UNIONE EUROPEA
REGIONE CALABRIA
REPUBBLICA ITALIANA
Assessorato Istruzione, Alta Formazione e Ricerca
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Ministero dello Sviluppo Economico
Innovazione tecnologica, ricerca e servizi per il marketing dei prodotti agroalimentari tipici/di qualità e per la valorizzazione dei luoghi produttivi.
AGROMATER-LAB Calabria WORKPACKAGE N° 1 - Modelli di analisi e gestione della marca: simboli ed esperienze per lo sviluppo di produzioni territoriali
WORKING PAPER Le politiche di marca e la tipologie di Marchi come strumenti di differenziazione dell’offerta agroalimentare e di comunicazione al consumatore Assegnista Dott. Anna Rita Veltri (Dip. Scienze Aziendali - UNICAL) Febbraio 2011
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Gli alimenti si possono considerare, secondo la classificazione di Nelson (1970) come “beni fiducia” (credence goods), nel senso che talune caratteristiche non possono essere conosciute con certezza nemmeno dopo l‟esperienza di consumo. In tali casi è solo la fiducia nei marchi o nelle informazioni in etichetta – o in altri elementi che indirettamente comunicano una certa “reputazione” del prodotto – che il consumatore assume le sue decisioni. Nel caso dei prodotti alimentari si verifica una situazione di forte asimmetria informativa che crea incertezza nei consumatori e occasioni per comportamenti non corretti (moral hazard) da parte di taluni produttori, come pure di altri soggetti delle sempre più complesse filiere agroalimentari (Akerlof, 1970). Anzitutto, i consumatori non riescono ad acquistare ciò che desiderano perché non sono in grado di trovare ciò che cercano, in termini qualitativi, proprio a causa dell‟inadeguatezza delle informazioni ricevute sul prodotto; in altri casi i consumatori subiscono gli effetti di un sistema informativo incompleto e asimmetrico, che li porta ad acquistare prodotti alimentari pensando che abbiano talune caratteristiche senza che ciò corrisponda necessariamente al vero. L'incapacità da parte del consumatore di percepire la vera qualità del prodotto e, di conseguenza, di ottimizzare le proprie scelte un tema abbondantemente analizzato da molti autori ed è all'origine degli interventi pubblici di garanzia istituzionale della qualità . L'asimmetria informativa genera una diminuzione del benessere del consumatore, direttamente proporzionale al numero dei consumatori disinformati e agli atteggiamenti ingannevoli da parte delle imprese. Due sono le modalità per trasferire le informazioni sulla qualità al consumatore: l'informazione e la certificazione. L'informazione avviene tramite una politica di marca o marchio. Negli ultimi venti anni gli studiosi di marketing agroalimentare hanno analizzato con sempre maggior frequenza attitudini, preferenze e disponibilità a pagare dei consumatori per caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei prodotti di qualità, assieme alle relazioni esistenti tra queste. I consumatori, infatti, formano le proprie aspettative sulla qualità del prodotto in vari modi, sia utilizzando informazione esterna (pubblicità, passaparola, ecc.), sia mediante un processo inferenziale basato su segnali di qualità (quality cues) di tipo intrinseco o estrinseco (Stefani et al., 2006). Tra i cues estrinseci, tre in particolare sono stati oggetto di riflessione: marche, indicatori relativi all'origine del prodotto e marchi di qualità (Grunert, 2005). In uno scenario caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati, anche la competizione nel settore agricolo è collegata alla capacità delle imprese di rendere i propri prodotti distinguibili e
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comunicare la loro unicità1. Tale distinguibilità si sviluppa anche tramite adeguate politiche di marca.
1. La marca, definizione e ruoli L‟ AMA (American Marketing Association, 2008) definisce il termine marca come un nome, un termine, un segnale, un simbolo, un disegno o la combinazione tra essi finalizzata a identificare i beni e i servizi di un produttore (o gruppo di produttori) e a differenziare questi dai loro concorrenti. La marca è stata ampiamente studiata nella letteratura di marketing nelle sue componenti strategicogestionali, costitutive e valoriali (Aaker, 2003; Aaker e Joachimstaler, 2003). La marca è un segno dell‟ambiente, referente di aspettative ed esperienze, che veicola promesse funzionali e simboliche), e che interviene nei processi decisionali, semplificandoli, riducendo la percezione del rischio, permettendo maggiore rapidità e assicurazione, laddove il consumatore ne senta la necessità. La marca permette al consumatore di riconoscere la controparte, di abbinarle dati contenuti e di ottimizzare il rapporto output (risultati) e input (sforzi decisionali). La marca costituisce una risorsa strategica per l‟impresa se riesce a generare valore per il cliente (brand equity) sfruttando il suo potenziale distintivo e rafforzando il suo ruolo di collettore di significati, valori ed esperienze su cui impostare i processi interattivi con il mercato (Aaker, 2003). Segni, significati ed esperienze sono connessi alle tre fondamentali forme di utilità che una marca può generare per il consumatoreacquirente; a loro volta connesse alle componenti costitutive della marca (Howard, 1977; Busacca, 1994). Gli elementi centrali nella definizione di marca, pertanto, sono tre: 1) le componenti costitutive, ossia la struttura della marca; 2) le funzioni della marca (segno, significato, esperienza); 3) gli ambiti di efficacia, ossia le forme di utilità (valore) per il consumatore-acquirente. Nella prospettiva dell‟impresa, lo sviluppo del valore della marca è perseguibile mediante una accurata progettazione e gestione delle componenti (identificativa, valutativa e fiduciaria) che ne definiscono la struttura. Assumendo la prospettiva del consumatore, la marca può essere identificata come un insieme di segni ai quali sono associati dei significati che si rafforzano attraverso l‟esperienza maturata nel tempo, ed acquista valore in quanto utile nei processi di valutazione, scelta e consumo2.
