Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
Raffaele Pinto (Universitat de Barcelona) Novitas e dialettica del desiderio (Testo provvisorio) Sebbene il campo semantico della 'novità' (al quale mi riferisco con il latinismo novitas) abbia in Dante una estensione, come si vedrà, estremamente ampia, la critica ha finora considerato come pertinenti solo quei significati che si riferiscono immediatamente alla letteratura, di tipo poetico (la nuova matera di V.N. XVII e le nove rime di Purg. XXIV) o teologica (il canticum novum della Scrittura e dei suoi commentatori). La novitas dantesca è stata così spiegata come la svolta che sul piano storiografico una certa poetica rappresenta rispetto alla tradizione, oppure come il rinnovamento interiore promosso da una certa esperienza religiosa dell'amore. Con l'analisi che segue mi propongo di dimostrare che tale concetto viene inteso da Dante in un senso innanzitutto estetico, che afferisce al sistema percettivo e categoriale della mente, ed a processi psichici originari, anteriori all'attività letteraria ed al giudizio morale che eventualmente la orienta. Descriverò quindi una poetica della novitas, ma intendendo 'poetica' in un senso antropologico che non ha nulla a che vedere con la nozione retorica (o religiosa) di poesia. Per avere subito un'idea delle implicazioni estetico-trascendentali del concetto di novitas, possiamo partire da Par. XXIX 76-81: Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso, (passaggio utilmente integrabile con Purg. X, 94-95: Colui che mai non vide cosa nova produsse esto visibile parlare, novello a noi perché qui non si trova"). Il tema svolto qui è quello del tipo di conoscenza che hanno gli angeli, se essi dispongano cioè di memoria, e se il loro sapere si distenda nel tempo. A differenza di Tommaso, che dà una risposta alquanto sfumata ma sostanzialmente negativa (Contra Gentiles, lib. 2 cap. 101 n. 2: "Est igitur in intellectu substantiae separatae quaedam intelligentiarum successio. Non tamen motus, proprie loquendo: cum non succedat actus potentiae, sed actus actui"), e allineato con Aristotele ed Averroè, Dante sostiene che gli angeli non hanno memoria perché, mantenendo il loro sguardo sempre diretto verso Dio, nel quale la realtà e l'universo sono eternamente e sincronicamente dispiegati, non ne hanno bisogno. Non essendoci immagini materiali né temporalità nell'oggetto della loro intellezione (che è il reale in quanto si riflette sulla "faccia di Dio"), sarebbe superflua una funzione memorativa . Si osservi ora il senso che ha il sintagma "novo obietto" all'interno Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
1
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
dell'argomentazione complessiva: la visione divina degli angeli è costante perché non viene intercisa, cioè interrotta, da oggetti nuovi e diversi D'altra parte Dio è definito (in Purg. X, 94) come "Colui che mai non vide cosa nova". Ciò vuol dire che la 'novità' è caratteristica di chi che pensa per sensazioni ed immagini, quindi dell'uomo. Proprio perché priva di materia, la percezione degli angeli viene descritta in opposizione a quella umana, la quale è caratterizzata appunto da una visione sistematicamente intercisa da nuovi obietti, il che rende necessaria una funzione psichica come la memoria, che rappresenta immaginariamente alla mente le cose che non sono attualmente obietto di percezione. Ecco allora che l'aspetto nuovo dell'oggetto è immediatamente collegato alla funzione percettiva umana, poiché la sua 'novità' coincide con quella differenza, rispetto ad altri oggetti già noti, che lo rende attualmente presente in quanto stimolo della sensibilità. Noi potremmo anche capovolgere il ragionamento, e dire: la funzione passato, in quanto procedimento di archiviazione dell'esperienza attraverso la memoria, è attivata ogni volta che un oggetto presente, cioè 'nuovo', cancella la percezione anteriore, trasformandola in ricordo La novitas quindi è da una parte la forma percettiva del presente, dall'altra il fattore che attiva la coscienza del passato. Relativamente agli angeli, come si è visto, Tommaso è di diversa opinione. E intuiamo immediatamente il motivo di tale posizione osservando la sua argomentazione, svolta in serrata polemica con Averroè, che vuole eterni, come il mondo e la specie umana, l'intelletto possibile e quello agente: [Contra Gentiles, lib. 2 cap. 73 n. 27-29]. 27. Si unus est intellectus possibilis omnium hominum, oportet ponere intellectum possibilem semper fuisse, si homines semper fuerunt, sicut ponunt: et multo magis intellectum agentem, quia agens est honorabilius patiente, ut Aristoteles dicit. Sed si agens est aeternum, et recipiens aeternum, oportet recepta esse aeterna. Ergo species intelligibiles ab aeterno fuerunt in intellectu possibili. Non igitur de novo recipit aliquas species intelligibiles. Ad nihil autem sensus et phantasia sunt necessaria ad intelligendum nisi ut ab eis accipiantur species intelligibiles. Sensus igitur non erit necessarius ad intelligendum, neque phantasia. Et redibit opinio Platonis, quod scientiam non acquirimus per sensus, sed ab eis excitamur ad rememorandum prius scita. 28. Sed ad hoc respondet Commentator praedictus, quod species intelligibiles habent duplex subiectum: ex uno quorum habent aeternitatem, scilicet ab intellectu possibili; ab alio autem habent novitatem, scilicet a phantasmate; sicut etiam speciei visibilis subiectum est duplex, scilicet res extra animam et potentia visiva. 29. Haec autem responsio stare non potest. Impossibile enim est quod actio et perfectio aeterni dependeat ab aliquo temporali. Phantasmata autem temporalia sunt, de novo quotidie in nobis facta ex sensu. Impossibile est igitur quod species intelligibiles, quibus intellectus possibilis fit actu et operatur, dependeant a phantasmatibus, sicut species visibilis dependet a rebus quae sunt extra animam.
