QUANDO DA UNA SFIDA NASCE UN’OPPORTUNITÀ Intervista Martino Picotti – Sales Business Manager presso General Motors
a cura di Martino Allisiardi, Mariachiara Miani, Raffaela Prencipe Master in Risorse Umane e Organizzazione 2013
Un nitido venerdì mattina a Baveno, il lago brilla riflettendo un panorama incantato, da fiaba, portante con sé gli albori della primavera, aria fresca. Il tempo di una sigaretta mentre si contempla tale splendore e via, si entra nella sede Istud, salutando professori e compagni in un attimo si è di fronte al pc, Skype parte, e subito si è in contatto con l’altra parte del mondo: Dubai. Dubai, che rievoca immediatamente splendori dell’Oriente passato e al contempo il fascino delle nuove ‘guglie’ architettoniche dei grattacieli, della city, della fusione di culture, e l’attrattiva di un mondo diverso, quasi misterioso, ma che oggi più che mai è a portata di mano, anzi di click. Ed eccoci a confrontarci con il nostro interlocutore: Martino Picotti. Volto sereno, ci accoglie con un sorriso e ci sentiamo già a casa, ormai introdotti nel ‘nuovo mondo’, in un respiro più ampio.
Martino Picotti, un’ulteriore conferma dell’eccellenza ‘made in Italy’ all’estero: veronese d’origine, ‘dubaiano’ d’adozione, dopo 13 anni vissuti nel piccolo stato arabo. Dopo aver studiato Marketing & Business Management a Verona e dopo due esperienze lavorative – in Maria George Pty Ltd e Bolton –
inizia a lavorare per la Honda, in Belgio, nel head office europeo.
Responsabile marketing per il settore ricambi e accessori per motocicli per Europa e Medio Oriente. E qui avviene la svolta, inaspettata, inattesa, come gli eventi migliori della vita: una chiamata per Dubai, per andare a lavorare lì. Dubai: quando da una sfida nasce un’opportunità.
Da quanto tempo lavora a Dubai? Vivo a Dubai dalla fine del 2000, sono ormai 13 anni. Provenivo già da altre due esperienze internazionali e in totale sono quasi 17 anni che sono lontano dall’Italia, la mia carriera professionale si è quasi completamente sviluppata all’estero. Prima di integrare lo staff di General Motors, dove lavoro ormai da 8 anni, lavoravo per Honda per la quale ho occupato diverse funzioni nel settore dell’automotive.
Come mai ha scelto di trasferirsi a Dubai? Ha avuto l’opportunità di decidere oppure la casa-madre le ha imposto questo cambiamento? Mi hanno assegnato l’incarico quando lavoravo ancora alla Honda, all’epoca lavoravo alla sede belga per il mercato medio orientale. Ricevetti una telefonata direttamente dal presidente giapponese che mi parlò di Dubai. A quei tempi la realtà economica degli Emirati era sconosciuta e ricordo che mi posi subito la domanda: ma perché Dubai? Perché questa scelta? Ho forse sbagliato qualcosa nel mio lavoro? Si sapeva davvero poco su Dubai all’epoca, cosi ci accordammo per una trasferta di 2 settimane a scopo perlustrativo per capire e vedere da vicino questa realtà. Mi ricordo che la notte stessa in cui sono atterrato e ho attraversato la strada principale della città, piena di grattacieli e luci, che possiamo definire come la Manhattan di Dubai, avevo già deciso che avrei firmato il contratto. L’incarico aveva la durata di tre anni, durante i quali ho continuato a fare capo alla sede europea. Al termine dei tre anni fui richiamato in Europa, fatalmente proprio in Italia. Rimasi ancora un anno con la Honda e poi mi decisi a ritornare a Dubai spinto anche dal momento florido per l’Emirato. Qui ho cominciato la mia avventura con General Motors.
Perché hanno scelto proprio lei? Possedeva delle competenze uniche per confrontarsi con un mercato cosi diverso dal nostro? Decisamente si. Innanzitutto a livello logistico avevo dimostrato disponibilità ad un trasferimento, cosa che non tutti sono disposti a fare, poi a livello caratteriale sono una persona positiva e aperta a nuove iniziative e a nuove avventure, quindi ho accolto la proposta subito positivamente. È stata una concomitanza di fattori: bisogna trovarsi al momento giusto al posto giusto. Si è presentata l’occasione giusta e io sono stato individuato come la persona giusta per questo incarico, desideroso di avere una simile esperienza, e così è stato.