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DelVecchio P., Valentina Ndou and Nezha Sadguy, Brand-Based Competition in the Agri-Food Sector: Evidences from Italian SMEs, Paper prepared for presentation at the 110th EAAE Seminar „System Dynamics and Innovation in Food Networks‟ Innsbruck-Igls, Austria February 18-22, 2008 2
Costabile M., Raimondo M.A., “Valore di marca: modelli e management” in Sinrgie Rapporti di Ricerca n. 23- aprile 2006
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Figura 1: La struttura della marca, le funzioni e l’utilità per il cliente
Funzioni
Componenti (struttura) Identità di marca (Brand Identity)
Consapevolezza di marca (Brand Awareness)
Immagine di marca (Brand Image) Fiducia nella marca (Brand Trust & Reputation)
Segni di riconoscimento Valori imprenditoriali
Riconoscimento della marca (Brand Recognition)
Utilità per il cliente
Identificativa
Identificativa
Informativa
Richiamo della marca (Brand Recall) Associazioni di marca (Brand Associations)
Valutativa
Comunicativa
Fiduciaria
Relazionale
Funzionali e SimbolicoEmozionali Soddisfazione cumulata nel tempo Immagine veicolata dai clienti
Fonte: Raimondo-Costabile, 2006
In particolare il valore della marca per il consumatore è riconducibile alle seguenti tre funzioni : - Funzione informativa - Grazie alla sua componente identificativa (e quindi alla brand identity e alla brand awareness), la marca consente al consumatore di identificare le alternative d‟offerta ritenute idonee a soddisfare i suoi bisogni; la componente valutativa gli permette di orientare le successive attività di comparazione e di scelta. - Funzione comunicativa - La componente valutativa dell‟immagine di marca, attraverso lo sviluppo di associazioni relative ai benefici psico-sociali e simbolici, consente al consumatore di comunicare attraverso l‟acquisto e il consumo di determinati prodotti, esprimendo la propria personalità, i propri valori, l‟appartenenza o la lontananza rispetto a determinati gruppi di riferimento (la marca diventa una nuova forma di linguaggio - Fabris e Minestroni, 2004). - Funzione relazionale - La componente fiduciaria dell‟immagine di marca rassicura il consumatore sul livello delle performance (funzionali e simboliche) ottenibili dal prodotto e sulla validità della scelta compiuta, riducendo sia i costi di ricerca e di elaborazione delle informazioni
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che il rischio percepito (la fiducia diventa un sostituto dell‟informazione - Vicari, 1991- e la marca il vettore della relazione tra azienda e cliente). Ciascuna funzione di utilità della marca produce un effetto sul valore percepito dal cliente (dato dal confronto tra benefici e costi), aumentando i benefici ottenibili e/o riducendo i costi da sostenere (tabella 1).
Tabella 1: Utilità della marca e valore percepito dal cliente Funzioni di utilità
Impatto sul valore percepito
della marca Utilità informativa
Benefici funzionali Costi di ricerca, di comparazione, di apprendimento
Utilità comunicativa
Benefici psico-sociali e affettivi
Utilità relazionale
Costi di ricerca, di elaborazione delle informazioni, psicologici (riduzione dell‟incertezza e del rischio percepito) Fonte: Costabile, Raimondo, 2006
Gli studi sul ruolo della marca nel processo di acquisto di prodotti agroalimentari sono stati sviluppati già dalla fine degli anni ‟50 nell‟ambito degli studi di psicologia con gli studi di Pronko e Bowles (1948a, 1948b, 1949) e Makens (1965) i quali dimostrano il ruolo del riconoscimento del marchio e preferenza nella capacità di individuare i prodotti e classificare i prodotti alimentari di qualità e freschezza (Sheen & Drayton, 1988). La combinazione di fattori intrinseci (gusto) e fattori estrinseci (marchio ed etichette) e le interazioni mix tra elementi di gusto e di marketing, sono stati individuati strumenti chiave per la preferenza del prodotto3. La letteratura di marketing ha analizzato, inoltre, gli effetti della marca sul comportamento di acquisto del consumatore in quanto rappresenta un segnale della qualità del prodotto al quale essa è associata (Grunert, 2005) e può diminuire l‟elasticità al prezzo dei consumatori, che hanno avuto già esperienza del prodotto stesso (Sivakumar e Raj, 1997). I prodotti agricoli con marca, a differenza di quelli che ne sono privi,
riescono a costruirsi una reputazione di produttori di prodotti agricoli di particolare qualità (presumibilmente alta); tale affermazione è stata convalidata sia nell‟ambito di specifici studi che da analisi meno strutturate nate dalla constatazione di fenomeni quotidiani (vedi box1). 3
U. Enneking et al., “How important intrinsic and extrinsic product attributes affect purchase decision”, in Food Quality and Preference 18 (2007) 133–138
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Box1: tratto da Lugli G., Neuroshoping, Apogeo 2010
2. La marca collegata al territorio Paesi, regioni o città, esprimono dei valori culturali, sociali, economici e politici che vengono elaborati nella mente dei soggetti che vi entrano in relazione andando a costituire l‟immagine del luogo. Nel momento in cui ad un brand o a un prodotto viene associato un luogo di provenienza, i valori e gli stereotipi ad esso sottostanti possono influenzare l‟immagine del prodotto stesso in funzione dell‟esplicarsi dell‟effetto Country of Origin. Il paese d'origine influenza, in generale, le percezioni dei consumatori 'di attributi di prodotto (Erickson, Johansson, e Chao, 1984; Johansson, Douglas, e Nonaka, 1985). Nell‟ambito dei beni di consumo è stato
indagato l‟elemento “paese d‟origine” rispetto alla capacità di distinguere i prodotti merceologicamente simili provenienti da paesi diversi (Agrawald & Kamakura, 1999; Orth & Firbasova ', 2003; Papadopoulos, Heslop, Graby, e Avlonitis, 1986; Verlegh & Steenkamp, 1999) e il fenomeno noto come country of origin effect (Agrawald e Kamakura, 1999; Verlegh, Steenkamp, e Meulenberg,
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2005). Questo effetto è dovuto all‟immagine che il consumatore ha della qualità di prodotti specifici (Verlegh et al., 2005), fino al punto in cui i consumatore attribuisce al paese d'origine il ruolo di elemento determinante della qualità del prodotto, da solo o in combinazione con altre informazioni sul prodotto (Balestrini & Gamble, 2006; De Cicco, Loseby, e van der Lans, 2001; Ha ¨ UBL & Elrod, 1999) . Paese di origine ha un impatto maggiore sulla valutazione di un prodotto quando i consumatori sono meno motivati ad elaborare le informazioni disponibili, per esempio, quando il coinvolgimento è basso (Lantz & Loeb, 1996; Maheswaran, 1994), come nei prodotti alimentari.
