramente la connotazione del distretto come realtà in cui prevalgono attività prive di una propria presenza sul mercato. Questo aspetto configura un limite per il distretto: in un settore come questo, a pieno titolo ricadente nell’ambito del sistema moda, è di assoluta rilevanza la misura della quota di valore del prodotto che un sistema riesce a fare propria. Se si pensa al fatto che in settori come questo, buona parte del valore aggiunto è trattenuto da chi progetta e colloca il prodotto, si comprende come la massiccia presenza di produttori esclusivamente conto terzi nel distretto indica come buona parte delle imprese si debba accontentare di una parte ridotta della catena del valore di cui è componente. Un dato questo, che certo non risulta di poco conto, nella determinazione del ricorso più o meno rilevante a forme di sommerso, di impresa e di lavoro. E’ comprensibile infatti che un’impresa che produce in conto terzi, si configuri come un soggetto economico estremamente debole, i cui margini di profitto sono esclusivamente legati alla possibilità di abbattimento dei costi di lavoro, non potendo agire più di tanto sui ricavi, condizionati dai prezzi e dalle quantità “imposte” dalle imprese committenti. “Una qualche forma di sommerso c’è in tutte le imprese del distretto … certo non in quelle leader, che ormai hanno decentrato gran parte della produzione. Ma tutte le piccole che lavorano in sub fornitura, generalmente non hanno altra possibilità che guadagnare sui costi… in genere quelli di produzione, e quindi sul lavoro, dove sono diffuse spesso forme di irregolarità”.
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Questa tendenza al contoterzismo è particolarmente presente nel settore della pelletteria e nelle imprese artigiane, mentre le aziende più strutturate hanno spesso anche un proprio marchio. Peraltro, dai colloqui con imprenditori e rappresentanti del mondo delle organizzazioni sindacali e datoriali, è emerso che il terzismo è un fenomeno diffuso tanto tra le piccole quanto tra le medie imprese e particolarmente significativo nell’ambito dei tomaifici. Tra la committenza, inoltre, non è trascurabile la presenza di imprese extralocali: il rapporto di contoterzismo presuppone in alcuni casi un livello qualitativo tale da attrarre commesse da imprese dislocate all’esterno del sistema locale, nonostante questo sia così articolato da esprimere già in se una forte domanda di contributi specializzati e qualitativamente elevati. 3.2.2. L’attuale congiuntura e le trasformazioni della struttura produttiva L’attuale congiuntura è sicuramente una delle più critiche che il distretto si è trovato a fronteggiare. Nel corso del 2002 e del 2003 il mercato delle calzature ha subito un brusco rallentamento a causa del ridimensionamento dei livelli dei consumi interni ed internazionali, dovuto a diversi fattori, primo fra tutti la generale riduzione degli acquisti che in periodi di recessione riguardano soprattutto i beni voluttuari legati alla moda, ad eccezione della nicchia del lusso. Il forte radicamento territoriale della compagine produttiva locale (alcuni comuni arrivano ad avere un grado di specializzazione settoriale superiore al 90%) rende molto vulnerabile il sistema sociale alle evoluzioni od involuzioni dell’economia legata al settore calzaturiero. Inoltre, l’eccessiva frammentazione del sistema produttivo, a prevalente presenza di piccole e medie imprese locali, se in passato è stato elemento di successo, oggi costituisce uno dei punti di debolezza e di scarsa competitività dello stesso, solo parzialmente compensato dall’appartenenza al distretto industriale. Le piccole aziende in un mercato rallentato non sono in grado di progettare cambiamenti che consentano di inserirsi in un diverso segmento di mercato. Inoltre ditte poco strutturate non sono in grado di rispettare gli standard elevati di qualità richiesti, i tempi di lavorazione fortemente compressi ma
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soprattutto gli anticipi di capitale impiegati per il rinnovo di macchinari e l’uso delle nuove tecnologie. “A livello politico nessuno ha saputo dare concrete risposte per ridurre significativamente il costo del lavoro in Italia e gli automatismi creati per contrastare il lavoro sommerso, vedi gli studi di settore, rischiano di soffocare le piccole aziende che al contrario di quelle grosse non hanno nessun tipo di sostegno”. “Da un punto di vista emotivo fa più sensazione parlare della crisi della Fiat che coinvolge migliaia di addetti ma che ha un unico interlocutore ben identificabile ed un chiaro peso politico piuttosto che di una miriade di piccole aziende che perderanno molti più posti di lavoro ma che hanno diversi rappresentanti in lotta tra loro e con scarso peso politico. E’ chiaro che a livello locale chi si batte per il distretto e la sua sopravvivenza è pronto a tutto pur di tenere integro il settore. Passano così provvedimenti che sostengono le aziende più strutturate del settore, quelle che hanno alti volumi di scambi, un certo numero di dipendenti ed una buona visibilità politica. Oppure le aziende che vogliono investire sul territorio e che ottengono attraverso un patto sindacale accordi di mobilità che consentono di abbattere temporaneamente i costi del lavoro a scapito della collettività e della concorrenza leale verso le altre ditte che tali benefici non hanno ottenuto. Le piccole aziende, spesso contoterziste, la stragrande maggioranza del distretto, resta però esclusa e si spegne giorno dopo giorno facendo ricorso ad ogni mezzo legale e non per sopravvivere il più a lungo possibile. Per provare a dare risposte ad una crisi strutturale e salvare il distretto occorrono provvedimenti sia a livello locale che a livello nazionale”.
In questo contesto, stando almeno a quanto emerso dai colloqui effettuati con imprenditori e rappresentanti del mondo delle istituzioni, il sommerso sembrerebbe destinato a trovare nuovi spazi di crescita. La debolezza intrinseca di un sistema che vive essenzialmente di contoterzismo, fa sì che molte imprese si trovino costrette, per restare sul mercato, a contenere i propri costi di produzione, o attraverso la delocalizzazione in aree a basso costo del lavoro, o attraverso una delocalizzazione interna, ad imprese, spesso gestite da immigrati, in grado di praticare prezzi estremamente concorrenziali, a discapito della regolarità, sia infine, attraverso un inasprimento delle condizioni praticate ai contoterzisti, inducendo questi ultimi alla ricerca di ulteriori mezzi di contenimento del costo del lavoro, che coincidono spesso e volentieri con il ricorso al lavoro irregolare. “Mentre nel passato per rispondere a picchi di lavoro o per avere risparmi sui costi si ricorreva esclusivamente al lavoro a domicilio oggi l’imprenditore ha molte più scelte. Può continuare ad utilizzare il lavoro a domicilio ma a prezzi più bassi, in concorrenza con quelli rumeni, tunisini o cinesi; può ricorrere ai laboratori cinesi che sono presenti in zona che costano almeno il 50% in meno rispetto al mercato o infine ricorrere alla delocalizzazione di questa attività produttiva all’estero. Questa dinamica entra in competizione proprio con il lavoro sommerso. Spesso viene usata solo la minaccia di delocalizzazione per imporre prezzi alle società contoterziste praticabili in altre nazioni e
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non certo in Italia con la conseguenza di far lavorare sottocosto le aziende contoterziste che quindi una dopo l’altra sono costrette a chiudere. In questa fase devolutiva per provare a ridurre il costo del lavoro italiano per cercare invano ad essere competitivi con la Cina o la Romania si ricorre al lavoro sommerso. Talvolta l’azienda sceglie di avere commesse in perdita pur di continuare ad avere un ruolo nella filiera e di non dover chiudere aspettando tempi migliori. Più spesso la società esegue commesse sotto costo senza neppure rendersene conto perché non ha la capacità di calcolare il prezzo unitario del proprio prodotto”. “Spesso le aziende hanno scelto di cessare totalmente la propria attività produttiva delocalizzandola nei paesi dell’Est (in Romania la Fornarina; in Ungheria Ruggieri). E’ stato istituito un volo diretto dall’aereoporto da Ancona Falconara per la Romania, le conseguenze di queste scelte sono ricadute in primis sui contoterzisti”.
