UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FILARETE ON LINE Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia
EMILIO GATTICO
Logica e psicologia nella cultura italiana del XIX secolo. Un tema di epistemologia genetica: analisi storico‑critica della letteratura filosofica minore Firenze, La Nuova Italia, 1995 (Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, 160)
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PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO CLX
SEZIONE DI PSICOLOGIA
EMILIO GATTICO
LOGICA E PSICOLOGIA NELLA CULTURA ITALIANA DEL XIX SECOLO UN TEMA DI EPISTEMOLOGIA GENETICA: ANALISI STORICO-CRITICA DELLA LETTERATURA FILOSOFICA MINORE
LA NUOVA ITALIA EDITRICE FIRENZE
Gattico, Emilie Logica e psicologia nella cultura italiana del XIX secolo : un tema di epistemologia genetica : analisi storico-critica della letteratura fìlosofica minore. (Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofìa dell'Università degli Studi di Milano ; 160. Sezione di Psicologia ; 2). ISBN 88-221-1643-7 1. Epistemologia genetica I. Tit. 501
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy Copyright 1994 by « La Nuova Italia » Editrice, Firenze l a edizione: giugno 1995
INDICE
INTRODUZIONE Capitolo I
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LOGICA E PSICOLOGIA NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA DEL XIX SECOLO 1. 2. 3. 4. 5.
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I periodo - Prima metà del secolo - Osservazioni generali Rapporto Logica-Psicologia nella cultura italiana (1800-1850) II periodo - Seconda metà del secolo - Osservazioni generali L'esempio di Wundt e la situazione italiana Rapporto Logica-Psicologia nella cultura italiana (1850-1900) 5.1. Primarietà della Psicologia rispetto alla Logica 5.2. Mantenimento della scissione tra Logica e Psicologia 5.2.1. Acquisizione di tecniche per lo sviluppo del pensiero 5.2.2. Prime forme di associazionismo tra Logica e Psico logia 5.2.3. Logica inventiva - Critica alla Sillogistica 5.2.4. Logica, ovvero strumento « per vedere » ciò che si percepisce dalla realtà 5.2.5. Psicologia generatrice della Logica (approcci empirici) 5.2.6. Psicologia generatrice della Logica (approcci teorici) 5.3. Rifiuto di comparazione della Logica con la Psicologia 6. Conclusioni
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Capitolo II LA LOGICA NATURALE NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA DEL XIX SECOLO
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1. 2. 3. 4. 5.
Premessa I precedenti storici Logica Naturale e Psicologia nella cultura italiana Evoluzioni della Logica Naturale in rapporto con la Psicologia Osservazioni 5.1. Genesi, esplicazione, interpretazione 5.2. Mondo esterno e mondo interno 5.3. Natura e cultura
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Vili
INDICE
6. Autori italiani che trattano di Logica Naturale 6.1. Cinque differenti concezioni della Logica Naturale 6.2. Altri autori italiani che trattano di Logica Naturale
Capitolo III DIFFERENTI TIPI DI LOGICA NELLA LETTERATURA MI NORE ITALIANA DEL XIX SECOLO 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Premessa Osservazioni Differenti tipi di Logica La scienza della Logica: suo significato (origini e mutazioni) Ulteriori definizioni e ripartizioni della Logica Un esempio di Logica Applicata
174 174 184
198 198 202 205 213 220 224
ELENCO DEI TESTI CONSULTATI
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BIBLIOGRAFIA GENERALE
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INDICE DEGLI AUTORI
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I. Inizialmente l'obiettivo del lavoro era volto ad investigare lo stato della Logica italiana nel secolo scorso o, più precisamente, sino alla com parsa dei lavori di G. Peano, con l'intento di scoprire se nella cultura del nostro paese sussisteva una humus culturale, che avesse in qualche modo se non influenzato, almeno spinto o condotto, il grande matematico pie montese ad occuparsi di Logica. Per assolvere a questo compito si è cercato nella maggior parte delle biblioteche italiane quanto più materiale fosse possibile per darci una visione sufficientemente documentata del problema in questione. Il lavoro, condotto da P. Demolli, C. Gallo, E. Gattico, C. Mangione, A. Odone e finanziato dal C. N. R., ha condotto al ritrovamento di oltre settecento testi dedicati allo studio della Logica o della Psicologia o che, nel loro interno, trattavano di queste discipline. L'obiettivo che mi sono successivamente proposto è consistito nell'analizzare come le evoluzioni della Logica e della Psicologia, la loro iniziale appartenenza ad un unica forma del sapere, a cui fece seguito una loro progressiva differenziazione, dapprima rispetto alla filosofia e, succes sivamente, tra loro stesse, furono elaborate nell'ambito della letteratura italiana del secolo XIX. Per assolvere ad un tal compito ho preso in esame testi, molti dei quali oggi poco conosciuti se non del tutto dimenticati, prodotti (nella massima parte dei casi) da filosofi che lavorarono nel nostro paese, ma che, per evidenti motivi storici (l'Italia non esiste almeno sino al 1861) furono necessariamente separati tra loro ed influenzati in modo rilevante
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dalle correnti di pensiero presenti nel territorio nel quale operavano (sap piamo, ed il nostro lavoro l'ha confermato, che in questo periodo vi furo no zone che erano vere e proprie roccaforti di una scuola, di una corrente di pensiero, piuttosto che di un'altra). IL Logica e Psicologia sono due materie di studio senza dubbio collega te anche se chiaramente distinte l'una dall'altra, ma sappiamo che nel secolo scorso le cose non stavano in questo modo. Le due discipline erano strettamente riunite insieme con altre, e, opportunamente gerarchizzate, costituivano il corpus del sapere, che era unico e non scindibile in settori particolari e specifici. A questo punto la questione che ci si è posti è stata la seguente: nei lavori di un logico come G. Peano o G. Vailati, o di psicologi, quali F. Kiesow, S. de Sanctis, G. C. Ferrari, V. Benussi ed A. Gemelli, le cui opere ebbero un'indubbia diffusione nella cultura europea del periodo, si ritro vano tracce, si colgono suggerimenti, ricavabili dalla precedente letteratura logica e psicologica prodotta nel nostro paese? oppure, al contrario, siamo costretti a dover ammettere che la loro formazione fu dovuta unicamente alla conoscenza di quanto stava in quel periodo avvenendo all'estero? Non avendo avuto la cultura italiana nomi di spicco per queste due discipline, è la problematica contenuta nella seconda domanda quella che si dovrebbe investigare maggiormente per dare una risposta al nostro quesito. Sappiamo che Peano conosceva i lavori dei maggiori matematici del periodo (e, probabilmente, all'epoca nessuno era meglio informato di lui a proposito di quelli che erano i progressi di questa disciplina); allo stesso modo gli psicologi ora citati conoscevano non solo i grandi nomi della Psicologia straniera, di cui traducevano e diffondevano le opere, ma anche i movimenti culturali e le varie correnti che caratterizzavano questa disciplina nelle sue fasi di sviluppo e nel suo progressivo consolidamento nell'ambito del sapere. È altrettanto vero che questi personaggi, e nel caso di Peano non vi è alcun dubbio, erano studiosi di materie che, proprio grazie ai loro con tributi, stavano acquistando una propria autonomia, avevano sciolto i vin coli con la tradizione culturale del passato, si erano date obiettivi specifici, dotandosi di mezzi opportuni per realizzarli. Prova ne è il fatto che, po nendosi tali studiosi in posizioni di avanguardia, la loro produzione incon trò ovunque non poche resistenze e la diffusione della stessa fu ristretta a
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settori di pubblico assai limitati. Ma se questo fatto, che normalmente costituisce l'usuale procedura di un dibattito scientifico, avveniva regolar mente all'estero, non possiamo dire la stessa cosa per quello che concerne l'Italia, dove il loro operato era volutamente ignorato e acriticamente re spinto, senza alcuna discussione. Il presente lavoro parte da questa constatazione e si prefigge di essere una raccolta di materiali che ci renda conto di quale era la situazione culturale italiana dell'epoca, in cui si erano formati e lavoravano questi personaggi, e che giustifichi, in maniera particolareggiata, la scarsa in fluenza che non solo ebbero le loro produzioni sulla cultura italiana in generale, ma anche sul sapere accademico. Allo stesso modo vuole mettere in evidenza come studiando la genesi e lo sviluppo di una (o più) discipli ne si raccolgano e si scoprano informazioni assai utili che altrimenti an drebbero perse o ci darebbero una visione parziale delle stesse.
m. Il motivo per il quale ho pensato di suddividere in due grandi periodi (1800-1850; 1850-1900) la trattazione risponde alla necessità di individua re un momento culturale particolarmente significativo, in grado di indica re un vero e proprio mutamento nell'affrontare la ricerca scientifica. La comparsa del Positivismo che, grosso modo, può essere collocata alla metà del secolo scorso almeno per ciò che concerne la cultura italiana, proprio in virtù delle nuove problematiche teoriche e pratiche che tale corrente comportava rispetto ad una tradizione fortemente conservatrice, ci è sem brato un valido motivo per giustificare la nostra scelta. Non ho considerato nella ricerca il nostro secolo (anche se il proble ma affrontato ha continuato e continua a produrre discussioni) per due motivi: In primo luogo perché i lavori condotti in questo secolo su tali argo menti sono abbastanza numerosi ed il problema è quindi ben definito. In secondo luogo perché Peano è parso un punto oltremodo impor tante e significativo per potermi consentire di assumerlo quale necessario limite che, inevitabilmente, si deve assegnare a qualsiasi ricerca. IV. Abbiamo definito « minore » la letteratura da noi esaminata, in primo luogo per il fatto che se nessuno di questi Autori mai raggiunse una rag-
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guardevole notorietà, tuttavia diede vita ad una copiosa produzione (sono diverse centinaia i testi che trattano di questo argomento) ed intavolò numerose discussioni (spesso a carattere polemico) con i sostenitori di differenti indirizzi di ricerca, dandoci così un'idea di quello che era il reale clima culturale italiano. Siccome nella maggior parte dei casi si tratta di produzioni composte da docenti universitari o liceali, questo lavoro ha la possibilità di mostrarci ciò che gli studenti dell'epoca dovevano apprendere e quello che allora si insegnava nelle scuole: anche, e forse soprattutto, in questo senso si tratta di un lavoro che ci presenta quella che era la situazione e lo stato della cultura nell'Italia dell'epoca. Sarebbe ingenuo credere che le Università ed i Licei fossero i soli centri culturali del periodo. Certamente vi erano luoghi o ritrovi che as solvevano a questa funzione probabilmente in maniera più approfondita e valida. Tuttavia il nostro intento è stato quello di esaminare come fosse diffusa "pubblicamente" la cultura ed è per questo che ci si è rifatti in modo particolare all'ambiente universitario. Abbiamo in secondo luogo definito "minore" questa letteratura per ché è strettamente legata al periodo in cui è prodotta, ha in gran parte il ruolo di fare comprendere, magari anche tramite eccessive semplificazioni, temi ben più impegnativi e profondi, non presenta neppure rielaborazioni significative delle tematiche filosofiche al periodo attuali. Trattandosi inol tre di lavori essenzialmente divulgativi, posseggono un'ulteriore caratteri stica. Nella maggior parte dei casi i professori di cui tratteremo esponevano le dottrine dei grandi uomini del passato, od a loro contemporanei, ma è altrettanto probabile che ognuno di costoro avesse un suo modo di assol vere a tal compito ed è proprio questo punto il miglior rivelatore di quelli che erano i livelli di erudiziene e delle conoscenze del momento. Riteniamo che questo sia un valido mezzo di verifica per vedere se sussistesse e di che tipo fosse l'humus culturale del nostro paese, nella quale germogliarono e si fondarono i successivi sviluppi delle discipline prese in esame. V. Tutti i testi consultati concernono in massima parte la produzione di filosofi, per il fatto che era questa la disciplina da cui sono nate sia la Logica che la Psicologia e perché ben difficilmente si trovavano testi spe cifici, dedicati unicamente a tali materie (nei vecchi cataloghi delle biblio teche spesso manca la classificazione Psicologia e Logica). Inoltre la scelta
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di scritti filosofici, più che quella di cultori di materie specifiche, è, a sua volta, dovuta ad una serie di precise motivazioni: 1) La filosofia, in massima parte, è ancora, per tutto il secolo scorso, la scienza che comprende la maggior parte delle diverse forme del sapere; 2) nella filosofia ritroviamo la genesi, la formazione e, successivamen te, la separazione delle due discipline (Logica e Psicologia) esaminate; 3 ) con la filosofia possiamo meglio cogliere i collegamenti che queste due materie hanno sempre conservato, nonché i problemi che in seguito portarono ad una loro progressiva differenziazione e separazione; 4) infine è proprio in questa materia che possiamo ritrovare oggi alcuni spunti ed argomenti di ricerca, che sono ripresentazioni ed amplia menti successivamente apportati dai più illustri rappresentanti delle due discipline. VI. Stabiliti i criteri che hanno guidato il lavoro, tre saranno i temi esa minati: 1) Rapporto Logica/Psicologia: dopo una presentazione generale per ciascuno dei periodi in cui ripartiremo il secolo XIX (1800-1850; 18501900), cercheremo di mostrare le differenti posizioni degli autori e di individuare la contemporanea presenza di diverse correnti di pensiero. Il secondo periodo, grazie alla cospicua quantità di materiale bibliografico raccolto ed alla presenza di tematiche più numerose ed attuali, sarà ulte riormente suddiviso in vari settori, che saranno specificati nel corso del lavoro. Nella conclusione di questo primo capitolo cercherò di mostrare sinteticamente la situazione in cui si trovava la cultura italiana, riferita alle due discipline esaminate, rispetto alle problematiche che si presentarono con l'inizio del XX secolo. 2) Evoluzione del concetto di Logica Naturale: dopo avere presenta to le sue origini storiche e le eredità da queste lasciate nella cultura italia na, mostrerò dapprima il suo sviluppo e poi la sua dissoluzione, proprio grazie alla specificità che la Logica e la Psicologia andarono acquisendo. La parte finale di questo capitolo sarà una catalogaziene di tutti gli studio si italiani esaminati, che si occuparono di questa particolare forma di Logica. 3) I differenti tipi di Logica che, in un periodo di profonde tra sformazioni culturali e scientifiche, comparvero nel panorama filosofico italiano e quali influenze ebbero, a tale proposito, le produzioni della
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cultura europea. Proprio in questa sede emergerà il travaglio in cui do vettero porsi gli studiosi che volevano presentare rigorosamente una di sciplina (la Logica), senza però disfarsi completamente di altre compo nenti ad essa collegate (retorica, dialettica, grammatica). Ci è parso neces sario inserire questo terzo capitolo in quanto ci consente di avere un quadro più dettagliato di come la Logica fosse intesa in Italia (ma non solo) nel secolo scorso. Il considerare quella che è stata poi la sua evolu zione (dove Peano ebbe un'importanza di primo piano), presentando tutti i modi con cui questa disciplina era stata precedentemente intesa, mi è parso un valido contributo documentativo. La stessa cosa, è ovvio, vale anche per la Psicologia. Il lavoro, che rientra in una tematica epistemologico-genetica, vuole costituire la prima parte, da definirsi storico-critica, di un progetto che si prefigge di esaminare, in un secondo momento, in che modo il rapporto tra Logica e Psicologia sia oggi trattato, con particolare riferimento ai lavori di J. Piaget (Logica operatoria) e dei suoi collaboratori (soprattutto la Logica Naturale secondo J. B. Grize e la sua scuola), in vista della costruzione di una scienza sempre più evoluta e specifica.
1. I PERIODO - PRIMA METÀ DEL SECOLO xix - OSSERVAZIONI GENERALI. 1.1. Sono i cinquant'anni nei quali si assiste al sorgere, al consolidarsi ed allo svanire della cultura romantica che, inizialmente, si manifesta col fervore naturalistico di F. W. J. Schelling, si afferma e si nega con l'otti mismo idealistico di G. W. F. Hegel, il quale ne persegue gli stessi fini ma ricorrendo a differenti mezzi, e si conclude con il sopravvento del pessi mismo irrazionale (A. Schopenhauer), che solo una fiducia assai ingenua nei progressi delle scienze riesce, in parte, ad attenuare. Elemento comune ad un tale indirizzo di pensiero è, pure nella sua diversità, il tentativo di attuare una comprensione unitaria del reale e, conscguentemente, si assiste al tentativo di considerare le varie forme della conoscenza come sistema ticamente connesse le une con le altre. Il desiderio di amalgamare armo nicamente tutte le componenti del sapere, con l'intento di averne una visione completa e saldamente connessa, trova nella Germania il paese ove questo progetto si esprime con maggiore intensità: i lavori J. G. Hamann (filosofia e teologia), G. Herder (filosofia e storia), W. Goethe (estetica e letteratura), F. Schiller (etica ed estetica), W. von Humboldt (antropologia e linguistica), Novalis (filosofia ed etica), F. Schlegel (poetica), sono le testimonianze più rilevanti che segnarono l'avvento di questa corrente culturale. L'obiettivo comune a tutti gli studiosi del periodo è il superamento della crisi, prodotta dalle eccessive specializzazioni delle operazioni umane e dalla conseguente perdita dell'unità intcriore ed esteriore del soggetto. Possiamo affermare che, salvo alcune eccezioni, ci si rende conto che la "rivoluzione" illuministica presentava gravi lacune ed inconvenienti: per
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questo si contrappone lo storicismo all'astoricità, la religione rivelata a quella naturale, l'esigenza di un'autorità allo spontaneismo 1 . Quando si parla di "romanticismo" non ci riferiamo tanto ad un insieme di contenuti quanto piuttosto al modo di intendere quelli classici e di rielaborarli. Il fatto che fu in Germania il luogo dove tale corrente attecchì maggiormente e che fu attorno alla rivista Athenaeum di F. Schlegel che crebbe il movimento romantico, significa che in questo paese si riscontrarono le condizioni storiche più rilevanti per avviare questo ribal tamento culturale. Negli altri stati il suo influsso si fece certamente sentire in modo meno profondo e si concretizzò con la riscoperta di certi conte nuti storici (come la cultura medievale) o la preferenza accordata ad alcuni generi letterari (come il romanzo storico), ma, almeno inizialmente, senza essere di certo in grado né di mutare la cultura filosofica tradizionale, né di propome una nuova. 1.2. La cultura italiana del periodo non si discosta molto da questa situazione, ma inoltre è segnata da un costante ritardo rispetto alle produ zioni filosofiche degli altri paesi. Anche quando l'idealismo domina la scena culturale europea (Fenomenologia dello Spirito, 1807, Scienza della Logica, 1812) la filosofia italiana è ancora sostanzialmente legata alle problematiche del pensiero francese ed inglese, la cui diffusione era ritenuta più agevole, malgrado queste fossero già sulla via di un loro superamento: pertanto, risente ancora fortemente del sensismo di Dillac, la cui opera « faceva for tuna, ed i maestri continuavano ad insegnarla agli scolari ad accoglierla ed a propagarla... [e ciò] ha la sua facile spiegazione nell'apparente chiarezza sua, e nelle simpatie coi costumi di quel tempo » (G. Gentile, Storia della Filosofia italiana, 1969, I, V, II, 728) e dell'utilitarismo di J. Bentham. Oltretutto le prime osservazioni all'illuminismo che si registrano in Italia, fanno prevalere « più che un autentico storicismo la rivalutazione del costu me ereditato e della tradizione » (L. Geymonat, Storia del pensiero filolofico e scientifico, 1973, IV, XXII, I, 666) e questo non fu certo un incentivo atto a favorire l'ingresso del nuovo clima culturale nel nostro paese. 1 Un esempio esemplare sono gli Inni della Notte di G. P. F. von Hardenberg, ovvero Novalis, che ritrova nel mistero e nella fantasia della notte gli elementi necessari da contrapporre e da preferire alla sicurezza ed al realismo della Luce, del Giorno, componenti specifici della cultura illuministica, che secondo questo Autore è segnata da un razionalismo limitante. Al di là della componente metafisica di queste afferma zioni appare chiaramente l'esigenza di ampiare ed arricchire ulteriormente il panorama delle conoscenze.
LOGICA E PSICOLOGIA NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA
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Non mancavano tuttavia sedi e luoghi nei quali la cultura potesse svilupparsi e presentare valide produzioni: i centri italiani più attivi nel XVIII secolo erano Milano e Napoli. Pure mantenendo entrambi questa preminenza anche nei primi decenni del secolo XIX, è la città lombarda, grazie soprattutto alle riforme economiche ed amministrative promosse da Maria Teresa e Giuseppe II, quella che si era mostrata più aperta alla nuova cultura illuminista, la quale era ritenuta il mezzo più idoneo ed opportuno per superare gli ostacoli, che le passate esperienze e tradizioni ancora frapponevano ad un rinnovamento del sapere. Il periodico "II Caffè" (organo della "Società dei Pugni", 1761-1762), cui aderiscono i nomi più illustri di quel periodo (A. Verri, P. Verri, C. Beccaria, A. Longo), fu certamente la produzione letteraria più progressista di tutta la cultura italiana del XVIII secolo. La sua influenza fu talmente rilevante che anche gli studiosi delle successiva generazione rimasero strettamente collegati alla filosofia del gruppo milanese ed ebbero notevoli difficoltà a staccarsi da questo. Ed è forse proprio in seguito a questo fatto che gli stessi studiosi non colsero tempestivamente i mutamenti che la giovane cultura romantica stava portando all'estero. Se a ciò si aggiunge il peso non sempre positivo che la cultura religiosa e l'istituzione ecclesiastica ancora esercitavano nel nostro paese, non stupisce che, quando le nuove idee provenienti dall'este ro, a partire dal terzo decennio del secolo, fecero il loro ingresso in Italia, le si trovi connotate da un tentativo di fusione con la tradizione cattolica: nei maggiori filosofi di questo periodo assumeranno un carattere specifi catamente gnoseologico (A. Rosmini) e storico-religioso (V. Gioberti). Un elemento costante in tutta la cultura romantica, ed in Italia particolarmente rilevante, è il richiamo alla tradizione ed il tentativo di un suo recupero. Ora questo fatto, che pure favorisce la comparsa di nuove idee, successive ad una rilettura critica delle passate produzioni, può anche in tendersi come un rafforzamento delle posizioni conservatrici: nella filosofia del nostro paese, guidata dalla ripresentazione dei temi dello spiritualismo cattolico e cristiano, un tale fatto è rinvenibile in tutti gli autori del perio do, anche in coloro che pure sono presentati come i più progressisti ed i meno debitori rispetto alla passata tradizione (C. Cattaneo 2 e V. Cuoco 3 ). 2 Le condizioni familiari di Carlo Cattaneo (1801-1869), non certo agiate, costi tuirono una grande difficoltà per compiere gli studi. Si laurea a Pavia nel 1824 in giurisprudenza e si lega ben presto al gruppo del Romagnosi, che difese sempre dalle accuse che il Rosmini continuava a rivolgergli. Dal 1839 al 1844 diresse // Politecnico
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Anche in questo caso, malgrado, per alcuni versi, si possano indivi duare alcuni autori (in particolare G. Romagnosi 4 e M. Gioia 5 ) che sem brano pretendere una più netta separazione tra le differenti forme di co noscenza, l'elemento principale è la ricerca di una soluzione unitaria ai problemi posti da un sapere, considerato sì nella sua complessità, ma ritenuto rigidamente concatenato ed unico. Questo intento non si traduce però in un tentativo immanentista di riunificazione delle varie attività dello Spirito (sulla scorta dell'idealismo tedesco), ma si richiama alle pas sate speculazioni, fortemente improntate a rigide strutturazioni delle co noscenze. Una simile posizione comporta altresì che neppure si metta in discussione quella che era la classica ripartizione delle scienze ed è, pro babilmente, per tradizione culturale, o meglio per intenti pedagogici e morali più che per altri motivi, che si ricorda che la Logica riveste una posizione preminente: questa però è già "data", assegnata, già stabilita una volta per tutte, ed il fatto non genera e non può generare, alcuna conflit tualità con le altre forme del sapere.
e nel 1848 partecipò in prima persona ai moti indipendentistici. Dopo la battaglia di Custoza emigra a Parigi; successivamente si trasferisce a Lugano e quivi insegna filoso fia nel liceo del Canton Ticino. Dopo avere abbandonato le sue giovanili posizioni antipiemontesi (1859) ed avere invitato Garibaldi (1860) a realizzare l'ideale federali stico che da sempre coltivava, riprende a dirigere // Politecnico. A seguito di profonde incompatibilità ideologiche con l'editore delle rivista è costretto ad abbandonare nuo vamente l'incarico. A questo punto si ritira da ogni attività sino alla morte. Tra le altre sue opere ricordiamo Introduzione alle notizie naturali e civili della Lombardia (1844), Psicologia delle menti associate (1859-1863), Corsi di filosofia (postumo). 3 Vincenzo Cuoco (1770-1823). Di origini molisane, si ispira alla filosofia del Vico e contribuisce a far conoscere le sue idee nel nord Italia quando dovette andare in esilio a Milano, in quanto coinvolto nella Rivoluzione Napoletana del 1799. Nel 1806 ritorna a Napoli da dove non si sposta più. Tra le sue opere citiamo il Saggio storico (1801) sulla rivolta napoletana ed il romanzo filosofico Fiatone in Italia (1806). 4 Giandomenico Romagnosi (1761-1835), si forma culturalmente a Piacenza, si trasferisce a Trento e, successivamente, insegna diritto nelle Università di Parma e Piacenza. Le sue posizioni filofrancesi ed il suo sostegno alle tematiche filosofiche illuministe gli causano seri problemi con la giustizia austriaca dopo il crollo napo leonico, al punto da essere implicato nel processo Pellico-Maroncelli. Tra le altre sue opere: Che cos'è la mente sana? Indovinello massimo che potrebbe valere poco o niente (1827), Sull'indole e sui fattori dell'incivilimento con esempi del suo risorgimen to in Italia (1833), Giurisprudenza teorica ossia Istituzioni di civile filosofia (1839 postumo). 3 Melchiorre Gioia (1767-1829) oltreché filosofo è anche economista ed uomo politico: da notare il suo tentativo in filosofia della statistica di applicare il metodo empirico-descrittivo ai problemi della società. Scritto più propriamente filosofico è invece Del merito e delle ricompense (1818).
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Non esitiamo pertanto a pensare che, all'inizio del secolo XIX, per quello che concerne la letteratura filosofica italiana, non vi sia alcun attrito tra Logica e Psicologia. Secondo la classica suddivisione del sapere, che risale ad Aristotele, la Psicologia è una disciplina che fa parte della Logica, ovvero la scienza che studia la ragione nei caratteri formali ed universali dei suoi prodotti. Per ottenere questo risultato finale è pertanto necessario partire dalle forme e dai mezzi più elementari, per alcuni versi primari, di cui ogni soggetto dispone per confrontarsi con il sapere: è questo l'ufficio cui deve rispondere la Psicologia. Più esplicitamente: 1.2.1. La logica stabilisce che è possibile scoprire come il pensiero sia effettivamente organizzato: alla base di questa posizione sta il fatto che le strutture generali del mondo esterno possiedono dei fondamenti che non si discostano da quelli che son propri ad ogni soggetto. Si aggiunga a ciò che è estremamente forte l'influenza della scuola di Port-Royal e, sulle scorte dei suoi insegnamenti, in base ai quali questa disciplina è detta "arte di pensare" e non più "arte di ragionare", « per la prima volta... la meto dologia è esplicitamente introdotta in Logica » (H. Scholz, Esquisse d'une histoire de la Logique, 1968, I, 5, 34) 6 e che per i suoi autori è senza alcun dubbio la parte più utile ed importante tra quelle che la compongono. Richiamandosi a R. Descartes, che aveva sottoposto la Logica "classi ca" ad una critica radicale, si tratta ora di presentarla mostrando ed indi cando il metodo con cui accostarsi alle scienze. Su questo punto sono tutti pressoché d'accordo: ma, « evidentemente questa Logica non è profonda » (ibidem, II, 3, 69) e ciò è tanto più valido per la cultura filosofica italiana dove, in molti casi, la si intende in maniera ancora più limitata, riducendo la, nella maggior parte dei casi, ad una serie di precetti e regole da impartire agli allievi per favorire lo sviluppo delle loro capacità di apprendimento. 1.2.2. La Psicologia, anch'essa parte della filosofia, ritiene a sua volta che le leggi logiche, ed anche quelle etiche, facciano parte del patrimonio di cui tutti gli individui, almeno in potenza, sono in possesso. Volendo ancora intenderla quale "studio dell'anima" ha come obiettivo l'investiga zione della sua formazione ed il corretto adeguamento di questa alla realtà esterna. Per questo la componente pedagogica che si tende a fare assume re alla Logica ha, di conseguenza, una rilevante importanza per favorire un 6 H. Scholz, Abriss der Geschichte der Logik, Verlag Karl Alberg, Reiburg-Mùnchen, l a ed. 1931, 2 a ed. 1959.
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accordo e, a volte un connubio, con la Psicologia, la quale indaga da un altro punto di vista lo stesso problema 7 . Anche a questo proposito il richiamo alla scuola port-royaliste è espli cito: « II giudizio di verità e la regola per ottenerlo non appartiene certo ai sensi, ma allo Spirito: Non est judicium veritatis in sensibus; questo perché la certezza che possiamo ricavare dai sensi non è facilmente generalizzabile ed anche per il fatto che vi sono parecchie cose che crediamo di sapere, mentre non possiamo dire di avere una conoscenza sicura e completa » 8. Se dunque si parte dai sensi (Psicologia), questi ci forniscono solo delle vaghe impressioni degli oggetti che ci pongono innanzi, mentre occorre un metodo razionale (Logica) per comprenderli in modo soddisfacente.