Oltre al suo ruolo di indicatore di qualità, il paese di origine ha significato simbolico ed emozionale per i consumatori. Il paese d'origine può associare un prodotto con lo stato, l'autenticità e la esoticità (Li & Monroe, 1992; Batra, Ramaswamy, Alden, Steenkamp & Ramachander, 1999). Per quanto riguarda la percezione dei differenti prodotti secondo la loro origine, un filone di letteratura ha inteso indagare la propensione a preferire i prodotti nazionali (Bannister & Saunders, 1978; Kaynak & Cavusgil, 1983; Nagashima, 1970; Ettenson, Wagner, e Gaeth, 1988). Diversi studi hanno suggerito che l'etnocentrismo dei consumatori può essere un importante costruire nel predire atteggiamenti dei consumatori e percezioni su prodotti stranieri (Han, 1988; Mascaren ~ come & Kujawa, 1998; Sharma, Shimp, e Shin, 1995; Witkowski, 1998). Un consumatore con un alto livello di etnocentrismo tende a pensare che i consumatori che acquistano i prodotti importati sono danneggiando l'economia domestica e causa di disoccupazione. Botschen e Hemettsberger (1998) dimostrano che i consumatori considerano il
paese di origine non solo per la qualità del prodotto, ma anche a seguito di sentimenti di orgoglio nazionale e di ricordi di vacanze passate. Altri studi hanno trovato che l'origine degli alimenti non influenza significativamente la percezione della qualità del prodotto (Acebro'n & Dopico, 2000; Bernue's, Olaizola, e Corcoran, 2003; Grunert, 1997; Verbeke & Ward, 2006) o le preferenze dei consumatori ( Bonnet & Simioni, 2001; Van der Lans, Ittersum van, De Cicco, e Loseby, 2001). Grunert (2005) sostiene che le informazioni di origine non ha alcun
effetto sul processo di valutazione della qualità nel caso in cui il consumatore non abbia conoscenza della regione d'origine, quando non vi associa una qualità auspicabile e / o quando si effettua un acquisto di prova. Gli studi sui temi della gestione del brand agroalimentare si sono focalizzati in special modo su case studies relativi a multinazionali o grandi imprese operanti nel settore alimentare come la Coca Cola, Unilever, Procter & Gamble4, e solo in tempi più recenti si create le base per un nuovo filone di letteratura sul tema delle marche territoriali aventi un mercato di sbocco dimensionalmente più ridotto. 4
DelVecchio P., Ndou V. and SadguyN., Brand-Based Competition in the Agri-Food Sector: Evidences from Italian SMEs, Paper prepared for presentation at the 110th EAAE Seminar „System Dynamics and Innovation in Food Networks‟ Innsbruck-Igls, Austria February 18-22, 2008
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Il prodotto può avere un legame biunivoco con il territorio: si può trattare sia un‟associazione interna, sia esterna (Keller 2003). Interna, poiché il prodotto può essere fortemente legato al territorio per proprietà organolettiche o di produzione (es. il bergamotto); esterna, quando il legame non si basa su caratteristiche specifiche del prodotto, ma sulla tradizione di produzione del luogo o sulla cultura e storia del territorio (es. la piadina). Il legame con il territorio da parte della marca può quindi avere diversi livelli di intensità, ed essere utilizzato dall‟azienda in modo più o meno esplicito nella costruzione dell‟identità di marca, costituendo una fonte di valore per quest‟ultima (Agrawal e Kamakura 1999). Il successo di una marca presuppone, infatti, l‟esistenza di valori su cui essa poggi le sue fondamenta riuscendo a trasmetterli correttamente all‟esterno. Il territorio d‟origine assume così il ruolo di fonte da cui promana un potenziale di valore utile, percepibile e misurabile dalla sua notorietà, del quale possono beneficiarne le imprese che però sono, al tempo stesso, responsabili del suo accrescimento, ovvero depauperamento. la notorietà, secondo la prospettiva di Aaker (Aaker D.A., 1997; Aaker D.A., Joachimsthaler E., 2000, Hart S., Murphy, 1998, Hankinson G., Cowking P., 1993, Vicari S., 1995) costituisce una delle quattro leve (le altre sono: fedeltà, qualità percepita, associazioni) indispensabili affinché una marca possa creare valore. Dal livello di notorietà della marca o del territorio ad essa associato e dalla fase del ciclo di vita in cui si trova la marca si possono identificare quattro differenti situazioni (Fig.1).
Figura 1. Associazione tra marca e territorio
In tali situazioni, non è solo la marca che si sviluppa e rafforza la sua immagine grazie al legame con un territorio, ma può avvenire anche l‟opposto, vale a dire che il territorio trae un vantaggio di immagine dalla presenza di prodotti e marche a notorietà diffusa. Infatti, in base alla fase del ciclo
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di vita della marca, nella fase iniziale, l‟azienda può decidere di legare la marca ad un territorio per utilizzare la sua forza in termini di riconoscibilità e notorietà. Durante il suo sviluppo, l‟azienda può però scegliere di rafforzare la sua identità di marca in modo indipendente dal territorio, rendendo il legame comunque presente, ma più debole. Infine, il legame con il territorio, può essere utilizzato per riposizionarsi e rilanciare l‟immagine della marca in un suo eventuale momento di declino (Vescovi e Gazzola 2007). Nel caso in cui la notorietà di marca e di territorio siano alte (figura 1), la notorietà della marca dipende sia dalla sua identità, sia dall‟associazione con i valori del territorio. Tale caso rappresenta una sorta di caso limite durante la fase di sviluppo della marca. L‟impresa, infatti, corre il rischio di legarsi in modo eccessivo all‟identità territoriale, perdendo di identità propria e trasformando quello che poteva essere un vantaggio, in un vincolo. L‟‟impresa ha due strade possibili da percorrere: 1. Allontanarsi dall‟identità territoriale, conservandone però i valori che partecipano alla creazione dell‟identità di marca. L‟obiettivo infatti è quello di rafforzare e affermare l‟identità di marca dell‟impresa e non essere sopraffatti dall‟identità del territorio. 2. Sfruttare la forza dell‟identità territoriale al fine di affermarsi come marca specifica. Nel secondo caso, la marca ha una forte identità e utilizza l‟associazione con il territorio come rafforzamento. Si tratta di marche note, in una fase di maturità del loro ciclo di vita, che rimandano ad un‟associazione, spesso spontanea da parte del consumatore, con un luogo o un Paese, dovuta anche alla tipologia di prodotto che rappresentano. In tale situazione, può accadere che sia la marca a far aumentare la notorietà del territorio. Nel terzo caso, accade invece l‟opposto, l‟associazione con un territorio e la condivisione di significati con esso, costituiscono un vantaggio per l‟impresa che sfrutta tale legame per aumentare la sua notorietà e rendere la marca maggiormente attrattiva per il consumatore. In letteratura (Han e Terstra 1988) è stato dimostrato che il paese di origine ha maggiore influenza nella valutazione di un bene da parte del consumatore rispetto al peso e al valore che può aggiungere la marca. Spesso tale situazione si evolve nel primo caso analizzato, quello in cui la marca stessa aumenta la sua notorietà e l‟impresa deve decidere come sviluppare il suo legame con il territorio. Nel quarto caso invece, si verifica una situazione di sostanziale parità, in cui l‟impresa utilizza l‟identità territoriale, anche se poco nota, come elemento di differenziazione della marca. Si tratta di una situazione che può verosimilmente prevedere due evoluzioni: 1. l‟eliminazione da parte dell‟impresa della presenza del territorio nella marca se l‟elemento di differenziazione non riesce ad aggiungere valore;
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2. la crescita e quindi uno spostamento verso la situazione descritta nel secondo caso. Si può presupporre, infatti, che una crescita della marca, proprio per la sua capacità di veicolare contenuti e significati, possa apportare notorietà al territorio, che svolgerà solo ruolo di rinforzo. Come sottolineato da molti, la comunicazione riveste, in ogni caso, un ruolo cardine all‟interno del processo di sviluppo di marche ad identità territoriale, in quanto strumento per rafforzare l‟identità e il valore della marca. L‟impresa necessita di un mix di comunicazione adatto ad enfatizzare il messaggio di identità territoriale che vuole trasmettere, avvalendosi di simboli, segni e richiami all‟entità a cui si associa. Da questo punto di vista, la comunicazione trae benefici a livello di significati e contenuti attorno a cui costruire il messaggio e l‟immagine che vuole trasmettere al consumatore. Emerge una nuova area di sviluppo relativa al legame tra marca e territorio, il simbolismo e più in generale, l‟esperienza. Quando la marca possiede identità territoriale, è molto facile che anche il prodotto sia legato al territorio. La produzione del territorio può influenzare il prodotto dal punto di vista delle materie prime, della tecnologia di produzione, o della cultura, intesa come storia e tradizione. L‟impresa di conseguenza, nel processo di produzione dovrà porre attenzione a rispettare gli elementi di legame con il territorio, che conferiscono autenticità al prodotto e che si riflettono nell‟identità territoriale della marca. Il prodotto diventa così simbolo tangibile del suo luogo di provenienza, e si carica di un doppio significato: quello legato alla marca e quello legato all‟identità territoriale. Il consumatore, attraverso il prodotto, ha così la possibilità di entrare in contatto con il territorio (si pensi quando il prodotto è rappresentato da un alimento o bevanda, o da un oggetto di artigianato) e di arricchire la relazione con la marca ad identità territoriale, che può quindi coinvolgere i cinque sensi (Pine e Gilmore 2000). Inoltre, le marche che posseggono una identità territoriale, un legame più o meno evidente con un territorio, sia esso Paese o luogo specifico, possono enfatizzare tale caratteristica, facendo leva sul concetto di storia e di riscoperta della stessa, soddisfacendo il bisogno di tradizione e ricerca di “ieri” che pare caratterizzare il comportamento del consumatore.