Il ruolo che le è stato proposto era simile al precedente? Oppure ha dovuto re-inventarsi? Ci sono state delle differenze: in Belgio ero Responsabile marketing per i motocicli ed ero a capo dei mercati di alcuni paesi europei. Il trasferimento ha implicato un mutamento di mansione dato che alla sede belga ci si occupa di tutti i prodotti e sono presenti tutte le funzioni aziendali. Quindi la realtà aziendale era una struttura abbastanza piatta a livello organizzativo. C’era bisogno di una figura manageriale che venisse dalla casa-madre e alla quale potessero far riferimento le varie risorse subordinate nelle funzioni: commerciali, di marketing, logistiche, di gestione delle risorse umane e di magazzino. Ho vissuto quest’estensione dei miei compiti come una promozione di carriera ma anche come una sfida a livello professionale, in quanto il mio campo di competenze si è arricchito di nuove funzioni. È stata una sfida che ho portato a termine positivamente. Poi sono venuti i successivi step della mia carriera: sono stato richiamato in Italia, in un centro logistico a Verona che si occupa di tutti gli accessori e ricambi dei prodotti Honda per l’Italia e parte dell’Europa sud orientale. Questa funzione era molto diversa dalla precedente e focalizzata sulla logistica. Nell’approccio delle aziende giapponesi c’è molta attenzione all’individuo, alla persona, c’è una filosofia aziendale molto forte, ma anche una pianificazione di carriera molto dettagliata; in un quadro temporale preciso vengono date scadenze obiettivi e vengono individuate potenzialità e skills. Viene però lasciata poca libertà e flessibilità all’individuo nel poter scegliere quali sono le opportunità future, esiste un’evidente pianificazione delle carriere però una volta che l’azienda ha individuato un percorso è molto difficile che
quell’individuo possa cambiare il percorso scelto per lui. Ho sperimentato questo approccio ed è stato abbastanza critico: avevano scelto questo tipo di carriera che però non apparteneva al background delle mie experties. Dopo un anno avevo capito che mi stavo sacrificando, avevo cercato un compromesso ma il compromesso non funzionava. Quest’inflessibilità aziendale ha influenzato tutte le mie decisioni future, quindi ho deciso di lasciare e di intraprendere un percorso diverso. Sono arrivato alla General Motors nel settore marketing e poi sono passato al commerciale, ora sono ‘Sales Business Manager’ che è un termine molto generico ma che possiamo identificare come un ‘Country Manager’ per tre stati della regione del medio oriente: Qwait, Quatar, Bahrain.
Il dover affrontare un ambiente interculturale ha valorizzato la sua flessibilità rispetto a culture diverse? È possibile mantenere la visione aziendale in ambienti interculturali? Questo è uno dei pochi paesi con una cultura molto internazionale: nella nostra azienda sono rappresentate 38 nazionalità diverse. All’interno dell’azienda bisogna avere la capacità di lavorare in squadra, di essere flessibili, molto di più rispetto ai paesi europei dove il fattore dell’internazionalità è inferiore. È necessaria, inoltre, la capacità di scernere gli aspetti professionali da quelli privati. Siamo uomini, per cui l’aspetto personale sarà sempre presente e cosi deve essere. Si passano ore e ore, gomito a gomito con i propri colleghi, però nei momenti importanti della vita aziendale credo sia necessario separare le due sfere, essere innanzitutto professionali mettendo da parte tutti i pregiudizi o gli elementi che possano impedire il raggiungimento degli obiettivi e non lasciarsi influenzare da fattori di cultura personali. Questa è una delle cose più importanti in questo tipo di ambiente, ci vuole tanta pazienza perché ognuno ha esigenze diverse e quindi bisogna anche avere una comprensione ampia delle altre culture per riuscire a dare una spiegazione a certi comportamenti.
SLOAN, LA MIA GENERAL MOTORS: ‘Pensare in maniera innovativa e rapida, ragionare sui cambiamenti internazionali, confrontarsi con una realtà che è sempre più dinamica e innovativa, con strutture aziendali che sono in continuo cambiamento’. Quali sono le soft skills indispensabili per approcciarsi a un mondo sempre più complesso? I mercati sono sempre di più in evoluzione, i cambiamenti all’ordine del giorno. Sono stabiliti dei piani annuali che devono essere rivisitati quasi settimanalmente. Quest’attività necessita di una capacità di analisi molto spiccata, la capacità di capire ed anticipare quali siano i trend, le strategie che la concorrenza sta mettendo in atto. C’è bisogno di una forte presenza sul mercato e non c’è più quel lavoro che si possa gestire dal dietro di una scrivania, bisogna essere in continuo movimento e ovviamente ci vogliono le risorse adeguate a livello di strumenti, ma ci vuole anche una grande flessibilità e una capacità analitica da parte dell’individuo. Questi mi sembrano che siano gli ingredienti necessari.