2. RAPPORTO LOGICA-PSICOLOGIA NELLA CULTURA ITALIANA DEL xix SECOLO (1800-1850).
(a) Progressiva separazione di Logica e Psicologia da temi ontologici e morali. Se partiamo dal fatto che tutto il sapere è un prodotto umano, non dovremmo avere particolari obiezioni sostenendo che questo abbia pro prio nell'uomo il minimo comune denominatore e che, quindi, possa es sere inteso in senso unitario. Se questa affermazione è valida anche per le scienze della natura, le quali sono imbrigliate in costruzioni o sono strut turate secondo precise regole, frutto della riflessione del soggetto, è ancor più assumibile quale presupposto per una scienza che abbia come oggetto lo studio dei concetti primi e quello della loro formazione. Siccome è oggi invece cosa più che mai vaga ed infruttuosa parlare di un singolo sapere, quello che può maggiormente interessare è come le varie forme che lo compongono si correlino tra di loro e, per quanto è possibile, come un tale fatto si sia verificato con il passare del tempo. 7 II connubio tra Psicologia e Logica riscontrabile nel romanticismo, incanalato in un versante pedagogico, presenta due aspetti contrapposti, l'uno positivo e l'altro negativo: quello "negativo" risulterà più rilevante ed importante negli anni successivi per le conseguenze limitanti che assumerà la pedagogia. Se da un lato, infatti, promuo ve un continuo aggiornamento del metodo di questa disciplina ed impedisce una sua schematizzazione troppo rigida, per un altro verso costituisce un ostacolo alla fonda zione di un'indagine scientifica, vale a dire oggettiva, nel campo dell'educazione (L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, 1973, IV, XI, II, 305-309). 8 Quando parleremo della scuola di Port-Royal ci rifaremo sempre a A. Arnaud e P. Nicole, La Logique ou l'art de Penser, Jacques Lecoffre, Paris 1865.
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Quanto più si ripercorre la storia, tanto più ci si rende conto che il sapere è passato da una concezione monolitica ad una sempre più settorializzata: è per questo oltremodo importante mostrare le differenti fasi, attraverso cui si è svolta questa progressiva scissione. Nel nostro caso la Logica e la Psicologia sono discipline che cogliamo ancora unite fra loro, come parti della Filosofia: inizieremo il lavoro partendo dal momento nel quale co mincia la loro progressiva differenziazione, per arrivare nel periodo in cui la loro divisione sembra essere oramai del tutto definitiva. Pure avendo attraversato differenti fasi nelle quali questa progressiva separazione si è manifestata, troviamo come elemento comune il progres sivo, ma estremamente difficoltoso allontanamento da forme di ragiona mento ancora troppo legate al pensiero quotidiano, per ciò che concerne la Logica, e da sperimentazioni casuali, oltretutto proposte solo teorica mente e mai verificate sperimentalmente, per quello che riguarda la Psi cologia. È inevitabile che se questo processo per un verso serve a rendere tanto più precise ed autonome queste discipline, per un altro verso com porta la perdita di quei legami, magari ingenui, ma non per questo meno importanti, che le due materie avevano. Sarà, d'altro canto, la precisa definizione del loro statuto, dei loro obiettivi e dei loro ruoli, ciò che permetterà di mettere in discussione alcune loro conclusioni estreme, rag giunte in questa fase storica, e di presentare su nuove basi, senza dubbio più solide, le loro possibili - e direi necessarie - correlazioni. Siccome, soprattutto nei primi decenni del XIX secolo, non si hanno eccessivi problemi ad ammettere che vi possa indubbiamente essere qual cosa che precede ogni attività del soggetto, la cui natura va al di là di ogni riferimento al reale, al concreto, non vi è neppure un eccessivo contrasto tra queste due discipline. Il rapporto tra Logica e Psicologia è dunque risolto, attribuendo all'Ontologia la sua soluzione. All'inizio del secolo scorso, vi è pertanto un accordo generale sui seguenti punti, che possiamo schematizzare in questo modo: 2.1. Senza le sensazioni non si ha intelletto: occorre tuttavia ammet tere che sussiste in ogni caso una disposizione innata all'Essere che fa sì che questi possa ben ragionare (A. Genovesi 9, La Logica per i giovinetti, 9 Antonio Genovesi (1712-1769), compie studi seminariali e nel 1737 è ordinato prete. Nello stesso anno si trasferisce a Napoli dove assai presto ottiene la cattedra universitaria, dapprima di Metafisica ed in seguito di Etica. Nel 1754 gli è affidata la cattedra di "Commercio e Meccanica". In questo periodo inizia ad occuparsi di filoso fia richiamandosi al sensismo di Condillac ed al materialismo di Helvetius, dando vita
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1830) 10. Occorre pertanto fare emergere tale caratteristica, che sarà l'ele mento determinante, che ci consentirà di affrontare in modo giusto e corretto i diversi problemi nei quali ci imbatteremo. 2.2. Quelle che però sono le caratteristiche di tale disposizione, non ché delle immediate reazioni che la stessa produce, sono un tema che non appartiene né alla Logica né alla Psicologia ma, al limite, all'Ontologia, o, in ogni caso, alla Morale. L'Ontologia, intesa quale la tendenza a stabilire un fondamento unico di tutta la natura, è un elemento costante delle teorie dell'epoca, attraverso cui si tende a giustificare ciò che sappiamo, spiegan do come conosciamo o, più esattamente, come dobbiamo conoscere. Da questo deriva che in luogo di assumere una posizione staccata rispetto alla conoscenza, i filosofi del periodo, anche facendo ricorso a tecniche o terminologie astratte, tendevano ad avere una concezione morale della stessa, poiché un fatto, un argomento di studio, si verifica solo se è autorizzato a verificarsi. Tutto questo è certamente indice del fatto che vi è un approccio troppo superficiale alle scienze e ciò fa sì che non si arrivi a distinguere con precisione tra controllo delle conoscenze e sua giustificazione. Tra coloro che sono fautori di questa posizione e che presentano lavori abbastanza analoghi ricordiamo S. M. Roselli, Stimma philosophica ad mentem D. Tbomae, lili (e 1783); J. Tamagna 11 , Institutiones logicae ad un'aspra polemica con Rousseau ed i suoi sostenitori. Ha anche forti polemiche con l'ordine gesuita da cui viene cacciato in quanto propone una riforma delle scuole elementari nella quale la matematica e la fisica dovrebbero sostituire del tutto la filo sofia. Fra le altre sue opere: Dioceosina (1766-1767, riguardante la filosofia "del giusto e dell'onesto") e Meditazioni filosofiche sulla Religione e sulla Morale (1758). 10 L'opera di Antonio Genovesi è da ritenersi pertinente alla cultura italiana del XVIII secolo non soltanto da un punto di vista temporale, ma anche contenutistico. Tuttavia l'abbiamo inserita nel nostro lavoro per il fatto che fu continuamente ristam pata per tutta la prima metà del secolo successivo e perché il suo pensiero è costante mente ripreso dalla maggior parte dei filosofi di cui ci siamo occupati. Per le informa zioni bibliografiche relative agli anni ed ai luoghi di pubblicazione di questo lavoro si veda la nota [3] del capitolo IL 11 Giovanni (Johannes) Tamagna (1747-1798). È dottore in teologia e professore in teologia nell'Archiginnasio romano. Nell'opera da noi citata è anche incluso il trat tato De jure et lege naturali, et de religione rivelata, in cui l'A. è fortemente polemico contro coloro i quali pretendono di apportare correzioni alla religione rivelata. Tra le altre sue opere ricordiamo: Animadversiones in duo opuscola D. Bonaventurae (Roma, 1790), Origine e prerogative dei Cardinali (Roma, 1790), Analisi del libro di Necker intitolato: De l'imposture de la Morale et des opinions religieuses (Roma 1791). A ciò si aggiunga: Riflessioni sopra il decreto antimonastico dell'Assemblea di Francia e Riflessio-
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et metaphysicae, 1778; L. Altieri 12, Elementa philosophiae, 1805; M. Gi gli 13 , Analisi delle Idee, 1808; B. Bellofiore, Elementa logicae et ontologiae quibus Bartholamaeus Bellofiore olim auditores suos philosophos in seminariis dictando instituebat, 1813) L. Bonelli 14 , Institutiones logicae et me taphysicae, 1833 ed A. Braghetti 15 (Istituzioni logiche esposte da un sacer dote della compagnia di Gesù, 1820): in particolare quest'ultimo stabilirà che la Logica si deve intendere come la dottrina che insegna a ben ragio nare e come "l'abito" che si acquista quale conseguenza dell'esercizio mentale, ma anche pratico, cui è soggetto colui che la studia. È collegata inoltre alla Morale in quanto è una scienza dell'uomo, deputata ad indi rizzare quest'ultimo alla ricerca della verità, punto fondamentale ed indi spensabile perché sia possibile giungere alla virtù 16. Col passare del tempo questa posizione, che si prefigge di indicare come a monte di qualsiasi attività del soggetto vi sia sempre "un buon senso", comune ad ogni uomo, che consente a quest'ultimo di ragionare "politamente" e correttamente, indicandogli, soprattutto, quali sono le cose che non hanno senso alcuno e gli permetta quindi di discutere con chiunque, tenderà ad essere superata. Non si tratterà però di un processo definitivo, per il fatto che vi saranno sempre degli autori che rinunzieranno a dare qualsiasi spiegazione che vada al di là di una semplice attesta-
ni sopra il libro Diritti dell'Uomo del sig. abate Spedalieri. Di questi due ultimi lavori non conosciamo né l'anno né il luogo di edizione. 12 Luigi Altieri è un filosofo attivo a Venezia a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. Tra le altre sue produzioni citiamo Elementa Philosophiae in adolescientium usum (Venezia, 1793). 13 Mariano Gigli (1782-?). Accademico milanese di origine marchigiana (Recana ti): filosofo di formazione con interessi dedicati allo studio del linguaggio. È autore anche di: La metafisica del linguaggio (S. L., 1817), // bello nella natura e nell'arte (Milano, 1818), Lingua filoso/tea universale pei dotti precetti dell'analisi del linguaggio (Milano, 1818), Elementi filosofici per lo studio ragionato di lingue (Milano, 1819). 14 Luigi Bonelli (1797-1840). Altri lavori: Esame storico dei principali sistemi di filosofia (1829), Storia della filosofia tedesca da Leibniz ad Hegel (1837). 15 II libro è stato pubblicato postumo. Di Andrea Draghetti sappiamo che era ancor vivo nel 1773, che si era formato come matematico e, successivamente, insegnava matematica a Brescia. Nell'opera Psychologiae Specimen (1771) egli tratta delle serie aritmetiche e geometriche applicate alla scala musicale. 16 La definizione di Logica quale "abito", ovvero quale elemento che rende ope rativi e comunicabili i pensieri di ogni soggetto, sarà impiegata abbastanza frequente mente per tutto il secolo XIX: una simile definizione l'abbiamo trovata nel secolo precedente nei lavori di J. C. Darjes, filosofo tedesco per certi versi riconducibile alle speculazioni ed alle elaborazioni del concetto di Logica attuate da C. F. Wolff (si veda soprattutto il cap. II).
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zione della presenza di una primitiva Logica Naturale, avente le caratte ristiche da noi indicate. A questo proposito, ad esempio, P. Mako 17 (Com pendio di Logica, 1819) stabilirà che la Logica fornisce una certa arte o disciplina alla filosofia, e, più che essere una parte di quest'ultima, ne è uno strumento. La Logica insegna allora a « raffrenare le azioni » (p. 13) della mente, ovvero, in altri termini, « quella forza misurata ad ognuno, per mezzo di cui contempliamo qualunque cosa come se fosse presente e formiamo i giudizi ed i raziocini » (13). Ancora alcuni decenni più tardi vi sarà chi riprenderà fedelmente questa posizione che, in ultimo, è di tipo pedagogico connotata moral mente ed ontologicamente. Ad esempio, nel 1846 il filosofo marchigiano B. Monti (1799-1869), sosterrà che l'Ontologia è scienza prima, è fonda mento a se stessa, non dipende da alcuna altra forma di sapere e la si ottiene quando lo spirito umano riesce ad astrarre totalmente dai fatti reali, ritrovando universali determinazioni dell'Essere e ricavandone le relazioni che lo collegano. Una volta accolto quale postulato l'assunto in base a cui la Verità, in quanto tale, è in ogni caso costituita da giudizi ontologici, si potrà poi parlare delle distinzioni che specificano la Logica dalla Psicologia. L'una si occupa della verità prima (o verità di ragione), mentre l'altra riguarda le verità seconde (o di evidenza e percezione), che sono sempre parziali e relative. Il collegamento tra le due discipline con cerne le verità seconde, o più precisamente, quelle empiriche. Quando accadono fatti tra loro differenti, ma anche quando ci comportiamo in modo apparentemente strano, oppure pensiamo a cose o situazioni tra loro inconciliabili, se li esaminiamo singolarmente (Psicologia) li cogliamo come particolari e locali, mentre la scoperta che una loro eventuale contraddittorietà è solo apparente, per il fatto che sussiste sempre una con nessione che si esplica tra queste, è un risultato cui giungiamo solamente grazie alla Logica. In generale dunque questa forma del sapere si rapporta con la Psicologia solamente a proposito di conoscenze empiriche che, per
17 Paulo Mako (1723-1793). Di origine ungherese insegna belle lettere in vari collegi, poi Matematica nell'Accademia Teresiana ed infine è direttore della facoltà di Filosofia a Pesth (Ungheria). Oltre all'opera citata (che è una traduzione del suo Com pendiaria logices institutio, Vienna, 1764) segnaliamo: Compendiaria physicae institutio (Vienna, 1762-1763), Carminum elegiacorum libri tres (Tyrnau, 1764), Compendiaria matheseos institutio (Vienna, 1764), Compendiaria metaphysices institutio (Vienna, 1766), Dissertatio in figura telluris (Olmutz, 1767), Calculis differentialis et integrales institutio (1768, S. L.), De arithmeticis et geometricis aequationum resolutionibus (1770, S. L.), Descriptio provinciae Moxitarum in regno Peruans (Buda, 1791).
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gli Autori in questione, sono sempre da collocarsi in una posizione infe riore, a volte infima, rispetto a quella speculativa, la quale ha la funzione di mostrarcele nella loro essenza, unico e solo elemento che le fa rendere accettabili dallo scienziato. Più generalmente, un punto di vista ontologico rimanda alle proble matiche della costituzione della scienza colta nella sua realtà intrinseca, la cui razionalità è completamente staccata dall'intenzionalità del soggetto conoscente. In tal senso la formazione della scienza non comporta alcuna problematica, poiché questa, identificandosi con la Ragione della Natura, si realizza in sé e per sé. Questo comporta, di conseguenza, anche il pre sentarsi di un punto di vista gnoseologico, ma strettamente collegato a questo assunto di base. L'individuo deve chiedersi come potrà giungere a cogliere la ragione della verità naturale: in questo caso egli disporrà di basi universali e razionali, grazie a cui i suoi giudizi non saranno più semplici opinioni empiriche, ma una vera conoscenza. Per ottenere un tal risultato il soggetto dovrà fondare ed impostare la propria conoscenza su regole e principi universali e necessari: quanto più egli si impegnerà in questa operazione, tanto più potrà avvicinarsi alla comprensione delle costanti universali che reggono l'ordine naturale nella sua totalità. Logica e Psico logia sono allora strettamente unite da questo presupposto e la loro rea lizzazione sarà una specie di somma di regole, pratiche od intellettive, che il soggetto dovrà impegnarsi a seguire. Una tale osservazione è fondamentale e, di conseguenza, permette di dare una giustificazione a coloro che iniziavano a sostenere un ruolo più attivo del soggetto nei processi di conoscenza, affermando che tutti gli sforzi che questi deve compiere sono volti non solo a comprendere che tali regole sono proprie ad ogni essere, ma che per potersi attualizzare richiedono un notevole impegno. « Se l'arte logica a cui ho destinato que sto lavoro non influisse sul perfezionamento intellettuale, morale e poli tico, almeno di coloro che debbono guidare i loro simili, sarebbe tempo perduto il lambiccarsi il cervello nelle astruse e tenebrose elucubrazioni della metafisica » (G. Romagnosi, Vedute fondamentali sull'arte logica, 1832, 1). Attraverso tale esercizio possiamo arrivare a denotare proposizioni che fungono da assiomi e che, per questo, devono essere chiare ed eviden ti. Solo a seguito di questa operazione possiamo iniziare qualsiasi tipo di studio e ritenerlo attendibile. Quello che ci conduce all'individuazione di tali proposizioni chiare ed evidenti sarà di certo un loro stretto legame con la realtà, che presuppone tuttavia un'attitudine specifica ed innata in ogni
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uomo, a saper cogliere immediatamente e senza errore tutte le cose che sono vere. Attribuendo alla Logica questa componente ontologica, per la quale essa fa parte, nel suo nucleo essenziale, dell'Essere medesimo, si attua il tentativo di evitare di metterla minimamente in discussione, pre servandone in tal modo le caratteristiche peculiari e non impedendo, d'al tra parte, di iniziare a studiare l'individuo e le facoltà a lui proprie, in modo assai più esteso e non troppo rinchiuso in rigidi schemi. Il fatto è tanto più rilevante poiché si propende a ritenere come proprio ad ogni soggetto un sensus, quo accipiendae sunt propositiones (B. Bellofiore, 1813). Se ogni soggetto è "naturalmente" connotabile in tal modo, la Logica, quale disciplina, è allora solo quella artificiale, la quale potrà essere teorica o pratica, ma, in ogni caso, acquisita. Lo studio della percezione, d'altro canto, non ha neppure bisogno di iniziare con l'esame delle sensazioni, bensì con quello della memoria, mezzo atto a farci com prendere il ruolo dell'astrazione, strumento fondamentale che conduce al giudizio. Vale a dire che seppure l'attività percettiva è da intendersi quale prima manifestazione che conduce l'uomo ad un corretto impiego dell'in telletto (B. Bellofiore, Institutiones philosophicae, 1799), tuttavia occorre partire da uno studio della natura dell'Essere (tema ontologico) in senso lato (sua origine e sviluppo), per poi approdare successivamente all'uomo come essere vivente dotato di sensazioni ed, in ultimo, allo studio del ragionamento (R. Gianandrea, Institutiones logicae, 1795). La percezione, caratteristica psicologica per eccellenza, non ha allora bisogno di essere approfondita più di tanto, in quanto elemento poco collegato con le atti vità primarie del soggetto. Si tende a porre come già date od innate alcune disposizione che ogni soggetto possiede e che prescindono a qualsiasi forma di conoscen za: in tal senso il fatto che un soggetto le possegga e le esplichi in ogni caso, oppure che abbia bisogno di riflettere per scoprire che fanno parte del proprio essere, diviene un problema non più primario. Ovvero si as siste al tentativo di amalgamare tra loro un approccio "sensista" ed il mantenimento di una cultura filosofica "tradizionale". Altrettanto chiara mente lo sforzo che gli studiosi si prefiggono, consiste tuttavia nel sotto lineare incessantemente la maggiore importanza della seconda forma di conoscenza. Fortunatamente questa caratteristica conservatrice tenderà a scompa rire e già agli inizi del secolo rappresenta un suggerimento che si trasgre disce abbastanza agevolmente, anche da parte di chi dice di non avere problemi a sostenere la conoscenza tradizionale.
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In realtà avviene così che pure studiosi quali F. Soave 18 (Istituzioni di logica metafisica ed etica, 1815) 19, rappresentante di questa posizione conservatrice, tendano a fare un uso sempre più cospicuo di una terminologia prettamente naturalistica in tutti i loro lavori. Ad esempio, l'Autore in questione affermerà sempre che un corollario è conseguenza "immediata e spontanea" del teorema. La Logica è, a sua volta, definita come arte per il buon uso della ragione: questa è costituita dalle facoltà e dalle operazioni dell'animo, che ricerca nel modo più corret to possibile il Vero, mentre il concetto di verità concerne la conformità tra i giudizi e le cose, cui i primi si riferiscono. Quando allora diremo: "il cerchio è rotondo" si avrà una proposizione logicamente vera, mentre quando affermeremo: "il cerchio è quadrato" questa sarà logicamente fal sa. Il fine che si persegue con la ricerca della verità logica è di ottenere la certezza e di eliminare il dubbio, che per l'A. è segno di ignoranza. Occor re allora studiare le idee e le nozioni in rapporto alla loro genesi, ritenuta esclusivamente mentale. Tuttavia l'impiego di una terminologia mutuata dall'osservazione naturalistica ed impiegata per definire concetti, che ne richiederebbero una del tutto rigorosa e formalmente ineccepibile, ci mo stra come si avverta in crescente misura, da parte di questi studiosi l'esigen za di partire da dati di fatto, passibili di controllo diretto ed immediato. Un esempio ancora più evidente lo troviamo in V. Bini 20 il quale in 18 Francesco Soave (1743-1806), nasce in Svizzera a Lugano, ma si trasferisce presto a Parma dove passa gran parte della sua vita insegnando nella locale Università. In un secondo momento diviene docente all'Università di Pavia. Oltre al testo da noi indicato scrisse anche Elementi di Ideologia, Compendio di Storia della filosofia (17911794), La filosofia di Kant esposta e riesaminata. 19 Assolutamente rilevante è il numero di edizioni che tale testo ha avuto nonché di luoghi in cui è stata pubblicato. L'opera da noi consultata è quella del 1815, Migliaccioli, Napoli, ma abbiamo trovato anche le seguenti edizioni: 1792, Giancarlo Storti, Venezia; 1792, [S. N.], Napoli; 1795, Giancarlo Storti, Venezia; 1801, Tipografia San tini, Venezia; 1802, Abbate, Francesco e Rosario, Palermo; 1804, eredi di Pietro Galeazzi, Pavia (con aggiunta di note e correzioni); 1808, tipografia Santina, Venezia; 1813, Tipografia Valle, Venezia (edizione corretta ed accresciuta); 1814, S. Nistri, Pisa; 1818, [S. N.], Napoli; 1819, Stamperia Biblioteca Analitica, Napoli; 1825 Carlo Salvati, Na poli; 1829 Tipografia Bareggio, Bassano (edizione corretta ed accresciuta); 1829, Stam peria del Genio Tipografico, Napoli; 1831, [S. N.], Milano; 1834 Tipografia Virgiliana di N. Caranenti, Mantova. In ogni caso questo elenco non è esaustivo per il fatto che l'opera in questione compare a volte inserita in pubblicazioni composte da altri Autori. 20 Vincenzo Bini (1775-1853). Entra nell'ordine benedettino, studia nel monaste ro di San Pietro a Perugia, si perfeziona nelle sacre discipline a Roma (monastero di San Paolo). Nel 1800 insegna Filosofia nell'Università di Perugia. Nel 1821 è abate del monastero di San Pietro a Perugia e col 1825 si trasferisce a Roma (dal 1831 diverrà
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Corso elementare di lezioni logico-metafisico-morali (1815, S. L., S. N.), pure concludendo l'opera con la "dimostrazione" dell'immortalità del l'anima, l'esistenza di Dio e la necessità della Rivelazione, conduce tutto il suo discorso richiamandosi al sensismo di Condillac e, soprattutto, di de Tracy. Esaminando la sensazione egli si occupa della fisiologia del sistema nervoso e tende ad accettare le teorie di L. Galvani e di A. Volta per spiegare la trasmissione degli impulsi sensoriali. Anche se non accetta (come invece il de Tracy) di identificare il "sentire" con il "pensare" (memoria, giudizio, volontà, hanno nulla a che fare con il "sentire") si individua nella sua opera il tentativo di rendere il metodo empirico e l'approccio sperimentale gli elementi più adatti per lo studio delle carat teristiche fondamentali del soggetto. Tutto ciò ci chiarisce ancora di più perché, qualora si vogliano stu diare le "inalterabili leggi [che] possono regolare il pensiero" (prefazione di L. Roverelli a Condillac, La logica, o siano i principii fondamentali del l'arte di pensare, 1819 [tradotto ed adattato da L. Roverelli]), è pur sempre necessario partire da quello che ci suggerisce la natura e successivamente da ciò che noi riusciamo a leggere nella stessa. Siccome l'uomo è il pro dotto della sua educazione, ciò fa sì che le doti intellettuali che possiede in ogni caso, qualora non vengano ripartite in buone e cattive, ovvero qualora non colgano queste "inalterabili leggi", corrano il rischio di ridursi ad un « grumo inutile » (5). Si tratta allora di condurre l'uomo a ben pensare. La Logica, in quanto studio primo dell'uomo, deve assolvere a questo compito (che, di fatto, è psicologico) con l'intento di condurci alla formazione di fondati e validi schemi intellettivi. Se l'Ontologia costituisce il punto d'accumulazione più rilevante per le istanze logiche e psicologiche, in ogni caso, dopo i primi due decenni del secolo, si tenta di meglio specificare, anche se ancora sempre attraver so progressive differenziazioni, la componente psicologistica da quella logica e, gradualmente, prevarrà la tendenza a stabilire la priorità della prima. Dobbiamo però considerare questa posizione in senso molto rela tivo ancora per diversi anni: ovvero si tratta di un problema che viene unicamente espresso in maniera del tutto generale, senza preoccuparsi minimamente di affrontarlo in modo rigoroso e puntuale e l'obiettivo principale non sarà tanto quello di integrare tra loro queste materie, quanabate a San Paolo). Torna nel 1841 a Perugia e vi resta sino alla morte. Tra le sue altre opere ricordiamo alcuni articoli contro il determinismo morale di D. de Tracy sulla rivista Amico d'Italia.
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to piuttosto di distinguerle. Allo stesso modo venendo gradualmente ad essere messa in dubbio la loro tradizionale gerarchizzazione, la possibilità che queste due scienze possano anche interagire tra loro è solo accennata, mentre pare che il compito principale sia quello di indicare le rispettive differenze. Queste posizioni hanno come evidente risultato il rafforzare lo iato tra ciò che è proprio dell'essere umano (norme, principii, verità), e tutto quello che invece è da lui vissuto ed appreso: i due temi tendono ad escludersi vicendevolmente, poiché ritenuti rispettivamente collegati ad argomenti non compatibili (biologici e fisiologici da un lato, filosofici e speculativi dall'altro). Se allora si comincerà a stabilire che la Psicologia debba essere fon data su basi biologistiche, si inizierà a porre in questa disciplina il punto di partenza per conoscere le attività intellettuali del soggetto, e ci si sof fermerà più dettagliatamente sullo studio degli organi di senso, cercando di analizzare compiutamente la sensibilità, mentre quando si esamineran no il linguaggio ed il pensiero, ci si richiamerà pur sempre alla Logica il cui ruolo e la cui natura saranno, peraltro, sempre meno giustificati e specificati. Di fronte a questi problemi, che mettono in discussione alcuni punti fermi della tradizione culturale facendo riferimento a discipline in chiara espansione, i nostri studiosi del periodo adottano la poco produt tiva tecnica del compromesso. Il loro tentativo sarà quello di collocare su due spazi diversi le due materie in questione e stabilire che vi può essere qualche collegamento tra queste, ma relativamente a settori specifici e limitati, senza mai dimenticare però che è la Logica la disciplina più im portante. Vale a dire che se da un lato si inizierà a postulare una certa interazione tra la Logica con la Psicologia, per cui "la verità logica è la conformità dei nostri giudizi con le cose che ne sono gli oggetti" (M. Semmola, Istituzioni di filosofia composte per uso della sua Scuola Privata, 1833, 91), e tale materia sarà una "necessaria propedeutica alla filosofia" (5), non si esiterà a ribadire che ogni disciplina avrà, senza dubbio, una sua « logichetta » (5), legata ai problemi concreti e meno rilevanti delle singole materie e che è da considerarsi solo un'applicazione parziale ed imperfetta della "Logica generale" (6), sulla cui natura si evita accurata mente ogni discussione, in quanto non ve ne è alcuna necessità, dato che è in ogni caso antecedente e generativa di qualsiasi forma in cui si strutturi il sapere. Un primo tentativo, che possiamo ritenere più "costruttivo" di rap portare queste due forme e modalità di sapere, nel senso di riferirle ad un soggetto, inteso sia come essere "naturale" che come essere cognitivo, lo
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si ritrova in G. Romagnosi (1832, a/e), filosofo con posizioni ostili alla cultura tedesca in generale, che pretende di evitare l'eccessivo speculativismo di I. Kant e "l'ultrametafisica" di Hegel. La Logica è ancora rite nuta la disciplina più importante, poiché presiede a tutte le facoltà intel lettive del soggetto, ma si afferma che la semplice apprensione sensoriale sia da ritenersi in ogni caso infallibile, anche se ha nulla a che fare con lo stabilire la verità (o la falsità), argomento che riguarda invece la formula zione dei giudizi sul rapporto tra più idee. Nello stesso anno, l'A. compie rà un ulteriore passo, teso ad affermare la sua posizione, in Ragione del l'opera in Genovesi A., 1832/b). Questo lavoro si inserisce nel volume I di "Una bibliografia per l'intelletto, o sia raccolta di opere italiane e stranie re, antiche e moderne, destinate alla coltura delle menti" (intr., V) ed ha, anche in questo caso, una componente pedagogica. Il titolo di questa collana riflette perfettamente i suoi obiettivi. La Psicologia prende le distanze dal sensismo francese (Condillac) e si ricolle ga al sensismo più temperato ed utilitaristico di M. Gioia. Egli ribadisce l'importanza dei "prodotti mentali", ovvero oggetti non fondati sulla sem plice passività sensoriale, ma "costruiti" dalla mente che reagisce, che "risponde" alle stimolazioni esterne. Partendo dal razionalismo metafisico di Wolff, rifacendosi successivamente ai sensisti francesi, reagisce poi a questi ultimi, sostenendo che ogni conoscenza « implica il concorso o [...] la compotenza dei sensi e dell'intelletto. Questo applica agli elementi forniti dai sensi le proprie suità psicologiche, che pongono ordine nei dati sensibili. La presenza dell'elemento puramente razionale nelle conoscenze, fa che esse siano fatture mentali; ma la nostra mente non può fingerle a suo piacimento, poiché è vincolata dai diversi modi in cui agiscono su di essa gli impulsi che riceve dalle cose » (A. Guzzo, Breve Storia della Filosofia, I, 1936, III, 2, I, 340). Per assolvere a questo fine, il Romagnosi sostiene che occorre « progettare Instituzioni ginnastiche per la Logica soprattutto propria allo studio dell'uomo intcriore » (ibidem): tali Instituzioni ginna stiche saranno da collocarsi, per l'A., tra la Psicologia sperimentale e la Psicologia razionale wollfiana (ibidem) [si veda anche il Gap. II]. Una tale tendenza alimenterà notevolmente alcuni studiosi che pos siamo ritenere come precursori della successiva corrente positivista italia na e si rafforzerà col passare del tempo. E così nel 1839 A. Lorenzoni 21 , 21 Antonio Lorenzoni (1755-1840). Si occupò prevalentemente di Giurispruden za, campo nel quale tra l'altro produsse: Istituzioni del Diritto civile privato per la provincia vicentina (1785-1786), Scelta di disposizioni del Diritto Romano (1817).