3. La marca collettiva territoriale La marca collettiva risponde all‟esigenza di aggregare realtà produttive troppo piccole e radicate per poter accedere singolarmente ai mercati esteri e di rafforzare la distintività del prodotto tramite un‟associazione più o meno forte con specifiche aree. È una marca, la quale può sostituire o, più spesso, affiancare quella dello specifico produttore per accertare e rendere più visibile, riconoscibile e rinomata la provenienza dei prodotti. Inoltre, essa si coniuga bene con le marche di imprese industriali italiane più grandi e già affermate all‟estero: lungi dal causare concorrenza ai danni di quelle, la marca collettiva qualifica un‟ulteriore gamma di prodotti più specifici e dal vissuto
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artigianale, in grado di porsi come complemento e arricchimento rispetto alle linee di prodotti già offerte dai produttori italiani di maggiori dimensioni. Sul piano attuativo, la marca collettiva può essere il risultato di almeno due diversi percorsi. Da un lato, essa può derivare dal concorso combinato di soggetti imprenditoriali e istituzioni locali, ad esempio coordinati in un consorzio. In tali casi, può prevalere l‟adozione di una marca collettiva spiccatamente territoriale, la quale fa esplicito riferimento ad un territorio e alle produzioni tipiche associate. Dall‟altro lato, la marca collettiva può essere un tipico esempio di attivismo imprenditoriale, ossia essere l‟esito dell‟investimento in immagine di un produttore relativamente grande, il quale crea un‟apposita marca per proteggere un proprio interesse e, al contempo, offrire a piccolissime imprese locali una chiave di accesso ai mercati esteri. In tale circostanza, la marca collettiva tende ad assumere un carattere più di fantasia e meno legato ad un certo territorio, ferma restando l‟esaltazione dell‟italianità. Nella prospettiva del relationship marketing, la marca collettiva permette5 di organizzare e gestire: 1. le relazioni tra la governance di un‟offerta collettiva e gli attori economici del sistema locale (prospettiva relazionale interna); 2. le relazioni con i clienti, attuali e potenziali, dell‟offerta collettivamente intesa (intermediari, imprese e/o clienti finali), al fine di trasmettere agli stessi un‟identità ed un posizionamento competitivo chiari, unici e distintivi (prospettiva relazionale esterna) . Più specificamente, nella prospettiva delle imprese appartenenti al sistema locale (prospettiva relazionale interna), la marca collettiva svolge tre funzioni fondamentali: 1. una funzione di indirizzo, connessa alla condivisione della visione di sviluppo strategico dell‟organo di governo collettivo (consorzio, ente e/o agenzia di sviluppo, associazione, ecc.), aspetto che guida il processo di creazione ed erogazione dell‟offerta per il mercato target. Tale funzione si concretizza nella capacità della marca di aggregare i diversi attori del sistema locale intorno ad una proposta di valore unificante; 2. una funzione di coordinamento, connessa alla condivisione delle strutture e dei meccanismi organizzativi da utilizzare nel processo di creazione ed erogazione dell‟offerta per il mercato target. Tale funzione, peraltro, si esplicita nella capacità della marca di far accettare a tutti gli attori del sistema locale il ruolo di network orchestrator (Brown, Durchslag, Hagel, 2002) dell‟organo di governo collettivo deputato alla gestione della marca (fondamentale per organizzare, regolamentare e controllarne le condizioni di utilizzo da parte delle singole imprese);
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Cantone L., Risitano M., Il ruolo della marca collettiva nella gestione delle relazioni di marketing nei sistemi agglomerativi di imprese, VIII INTERNATIONAL CONGRESS “MARKETING TREND” Ecole Supérieure de Commerce de Paris ESCP-EAP, 16-17 January 2009
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3. la funzione di supporto, connessa alla condivisione di una serie di strumenti da utilizzare nel processo di creazione ed erogazione dell‟offerta per il mercato. In tal senso, ad esempio, la marca collettiva consente di aggregare gli attori economici interni al sistema reticolare attorno ad un‟unica piattaforma tecnologica, utilizzata per la gestione condivisa delle informazioni dei clienti dell‟organizzazione e per la creazione di eventi finalizzati alla formazione di relazioni più intense tra i singoli soggetti economici locali (sistemi Intranet /Extranet).
Figura 2 – Le funzioni svolte dalla marca collettiva in una prospettiva relazionale.