Particolarmente critica è la situazione per i contoterzisti, che vivono la concorrenza dei laboratori cinesi anche dentro la regione: laboratori che, numerosi (alcuni parlano di 800 unità) sono in grado di competere con prezzi ridotti del 50% rispetto al mercato regolare; a ciò si aggiunga la concorrenza di aziende delocalizzate in paesi dell’est il cui costo del lavoro non è confrontabile con il nostro. Compresso tra queste due forze, il contoterzismo sta sopravvivendo grazie al ritorno dell’uso del cuoio per le scarpe sportive e al design, che sulla gomma ha innalzato le richieste delle imprese ponendo maggiori requisiti produttivi non facilmente replicabili. Altro elemento che consente al contoterzismo di sopravvivere è il ricorso al vasto mercato di persone espulse dal settore, a casa con maggior tempo libero e se in mobilità o in cassa integrazione disponibili a lavorare in nero per arrotondare le entrate del proprio reddito tornando ad un livello simile se non superiore a quello guadagnato in azienda. “Si consideri poi, per delineare meglio il quadro, che negli ultimi anni, vista la difficoltà di aggredire il mercato con marchi propri conquistandone autonomi segmenti, molte imprese artigianali e semi artigianali si sono trasformate in pure imprese contoterziste, rinunciando alla produzione di propri campionari e alla visibilità data dalla partecipazione alle fiere del settore. Questo fatto indebolisce il distretto e rende vulnerabili quelle aziende che non sono riuscite in tempo ad imporre al mercato il proprio marchio. Nel giro di pochi anni queste aziende sono destinate a sparire se continueranno le dinamiche del mercato oggi in essere”. “Le piccole aziende sono in grandi difficoltà, le grandi tengono e fanno lavorare anche i terzisti tra cui le piccole che prima avevano propri marchi”. “Il calo della produzione accompagnato da processi di delocalizzazione ha notevolmente messo in difficoltà le imprese contoterziste. Sono la maggioranza. Recuperare mercato è ora impossibile. In base ad analisi macroeconomiche è oggi impossibile andare sul
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mercato con propri marchi e con autonomia. Nel corso di questi anni chi preparava campioni che partecipavano a fiere e manifestazioni è diventato contoterzista”.
Tuttavia, nello scenario descritto, gli interlocutori non mancano di ricordare casi di aziende, che, prima di altre, hanno saputo analizzare la realtà adottando strategie adeguate per superare la difficile congiuntura. Si tratta di aziende che sono passate da una produzione di qualità medio-bassa, ad una medio-alta, che hanno scelto il Made in Italy come garanzia di qualità (Della Valle, ecc..), cui è legata la garanzia sulla rintracciabilità del prodotto in tutte le fasi della lavorazione (dalle materie prime al prodotto finito), che hanno introdotto modelli di qualità totale in azienda come garanzia di correttezza anche sociale (si pensi a Nero Giardini …), che hanno adottato il “Just in time” come sistema produttivo: un’azienda è in grado di rispondere a domande di scarpe di media alta qualità con un minimo di 3 paia: questo permette all’azienda ed anche alla catena distributiva di azzerare il magazzino, annullando il costo delle scorte inevase. E ancora, aziende che hanno adottato due brand, uno medio basso la cui produzione è delocalizzata all’estero ed è rivolta al mercato internazionale soprattutto dell’Est ed uno medio alto, con produzione tutta marchigiana, rivolta al mercato nazionale ed internazionale di qualità, o altre che hanno optato per l’uso di marchi in affitto (es.: Cavalli, Byblos): in questo caso la produzione è interamente fatta da artigiani marchigiani che accettano di produrre e commerciare le calzature adottando un marchio famoso, pagando ricche royalties in cambio di pubblicità ed azioni di promozione tali da garantire loro un buon trend di vendita. Contestualmente alla capacità innovativa di alcune aziende lungimiranti, è da segnalare lo sforzo effettuato dalla stessa Regione nel promuovere strumenti a sostegno dell’industria6.
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E’ da ricordare che La Regione Marche oltre ad aver focalizzato la propria attenzione sulle politiche distrettuali a sostegno dell’industria con il Piano per le Attività Produttive e con L.R. 20/2003, ha posto in essere, fra gli altri, diversi interventi per gestire la crisi quali: - misure agevolative di tipo fiscale, riducendo la pressione IRAP sulle aziende del settore; - stanziamento di ulteriori fondi a favore dei distretti industriali, dei quali 1.027.942,52 di euro a favore del fermano-maceratese, per la progettazione esecutiva e la realizzazione di interventi che consentano di rilanciare la competizione del settore puntando sulla qualità, l’innovazione e l’internazionalizzazione ed altri fondi per il finanziamento della ricerca e dell’ICT e per le infrastrutture a valenza distrettuale;
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3.2.3. Il sommerso tradizionale: vecchie e nuove modalità Alla luce di quanto detto, appare evidente come alcune caratteristiche stesse dell’assetto produttivo del distretto abbiano favorito negli anni la crescita di fenomeni di irregolarità, soprattutto in fase di avvio delle attività imprenditoriali. Al di là tuttavia di tale aspetto, che risulta strettamente connesso ai meccanismi di genesi e sviluppo del distretto, è tuttavia giudizio abbastanza unanime degli interlocutori interpellati che non esistono nell’area realtà significative di lavoro e imprese totalmente sommerse, con l’eccezione di alcuni casi specifici che attengono al lavoro immigrato. “Più che un fenomeno di lavoro nero c’è un fenomeno di precarizzazione. Forte incremento di assunzione a tempo determinato, passando dalla mobilità e ritornandovi. Il lavoro nero non è il problema numero uno del distretto. E’ la tenuta del settore, è il rinnovo dei lavoratori. I giovani non si avvicinano al settore”. “Per quanto riguarda il lavoro sommerso la situazione è migliorata rispetto agli anni 70 ed 80. L’evoluzione del settore che ha visto una crisi di vocazione dei residenti è stata coperta con l’ausilio di immigrati ad oggi 6000 unità che rappresenta circa il 20% degli occupati”.
Il particolare stato di benessere economico, sociale e occupazionale ma – in parte – anche la maturità sviluppata in campo lavoristico e sindacale non concedono quegli spazi e quelle pieghe in cui possano maturare aspetti particolarmente degenerati di immersione. Non si può mancare di osservare che il lavoro sommerso nel fermano è generalmente scoraggiato da un lato, per il fatto che la manodopera non accetta di lavorare al di fuori delle tutele previste dal CCNL; da un altro lato, perché l’immersione totale di un’impresa non sarebbe conveniente né per l’imprenditore che si esporrebbe al rischio di controlli, che avvengono con frequenza e intensità, né per i
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assegnazione governativa di 8 milioni di euro per gestire la crisi occupazionale ricorrendo ad ammortizzatori sociali per circa 1.200 lavoratori, compresi gli artigiani e coloro che operano in aziende con meno di 15 dipendenti, solitamente esclusi da tali benefici. il documento di programmazione economico-finanziaria regionale ha previsto la creazione di Agenzie di Sviluppo Territoriale (A.R.S.T.E.L.), la cui concreta definizione dovrà essere approfondita insieme ad Enti ed associazioni; è stata predisposta di concerto con le associazioni di categoria un strategia di difesa e di tutela del made in Italy con la tracciabilità delle produzioni, la promozione di condizioni di reciprocità negli scambi, le azioni di contrasto alle importazioni illegali e alle contraffazioni e le misure anti-dumping.
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lavoratori, i quali non patiscono stati di necessità tali da fare ricorso al lavoro irregolare. Le forme di irregolarità totale e di imprese totalmente sommerse sono decisamente contenute. Si può sostenere che in una economia di benessere come quella dell’area possano verificarsi più facilmente irregolarità di tipo fiscale o normativo. Nello specifico, queste irregolarità possono essere rappresentate da fenomeni come: - l’alto rischio di sommerso nelle forme di lavoro a domicilio, particolarmente diffuse nel settore calzaturiero, prevalentemente per la commissione di lavori di orlatura. Si tratta di una modalità di lavoro irregolare, nota e diffusa nella zona, anche se gli imprenditori stentano a parlarne; - il prolungamento di periodi di prova oltre i termini di legge, che sembra una prassi abbastanza ricorrente, sebbene nel corso dell’indagine siano mancate testimonianze dirette della pratica; - la retribuzione di straordinari in nero, che sembra la pratica più diffusa e ricorrente, testimoniata direttamente dalla maggior parte dei casi intervistati. Ciò dipende dal tacito accordo tra lavoratori e imprenditore, i quali ricavano reciproci vantaggi nell’immediato; - il proseguimento del lavoro in pendenza dei periodi di sospensione. In alcuni casi, talune aziende assumono il rischio di far continuare a lavorare gli operai durante i periodi di fermo e sospensione del lavoro, cui sono esposte durante i cambi stagione. In queste occasioni, i lavoratori beneficiano dei sussidi pubblici e di un pagamento irregolare da parte dell’impresa. Analogamente, alcune imprese richiedono di lavorare durante i periodi di ferie, ma si tratta di un fenomeno attualmente non frequente, data la crisi che attraversa il settore; - il ricorso al lavoro dei pensionati, molto diffuso nel settore e dovuto principalmente alla mancanza di manodopera particolarmente qualificata. Si tratta di una forma di lavoro sommerso del tutto particolare, giustificata più dalla mancanza di un ricambio generazionale in determinate specializzazioni della produzione che da una vera e propria manovra con intenzioni speculative.