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in Saggio di Logica, afferma decisamente che ogni forma del conoscere deve partire dallo studio dei sensi, che sono il primo mezzo con cui l'uo mo giunge a conoscere tutto ciò che è nel mondo ed in sé e, quindi, anche l'immaginazione, la funzione, la percezione, la riflessione, la memoria, le nozioni universali, le parole e persino l'arte della definizione. Solo a que sto punto ci si potrà ritenere in grado di affrontare i classici studi del giudizio, del ragionamento e del metodo. La Logica sarà pur sempre la disciplina primaria, in quanto è la sola in grado di mostrarci le regole a cui l'intelletto deve attenersi per conoscere le verità, di qualsiasi genere esse siano (fisiche o metafisiche). Allo stesso modo S. Inghignoli (Saggio analitico di controversie ideologzche, 1840), richiamandosi espressamente a J. Locke e Condillac, stabilirà la primarietà delle sensazioni sulle Idee e sulle percezioni ed affermerà che è dalle prime che occorre partire per conoscere tutto ciò che presiede e costituisce la formazione del soggetto, esaminato nelle più disparate moda lità con le quali questi si presenta. Più precisamente: si tende ad attribuire alla Logica carattere normativo delle principali facoltà umane, mentre alla Psicologia viene assegnato il compito di descrivere quelli che sono i prin cipali meccanismi biologici che presiedono alla loro concreta esplicazione. Sono notevoli le resistenze che impediscono di porre ad uno stesso livello le due discipline, anche se più passa il tempo e più ci si accorge che si tratta di due forme della conoscenza certamente tra loro collegate, ma dotate di una loro autonomia. Ora succede che anziché collocarle opera tivamente ad un eguai livello, si osserva come caratteristica costante che della Logica si parli sempre di meno, ma la si collochi tuttavia in una posizione primaria rispetto alla Psicologia. Questa, a sua volta, è intesa come disciplina empirica, dunque meno rilevante: se ne fa una trattazione sempre più estesa, se ne ribadisce l'importanza, eppure nell'architettura dei testi compare come importanza, sempre dopo la Logica. Probabilmen te giucca un ruolo assai importante l'inferiorità operativa della Psicologia, scienza che si sta formando ma non dispone ancora di mezzi adatti per potersi affermare rispetto alla Logica, che pure non facendo progressi (almeno secondo la tesi kantiana) ha alle spalle una poderosa tradizione ed un'importante produzione. Ovvero, anche accettando la tesi di Kant, tut tavia quello che la Logica ha prodotto è certo e sicuro né lo si può mettere in discussione. Le ingenue e primitive sperimentazioni "psicologiche", più casuali che altro, senza alcuno strumento di verifica, certamente non siste matiche, non sono in grado neppure di scalfire l'edificio solido e secolare della Logica.
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Ad esempio l'opera di P. Rottura 22 (Logica, 1833) è una chiara e puntuale conferma di queste posizioni: pure collocando la Psicologia empirica in una posizione secondaria rispetto alla Logica, afferma che una « scienza che osserva attentamente [...] i fatti interni [...] che sorgono nell'anima nostra » (49) e che studia gli organi di senso e quelli implicati nel loro funzionamento, è da ritenersi di notevole importanza per qualsiasi forma di conoscenza. Ovvero queste basi biologiche sono indispensabili per poter far luce sulle attività intellettive del soggetto; anche le idee, presupposto indispensabile per formulare giudizi (la cui analisi spetta alla Logica), sono da ritenersi generate dalla comparazione tra le diverse im pressioni che il soggetto ha. Tuttavia l'A. non esita a sostenere che la Logica, in qualunque modo la si voglia intendere, è deputata a dirigere il parlare ed il pensare umano e per questo è pur sempre la scienza con cui bisogna confrontarsi per iniziare qualunque tipo di ricerca. Su queste stesse posizioni, ma espresse in modo ancora più deciso, troviamo anche F. Zantedeschi (Elementi di Logica, 1833) 23 . La Logica, che deriva direttamente dal greco Lògos, « è la scienza che dirige la facoltà conoscitiva al suo perfezionamento » (1-2) ed il suo fine è il conseguimen to della Verità, intesa come la conformità « dei nostri pensamenti colle qualità degli oggetti ideali, alle quali si riferiscono » (9). Egli sembra non avere dubbi su come si formino le conoscenze: di fronte ad un simile interrogativo è necessario partire dalla Psicologia empirica e l'affermazio ne è questa volta più marcata che non in G. Romagnosi (1832a), cui l'A. si riferisce, poiché è lo studio delle sensazioni il primo livello sul quale ci si deve collocare per analizzare le strutture del pensiero. Ma anche in questo caso l'A. non ha dubbi nel sostenere che soltanto la Logica giunge a fornire precisi schemi delle attività del pensiero, per il fatto che essa sola è in grado di produrre definizioni coincise e perfette, che, colte nel caso più puro giungono a predicare unicamente l'esistenza di un concetto (ad esempio: "Dio è"). 22 Di origini dalmate, Pietro Rottura è docente di Filosofia teorico-pratica con interessi marcati per la Psicologia. Tra le altre opere ricordiamo: La coscienza eccitamen to allo studio (Zara, 1829), Della Logica: parte prima. Psicologia empirica (Venezia, 1844), Ideologia di Don Pietro Eottura (Zara, 1835), Trattato delle passioni (Venezia, 1846). 23 Francesco Zantedeschi abate (1797-1873). Nativo di Verona prende il sacerdo zio in questa città e diviene professore di Fisica nei licei di Brescia, Milano e Venezia. Ottiene in seguito la cattedra di Fisica all'Università di Padova che dovette tuttavia abbandonare nel 1857 a causa della cecità che lo aveva colpito. Si occupò sempre di Fisica (in particolare di acustica), fondò l'Orto Botanico a Venezia e fu membro del l'Istituto Veneto.
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Se ogni forma di conoscenza ha un fondamento psicologico e se la Psicologia è « il conto rigoroso che lo spirito rende dentro a se stesso di tutto ciò che si passa dentro di sé » (B. D'Acquisto 24 , Elementi di filosofia fondamentale, 1835, I, 21) 25 , nel caso ci si renda conto dell'esistenza di qualcosa che non si può né vedere né percepire, si dovrà indirizzare la ricerca verso quello che va al di là di ciò che è umano (ovvero verso Dio), oppure verso qualcosa di primario, ovvero "naturale", ad ogni Essere (Ontologia). Come prima conseguenza dell'affermarsi della ricerca psico logica, che mira, in ultimo, a studiare quali sono e come agiscono le fun zioni superiori del soggetto (pensiero, conoscenza, ragionamento) delle quali la Logica ne è senza dubbio l'espressione più perfetta, anziché ad un loro rapporto costruttivo, assistiamo invece ad un progressivo radicalizzarsi della dicotomia tra le due discipline in questione, al punto che, pure di evitare qualsiasi rapporto tra loro, ci si sforza di intendere la Logica come appartenente ad un livello extrascientifico (religioso oppure metafisico). Nel testo che stiamo esaminando, ad esempio, si ha subito esplicitata la chiara impostazione psicologica che l'A. da a tutto il suo lavoro. Il sistema scientifico, in generale, anche per quello che concerne le scienze più pure (come la Logica), ha una base psicologica. Se non si parte da questa disciplina, si corre il rischio di possedere una concezione della scienza di tipo dogmatico e pertanto insufficiente e povero. Tutti i concet ti, anche quelli più astratti, hanno la possibilità di essere ritenuti esistenti, ma solo alla condizione che siano sperimentati dagli organi di senso, sia direttamente che indirettamente. L'astrazione, per fare un esempio, la si deve considerare come uno strumento con il quale possiamo intraprende re lo studio di particolari fenomeni, considerati nella loro essenza: questi fenomeni, tuttavia, devono essere percepiti dal soggetto. Tutto quello che noi pensiamo che possa avere un'esistenza, ma non riusciamo a percepire 24 Benedetto d'Acquisto (1790-1867). Laureatesi in filosofia a Palermo, dopo alcuni anni di insegnamento nei licei della stessa città, nel 1843 ottenne la cattedra di Etica e Diritto Naturale. Nel 1858 abbandonò tale incarico in quanto fu nominato Arcivescovo. Nel 1866 fu accusato di sobillare i moti rivoluzionari siciliani e fu incar cerato per alcuni mesi (fu amnistiato nel 1867). Di formazione platonico-agostiniana compose parecchi lavori, tra i quali: Corso di Filosofia morale (1851), Necessità dell'au torità e della legge (1861), Teologia dogmatica e razionale (1862), Logica, ovvero organo dello scibile umano (1871, postumo) 25 Questo testo ha come sottotitolo, chiaramente indicativo, la dizione Analisi delle facoltà dello spirito umano o Psicologia. L'Autore sarà presentato da Di Giovanni Vincenzo (Sullo stato attuale e su' bisogni degli studi filosofici in Sicilia, 1854), come facente riferimento ad una vaga matrice leibniziana.
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con i sensi, costituisce un argomento il cui studio deve essere demandato alla religione, non già alle scienze. Il rinforzarsi ed il radicarsi di queste posizioni porterà inevitabilmen te, col passare del tempo, al comparire di due opposti indirizzi, il primo dei quali ulteriormente ripartibile in due sottosettori.
(b) Differenti separazioni tra Logica e Psicologia (1800-1850). 2.3. Da un lato vi saranno coloro che, adducendo motivazioni di carattere specificatamente filosofico, tenderanno ad eliminare la dicotomia tra Logica e Psicologia, facendo sparire, eliminando, tout court, la seconda dal campo delle ricerche scientifiche e, con una malcelata insufficienza, la collocheranno nell'universo delle pratiche empiriche ed alchimiste. 2.4. Per un altro verso vi saranno coloro che si sforzeranno di incen tivare un tale rapporto e si assisterà al tentativo, che nella seconda metà del XIX secolo diventerà una corrente di pensiero, di subordinare, pro gressivamente, la Logica alla Psicologia, ovvero di esaminare, da un punto di vista schiettamente naturalistico, qualsiasi attività mentale (o meno) che il soggetto compia. Tuttavia, nel periodo in questione, quest'ultimo resterà pur sempre unicamente un intento non realizzato, in quanto, seppure in modo più limitato rispetto al passato, si cercherà in ogni caso di mante nere la loro incompatibilità (l'esempio di B. D'Acquisto da noi appena riportato rappresenta perfettamente tale situazione). 2.3. I due sottosettori in cui riteniamo di ripartire il primo punto possono essere presentati in tal modo: 2.3.1. Al primo appartengono coloro che pretendono di recuperare l'integrità della Logica, intedendola o come pura disciplina speculativa, od assegnandole un'autonomia scientifica del tutto specifica e non confon dibile con qualsiasi altra forma di conoscenza. Tra questi ritroviamo B. Poli (Elementi di filosofia teoretica e morale [Tomo II - Logica e Meta fisica], 1837) 26, uno studioso le cui opere non raccoglievano molti consen26 Baldassarre Poli (1795-?), fu professore di filosofìa nell'Università di Padova (1837), dopo avere insegnato nei licei di Mantova e Milano ed essersi formato a Bolo gna. La sua preparazione eclettica lo rese conosciuto in molti luoghi e divenne socio dell'Accademia Reale di Torino. Segnaliamo tra le altra sue opere Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi naturalisti (Milano, 1827), Primi elementi di filosofia (Mi lano, 1833), Saggi di scienza politico-legale (Milano, 1841), Sulle relazioni tra le circon voluzioni cerebrali (1855), Saggio filosofico sopra la scuola de' moderni filosofi naturalisti (1862), La filosofia dell'incosciente (1882).
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si 27 . Egli afferma che si ha un'identificazione delle leggi naturali del pen siero con la Logica artificiale e quest'ultima assume il carattere di scien tificità solamente in quanto estrapola dal pensiero unicamente l'aspetto formale. Il pensiero, invece, considerato nella sua generalità è « l'atto con che la mente riduce all'unità le varie percezioni ed idee raccolte in sé per opera del senso, dell'intelletto o della ragione » (VI). Una tale denotazione del ruolo che posseggono le attività del soggetto è per l'A. già uno strumento sufficiente per fornire un'adeguata spiegazio ne delle sue facoltà cognitive. Vale a dire che a poco serve uno studio approfondito della loro formazione, per il fatto che è la stessa natura a presentarcela ed a giustificarla, mentre quello che importa è esaminarle come entità già realizzate, che ci fanno riflettere su ciò che la natura ci spinge a compiere. In questo senso egli può stabilire che « la Logica è in generale l'arte è la scienza di pensare o di ragionare... [e] ... la Logica, in particolare, definisce la scienza del pensiero o del pensiero puro e delle sue leggi al rette uso del pensiero medesimo » (II) 28. Nel caso specifico vi è una confusività tra osservazioni gnoseologiche, psicologiche e metodologiche, derivate da una poco accurata mescolanza di tematiche port-royaliste e kantiane. Se ne ricava che la Logica, per l'A., deve intendersi come scienza che studia le leggi naturali del pensiero e le identifica con le forme che le stesse assumono e che, pertanto, funge da prima forma di conoscen za, da cui dipenderanno tutte le altre. Più precisamente si tratta di un'at tività regolatrice del pensiero stesso e delle varie modalità in cui questo, a seconda del livello in cui sarà esaminato, dovrà essere strutturato. Su analoghe posizioni, espresse in modo assai più radicale, si colloca anche F. M. Franceschinis (Lezioni di Logica e Metafisica, 1840) 29. Le idee, che sono: di sostanza (cosa che esiste senza essere inerente ad altra), di 27 Per Ausonio Franchi, autore di un manuale assai in uso negli anni '60-70 del secolo scorso (La Filosofia nelle scuole italiane, 1863) citato anche parecchie volte in di verse opere di G. Gentile, sarà, insieme a S. Mannano, uno scrittore eclettico e mediocre. 28 Contro questa posizione non mancheranno certo critiche anche molto pesanti e radicali. Oltre a quella ricordata di A. Franchi (op. cit.), la maggior parte dei filosofi del periodo vedrà nel lavoro di Poli un astorico tentativo di restaurazione culturale, che non produce nulla di valido. Un simile atteggiamento fortemente critico sarà destinato anche ad altri Autori (ad esempio si veda lo scritto di M. Liberatore, 1850). 29 Francesco Maria Franceschinis (1756-1840). Di nobili origini (Conti Della Valle) fu docente dapprima di Teologia e Metafisica e poi insegnò matematica all'Uni versità di Bologna e Matematica applicata a quella di Padova. Pubblicò opere di vario genere quali gli Opuscoli matematici (1787), poemetti (La Morte di Sacrate, 1820) e saggi di giurisprudenza (Delle leggi costituite}.
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modo (affezione necessariamente unita a qualcosa) e di relazione (mutua connessione regnante tra le cose), non si possono ritenere generate in alcun modo dai sensi né dalla percezione. Si può solamente ammettere (e l'A. afferma, a tale proposito, il suo accordo con N. Malebranche) che la percezione risvegli l'idea spirituale del pensiero, ma nulla più. Il fatto che questi elementi psicologici fungano da attivatori della sfera speculativa, non deve far pensare ad una loro funzione contrassegnata da un propria intenzionalità, bensì a semplici accadimenti casuali ed accidentali. Se la Metafisica è invece « riputata sempre la madre e la direttrice della scienza» (73) e l'Ontologia, che è parte della Metafisica, «versa generalmente intorno all'Ente ad alle di lui proprietà... tale che può dirsi abbracciare tutta la Metafisica » (74), la Logica è invece da intendersi come « l'arte di ben condurre la ragione nella conoscenza delle cose, ossia è quella disciplina che si occupa di dirigere al vero le operazioni della mente » (5). Interessa invece particolarmente il fatto che si proponga una diretta correlazione tra pensiero e linguaggio, intendendo che quest'ultimo è il solo mezzo che ci fa conoscere come il pensiero sia strutturato. Il linguaggio è allora inteso non come separato dal pensiero, ovvero come un'attività distinta, bensì come l'esplicatore, o meglio il traduttore di quest'ultimo. Richiamando le teorie kantiane la Logica è dunque da inten dersi come scienza del pensiero e non già del discorso: la primarietà del pensiero è ribadita, ma il linguaggio diviene il mezzo insostituibile per manifestarlo e presentarlo. Ora, evidentemente, saranno diversi i tipi di linguaggio a seconda degli argomenti trattati, mentre il pensiero sarà unico e con regole precise e fisse. Il compito che spetta alla Logica è allora proprio quello di fare conoscere, attraverso il linguaggio, le cose che l'uo mo pensa o di cui ragiona: ecco perché occorre « considerare le idee unite alle parole e le parole alle idee » (17). Ovvero la Logica è intesa come la sola forma del sapere in cui pensiero e linguaggio coincidono: in questo senso è primaria. Lo è certamente rispet to all'attività sensista, percettiva e rappresentativa, per il fatto che questa non arriva di certo ad attuare alcun legame tra linguaggio e pensiero, poiché precede entrambe, ma in modo del tutto imperfetto. È altresì primaria ri spetto anche a tutte le altre forme del sapere, anche le più evolute e perfe zionate, perché queste, per esprimersi, hanno bisogno di un linguaggio (o di più linguaggi) staccato, deviato, dalle strutture primarie del pensiero. Ora per l'A. è la struttura sillogistica quella che meglio assolve ad un tale compito. Siccome si tratta di uno strumento in grado di spiegare qualsiasi forma di conoscenza, tutto viene ricondotto ad esso. A rinforzo
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della sua tesi, egli sostiene che la stessa matematica è intesa come intera mente esplicabile dalla sillogistica nella sua totalità: ed è in virtù di questa affermazione, che consente di fondare una tale disciplina, facendo riferi mento a ragionamenti la cui validità non può essere minimamente posta in dubbio, che egli giunge ad affermare che la matematica può raggiunge re e mantenere il massimo livello di perfezione. 2.3.2. Al secondo sottosettore, che è quello numericamente meno este so appartengono coloro che, pure ritenendo la Logica come la disciplina più importante di tutte le conoscenze, non esitano a fare ricorso ad altre scienze "pure" (come la matematica) per avvalorare tale posizione. Si tratta, in linea di massima, di filosofi che si richiamano a Kant (del quale hanno fatto una lettura parziale ed in ogni caso incompleta), che tendono a collocare a livello gnoseologico le problematiche concernenti la natura e la validità della scienza, e che, di fatto, delimitano rigidamente ogni forma di sapere empi rico-sperimentale, in quanto confonde le attività mentali del soggetto. Tra questi Autori riteniamo particolarmente significativo il contributo di O. Colecchi (Sopra alcune questioni, le più importanti della filosofia. Os servazioni critiche di Ottavio Colecchi, 1843) 30, filosofo che parte da posizio ni sensiste collegate a Locke e poi, a partire dal 1820, aderisce a posizioni kantiane ed entra in polemica con P. Galluppi 31 e con V. Cousin, per ciò
30 Ottavio Colecchi (1773-1847). Di modeste condizioni economiche, fu avviato alla carriera ecclesiastica. Entrato nell'ordine domenicano si addottorò in Teologia. Nel 1819 si reca a Napoli dove inizia a pubblicare lavori di matematica. Nel 1812 diviene professore di "Calcolo sublime" al Reale Collegio della Nunziatella e col 1815 si reca a Roma. Dopo un soggiorno in Russia (insegnò Matematica e Filosofia all'Università di Pietrogrado), nel 1820 è nominato socio corrispondente della Reale Società Economica. In seguito ai moti verificatisi tra il 1820 ed il 1821 nel regno di Napoli (che egli appoggiò), ebbe parecchi problemi quando subentrò la restaurazione: solo negli ultimi periodi della sua vita potè riprendere ad insegnare. Egli ebbe forti polemiche con Galluppi, mentre fu strettamente legato al Settembrini, al De Sanctis ed ai fratelli Spaventa. A causa delle sue posizioni politiche, parte delle sue opere furono pubblicate od in ritardo od addirittura postume (come alcuni articoli apparsi sulla rivista // Gianbattista Vico). Tra le altre opere ricordiamo Riflessioni sopra alcuni opuscoli che trattano delle funzioni fratte e Memorie sulle forze vive. 31 Pasquale Galluppi (1770-1846). Di famiglia nobile, condusse sempre una vita ritirata non lasciandosi mai coinvolgere nelle tumultuose vicende politiche dell'epoca (pure appoggiando le correnti liberalistiche). Dal 1831 al 1846 fu docente di Logica e Metafisica all'Università di Napoli. Tra le sue opere: Sull'analisi e la sintesi (1807), Saggio filosofico sulla critica della conoscenza (1819), Opuscoli filosofici sulla libertà individuale del cittadino (1820), Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativa mente ai principi delle conoscenze umane da Cartesio fino a Kant inclusivamente (1827). La filosofia della volontà (1832-1840).
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che concerne il problema dell'appercezione, ovvero a proposito della natu ra non ontologicizzante dell'unità sintetica primitiva 32. Si tratta in questo caso di un testo ove si formulano tredici questioni alle quali FA., formatosi dapprima come matematico e successivamente come filosofo, da esaurienti risposte, caratterizzate da un esame filosofico del problema, da richiami ai filosofi del passato e da esemplificazioni matematiche dei problemi solle vati, con l'intento specifico di ricercare "la Logica" che li accompagna. Alle parecchie suddivisioni che i vari autori fecero della Logica, egli, nella prima questione (« Se diasi una Logica pura ed una Logica mista » (pp. 3-6), richiamandosi soprattutto al Kant pre-critico, afferma che vi è una sola Logica e che è quella di Aristotele. Il compito di questa materia è unicamente esaminare il pensiero e pertanto può essere solo una scienza pura, che, come tale, avrà un compito specifico, ma finito e limitato. Essa avrà diritto ad occuparsi non solo del raziocinio puro ma anche di quello empirico, il quale, proprio per tale caratteristica che lo lega ad un contesto delimitato spazio-temporalmente, sarà, di conseguenza, da ritenersi de classato nei confronti del primo. Per essere più precisi non si dovrebbe mai parlare di raziocinio empirico, ma solamente di giudizi empirici, per il fatto che il primo è sempre misto (ed avrà particolari restrizioni e limi tazioni specifiche). La chiarificazione di questo tema ci è data dall'Autore nel rifiuto di ogni forma di empirismo, argomentato nella seconda questione, nella quale ci si domanda se « quella... che [si] appella identità formale del raziocinio, sia valevole a convertire il raziocinio empirico in quello misto » (16). I raziocinii pero sono puri (illazione identica alla premessa) e quelli « empirici!» sono da negarsi, tramite identità formale, in raziocinii misti. Si dia infatti l'esempio: « Se la vita degli uomini è minore di 100 anni; se ogni giorno nascono nuovi uomini; allora tra cent'anni la massa degli uomini sarà rinnovata» (18). Il primo giudizio è puro, il secondo speri mentale, dunque il raziocinio è misto (la restrizione che questo avrà è dovuta al fatto che la connessione tra i membri è condizionale e quindi nulla dice a proposito della loro verità o falsità, mentre in un raziocinio puro possiamo vedere « la necessità della convenienza del predicato con il soggetto » [23]). Non ha alcun senso, inoltre, il ritenere che sussistano due Logiche perché questo significa, per FA., fare soltanto confusione con la Metafisi32 Filippo Cicchitti-Suriani, Ottavio Colecchi. Filosofo e Matematico abruzzese ed i primardi del kantismo in Italia, Tipografia Anselmo Santini, L'Aquila, 1890.
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ca. Allo stesso modo fare ricorso alla Psicologia, con l'intento di studiare le facoltà cognitive, oppure all'antropologia, per studiare la genesi degli errori, significa rendere a-scientifica la stessa Logica, deprivandola del ruolo primario che invece possiede. In altra parole egli è convinto di averne già delimitato il ruolo e, quindi, di averla resa del tutto libera da qualsiasi influenza da parte di altre forme del sapere. Non solo, ma l'A. sembra volerci dire che, alle condizioni da lui poste, la Logica può essere ancora ritenuta come una forma del sapere del tutto primaria, che nulla ha a che spartire con altre discipline (quali la Psicologia, ad esempio). Nella quinta questione, chiedendosi poi « se l'intuizione sia essenzial mente diversa dal raziocinio » (31), ribadisce le sue idee, assumendo nuo vamente una posizione chiusa rispetto alla Psicologia. Egli argomenta il suo pensiero, muovendo una critica a D. Tracy, per il quale l'intuizione e la memoria erano elementi sufficienti per il raziocinio, ed una a Condillac, per il quale, se calcolare era ragionare, non era valida la proposizione contraria. Nei confronti di D. de Tracy conduce una sottile distinzione tra sorite (insieme di sillogismi concatenati) e sillogismo, e parafrasando la definizione che il filosofo francese dava al sorite (« lo spirito vede intuiti vamente il predicato contenuto nel soggetto » (52)), sostiene che quando 10 spirito scende dall'universale al particolare (sillogismo) deve paragonare tra di loro le idee. E questo fatto, per O. Colecchi, non avviene mai intuitivamente, né attraverso attitudini o tecniche mnemoniche, bensì solo razionalmente. Il rifiuto di comparare l'intuizione al ragionamento viene corroborato dall'osservazione mossa a Condillac, quando osserva che se è sempre possibile ricondurre le operazioni di addizione, sottrazione e divisione al sillogismo, non si può affermare che tale pensiero sia reversibile. Ovvero 11 raziocinio, e più in generale, la Logica, agisce su un universo assai più ampio di quello spettante ad un approccio empirico-sensista, vale a dire psicologico, per il fatto che oltre ad essere in grado di affrontare e risol vere tutti i quesiti di quest'ultimo, ne presenta e chiarisce anche altri più complessi. Ora l'Autore sostiene come sia la matematica lo strumento, o meglio il linguaggio, che meglio di altri assolve a questo compito. Se dunque la Logica ha bisogno di mezzi differenti per potere esprimere la propria utilità, le osservazioni ora riportate ci dicono che questi non pos sono certo essere di tipo empirico e neppure rapportabili ad istanze psi cologiche, in quanto troppo limitate e limitanti. Rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei egli conduce que ste osservazioni non tanto poiché si senta frenato dalla tradizione cattolica,
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tesa al recupero a qualsiasi prezzo della logica "classica", ma per il fatto che si ritiene legato alla pura razionalità, la quale rifiuta qualsiasi influenza fideistica e non accetta soluzioni che non possano essere del tutto giusti ficate. Questo ci aiuta a comprendere perché la sua opera « era stata fatta segno a severe critiche in un periodico religioso che si pubblicava allora a Napoli col titolo La Scienza la Fede... da un gruppo di restauratori ecclesiastici, tra cui i futuri restauratori della neo-scolastica G. Sanseverino ed anche M. Liberatore» (G. Gentile, 1921, I, IV, IX, 655) 33 . 2.4. Per ciò che concerne il secondo punto possiamo ritenere che si tratta di una corrente di pensiero i cui rappresentanti si rifanno, più o meno direttamente, ai lavori di P. Galluppi e ne sviluppano alcune tematiche. Il filosofo calabrese (1770-1846), che, inizialmente, deriva il suo pen siero dalle posizioni di Wolff, rivolge presto i suoi interessi allo studio dell'origine e del fondamento delle scienze, richiamandosi al sensismo di Condillac, il quale riteneva che l'uomo già avesse in sé le doti intellettuali, ma, non essendo in grado di separare ciò che è buono da ciò che è cattivo, ha bisogno della Logica che lo conduca alla formazione di fondati e validi schemi intellettivi. Ma questa è per P. Galluppi uno strumento per impie gare il quale occorre rivolgere la propria attenzione al campo della diretta osservazione e dell'esperienza, elementi da noi controllabili, per potere fondare le più importanti verità metafisiche. Una simile posizione viene ancor meglio argomentata quando la conoscenza, che l'A. ebbe attorno al 1815, dei lavori di I. Kant fu mescolata con lo psicologismo di M. F. P. Maine de Biran, che verteva sull'attenzione rivolta allo studio dei fenome ni "interni". Questo generò una sorta di "filosofia dell'esperienza", che pretende va di rendere oggettiva e valida la ricerca sui fondamenti della conoscenza (cui il sensismo non poteva giungere"), partendo dall'esame di "ciò che è" nel soggetto. Ogni costruzione intellettiva doveva allora partire da una primitiva percezione del "me", che conduceva alla coscienza del "me, la quale era la percezione di un soggetto con i propri cambiamenti e le progressive modificazioni. Da qui si giungeva "all'io", inteso come un soggetto che si percepiva come esterno a sé: cogliendo dunque l'esistenza 33 In difesa di Ottavio Colecchi e della sua filosofia razionale si schiera anche Ausonio Franchi (op. cit.), che polemizza aspramente con Matteo Liberatore (op. cit.) ed L. Tapparelli poiché, a suo avviso, sono troppo legati alla tradizione culturale cle ricale e non sono quindi in grado, o meglio sono impediti, ad affrontare tematiche scientificamente più valide.
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di oggetti esterni, si arrivava, successivamente, a comprendere la relazione che si instaurava tra questi. Da queste posizioni egli sottolineava che qualsiasi affermazione della ragione era sempre riconducibile "all'io", il quale era criterio primo della verità (da qui le osservazioni condotte a Condillac, che ora è ritenuto troppo "sensista"). Ci stiamo avvicinando ad una posizione per la quale si interpreta psi cologicamente qualsiasi accadimento mentale. Nel caso di P. Galluppi non possiamo tuttavia parlare di panpsicologismo, per il fatto che l'oggetto specifico della Logica sono le leggi formali del raziocinio puro, che sono "assiomi [o] proposizioni evidenti per se stesse, le quali esprimono un giudizio puro, razionale, metafisico, a-priori, necessario" (Cfr. Elementi di filosofia, 1820). Ovvero pur assegnando funzioni più rilevanti al soggetto "psicologico", egli lasciava tuttavia un ampio spazio alla pura razionalità che, nel caso dell'A., tende ancora a frammischiarsi con lo spiritualismo. È indubbiamente questa la posizione, tra le due da noi indicate, che ha più vasta diffusione (P. Galluppi è assai conosciuto e notevole è la "forza" che la sua filosofia esercita sulla cultura dell'epoca) e che sarà ulteriormente consolidata nella seconda metà del secolo XIX. Evidente mente le singole produzioni saranno del tutto particolari poiché ogni auto re, pure mantenendo le direttive ora accennate, tenderà a sviluppare un argomento piuttosto che un altro ed a porre la propria attenzione su pro blemi che gli paiono più consoni, per l'obiettivo che si propone di appro fondire. In ogni caso assistiamo ad un consistente rinforzo di una ricerca basata sull'esperienza e questo è un processo sufficientemente generalizzabile. L'eredità che lascia Galluppi tende ad attribuire caratteri di scientifi cità all'esperienza 34 , ovvero ad un modo di fare scienza che rivaluti consi stentemente l'apporto empirico, al punto che il suo lavoro ha non pochi punti di contatto con la 'filosofia del senso comune' di T. Reid (1710-1796). L'attribuire valore ad un simile metodo di ricerca, in contrasto con l'idealismo e lo spiritualismo, non tarda a farsi strada nel panorama cul turale italiano dell'epoca ed investe, chiaramente, il rapporto tra Logica e Psicologia. Se la prima possiede pur sempre una propria specifica autonoM Questo atteggiamento si esplicherà particolarmente con un grande interesse per i problemi pedagogici, i quali rivestirono ben presto anche una notevole rilevanza politica. P. Galluppi fu, per certi aspetti, colui che per primo contribuì alla realizzazio ne di questo obiettivo con Opuscolo filosofico sulla libertà individuale del cittadino (1830). In seguito questo impegno, che si accompagnò regolarmente ad un vivo inte resse per la situazione politica del periodo, fu assunto da pedagogisti quali F. Aporti, R. Lambruschini e G. Capponi e, successivamente, da C. Cantoni e S. de Dominicis.