Fonte: Cantone Risitano 2009
Nella prospettiva di analisi degli attori economici esterni al sistema locale (prospettiva relazionale esterna), invece, la marca collettiva svolge le funzioni già evidenziate nel paragrafo1, ossia la funzione identificativa la funzione valutativa la funzione fiduciaria. La marca collettiva crea valore alle imprese che la utilizzano per le seguenti motivazioni: 1. è un forte segnale di qualità, più del semplice attributo esteriore, e crea una positiva percezione nella mente del consumatore; 2. è un affidabile indicatore che, in quanto tale, si riflette nella garanzia di non variabilità della qualità generando una riduzione del rischio percepito associato all‟acquisto; 3. riduce i costi di transazione a carico del consumatore in quanto gioca un ruolo differenziante del prodotto fra le diverse alternative disponibili, garantendo la certezza degli attributi qualitativi che incorpora6. 6
Fait M., Trio O., Il ruolo dei marchi e dei Consorzi di tutela per la competitività delle produzioni tipiche agroalimentari, 2012 Marketing Trends Conference, PARIS, JANUARY 20-22
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Coerentemente con i più accreditati studi di brand management, è possibile individuare quali sono le principali fasi di analisi (e di decisione) su cui si deve basare la formulazione di una strategia di marca collettiva (Figura 3): 1. individuazione degli elementi caratteristici e distintivi dell‟identità della marca collettiva; 2. definizione di una strategia di comunicazione condivisa della proposta di valore della marca collettiva da trasmettere con gli opportuni canali. Tale percorso strategico deve essere finalizzato al posizionamento distintivo della marca collettiva nella mente dei clienti in target; 3. creazione e gestione del valore della marca collettiva nella percezione dei clienti, fondato sulla consapevolezza di marca, le associazioni di marca, l‟immagine di marca, le performance di marca, i giudizi post-acquisto sulla marca, le sensazioni post-acquisto relative alla marca, la fedeltà alla marca; 4. monitoraggio degli scostamenti e dei feedback cognitivi della marca collettiva, così come percepiti dai clienti, al fine di rilevare i gap di valore relazionale rispetto alla architettura di marca definita dal soggetto meta-coordinatore degli interessi collettivi (consorzio, ente e/o agenzia di sviluppo, associazione, cooperativa, impresa leader, ecc.). Figura 3 – La formulazione di una strategia di marca collettiva: le fasi principali.
Fonte: Cantone Risitano 2009
4. Il marchio Sotto il profilo della tutela giuridica l‟elemento distintivo di una particolare offerta (nome, termine, segno, simbolo, o disegno, o una combinazione di questi) non si riferisce al significante di “marca” bensì a quello di “marchio”, ovvero più precisamente al marchio d’impresa registrato (Trade 13
Mark). Il marchio rappresenta uno strumento per distinguere i prodotti e servizi sul mercato e un mezzo di comunicazione con il consumatore. Se il consumatore associa mentalmente un marchio alla capacità di soddisfare le sue aspettative, ciò accade per merito degli investimenti che il produttore ha fatto per realizzare un prodotto rispondente ai bisogni dei clienti; ma anche per merito degli investimenti sulla promozione commerciale del marchio. In tal senso il marchio diventa uno strumento decisivo nella strategia commerciale dell‟azienda, a tal punto da rappresentare una parte consistente del suo stesso valore. Il marchio è considerato, infatti, il veicolo comunicativo sintetico che indirizza ai target alcuni stimoli legati al consumo o all‟utilizzo di un prodotto e come tale può acquista anche un valore patrimoniale e misurabile per l‟impresa che lo può annoverare nell‟ambito degli asset del capitale immateriale dell‟organizzazione. L‟articolo 16 della Legge Marchi precisa che “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d‟impresa tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, … purché siano atti a distinguere i prodotti o servizi di un‟impresa da quello di altre imprese …”. Si possono individuare differenti tipologie di marchio, in riferimento all‟oggetto ed al contenuto 7: Marchio di fabbrica: per individuare i prodotti fabbricati da un‟azienda; Marchio di commercio: per individuare i prodotti messi in commercio da una organizzazione commerciale (contraddistinguono le merci vendute attraverso le proprie linee commerciali, siano esse solo negozio o magazzino); tipici in tal senso sono i marchi della GDO; Marchio di servizio: per individuare un‟attività di prestazione di servizi ad altre imprese od a consumatori, ad esempio attività di trasporti, comunicazioni, pubblicità, costruzioni, assicurazioni e credito, spettacolo, ristorazione, alberghi, servizi turistici e culturali. I marchi sono ulteriormente classificabili in ragione dei loro contenuti come: Marchi denominativi costituiti da parole di fantasia, diciture. Marchi figurativi costituiti da emblemi e colori, parole abbinate ad una grafia particolare, fino a rappresentazioni più elaborate, quali disegni, vignette, ritratti. Marchi complessi costituiti sia da elementi figurativi che da elementi denominativi. Marchi di colore costituiti da una tonalità cromatica o combinazione di colori. Marchi sonori ad esempio le sigle dei programmi radiotelevisivi. Marchi di forma o tridimensionali costituiti dalle forme dei prodotti o dalle loro confezioni. Marchi olfattivi costituiti da odori riproducibili tramite formula chimica o composizione galenica. Un‟ulteriore distinzione comunemente adottata dalla dottrina e dalla giurisprudenza distingue tre differenti categorie: marchi forti, marchi deboli e marchi complessi. 7
INDIS Istituto Nazionale Distribuzione e Servizi Unioncamere, LA QUALIFICAZIONE COMMERCIALE DEI PRODOTTI ATTRAVERSO L‟UTILIZZO DEI MARCHI COLLETTIVI, Luglio 2003