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Un ulteriore contributo alla comprensione del fenomeno proviene dai colloqui con i lavoratori, dai quali proviene la conferma che l’espansione produttiva degli ultimi venti anni ha contribuito ad innalzare i livelli complessivi di regolarità del sistema. Attualmente, la stragrande maggioranza delle aziende - soprattutto quelle piccole - hanno forme di irregolarità temporanee e quasi consensuali, mentre realtà totalmente irregolari rappresentano delle eccezioni. Le forme di irregolarità più diffuse interessano: - il reclutamento della manodopera: fino ad oggi, il distretto non ha avuto problemi occupazionali di rilievo e la struttura stessa delle imprese – medio piccole- ha potuto giovarsi di grande flessibilità all’ingresso al lavoro. La cosiddetta “chiamata” è la forma di assunzione prevalente nella zona ed avviene attraverso rapporti di rete amicale o familista, in ogni caso al di fuori delle strutture pubbliche preposte all’avvio al lavoro. Questa forma di assunzione permette un periodo più o meno lungo – massimo 6/8 mesi - di lavoro irregolare senza denuncia all’Inps, solo dopo questo periodo interviene l’assunzione vera e propria con regolarizzazione e busta paga; - il pagamento degli straordinari: gli straordinari sono in grande misura fuori-busta e il ricorso a questi è molto esteso in alcuni periodi dell’anno, in particolare nel periodo estivo (fine luglio-agosto). Nel periodo delle consegne il lavoro oltre le otto ore e quello del sabato è particolarmente elevato. Un tacito accordo fra lavoratore e azienda per il pagamento dei fuori busta è particolarmente diffuso; - l’inquadramento di alcune figure professionali, quali tagliatori o figure a maggiore professionalità. Quasi tutti sono inquadrati al secondo livello e la maggiore professionalità viene retribuita “brevi-manu” in maniera irregolare; - il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro: uno dei punti deboli o della maggiore irregolarità è appunto per le piccole aziende la idoneità dei fabbricati per il lavoro, il loro grado di sicurezza e salubrità (molti materiali e collanti usati sono a rischio-salute). Naturalmente le forme di sommerso o di lavoro grigio sono direttamente proporzionali alle dimensioni della azienda. Più l’azienda è di grande
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dimensione, maggiori sono le tutele e il livello di applicazione di leggi e contratti; al contrario, le aziende più piccole gravitano in una irregolarità che non è solo relativa ai lavoratori (salario-assunzione-straordinari) ma anche alla struttura fisica della azienda e al suo grado di sicurezza per il lavoro. Pensionati, disoccupati, cassintegrati: il nuovo potenziale esercito del lavoro sommerso La cattiva congiuntura dell’ultimo triennio, testimoniata anche dalla contrazione del numero delle imprese del settore sia in provincia di Macerata che di Ascoli Piceno (quest’ultima ha registrato un –4,2% tra il secondo trimestre del 2003 e del 2005) ha avuto un impatto soprattutto sul bacino occupazionale dell’area, alimentando quel serbatoio di potenziale lavoro sommerso, costituito da disoccupati, cassintegrati, pensionati: tutti soggetti che, percependo dei sussidi o altre forme di integrazione del reddito, potrebbero alimentare ulteriormente l’offerta di lavoro irregolare e pratiche distorsive da parte delle imprese: si pensi all’utilizzo ciclico di strumenti come quello di assunzioni di personale in mobilità per ottenere sgravi fiscali, oppure alla chiusura/riapertura di attività, sempre per utilizzare i vantaggi fiscali connessi all’occupazione di lavoratori in mobilità o cig.
Tab. 31 - Imprese registrate nel settore del calzaturiero (DC19) - II trimestre 2003, 2004, 2005 (val. ass. e var. %)
II trimestre 2003
II trimestre 2004
II trimestre 2005
Differenza Var. % 20032003-2005 2005
Marche
5.886
5.786
5.691
-195
-3,3
Ascoli Piceno Macerata
3.506 2.037
3.447 2.005
3.362 2.003
-144 -34
-4,1 -1,7
Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere
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“Non è pensabile che tutta la gente che è rimasta senza lavoro stia a casa, anche perché i marchigiani sono un popolo di lavoratori, da sempre abituati a darsi da fare…. Quelli che stanno in mobilità o cassa integrazione magari aspettano un po’, 2-3 mesi, prima che l’azienda riapra con altro nome e li riassuma tutti, utilizzando tutte le agevolazioni del caso. Anche chi ha perso il lavoro, magari si è messo in proprio, oppure lavora conto terzi per qualche altra azienda … e comunque il fenomeno più evidente è la crescita della cassa integrazione”. “Questi ultimi rappresentano sicuramente uno dei segmenti maggiormente a rischio sommerso, considerando soprattutto l’incremento esponenziale che negli ultimi anni i testimoni territoriali hanno registrato nel comparto”. “Sono 2500 gli operai del manifatturiero in mobilità nella provincia di Macerata di cui circa il 70 % provenienti dal distretto calzaturiero; molte, dall’inizio dell’anno le chiusure di attività di fascia medio bassa, significativa anche la riduzione di personale tramite mobilità e CIGS per le aziende di medie dimensioni. Ricorre alla Cassa Integrazione chi ha deciso di ristrutturare e restare nel settore e nelle Marche, magari riducendo il volume di affari. Quando ci sono le condizioni si ricorre agli incentivi per l’esodo volontario.Molti sono i fallimenti per debiti, dovuti ad una significativa diminuzione del fatturato.”
Per avere un’idea del fenomeno, basti solo considerare che il 2004 si è chiuso con 579.792 ore di cassa integrazione guadagni concesse nella provincia di Ascoli Piceno, con un aumento dell’1,35% rispetto al 2003. In particolare sono diminuite le ore di interventi ordinari (-10%), mentre è aumentata quella degli interventi straordinari (+76%). Le ore di CIGS del settore pelli, cuoio, calzature sono 956.000 (circa il 76% del totale provinciale ripartite nell’82% in gestione ordinaria e il 18% in straordinaria). Le figure prevalenti poste in cassa integrazione sono quelle degli operai. “Si è assistito ad un sempre maggiore ricorso agli strumenti di integrazione salariale, quali la Cassa Integrazione Guadagni che da circa 360.000 ore dell’anno 2001, è passata a poco meno di 800.000 ore nel 2002 e a quasi 900.000 ore nei soli primi nove mesi del 2003, nelle province di Macerata e Ascoli Piceno, senza considerare gli artigiani e le imprese di più piccole dimensioni. Nel settore si parla di almeno 2.000 posti di lavoro in meno, ai quali si aggiungono altrettante perdite negli altri comparti produttivi”.
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Tab. 32 – Numero di ore di cassa integrazione, per tipologia, Marche, 2004 (v.a.)
Province
Ancona Ascoli Piceno Macerata Pesaro Totale regionale
Gestione ordinaria Interventi ordinari espressi in ore
255.812 545.489 260.086 88.868 1.150.255
Gestione ordinaria Interventi straordinari espressi in ore
67.699 34.303 23.672 37.147 162.791
Totale
323.481 579.792 283.758 126.015 1.313.046
Fonte: elaborazione su dati Inps, 2005
“La percentuale di lavoratori in cassa integrazione è elevatissima ed il fatto preoccupante è che da tempo le persone con un’età prossima alla pensione sono già state agevolate ad uscire dalle aziende. L’età dei cassa integrati è compresa tra i 40 ed i 45 anni. Questa è un’età critica perché spesso sono in essere mutui per la casa, i figli hanno esigenze elevate ma non sono autosufficienti economicamente, per non parlare della riduzione dei contributi a fini pensionistici i cui effetti misureremo tra diversi anni. Le famiglie erano quasi tutte pluri reddito e si trovano oggi a dover vivere con una riduzione di entrate”.
I lavoratori in mobilità sono spesso espulsi da aziende in crisi e, attraverso un accordo sindacale, vengono riassunti dalla stessa impresa. Il fenomeno è irregolare e si giustifica con il tentativo di mantenere uno stato sociale già duramente provato. Se è pur vero che il mercato procede a strappi è altrettanto vero che fare ricorso a strumenti straordinari in maniera continuata non consente una competizione regolare né verso le altre aziende del territorio né nei confronti di aziende concorrenti di altre regioni italiane. Gli altri lavoratori espulsi da aziende del settore in crisi che non vengono immediatamente riassorbiti nel mercato del lavoro spesso hanno la convenienza a lavorare in nero ed attendere un’eventuale assunzione per non uscire dalla lista di mobilità e per usufruire per tutto il periodo del salario di sostegno. Tra questi vi sono i baby pensionati che ufficialmente sono fuori dall’azienda ma che operano come consulenti sia occasionalmente che stabilmente.