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mia, tuttavia, per quanto riguarda la sua genesi, è opportuno cercare un fondamento "concreto", "empirico" o, più chiaramente, psicologico. Siccome infatti la Logica come scienza è fortemente collegata alla Psicologia (al soggetto), anche da parte di coloro che si pongono su posi zioni idealistiche o spiritualistiche, si tende a dare una spiegazione "scien tifica" a questa disciplina, cercando di mutuarla da riferimenti derivati dall'esperienza. G. B. Campiagna (Sistema di logica, 1844) afferma, ad esempio, che occorre separare la Logica dalla Psicologia, nel senso che occorre assegnare a tali discipline due specifici domini, dotati di una loro autonomia. « La logica comincia là dove finisce la Psicologia, perché que sta esamina il pensiero come un che dato dall'esperienza, [mentre] la Lo gica all'incontro si occupa delle leggi universali e necessarie del pensiero, le quali si sollevano sopra le singole forme empiriche » (6). In quanto scienza delle leggi del pensiero, « ossia delle norme alle quali si deve conformare il nostro pensiero, [norme] fondate sulla natura del nostro stesso intelletto » (2), si tratta di una scienza speculativa e formale, dunque non assolutamen te sperimentale come la Psicologia, la quale ha nulla da spartire con essa 55 . Differiscono tuttavia gli oggetti di indagine - e questo è ovvio - ma non invece l'obiettivo globale, che è comune ad entrambe (la conoscenza), dove le specificità di una disciplina rispetto all'altra riguardano i livelli di validità con cui la si affronta. A riprova di ciò la Logica, per l'A., ha pur sempre una valenza concreta e non è da intendersi come un'attività unicamente speculativa: ed è da questa "concretezza" che occorre partire per poter effettuare le successive evoluzioni cognitive. In questo senso la Logica è meglio valutarla come una propedeutica alla filosofia, ovvero « una scienza preparatoria della filosofia, e in questo senso anche una scienza filosofica, ma non parte della filosofia. Perché la filosofia è la scienza del soprasensi bile, dell'incondizionato dedotto dalla ragione; laddove la logica ha per oggetto la forma del pensiero, e perciò un che condizionato, relativo » (4). Allora, se una Logica elementare « esamina le leggi del pensiero nelle sin gole rappresentazioni universali [e] nei singoli pensieri » (5), vi sarà anche una Logica sistematica che « indaga le leggi cui deve seguire l'intelletto, allorché vuole ordinare sistematicamente in un tutto i singoli pensieri ri guardanti un determinato effetto » (5). 35 Nello stesso lavoro l'A. dedicherà la prima parte ad un trattato di Psicologia empirica nel quale si sforzerà di dimostrare come tale disciplina, pure rivestendo una notevole importanza, presenta dei limiti invalicabili per oltrepassare i quali occorre rifarsi ad una scienza più completa, solida, e dotata di un'ampia tradizione culturale, ovvero la Logica.
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Sempre nello stesso anno è pubblicata l'opera di F. Cangiano (Propo sta di principii fondamentali per lo studio della filosofia, 1844), che ricalca lo stesso tema. Si tratta in questo caso di un lavoro espressamente dedicato a Galluppi, ovvero a colui che, per FA., ripresentò in Italia la necessità di uno studio sistematico e della filosofia e delle scienze. Queste ultime sono tra loro ben distinte, ma la mente umana, quando le studia, dispone sem pre delle medesime attività (ricordi, memoria, credenze, attenzione, ana lisi, sintesi, astrazione, paragoni, desideri, giudizi e raziocinii). Eppure la Logica, malgrado queste origini riconducibili ad un'analisi del soggetto cognitivo, si deve considerare come "scienza delle scienze", in quanto costante rapporto della Necessità col Pensiero, ovvero in quanto in grado di potere mostrare la chiarezza e l'evidenza delle cose da lei studiate. Allo stesso tempo però l'A. non attribuisce uno statuto ontologico autonomo a questa disciplina: se la chiarezza e l'evidenza delle cose studiate sono caratteristiche spettanti alla Logica, tuttavia si arriva a queste solamente attraverso un percorso che tocca, dapprima separatamente, un approccio empirico, per poi correlarsi sempre più saldamente con uno di tipo inizial mente razionale ed, infine, empirico-razionale. Si richiama ancora a P. Galluppi, seppure in un modo differente rispetto a quelli sinora riportati, la troviamo in A. Biondi (Opuscolo scien tifico in cui si contengono alcune questioni sulla logica pura e mista ed un'esposizione critica dei principali sistemi, 1846), che propone, senza però svilupparla adeguatamente, una soluzione "kantiana" al problema della relazione tra Logica e Psicologia, nella quale il rapporto soggetto/oggetto è il nucleo centrale. Tuttavia l'A. non lo sviluppa in modo originale e ricco di prospettive come invece aveva fatto Kant, ma tende a conciliare in modo eclettico ed approssimativo questi due concetti. Molto probabil mente questo è dovuto al fatto che l'A. non si rende conto, come d'altro canto molti altri studiosi, che la speculazione kantiana stava lavorando su temi gnoseologici e non su categorie dell'Essere, ovvero su temi ontologi ci. Proprio per lo stesso motivo l'A., che in alcune pagine pare anticipare temi propriamente positivisti, non elimina ancora una concezione del rap porto causale di tipo metafisico. Sappiamo che anche il positivismo ha una forte connotazione meta fisica, riconducibile ad un acritico impiego della sperimentazione, ritenu ta, in modo molte volte ingiustificato, come il solo strumento per accostar si alle scienze. Nel caso dell'Autore in questione questo problema è ben individuato ed egli tende sempre a smussare il valore di un approccio esclusivamente empirico, richiamandosi invece anche a categorie concet-
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tuali. Vale a dire: se si afferma che le conoscenze derivano dai sentimenti (percezioni e sensazioni), ciò non costituisce un'argomentazione sufficien te, in quanto si sta sostenendo una posizione particolare e derivata. È infatti necessario ammettere alcune idee a-priori ("subjective" secondo la terminologia dell'A.), quali quella di relazione: con ciò si intendono gli « ideali di identità o di diversità, donde risultano [ad esempio] tutti i rapporti della matematica » (7). Tali idee sono universali e necessarie e sono inoltre quelle che ci consentono di evitare di cadere in un empirismo troppo radicale. In caso contrario, se si porta alle estreme conseguenze, tale principio saremo condotti « come in Locke » (7), a produrre concetti che sono « una vergogna per l'umanità » (ibidem), in quanto « farfalloni » (ibidem) 36. Sempre tra questo gruppo di studiosi, legato anche agli insegnamenti di G. Romagnosi (1832a/c) e Franceschinis (1840) e come, affermava A. Franchi (1863) 37, più influenzato dalle dottrine di A. Rosmini che non da quelle di P. Galluppi, ovvero alla ricerca di uno spazio per la Logica, inserita tra la Psicologia empirica e la psicologia razionale wolffiana, è A. Pestalozza (Elementi di filosofia - I: Psicologia empirica, li: Ideologia e Logica, III: Psicologia razionale ed Ontologia. IV: Morale, 1857) 38 . Per l'A. due sono i tipi di conoscenza: riflessa e diretta; la prima è privilegiata rispetto alla seconda. Infatti la conoscenza riflessa è più nobile di quella diretta, poiché « la Logica, considerata come scienza, è la cognizione, ri flessa e piena dell'arte di ben pensare e tende così a perfezionarla » (194). Si tratta allora di fare una riflessione sulle percezioni primarie (conoscenza diretta), che si attuano attraverso il linguaggio: l'uomo può, in tal modo 36 Come J. Locke sono posti sullo stesso piano anche D. Hume, P. Larominguiere e Condillac, in quanto tutti "sensualisti e fortemente criticabili" (op. cit.). 37 Ausonio Franchi (1821-1895). Fra Cristoforo Bonavino, scelse lo pseudonimo di Ausonio Franchi per presentare al pubblico i suoi lavori. Come Ardigò depose ben presto l'abito clericale per godere di maggiore libertà di pensiero (1849). Egli aveva insegnato Filosofia dapprima nel seminario di Bobbio, in seguito insegnò a Pavia ed in ultimo all'Accademia Scientifico Letteraria di Milano (1860-1881). Nell'ultimo periodo della sua vita sembrò recuperare l'insegnamento religioso ritornando al tomismo. Dopo il 1891 lasciò l'insegnamento e si ritirò nel collegio Sant'Anna di Genova dove trascorse il resto della sua vita. Tra le altre sue opere ricordiamo // razionalismo del popolo (1856), II razionalismo (1858), Lezioni di pedagogia (1898, postumo). 38 Alessandro Pestalozza. Il periodo della sua principale produzione letteraria è compreso tra il 1851 ed il 1889. Ricordiamo, oltre i testi citati, anche: La postilla di un anonimo (1851), La dottrina (1851-1853), La mente di Antonio Rosmini (1855), Compendium philosophiae (1857-1858), oltre una serie di articoli sul giornale Nuovo Rosmi ni (1889).
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« pensare » (ibidem), ovvero manipolare enti astratti. Assistiamo così ad uno sdoppiamento della Logica, fatto questo molto comune in tutta l'epo ca da noi considerata: vi è una Logica pura ed una applicata, dove la prima possiede un proprio statuto ontologico, è un complesso organico di verità ben ordinate, mentre la seconda è sempre collegata alle attività pratiche, all'azione, secondo certe norme indirizzate verso un fine. Se la prima è disciplina essenzialmente speculativa, la seconda assume connota zioni del tutto operative. Il rapporto Logica-Psicologia tende dunque ad essere posto tra quest'ultima e parte della prima: è questo un primo passo, seppure insufficiente e poco approfondito, che avrà molto seguito in questo periodo, per rendere meno aleatorio il rapporto tra le due forme del sapere. V. Garelli 39 infine ribadirà questa posizione, stabilendo che sono le verità dei sensi a generare una Logica naturale che è pur sempre antece dente alla Scienza Logica (cfr. Logica parlamentare, 1849), anche se in uno scritto successivo (Della logica o teorica delle scienze, 1863) problematiz zerà la sua posizione, stabilendo che la prima può essere innata, ma anche acquisita. Dunque le attività psicologiche del soggetto saranno chiamate in causa per spiegare le sue primitive forme della conoscenza, eliminando in tal modo ogni riferimento all'ontologia (si veda anche cap. II). Globalmente questi autori, che hanno nel Galluppi il principale pun to di riferimento, non arrivano a superare quei limiti che avevano contras segnato il lavoro del filosofo calabrese. A. Franchi (op. cit.), testo che vuole essere un trattato di ontologia dedicato allo studio del rapporto tra Ente finito/Ente infinito, ma che in realtà si presenta come un manuale a carattere antologico, darà un giudizio sul Galluppi che, generalizzandolo, si può intendere come una buona descrizione del modo in cui gli Autori da noi citati, hanno affrontato l'argomento in questione. Galluppi, per l'A., ebbe l'indubbio merito di caldeggiare l'impiego di un linguaggio scientifico e iniziò a « disvezzare le nostre scuole dalle abitudini empiriche e pedestri de' condillacchiani » (14). Tuttavia egli non arrivò a dare un concetto adeguato alla scienza, per il fatto che non riuscì a comprendere sufficientemente il problema nella sua complessità, riducendola così a 39 Vincenzo Garelli (P-1879). Studioso piemontese che si occupò in particolare dei problemi dell'educazione. Dal 1839 al 1859 fu professore di Filosofia e poi prov veditore agli Studi di Genova. Successivamente tale mansione gli fu affidata a Torino. Insieme a Terenzio Mamiani fu tra i fondatori dell'Accademia Filosofica Italiana. Tra i suoi lavori ricordiamo: Delle biblioteche circolanti nei comuni rurali, Norme e lezioni per l'ammaestramento degli adulti.
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settori culturali specifici. Dunque, secondo l'A., il filosofo calabrese, pure ripetendo spesso di ispirarsi a Kant, non comprese bene la genialità della sua opera: questo fece sì che la presentò in modo incompleto ed insuffi ciente ed, a volte, impreciso. Generalizzando queste affermazioni possiamo dire che egli, come tutti gli Autori a lui collegati, tentarono certamente di collegare la Logica alla Psicologia ma, essendo ancora troppo debitori alla passata tradizione culturale, ottennero come risultato quello di smembrare tali materie senza propugnare alcuna loro effettiva integrazione (anche il citato lavoro di Pestalozza va inserito in questo contesto). Non svanisce inoltre il tentativo di mantenere una parte della Logica del tutto distinta da qualsiasi compo nente psicologica: anche in questo caso, in luogo di parlare di due moda lità autonome, ma tra loro correlate, di affrontare il problema della forma zione e della strutturazione della conoscenza, si assiste invece al manteni mento di principi incompatibili tra loro.
3. II PERIODO - SECONDA METÀ DEL SECOLO xix - OSSERVAZIONI GENERALI. (a) In Europa. In senso assai generale possiamo intenderlo come il periodo che se gna il passaggio dal romanticismo al positivismo, ovvero dal soggettivismo e dallo spiritualismo alla ricerca dei principi e delle leggi del sapere. Ne consegue che la ripartizione in ordine gerarchico delle conoscenze è un elemento fondamentale di questo momento al quale si aggiunge l'intento di contrastare una restaurazione filosofica improntata alla metafisica ed allo spiritualismo, la necessità di adottare un atteggiamento empirico nella ricerca, unica condizione perché questa possa essere scientificamente rigo rosa. Ci troviamo d'altro canto nell'epoca che segna il definitivo tramonto di quella che era stata la componente più creativa ed innovativa del ro manticismo: in senso generale lo spirito scientifico torna ad imporsi pre potentemente con la piena e completa affermazione del positivismo. È in questo clima culturale che lo Zeitgeist conclude la sua opera: ora un realismo, seppure ingenuo ed elementare, si contrappone all'idealismo e conduce alla convinzione che, sia l'organismo che lo spirito, contri buiscano alla formazione delle sensazioni e del pensiero. Sino a questo momento, di fronte ai problemi psicologici che pure si ponevano, i filosofi davano unicamente risposte teoriche che, nella maggior parte dei casi, era-
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no elaborate ed inserite in sistemi. Anche coloro, che pure sottolineavano la necessità di un approccio empirico, non ricorrevano mai ad esperimenti per verificare le loro teorie. Ora con il presentarsi di problemi sempre nuovi ed il progressivo aumento delle scoperte provenienti da altre disci pline, che già avevano segnato un certo distacco dalla cultura filosofica (ad esempio nel 1800 M. F. X. Bichat rivendicava l'autonomia della ricerca biologica rispetto alle speculazioni meccani cistiche o vitalisti che), fanno sì che la maggior parte delle scienze naturali, tenda a dotarsi di uno statuto proprio ed autonomo. Se la Psicologia segue questa tendenza generale, per la Logica non possiamo dire altrettanto, poiché è ancora una parte della filosofia e, come tale, deve preservarsi da determinati rischi, primo fra i quali quello di occuparsi di settori del sapere particolari e specifici. Malgrado ciò un tentativo, che col passare del tempo si farà sempre più insistente, di instaurare un rapporto tra queste due discipline, è co stantemente ricercato dagli scienziati dell'epoca, rispetto ai quali, i filosofi, legati alla classica speculazione, assumono posizioni sempre meno conci lianti ed accomodanti. Non è pertanto errato sostenere come, in questo nuovo clima, la Psicologia, insieme con la biologia e la fisiologia, rivestano il ruolo di materie « progressiste », mentre la Logica quello di rappresen tante della conservazione. Uno dei rischi, che emergerà da questa nuova situazione, e che puntualmente si verificherà, sarà rappresentato dal ten tativo di porre la ricerca psicologica alla base di qualsiasi forma nella quale si esplicano le attività mentali e cognitive del soggetto, ovvero compiendo quelle forzature e riduzioni, che erano stati gli elementi contro cui i suoi cultori avevano in passato combattuto. Questa posizione segnerà il riaffermarsi del metodo induttivo già propugnato da F. Bacone, che aveva lo scopo di giungere alla determina zione di note caratteristiche dei fenomeni empirici con l'intento di spiega re la struttura profonda degli stessi, e condurrà ai lavori di J. S. Mili, il quale riterrà l'induzione come una generalizzazione dell'esperienza, fon dandola sul concetto di "somiglianzà". L'influenza di questo studioso, dovuta anche e soprattutto alle sue produzioni politiche e filosofiche in senso lato, sarà vastissima. Tuttavia nella cultura italiana della seconda metà del secolo, che pure lo richiamerà in continuazione, eserciterà una pressione non eccessivamente forte per quello che concerne le osservazio ni alla Logica classica (ed, in particolare, alla sillogistica) che, salvo pochis simi casi, ci si guarderà bene di contestare in modo approfondito. Senza conoscerlo direttamente (non lo abbiamo mai trovato citato), i nostri Autori sembra che a questo riguardo si collochino più in sintonia
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con le posizioni di Whateley, sostenitore della Logica tradizionale, contro il quale J. S. Mili aveva protratto una lunga polemica. Ci si trova dunque nella situazione, per certi aspetti paradossale, per cui gli studiosi italiani abbracciano le tesi di J. S. Mili, ma non sono capaci di abbandonare po sizioni contro le quali egli si era scagliato.
(b) In Italia. 3.1. Per la cultura italiana le cose procedono, ancora una volta, più lentamente, rispetto all'evoluzione del sapere che si riscontra negli altri paesi. Agli inizi del secondo cinquantennio del XIX secolo gli albori della cultura positivista italiana si richiamano non tanto alle produzioni degli altri paesi, quanto agli insegnamenti di D. Romagnosi e di M. Gioia, che, a loro volta, si rifacevano alla filosofia illuminista. Se infatti è vero che il positivismo trionfa nei paesi europei (J. S. Mili, J. W. F. Herschel, C. Darwin in Inghilterra; L. A. Feuerbach, G. T. Fechner, E. Buchner in Germania; H. A. Taine, E. Renan in Francia) in Italia, a parte G. C. Fer rari (Filosofia della rivoluzione, 1851) e C. Cattaneo (Psicologia delle menti associate, 1859-1863) si hanno solamente le prime avvisaglie di tale corren te e si dovrà attendere gli ultimi due decenni del secolo per trovarla espressa in modo compiuto. Sono questi i motivi per i quali possiamo comprendere il perdurare di un notevole numero di scritti che si richia mano ad una tradizione culturale oramai sorpassata. 3.2. Il punto sul quale questa svolge invece un ruolo operativamente significativo, e che gli consente di costruirsi un proprio spazio specifico, è quello di promozione culturale e diffusione dell'istruzione. Ora, sebbene anche in questi campi la troveremo sempre legata a progetti riformisti e moderati, produrrà, in ogni caso, una notevole quantità di lavori a scopo didattico e, nel nostro caso, i manuali di Logica e di Psicologia aumente ranno in maniera rilevante, soprattutto verso la fine del secolo. Si tratta in gran parte di manuali divulgativi, destinati ai più disparati settori di utenti, che danno una visione sommaria delle produzioni sino a quel momento presentate, senza addentrarsi eccessivamente nei problemi dibattuti. Malgrado ciò è indubbiamente questa la parte più progressista del positivismo italiano, di certo più che non le effettive produzioni cultu rali, le quali non raggiungono mai alti livelli. Il privilegiare un fine forma tivo, rispetto all'approfondimento della ricerca, produce una serie di lavori a carattere antologico e/o di sommarii unicamente espositivi, che non ana-
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lizzano compiutamente i temi discussi e, in misura ancora maggiore, che non propongono alcuna ipotesi innovativa, né argomentano temi originali. Probabilmente il testo di G. B. Peyretti (Elementi di Filosofia ad uso delle scuole secondarie, 1856) 40 fu uno dei manuali che ebbe più fortuna, in quanto meglio di altri rispondeva alle caratteristiche ora accennate. A conferma di ciò osserviamo che nel 1863 V. di Giovanni 41 giudicava po sitivamente il lavoro di questo Autore per aver rivalutato la logica aristo telica ed aver mosso critiche a quella di Hegel; nello stesso anno A. Fran chi (1863) affermava che, malgrado la sua Logica fosse ancora quella della Scolastica, « non vuoisi mandare a fascio con le altre » (p. 95), per il fatto che è, almeno, chiara ed ordinata, anche se pecca di eccessivi grecismi e di una "pedante" suddivisione della materia. A. Valdarnini (1880) 42 lo nominerà per avere posto una chiara distinzione fra scienze umane e di vine. Ancora nel 1889 L. M. Billia 43 (Tre regole inesatte che si danno co40 Gianbattista Peyretti. Il periodo delle sue produzioni più interessanti è com preso tra il 1856 ed il 1875. Tra i suoi lavori: Logica (1858), Concetto della filosofia (1867), L'antropoteismo sulla Logica (1867), Nozioni di Ontologia in servizio della Lo gica, della Metafisica e dell'Etica (1875). 41 Vincenzo di Giovanni (1832-1903). Di famiglia agiata entrò nel seminario di Monreale e fu, in seguito, allievo di D'Acquisto all'Università di Palermo nella quale entrò nel 1853. Ordinato sacerdote a Mazara del Vallo (1856), nel 1859 ottenne la cattedra di Filosofia al seminario vescovile. Dal 1863 al 1873 tenne liberi corsi di Logica e Metafisica alla Regia Università di Palermo, dove entrò nel 1873 come incaricato di Antropologia e Pedagogia. La sua prestigiosa posizione nell'ambiente siciliano del periodo lo fece divenire un punto di riferimento per i più importanti uomini della città: ciò favorì la sua ascesa a Vescovo di Teodosiopoli (1897) ed in seguito ad Arcivescovo di Pessinonte (1901). Tutte le sue opere sono state da lui raccolte in tredici volumi ( Opere filosofile: 1865 -1880). 42 Angelo Valdarnini (1857-?). Di origine toscana studiò e lavorò sempre a Bolo gna, dove divenne professore ordinario di Filosofia teoretica nell'Università cittadina. Tra i suoi lavori: Elementi scientifici di Etica e Diritto, Pedagogia teoretica, Sassi di filosofia sociale. 43 Lorenzo Michelangelo Billia (1860-1924), compì i suoi studi a Torino dove si laureò nel 1882. Nel 1883 divenne professore nel ginnasio di Cuneo. Entrò ben presto in contatto con l'ambiente cattolico-liberale lombardo e strinse amicizia con S. Stampa, figliastro del Manzoni. Iniziò una serie di peregrinazioni nei licei italiani: Chieri (1884), Senigallia (1886), Sondrio (1889), Alessandria (1890), Parma (1893), Ferrara (1894). Tra il 1891 ed il 1901 fondò una rivista (// Nuovo Risorgimento) sulle cui pagine condusse una forte polemica contro "i troppo ardenti" sostenitori del Rosmini, l'idea dello Stato di Hegel, la filosofìa del Gioberti. Col 1900 divenne libero docente di Filosofia teoretica all'Università di Torino, anche se già, seppure in modo non ufficiale, insegnava dal 1896 Filosofia morale. Nel dopoguerra, dopo altre esperienze nei licei di Pisa, divenne libero docente all'Istituto Studi Superiori di Firenze. La sua produzione, abbastanza disordinata, abbraccia vari campi: filosofico, pedagogico, psicologico. Se-
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munemente del sillogismo) lo citerà per aver preso le distanza dall'ecces sivo speculativismo di A. Rosmini, ritenuto un ostacolo al progresso di ogni forma della conoscenza. 3.3. Per comprendere la scarsa componente innovativa che questi lavori avevano, non si deve scordare che anche ora la cultura ecclesiastica giucca un ruolo abbastanza ambiguo, al punto che possiamo sostenere che il limite comune allo sviluppo delle nuove discipline, ma possiamo dire del pensiero scientifico nella sua generalità, sia riscontrabile nella contraddi torietà in cui si imbatte il pensiero cattolico di questo periodo. Una tale situazione produce, inevitabilmente, un confronto tra coloro che si richia mavano alla tradizione clericale e chi, invece, assumerà come propria bandiera le scoperte scientifiche che in quel periodo avvenivano in Europa. Il risultato è che, a volte, una simile contesa, anziché attuarsi in cam po scientifico, si tramuta in una competizione ideologica. Questo fa sì che alcuni rappresentanti di un gruppo culturale siano tacciati dell'assunzione di posizioni o superate, od inaccettabili, da parte di coloro che si riface vano ad una corrente di pensiero opposta, pure se stavano invece trattan do di un tema del tutto analogo. In ogni caso sembra che nella seconda metà del secolo XIX, la carat teristica principale sia l'intento di porre un argine al dilagare del pensiero positivista, etichettato molto sbrigativamente come ateo. Il problema con siste pertanto nel riuscire a conciliare il tradizionale spiritualismo filosofico con i contenuti, nonché i metodi, che la nuova concezione della scienza propone e mette a disposizione. 3.4. Le posizioni partigiane tendono ad assumere caratteristiche estreme da entrambi i lati, col passare del tempo, Nel nostro caso vediamo come le correnti tradizionali trovino in T. Mamiani 44 , oppositore di Rosmignaliamo: Intorno ad un fatto contemporaneo (1889), Antonio Rosmini nei suoi fram menti della filosofia del diritto (1890), Max Muller e la scienza del pensiero (1890), Saggio contro il divorzio (1893). 44 Terenzio Mamiani (1799-1855), dopo avere compiuto i suoi studi a Roma inse gnò all'Accademia militare di Torino. Nel 1831 partecipò attivamente ai moti della Romagna, divenendo ministro dell'interno del governo provvisorio istituito a Bologna. La reazione degli Austriaci lo costrinse all'esilio (Parigi) da dove potè partire solo nel 1847 per giungere a Roma. Fu chiamato nel 1848 da Pio IX a gestire il ministero dell'in terno. Dopo una parentesi a Torino in cui collaborò col Gioberti, ritornò di nuovo a Roma al servizio di Pio IX. In seguito lo troviamo deputato al Parlamento Subalpino e sostenitore della politica del Cavour, e poi professore all'Università di Roma ed, in
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ni (ma anche filosofo di matrice platonica, con dichiarate posizioni antipositivistiche, autore di una serrata critica nei confronti delle tesi di R. Ardigò ed, in generale, di tutti coloro che ritenevano primario un approccio empi rico al sapere), il rappresentante di spicco, un filosofo che già i suoi con temporanei considerarono un "moderato", dotato di uno "scetticismo su perficiale" (A. Franchi, 1863), oppure colui che cercava di rinnovare la filosofia "vecchia" di G. B. Vico (V. di Giovanni, 1854, ed anche 1877). Una simile affermazione possiamo sostenerla anche per quello che riguarda il lavoro di P. Morello 45 , che, nel testo La Logica od il problema della Scien za nuovamente esposta all'Italia (1855) stabilisce che «non può essere la Filosofia che generi la Logica, ma, al contrario, la Logica quella che genera la Filosofia » (p. 38), ed inoltre che « propriamente cosa non sono identica, ma che si distinguono come il reale si distingue dal concetto. La Filosofia potrebbe prendere nome dalla più immediata e continua funzione logica nell'esercizio delle sue leggi, la funzione di astrazione » (ibidem). Lavori come quelli di Mamiani (op. cit.) e Biondi (op. cit.), tuttavia, non costituiscono certamente un'eccezione in questo periodo storico. Il permanere di questa situazione può fare comprendere perché, ancora alla fine del secolo XIX, assisteremo all'assurdo tentativo di voler mantenere, di recuperare, una tradizione culturale vecchia ed oramai superata. Ciò darà vita ad una consistente quantità di lavori i cui risultati raggiunti saranno necessariamente assai scarsi, in quanto si limiteranno a pedisseque ripe tizioni di temi senza più valore. In ogni caso, malgrado la forte componente conservatrice di questi Autori, sebbene con risultati discutibili, assistiamo al tentativo di eliminare la confusione che oramai inondava la stessa classica ripartizione del sapere: in questo senso, i lavori di A. Rosmini rimangono certo i più importanti contributi, che la cultura italiana abbia prodotto, per quello che concerne la distinzione tra la Logica e la Metafisica. Allo stesso modo vediamo che questa strenua difesa della preminenza della Logica rispetto a qualsiasi altra forma del sapere non è accettata passivamente, ma è fortemente criticata ed attaccata già all'epoca della sua comparsa. Nel 1863 A. Franchi (op. cit.) affermerà che, a monte del tenultimo, consigliere di Stato e senatore. Le sue opere toccano argomenti filosofici, dove dopo un periodo legato al pensiero del Galluppi, si richiamò all'idealismo platonico, argomenti politici ed argomenti letterari. Nel primo caso citiamo II rinnovamento della filosofia antica italiana, Dell'Ontologia e del Metodo, 1 Dialoghi di scienza prima; nel secondo Delle quistioni sociali, Della Religione e dello Stato; nel terzo Prose e Poesie. 45 Paolo Morello. Studioso palermitano, accademico dell'Istituto di Incoraggia mento.