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Marchi forti: Si definiscono in tal modo quei marchi il cui significato letterale non ha alcun collegamento in senso descrittivo con il prodotto o servizio che devono contraddistinguere, né con una sua caratteristica, né con una sua destinazione d‟uso. È invece possibile un collegamento puramente fantastico; sono segni distintivi del tutto arbitrari o di fantasia. La loro tutela giuridica è particolarmente intensa. Si definiscono forti anche quei marchi che, pur non avendo le caratteristiche di cui sopra, sono stati rafforzati dall‟accreditamento verso il pubblico. Marchi deboli: Si definiscono deboli quei marchi il cui significato letterale è: parzialmente descrittivo, richiama il prodotto o il servizio, una sua caratteristica, la sua funzione o la sua destinazione. Godono di minor tutela rispetto ai marchi forti e, per escludere la violazione di marchi anteriori deboli, possono bastare, a volte, differenze fonetiche, denominative e figurative. L‟uso dell‟elemento espressivo che costituisce il nucleo di tali marchi deve rimanere a disposizione della collettività e non può essere monopolizzato da un singolo imprenditore. Marchi complessi: Risultano dalla combinazione di più elementi (parole e figure). La loro forza è, spesso, affidata ad una sola delle sue componenti (cuore del segno). Può, comunque, accadere che un marchio complesso non presenti nessun elemento avente efficacia individualizzante, ma sia proprio la loro combinazione ad avere capacità distintiva. In questi casi si parla di Marchi d‟insieme. Sono inoltre spesso utilizzate indicazioni relative al marchio ombrello che si caratterizza per il fatto di contraddistinguere non un unico prodotto o servizio, ma una gamma di prodotti o servizi che hanno in comune uno o più elementi distintivi, come ad esempio la metodica di produzione o l‟azienda di produzione o commercializzazione. Marchi ombrello sono stati utilizzati anche da Consorzi o Associazioni fra più imprese, anche su base territoriale, e da regioni ed Enti locali. Infine si annoverano i marchi collettivi che consistono in marchi richiesti da parte di soggetti, individuali o collettivi, ed hanno la funzione di garantire la natura, la qualità o l‟origine di determinati prodotti o servizi. Può essere utilizzato da più persone che si assoggettano all‟osservanza di determinati standard di qualità e ai relativi controlli stabiliti da un regolamento. Ai fini delle problematiche connesse con i prodotti tipici, un ruolo importante viene assolto proprio dal marchio collettivo come strumento di comunicazione e di garanzia (Albisinni, Carretta, 2003). Si tratta di un marchio richiesto da soggetti, individuali o collettivi, che ha la funzione di garantire la natura, la qualità, l‟origine di determinati prodotti o servizi. Può essere utilizzato da più persone che si assoggettano all‟osservanza di determinati standard di qualità e ai relativi controlli stabiliti da un regolamento. I marchi collettivi sono soggetti a una disciplina specifica, che si differenzia da quella dei marchi individuali sia sotto il profilo dei soggetti cui è consentita la titolarità, sia sotto quello dei presupposti ai quali è legato il riconoscimento, sia, infine, quanto attiene alla disciplina
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applicativa e agli strumenti utilizzati. Il tratto che caratterizza la disciplina del marchio collettivo e la distingue da quello individuale è il fenomeno della dissociazione fra titolarità del segno distintivo e suo uso, nel senso che il soggetto che richiede ed ottiene la registrazione non coincide con l‟utilizzatore del medesimo. In Italia, la legislazione sui marchi è stata oggetto di revisione nel 1992 con il d.lgs. 480/1992 che recepisce la direttiva comunitaria 89/104/CEE. Questa normativa, a differenza di quella precedente che assegnava al marchio collettivo la funzione tipica del marchio d‟impresa (cioè di permettere l‟identificazione di prodotti e servizi provenienti dalle imprese utilizzatrici, senza alcun profilo o con profili secondari di garanzia di qualità del prodotto), enfatizza il legame tra il segno e la garanzia della sua conformità alle regole d‟uso, circa la natura, qualità e origine, che il titolare è tenuto a fornire. I marchi collettivi nel settore agroalimentare sono riconducibili a due tipologie principali: -marchio collettivo geografico o territoriale, indicante la provenienza da determinate aree geografiche (es. “Patata tipica di Siracusa” del Consorzio della Patata tipica di Siracusa, Nettarine di Romagna Igp, marchi consortili strettamente legati ai riconoscimenti comunitari Dop/Igp, ecc); -marchio collettivo di qualità, se il disciplinare attiene a caratteristiche del processo di produzione o del prodotto in relazione all‟impiego di determinate materie prime o loro combinazioni. Queste due tipologie di marchi collettivi possono essere, a loro volta, sotto classificate sulla base di: a) i prodotti coperti dall’uso del marchio: il marchio è unisettoriale o di prodotto, se interessa prodotti di un unico genere (AB Carni, Certa Naturale, Eletta, ecc.), mentre è ad ombrello se coinvolge prodotti di genere diverso (ad esempio, marchi di qualità ad ombrello che raggruppano diverse categorie di prodotti accomunati dalle tecniche di produzione biologica, il marchio QC Qualità Controllata dell‟Emilia Romagna, Qualità certificata Veneto, ecc.); b) la titolarità: il marchio collettivo è pubblico se il titolare è un ente pubblico mentre è privato quando il titolare è un soggetto privato, generalmente nella forma giuridica di consorzio o di un‟associazione.
5. I marchi di tutela agroalimentare
I Marchi di tutela hanno la funzione di tutelare una serie di prodotti agroalimentari, favorendo la diversificazione della produzione agricola e lo sviluppo dell‟economia rurale. Nei confronti del consumatore sono utili ad assecondarne la domanda di prodotti di qualità fornendogli un‟informazione più completa e tutelandolo da contraffazioni; nei confronti dei produttori assicurano, nell‟ambito delle produzioni comunitarie, legate alle origini geografiche, le medesime condizioni di concorrenza. La produzione dei prodotti tipici presenta alcune caratteristiche specifiche che derivano dalla struttura organizzativa della produzione e dai requisiti richiesti al
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processo produttivo. Alla tipicità, infatti, si associano effetti e condizionamenti di natura tecnica, organizzativa ed economica, previsti dalla normativa in materia e dal disciplinare di produzione al quale i prodotti sono chiamati a conformarsi. Nel tempo si è registrata una crescente molteplicità di tipologie di marchio aventi scopo di identificare i prodotti agricoli aventi determinate caratteristiche qualitative; secondo una schematizzazione realizzata da Thévenod-Mottet (2006) si può evidenziare un continuum di situazioni tra sistemi definiti come “permissivi”, ovvero dove la tipicità rappresenta poco più che una indicazione di provenienza, e sistemi di tipo “prescrittivo”, dove invece si rileva la definizione e il controllo del legame tra prodotto e territorio e dove il ruolo dello Stato tende ad essere presente e via via più pervasivo come si evince dalla figura 4.