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3.2.4. Lavoro immigrato ed imprese etniche: le nuove frontiere del sommerso che avanza Al di là dei fenomeni descritti, e che vedono il distretto fermano maceratese ancora fortemente caratterizzato da un sommerso tradizionale, che si insinua in alcuni meccanismi retributivi e coinvolge specifiche tipologie di soggetti, molti testimoni locali sottolineano come negli ultimi anni vi sia stata una crescita significativa del sommerso “immigrato”, sia d’impresa che, soprattutto di lavoro. Un sommerso quest’ultimo, a detta di molti ancora più in crescita, per via dell’inadeguatezza del decreto flussi a soddisfare i fabbisogni di manodopera che, malgrado la crisi, provengono dalle aziende del settore. “La Provincia di Macerata è la prima per numero di immigrati regolari nelle Marche nonostante sia la meno numerosa…L’impatto della Bossi Fini è stato devastante nel settore calzaturiero poiché nella realtà dei fatti ha creato un’ampia fascia di lavoratori in nero perché clandestini in attesa di regolarizzazione. Spesso gli imprenditori chiedono di mettere in regola gli immigrati ma la normativa non consente l’assunzione. Ad esempio il flusso di lavoratori regolarizzabili previsto per il 2005 è di 180 unità a fronte di 3500 domande pervenute fino ad oggi (siamo a metà anno). Di questi 3400 sono già qui clandestini. Basterebbe controllare la domanda per capire che il lavoratore straniero è già qui. La Bossi Fini è una legge ideologica e non adatta a risolvere i problemi. Di fronte alla necessità urgente di assumere lavoratori di bassa qualifica, come potrebbero essere anche gli immigrati,la Bossi Fini diviene un ostacolo”. “Le 180 persone straniere regolarizzabili per il decreto flussi sono suddivise tra i paesi con i quali l’Italia ha un accordo. Abbiamo una capacità complessiva di accoglienza per 20 persone provenienti da paesi senza un accordo tra queste per esempio Romania ed Ucraina, che sono due etnie con la maggior presenza a Macerata con 2844 unità. Per cui se anche tutti i posti assegnabili fossero dati a cittadini di questi due paesi ne resterebbero 2824 clandestini, senza possibilità di lavorare in maniera regolare”.
Il lavoro immigrato: un fenomeno relativamente recente Si tratta di un fenomeno, quello immigratorio, che del resto nelle Marche ha una storia abbastanza recente, riconducibile ai primi anni ’80. E’ possibile scandire la storia dell’immigrazione straniera nelle Marche in almeno quattro fasi. Nella prima fase, che va dalla metà degli anni ’70 alla
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metà degli anni ’80, non si registra una presenza particolarmente significativa di stranieri. Si tratta molto spesso di alcuni studenti universitari (greci), presenti talvolta anche per motivi politici (iraniani). Il mercato del lavoro locale è poco interessato dalla presenza dei nuovi venuti e gli inserimenti avvengono soprattutto nel settore della pesca, in particolare con i tunisini, e del turismo sulla costa. Inizia a diffondersi anche l’attività di ambulantato, che interessa in particolare i marocchini. La seconda fase si situa invece a cavallo fra la seconda parte degli anni ’80 e i primi anni ’90, in buona parte coincidendo con la prima regolazione nazionale e le relative sanatorie del 1987 e del 1990. Grazie a tale processo di regolarizzazione si verifica un’emersione complessiva del fenomeno migratorio, che inizia ad assumere caratteri di maggiore stabilità. Dal censimento Istat del 1991 risulta come gli immigrati stranieri fossero circa 10.500, pari a circa l’1,1% della popolazione marchigiana. Il profilo socioanagrafico dell’immigrato diventa più complesso: aumentano il numero di persone presenti per motivi di lavoro, così come la presenza femminile (in particolare nelle occupazioni relative alla cura della persona ) e quella di soggetti provenienti da paesi in via di sviluppo. Tendono quindi ad irrobustirsi le presenze di gruppi provenienti dall’Africa, dall’America Latina e dall’Est Europa. I marocchini diventano il gruppo più rilevante in termini occupazionali e più in generale inizia un lento processo di diffusione sul territorio a partire dalla costa verso le zone collinari dell’entroterra. Sotto il profilo del mercato del lavoro si inizia a registrare a partire dalla fine degli anni ’80 un processo di inserimento più strutturato nei settori e nei rami economici più rilevanti dell’economia marchigiana, quali ad esempio i distretti industriali, specialmente nei campi del mobile e della calzatura. La terza fase si delinea a partire dal 1993-94 ed è caratterizzata fondamentalmente da un processo di crescente radicamento del fenomeno migratorio sul territorio marchigiano, con l’arrivo di famiglie intere, una maggiore durata dei soggiorni e un maggior tasso di attività. È un momento, da un lato di radicamento e di strutturazione, dall’altro di “rincorsa” e di avvicinamento alle caratteristiche del modello nazionale di immigrazione. Le caratteristiche assunte infatti da tale fenomeno nel territorio marchigiano, se in buona sostanza rispecchiano un trend più generale di progressivo inserimento degli immigrati stranieri nel territorio italiano, mostrano anche come tali processi avvengano in maniera più circoscritta.
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A partire dalla fine degli anni ’90 si può individuare una nuova quarta fase, che si caratterizza per la fine del processo di “avvicinamento” alla situazione media nazionale e per l’avvio di un nuovo fenomeno di maggiore crescita relativa dell’immigrazione nelle Marche. Per quanto riguarda i dati sull’immigrazione per le due province interessate da questo studio, Macerata raggiunge percentuali relativamente sostenute (3,8%), mentre Ascoli Piceno presenta un valore relativamente più contenuto (2.2%). Complessivamente nel corso degli anni ’90 è Macerata la provincia che ha visto più crescere in termini relativi il fenomeno migratorio, con un tasso di incremento dal 1991 al 2000 del 34,3%. Lavoro immigrato: tra irregolarità e clandestinità Ma dove lavorano gli immigrati? Tendono ad essere maggiormente concentrati nell’industria ed in particolare nelle aree distrettuali e nei relativi sistemi locali del lavoro. Non a caso infatti le quattro maggiori aree di insediamento degli immigrati (zona collinare ed entroterra pesarese e maceratese, il fabrianese, la zona costiera e collinare a cavallo fra il fermano ed il maceratese) coincidono in buona parte con alcuni dei principali distretti (legno, calzatura e meccanica) e sistemi locali del lavoro marchigiani orientati alla produzione industriale più che di servizi. Nel caso delle due prime zone (pesarese e maceratese) inoltre la presenza di immigrati sembra essere attirata non solo dalle chances lavorative in loco ma anche dalle migliori opportunità abitative rispetto ai capoluoghi di provincia, che comunque non risultano troppo lontani. Una comparazione fra le Province per ramo di attività mostra come sia soprattutto nel maceratese che le imprese industriali, non di tipo artigiano, ricorrano ad immigrati, visto che circa il 40% di esse ne annovera al proprio interno. L’analisi dal punto di vista dell’offerta di lavoro da parte degli immigrati rivela che nella Provincia di Macerata il 77% dei lavoratori immigrati è impiegato nel settore industriale, e all’interno di questo raggruppamento, un quarto lavora presso imprese artigiane.
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Tab. 33 – Distribuzione degli immigrati per settore di attività, 2005 (val. %)
Agricoltura Industria di cui artigianato Commercio Amministrazioni statali Credito Enti pubblici Lavoratori domestici Totale
Ancona
Ascoli Piceno
7 64 20 18 0 0 0 11 100
7 71 27 15 1 0 0 7 100
Macerata
5 77 28 12 0 0 0 6 100
Pesaro Urbino
Marche
2 80 27 12 0 0 0 6 100
5 73 25 14 0 0 0 8 100
Fonte: elaborazione su dati INPS, 2005
L’analisi dell’occupazione per ramo di attività mostra che oltre un quarto dei lavoratori immigrati in provincia di Ascoli Piceno e poco più di un quinto in quella maceratese sono inseriti nel ramo delle calzature e delle pelli. “Molti immigrati lavorano nel calzaturiero ed in prevalenza nei suolifici. Lavoro duro, in ambiente problematico, dove si attua il ciclo continuo e che per questo non è ambito dagli italiani. Ci sono temperature elevate e sostanze nocive quali il poliuretano”.
Come anticipato, tuttavia, un’ampia fetta di lavoro immigrato, si colloca nell’area del sommerso. Anche se da questo punto di vista, il quadro che emerge in proposito dalle interviste agli attori locali è variegato e per alcuni aspetti contrastante. Da un lato infatti, vi è chi sostiene che il fenomeno sia comunque contenuto, quantomeno rispetto alle forme di irregolarità che interessano i lavoratori stranieri, “Gli immigrati non lavorano in nero. Sono a libro paga. Non avranno il fuori busta che è molto esteso per le figure più professionalizzate, ma sono regolarmente assunti.La Bossi Fini ha creato qualche difficoltà agli imprenditori in quanto è necessario garantire al lavoratore straniero il rientro nella propria nazione, la casa. Si deve garantire il biglietto di ritorno, ci si deve accertare che abbia un abitazione decente...”.
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dall’altro che sostiene che invece, soprattutto sul fronte del lavoro clandestino, la situazione sia peggiorata: “Prima c’era una cooperazione tra imprese ed istituzioni nelle politiche abitative per aiutare gli immigrati perché servivano alle imprese. Comune ed associazione industriali si erano coalizzate per accogliere senza aggravare ulteriormente le imprese. La Bossi-Fini ha aggravato la situazione”. “Sono in aumento i clandestini. Non solo coloro che giungono nel nostro paese nella speranza di trovare fortuna ma è anche in aumento il numero di immigrati che da una condizione di legalità in quanto regolarmente assunti, diventano clandestini perché rimangono senza lavoro e di conseguenza sono senza permesso di soggiorno. Questa condizione favorisce anzi costringe a svolgere lavoro nero e talvolta attività di microcriminalità”.