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tativo di P. Morello (1855) di "sciogliere" la Logica dalle dipendenza dalla Scolastica, con l'intento di ricondurla al ruolo di "guida" per la ragione, si cela uno sproporzionato numero di inesattezze che devono essere cor rette, esaminando "più da vicino", ovvero empiricamente, i problemi trat tati; sempre nello stesso anno V. di Giovanni ritroverà in quest'opera un confuso ed errato tentativo di porre una distinzione tra la fede (Logica) e la ragione (Filosofia). 3.5. Una vera e propria teoria positivista è ben lungi dal costituirsi e si limita a prendere in considerazione i problemi del conoscere in rappor to al metodo delle scienze sperimentali. L'oggetto di tutte le scienze viene fatto coincidere con quello delle scienze sperimentali, con la presa in considerazione unicamente di quello che è direttamente riscontrabile, sen za alcuna intermediazione. È allora lo studio del fenomeno il punto attorno al quale dovrà ruo tare tutta la ricerca. Tuttavia, occorre ricordarsi che il "fenomeno" del quale si parla è un concetto non certo fine e specificato come invece quello kantiano ed il risultato è che in luogo di espandere la ricerca, tende invece a delimitarla in modo ingiustificato. « La stessa esperienza coglie la realtà: e bisogna dare un bel frego sulla critica del conoscere iniziata da Kant. Il positivismo non conosce critica; e torna al dommatismo ingenuo dell'esperienza volgare non curandosi neanche della critica lockiana ed humeana delle idee di sostanza e di causa» (G. Gentile, 1921, II, I, 11). In ultima analisi possiamo ritenere che i progressi che si ottenevano ovunque generino un entusiasmo che, tuttavia, si indirizza verso un rinno vamento spirituale più che non culturale. In tale senso vanno visti i ten tativi di fisiologi, quali S. Tommasi, che si pongono alla ricerca di leggi ideali logicamente connesse o di A. Gabelli (L'Uomo e le Scienze Morali, 1869) 46 che propone un approccio "galileiano" alle scienze dell'uomo per potere cogliere meglio le istanze morali e spirituali di quest'ultimo. In questo secondo caso il tentativo dell'Autore è significativo della ricerca di collegare le nuove istanze scientifiche con il recupero della tra46 Aristide Gabelli (1830-1891), inizia i suoi studi a Vicenza e poi si iscrive a Giurisprudenza a Padova. Dal 1854 al 1857 si reca a Vienna per perfezionare la sua preparazione. Nel 1859 è esule a Milano. Si occupa di problemi pedagogici al punto che qualche anno dopo diviene Provveditore agli Studi a Roma. Nel 1888 elabora nuovi programmi per l'istruzione elementare. Tra le altre sue opere: Sulla corrispondenza dell'educazione nella civiltà moderna (1866), L'Italia e l'istruzione femminile (1870), 17 metodo e gli asili Pròbe! (1889), II positivismo naturalistico in filosofia (1891).
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dizione morale, tentando di giustificare quest'ultima con un approccio che si basa su assunti ricavati non più da principii primi dati, ma da concrete osservazioni concernenti la condotta del soggetto. Il comportamento, o meglio il suo studio, è assunto quale parametro di natura psicologica, per correlare tra loro istanze logiche ed etiche: soprattutto, ed è un fatto interessante, viene inteso come il mezzo per eccellenza per farci compren dere l'agire del soggetto, colto nella sua complessità (condotta). Partendo dalla constatazione che l'amore che ciascuno ha per sé è il fulcro sul quale si basa tutta l'umana esistenza, egli sottolinea che è proprio muovendosi da questo fatto che si giunge ad instaurare un rapporto positivo anche con gli altri individui. La ragione, che è allora una sintesi di Logica ed Etica, è tesa al raggiungimento del bene, il quale non deve essere tuttavia inteso come il soddisfacimento alle singole esigenze, ma il conseguimento di una sempre più stabile equilibrazione tra le esigenze dei vari individui. Parti colare interessante è che a questa condizione ci si deve giungere ed i mezzi per ottenerla dipendono dall'educazione (componente pedagogica particolarmente curata dall'Autore, che sempre si dichiarò appartenente alla corrente del positivismo pedagogico) e dall'abitudine: quest'ultimo punto, assai interessante da un punto di vista psicologico, non è però troppo approfondito (in quanto egli è teso a produrre un lavoro sistematico, che non può pertanto prendere in esame argomenti troppo specifici e poco controllabili). L'A. insiste a sostenere che è solo lavorando sperimentalmente che si potranno ottenere utili risultati per fornire spiegazioni a questi problemi, ma questo lo porterà ad alcune imprecisioni che limiteranno la sua produ zione sia da un punto di vista logico (definizioni degli argomenti troppo imprecise e superficiali e vaghe) ed anche psicologico (scarsa attenzione a fenomeni invece rilevanti, quali appunto l'abitudine). Infatti egli non chia risce a fondo se l'approccio sperimentale, legato alle scienze fisiche, può essere esteso anche a quelle morali (e logiche); non è in grado di spiegare, se non superficialmente, come dall'amor proprio si passi a quello colletti vo, limitandosi a proporre una vaga e non ben precisata armonia tra indi viduo e società, trascurando invece volutamente i conflitti in atto tra questi. Nella stessa dirczione si muove anche C. Cattaneo il quale propone gli stessi obiettivi attraverso un'analisi di tipo antropologico (o come si diceva allora psicologico sociale). A suo avviso, a partire dalla sensazione, si registra un costante sviluppo e crescita della conoscenza, in virtù dei mezzi messi a disposizione dalla civiltà, in quanto suo bisogno primario è quello di dominare le forze naturali: per ottenere questo risultato, vi è
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bisogno di una cooperazione tra soggetti. Ma egli ritiene che anche nella facoltà superiori della mente, l'influsso sociale, definito associazioni della mente, rivesta una grande importanza. Ad esempio considerando la facol tà di analisi, ovvero la distinzione delle parti di un tutto, strumento indi spensabile per la conoscenza del vero, ritiene che questa si costituisca nelle forme più complesse, in virtù di una cooperazione tra individui: egli però giustifica questa affermazione da un punto di vista storico, riportan do, a tale proposito, parecchi esempi del passato, ma non si rende conto che per fare una Psicologia sociale del concetto di analisi «avrebbe dovuto dimostrare che questa... suppone la collaborazione sociale» (G. Gentile, 1921, II, I, 24) e non il contrario. Malgrado queste posizioni ancora abbastanza confuse è però indubi tabile che le nuove idee, propugnate in Europa e diffuse in Italia, sul modo di accostarsi alla scienza, facciano già sentire i loro influssi sulla cultura italiana e la prova è che gran parte degli autori minori citino spesso nei loro lavori questi filosofi stranieri (il nome di J. S. Mili diviene quasi una costante dei loro scritti ed il suo "Sistema", una specie di "summa" del pensiero empirista, è citato da quasi tutti gli autori). D'altro canto il positivismo italiano è un fenomeno assai complesso anche, e soprattutto, per il fatto che tende a mostrarsi come il rappresen tante dell'unità culturale di un paese che sta vivendo il travaglio per rag giungere l'unità politica ed anche territoriale. Il fatto incide profondamente sul sapere. Se questo è ancora élitario (come d'altro canto è élitario lo stesso spirito risorgimentale) malgrado i tentativi per una sua diffusione più minuziosa, si assiste per altro alla ricerca di una sua autonomia rispetto ad altre posizioni. Questi motivi fanno sì che vi sia una progressiva emarginazione non solo delle posizioni positivistiche straniere, ma anche del filone illuminista, che ne era stato il naturale precursore. Ecco perché rispetto alla componente "rivoluziona ria" delle nuove idee che il positivismo aveva in sé, al contrario, in Italia tende invece a mostrarsi come rappresentante di una posizione "modera ta", con l'intento di porsi come punto di giunzione tra il precedente spi ritualismo ed il progressivo rafforzamento delle correnti neo-idealistiche. Contemporaneamente a Napoli, ponendosi in posizione critica verso il positivismo e la tradizione spiritualista, inizia a diffondersi il pensiero di Hegel grazie ai lavori di A. Vera, rappresentante della "destra" hegeliana, che traduce e commenta i lavori del filosofo tedesco e di B. Spaventa, D. Mazzoni, S. Cusani, B. Passerini, S. Gatti. Questa corrente, tuttavia, pure influenzando alcuni studiosi contemporanei, troverà definitiva consacra-
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zione in Italia negli ultimi decenni del XIX secolo, quando sarà fatta propria dai promotori del neo-idealismo. All'inizio del periodo che stiamo esaminando si tende, in modo spe cifico, a collocare sempre di più la Logica in una posizione derivata rispet to alle attività fisiologiche e psicologiche (sensibilità e percezione), le quali vengono ad essere il punto di partenza per lo studio di qualsiasi forma dell'intelligenza. Si giunge a presentare questa disciplina come un'attività schematizzante o, facendo riferimento ad un'espressione allora molto usa ta, come "un'arte" che da le regole, le direttive, con cui l'intelletto si struttura. Questo comporta che si sia spinti ad abbandonare l'idea di una Logica naturale, mai chiaramente specificata d'altro canto, che stia a monte di qualsiasi attività del soggetto e rappresenti le caratteristiche fon damentali dello stesso. Proprio per questo motivo ci si sforza di mostrare come queste regole abbiano una genesi ed un processo di formazione riconducibili a fondamenti biologici primari. Il compito della Logica sarà, a questo punto, quello di organizzare tra loro le componenti fondamentali dell'individuo, che hanno ora caratteri stiche assolutamente "reali". La coincidenza con tematiche psicologiche diviene quindi sempre più evidente come altrettanto chiaro è il tentativo di intendere queste ultime quali direttive e generative del sapere.
4. L'ESEMPIO DI WUNDT E LA SITUAZIONE ITALIANA. La tradizione storica che testimonia la necessità di stabilire un luogo, una data ed una (o più) persona/e per segnalare ufficialmente l'inizio della Psicologia come scienza, ci porta a Lipsia nel 1879 ed indica in W. Wundt il fondatore di questa disciplina. In questo istituto di Psicologia si formano i primi veri psicologi sperimentali, quali Kraepelin, O. Kuelpe, S. Hall, J. M. K. Calteli, E. B. Titchener, G. K. Warren, C. Spearman, E. Bourdon, A. Michette. Tuttavia questo non vuole assolutamente dire che prima di quegli anni non fossero stati fatti lavori sperimentali con l'intento di stu diare i più disparati processi psicologici e, soprattutto, che non fossero stati previsti e progettati spazi teorici nei quali inserire questa nuova forma di conoscenza. Infatti: a) se J. F. Friess, che ribaltò l'ordinamento kantiano, per il quale le categorie universali di causalità e di sostanza erano legate all'intelletto, muove un'osservazione al filosofo di Kònigsberg per avere rifiutato di esaminare a fondo l'introspezione, ovvero l'elemento che ci rende possi-
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bile accedere di primo acchito alla conoscenza immediata e, quindi, per avere trascurato la componente psicologica, che compone l'impalcatura cognitiva del soggetto; b) se J. F. Herbart elaborò il concetto chiave di soglia e propose una teoria meccanicistica sia della coscienza che dell'inconscio, fondata di certo ancora su presupposti metafisici, ma necessitanti dell'ausilio di un approccio sperimentale, in particolare facendo ricorso allo strumento matematico; e) se G. F. Benecke, già a partire dal terzo decennio del secolo XIX, sosteneva la necessità di una "scienza psicologica", ovvero di una scienza sperimentale, i cui elementi dovevano essere il frutto di una ricerca empi rica basata sull'osservazione; d) se F. C. Donders aveva studiato i tempi di reazione e, dopo averli suddivisi in semplici, di scelta e di discriminazione, aveva pensato di con siderare i fatti psichici sulla base della loro durata, gettando in tal modo le basi di quella che oggi è conosciuta come teoria dell'human performance; possono essere ritenuti antesignani della Psicologia, non vi dubbio che dobbiamo etichettare come "psicologici", a tutti gli effetti, già gli studi di E. H. Weber, negli anni '30, a proposito della sensibilità tattile; quelli di G. T. Fechner, negli anni '50-'60, la cui psicofisica era tesa alla soluzione del rapporto mente/corpo (che egli credette di aver definitivamente risol to) ed a cui si deve l'ideazione di un procedimento per misurare la sen sazione in riferimento agli stimoli corrispondenti, nonché la formulazione della legge matematica che regolava i rapporti tra stimoli e sensazioni; quelli empirici di H. Helmoltz sulì'Anschauung, in cui sono connesse sen sazioni, immaginazioni, stimolazioni ed inferenze inconscie, e quelli inna tisti di E. Hering, concernenti il collegamento tra modalità percettive e funzionalità del sistema nervoso, nonché, sempre negli stessi anni, quelli di De Jaeger e F. Galton, che può, a buon diritto, essere ritenuto il padre della Psicologia delle differenze individuali, su problemi legati alla perce zione ed alla misurazione di risultati empirici (prime applicazioni della statistica alla Psicologia). Abbiamo indicato nel 1879 la data di nascita della Psicologia ed in W. Wundt, il suo fondatore. Certamente la creazione di una nuova disci plina, con sue specifiche proprietà e caratteristiche, era già da alcuni anni un suo obiettivo ben specifico ed attorno al quale egli da tempo lavorava. Infatti già in Bettràge zur Theorie der Sinneswahrnehmung, opera com posta tra il 1858 ed il 1862, W. Wundt (allora assistente di H. Helmholtz a Heidelberg) parla di Psicologia sperimentale e, in modo più marcato
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rispetto agli studiosi contemporanei, tende a valutare ed a presentare il suo lavoro come attribuibile ad una scienza, che egli pretende di staccare e di rendere autonoma, in modo più definitivo, rispetto alla fisica ed alla fisiologia, materie di cui era cultore. L'avere insistito in modo assai più profondo, rispetto ai suoi prede cessori, sul fatto che la fisica e la fisiologia osservano i loro oggetti di studio "dall'esterno", mentre la Psicologia lo fa "dall'interno", significa rivendicare un'autonomia più rilevante a quest'ultima e giustifica l'attribu zione di padre della scienza psicologica che gli si conferisce. Il suo lavoro, che si basa sull'introspezione, procede induttivamente e si centra su due obiettivi: studio dei processi inferiori (o psicologia fisiologica), esposto in Vorlesungen ùber die Menschen una Tbierseele (1863) e studio dei processi superiori, ovvero della storia dei popoli (oggi diremmo che un tale lavoro appartiene più all'antropologia che alla psicologia sociale), esposto nei dieci volumi del Vòlkerpsychologie, testo la cui composizione richiese parecchi anni di lavoro e revisioni (1900-1920). La Psicologia, che, in ogni caso, nella seconda metà del secolo XIX inizia a "formarsi" come disciplina autonoma, paga tuttavia importanti tributi alla precedente speculazione filosofica, per il fatto che si imbatte in parecchie situazioni contraddittorie, di natura chiaramente speculativa, che possiamo cercare di sintetizzare nel seguente modo: - per potersi caratterizzare come scienza deve rispondere al requisito di essere "oggettiva", ovvero valida per un universo sufficientemente esteso; - l'oggetto di ricerca sono le reazioni che i soggetti hanno rispetto a stimolazioni che sono loro somministrate; - evidentemente ogni soggetto fornirà una risposta personale, "sog gettiva", alla stimolazione. La non celata aspirazione della Psicologia a presentarsi come scienza oggettiva si scontra pertanto con il problema, ritenuto un ostacolo di difficile superamento, per cui l'oggetto primario di questa scienza avrebbe dovuto essere rappresentato da "oggetti" psichici che, in quanto tali, era no quanto di più significassero la soggettività, ovvero l'a-scientificità. A ciò si aggiunga che lo stesso Wundt, quando accetterà di fare parte della facoltà di Filosofia dell'Università di Lipsia (1875), nella quale era incluso lo studio della Psicologia, pubblica anche lavori di Etica e Logica, materie che insieme alla Psicologia dovrebbero soddisfare all'intento di fondare e costruire una Filosofia scientifica. Soprattutto per quanto ri guarda la Logica cade nuovamente in contraddizione, perché tende a mostrare come la verità logica (oggetto di studio di questa disciplina se-
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condo la classica tradizione filosofica), che è ritenuta oggettiva ed univer sale, sia ottenibile attraverso lo studio di meccanismi psicologici, ovvero soggettivi e relativi. Anche in questo caso egli si pone in una posizione del tutto filosofica e si colloca in una prospettiva, che possiamo chiamare "logica gnoseologia", filone nel quale troviamo anche J. S. Mili. Tutto ciò fa sì che in questo caso ci si colloca di fronte ad una duplice posizione, in cui l'una non era assolutamente compatibile con l'altra: questo, in ultimo, ci può chiarire quali erano i problemi che si frappone vano ad una correlazione costruttiva tra Psicologia e Logica. Occorre in fatti considerare che: 4.1. Da un lato necessita sottrarre i fatti psichici dal contesto etero geneo ed intensivo proprio del vissuto intcriore, che, altrimenti, questi ultimi non sarebbero né quantificabili, né misurabili, e neppure organizzabili in schemi precisi. 4.2. Dal lato opposto non è affatto strano rendersi conto che l'elimi nazione della problematica del vissuto intcriore, sarebbe corrisposto alla scomparsa dello stesso tema portante della conoscenza psicologica. Questa situazione contraddittoria della Psicologia che si pretende di intendere come scienza, la ritroviamo presente in tutte le opere di W. Wundt 47 . Infatti i suoi esperimenti sulla psicofisiologia dell'udito e della vista (come già quelli di Helmholtz e di Donders) e sulle associazioni mentali, se hanno una notevole importanza poiché tendono a ribadire l'autonomia metodologica di questa nuova scienza, risentono tuttavia anco ra di una serie di preoccupazioni, riconducibili a passate istanze filosofiche. Egli tenta di presentare un fondamento concettuale della Psicologia, cercando di amalgamare le varie produzioni, che si erano occupate di problemi in qualche modo riconducibili a questa disciplina (psicofisica, evoluzionismo, associazionismo). Stabilisce che l'oggetto specifico, perti nente alla Psicologia, è l'esperienza immediata e per questo propone come fondamentale il metodo introspettivo. Avanza l'ipotesi che sussista un parallelismo psicofisico-psicologico, con l'intento di ritrovare una soluzio ne al rapporto mente-corpo, problema quest'ultimo sul quale disputava anche la maggior parte dei filosofi e dei logici del periodo: tuttavia in luogo di presentare un ordinamento gerarchico di queste caratteristiche 47 Ci riferiamo in particolare a Compendio di Psicologia, Clausen, Torino, 1900 ed a Elementi di Psicologia, Società Editrice Pontremolese, Piacenza, 1910.
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dell'essere umano, sostiene che al mutamento dell'una corrisponde mec canicamente anche quello dell'altra. Stabilisce infine una serie di regole concernenti il modo e la condizione ottimale con cui condurre gli esperi menti, ovvero codifica il metodo sperimentale. Allora oggetto e metodo della ricerca psicologica devono costituire un'unità fondata sul concetto di immediatezza, ed il procedimento psicologico deve concernere il rileva mento dei dati di coscienza tramite introspezione, la deteminazione del modo con cui connettere gli elementi da questi ricavati ed, infine, la messa in evidenza delle leggi che presiedono a tali connessioni. In generale nello psicologo tedesco si osserva da un lato, l'adesione all'ideale naturalistico e, dall'altro, l'acccttazione dei principi della corren te neo-empirista, che tendono a reputare irriducibile ed a stimare nonanalizzabile il carattere originario dell'accadimento psichico. Per quello che più specificatamente concerne la Psicologia il neo-empirismo si pro pone di verificare le metodologie che rendano possibile inserire gli accadimenti psichici in un sistema concettuale corrispondente ai canoni scien tifici. Allo stesso modo, tuttavia, l'esperienza soggettiva immediatamente vissuta (Erlebms), non può né deve essere eliminata: è tuttavia necessario inquadrare la stessa in un sistema scientifico concettuale. In questo contesto, la sensazione, esaminata in sé e per sé, costituisce la vera e propria realtà originaria che precede a qualsiasi ragionamento o concettualizzazione. Si tratta di un fatto dell'esperienza che non comporta riferimenti ad alcun oggetto (pena la necessaria acccttazione di un'attività cognitiva di distinzione e di individuazione), né al soggetto (pena la dif ferenziazione che dovrebbe essere presente tra quest'ultimo ed ogni altro oggetto). Vale a dire che deve essere pertanto esaminato in situazioni esterne ottimali, attraverso le quali vengono il più possibile eliminate tutte le perturbazioni, in quanto falsificherebbero i risultati delle ricerche. Non solo ma il soggetto deve essere esso stesso in condizioni ottimali: rispetto a T. A Ribot ed a P. Janet, per esempio, che stimavano come la malattia fosse una sperimentazione del tutto ingegnosa, in quanto "prodotto" dalla natura stessa, egli sottolinea come invece un accurato studio delle sensa zioni debba essere del tutto libero da fattori che, anche se naturali, lo condizionerebbero. L'intelletto percepisce tale sensazione o come un fatto soggettivo interno, od un fatto oggettivo esterno: nel primo caso abbiamo una realtà psichica, nel secondo una realtà fisica. Se allora non possiamo ricondurre la sensazione né ad un oggetto, né ad un soggetto, dobbiamo intendere questa attività come antecedente indifferenziato di entrambi, ovvero implicante una loro primitiva indistin-
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giubilila. Non resta, pertanto, che procedere per astrazione per poter sta bilire una distinzione tra oggetto e soggetto: a questo punto però ogni attività del pensiero, qualsiasi riflessione, qualsiasi concetto, sarebbe il risultato originato e prodotto da una pura astrazione. Se accettiamo queste premesse siamo condotti in ulteriori contraddi zioni che, anche in questo caso, tenteremo di sintetizzare nella maniera seguente: Si diano le due proposizioni: 4.3. esiste una realtà unica, sperimentabile concretamente, che è la sensazione, della quale non conosciamo il fondamento; 4.4. parliamo di: esperienza immediata/esperienza mediata, fatto di intuizione/fatto di riflessione, interiorità/esteriorità. Possiamo affermare che con 4.4. noi non definiamo due realtà, ma unicamente due apparenze fenomeniche di un'identica realtà, la cui cono scenza, nel suo fondamento unitario, ci è sconosciuta. Ma se partiamo da questa concezione sensista non potremo più giustificare il valore razionale delle formulazioni concettuali che ne diamo: anche queste ultime, infatti, sarebbero dei giudizi del tutto soggettivi ed arbitrari e quindi 4.3. non sarebbe più un fatto certo e sicuro. Ci troviamo nella situazione parados sale che fa dire a G. Frege, proprio trattando dei lavori di W. Wundt, che ci si trova in una situazione "che assomiglia ad un tentativo di sollevarsi dal pantano tirandosi per i capelli" (Logik, trad. it, 253). Sappiamo che lo psicologo tedesco si è reso conto di questa contrad dizione, ma, in modo assai pragmatico, si è preoccupato unicamente di registrarla, dopo aver riconosciuto che questa sussiste. Il suo sforzo, allora, non consiste tanto nel superarla, quanto piuttosto nel tentativo di aggirar la, accordando tra loro i termini di una simile antitesi. Egli comprese che vi è una evidente contraddizione tra l'immediatezza dell'esperienza psico logica rispetto all'applicazione delle tecniche sperimentali, specialmente se suffragate da concetti matematici, sulla cui utilità non cessò mai di soffer marsi e che ritenne sempre indispensabili. Vale a dire che: 4.5. quando egli vuole parlare di scienza psicologica, introduce nella ricerca, quanto è più possibile, i medesimi principi e strumenti delle scien ze naturali, 4.6. se vuole invece centrare i suoi studi sull'Erlebnis afferma che l'introspezione è il metodo specifico per poter raggiungere tali obiettivi.
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Ora nella diatriba tra metodo razionale (naturalistico) e psicologistico (intuitivo), W. Wundt riteneva un oggetto di studio, da affrontarsi con il secondo metodo, i fatti psichici più semplici, poiché questi consentivano l'applicazione delle leggi della pura associazione e permettevano di ricondurli ad una dipendenza causale da fatti fisiologici. Anche in questo caso il processo non era però così semplice e si erano già avuti tentativi di una sua applicazione con discutibili risultati (si pensi al modello chimico pro posto ancora prima da J. S. Mili, che in A System of Logic, ratiocinative and inductive, 1843, lo riteneva il più adatto ed il più idoneo per potere spiegare l'emergere di nuove proprietà qualitative, partendo dalla combi nazione di elementi semplici). La corrente fenomenologista, infatti, pro blematizzando questo suggerimento, sosterrà in seguito che vi sono dei fatti psichici (pensiero riflesso, linguaggio, immaginazione produttiva, ...) dove una semplice associazione fisiologica non basta a chiarirceli comple tamente, e ci rimanda, in ultimo, all'attività ed all'intenzionalità dell'Io, o appercezione 48. Questo problema comporta che W. Wundt, nel corso della sua atti vità, sia costretto ad abbandonare progressivamente l'idea di una psicolo gia sistematica ed a proporre invece vari livelli gerarchizzati in cui si strut tura la psiche del soggetto: ognuno di questi sarà governato da leggi a lui specifiche, che non hanno alcun valore se applicate a livelli differenti da quello a loro pertinente. Il filtro della corrente fenomenologica, di cui Wundt è a conoscenza e che negli ultimi tempi si sforza di adattare ai propri lavori, farà sì che il concetto di rappresentazione venga assunto come quello che sembra più indicato per ritrovare un'unitarietà tra la sensazione e l'attività cognitiva. Anche questa posizione non è, tuttavia, immune dall'errore di compiere una generalizzazione eccessiva attribuita alle facoltà spettanti a questa fun zione mentale. Ciò è dovuto al fatto che anziché proporre una serie di rapporti analogici tra la ricerca psicologica e quella logica, in modo da farli ritrovare sempre implicati l'uno nell'altro, il riduzionismo esasperato della 48 Da questa psicologia dell'Atto percettivo si svilupperà la dottrina di F. Brentano (Psychologie von empirischem Standpunkt, Meiner, Leipzig, 1925) e, soprattutto, trarrà origine l'ampia teorizzazione di E. Husserl (in particolare Idee per una fenome nologia pura ed una filosofia fenomenologica, trad. Einaudi, Torino, 1965), alla quale si rifaranno copiosamente diversi psicologi (psichiatri e psicanalisti) contemporanei, come Hartman, Jaspers, Binswanger, e che attualmente rappresenta uno dei punti di riferi mento teorici della psicofisica (ad esempio il complesso problema della percezione categoriale).