Figura 4 - Modalità alternative per il riconoscimento e la protezione delle indicazioni geografiche
Fonte: Thévenod-Mottet (2006)
In particolare, sistemi definiti come “permissivi” possiamo annoverare i marchi individuali e i marchi collettivi. Il Codice di Proprietà Industriale riconosce, infatti, delle ipotesi in cui può essere utilizzato del tutto lecitamente un nome geografico in qualità di marchio. Ciò avviene nel caso dei marchi collettivi i quali consentono di dimostrare sia agli acquirenti del prodotto, sia ai consumatori finali, che i prodotti oggetto di tutela provengono da un‟area specifica di produzione, possiedono determinate caratteristiche di qualità (come garantito dal Marchio), e che per gli stessi esiste un sistema di controllo strutturato ed organizzato. Il Codice di Proprietà Industriale (C.P.I.) ai sensi dell‟art. 11 prevede che “I soggetti che svolgono la funzione di garantire l'origine, la natura o la
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qualità di determinati prodotti o servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi, ed hanno la facoltà di concedere l'uso dei marchi stessi a produttori o commercianti. I regolamenti concernenti l'uso dei marchi collettivi, i controlli e le relative sanzioni, devono essere allegati alla domanda di registrazione; le modificazioni regolamentari devono essere comunicate a cura dei titolari all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi per essere incluse tra i documenti allegati alla domanda. Le disposizioni dei commi 1 e 2 sono applicabili anche ai marchi collettivi stranieri registrati nel paese di origine. In deroga all'articolo 13, comma 1 un marchio collettivo può consistere in segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi. In tal caso, peraltro, l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi può rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio, o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. L'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ha facoltà di chiedere al riguardo l'avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati o competenti. L'avvenuta registrazione del marchio collettivo costituito da nome geografico non autorizza il titolare a vietare a terzi l'uso nel commercio del nome stesso, purché quest'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale e quindi limitato alla funzione di indicazione di provenienza. I marchi collettivi sono soggetti a tutte le altre disposizioni del presente codice in quanto non contrastino con la natura di essi”. I marchi collettivi svolgono, come si è sottolineato in precedenza, una funzione di garanzia qualitativa in ordine ad un determinato bene cui si riferiscono e sono registrati con un regolamento d‟uso oltre a prevedere, in capo al registrante, l‟onere di sorvegliarne rigorosamente l‟utilizzo da parte di eventuali soggetti licenziatari. Garantiscono l‟origine, la natura e la qualità dei determinati prodotti o servizi, ed in questo modo, la loro registrazione non vieta a terzi l‟uso nel commercio dello stesso nome, purchè quest‟uso sia conforme ai principi della correttezza professionale così da non alterare la concorrenza nel libero mercato fra produttori (gli autorizzati potranno tutti offrire un miglior prodotto “garantito” ai consumatori che lo ricerchino). I marchi di tutela europei scaturiscono, invece, dalla volontà della Comunità Europea di dare un quadro di regole uniforme, prima col reg. CEE n. 2081/92 e oggi con il reg. CE n. 510/2006, sostituendo alle protezioni nazionali un sistema unico di tutela delle DOP e delle IGP. Sono molteplici i fattori che hanno contribuito a far nascere una “politica della qualità” per le produzioni alimentari europee, comprese le azioni che hanno portato al riconoscimento delle indicazioni geografiche e all‟adozione di una serie di politiche correlate. Tra queste ricordiamo: la spinta della globalizzazione e la necessità di rispondere alle istanze dei consumatori in tema di qualità; la necessità di sviluppare nuovi mercati per beni agricoli e
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alimentari in una logica non discorsiva delle regole della concorrenza; la necessità di fornire strumenti di sviluppo rurale legati a un concetto di agricoltura multifunzionale; la necessità di sviluppare politiche in grado di consentire la conservazione delle risorse produttive e, infine, la necessità di giustificare la creazione di un patrimonio collettivo relativamente a beni di natura immateriale (Sylvander e altri, 2006). Gli elementi centrali per l‟identificazione di marchi di protezione di tipo più “prescrittivo”sono: - la presenza di un "disciplinare di produzione", contenente elementi vincolanti sul metodo di produzione e sul suo legame alla zona geografica; - il fatto che chi chiede la registrazione (solo associazioni di produttori o di trasformatori, secondo l'art. 5 del reg. n. 510/2006) non ha l'esclusiva sull'uso del nome; - il fatto che la registrazione possa esser chiesta anche da soggetti extraeuropei (sempre che il prodotto goda di analoga tutela nel Paese di origine). Il regolamento UE n. 510/2006 ed il relativo regolamento applicativo n.1898 /2006 ha consentito la registrazione, in sede comunitaria, di numerose denominazioni di origine ed indicazioni di provenienza geografica nazionali per diversi prodotti agroalimentari assicurando a loro favore una tutela completa, sotto il profilo giuridico, all'interno di tutti i Paesi della Comunità europea. Accanto alla disciplina delle indicazioni geografiche ormai solo comunitaria, vi è il complesso sistema di tutela del marchio (anche geografico), protetto sia dalla legislazione italiana che da quella europea. Secondo il Codice italiano della proprietà industriale (d.lgs. n. 30/2005), è vietato registrare come marchio nomi geografici puri e semplici, a meno che non si tratti di un nome già affermato come marchio nell'uso. A differenza però di quanto accaduto per le indicazioni geografiche (la cui disciplina uniforme europea ha integralmente sostituito i sistemi nazionali di tutela), la protezione nazionale del marchio può coesistere con quella comunitaria, disciplinata dal reg. CE n. 40/94: sono infatti possibili doppie registrazioni (starà all'imprenditore decidere se gli interessa proteggere il marchio solo entro i confini nazionali, o anche in tutta Europa). Anche l'art. 7 del reg. 40/94 esige che il marchio (comunitario) geografico individuale, per poter essere registrato, non sia costituito da un mero nome o segno geografico: un riferimento geografico può esserci, sì, ma deve essere presente anche una componente di fantasia I marchi di tutela attualmente riconosciuti, oltre a quanto previsto dal Codice di Proprietà Industriale, sono: -
La Denominazione di origine protetta (DOP)
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L‟Indicazione geografica protetta (IGP)
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La Specialità Tradizionale Garantita (STG)
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La Denominazione di origine controllata (DOC)
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La Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG)
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L'Indicazione geografica tipica (IGT)
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Il Marchio Biologico
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Il Marchio Comunale di Origine (De.Co.)
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Il Marchio Comunale di Provenienza (De.C.P.)
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Prodotti Agroalimentari Tradizionali
Denominazione di origine protetta La Denominazione di origine protetta (DOP) è un marchio di qualità che serve a tutelare il legame imprescindibile che alcuni prodotti alimentari hanno con il loro territorio di produzione. Questo legame riguarda sia fattori naturali (clima e caratteristiche ambientali) sia fattori umani (tradizioni e tecniche di lavorazione) capaci di attribuire agli alimenti delle peculiari caratteristiche qualitative che non avrebbero se venissero prodotti in altre aree. Oltre al legame con l‟area geografica, per ottenere il marchio Dop, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono seguire rigide regole stabilite nel disciplinare di produzione, il cui rispetto è garantito dall'organismo di controllo. Principali fonti normative: Regolamento (CE) n. 692/2003 del Consiglio, dell'8 aprile 2003, che modifica il regolamento (CEE) n. 2081/92 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari
Indicazione geografica protetta L‟Indicazione geografica protetta (IGP) è il marchio di qualità che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità o altre caratteristiche specifiche dipendono dall'origine geografica dell‟alimento e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avviene in un'area geografica determinata. Il processo produttivo degli alimenti Igp deve seguire, per legge, le rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, il cui rispetto è assicurato dall'organismo di controllo. Principali fonti normative: Regolamento (CE) n. 692/2003 del Consiglio, dell'8 aprile 2003
Specialità Tradizionale Garantita La Specialità Tradizionale Garantita (STG) è il marchio di qualità che viene attribuito a prodotti agricoli e alimentari per i quali vengono utilizzate le definizioni di “specifico” e “tradizionale”. Specificità: è l‟elemento o l‟insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o
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alimentare
da
altri
prodotti
o
alimenti
analoghi,
appartenenti
alla
stessa
categoria.