Un fenomeno, quello della clandestinità, che presenta frequentemente sovrapposizioni con episodi di criminalità. Secondo lo studio condotto nel 2004 dalla Prefettura di Macerata sul fenomeno immigrazione nella Provincia, nel territorio maceratese sono diffusi diversi fenomeni di criminalità strettamente connessi al lavoro irregolare. Il primo fenomeno è quello degli “overstayer”, ossia della presenza illegale degli stranieri che, entrati regolarmente in Italia, vi rimangono anche dopo la scadenza dell’autorizzazione al soggiorno. Questo riguarda principalmente stranieri provenienti dall’Est europeo che entrano nel nostro paese attraverso le frontiere interne della Comunità Europea e vanno ad alimentare il lavoro irregolare soprattutto nell’ambito della collaborazione domestica, dell’edilizia e dell’agricoltura. Altri fenomeni noti sono il commercio abusivo di cd e dvd, praticato soprattutto dai cittadini senegalesi e marocchini; l’impiego, nell’economia locale, di lavoratori stranieri clandestini, utilizzati soprattutto nel settore calzaturiero, della lavorazione del pellame e dell’abbigliamento. Altro problema lungo la fascia costiera è l’accattonaggio obbligato, in cui sono coinvolti bambini nomadi di origine rom mentre una percentuale minore coinvolge minori di nazionalità marocchina e albanese. Si sono evidenziati episodi di violazione delle norme sul lavoro minorile: i minorenni vengono soprattutto impiegati nelle pelletterie e nei calzaturifici clandestini; le cause di questa illegalità sono certamente da ricondurre alla povertà, all’emarginazione, ad una scarsa “cultura della legalità” da parte degli adulti.
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Anche la prostituzione, in provincia, è quasi esclusivamente straniera: numerosi e continuativi interventi sono stati effettuati nella zona di Civitanova Marche e si sono conclusi con l’adozione di provvedimenti di espulsione nei confronti delle prostitute, soprattutto albanesi, nigeriane, ceche, rumene e russe. La presenza delle masse migratorie clandestine ha anche inciso in maniera significativa sulla cosiddetta microcriminalità da strada, con un aumento dei reati contro il patrimonio. Le indagini di polizia hanno rilevato che vi è la presenza di una criminalità multi-etnica, tra cui spicca quella albanese, cinese, tunisina e nigeriana. L’imprenditoria etnica: i cinesi Altro fenomeno emergente, la cui entità è ancora impossibile da verificare, è l’emergenza anche nell’ambito del distretto calzaturiero di un’imprenditoria etnica, prevalentemente cinese, che vive e produce all’ombra della più completa informalità. “Hanno diverse aziende concorrenti nel territorio. Lavorano sempre, anche di notte. Sono velocissimi nelle consegne, con costi di circa la metà. Qualche azienda è in regola ma il lavoro è ininterrotto. Le Condizioni di lavoro sono quelle “cinesi” del tutto fuori legge qui da noi. Qualche italiano ha provato ad essere assunto in una ditta cinese ma non ha retto”. “L’immigrazione cinese, specializzata su taglio ed orlatura, opera in laboratori spesso non in regola, non iscritti alla camera di commercio e con lavoratori del tutto irregolari. Questo crea tensione sociale, in quanto molto spesso è conveniente rivolgersi a loro per abbattere i costi. Le piccole aziende decentrano la produzione rivolgendosi a tomaifici cinesi risparmiando almeno il 50%. I controlli periodici fotografano costantemente situazioni di irregolarità”. “L’economia sommersa è in crescita. I lavoratori cinesi sono in aumento. Hanno ditte e laboratori. Fanno sia i terzisti che il prodotto finale.”
Quello dei cinesi, sembra rappresentare, stando ai racconti di imprenditori e testimoni locali, un mercato del lavoro del tutto sommerso. La loro presenza si sta strutturando sul territorio, offrendo sia contoterzismo per prodotti di fascia medio bassa che un prodotto finito. La maggioranza dei cinesi lavora in quella fase di processo produttivo più pesante e dove l’ambiente di lavoro è meno salubre: concia delle pelli, tomaifici. Ma sono attivi anche nel taglio ed orlatura. Le condizioni di lavoro secondo gli intervistati sono carenti nei minimi requisiti di sicurezza e non rispettano nessuna norma contrattuale in
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fatto di orari, turni, riposi. La comunità cinese molto coesa e chiusa verso l’esterno ha una disponibilità di denaro elevata ed è in grado di rilevare attività a marchio italiano offrendo in contanti cifre significative per rilevare imprese in crisi. Non è facile capire il reale numero di presenze cinesi nel distretto. Certo è che nessuno di questi si rivolge ai centri per l’impiego, nè transita dalle banche tradizionali per sostenere nuova imprenditorialità. I cinesi hanno infatti una banca propria che viene gestita da un gruppo di saggi che dirigono la comunità cinese e ne decidono le politiche di sviluppo. Il versamento alla banca è obbligatorio da parte di tutti i cinesi presenti nella comunità. Il prestito da parte della banca cinese è concesso ad estrazione ad uno dei potenziali nuovi imprenditori che si impegna non solo alla restituzione del capitale, ma anche all’impiego di un certo numero di persone connazionali nella sua attività, richiamando anche dalla patria parenti che per ripagare l’imprenditore delle spese per il viaggio, il vitto e l’alloggio, lavoreranno gratis per almeno un paio d’anni.
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3.3. Il tessile abbigliamento del Pesarese
3.3.1. L’identità del tessile-abbigliamento L’alto pesarese costituisce una delle aree a più alta densità di imprese di abbigliamento della Regione. Un’area la cui identità appare oggi fortemente in bilico, tra una dimensione formale, relativa al riconoscimento del distretto di Urbania – ottenuto in ritardo rispetto alla nascita – e una dimensione sostanziale che attiene invece alle difficoltà che il distretto sta attraversando da qualche anno a questa parte, e che ne sta mettendo in discussione la stessa sopravvivenza. Nel 2004 erano circa 800 le imprese del tessile e di confezionamento di articoli di vestiario registrate ed attive, per un totale di circa 4000 unità: poca cosa se confrontati ai 12.000 addetti di soli trent’anni fa. Le aziende che hanno chiuso sono più della metà. Ciononostante è indubbio che il distretto presenta di fatto tutte le caratteristiche e le dinamiche tipiche di questo modello di sviluppo; imprese di piccole dimensioni, know how diffuso, flessibilità. In più l’area, e il distretto di Urbania in particolare, si caratterizza per una particolare capacità di innovazione e ricerca che avviene in maniera congiunta tra aziende produttrici e aziende di servizi, in particolare lavanderie, tintorie e stirerie industriali. L’area interessata di estende per 140 Kmq, tra i comuni di Urbania, Fermignano e Peglio. Si estende prevalentemente nell’entroterra ma trova sbocco a mare a Fano. E’ considerata la Valle del jeans in quanto una trentina di stabilimenti ogni anno producono, lavano, stirano e commercializzano milioni di jeans per i marchi più famosi. Si tratta prevalentemente di imprenditori terzisti che lavorano su commessa e che formano una filiera specializzata in assemblaggio del jeans che parte dalla ricerca e progettazione, per passare al lavaggio con la sabbiatura a base di quarzo che conferisce l’effetto “Denim”, alla stiratura della quale si occupano una decina di aziende che arrivano a lavorare tremila capi al giorno ciascuna. Considerando che quasi tutte le imprese presenti sono terziste, a collocare il prodotto pensano in buona parte le società milanesi di commercializzazione specializzate nel procurare clienti in particolare all'estero. Sono poche le
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aziende dotate di un marchio proprio in grado di organizzare direttamente anche la fase di commercializzazione. La storia della Jeans Valley, è piuttosto bizzarra. Inizia negli anni 60 ad opera di don Corrado Cattini che con l’Opera Diocesana di Assistenza impiegò molte contadine nelle prime lavorazioni tessili. Una manodopera femminile strappata alle attività agricole ed a quelle casalinghe. Una fase con molto lavoro non regolare teso a lanciare il settore e a consolidare le neonate aziende che via via si insediavano in valle. Da allora, il percorso di vita delle imprese è rimasto più o meno lo stesso: la nascita per gemmazione dall’impresa madre, l’avvio dell’attività come façonista per un unico committente, poi l’attività di terzista per più committenti. Altra caratteristica del distretto è un’organizzazione a ciclo breve che va dalla ricerca ed innovazione, al design e confezione del capo finito. L’organizzazione del lavoro è flessibile con forti interazioni tra personale interno ed esterno all’azienda. Molti produttori collaborano alla progettazione dei capi con aziende estere, e mentre prima questo era uno dei luoghi del decentramento produttivo per il basso costo della manodopera, adesso sono le aziende stesse del distretto a decentrare la loro produzione nel sud Italia ed all'estero, Nord Africa e Malta in particolare, con nuovo interesse per i paesi dell’Est europeo, Romania in testa. 3.3.2. Alle origini del sommerso Come è facile immaginare, molti sono i punti di contatto che accomunano la realtà del distretto fermano-maceratese a quella del tessile-abbigliamento pesarese. Non solo le modalità di sviluppo, la struttura delle relazioni intradistrettuali, la difficile fase congiunturale, ma anche la presenza di una fetta significativa di economia informale, che ha rivestito, nel tessile come nel calzaturiero, un ruolo decisamente importante nella genesi del distretto. Ad oggi, tuttavia, secondo i colloqui effettuati con imprenditori e testimoni privilegiati, il sommerso rappresenta una realtà abbastanza residuale, non fosse altro perché l’attenzione degli operatori è principalmente rivolta alla sopravvivenza del settore, dal momento che negli ultimi due anni il distretto ha perso il 53% di lavoratori ed il 55% delle aziende del settore.