Come affronta il problema del work-life balance? Questa tematica non l’ho presa subito in considerazione, gli ho dato valore negli ultimi 4 o 5 anni e questo è dovuto alla naturale evoluzione della vita lavorativa. Voglio dire, quando un neo laureato inizia a intraprendere la carriera, di solito lo fa in condizioni di assoluta libertà, senza famiglia a carico e quindi si getta a capofitto nel lavoro tralasciando la sua vita sociale, dimenticando che anche se stesso. Dopo aver lavorato fino alle 23 anche il fine settimana con molti sacrifici ci si rende conto che il lavoro non è tutto, torniamo ad essere persone con bisogno di relazioni e quindi abbiamo bisogno di soddisfazioni anche nella vita privata. Non ci possiamo rintanare in ufficio o condividere il nostro tempo sempre e solo con dei colleghi o con persone collegate all’ambiente di lavoro. Abbiamo bisogno di svago, di divertirci. Un po’ alla volta entra in gioco anche il discorso famiglia e figli. Le aziende, da quanto posso constatare qui a Dubai, si sono evolute: c’è molta più possibilità di lavorare da casa e di avere un orario flessibile. Adesso mi ritrovo a non voler più compromettere alcune situazioni a livello sia familiare che sociale: la sera o il weekend raramente mi trovo a lavorare, con le dovute eccezioni. Io volo molto e sfruttando dei tempi morti posso utilizzare quei
momenti e così avere il weekend libero per poter godere della mia famiglia. Questo nuovo approccio da parte delle aziende ti permette di essere più produttivo durante le ore che dedichi al lavoro, perché non ne vuoi dedicare 15 ma 8 e quindi diventi più efficiente. Questa è una situazione vantaggiosa per entrambi.
Qual è stato il supporto delle risorse umane in questa attività di espatrio? A livello di re-organization di General Motors le risorse umane sono state estremamente professionali e puntuali: ciò è dovuto anche al fatto che è una realtà multinazionale con persone che provengono da tutto il mondo, per cui è insito nella cultura aziendale il capire quali siano le difficoltà e le esigenze in questa situazione. Sono stato molto contento, soddisfatto e impressionato da come è stata gestita la re-location: prima con contatti telefonici e via mail preparando tutta la documentazione, poi anche sul posto con una persona che mi ha affiancato nella ricerca di una sistemazione e nelle vicende burocratiche. Le risorse umane sono strutturate in General Motors in maniera tale da lasciare molta responsabilità e libertà ai manager di linea, per cui tutto l’aspetto di recruiting e di valutazione del personale è a capo di questi ultimi. Le risorse umane svolgono un’attività di supporto tra cui la stesura delle job-description e i supporti cartacei contenenti la struttura del colloquio. I colloqui sono però gestiti dai manager di linea, solamente affiancati da un osservatore. Per quanto riguarda le attività di valutazione del personale esiste un sistema online collegato ad un portale intranet nel quale vengono valutate le competenze e le performance dell’individuo con cadenza semestrale. La cosa curiosa è che il dipendente fa prima un’autovalutazione che poi viene analizzata dal suo responsabile in accordo con gli obiettivi di inizio anno e quindi valutata. Questa valutazione comprende sia lo sviluppo personale delle skills positive che di quelle da migliorare. Attraverso questo sistema si individua il percorso di sviluppo più adatto alla risorsa: training, mentoring, progetti ad hoc. Tutto questo processo è documentato sul sistema online e viene effettuato ogni sei mesi. Il confronto tra la valutazione della risorsa e quella del manager è motivo di crescita e scambio, quindi fonte di arricchimento per l’azienda e i dipendenti. La funzione delle risorse umane ha creato questo utile strumento ma lascia al manager il suo utilizzo.
Se potesse riassumere la sua carriera in una metafora quale sarebbe? Bella domanda, interessante! Adesso sinceramente non mi viene in mente niente come metafora, ma se dovessi individuare elemento significativo sottolineerei l’aspetto dell’internazionalità e della flessibilità.