Tradizionale:corrisponde all'uso di un prodotto, sul mercato comunitario, attestato da un periodo di tempo che denoti un passaggio generazionale; questo periodo dovrebbe essere all'incirca corrispondente a quello di una generazione umana, cioè di almeno 25 anni. Principali fonti normative: Regolamento (CE) N. 1216/2007 della Commissione del 18 ottobre 2007, Regolamento CE n. 1216-2007
Denominazione di origine controllata La Denominazione di origine controllata (DOC) è un marchio di origine italiano che viene assegnato ai vini di qualità per certificare la particolare zona di origine dell‟uva con cui il vino è prodotto. Il marchio DOC che contraddistingue vini le cui caratteristiche sono strettamente connesse all‟ambiente naturale ed ai fattori umani, viene rilasciato dopo approfondite analisi chimiche ed accurati esami organolettici. Per tali vini le caratteristiche enochimiche ( estratto secco, acidità totale, ecc.) ed organolettiche (colore,odore,sapore) devono rispettare i parametri dettati dal Disciplinare di produzione, i quali fissano anche i quantitativi di uve che possono essere ottenute per ettaro di vigneto, la resa di trasformazione uva/vino e la gradazione alcolometria minima. Principali fonti normative:Regolamento CE n. 823-1987, Legge 10 febbraio 1992 n. 164, D.P.R. n. 348-94
Denominazione di origine controllata e garantita La Denominazione di origine controllata e garantita (DOCG) è il marchio assegnato ai vini Doc di "particolare pregio qualitativo" che rivestono un prestigio nazionale ed internazionale. Questi vini vengono sottoposti a controlli molto severi, debbono essere commercializzati in recipienti di capacità inferiori a cinque litri e portare un contrassegno dello Stato che dia la garanzia dell‟origine e della qualità e che consenta la numerazione delle bottiglie prodotte. Oltre alle condizioni previste per la certificazione DOC è obbligatorio anche l‟imbottigliamento nella zona di produzione. La categoria dei vini DOCG comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione (approvato con decreto Ministeriale). La DOCG sono riservati ai vini già riconosciuti denominazione di origine controllata (DOC) da almeno cinque anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, per effetto dell‟incidenza di fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza commerciale. Tali vini prima di essere messi in commercio, devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico fisica e ad un esame
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organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare.;per i vini DOCG alla fine è previsto anche una analisi sensoriale (assaggio). Principali fonti normative: Regolamento CE n. 823-1987, Legge 10 febbraio 1992 n. 164, D.P.R. n. 348-94
Indicazione geografica tipica L'Indicazione geografica tipica (IGT) viene assegnata ai vini posizionati ad un livello inferiore rispetto ai vini Docg e Doc e corrisponde a vini prodotti in aree geografiche generalmente ampie e il legame con il territorio è presente in almeno uno degli stati della produzione, della trasformazione o dell‟elaborazione del prodotto. Il marchio Igt può essere accompagnato da menzioni (ad esempio del vitigno) e prevede dei requisiti di produzione meno restrittivi di quelli richiesti per i vini Doc e Docg. Essi hanno un disciplinare produttivo poco restrittivo, che significa anche consentire al produttore una differenzazione di prodotto, visto che i produttori sono più liberi negli IGT di sperimentare nuovi blend di uvaggi. I vini IGT dopo un quinquennio possono aspirare alla DOC. Principali fonti normative: Regolamento CE n. 823-1987, Legge 10 febbraio 1992 n. 164, D.P.R. n. 348-94
Marchio Biologico Il Marchio Biologico contraddistingue quegli alimenti per i quali, il processo di lavorazione non prevede l'utilizzo di pesticidi e fertilizzanti ed avviene con tecniche di coltivazione e allevamento rispettose dell'ambiente. La fertilizzazione del terreno viene praticata mediante la rotazione delle colture e l'utilizzo di concimi organici e minerali naturali mentre, per difendere i raccolti dai parassiti si adoperano prodotti non nocivi all'ambiente. I prodotti provenienti dall‟agricoltura biologica sono disciplinati dal regolamento Cee 2092/91 e sono sottoposti a un rigido sistema di controlli, stabilito per legge, che ne verifica la conformità a specifiche regole produttive. Sull'etichetta, insieme alla dicitura “Da agricoltura biologica”, compare il nome dell‟organismo di controllo, l‟autorizzazione ministeriale e una serie di lettere e cifre che sono la “carta d‟identità” del prodotto e del produttore. Principale fonte normativa: Regolamento (CEE) n. 2092/91 del 24 giugno 1991
Marchio Comunale di Origine Il Marchio Comunale di Origine (De.Co.) è un marchio di garanzia dei prodotti agroalimentari realizzati in un determinato territorio, che viene rilasciato dai Comuni i quali, in questo modo, assumono un ruolo di primo piano nel certificare e valorizzare prodotti, pur se prodotti in piccoli
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lotti, legati alla vita storica e socio-culturale di tale comunità. Si tratta di produzioni la cui tutela e promozione non può essere attuata attraverso la certificazione comunitaria in quanto non presentano le caratteristiche per la stessa o in relazione alla complessità delle procedure, ai lunghi tempi di attesa e alle notevoli risorse e capacità organizzative richieste per il suo ottenimento. Il Comune dovrà censire i prodotti che identificano il territorio ed elaborare un regolamento di tutela dei prodotti stessi; quindi nominerà una commissione composta da rappresentanti della comunità che si occuperà di rilasciare il marchio di garanzia alle aziende che ne faranno richiesta. Le aziende, dopo aver aderito all‟iniziativa e seguito in modo preciso un disciplinare, potranno certificare la loro attività beneficiando di un logo ben definito, depositato presso la Camera di commercio di riferimento. I controlli sono effettuati periodicamente da ispettori accreditati presso il Sincert (l‟organismo nazionale che forma queste figure professionali). Principale fonte normativa: Legge 8 giugno 1990 n. 142
Marchio Comunale di Provenienza Il Marchio Comunale di Provenienza (De.C.P.) è una certificazione di qualità che contraddistingue la
qualità
di
determinati
prodotti
agroalimentari
ottenuti
in
determinati
territori.
Il rilascio del marchi comunale di provenienza segue lo stesso iter del Marchio Comunale di Origine ed ha come motore sempre l‟amministrazione comunale. La differenza tra il marchio comunale di origine e quello di provenienza riguarda i controlli previsti periodicamente che devono essere effettuati da ispettori accreditati presso il Sincert. Principale fonte normativa: Legge 8 giugno 1990 n.142
Prodotti Agroalimentari Tradizionali I Prodotti Agroalimentari Tradizionali rappresentano un biglietto da visita dell'agricoltura italiana di qualità. Con il termine "prodotti tradizionali" s'intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni. Il "sistema" dei prodotti tradizionali è regolamentato dal decreto del 18 luglio 2000. L'Italia vanta oltre 4000 prodotti tradizionali, secondo l'elenco aggiornato al 2010 dei prodotti agroalimentari tradizionali pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Principali fonti normative: D.M. n° 350 del 08/09/1999, D.M. del 25/07/2000, Decreto Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali del 16/06/2010 “Decima revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali”, pubblicato sulla G.U.R.I. n° 154 del 05/07/2010, Supplemento Ordinario n° 145
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