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corrente positivista, che, alla fine del secolo, è ancora assai forte, tenderà pur sempre a stabilire un ordine gerarchico tra le due discipline con la primarietà, ovviamente, della Psicologia. In un senso più generale vediamo che si tende a mantenere l'idea di una costruzione unitaria dell'edificio scientifico, mentre invece l'evoluzione del sapere mostra sempre più chia ramente che le varie discipline (proprio come la Logica e la Psicologia), che, precedentemente, si erano attribuite il ruolo fondante del sapere, as sumono ruoli parziali e differenti, anche se fra loro del tutto correlati. Accettare questo punto non era però, all'epoca, così evidente e, so prattutto, di facile attuazione: infatti si trattava di una questione, allora molto discussa, che rifletteva una problematica filosofica assai profonda. Di fatto, verso la fine del secolo scorso, la grande maggioranza delle trat tazioni psicologiche si rifacevano alla Logica, basandosi sull'erronea pre tesa che il pensiero (ovvero il giudizio) fosse da considerarsi un atto psi chico, come la rappresentazione. Una simile indifferenziazione di ruoli era senza dubbio la posizione predominante nel periodo storico che stiamo considerando: le tesi di W. Wundt, anche grazie all'impostazione pragma tista da lui assegnata alla ricerca, avevano buon gioco e scarsa eco mostra vano le sporadiche osservazioni critiche, che si potevano muovere a questo pensiero. Eppure un tale modo di voler affrontare la scienza «conduceva neces sariamente all'idealismo nella teoria della conoscenza... [e], in modo spe cifico, particolarmente sorprendente è il confluire nell'idealismo della psicologia fisiologista, in netto contrasto con il punto di partenza realistico di questa impostazione» (G. Frege, Logik, trad. it., 253). Ovvero la cono scenza delle primitive strutture fisiologiche era ritenuta oggettivamente valida per l'impostazione di una ricerca, che si proponesse di studiare le attività mentali (il pensiero) attraverso la formulazione di ipotesi da verificarsi empiricamente. L'eccessiva fiducia accordata alla tecnica empirica dell'osservazione, produceva quegli stessi risultati che invece si volevano eliminare. L'illimitata estensione di tale progetto e, soprattutto, il fatto che le conoscenze delle basi biologiche e fisiologiche che presiedevano all'at tività dell'individuo non erano poi così evidenti (ed, in ogni caso, comple te), proiettavano, effettivamente, verso l'idealismo una ricerca strutturata in tal modo. Il risolvere un tale problema, ricorrendo al processo di rappresenta zione, inteso in modo eccessivamente generalizzato, voleva dire, in ultimo, rendere illusorio lo stesso metodo che invece, se limitato a studiare i fe nomeni psichici, collocandoli in uno spazio d'indagine più pertinente,
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sarebbe stato senza dubbio alquanto valido e produttivo. In ultimo il punto critico della ricerca psicologica era quello di porre lo studio del pensiero, non esaminandolo in ciò che rende possibile la sua genesi e formazione, bensì in senso completo, pretendendo di dare una spiegazione anche a tutte le sue produzioni. Ovvero si tendeva ad assumere che un processo così ricco di sfaccettature fosse riducibile a pochi elementi primi, ritenuti generativi di tutte le sue possibili esplicazioni a qualsiasi livello. « II pensiero [invece] è il processo più enigmatico di tutti. Ma appunto perché è di natura psichica non dobbiamo occuparcene in logica. E suf ficiente poter affermare un pensiero e riconoscerlo vero; come ciò avvenga è una questione a parte » (254). La prima tenderà a specializzarsi sempre di più, correndo il rischio di isolarsi rispetto alle altre conoscenze (e que sto sarebbe l'opposto del suo obiettivo di partenza), mentre la seconda sfocerà in produzioni sistematiche più teoriche che pratiche. Il richiamo alla riconsiderazione di problematiche logiche ci mostra che il tentativo di intendere la Psicologia quale scienza prima presenta delle contraddizioni e la pretesa wundtiana di produrre una scienza, attra verso l'integrazione delle concettualizzazioni matematiche con il controllo sperimentale, resti sempre un ideale e nulla più. W. Wundt pretendeva di costruire una scienza fortemente unitaria: di fatto, invece, abbiamo avuto una Psicologia degli elementi semplici (associazionismo semplice o Psico logia senza soggetto) e quella degli atti psichici (integrazione tra attività soggettiva e concettualizzazione psicologica). Malgrado questi problemi macroscopici ed altri, più settoriali e limi tati ma non meno importanti, con il 1879 la Psicologia si diffonde sia in Europa che negli Stati Uniti ed iniziano a sorgere i primi laboratori psi cologici. In Italia invece, anche se si riscontra, come ovunque, una note vole espansione ed una forte influenza della fisiologia e della psichiatria sulla nuova scienza, le problematiche contraddittorie, di cui abbiamo par lato, permangono estremamente rilevanti proprio per la grande importan za che ancora posseggono le eredità filosofiche del passato. Ciò è valido in ogni caso, sia che ci si rifaccia, o meno, agli insegnamenti di Wundt, del quale non si raccoglie la forte componente pragmatica che, in ultimo, è ciò che gli permette di continuare nelle sue costruzioni e produzioni, malgra do le contraddizioni insite nella sua opera. Forse è proprio questa resistenza a procedere in ogni caso nel proprio lavoro, il punto che più blocca la produzione scientifica nel nostro paese. a) Quando R. Ardigò (1828-1920) chiede, nel 1876, di poter costitui re a Mantova un laboratorio psicologico, insiste che sia denominato "ga-
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binetto filosofico". Egli ritiene che la sensazione sia un fatto primario, la cui certezza è immediata, che si presenta indistinto e solo in seguito a successive elaborazioni sia possibile distinguere il me dal non me (si veda a tale proposito le nostre osservazioni su P. Galluppi). Ora è ciò che è indistinto la realtà originaria o, come egli dice, psicofisica, dalla quale «si passa a molteplici distinti, ciascuno dei quali diviene, a sua volta, un in distinto da cui si svolgono nuovi distinti. Per questo ritmo, l'intero univer so è una formazione naturale» (A. Guzzo, 1936, III, 3, I, 375). Malgrado egli faccia ricorso al metodo sperimentale propugnato dagli studiosi posi tivisti, il suo lavoro, tuttavia, cercando di dare una valenza naturalistica a tutte le attività umane (includendo anche moralità, socialità, eticità), ri chiama più una Naturphilosophie che non una vera e propria ricerca scien tifica. Non solo, ma ulteriori elementi che fanno emergere la sua non ben definita distinzione tra Psicologia e Filosofia le osserviamo quando defini sce la dottrina positivista un riassunto ed un'integrazione del kantismo con l'aristotelismo ed estende questa affermazione persino alla dottrina morale (egli parlerà di morale positiva). Infine in una lunga corrispondenza con A. Gabelli, in cui si tratta della genesi dei principii etici, ritenuti generati dall'amor di sé che condu ce l'uomo razionale a dominare i suoi istinti per non provare dolore (si veda 3.5.), egli si dice d'accordo con queste posizioni ed afferma di voler inserire nella sua "psicologia nuova", una "teoria ideologica", che si occu pi di questi problemi. Poco conta, visti gli intenti perseguiti, che egli, anziché basarsi sull'interesse personale (come faceva A. Gabelli) parli, a proposito dei principi etici, di un bene che eccita nell'uomo affetti vivi ed energici e che poi li definisca (La psicologia come scienza positiva, 1870), un'impulsività psico-fisiologica dell'Idea. Se il lavoro di A. Gabelli preten de di presentare contemporaneamente una Logica ed un'Etica, neppure la sua "teoria ideologica", a sfondo gnoseologico, può dirsi scientifica a tutti gli effetti. Dunque, osserva giustamente G. Gentile compare in R. Ardigò un linguaggio che non è scientifico e neppure filosofico: « Materia, psiche, realtà psicologica sono formazioni psichiche per associazione di rappre sentazioni. In ogni caso, dunque, dove sono parole che possono accennare a concetti filosofici, i concetti sono sempre quelli del pensiero volgare o delle scienze positive, al di qua della scepsi da cui comincia la filosofia » (op. cit., 1921, II, IX, 30, 304). b) Non è un caso che F. Kiesow (1858-1940), il quale secondo S. Marhaba (Lineamenti della Psicologia Italiana: 1870-1945, 1981, I, 33) è il primo "pilastro", o "figura chiave" della cultura psicologica italiana, parli
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di Wundt come del "filosofo di Lipsia" e sottolinei che nella sua ricerca hanno pari valore sia gli aspetti filosofici che quelli psicologici. e) F. de Sarlo, allievo di F. Brentano, pure contribuendo alla diffu sione delle varie teorie psicologiche e fondando un laboratorio di Psico logia a Firenze, non esiterà a sostenere, ancora nel 1903, (I dati dell'espe rienza psichica] che la Psicologia dipende dalla Filosofia. In tutti i suoi lavori precedenti, ma anche in quelli successivi, egli si schierò contro un riduzionismo radicale, ribadendo la necessità di ricorrere a più metodi di indagine tra loro complementari. Per questo rifiutò lo studio di questa disciplina rifacendosi alla sua canonica suddivisione in cognitiva, dei sen timenti e della volontà, ma, sulle scorte di Brentano, che la intendeva deputata allo studio della rappresentazione, delle relazioni affettive e del giudizio, propose una sua interessante dicotomizzazione in morfologica e funzionale. La prima è ulteriormente ripartita in "subiettiva": stati di pia cere/dispiacere, atteggiamenti (positivi: attenzione, desiderio; negativi: disattenzione, avversione) ed "obiettiva": fenomeni primari (sensazioni), secondari (immaginazione, rappresentazione, ricordi, relazioni percettive, relazioni tra rappresentazioni). La seconda concerne lo studio delle attività conoscitive, contemplative e pratiche. Si è dunque ben al di là di un'im postazione rigidamente sperimentale: non solo ma la vastità degli argo menti trattati e, soprattutto, il tentativo di collegarli tra loro sfocia facil mente verso tematiche filosofiche. d) Anche M. Panizza, un fisiologo che rifiuta di accordare la primarietà dei processi psichici alle sensazioni, si riconduce alle tesi filosofiche del primato del "volontarismo" e G. Villa non ha dubbi nel proporre una psicologia che sia assolutamente spiritualista. e) Analogo discorso può farsi per F. Corico 49, che, come ci dice A. Valdarnini (Principio, intendimento e storia della classificazione delle uma ne conoscenze, secondo Francesco Bacone, 1880), proponeva una "Sofologia", ovvero "Scienza del Sapere", auspicava una distinzione tra scienze metafisiche e scienze fisiche, ma, in modo alquanto confuso, stabiliva come un "accordo" (che l'A. non specifica mai) tra la Logica e la Psico logia fosse il solo mezzo per poter avere una scienza realmente unitaria. 49 Francesco Corico (1823-1891). Inizia a studiare nel collegio dei Gesuiti a Salemi e continua nel seminario di Mazara del Vallo dove, successivamente, insegna dap prima Filosofia e Diritto Naturale ed in seguito Matematica. Nel 1860 diviene profes sore di filosofia morale e teoretica all'Università di Palermo. Sempre nel 1860 rappre sentò la Sicilia nel Parlamento Italiano. Tra i suoi scritti: filosofia Universale (2 volumi, 1860-1863), Sistema della filosofia universale o la filosofia dell'identità.
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f) Infine lo stesso P. Mantegazza (1831-1910), pure sostenendo (1873) che tutti i fatti psichici (suddivisi in: sensazioni, sentimenti e feno meni intellettuali) traggono origine dai sensi, afferma che è il criterio descrittivo, più che non l'introspezione, ciò che si pone alla base dello studio della psicologia, che acquista in tal modo una crescente compara zione con altre discipline e sfocia nell'antropologia (1876). La successiva filosofia neo-idealistica avrà pertanto buon gioco nei confronti di tutti questi studiosi. In base a ciò si capisce perché l'ultimo Autore da noi citato, in particolare, ma, come lui, tutti coloro che si richiameranno a simili tesi, sarà definito da G. Gentile, che di certo non condivideva queste posizioni, come « un positivista in tempo di positivisti ma con tutto un bagaglio addosso di vecchia metafisica, che gli impediva di entrare nel gran carrozzone, su cui questi signori montavano e viaggia vano beati » (G. Gentile, op. cit., II, II, Vili, 338). Certamente è l'attributo "sperimentale" il freno più rilevante all'in gresso della Psicologia nel mondo accademico che, più o meno esplicita mente, non è d'accordo ad accogliere una scienza che si fonda su premes se empiriche, non accetta alcuni principi ritenuti universali e si rifiuta di impostare la ricerca secondo precisi dettami prestabiliti. Occorre infatti aggiungere inoltre che la fiducia totale attribuita alla scienza, nella maggior parte dei casi si rivelava « un porre fede nelle sue possibilità taumaturgiche » (L. Geymonat, Storia del Pensiero filosofico e scientifico, 1972, V, 1, 11), rispetto alla conservazione della tradizione culturale, quasi che «il nome "scienza"... bastasse a garantire l'autentica scientificità» (ibidem, V, 1, 12). Soprattutto la Psicologia (ma anche la Pedagogia e la Sociologia) si trova in questa condizione e, di conseguenza, all'esigenza di analizzare in modo nuovo ciò che era stato trattato dai filosofi del passato faceva riscontro la mancanza di un adeguato spirito critico per poter realizzare tale obiettivo in modo valido. Questo fece sì che le osservazioni che le vennero rivolte, quale quella di eccessivo dog matismo e/o di nuova metafisica, potessero avere (come difatti ebbero per diversi anni) sufficiente seguito e che la sua condizione di scienza non ben definita perdurasse per un ancor lungo periodo. Tuttavia, malgrado i ritardi provocati da questo generale "conserva torismo" culturale, un decreto ministeriale emesso il 15/XII/1880, stabi lisce che all'Università di Roma, all'interno della Facoltà di Scienze fisiche, naturali e matematiche, venga annesso un Istituto di Antropologia e di Psicologia Sperimentale « che avrà il fine speciale di studiare i fenomeni psichici come fenomeni naturali, e perciò di ricercarli con metodi obiet-
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tivi, coll'esperimento dove questo può giungere, e di preparare la gioventù all'osservazione e allo sperimento stesso. Così contribuirà all'avanzamento della scienza psicologica... » (Rivista di Filosofia Scientifica, cit. da S. Marhaba, 1981, I, 46). Occorrerà tuttavia aspettare il 1905 perché a To rino, Napoli e Roma vengano istituite le prime tre cattedre di Psicologia.
5. RAPPORTO LOGICA-PSICOLOGIA NELLA CULTURA ITALIANA (1850-1900). La Psicologia, anche se con un certo ritardo in rapporto agli altri paesi, inizia a cercare una propria autonomia rispetto al sapere filosofico, seppure in modo non sempre chiaro e con precisi obiettivi. Si comincia, allo stesso tempo, ad assegnare una funzione particolare alla Logica, la quale diviene uno strumento, un mezzo (non più un'arte), che è il solo con il quale si può assolvere ad un compito (strutturazione dell'intelletto) al trimenti di soluzione non più possibile. Questa caratteristica, ovvero l'ope ratività della Logica, diverrà uno dei punti centrali dei successivi lavori e ci introdurrà in una prospettiva che si spingerà ben avanti nel tempo. Al momento attuale, tuttavia, questo fatto comporta una suo completo assor bimento nel sapere psicologico e tenderà sempre più ad essere una Denkpsichologie. Il suo fine, nella seconda metà del secolo XIX, non deve più essere rivolto a trattare dell'Essere, quanto piuttosto del pensiero, esaminato nelle diverse modalità con cui si presenta, ed a mostrare come queste possano essere impiegate. Deve possedere un fine pedagogico, teso a fare emergere e realizzare gli insegnamenti che la morale ci offre, per stabilire una relazione di reciproco rispetto verso gli altri. Si conosce infatti una cosa quando si è in grado di costruirla, ovvero di scinderla, scomporla e rimetterla insieme. In termini più generali questo fine pedagogico va ben al di là dell'interrogativo kantiano, per il quale occorreva vedere se la scienza fosse stata in grado di fuoriuscire da una struttura categoriale e se fosse stata nelle condizioni di agire servendosi di differenti punti di rife rimento. Per dare una risposta ad un tale interrogativo due erano i mezzi: o si faceva ricorso ad una dimostrazione, la quale tuttavia doveva mante nere come presupposti la validità delle categorie che si volevano eliminare, oppure ci si doveva riferire a concetti primari, differenti da quelli impie gati sino a quel momento. Quest'ultimo è il fine che abbiamo definito pedagogico (e potremmo dire, in alcuni casi, anche mistico), perseguito dalla nuova impostazione del pensiero scientifico: ritenere tutti i principii
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(logici, ma anche morali, etici, e via dicendo) non più quali elementi primi, dati ed indecomponibili, ma produzioni estremamente evolute ed alquan to complesse. Siamo di fronte ad un problema assai importante, che possiamo in tendere in un duplice senso: da un lato può essere, e noi crediamo che ciò sia molto probabile, il tentativo di restaurare una cultura tradizionale messa in scacco dalle nuove scienze, ma, per un altro verso, forse involon tariamente, si ribadiscono alcune regole fondamentali utili per la convi venza e la collaborazione ovvero, più globalmente, per il raggiungimento di un'unità fra differenti persone. In tal senso, rapportandosi al particolare momento storico che l'Italia stava attraversando, ciò assume una notevole importanza e si ammanta di una componente progressista. L'obiettivo che la Logica si propone diviene così operativo e legato alla situazione ed al contesto nel quale compare. Questa sua "temporalizzazione" fa in modo che la collocazione della stessa non sia più quella di scienza prima, dalla quale tutte le altre dipendono, o derivano, e che il principio di evidenza in sé e per se, sul quale dovrà basarsi, sarà da inten dersi alla stregua di un fatto semplice ed elementare, e non più di una verità, né astratta né generale, dalla quale è possibile ricavare tutte le altre. Al contrario, è lo strumento mentale in continua evoluzione, che ci con sente la formazione delle nostre conoscenze ed indirizza le nostre azioni: se non la si considera secondo quest'ottica, la si dovrà escludere dall'uni verso scientifico e collocarla in quello filosofico e speculativo. Infine, in diversi autori assistiamo alla presentazione del linguaggio come strumento per eccellenza per denotare il rapporto tra Logica e Psi cologia. Questo fatto comporta anche una chiara scissione tra Logica e Retorica: la prima sarà ora collegata al processo di dimostrazione e farà ricorso a particolari tecniche espositive; la seconda tenderà a fare risaltare la componente persuasiva del discorso ed illustrerà le tecniche per ottene re un tale scopo che dovranno essere specifiche di qualsiasi linguaggio non dimostrativo. Se alcuni filosofi, già nella prima metà del secolo, avevano accennato a questa possibilità, ora il loro numero aumenta notevolmente e gli scritti da loro prodotti sono più ricchi di argomentazioni (si veda nota 55). L'accentuarsi dell'attenzione che i filosofi metteranno in atto ri spetto al carattere linguistico delle leggi logiche, farà sì che si porrà in discussione la definizione di "leggi del pensiero", che sino a quel momen to quasi tutti attribuivano a queste. Un simile fatto per un lato rappresenta un'apertura, poiché avviene che la « logica formale non si rivolge all'effet tualità od alla normatività dei processi psichici, non concerne le "leggi del
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pensiero", bensì piuttosto le "leggi del pensabile" » (F. Barone, Logica formale e Logica trascendentale, II, 3, 79). Per un altro verso, e questo sarà il fatto più frequentemente riscontrabile, ciò comporterà una più rilevante analisi psicologica della Logica, in quanto le proposizioni verranno ritenu te un confronto tra differenti informazioni. Da un altro punto di vista, invece, la componente psicologica, inserita nel contesto retorico, avrà il merito di mettere in evidenza quali sono le forme espressive, ma anche i contenuti, che meglio si adeguano al fine di convincere l'ascoltatore, di fare sì che questi assuma e condivida ciò che viene enunciato da colui che presenta la propria argomentazione. Tale studio tenderà successivamente ad analizzare quali sono i processi del pensiero che generano le arti espo sitive, in grado di assolvere a tale scopo. Logica e Psicologia si pongono a rapporto in modo molto più diffe renziato e complesso di quanto era avvenuto in precedenza. La presenta zione, che noi proponiamo, riflette per sommi capi una situazione cultu rale assai più complessa e ricca di sfaccettature, di difficile ripartizione temporale e precisa catalogazione e suddivisione argomentativa. Cerchere mo di ovviare all'inconveniente suddividendo questo argomento in tre settori, secondo la seguente generale ripartizione concettuale. 5.1. Primarietà della Psicologia rispetto alla Logica e ruolo essenzial mente operativo di quest'ultima. Tentativo di mostrare concretamente, adducendo prove e fornendo esempi, come questo fatto abbia luogo. 5.2. Mantenimento della scissione tra Psicologia e Logica a livello concettuale, ma costante confronto a livello della loro genesi e formazio ne, che è ritenuta riconducibile ad elementi biologici od in ogni caso organici. Questo compito non è però argomentato empiricamente, ma as sunto come dato teorico inconfutabile. In altri termini: la differenza ri spetto a 5.1. consiste nel fatto che gli Autori di questo primo gruppo tentavano di ribadire una primarietà della Psicologia sulla Logica, per il fatto che questa nell'evoluzione della conoscenza è temporalmente prece dente, mentre quelli del secondo gruppo stabiliscono che è il suo studio che deve precedere quello della Logica. Nel primo caso ci si pone (od almeno si tenta) in una posizione "scientifica", mentre nel secondo ci troviamo collocati in un terreno unicamente filosofico. Siccome si tratta del punto che senza dubbio ha prodotto il più ricco numero di opere letterarie e scientifiche, abbiamo pensato di suddividerlo ulteriormente, secondo il seguente schema:
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5.2.1. Acquisizione di tecniche per lo sviluppo del pensiero, la cui genesi è di tipo sensoriale; 5.2.2. Prime forme di associazionismo tra Logica e Psicologia; 5.2.3. Costruzione ed operatività delle varie forme di conoscenza (Logica inventiva); 5.2.4. Logica come strumento per "ben vedere" quello che il sogget to percepisce della realtà; 5.2.5. Psicologia come generatrice della Logica (approcci empirici); 5.2.6. Psicologia come generatrice della Logica (tentativi di giustifi cazione filosofica). 5.3. Rifiuto di comparazione, a qualsiasi livello, della Logica con la Psicologia. Il rischio di quest'ultima situazione è quello di ricadere nella metafisica o, più esplicitamente, nella dogmatizzazione delle problemati che. Vedremo nella conclusione del capitolo che questo punto concernerà in misura, più o meno varia, ma in ogni caso sempre presente, anche tutte le altre posizioni teoriche.
5.1. Primarietà della Psicologia rispetto alla Logica. Già nel 1850, B. D'Acquisto in Sistema delle scienze universali ripren de e corrobora le tesi da lui già avanzate in 1835 (op. cit.), ribadendo che ciò da cui deve prendere l'avvio ogni scienza è la sensazione, la quale è una modificazione del reale, atta a trasformare l'intelletto ed a svilupparlo. Il vedere, il sentire, il toccare, sono le prime azioni che ogni soggetto compie e tutto ciò che farà (e penserà) successivamente saranno elementi sempre più complessi, che tuttavia saranno riconducibili a questi fatti primari. Infatti l'Autore non ha dubbi e propone i seguenti passaggi: a) la successione e la ripetizione delle sensazioni genera il giudizio, che è la distinzione del sé dagli oggetti, b) Dal giudizio si passa alla riflessione e, da questa, alla cognizione, e) Quando quest'ultima giunge ad intuire "i concetti infiniti della sapienza" (31) si ha la Logica, che è data dalla riu nione dell'elemento ontologico con quello psicologico. L'Autore si propone di semplificare questa evoluzione globale del soggetto, con l'intento di rendere più chiara la comprensione e più sem plice l'esposizione. Accade invece che, forse in maniera involontaria, pro ponga una serie di problemi. A causa della rigida partizione che egli pone tra la scienza e la filosofia, due universi che nulla hanno in comune, la Logica, nel senso classico del termine, che secondo l'A. è la filosofia prima
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e più pura, non ha niente a che spartire con la scienza sia questa pratica che teorica, malgrado che le attività che la producono siano scientifica mente esaminabili. Al contrario possiamo e dobbiamo ritenere scientifico lo studio di come organizziamo e strutturiamo le cognizioni che ricaviamo dai diretti contatti con l'esperienza concreta. Si verifica pertanto una posizione contraddittoria, che esprime in modo evidente la confusione prodotta dallo specifico momento culturale in questione. Di fatto la Logica, come tutte le scienze, deriva da elementi psicologici ma, una volta formatasi, assume un ruolo che esclude i presup posti che l'hanno generata. Non concerne principi delle scienze per i quali è possibile generare ed unire tra loro successioni di combinazioni struttu rate secondo differenti paradigmi, poiché questo è compito della metafi sica, che antecede ogni conoscenza. Non tratta neppure dell'essenza e della natura dei problemi in discussione, poiché quest'altro è un argomen to spettante all'ontologia. La Logica, allora, è un prodotto, è una costru zione, che in quanto tale svolge una funzione operativa, concernente tut tavia temi generali, vasti, volutamente non precisati, né specificati. Non si tratta, in ogni caso, di un risultato di astrazione, per il fatto che quest'ul tima è sempre un prodotto dell'induzione, che deriva da elementi locali. L'Autore, anche in questo caso, non approfondisce il problema ed anzi presenta una posizione ancora una volta contraddittoria, costituita da un'affermazione e dalla sua smentita. Ovvero: l'astrazione è certamente collegata al principio d'induzione, ma quello che colpisce è il fatto che egli mini alla base gli stessi presupposti del procedimento induttivo. Quando specifiche posizioni rappresentano le tendenze di un'epoca, si assiste ad una loro progressiva espansione, sino a divenire un indice comune tra gli studiosi. Ora, che queste siano tesi che vadano rinforzan dosi nel periodo in questione lo testimonia il fatto che compaiono, tra i suoi sostenitori, anche studiosi che, non foss'altro per la tradizione cultu rale nella quale si formano, dovrebbero invece porsi in un'ottica del tutto contraria. Un caso esemplificativo è certamente quello di G. Romano (Elementi di filosofia del Padre Giuseppe Romano della Compagnia di Gesù, 1853) 50. Anche se egli tenta di porre uno iato tra Logica e Psicologia, tuttavia non 50 Questo A. attivo nella seconda metà del secolo scorso, come anche D'Acquisto, è classificato da V. di Giovanni (op. cit., 1854) come riconducibile ad una matrice di tipo "vagamente" leibniziano, anche se questa definizione non è corredata da sufficienti argomentazioni.
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esita a sostenere come la prima sia dipendente dalla seconda. Ogni genere di conoscenza, infatti, nasce dalla Psicologia, la quale deve analizzare, in primo luogo, le sensazioni e le funzioni degli organi di senso (in partico lare la vista, di cui si prendono in considerazione, in maniera puntuale, le illusioni ottiche) e, successivamente, la memoria e la fantasia. Non si tratta della presentazione delle solite tesi riconducibili ad una vecchia filosofia della natura, ma emerge un genuino interesse per le sperimentazioni fatte sull'apparato sensitivo del soggetto che, da questo punto di vista, viene esaminato in modo compiuto e particolareggiato. Solo in seguito si può passare allo studio dell'intelletto e della ragione, che sarà in grado di trattare di proprietà concrete ed astratte (proprietà prive di oggetto) e generali (attribuibili a diversi insiemi di cose o persone): le proprietà concrete riguardano la particolarità, quelle astratte sono indice di assolutezza, quelle generali di relatività. Solo in seguito a questa decan tazione delle forme di conoscenza si parlerà di Logica, la quale è uno stru mento universale, utile a tutte le scienze ed, in particolare, alla metafisica, a cui, in ultimo è legata, per il fatto che è deputata a studiare il Vero. Il suo scopo specifico è quello di condurre alla veridicità delle conoscenze (e darne dimostrazione), senza però trattare della Verità in sé delle stesse (compito questo della metafisica). Il suo obiettivo, infine, sarà quello di trovare le proprietà di una cosa e distinguerle in costanti, ovvero caratteri stiche, che sia « sempre impossibile escluderle o negarle [come] l'egua glianza dei raggi nel circolo » (250), e simboliche, vale a dire che possano escludersi senza distruggere la cosa od il concetto cui si riferiscono. È però trattando del concetto di definizione che la sua posizione, riguardo il ruolo della Logica e della Psicologia, riemerge in modo eviden te. Nelle proposizioni scientifiche, afferma l'A., è importante fare un cor retto uso delle definizioni, le quali possono essere "di parole" o "di cose", ma devono sempre coincidere tra loro. Se, ad esempio, noi affermiamo che la perpendicolare è « una linea che cadendo sopra di un'altra, non inclina più dall'uno o dall'altro lato » (264), dobbiamo anche essere in grado di rappresentarci visivamente quello che stiamo asserendo. Se non si obbedisce a queste regole, la definizione è solo "di parole" ed è da ritenersi arbitraria. Ci si sta indirizzando verso una posizione che ritiene che l'immagine mentale abbia, se non la funzione di produrre l'enunciato verbale, almeno quello di essere la condizione che rende possibile la validità (che noi intendiamo come sinonimo di confrontabilità e comunicabilità) di que st'ultimo. Se volessimo usare una terminologia più attuale, potremmo
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sostenere che qualsiasi forma di conoscenza deve possedere una sua rap presentatività, nel senso che tutto ciò di cui il soggetto discute e tratta, debba potere essere tradotto in un'immagine che ce lo renda assimilabile. Molto probabilmente il sensismo dell'A. è motivato in maniera eccessiva mente radicale, forse per preservare, di converso, l'integrità della Metafi sica. Sarebbe inutile negare un intento "conservatore" nell'opera in que stione, tanto che, probabilmente, è proprio quest'ultimo l'obiettivo prin cipale. Quello che però ci interessa è che per ottenere questo risultato egli si vede obbligato a mettere in discussione alcuni punti (dunque anche gli stessi principi logici) che sino ad allora si ritenevano intangibili. La conferma a questa tesi ci è data dallo stesso A., quando specifica ulteriormente il concetto di definizione, ripartendola in "nominale" (sem plice corrispondenza tra idee e nomi) e "genetica" (conferma, o smentita che sussista la possibilità di questa corrispondenza). Ancora più impor tante è la distinzione fatta tra "definito" e "definizione", elementi tra loro convertibili, ma solamente alla condizione che la loro "estensione" sia eguale, pena il rischio di produrre soltanto confusività. Ad esempio un "definito" quale « il triangolo è una figura a tre lati eguali » (267), non può essere convertibile con la definizione di triangolo, in quanto è diffe rente la loro "estensione" (sarebbero infatti esclusi tutti i triangoli non equilateri). Per ovviare a questi possibili errori non bisogna procedere nello studio partendo da premesse ipotetiche, ma, invece, soltanto da osservazioni sperimentali, unico elemento in grado di dotare di attendibi lità i nostri lavori. È però probabilmente con i lavori di F. Bonatelli e C. Cantoni 51 , 51 Sia Francesco Bonatelli (1830-1911) che Carlo Cantoni (1840-1906) sono col locati da G. Gentile (op. cit.) tra i "platonizzanti". Di fatto l'osservazione è del tutto giustificata in quanto risulta possibile ritrovare componenti realmente platoniche nei loro lavori: ad esempio C. Cantoni (op. cit., 1869) affermerà che il numero è un'idea talmente precisa e determinata che non può essere considerata una categoria, che si tratta di un concetto indispensabile per la formazione e la costruzione di qualsiasi conoscenza, che si può parlare con ragione di una matematica completamente staccata dalla realtà empirica. Tuttavia noi riteniamo che il pensiero dei due autori presenti sfaccettature altrettanto importanti che ci aiutano a capire la loro posizione riguardo il rapporto tra Logica e Psicologia. Ad esempio S. Mahraba (op. cit.) definisce il primo uno spiritualista-naturalista ed il secondo più scentista, in quanto più legato a Wundt. Da parte nostra tendiamo ad accettare questa seconda posizione, ma riteniamo che anche in F. Bonatelli sia rinvenibile una componente scientista almeno analoga a quella di C. Cantoni. Infine sia M. Quaranta che R. Tisato (in L. Geymonat, 1972, op. cit. V, 7 e VI, 19), analizzando con un differente obiettivo i lavori di questi due autori, li stimeranno indirizzati ad un fine pedagogistico.
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distribuiti lungo tutta la seconda metà del secolo XIX (in particolare quelli del primo autore) che questa corrente trova la sua più completa espansio ne e diffusione. F. Bonatelli, un medico che lavora a Milano, « seguace del Lotze, che in uno scritto del 1858, intitolato L'esperimento in Psicologia, identifica l'osservazione psicologica empirica con l'Auto-osservazione » (S. Marhaba, 1981,1, 27, e si veda anche A. Guzzo, 1936, III, 3,1, 1936), si propone di integrare la ricerca scientifica con tematiche spiritualiste, che nell'ulti mo periodo della sua attività si fondono con un intento pedagogico (M. Quaranta, La Filosofia italiana fino alla seconda guerra mondiale, in L. Geymonat, 1972, V, 7, 364-369). La sua Psicologia è in stretto rapporto con la fisiologia, la quale, come tutte le altre scienze, deve basarsi esclusivamente sul principio meccanicistico in base al quale si verifica tra i fatti una connessione coCarlo Cantoni proviene da una benestante famiglia di agricoltori del pavese e compie i suoi primi studi a Vogherà, a Mortara ed a Casale. All'Università di Torino frequenta per due anni la facoltà di Giurisprudenza, ma poi si trasferisce a Filosofia. Si perfeziona in questa disciplina dapprima a Pisa ed a Firenze per poi trasferirsi a Berlino ed a Gottinga. Quando ritorna in patria insegna in un liceo di Torino e poi di Milano: sempre in questa città diviene docente all'Accademia scientifico-letteraria. Dal 1878 inizia ad insegnare filosofia teoretica all'Università di Pavia, dove diviene suc cessivamente Preside della Facoltà, poi Rettore dell'Ateneo ed, infine, socio dell'Ac cademia dei Lincei. Tra i suoi lavori, oltre a quelli citati nel testo, occorre aggiun gere Studi critici e comparativi in Gianbattista Vico (1867), La questione universitaria (1874), Emanuele Kant (3 volumi, 1879-1884). In particolare C. Cantoni, insieme a S. de Dominicis, propugnerà una metodologia nuova e certamente progressista, concer nente le forme di insegnamento superiore. Ad esempio egli sosterrà che l'aspetto otti male delle scuole superiori sia dato dall'armonizzazione tra ricerca delle perfezione nelle applicazioni pratiche e costante ampiamento della cultura scientifica. In questo senso possiamo intenderlo come un propugnatore di una pedagogia costruttivista, sulla falsariga di analoghi contributi che in quel periodo erano assai discussi in ambito europeo. Francesco Bonatelli, zio di Bernardino Varisco, compie i suoi studi a Brescia, ma deve ben presto emigrare in Svizzera (1848) a causa delle sue idee patriottiche. Nel 1849 ritorna in Italia ed è abilitato ad insegnare Matematica e Fisica nei licei. Nel 1855 è invitato a Vienna a frequentare corsi di perfezionamento. Nel 1861 ottiene la cat tedra di Filosofia teoretica all'Università di Genova, ma opta per l'Università di Bo logna dove può inserirsi solo come incaricato di Antropologia e di Storia della Filo sofia. Dal 1879 in avanti ebbe anche l'incarico di Filosofìa della Storia. Fu eletto membro dell'Accademia dei Lincei e della Società Reale delle Scienze di Torino: de dicò gli ultimi anni della sua vita alla traduzione delle opere di R. H. Lotze. Tra i suoi lavori ricordiamo anche: II pensiero e la lingua. L'esistenza dell'anima (1862), Pensiero e conoscenza (1864), La coscienza ed il meccanismo inferiore (1872). Inoltre si devono aggiungere una serie di recensioni ai lavori di E. Renan, A. Trendelemburg, G. T. Fechner.