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Tuttavia, alla richiesta di indicare i fattori che contribuiscono a produrre sommerso nell’area, gli intervistati concordano nell’individuarne almeno tre: il fatto che l’economia locale sia un’economia che vive quasi esclusivamente di subfornitura, la stagionalità che caratterizza questo tipo di produzione, e gli effetti prodotti dalla crisi. Un’economia di subfornitura Il tratto più caratteristico del comparto confezioni è rappresentato, come accennato, dal fatto che il tessuto produttivo vive prevalentemente di attività di contoterzismo per poche aziende del distretto, e molte aziende fuori distretto. Si tratta di un dato di struttura che incide profondamente sui livelli di regolarità dell’area. La stessa organizzazione della catena produttiva, con la frammentazione di fasi e processi in una miriade di piccoli soggetti, tra cui ancora numerosi lavoranti a domicilio, abbassa la soglia di regolarità del lavoro, dando origine a quella specifica forma di sommerso che è il sommerso distrettuale: dove, a partire dalle imprese più grandi, poste al vertice della filiera, fino al sottobosco di piccole e piccolissime imprese, ci si trova di fronte un tessuto imprenditoriale ancora dimezzato dall’assenza di una funzione di distribuzione e commercializzazione del prodotto. L’esiguo numero di imprese in grado di stare sul mercato con marchio proprio, costituisce il principale fattore di alimento del sommerso. La logica di profitto (tipica del contoterzismo) impostata sulla sola riduzione dei costi, impedisce infatti alle imprese di creare accumulazione di capitale per crescere, e le induce, per incrementare i margini di profitto, a ridurre i costi in due modi: riducendo il costo del fattore lavoro attraverso il ricorso al sommerso; subappaltando la produzione e scaricando il rischio sommerso sugli anelli più deboli della catena produttiva. “Tendenzialmente non c’è molto lavoro sommerso, se con il termine si intende il lavoro totalmente irregolare. Tuttavia nelle imprese di piccole dimensioni, con 3-5 addetti, è possibile trovare situazioni di irregolarità totale”.
Stagionalità della produzione e specificità del prodotto jeans L’altro fattore, che incide sulla dimensione del sommerso è rappresentato dalla specifica tipologia di lavorazione che viene effettuata nell’area. Da un lato, è da sottolineare come già di per sé la struttura del comparto confezioni, caratterizzata da elevata stagionalità con picchi di produzione
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nel corso dell’anno, stimola la domanda, da parte delle imprese, di lavoro irregolare, per ovviare ad un fabbisogno di manodopera, specifico per 3-4 mesi all’anno. In tale contesto, è molto possibile che le imprese ricorrano a lavoratori “stagionali”, personale che non è interessato o non può lavorare stabilmente in azienda, composto generalmente da pensionati (spesso ex dipendenti delle aziende) lavoratori in mobilità o cassaintegrazione, che non vogliono perdere i sussidi di cui beneficiano, clandestini o lavoratori immigrati. Si tratta tuttavia di un lavoro irregolare per lo più stagionale, quasi fisiologico nel comparto, che tende a rientrare in fase di normalizzazione della produzione. Vi è tuttavia un altro fattore che, con specifico riferimento al tipo di prodotto realizzato nella zona, contribuisce ad alimentare il sommerso, ed attiene alla estrema parcellizzazione del ciclo produttivo dei jeans. “Il prodotto jeans ed il casual è dal punto di vista della produzione facilmente imitabile e, se non fosse per l’alto valore aggiunto che la moda richiede, sarebbe già completamente decentrato in Cina, Romania e Bangladesh. Tuttavia, nel distretto si è ormai raggiunta una notevole specializzazione nelle tecniche di lavorazione. Il prodotto richiede un alto valore aggiunto sia in design che in tecnologie che difficilmente può essere trovato se non in presenza di una filiera specializzata in ricerca ed innovazione di prodotto”.
Il jeans trattato che ora viene proposto dai grandi marchi subisce fino a tre processi di lavorazione che contemplano un primo assemblaggio e lavaggio per l’effetto denim, un secondo assemblaggio e lavaggio per gli effetti speciali e talvolta si arriva ad un terzo passaggio per raggiungere l’effetto desiderato sul capo. Queste lavorazioni, dettate solo dalle tendenze della moda, alimentano una filiera che vede coinvolte ditte di produzione, lavanderie, stirerie e applicazioni di accessori, estremamente articolata, all’interno della quale è possibile che i numerosi “passaggi di fase” generino ricorso a forme di lavoro irregolare. Tanto più, come nel caso delle stirerie e lavanderie, le professionalità coinvolte nei processi produttivi risultano poco o nulla qualificate. “Il jeans oggi è un prodotto complesso che richiede lavorazioni aggiuntive. Oltre a questo richiede trattamenti e lavorazioni particolari nei quali l’Italia è leader. Questi trattamenti sarebbero fattibili anche in Cina o altrove ma serve creatività e costanza di qualità che gli altri paesi non riescono a garantire. Solo in Italia si può avere un alto numero di pezzi tutti con alta qualità”.
A ciò si aggiunga che i processi descritti sono spesso frutto di ricerche minuziose svolte congiuntamente dalle aziende produttrici, e professionisti
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del settore. Spesso anche lo studio del design del capo viene svolto insieme alla società che ha ordinato il capo. Vengono create delle unità di lavoro dedicate ai singoli prodotti da creare ai quali partecipano esperti di produzione, design, denim. “Qui nella zona oramai si è raggiunta un ottimo livello di produzione. I capi di casual sono studiati da designer che hanno l’obiettivo di esasperare al massimo le tecnologie produttive e l’arte. Nascono quindi capi che prevedono inserti in pelle, con aggiunte di perline, borchie, cerniere, veli, catene ed altri abbellimenti che costringono la produzione a lavorazioni su più fasi. Alcuni effetti si ottengono ricorrendo a particolari processi di stiratura dei capi. L’accessoristica viene applicata ricorrendo spesso a lavoratrici a domicilio. Il fenomeno è in aumento perché i jeans ed il casual so arricchiscono sempre di più accessori”.
Tale trasformazione del prodotto incide sulla stessa organizzazione del lavoro interna alle aziende, che ha assistito in questi ultimi anni allo sviluppo di nuove professionalità – designer, stilisti, brand manager – difficilmente inquadrabili con formule standard di lavoro, e che operano per lo più come consulenti. E’ proprio nella crescita di queste nuove figure professionali che si stanno sviluppando forme di lavoro irregolare del tutto nuove, molte delle quali a confine con il lavoro flessibile “Il ciclo produttivo è breve e quindi bisogna spostare il prodotto molto rapidamente. Per le nuove collezioni vengono reclutate figure specifiche, che hanno il compito di studiare e lanciare il prodotto, e che lavorano su singoli progetti. Molti sono consulenti con P. Iva, altri vengono inseriti in azienda con contratti a progetto, anche perché in molti casi si tratta di giovani”.
La crisi congiunturale e l’impatto delle delocalizzazioni L’altro fattore che sta attualmente incidendo sull’evoluzione del sommerso locale, è rappresentato dalla crisi congiunturale che ha colpito il comparto moda italiano, con evidenti effetti anche su questa importante realtà produttiva marchigiana. La crisi degli ordinativi, delle vendite, segnata da un crollo delle esportazioni del 2,6% al primo trimestre 2005, la bassa competitività delle imprese, sono i segnali di un manifatturiero che arranca, sempre all’inseguimento di un mercato volubile e schizofrenico. E’ un distretto, quello delle confezioni che ha risentito in pieno degli effetti della globalizzazione, dal momento che molte imprese committenti del territorio hanno spostato la produzione all’estero.
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“La delocalizzazione dal Veneto nelle Marche ha portato lavoro negli anni 70, ha portato qui Carrera, Benetton, Armani, ma oggi queste stesse grandi aziende hanno delocalizzato in altri paesi e questo sta penalizzando il settore”. “Il grosso della produzione avviene all’estero. In loco si sviluppano le linee per i campioni e le produzioni specifiche. Dal punto di vista lavorativo dagli iniziali 12000 addetti degli anni 70 si è passati oggi a circa 4000, gli altri 8000 si sono diversificati in altri settori”. “Nel 2004 hanno chiuso molte piccole imprese che hanno cessato l’attività per diverse ragioni: poco margine, difficoltà a trovare committenti, chiusure temporanee per attendere tempi migliori”.