La temporalità è propria dei fantasmata, "de novo quotidie in nobis facta ex sensu", e quindi dell'umano. Se si intendono le intelligenze Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
2
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
(e quindi gli angeli) completamente scevre di materia (cioè "puro atto", v. 33 di questo stesso canto), bisogna immaginarle anche prive di novitas, cioè di temporalità.
Osserviamo ora un altro aspetto della novitas, e cioè il suo rapporto negativo con la libertà: Par. VII, 67-72 Ciò che da lei sanza mezzo distilla non ha poi fine, perché non si move la sua imprenta quand'ella sigilla. Ciò che da essa sanza mezzo piove libero è tutto, perché non soggiace a la virtute de le cose nove. Ciò che è creato direttamente da Dio gode della eternità e della libertà. Quest'ultima è definita negativamente come indipendenza dalla virtute, cioè dal condizionamento, delle cose nove che sono i cieli in quanto motori e cause seconde della realtà. Le cose nove rappresentano quindi le cose che sono situate nel tempo, che hanno un inizio e una fine, e che determinano, limitandola, la libertà delle sostanze spirituali. L'anima umana, in quanto creata direttamente da Dio, è eterna e libera, ma in quanto mescolata alla materia, ha perso entrambi gli attributi, e soggiace alla virtute delle cose nove. Si osservi qui come la libertà venga intesa da Dante come autonomia dai condizionamenti del reale. La virtute delle cose nove è appunto la dipendenza della sostanza da ciò che, appartenendo al tempo, è materiale, e che al soggetto umano si presenta come necessità. Il nesso temporalità - materia - necessità rappresenta l'orizzonte reale e storico rispetto al quale si configura utopicamente la tensione dell'anima umana verso l'eterno - lo spirito - la libertà. Ed è, ancora una volta, la novitas ciò che traccia l'orizzonte del reale entro il quale si dispiega la eticità del soggetto umano. Ci avviciniamo ulteriormente alla dimensione psichica e quindi antropologica della novitas in Purg. XVIII 22-27: L'animo, ch'è creato ad amar presto, ad ogne cose è mobile che piace, tosto che dal piacere in atto è desto. Vostra apprensiva da esser verace tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, sì che l'animo ad essa volger face; e se, rivolto, inver' di lei si piega , quel piegare è amor, quell'è natura che per piacer di novo in voi si lega.
La procedura del desiderio in quanto motore dell'agire viene descritta in Conv. IV xii 14-17: Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
3
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé, (sì come è scritto: "Facciamo l'uomo ad imagine e simiglianza nostra"), essa anima massimamente desidera di tornare a quello. E sì come peregrino che va per una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede crede che sia l'albergo, e non trovando ciò essere, dirizza la credenza all'altra, e così di casa in casa, tanto che all'albergo viene; così l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene, crede che sia esso. E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre; e in Conv. IV xiii 1-2: lo desiderio de la scienza non è sempre uno ma è molti, e finito l'uno, viene l'altro; sì che, propriamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. Che se io desiderio di sapere li principii de le cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com'è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, né per l'avvenimento di questo non mi si toglie la perfezione a la quale mi condusse l'altro; e questo cotale dilatare non è cagione d'imperfezione, ma di perfezione maggiore. I due passaggi del Convivio esemplificano nella prassi esistenziale ed intellettuale quella funzione di stimolo dell'agire che la novitas, incarnata ogni volta da oggetti diversi, esercita sull'anima, di cui l'amore, inteso come inclinazione dell'anima generata dal piacere che desta ogni nuovo oggetto di desiderio ("piacer di novo"), è principio energetico. È nel quadro concettuale di tale visione antropologica della novitas che deve quindi essere ricostruito il significato della definizione di poetica di Purg., XXIV: Ma dì s'i' veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando Donne ch'avete intelletto d'amore. E io a lui: "I' mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando". "O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo che 'l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!". Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
4
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
Lungi dal rappresentare un semplice modo diverso di fare letteratura, la novitas del "dolce stile" rappresenta la scoperta di una nuova condizione umana, una nuova mentalità ed una nuova antropologia, che puntano sul desiderio (l'Amore che spira dentro) per ricostruire la soggettività a partire dalla immanenza del proprio stare al mondo ed in funzione della dialettica espressiva esterno-interno .