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stante e regolare. In virtù della sua posizione filosofica egli non poteva però fermarsi ad un punto di vista unicamente collegato alla corrente organicista e, infatti, già in un opuscoletto di quaranta pagine (Delle atti nenze della Logica con la Psicologia, 1861), si era posto il problema relativo ai confini tra la Logica e la Psicologia. Se la prima è una scienza deonto logica od estetica, che tende a conoscere « ciò che deve essere» (10), la seconda è prettamente empirica, e, proprio per questo, in ogni caso pri maria. Entrambe sono deputate a studiare il pensiero, ma con diverse modalità di cui l'una (quella logica) dipende interamente dall'altra (psico logica). La Logica, in quanto « scienza della forma del pensiero in ordine al conoscere » (14), tende ad oggettivizzare il soggettivo, vale a dire l'at tività del pensiero o, come dirà in un suo scritto successivo, i principi supremi del conoscere: in questo senso avrà valore assoluto (complesso sistematico di verità) e relativo (indicazione delle norme cui deve sottopor si il pensiero per raggiungere un proprio fine) 52 . La Psicologia è invece deputata a spiegare la genesi di queste stesse attività, ossia quella del concetto e dei suoi elementi costituenti: ed è questo punto che bisogna indagare in primo luogo, per comprendere i fondamentali processi psichi ci del pensiero. Seppure espressa in maniera ingenua ed insufficientemente argomen tata, osserviamo che prende l'avvio una Psicologia che possiamo definire "genetica". Fondamentalmente, infatti, il compito che tale disciplina tende ad assumere è quello di arrivare a dimostrare che le strutture dell'intelli genza più evolute e le leggi, o norme ad esse inerenti, erano il livello finale di un processo evolutivo che partiva dalle semplici reazioni sensoriali, e proseguiva arricchendosi grazie alla percezione, le configurazioni percet tive e le rappresentazioni. Nel caso specifico, l'Autore dedicherà una notevole parte dei suoi lavori successivi allo studio della rappresentazione, da lui ritenuta il processo psichico per eccellenza, e sarà partendo da questa posizione che cercherà di ritrovare il possibile collegamento tra Psicologia e Logica. In altri termini: la rappresentazione non è un proces so psichico primario, è costruita gradualmente, ma tuttavia è il terreno ottimale per concentrarvi gli studi psicologici, in quanto rappresenta una dimensione del tutto specifica, che trova una sua autonomia rispetto alla biologia (da cui pure è generata) e dalla filosofia (a cui, inevitabilmente, si è condotti in una fase successiva). 52 Questi stessi temi saranno trattati anche in: F. Bonatelli, Elementi di Psicologia e di Logica ad uso dei Licei, Tipografia F. Sacchetti, Padova, 1892.
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In tal senso rinforzerà questa sua posizione anche nell'articolo L'im pensabile. Nota Logico Psicologica, 1885) nel quale si opporrà ad Helmholtz ed a Kroman, sostenendo che non bisogna distinguere tra pensiero puro (Logica) ed intuizione (Psicologia), ma che il pensiero può mostrarsi anche come una cosa accaduta per via puramente astratta: «Un triangolo si può facilmente immaginare, ma che la sua superficie eguagli in grandez za quella di un'altra figura, questo si pensa. Qui non basta figurarsi le due figure, bisogna di più sapere ed affermare il rapporto che passa tra le due superfici» (4). Questo breve lavoro (si tratta di un articolo di otto pagine) tende a mostrare che vi è una differenza tra l'impossibilità di potere pen sare in un senso assai generale e l'impossibilità logica. Essa (come d'altro canto la possibilità logica) è una funzione cognitiva che esprime l'impos sibilità (la possibilità) di pensare ad un oggetto (o ad una proposizione), qualora questo sia allo stesso tempo sia vero che falso (contraddittorio). Ovvero se si afferma che "tutti gli uomini sono animali" è impossibile sostenere che almeno un uomo non lo sia, così come la proposizione "almeno un vegetale è velenoso" non ammette che si sostenga che nessuno 10 sia (contraddizione). Tuttavia per il solo fatto che noi possiamo espri mere queste due proposizioni l'una di seguito all'altra, dobbiamo riconoscerle che nulla ci impedisce di enunciarle. Allora l'impossibilità logica potrebbe apparire quasi una limitazione che il soggetto si impone, tale per cui alcune cose possono essere sostenute ed altre no. Occorre però valu tare questa situazione in un senso positivo, costruttivo: ed allora lo stabi lire delle norme di pensiero, tali per cui alcuni di questi sono validi ed altri no, lungi dall'essere un freno all'espansione delle conoscenze del soggetto, sono invece il mezzo per eccellenza che consente di renderle in grado di essere comunicate e comprese da tutti. In altri termini: ciò non vuole significare che il soggetto, in alcuni casi non sia da ritenersi egualmente pensante, poiché il pensiero, in quanto principio psicologico, comprende anche altri modi di essere e di realizzarsi. La stessa unità e conseguenza, che sono leggi dell'oggetto, per cui senza di esse non possono esistere né 11 Reale né l'Ideale, non implicano che il pensare in sé e per se, in quanto atto psichico, non si curi di siffatte limitazioni. Il rischio di collocarsi in una posizione idealistica è dunque presente, in quanto tutte le differenti fasi della conoscenza sono rimandate ad attività del Soggetto. Il tentativo di ricorrere a categorie, ad invarianti, quali Vunità e la conseguenza, che superano la diade soggetto/oggetto, rappresentano forse un tentativo di abbracciare un'ottica trascendentale, e questa osserva zione potrebbe essere suffragata dal fatto che lo studio dell'A. sia princi-
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palmente volto all'analisi della rappresentazione e dei processi cognitivi ad essa collegati. Tuttavia il problema è affrontato in modo poco convincente. Molto probabilmente egli avrebbe ottenuto un risultato più facilmente difendibile dalle tematiche idealistiche, qualora avesse cercato di ritrovare certamente categorie invarianti ma con carattere funzionale, operativo, e dunque normativo, del rapporto soggetto/oggetto. Invece sembra che que ste categorie in luogo di essersi formate e solo successivamente essere rite nute invarianti, siano invece già date aprioristicamente. In ogni caso la posizione di Bonatelli è interessante poiché C. Cantoni (Studi sull'intelligenza umana, 1869) 53 , collega del Bonatelli, riprenderà le stesse posizioni, riproponendole in parecchi lavori. Fisiologo lui pure, al lievo di G. M. Bertini a Torino, premiato con un dottorato al merito a Kònigsberg per i suoi studi su Kant (tra il 1879 ed il 1884 compone un'opera di tre volumi sul filosofo tedesco), ed infine uditore di R. H. Lotze a Gottinga, l'Autore si propone di mostrare come, prendendo le mosse da uno studio dapprima organico e poi fisiologico del corpo umano, si giunga inevitabilmente allo studio della cognitività e da questo a quello della mente. Muovendo critiche ad ogni forma di idealismo egli si sforza di inda gare la natura logica di alcuni concetti fondamentali, quali quelli di più/ meno, maggiore/minore, aumento/diminuzione, per cercare di ricondurre la loro genesi a livello psicologico. Ma se per gli ultimi due egli non ha dubbi che questo si possa rintracciare a livello sperimentale, il primo (più/ meno) non è neppure un risultato ricavato da un'operazione di astrazione, ma è già un prodotto operativo, funzionalmente invariante, attivo e pre sente fino dalle prime costruzioni dei concetti quantitativi, le cui specie primarie sono il numero e l'estensione. In particolare il numero è un concetto talmente preciso e determinato, al punto da non potere essere considerato una categoria. Il numero, pertanto, sembra la sola Idea che non derivi dall'esperienza: tuttavia, ha sempre bisogno, per potersi attua lizzare, di quest'ultima. L'indecisione con cui l'A. tenta di stabilire l'Idea di numero, per cui se da un lato dice che questo sembra conservare ancora un carattere ide ale, tale per cui è possibile costruire con esso una scienza che sia indipen dente dall'esperienza, ma, da un altro, sostiene che è l'elemento indispen53 II titolo completo dell'opera è Studi sull'intelligenza umana - I: Differenza tra l'attività percettiva dell'uomo e quella del bruto - II: Delle categorie supreme e principii dell'intelletto, in « Rendiconti dell'Istituto lombardo », 1869-1870, Milano.
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sabile per costruire qualsiasi categoria cognitiva (la quale è invece di na tura empirica), lo conduce a posizioni contraddittorie. Egli ribadisce di rifarsi a Kant sostenendo che la scienza è essenzial mente sperimentale, che non progredisce attraverso il solo sviluppo delle "forme" conoscitive, ma in virtù di una continua messa a rapporto di queste con la realtà empirica. Tuttavia, rispetto a Kant, ritiene che sia indispensabile attuare anche un'analisi psicologica degli strumenti cogni tivi di cui il soggetto dispone: non si dovrà più parlare solamente di un a priori logico, ma anche, e soprattutto, di un a priori psicologico, che ci consenta di individuare le matrici delle categorie cognitive. Se a ciò ag giungiamo che l'Autore sostiene che la Logica neppure è sufficiente a fondare la legge morale, ma che per far questo occorre anche una facoltà primaria ("sentimento" come si diceva all'epoca) identificantesi poi con il riconoscimento di un ente trascendente, si capisce come abbia buon gioco G. Gentile quando lo critica aspramente affermando che « appartiene anche lui a quella schiera di platonizzanti, che, pur partecipando al moto più recente degli studi filosofici europei, non riuscirono a raggiungere il punto di vista kantiano, e si sforzarono di mantenere i diritti dello spirito senza oltrepassare i presupposti del naturalismo » (G. Gentile, op. cit., II, I, V, 166). D'altro canto, per C. Cantoni è proprio agendo in tal modo che si può effettuare un lavoro che possa dirsi veramente scientifico ed affron tare temi, quale la formazione di concetti ritenuti assolutamente non analizzabili (come il numero). Che si tratti di una sua convinzione radicata è testimoniato dal fatto che ancora nel 1895, riprenderà gli stessi ragionamenti. Infatti in Corso elementare di filosofia: Psicologia e Logica (1895), si ribadisce la solita dicotomia tra analitico (scienze che contengono le definizioni di concetto, giudizio, raziocino) ed applicato metodologico, ossia ciò che « deve assu mere un maggior numero di elementi materiali che non la logica analiti ca » (122). Quest'ultima parte della Logica, di chiara impronta psicologi stica, racchiude i metodi per arrivare alla verità al di là dell'evidenza: per questo il suo obiettivo è la definizione della nozione di conoscenza e poi di quella di verità, degli stati della mente rispetto al Vero, del metodo razionale in rapporto a quello sperimentale e del metodo dimostrativo costruttivo (ermeneutica e didattica). Anche se affermerà che i fondamen tali principi logici devono essere direttamente derivati dagli stessi principi superiori della ragione, ciò non gli impedirà di sostenere che la Logica, come disciplina, dipende dall'esperienza per due ragioni: a) si pone l'obiettivo di regolare dei fatti « operazioni intellettuali
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rivolte all'acquisto delle cognizioni, e deve quindi trarre dalla Psicologia sperimentale la conoscenza di queste operazioni» (120); b) organizza, operativamente le differenti forme della conoscenza « perché la riflessione sulle scienze, che sono i prodotti più alti di quelle operazioni intellettuali, influisce sui progressi della Logica» (120). La Logica quindi, pur dipendendo dall'esperienza, è deputata a regolarla: di conseguenza in quanto scienza dipende dalla Psicologia sperimentale 54 , così come i principii logici essenziali dipendono dall'esperienza. Ma ritornando a F. Bonatelli (op. cit. 1861 e 1892), altrettanto inte ressante è il fatto che, stabilita questa derivazione della Logica dalla Psi cologia, egli indichi nel linguaggio, al quale viene assegnato l'attributo naturale, il punto comune tra processi psichici del pensiero e loro organiz zazione. Non è questo il primo caso in cui il linguaggio è assunto quale strumento per eccellenza per indagare e la Psicologia del soggetto e la Scienza Logica 55 , ma mai in modo così risoluto si era presentato un tale 54 II trattato è composto di tre volumi (I - Psicologia percettiva, Logica; II Psicologia morale, Estetica; III - Storia della filosofia). 53 Posizioni analoghe anche se non così chiare le troviamo in M. Semmola (op. cit.) il quale inizia la sua trattazione sulla Logica sintetica (il cui scopo è quello di insegnare agli altri le verità già scoperte) con alcune considerazioni sul linguaggio, quale strumento di comunicazione da cui occorre sempre prendere l'avvio per lo studio della cognitività del soggetto. Oppure in F. M. Franceschinis (Lezioni di Logica e Metafisica, 1840), dove però il linguaggio è inteso ancora come un mezzo con il quale la Logica ci mostra quello che l'uomo pensa e come ragiona (vedi anche cap. I, 2.3.1); oppure nello stesso V. Garelli (op. cit., 1849) che ritiene che la logica sia solo un mezzo col quale si possa esplicare in modo corretto la prima vera attività umana che è il linguaggio (in questo caso l'Autore si colloca in uno spazio più prossimo alla grammatica ed alla retorica). Oppure in G. B. Peyretti, (Elementi ài filosofia ad uso delle scuole secondarie, 1856) per il quale la Logica serve a mostrare come l'espressione del ragionamento (dunque il linguaggio diviene l'oggetto principale) debba essere regolata e guidata. Oppure in S. Centofanti (Sulla verità della cognizione umana, citato in V. Di Giovanni, Sullo stato attuale e su' bisogni degli Studi filosofici in Sicilia, 1854) per il quale è l'investigazione sulla parola ciò che chiarirà il rapporto idea/cosa, soggetto/oggetto. Al contrario, col passare del tempo, la posizione di F. Bonatelli sarà ripresa e meglio specificata, adducendo ulteriori contributi e proponendo nuovi spunti di ricerca. Infine F. Tocco (La riforma della logica secondo il professar Carlo Peyretti, « Giornale Napo letano di Filosofia», 1875, II, 107-113), giungerà a ritenere come concetto fondamen tale l'inseparabilità della lingua dal pensiero, in quanto entrambi gli elementi sono naturali. In tal senso la unitas naturae non potrà mai essere prevaricata dalla diversitas oppositionis. In questo senso ogni opposizione, dunque anche quella uomo/animale, logica naturale/logica artificiale deve essere superata. Ed il linguaggio, per l'A., sarà il solo mezzo che ci consentirà di raggiungere tale livello. Ancora più avanti nel tempo questa tendenza troverà ulteriori approfondimenti sino a ritenere la Logica come una filosofia della grammatica (Cfr. E. Donatelli, Appunti di logica e grammatica, 1897).
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problema. Questo sta ora a significare l'individuazione di un campo co mune sul quale si possano rapportare queste due attività del soggetto; ma ancor più rilevante è che il linguaggio, così inteso, sia definito come "na turale", in quanto molto più legato al soggetto, colto nella sua concretezza ed immediatezza. In questo caso si ripropongono le influenze psicologisti che derivate dalle teorie di W. Hamilton (proposizioni come scambio di informazioni), rispetto alle quali si accentua la necessità di uno studio che parta da dati empiricamente controllabili e manipolabili. Sulla falsariga di F. Bonatelli e di C. Cantoni possiamo ritrovare di versi altri autori. Segnaliamo due casi limite: il primo (a) teso ad estremiz zare le posizioni dei due studiosi, ottenendo tuttavia risultati poco atten dibili; l'altro (b) che cerca invece di approfondire più adeguatamente il rapporto della Logica con la Psicologia. (a) Nello stesso anno della prima pubblicazione di F. Bonatelli (1861), ad esempio, pure C. Mamini 56 (La logica elementare ad uso dei suoi allievi, 1861) sostiene che la Logica è scienza deontologica, ossia « studio delle leggi che governano l'umano, discorso, preso quest'ultimo nel suo aspetto bilaterale di pensiero e di parola » (p. 5), ma che è solamente la percezione e la riflessione ciò che ci assicura di collegare le strutture mentali con la verità. L'A. in questione cita spesso i lavori del Soave, cui dice di rifarsi. Ora se è indubbio che egli possa essergli legato, a causa dell'impostazione sensista della ricerca da lui ribadita, nonché per i frequenti richiami a Condillac, ci troviamo tuttavia su posizioni ben più radicali. Egli parte espressamente da una concezione biologico-vitalista (storia ed evoluzione degli animali), poiché è questo il punto da cui occorre prendere le mosse per poter arrivare allo studio dell'uomo (anche se poi l'A. lo esamina solamente dal punto di vista razionale). Non è una posizione in verità assai originale, in quanto si richiama, da un lato alla cultura romantica e, dal l'altro, ad un'ancor più vecchia eredità spiritualistica, tesa ad esaminare l'armonicità dell'evoluzione globale di tutti gli esseri viventi. Dieci anni più tardi in Breve Trattato di filosofia elementare (1871) egli spingerà ancor più oltre il suo progetto. Nel tentativo di ricercare un fondamento
56 Candido Mamini. La sua produzione è concentrata nel periodo compreso tra il 1857 ed il 1883 e si occupa di filosofìa e di scienze politiche. Ricordiamo tra i suoi lavori: La legislazione dello Spirito Umano (1857), Di un falso metodo di fare la storia proposto dal Gioberti nelle sue miscellanee (1859, pubblicato in Rivista Contemporanea), Appunti delle lezioni di logica (1868), Intorno al socialismo (1883).
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naturalistico a tutte le attività del soggetto, questa volta non troverà di meglio che partire dall'animalità umana, per spiegare tutte le sue succes sive evoluzioni psichiche e cognitive. Ora dobbiamo ancora intendere questa posizione come legata alla passata tradizione e non dobbiamo certo pensare ad un lavoro precursore delle teorie evoluzionistiche. Infatti se da un lato appare che nei suoi scritti perduri un'eco del concetto di Logica naturale, così come era stato presentato nella prima metà del secolo, egli giunge addirittura a trattare dei costumi e delle fantasie degli animali 57 con l'intento di rendere più scientifica la sua posizione. Tuttavia tra queste due concezioni dell'uomo (animalità e razionalità) vi è un vero e proprio salto per il fatto che si sta trattando di due modalità di analisi del tutto separate tra loro. (b) Una presentazione completa e concettualmente meglio struttura ta di queste nuove posizioni culturali la ritroviamo in F. Poletti 58 (Saggio di logica positiva, 1876, ed anche La legge dialettica dell'Intelligenza, 1879). Egli inizia il suo lavoro affermando che la Logica non è la scienza del raziocinio né la scienza dell'arte del pensiero: da questa seconda precisa zione l'A. trae lo spunto per polemizzare con Rosmini (Logica come teoria del pensiero) e con J. S. Mili (Logica come teoria della prova). La Logica deve essere positiva, ovvero avere il compito di provare a determinare le sue leggi, ponendosi contemporaneamente in relazione e con il soggetto che conosce e con l'oggetto della conoscenza. Quest'ultima, a sua volta, è da intendersi suddivisa in idee sensibili (sensazione, immaginazione, sen timenti) ed idee razionali (percezione, nozione, concetto). 57 La stessa posizione, ancor più esacerbata, la si trova nel lavoro di G. G. Gizzi (La Logica negli uomini e negli animali, 1892). In particolare la sua opera contiene anche pesanti, ma assolutamente immotivate ed ingiustificate accuse rivolte ad A. Nagy (op. cit.) ed a G. Peano, che sono considerati alla stregua di visionari e confusionari. In particolare questi due Autori ma, in generale, tutti coloro che si occupano di Logicamatematica (con particolare riferimento ai logici inglesi), sono responsabili di avere staccato la Logica dal linguaggio naturale, creando un simbolismo che esprime in modo assai oscuro le relazioni tra i concetti e che ha come unico risultato quello di produrre una confusività notevole senza nulla chiarire. 58 Francesco Poletti (1821-?). Inizia a studiare a Vicenza e poi a Padova. Nel 1848 partecipa personalmente alla prima guerra d'indipendenza e nel 1849 parte per difen dere Roma. Successivamente si trasferisce in Piemonte dove rimane sino al 1860 ed ha la possibilità di collaborare con A. Franchi al periodico La Ragione. Dopo il 1865 volge i suoi interessi esclusivamente a studi filosofici, dove, pure essendo d'accordo col cri ticismo kantiano ed il positivismo inglese, non assume mai posizioni ortodosse. Tra i suoi lavori specificatamente filosofici, oltre ai due da noi consultati, dobbiamo ricorda re Sull'indole ed i limiti della Filosofia Positiva (1870).
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Rifacendosi ad Helmholtz che presentò la percezione come prima attività culturale, l'A. ritiene che questa sia la forma di conoscenza razio nale che si collega alla sensazione ed è quindi la facoltà che consente il passaggio dalla sensibilità alla razionalità: l'aspetto cognitivo della perce zione è rinvenibile nel fatto che questa è in grado di liberarci da tutte le impressioni sensibili, poiché contiene la sintesi intellettiva degli elementi della sensazione. In seguito la nozione, che ha il fine di produrre "idee tipiche", prima forma di sintesi cognitiva, ci permette, di associare tra loro i caratteri comuni, o analoghi, delle singole percezioni. Il concetto, infine, rende possibile spogliare la conoscenza di ogni componente empirica che è ancora presente nel processo del pensare. Spogliare non vuole certamente dire negare, ma condurci ad un livello di ragionamento astratto, induttivamente costruito partendo da dati empirici. Si tratta, in ultimo, di un grande lavoro di analisi, che tramuta le cono scenze empiriche in conoscenza scientifica: in questo senso la scienza è "traduzione" prima, e "strutturazione" poi, dell'esperienza. La Logica allora, che deve stabilire il vero ufficio che i concetti svol gono nei processi di pensiero, nonché studiare i problemi che gli stessi pongono, dovrà basarsi sempre sul fatto che le nostre cognizioni degli avvenimenti sono formate da rappresentazioni, le quali sono ottenute dalla relazione tra la forma rappresentativa (idea) e la cosa rappresentata (fe nomeno). I due poli estremi, soggettività ed oggettività, sono ricondotti alla categoria rappresentazione, la quale è ottenuta dall'unione (oggi di remmo semiosi) tra forma e contenuto, elementi tra loro inscindibili. Non esiste dunque una rappresentazione formale pura (si tratterebbe infatti di una concettualizzazione), ma neppure intesa come unicamente collegata all'oggetto (sarebbe infatti una riproduzione): le conoscenze che si gene reranno dovranno essere intese come prodotte, costruite, tramite l'attività rappresentativa. Ne consegue che per l'A., un approccio alla scienza solamente teorico non ha alcun valore: ovvero vi è sempre la necessità di una sua corrispon denza con la realtà empirica. La natura della Logica, in senso globale, è allora da ricercarsi nel rapporto tra le condizioni rappresentative e quelle del rappresentato: in questo modo può adempiere al fine di occuparsi dei rapporti fondamentali determinanti la forma della cognitività. Il suo com pito sarà duplice e riguarderà lo stabilire la vera funzione assolta dai con cetti nei processi di pensiero ed il prendere in esame le problematiche che gli stessi concetti comportano. Col termine Logica dovremo allora inten-
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dere « la teorica delle operazioni intellettuali dirette a distinguere, accer tare ed ordinare la materia della scienza » (22). Solo a queste condizioni (categorizzazione del pensiero) potremo avere una Logica che si applica ad un numero crescente di discipline, quali la fisica matematica, la chimi ca, la botanica, la zoologia, la biologia, la medicina e, persino, la politica 59 . Le categorie di pensiero che per l'A. sono relazione, qualità, quantità, divenire, agire, conservare, dissolvere, causa, fine, occorre intenderle quali strutture, che presiedono ad ogni evoluzione della cognitività. Di fronte ad un problema, ad un quesito, dovremo possedere degli attributi, delle ca tegorie, che consentano la messa in atto dei meccanismi cognitivi, che presiedano alla comprensione ed alla soluzione degli stessi. Tali categorie non sono date, ma se ne studia la genesi attraverso l'analisi delle facoltà rappresentative di cui il soggetto dispone. In tal senso, Logica e Psicolo gia, pure ben distinte l'una dall'altra, vengono ad integrarsi costruttiva mente l'una nell'altra e costituiscono i cardini, sui quali si fondano le differenti modalità cognitive. La primarietà della Psicologia è allora da ricercarsi unicamente nel fatto che le conoscenze che il soggetto fa proprie, sono, inizialmente, quelle legate a situazioni reali, concrete, immediate e direttamente esperi bili. Tuttavia l'A. mostra come queste rappresentino solamente lo stadio iniziale della loro formazione, poiché, ad un livello più avanzato, possiederanno una più complessa organizzazione, per comprendere la quale occorrerà fare ricorso a strumenti cognitivi, la cui validità andrà ben al di là di un loro riscontro empirico. Sarà proprio questo il terreno della Logica che è ora possibile definire "operativa". Ci interessa, tuttavia, segnalare un altro punto di questo lavoro, a nostro avviso, molto interessante. Se si esamina il pensiero, considerandolo in sé e per se, osserviamo che le sue "forme logiche" sono identiche a quelle che gli altri logici del periodo definivano "principi logici", ovvero l'analisi, la sintesi, il giudizio, l'induzione, la classificazione, l'astrazione, la definizione, le ipotesi ed i sillogismi. Quando invece i logici "classici" par lano di predicazione, l'A. ritiene che si debba ampliare questo termine con la locuzione "predicazione ed estensione" (si veda anche C. Cantoni, op. cit., 1869). Ora, assumendo il pensiero di per se stesso, possiamo ricorrere ancora una volta alle solite definizioni tradizionali, ma, in ogni caso, abbia59 Una simile posizione, presentata in modo assai più valido da un punto di vista fìlosofico, la si può trovare anche in Giovanni Caroli (Logica con nuovo metodo, 1876 - Si veda, in particolare, il paragrafo 4 del capitolo III di questo lavoro).
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mo bisogno di un loro ampiamento, poiché, per essere complete, devono includere anche la presentazione di una modalità che consenta una loro agevole comunicazione: questa è la genesi del "segno", il più comune dei quali è la "parola", che è « il segno di un'idea » (89). Estendendo queste premesse l'A. prende in esame i vari tipi di proposizione, appartenenti ai più disparati domini, e le loro caratteristiche. Tutta una parte del lavoro è pertanto dedicata alla Logica delle varie discipline, anche di quelle speri mentali, analizzandone i metodi e studiandone i ragionamenti conseguenti, attraverso l'esame del loro linguaggio e della loro capacità comunicativa ed informativa. Vale a dire che è il linguaggio che determina la Logica delle varie scienze: siccome diverse sono le forme di linguaggio, differenti saran no le logiche da queste derivate. Esaminando il processo di comunicazione il problema si ampia e si complica. Ora è necessario rendersi conto che fare un discorso, parlare di qualcosa a qualcuno, significa costruire per sé e per gli altri una specie di microuniverso con caratteristiche specifiche. In termini più generali signi fica produrre una schematizzazione, ovvero l'espressione di una rappre sentazione costruita da colui che parla e destinata a colui che ascolta un argomento specifico in una certa situazione. Virtualmente si tratta di un processo dialogico, ove il punto di maggior rilevanza è costituito dall'ar gomentazione, che è sempre costruita per qualcuno, e non più dalla dimo strazione, che si indirizza invece a chiunque, ed il compito che ora ci si prefigge non è tanto la spiegazione di quello che è detto, quanto piuttosto la persuasione, o la seduzione, dell'ascoltatore, con l'intento che questi accetti ed assimili quanto è da noi affermato. In questo senso ci troviamo ancora ai limiti tra la Logica e la Retorica (si veda 5.), anche se l'Autore tende a dare maggiore rilevanza alla prima, in quanto, a suo avviso, è pur sempre il pensiero, e meglio le leggi a lui proprie, quello che l'interessa maggiormente. Riteniamo che il lavoro di F. Poletti sia, in questo periodo, il tentativo più rilevante per stabilire una relazione tra la Logica e la Psicologia, anche perché pare contenere quelli che sono alcuni punti fermi dell'attuale Logica naturale.