Si tratta di un fenomeno, quello della delocalizzazione, che ha impattato profondamente sul distretto, mettendo innanzitutto sotto scacco tutta quella miriade di imprese, spesso border line, che si sono trovate espulse dal mercato, o costringendo le stesse, per continuare a risultare competitive sotto il profilo dei costi, a contenere i costi di produzione, riducendo la soglia di regolarità del lavoro, “Le aziende con più di 50 dipendenti, che hanno avuto la possibilità di creare e rafforzare il proprio marchio alla fine degli anni ‘90 oggi sono ben posizionate sul mercato e se pur in presenza di una crisi di vendita sia sul mercato interno che su quello internazionale, stanno reggendo bene con una lieve contrazione del fatturato. Le piccole aziende contoterziste sono invece ormai chiuse e sono sopravvissute solo le aziende capaci di produrre alto valore aggiunto”. “Nel bilancio nata mortalità delle aziende quindi il fenomeno non appare ma le ditte sono diminuite. Ex dipendenti fanno da prestanome per aprire nuove società (fenomeno delle scatole cinesi)”.
e dall’altro, riversando sul mercato del lavoro un’offerta di manodopera, disposta, pur di lavorare, a farlo in nero. “Il ricorso alla legge 236 per iscrizione a liste di mobilità per le imprese sopra i 15 dipendenti è ricorrente. La quota di persone in mobilità viene ripescata dalle nuove aziende”. “Per i lavoratori entrati nel settore negli anni 70 ci sono state le condizioni per un accompagnamento alla pensione attraverso Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria e Mobilità prima della riforma del sistema pensionistico. Si è trattato di circa la metà delle persone. Ora l’espulsione delle lavoratrici avviene in età difficile, tra i 35-45 anni”. “Solo 10 casi di cinquantenni hanno visto l’accompagnamento attraverso la mobilità alla pensione. Non si è fatto ricorso alla mobilità lunga….Nelle aziende non vi è da anni il rimpiazzo di chi va in pensione”.
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E’ da sottolineare, in particolare, sotto questo profilo la crescita del numero di cassaintegrati e lavoratori in mobilità, che rappresentano, sotto il profilo dell’offerta di lavoro irregolare, un segmento particolarmente “sensibile”. “Il crollo dell’occupazione, la crisi che ha colpito le imprese ha spinto i sindacati a siglare accordi con aziende che pongono in mobilità decine di lavoratori con la promessa di riassumerli per poter beneficiare degli sgravi fiscali. L’azione di supplenza che stanno svolgendo i sindacati è ammirevole perché tesa a salvaguardare l’occupazione, il settore, il distretto; ma questa tipologia di intervento manifesta i propri limiti nella mancanza di un disegno strategico che solo una corretta politica locale dovrebbe offrire. L’utilizzo di strumenti quali la cassa integrazione e la mobilità sono un costo che grava sulla collettività e che rischia solo di tamponare situazioni destinate comunque al fallimento in un contesto privo di una gestione politica settoriale. Consentire alle aziende del distretto di utilizzare lavoratori in mobilità aiuta nel breve ad essere competitivi ma crea disparità nella determinazione del costo del lavoro tra aziende concorrenti collocate in diverse aree del territorio. Abitua inoltre alcuni imprenditori a cercare scorciatoie, offrendo loro benefici a scapito di altri imprenditori che a proprie spese hanno innovato ed investito nei modi e nei tempi corretti”. “Infine creare e mantenere un bacino di circa ottomila persone qualificate per il settore tessile abbigliamento, concentrato in un’area ben delimitata, in cassa integrazione e mobilità favorisce fenomeni di doppio lavoro e di lavoro non regolare… Gli effetti di queste azioni tendono a salvaguardare la presenza del tessile abbigliamento nel distretto, i lavoratori e le competenze diffuse che il territorio possiede. Secondo gli esperti il settore del tessile abbigliamento si stabilizzerà intorno ai 3500-4000 addetti e non sparirà dal distretto. Per questo servono interventi di progettazione politica all’interno dei quali inserire le iniziative delle parti sociali”.
Ma se da un lato il contoterzismo locale si è trovato a dover fare i conti con la competizione internazionale, dall’altro, una delle risposte alla globalizzazione è stato l’innalzamento della fascia media di prodotto e la continua richiesta di produzioni ad alto valore aggiunto, che ha reso ancora più competitive le poche aziende contoterziste rimaste che avevano fatto una scelta di qualità, optando per prodotti ad alto contenuto di innovazione e ricerca. “Nel distretto di fatto sono sopravvissute le aziende italiane che sono riuscite ad affermarsi qualche anno fa sul mercato con il proprio marchio, che hanno puntato su prodotti di medio alta qualità; solo queste, che hanno saputo caratterizzare il proprio prodotto evidenziandone l’unicità, sono riuscite a non essere travolte dai mutamenti in corso. Le aziende che hanno puntato ad essere competitive sul prezzo rimanendo su fasce di prodotto medio basso si sono trovate in concorrenza con le società di mezzo mondo in grado di fare prezzi più bassi. Si è scatenata quindi la rincorsa a ridurre i prezzi abbassando i costi principali ovvero quelli del personale. Si è quindi sempre più spesso fatto ricorso a lavoro parzialmente regolare o totalmente irregolare ma tutto è stato inutile. Non è infatti
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possibile competere su questo terreno e le società sono ormai chiuse. Sono infatti più di metà le aziende del settore che hanno chiuso negli ultimi anni”. “Un caso positivo è quello che ha interessato alcune aziende del comparto maglieria, altro settore in forte crisi, che hanno tuttavia fatto una scelta di qualità. E’ il caso dello stile “Missoni” in grado di creare bobine di filati multicolori di 8 fili, cosa che non tutti sanno fare e che richiede macchine particolari. Le macchine da cucire di ultima generazione, di produzione tedesca e giapponese, sono in grado di realizzare capi senza punti di giunzione. La maglieria prodotta in questo modo diventa di difficile imitazione da parte della maggior parte dei paesi concorrenti, ma per riuscire a sfruttare al massimo questi sofisticati macchinari è necessario utilizzare esperti cad, ricercatissimi sul mercato, ed utilizzare postazioni informatiche molto costose e dalla rapida obsolescenza. Ogni tre anni è necessario rinnovarsi per tenere il passo con la concorrenza. Inoltre le continue tendenze della moda costringono le aziende di abbigliamento a tenere anche macchine obsolete perché particolari processi oggi non in uso potrebbero essere richiesti in futuro o a ricorrere a lavoratori a domicilio in possesso dei vecchi macchinari. Questo fatto richiede abbondante spazio in azienda per poter mantenere nuovi e vecchi macchinari e favorisce il ricorso al lavoro a domicilio che risulta aumentato in questi ultimi anni. Le aziende di maglieria si sono ridotte notevolmente e sono sopravvissute solo quelle che hanno un proprio brand, fanno prodotti di qualità medio alta e producono pezzi da boutique ed hanno sbocco diretto sui mercati internazionali dove pur soffrendo più che in passato mantengono le posizioni acquisite in passato. In questo caso gioca contro il settore anche l’innalzamento del clima che non obbliga più ad indossare quotidianamente maglioni”.
3.3.3. Il sommerso: chi e come L’irregolarità di lavoro: dal sommerso totale ai fuoribusta Stando ai colloqui effettuati con i testimoni locali, il lavoro totalmente irregolare sarebbe un fenomeno abbastanza contenuto, che interessa esclusivamente alcune tipologie di lavoratori. Tra questi, come già anticipato, rientrano sia i pensionati, che vengono chiamati dalle aziende per coprire i picchi di lavoro, e cassaintegrati e lavoratori in mobilità che, similmente a quanto avviene nel comparto calzaturiero fermano maceratese, si trovano nella situazione di poter cumulare benefici e reddito da lavoro sommerso. Sono soggetti che spesso lavorano a domicilio, se è vero quanto affermato da alcuni sindacalisti dell’area, che questa forma di lavoro coinvolge circa il 10% della manodopera locale del settore. Ed è qui, che il sommerso totale tende ad essere più la regola che l’eccezione.
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“Le aziende che agiscono in conto terzi si trovano in una situazione di mercato difficile. Messe in concorrenza con i prezzi delle realtà produttive della Romania, delle aziende cinesi del distretto e con scarso potere contrattuale sui prezzi, per sopravvivere sono costrette a prendere commesse a profitti ridotti, talvolta in perdita. Per ridurre il costo del lavoro e poter accettare la commessa è quindi necessario ridurre il costo del lavoro. L’unica soluzione è quella di ricorrere a lavoratori a domicilio in nero”. “E’ evidente che disporre di un bacino di circa 8000 persone espulse dal settore disponibile a lavorare a domicilio in nero può costituire una soluzione che risponde almeno in parte alle esigenze di ridurre i costi del lavoro. Inoltre se queste persone sono in cassa integrazione o mobilità esiste una reciproca convenienza a lavorare in nero per non perdere privilegi in corso”. “Il 10 per cento della forza lavoro del tessile lavora a domicilio. Le parti sociali hanno provato a combattere il lavoro non regolare ed in particolare il lavoro non completamente regolare creando una banca del tempo e svolgendo nei propri sportelli servizi per dimostrare numeri alla mano il vantaggio del lavoro regolare. Operazione non facile, spesso impossibile perché non esiste nulla di più conveniente che non pagare per nulla le tasse”.