Quali consigli può offrire a dei giovani che si stanno affacciando alla realtà lavorativa attuale, così complessa e difficile da comprendere? Quali suggerimenti? Su quali punti chiave consiglierebbe di agire? Sicuramente l’internazionalità e la padronanza delle lingue a livello generale; a livello professionale la cosa più importante è quella di essere molto orientati ai risultati e di adattarsi ai cambiamenti dei mercati. Quello che noto nei colleghi, ex colleghi e compagni di università che sono rimasti in Italia è la mancanza di ambizione, quasi un accettare la situazione così com’è, quindi il non mettersi in discussione. Il mio consiglio è quello di provare a buttarsi con ambizione. Purtroppo gli italiani hanno una conoscenza delle lingue inferiore rispetto alle altre nazionalità e questo è sicuramente un handicap. Non credo comunque che i
francesi o gli spagnoli siano migliori, intendiamoci eh! I giovani dovrebbero puntare sullo sviluppo di questa capacità.
Qual è la sfida più importante che ha mai dovuto affrontare? Come l’ha cambiata? Quando ho avuto l’incarico da parte della Honda come responsabile del centro logistico in Italia ho trovato difficoltà per vari motivi: il primo a livello professionale perché era una mansione molto specializzata su cui avevo solo delle basi. La sfida è stata performare in maniera ottimale e nello stesso tempo gestire i vari aspetti che la funzione comprendeva; a livello personale il fatto di dover tornare in Italia da una realtà come quella di Dubai, così internazionale, in una realtà come quella di Verona che al contrario non lo è. I colleghi erano tutti italiani e avevo 4 manager che riportavano direttamente a me, ma il loro livello di professionalità era di molto superiore a quello dei quasi 100 che avevo qui a Dubai, per cui vivevo una situazione completamente diversa. Il problema era che questi colleghi mi vedevano come una risorsa estranea al loro nucleo, forse la mia precedente carriera internazionale mi aveva formato in una maniera differente anche nel modo di rivolgermi alle persone e questo faceva la differenza. Fu uno dei 4 manager a chiamarmi e a dirmi che alcuni approcci da me adottati erano forse più adeguati a Dubai e non adatti a una realtà come quella italiana. È stato duro per me sentire una critica da un subordinato, anche se positiva: è sempre un po’ destabilizzante ma illuminante. Ho capito che forse era necessario un cambiamento da parte mia e così è stato. Grazie a quell’evento ho potuto rafforzarmi e costruire dei rapporti molto positivi all’interno dell’azienda. Questa è stata la sfida più importante finora.
Rispetto a quanto detto sui cambiamenti aziendali, vorremmo chiederle un consiglio sulla tematica del compromesso, ci potrà capitare di iniziare in ambiti differenti a quelli di più forte interesse. Come ci si può adattare a tali contesti tenendo al contempo presente l’obiettivo originario? Per quanto riguarda il compromesso l’ho vissuto sulla mia pelle proprio in quella fase di passaggio per quanto riguarda General Motors. Già al momento dell’offerta sapevo che il primo lavoro non mi sarebbe piaciuto, è stata una decisione molto difficile, guidata da altri obiettivi: prima di tutto quello di aver la possibilità di inserirmi in una realtà come quella di una multinazionale di altissimo livello. Per motivi personali volevo tornare a Dubai e questa era l’unica prospettiva professionale accettabile: è stata, quindi, la consapevolezza di avere un obiettivo di lungo termine a farmi accettare. Il consiglio che voglio dare è quello di individuare la positività in qualsiasi situazione, c’è sempre qualcosa di positivo anche in un lavoro che non piace, ma che al contempo può essere molto formativo. Ogni lavoro può dare l’opportunità all’individuo di sviluppare delle capacità e competenze che altrimenti non si svilupperebbero. Come si dice, dagli errori si impara sempre, ma anche dal compromesso si impara sempre. Poi è essenziale avere sempre presente qual è l’obiettivo di lungo termine. Non focalizzarsi troppo sul lavoro offerto, sul tipo di azienda e sul settore, ma trovare del positivo nell’opportunità che ci viene offerta! Cercate l’aspetto positivo in tutto ciò che fate, il compromesso può essere visto come fondamentale per giungere all’obiettivo ultimo: il lavoro della propria vita.