Ma la nozione poetico-antropologica di novitas è il punto d'arrivo di una esplorazione ermeneutica condotta inizialmente sul piano delle passioni scatenate dall'eros, e che noi possiamo agevolmente ricostruire nei testi lirici delle Rime e della Vita Nuova. Si osservi l'uso della nozione in Cavalcando l'altr'ier (10-12): e disse: 'Io vegno di lontana parte, ov'era lo tuo cor per mio volere, e recolo a servir novo piacere', e in Io sento sì d'amor la gran possanza (71-74): Io non la vidi tante volte ancora ch'io non trovasse in lei nova bellezza; onde Amor cresce in me la sua grandezza tanto quanto il piacer novo s'aggiugne. Nel primo caso la dialettica del desiderio investe l'esperienza esistenziale attraverso la necessità di superamento dell'oggetto femminile in favore di un nuovo oggetto. Nel secondo essa si manifesta all'interno della fenomenologia erotica di una stessa donna, che in ogni nuova percezione di essa manifesta una "nova bellezza" che stimola un "piacer novo". Si badi a questa famelica onnipotenza del desiderio, che attraversa e spinge in avanti l'orizzonte dato dell'esperienza sia attraverso nuovi oggetti (donne diverse), sia attraverso forme distinte dello stesso oggetto (aspetti diversi di un'unica donna). La pura sessualità dell'eros viene ovviamente subito bruciata attraverso la sua promozione metafisica e teologica, e anche qui la novitas si impone come prima legge del desiderio. Si veda l'apertura metafisica di I' mi son pargoletta (11-14): Ciascuna stella ne li occhi mi piove del lume suo e de la sua vertute; le mie bellezze sono al mondo nove, però che di là su mi son venute, e i versi 43-45 di Donne che avete, Dice di lei Amor: "Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?" Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
5
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne 'ntenda di far cosa nova.
Siamo ormai vicini all'idea di novitas come miracolo, quale appare non solo in sonetti come Tanto gentile ("e par che sia cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare", versi che spiegano in cosa consista la 'novità' di Beatrice postulata in quelli ora citati di Donne che avete), ma soprattutto nella prosa del capitolo XXIX della Vita Nuova, in cui la novitas di Beatrice viene sillogizzata attraverso la numerologia del nove, che da una parte significa la temporalità delle cose del mondo (in Beatrice il tempo si manifesta come convergenza dei calendari dell'umanità) e dall'altra la miracolosità della sua epifania: Io dico che, secondo l'usanza d'Arabia, l'anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l'usanza di Siria, ella si partio nel nono mese de l'anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l'usanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. [2]Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e, secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. [3]Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così. Lo numero del tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch'ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade. [4]Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in ciò più sottile ragione; ma questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace.
Bisogna però tener presente che l'ermeneutica della novitas era già stata esperita da Cavalcanti (e sullo stesso terreno ambiguamente sospeso fra sessualità e metafisica che si è visto ora in Dante), ad indicare, in entrambe le prospettive, la radicale trasformazione (e decostruzione) che il desiderio induce nel soggetto umano: A me stesso di me pietate vène per la dolente angoscia ch'i' mi veggio: di molta debolezza quand'io seggio, Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
6
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
l'anima sento ricoprir di pene. Tutto mi struggo, perch'io sento bene che d'ogni angoscia la mia vita è peggio; la nova donna cu' merzede cheggio questa battaglia di dolor' mantene.
Veggio negli occhi de la donna mia un lume pien di spiriti d'amore, che porta uno piacer novo nel core, sì che vi desta d'allegrezza vita. Cosa m'aven, quand'i' le son presente, ch'i' no la posso a lo 'ntelletto dire: veder mi par de la sua labbia uscire una sì bella donna, che la mente comprender no la può, che 'mmantenente ne nasce un'altra di bellezza nova, da la qual par ch'una stella si mova e dica: "La salute tua è apparita". Quando di morte mi conven trar vita, 15-17 Amor, che nasce di simil piacere, dentro lo cor si posa formando di disio nova persona; Donna me prega, 50 La nova - qualità move sospiri, Posso degli occhi miei novella dire, la qual è tale che piace sì al core che di dolcezza ne sospir'Amore. Questo novo plager che 'l meo cor sente fu tratto sol d'una donna veduta, la qual è sì gentil e avenente e tanto adorna, che 'l cor la saluta. Non è la sua biltate canosciuta da gente vile, ché lo suo colore chiama intelletto di troppo valore. Io veggio che negli occhi suoi risplende una vertù d'amor tanto gentile, ch'ogni dolce piacer vi si comprende; e move a loro un'anima sottile, respetto della quale ogn'altra è vile: e non si pò di lei giudicar fore altro che dir: "Quest'è novo splendore".
Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
7
Rafaele Pinto
Universitat de Barcelona
Primer Seminario de Dantología: Psicología y Poética en la obra de Dante Alighieri 7-9 Abril 2005, Facultad de Filología, Universidad Complutense de Madrid
8