Al di là del lavoro completamente irregolare, i testimoni locali confermano che nelle aziende sono comunque diffuse diverse forme di irregolarità, che hanno trovato nuovi spazi di crescita proprio nell’attuale congiuntura economica, vale a dire: - i fuoribusta, ovvero il pagamento di straordinari, incentivi, totalmente in nero: meccanismo che si fonda sul reciproco interesse di lavoratore e imprenditore; - la dichiarazione di un numero di giornate/ore di lavoro inferiore a quelle realmente effettuate, che consente di contenere l’esborso da parte dell’imprenditore per oneri contributivi; - l’utilizzo improprio degli strumenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani (apprendistato in particolare); - la doppia busta paga, pratica poco diffusa, ma comunque presente, e che consiste nell’erogazione al lavoratore di una retribuzione di fatto inferiore a quella indicata in busta paga. Tale meccanismo consente la totale sicurezza dell’imprenditore rispetto ad eventuali verifiche e controlli; - il mancato rispetto dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi di lavoro.
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“E’ invece aumentata l’attenzione alla busta paga per capire come è formata la retribuzione anche perché ora si paga ad ore e non più a mese per poter pagare il tempo effettivamente lavorato anche in tempi di carenza di commesse….In particolare si ricorre a fuori busta, per pagare gli straordinari o si dichiara uno stipendio in busta diverso da quello reale. Tutti hanno un contratto il lavoro in nero non esiste, solo il grigio è presente”. “Assunzioni firmate contestualmente a dimissioni. Non solo per immigrati ma per tutte le donne”.
Il lavoro professionale tra precariato ed evasione Un’altra tendenza che sta emergendo nel comparto anche se in forma ancora estremamente limitata, è la progressiva sovrapposizione tra flessibilità e lavoro irregolare, che si manifesta sotto due distinte forme, - tramite l’utilizzo di contratti flessibili per regolare rapporti di lavoro spesso subordinati (principalmente collaborazioni a progetto e partita iva); molti lavoratori formalmente autonomi, in realtà risultano completamente inseriti all’interno di un ciclo produttivo molto rigido, che richiede un preciso coordinamento di ogni lavoratore con l’intera produzione; spesso vi è l’utilizzo di forme contrattuali di brevissima durata, nonostante alcune attività prevedono fasi di preparazione molto lunghe, che non vengono in alcun modo riconosciute al lavoratore; - tramite il ricorso al lavoro professionale da parte di soggetti molto qualificati (designer, stilisti, ..) che operano con o senza partita iva, che evadono il fisco parzialmente o del tutto, riuscendo a guadagnare anche cifre altissime. Una tendenza questa più diffusa presso quelle aziende collocate su una fascia di prodotto medio alto, che hanno negli ultimi anni maggiormente investito in processi di innovazione e ricerca per migliorare la qualità del prodotto offerto. “Il lavoro è cambiato in questi anni e oggi iniziano ad essere ricercate figure altamente qualificate. Il costo del lavoro italiano è talmente elevato rispetto a quelli dei grandi concorrenti internazionali che solo poche persone fanno parte dell’organigramma di una società in maniera stabile. Sono coloro in grado di garantire all’azienda un vantaggio competitivo. In qualche caso sono consulenti indipendenti ma più spesso le aziende preferiscono avere un contratto a tempo indeterminato per avere un legame più forte. Tutte le altre persone vengono assunte con contratti di lavoro a tempo determinato, o sfruttando le molte forme di lavoro più o meno precario offerti dalla legge 30 su incarichi non strategici. In questo modo un’azienda ruota su 5-6 figure di riferimento e tutti gli altri ruotano attorno a questi in maniera flessibile.
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Il problema che le parti sociali stanno riscontrando da tempo è che il settore del tessileabbigliamento non ha più la capacità di fornire lavoro stabile agli espulsi e che anche gli altri settori sono in sofferenza pertanto il problema della disoccupazione esiste ed al contrario delle crisi degli anni passati non si risolve da solo. Al momento stanno cercando di tamponarlo, facendo anche ampio ricorso a contratti flessibili”.
Le chinatown del jeans Fenomeno emergente ed in veloce espansione è infine la diffusione di laboratori cinesi che operano nel comparto, molti dei quali in condizioni di totale irregolarità. Un fenomeno che inizia ad essere così visibile che alcuni interlocutori parlano ormai di una Chinatown del jeans frutto di una delocalizzazione “in loco” che è ipotizzabile abbia rappresentato per molti laboratori locali, una delle principali strade di sopravvivenza negli ultimi anni. “Spesso si tratta di piccole Chinatown con tanto di cinesi in bicicletta che si spostano da un capannone all’altro. A Sant’Angelo in Vado è stato raggiunto il 10% di abitanti cinesi in paese. L’opinione sindacale stima che almeno il 50% degli immigrati lavora in nero e non ha permesso di soggiorno”. “Per il distretto di Urbania in realtà la concorrenza più sentita è quella delle aziende cinesi presenti nel distretto. E’ questa una realtà che non appare sui giornali e di cui nessuno parla ma che costituisce un fenomeno che andrebbe studiato a fondo. Quando si è in presenza del fenomeno cinese non si sa mai se si è in presenza di notizie vere o se si tratta di leggende metropolitane. In zona per esempio si dice che una società italiana di abbigliamento in crisi sia stata acquistata dai cinesi che ora agiscono con un marchio conosciuto come italiano e che marchia legalmente i propri capi Made in Italy. Tuttavia non si riesce a sapere di più perché nessuno in realtà sa cosa succede nella comunità cinese”.
La comunità cinese è qui presente con le stesse modalità che si riscontrano in altre parti d’Italia: molto chiusa verso l’esterno, autosufficiente, con sufficiente denaro contante che consente loro di rilevare società italiane del settore in crisi. Ci sono quindi e ci saranno ancora di più in futuro società dal nome italiano controllate completamente da cinesi sul mercato. “Nell’alta valle ci sono una lavanderia con 80 addetti ed una stireria con 60 addetti tutti cinesi. Ci sono circa 300 società non registrate cinesi e un centinaio di persone che lavorano a domicilio in nero…..In un caso i cinesi hanno acquistato una ditta italiana per usarne il marchio e gestirla direttamente”.
I cinesi sono in grado di acquistare con denaro contante – cosa che hanno fatto soprattutto per aprire ristoranti - e questa capacità si sta trasferendo al
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settore dell’abbigliamento. Da questo punto di vista è noto che la comunità cinese è in grado di concentrare forti somme di denaro attraverso una sorta di banca gestita dai capi comunità. Tale banca, alimentata da versamenti obbligatori da tutti i cinesi presenti nella zona, nasce dalla tradizione cinese di aiutare economicamente i neo imprenditori. Nelle aziende cinesi, come minimo 300 in zona, si lavora ininterrottamente, non esistono ferie né festività. Le aziende sono quasi tutte non registrate ed il lavoro non regolare è totale. I prezzi dei prodotti realizzati nei laboratori cinesi sono di circa il 50% più convenienti rispetto a quello delle aziende italiane della stessa area e alcuni imprenditori italiani per sopravvivere a questo momento di mercato difficile ricorrono ai servizi di queste società favorendo lo sviluppo del lavoro nero. Malgrado la presenza di molti laboratori irregolari è tuttavia da sottolineare che, a differenza di altre comunità cinesi presenti in Italia quella di Pesaro Urbino conta anche un alto numero di dipendenti con contratti regolari presenti nelle aziende italiane, tipicamente stirerie e lavanderie. Sono a tutti gli effetti lavoratori regolari, ben inseriti da anni nella nostra realtà. Alcuni sono anche iscritti al sindacato. A causa delle condizioni di lavoro disagevoli, delle scarse retribuzioni queste tipologie di occupazioni vengono disertate dai giovani italiani e per gli imprenditori è una vera e propria necessità ricorrere a lavoratori extracomunitari per portare avanti il lavoro. “Dopo la legge Bossi-Fini sull’immigrazione è però divenuto difficile avere nuova forza lavoro cinese in quanto il decreto flussi non consente loro di essere presenti nel nostro territorio. Le domande che giungono alla prefettura fanno invece chiaramente capire che queste richieste sono fatte da persone che risiedono in Italia e che in qualche modo ci vivono. Diversi imprenditori si sono rivolti agli sportelli sindacali per avere consigli su come assumere altri cinesi nella propria azienda. Non essendoci nessuna possibilità nel breve di avere una risposta positiva a tale esigenza è presumibile che siano ricorsi al lavoro nero”.
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