5.2. Mantenimento della scissione tra Logica e Psicologia. Il secondo punto da noi proposto comprende indubbiamente il più gran numero degli studiosi del periodo in questione. L'attività di pensie ro è, per costoro, una qualsiasi azione che si avvale di processi mentali
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(tra i quali, in particolare, le rappresentazioni simboliche). Tutti i sog getti, indubbiamente, "pensano": ciò che differisce è il modo con cui questo processo si esplica, ovvero "come" ogni soggetto pensa. Vale a dire che se la capacità di pensare è specifica dell'uomo e ciascuno "sa" come pensare, quello che si può fare consiste nell'acquisire tecniche e/o strumenti con i quali, in primo luogo, si possano accrescere ed in seguito raffinare, le abilità di pensiero. Ma soprattutto occorre cercare di spiegare come queste attività possano essere ricondotte, in particolare per quello che concerne la loro genesi, ad un substrato organico. Occorre, in altri termini, cercare di giustificare, e poi di spiegare, il verificarsi di questi accadimenti. Se nella prima metà del secolo avevamo assistito al tentativo di sta bilire le regole a cui il pensiero doveva conformarsi per ricavare la ve ridicità (o meno) del suo prodotto, e se questo era da vedersi come un'operazione a-posteriori sul pensiero-pensato, si tratta ora di stabili re come operi il pensiero-pensante in rapporto ad una realtà, più vasta ed articolata che non quella definita dalla Logica, e comprendente pro cessi mentali ed azioni pratiche ad essa legate. Se gli autori esaminati al paragrafo 2., che si fondavano ancora su questo realismo ingenuo, pro ponevano il tentativo di stabilire come la Psicologia empirica fosse la prima disciplina per studiare qualsiasi attività del soggetto, ora si tende anche a sottolineare come tutte le discipline, e la Logica in particola re, conseguano dalla stessa e ne siano una derivazione, pure mantenen do, tuttavia, una specifica autonomia ai livelli più evoluti del loro svi luppo. Il carattere psicologistico che i filosofi in questione attribuiscono alla Logica non è quindi da ricercare nel fatto che questa sia parte della Psi cologia Sperimentale, in quanto tutti costoro ne sottolineavano le differen ze, almeno ad un certo livello della sua evoluzione. Le difficoltà in cui questi Autori si imbatteranno, riguarderanno invece la scelta dei criteri per distinguere le leggi psicologiche da quelle logiche, proprio per il fatto che la assenza dei suddetti criteri avrebbe reso inutile una correlazione tra le due discipline, mentre la loro presenza avrebbe corso il rischio di sta bilire una dipendenza troppo marcata dell'una rispetto all'altra. Se ad esempio si considera l'universalità e la necessità, queste categorie logiche (e metafisiche), dovrebbero anche essere proprie della Psicologia Speri mentale, fatto di per sé contraddittorio. D'altro canto se la Psicologia non possedesse queste caratteristiche, dovrebbe essere eliminata dal novero delle scienze e la Logica sarebbe solo il momento finale, l'unico scientifi-
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camente accettabile, ma non più giustificabile, di una ricerca empirica riguardante i fenomeni psichici. Questo problema era stato ben compreso dalla ricerca europea del periodo ed in particolare dalla scuola scozzese, rappresentata, tra gli altri, da W. Hamilton (Lectures on Metaphysic and Logic, 1866). A suo avviso « La Logica considera il pensiero non come l'operazione del pensiero, ma come il suo prodotto... In un atto di pensiero ci sono tre cose che possia mo distinguere nella coscienza: 1) C'è il soggetto pensante ovvero la mente od Io, che esercita o manifesta il pensiero; 2) C'è l'oggetto a cui pensiamo, che è chiamato la materia del pensiero; 3) C'è una relazione tra soggetto ed oggetto, della quale siamo consci, una relazione sempre manifestata in un certo modo, che è la forma del pensiero. Orbene di queste tre relazioni la Logica non considera né la prima, né la seconda. Non tiene conto, almeno direttamente, del soggetto reale e dell'oggetto reale del pensiero, ma si limita esclusivamente alla forma del pensiero... [e] ... per dire di più, questa forma è considerata da due lati od in due relazioni. Come è stato detto esso mantiene una relazione tanto col suo soggetto quanto con il suo oggetto, e per conseguenza può essere considerata nell'una o nell'altra di queste relazioni. In quanto la forma del pensiero considerata in riferimen to alla mente pensante, alla mente da cui è esercitata, è studiata come un atto, un'operazione od un'energia, ed in quanto relazione appartiene alla Psicologia. Mentre tale forma considerata in riferimento a ciò ch'è pensato è studiata come il prodotto di tale atto, ed in questa relazione appartiene alla Logica» (III, 72-73). Questa posizione presenta certamente delle difficoltà ad essere accet tata, in quanto accantona deliberatamente ed in modo non di certo giu stificato, una serie di problemi (ad esempio il motivo per il quale lo studio della forma in relazione al soggetto debba limitarsi alla pura e semplice osservazione empirica ed alla generalizzazione di quest'ultima), ma segnala come tutti gli interrogativi ora citati siano trattati a lungo e minuziosamen te e come a questi si dedichino opere intere. Per quello che invece concerne la produzione italiana dello stesso periodo non sussistono trattati, tra i libri da noi consultati, che esaminino in maniera sistematica (o si propongano di esaminare) questi problemi nella loro complessità. Pertanto anche in questo caso siamo di fronte a lavori che, pure richiamandosi a questi punti, attribuiscono maggiore importanza ad alcuni aspetti particolari piuttosto che ad altri. Da parte nostra tratteremo alcuni di questi, raggruppandoli in sei classi.
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5.2.1. Acquisizioni di tecniche per lo sviluppo del pensiero. Per discutere di questo punto possiamo iniziare dal lavoro, volutamente ridotto, di F. Mestica 60 (Trattarello della facoltà di pensare, conside rata nette principali operazioni, 1851), il quale dirà che vi è certamente una Logica, la cui natura è però abbastanza incerta pure essendo elemento costante di tutti gli uomini, ovvero quasi una sorta di grammatica del pensare, e dell'agire, secondo le regole del buon senso. In compenso l'Au tore sostiene che è solamente attraverso una ricerca empirica, condotta in particolare sulle attività espressive del soggetto, che si può vedere come questa si manifesti. Non si farà però alcun riferimento su quali collega menti vi siano tra le varie facoltà cognitive. Una chiara esemplificazione delle differenze rispetto agli studiosi da noi esaminati nel paragrafo 2., la troviamo in G. Balmes 61 (Corso di filo sofia elementare, 1854). Egli parlerà della necessità di postulare un senso comune, intendendo con questo un'inclinazione naturale a dare l'assenso a certi elementi e fatti (la verità che è nella realtà, verum est id quod est], che sarà integrata con precise operazioni intellettuali (verità formali), e stabilisce che le facoltà primarie ad ogni soggetto sono la sensibilità ester na, l'immaginazione, la sensibilità interna e l'intelletto. Il compito della Logica consisterà nel riunire armonicamente queste quattro caratteristi che, che sono in possesso a tutti i soggetti, organizzandole in modo spe cifico. Non si ha più ora la necessità, come invece B. Bellofiore (1813 op. cit.), di partire da un concetto di natura, inteso in senso lato, ma, al contrario, occorrerà muoversi e fondare le proprie attività mentali sulla percezione di quello che si vuole conoscere. Avvicinandosi alle tesi di Helmholtz, il quale aveva tentato una traduzione in termini fisiologici del criticismo kantiano ed aveva stabilito che ogni oggetto, affinchè fosse per cepito, presupponeva una rappresentazione interna, G. Balmes (op. cit.) definisce quest'ultima un'Idea, mentre l'Atto con il quale una cosa è co60 Francesco Mestica. Uomo di cultura marchigiano che non produsse opere si gnificative. Il suo maggior merito consiste nell'essere stato precettore del fratello Gio vanni (1838-1902), scrittore di una certa fama ed autore di un allora assai conosciuto Istituzioni di letteratura (2 volumi, 1874-1875). 61 Giacomo Luciano Balmes (1810-1848), nasce in Catalogna ed insegna Matema tica nel collegio della sua città natale (Vich). Nel 1844 è esiliato e fonda a Madrid la rivista El Pensamiento de la Nacion, che ben presto diverrà l'organo di un partito religioso di ispirazione monarchica. Non conosciamo l'Autore della traduzione da noi consultata (1854).
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nosciuta, senza che questo richieda alcun giudizio, è la percezione 62 (si veda anche F. Poletti, 1876). È tuttavia osservando le differenza con G. Romano (1853 op. cit.) che emergono i punti più interessanti. a) Come quest'ultimo G. Balmes stabilisce che la definizione può essere di "cosa" (rei) o di "nome" (nominis) (G. Romano diceva, in senso più generale, di "parola") e deve mostrare, od esprimere, "tutto" ciò che nella cosa è definito e "nulla più". Malgrado la terminologia analoga emergono delle differenze tra i due Autori. Per G. Balmes, infatti, la definizione deve essere più chiara del definito (mentre G. Romano parlava di eguale estensione), il quale mai deve entrare nella definizione, in quanto ciò provocherebbe un'inutile tautologia. b) una differenza ancora più importante consiste nel fatto che secon do G. Balmes, rispetto a G. Romano, non bisogna mai fare ricorso a parole metaforiche, o figurate (ovvero che attuino immagini mentali), perché, a suo avviso, questo fatto risulterebbe più dannoso che utile. Vale a dire che se dobbiamo ricercare un punto comune tra la Logica e la Psicologia possiamo farlo solo a livello empirico analizzando la sen sazione: una volta assolto a questo compito, occorre rendersi conto che gli argomenti di cui parliamo appartengono a due mondi differenti ed hanno una diversa natura. Occorre dunque tenerli separati, evitando di ricercare forzatamente qualche collegamento, se li si vuole veramente conoscere. Per confermare la sua posizione egli stabilisce che la verità è raggiungibile attraverso criteri che, progressivamente, esulano da qualsiasi presupposto psicologico: se inizialmente vi può essere un "senso comune" (o "intuito intellettuale") che ci spinge a dare l'assenso a certe cose piuttosto che ad altre, sarà però la "coerenza" (atto unicamente mentale) e, soprattutto, "l'evidenza", ma intesa come «luce esterna per cui vediamo le Idee con tutta chiarezza » (76), a stabilire la correttezza del nostro ragionamento. Gli studiosi di cui stiamo trattando si trovano in una posizione che, attualmente, possiamo ritenere perlomeno curiosa. Due sono gli schiera menti: coloro che vogliono promuovere un completo rinnovamento del sapere e del modo di conoscere e quelli che, al contrario, vogliono man tenere i classici canoni culturali. Entrambi sono coscienti che si stanno 62 Forse più vicina alla posizione di G. Balmes è quella che troviamo in Garelli (op. cit., 1869), ma in ogni caso si tratta pur sempre di una posizione del tutto generale e poco specificata. Si può dire, al limite, che il termine "senso comune" rivesta la funzione che gli Autori precedenti riservavano alla Logica Naturale: ma anche a questo proposito l'Autore non ci da alcuna spiegazione particolareggiata.
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producendo svolte importanti in campo scientifico ma, probabilmente, nessuno afferra e padroneggia agevolmente questo settore. La confusione che ne consegue rende pertanto possibile che chi si colloca (od è colloca to) su posizioni "conservatrici", si riveli, a volte, più progressista di coloro che si professano aperti ad accogliere tutto ciò che la scienza produceva di nuovo. Un caso è quello di M. Liberatore (Institutiones philosophicae: logica et metaphysica generali*, Milano, 1855): l'A. è un gesuita, bersaglio di aspre critiche da parte di molti autori, probabilmente per il fatto che egli tentava, con discutibili risultati, di preservare le rigide direttive culturali del suo ordine, rispetto ai nuovi prodotti scientifici dei quali era però certamente a conoscenza. A. Franchi (1863), nel suo esame delle produ zioni filosofiche italiane, usa toni assai duri nei suoi confronti. A suo avviso, M. Liberatore 63 è il rappresentante della cultura dogmatica della Scolastica e non rendendosi conto « che filosofo e gesuita sono le due professioni più repugnanti tra loro ed i due termini più contradditorj, [...] filosofò teologicizzando e fece violenza alla ragion umana per obbligarla a seguire la logica, la metafisica, l'etica ed il diritto della loro Compa gnia » (25). Le polemiche, probabilmente dovute alla naturale accentuazione di posizioni radicali, che il periodo storico in esame comportava soprattutto in Italia, possono oggi essere smussate e consentire una lettura meno partigiana rispetto alle diatribe del periodo. Noi oggi riteniamo che vi siano punti del lavoro di M. Liberatore alquanto interessanti ed assai profondi. Anche se egli voleva sconfessare il sensismo "ateo" della sua epoca, non esita tuttavia a sostenere che la ricerca della verità si deve basare sull'evi denza, da intendersi in senso psicologico (rappresentazione) e non centrata sulle comuni impressioni sensoriali. Questo fatto è importante poiché ab biamo visto nel paragrafo 4.) che uno dei motivi essenziali per il quale si 63 Matteo Liberatore (1810-1892). Di origine salernitana a sedici anni entra nel l'ordine dei Gesuiti di Napoli e vi resterà per tutta la vita. In tale contesto insegna dapprima Filosofia (1837-1848) e quindi Teologia. Nel 1850 sarà uno dei fondatori della rivista Civiltà cattolica. Spesso citato dal Gentile come rappresentante della con servazione culturale, fa parte insieme a Serafino e Domenico Sordi, Talamo Signorelli, Carlo Curci, Gaetano Sanseverino e Giuseppe Pecci della corrente neotomistica, volta ad una radicale critica del pensiero rosminiano. La sua produzione letteraria spazia per oltre un quarantennio (1850-1891) ed è principalmente costituita da un gran numero di articoli su Civiltà Cattolica. A ciò si aggiunga Institutiones Philosophices (ristampato 4 volte tra il 1855 ed il 1897), Dialoghi filosofici (1851), L'Autocrazia dell'Ente (1854, Commedia filosofica), Principii di economia politica (1889)
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indica W. Wundt come il padre della Psicologia è proprio il fatto di collo care questa disciplina su di un piano che si staccasse, per quanto possibile, da una matrice rigidamente fisicalista ed organicista. Vale a dire che sino a questo periodo M. Liberatore è l'Autore che più di altri si avvicina alle reali esigenze che la nuova scienza psicologica si proponeva di soddisfare, in quanto si sforza di ricavare uno spazio autonomo, fornito di materie di studio a lui specifiche (la rappresentazione), nel quale collocare la Psicolo gia. Inoltre anche il fatto di attribuire un'evidente rilevanza alla modalità con la quale il soggetto si avvicina alla conoscenza ed allo studio dei canoni soggettivi, atti alla formazione dei giudizi (di bontà, di causa, etc.), è una conferma dello sfondo chiaramente psicologistico col quale egli opera. Non pretendiamo certo di avere individuato un precursore della scienza psicologica. Di fatto M. Liberatore è fortemente "conservatore": si pensi che, a suo avviso, la Logica è interamente riconducibile ad Aristotele ed il compito che si prefigge è una ricerca sui concetti di bontà, unità e verità. Tuttavia, lungi dal collocarlo con gli autori della prima metà del secolo o di inserirlo tra quelli più conservatori (si veda oltre 5.3.), egli entra di pieno diritto tra gli studiosi da noi inseriti in questo paragrafo e, per alcuni aspetti è, forse involontariamente, uno tra quelli più "progressisti". Fatta questa dovuta osservazione, un differente modo di accostarsi al problema in questione, ovvero di proporre un'organica strutturazione al rapporto tra Psicologia e Logica lo troviamo invece in A. Pestalozza (Ele menti di filosofia, 1860), allievo di A. Rosmini, che sostiene di volersi limitare a ripresentare gli insegnamenti del filosofo di Rovereto. Per que sto A. la Logica è una scienza, « un complesso di verità ben ordinate » (191); in quanto inseribile in tutti i campi del sapere, assume anche la funzione di fornire una guida rigorosa all'agire del soggetto: in tal senso si tratta della «scienza dell'arte del pensare» (ibidem, 191). La verità che ricerca è quella che « appartiene ai nostri pensieri [...], che sono conformi al modello e tipo esterno ed immutabile delle cose pensate » (222). La Psicologia, branca dell'Antropologia, è invece «la scienza del subjetto umano, o sia dell'anima umana come subjetto e perciò come tutto l'uomo, o almeno come parte naturale di esso » (347). Sembra allora che si debba parlare di una Psicologia naturale che ci fornisce gli strumenti basilari per compiere qualsiasi attività piuttosto che di una Logica naturale, perché altrimenti, secondo l'A., corriamo il rischio di affrontare un lavoro di Metafisica ed Ontologia (filosofico dunque), in luogo di produrre un'ope ra scientifica. La Logica rappresenta dunque la componente tecnica più evoluta delle forme della conoscenza. Ad essa si giunge attraverso un
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progressivo ordinamento del pensiero, passando dalla concetto, fatto que sto che gli consente di non distogliersi dal suo obiettivo, che è la ricerca della Verità (Logica). Si tratta allora di fornire un sistema di regole, che non solo permet tano di cogliere la verità, ma anche di scoprirne di nuove partendo da quelle già note e di riflettere su quelle di volta in volta acquisite. In ultimo, tali regole si ottengono con l'impiego di mezzi quali analisi, sintesi, speri mentazione ed ipotesi. A sua volta P. A. Corte (Elementi di filosofia ad uso delle scuole secon darie, IV edizione, voi. I: Logica, 1862) 64 , riprende simili argomenti, ma li tratta seguendo un'altra via. L'Ideologia e la Logica occupano il primo posto nell'albero delle scienze, in quanto concernono le primissime ragio ni, ma l'A. non sembra avere dubbi che alla base di queste due discipline si deve porre la Psicologia sperimentale, che è infatti l'argomento con cui si apre il suo lavoro. Questa si estende su un campo che comprende lo studio dell'analisi e della sintesi, dell'astrazione ed anche del giudizio deduttivo: tutti questi elementi sono classificati come funzioni riflesse dello spirito umano e l'approccio empirico consiste nel mostrarcele nella loro immediatezza. Ed è partendo da verità, assunte nella loro più sempli ce ed ingenua apparenza (evidenza empirica), che si costruiscono tutte le conoscenze, anche quelle meno evidenti. Progressivi ed ulteriori perfezio namenti potrebbero condurre a nozioni che non sembrano certamente mutuate da questo principio, ma l'Autore sembra non avere dubbi sulla loro origine empirica. Egli si propone di giustificare con esempi questa sua affermazione, facendo riferimento al campo matematico: si passa dalla considerazione di alcuni numeri come indici di quantità di una serie di oggetti (10 massi, 100 cavalli, etc.), ad una loro concezione "più" astratta (10, 100, ...) senza alcun riferimento ad oggetti, ad una concezione "del tutto astratta" (let tere algebriche), sino a giungere ad un'astrazione su quest'ultima (« le funzioni analitiche, immortale trovata del Lagrange » [44-45]). 64 Pietro Antonio Corte (1793-?). Dopo avere studiato a Monetavi, ottiene nel 1823 un posto gratuito nel collegio di Torino diretto dai gesuiti. Nel 1826 è professore in questa materia ed è inviato a Vigevano, poi a Possano ed infine ad Alba. Nel 1832 diviene professore di Fisica e Geometria a Saluzzo. Nel 1836 infine è nominato profes sore di Logica e Metafisica nell'Università di Torino. Tra le sue opere ricordiamo: Elementa Philosophica theoretica, (1837), Elementa logices et metaphysices (1838-1841). Si tratta di un filosofo, "troppo" legato e condizionato, così come pure A. Pestalozza, alle dottrine di A. Rosmini (A. Franchi - 1863, op. cit.).
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In questo contesto, attraverso Valitiologia (scienza del vero che studia l'essenza, l'esistenza ed i criteri di verità), si giunge alla verità, che è logica, qualora si rifaccia a ciò che non può essere altro da ciò che è: questo tipo di verità ha in più, rispetto alle altre, la possibilità di poter dimostrare tutto quello che afferma. Se allora, sostiene FA., il dire che nel 1755 un terremoto di potenza inaudita rase al suolo Lisbona è una verità storica, la quale può essere dottrinale od appresa, il sostenere che « la sfera equi vale ai 2/3 del cilindro ad essa circoscritto » (222), è una verità logica, passibile di rigorosa dimostrazione. In senso più generale, quello che noi possiamo stabilire immediatamente come vero rientra nel campo empirico (dunque psicologico), mentre quando giungiamo razionalmente ad attesta re la veridicità di uno (o più) concetti, ci inseriamo del dominio della Logica.
5.2.2. Prime forme di associazionismo tra Logica e Psicologia. Su queste posizioni, tese a ritrovare un comune elemento organico come base di qualunque attività cognitiva e ad indicare una loro scissione successiva, si muovono anche coloro che non assegnano funzione primaria al linguaggio, come invece, ad esempio, G. Romano (1853) o G. Balmes (1854), ma, pure studiandolo ed esaminandolo anche a fondo, lo subor dinano al pensiero. Un esempio lo troviamo in M. Florenzi Waddington 65 (Saggi di Psicologia e di Logica, 1864), la quale giunge addirittura al punto di dedicare il suo lavoro a F. Bonucci, autore di Fisiologia e patologia dell'animo umano, per rinforzare la tesi in base alla quale vi è un legame necessario e sequenziale tra Psicologia e Logica. Non solo, ma l'analisi delle facoltà psicologiche (sensibilità, fantasia, intelletto, istinto e volontà) ci permettono di spiegare anche le modalità più pure del pensiero, che per FA. sono rappresentate dal concetto logico, anche se questo è sempre da considerarsi in modo autonomo rispetto ad ogni altra conoscenza. Anche F. M. Falco 66, (Arte logica per le scuole liceali, 1866) conferma 65 Marianna Florenzi Waddington (1802-1870). Marianna Bacinetti, sposò dap prima il marchese Florenzi ed in seconde nozze il cavalier Evelino Waddington. Fu legata al filosofo F. Fiorentino (1834-1884) ed intrattenne corrispondenza epistolare con Schelling, prima di divenire sostenitrice del pensiero di Hegel. Tra le sua altre opere: La facoltà di sentire (1858), I principali punti della filosofia della religione secondo i principii dello Schelling (1864), la traduzione del Bruno di Schelling (1844). 66 Francesco Falco (1835-1899). Si laurea in Filosofia all'Università di Torino ed insegna nei licei di Savigliano, Piacenza, Alessandria e Milano. Diviene infine profes-
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queste posizioni. La Logica è da intendersi unicamente come un'arte aven te il compito di applicare al ragionamento le regole della Scienza Logica (di cui non si da, per altro, alcuna definizione), attraverso una loro trasfor mazione in norme pratiche. « La logica è l'arte dell'esercizio dell'intelli genza in ordine alla verità: l'intelligenza e la verità sono i suoi oggetti generali » (4). Non solo, ma nessun'altra materia potrà mai prendere il posto della Logica, per il fatto che si tratterebbe sempre di semplici ap plicazioni, che in nessun caso mai saranno generalizzabili, limitandosi a fornire solamente modelli 67 . Tuttavia, operativamente parlando, lo studio della Logica presuppone quello della Psicologia (frequenti sono le citazio ni di A. Rosmini, J. S. Mili e T. Jouffroy), per il fatto che è questa disci plina quella che ci fa comprendere che cosa sia un ragionamento, un giudizio, una riflessione. Solo partendo da questi fondamenti di carattere empirico e psicologico possiamo avere una guida per la crescita intellet tuale, che culminerà nella riflessione e nella capacità di immaginazione. Importanza rilevante assumono a tal punto i processi di comunicazione e di scambio di informazioni. Siamo alle soglie di uno psicologismo di tipo associazionistico, assai più evidente che in P. Galluppi (1820), poiché ora si sostiene che la comunicazione delle idee ha bisogno dei segni, i quali, a differenza di quello che M. Liberatore (1855) affermava, sono unicamente di natura sensibile (visibili, udibili, naturali, permanenti, immediati). In ultimo si tratta di una successione di immagini mentali tra loro collegate per ana logia e/o metafora ciò che sta alla base dei processi di comunicazione. Più precisamente F. M. Falco (1866) afferma che un segno percepito ci fa pensare ad un'altra cosa sensibile, poi alla relazione tra segno e cosa, ed infine, alla relazione in quanto tale. L'articolazione dei segni produce i termini, che si suddivideranno in varie tipologie, e, da questi, si giungerà alla grammatica, strumento primo per comunicare, ovvero per acquisire nuove informazioni. Tuttavia egli ammette con la tradizione passata, ad esempio con Franceschinis (1840), che vi possano essere idee uniche, universali ed eterne, a-priori, non ulteriormente analizzagli. Ricompare il solito rapporto dicotomico tra le due discipline: se per un verso la Logica sore di ruolo nel liceo di Lucca. Tra le sue principali opere: Etica, ossia filosofia della libertà (1860), Giordano Bruno (1863), Del metodo sperimentale (1876), // linguaggio (1878), I fatti psichici della vita animale (1880), Dottrine filosofiche di Torquato Tasso (1896), L'aretologia presso Sacrate, Plafone ed Aristotele (1899). 67 Questa affermazione è tratta dal Compendium Philosophiae di C. Bernard (Pa rigi, 1857).
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dipende dalla protologia (principii supremi dell'Essere, che è oggetto del pensiero e dei quali essa insegna l'applicazione alla conoscenza), per un altro aspetto, molto più naturale, e dunque primario, deriva dalla Psico logia, la quale ci fornisce le cognizioni delle facoltà intellettuali, il cui esercizio vuole governare 68.
5.2.3. Logica inventiva - Critica alla Sillogistica. Tra il 1865 ed il 1880, acquista un certo peso una concezione "costruttivistica" della Logica (che, seppure in modo parziale e limitato, si può già intrawedere in F. M. Falco (1866), ovvero un modo di intendere tale disciplina come una guida per costruire, per inventare, piuttosto che una scienza votata alla riflessione ed alla speculazione. In tal senso anche il problema della sua genesi viene posto in secondo ordine: quasi tutti sono concordi nell'affermare come sia una base sensistica (o psicologica) quella che sta a fondamento di ogni attività umana, ma l'obiettivo princi pale diviene quello di indagare come si organizzino e cosa possano pro durre le attività del soggetto. In tal senso oggetto principale delle critiche degli Autori che, seppure con toni differenziati aderiscono a questa cor rente di pensiero, viene ad essere la sillogistica aristotelica e scolastica, ritenuta responsabile di "bloccare" in schemi precostituiti qualsiasi forma dell'umana attività. Simili posizioni, (sono gli unici Autori da noi trovati che criticano energicamente la sillogistica) in certi casi, vengono spinte all'estremo, tanto che la Logica tende ad essere presentata non solo come collegata operativamente alle attività del pensiero, quanto piuttosto alla realizzazione pratica di azioni e comportamenti. Quello che costituisce la principale direttiva che sta alla base di que sto indirizzo di pensiero, consiste nel presentare quali risultati a-posteriori gli assunti della Logica classica, anteponendo a questi un'opera di costru zione, derivata da un approccio al reale che, inizialmente, deve essere di tipo empirico. Siamo in una prospettiva che si richiama, anche se quasi mai in modo del tutto corretto, alle grandi intuizioni kantiane, ma per quanto riguarda gli oggetti scientifici (fenomeni) e non gli approcci agli stessi, cercando, in altri termini, di eliminare ogni forma di conoscenza a68 Su posizioni pressoché analoghe troviamo A. Gravaghi (Logica e filosofia razio nale, 1866), che pure mantenendo la stessa problematica presente in F.M. Falco, tende a privilegiare la componente psicologica, sottolineando fortemente la necessità di un approccio empirico a tale questione.
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priori. In quest'ottica i richiami sono prevalentemente rivolti ai lavori di Helmholtz, del quale tuttavia si ha quasi sempre una conoscenza assai modesta. Si giunge pertanto nella maggior parte dei casi a produzioni ibride che ad uno psicologismo imposto, ma certamente non approfondito né giustificato, mescolano l'incapacità di liberarsi da alcuni punti fermi della vecchia tradizione scolastica. Per un altro verso questi Autori sembrano rifarsi al pensiero di A. Arnaud e P. Nicole (1865), per i quali « malgrado la Logica ordinaria non debba considerarsi inutile, tuttavia la maggior parte dei precetti da questa presentati a proposito delle proposizioni e degli argomenti sono più spe culativi che pratici » 69. Ma anche in questo caso i risultati da loro ottenuti, attraverso il ripudio delle classiche forme logiche, non sono certo esaltanti e giustificheranno le critiche condotte nei confronti della Logica di PortRoyal da parte di altri filosofi (si veda anche: II, 2; III, 1). Si tratta pertanto di una corrente di pensiero che oltre ad esaurirsi assai rapidamente mai assume una posizione realmente forte anche nel periodo della sua massima espansione, (solo nel secolo successivo sarà ripresa e rielaborata in chiave psicologistica) in quanto, contemporanea mente, la maggior parte degli altri studiosi riprenderà i temi consueti e, soprattutto, si preoccuperà di ribadire l'infallibilità della sillogistica. Resta però il fatto che le posizioni assunte dagli Autori in questione, che si mostrano polemici rispetto al modo con cui si trattava il rapporto tra Logica e Psicologia, intendendolo, da questo momento, come una "pro pedeutica" all'agire, sono indicative della rilevanza che un tale problema cominciava allora ad assumere. Non è allora un caso che L. Barbera 70 scriva un testo dal titolo assai indicativo (Lezioni di Logica inventiva, 1866) nel quale si afferma che non è il concetto di dimostrazione quello da preporre a tutti gli altri, bensì quello di invenzione e come il metodo induttivo-empirico sia da preferirsi, in ogni caso, rispetto a qualunque altro: per questo occorre rifarsi al metodo induttivo, creato da G. Galilei ed a quello antropologico di G. B. 69 Op. cit., Introduction, XIV. 70 Luigi Barbera (1836-1904). Di origine napoletana compì i suoi studi presso l'Università d Pisa, città dove iniziò la sua carriera di insegnante nel locale liceo. Suc cessivamente divenne docente di Filosofia Morale all'Università di Bologna. Di spirito liberale partecipò attivamente ai movimenti insurrezionali dell'Italia meridionale. Tra le altre sue opere segnaliamo: Teorica del calcolo delle funzioni (1876), Nuovo metodo dei massimi e dei minimi delle funzioni primitive ed integrali (1877), Introduzione allo studio del calcolo, I Simplicii contemporanei.
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Vico. "Due sommi italiani aggiunsero alla logica sillogistica e dimostrativa degli antichi quella parte più importante che riguarda l'invenzione... Ma questa nuova parte della logica creata dal Galilei e dal Vico, comunque messa in pratica dai dotti, stanteché essa è immediatamente colla scienza moderna, non per anco è stata creduta degna, ..., da esser fatta oggetto di studii speciali, e da doversi in essa ammaestrare la gioventù. Si continua ad insegnare l'antica Logica aristotelica e scolastica, con quanta utilità si può giudicare dal conto in cui è generalmente tenuta" (Prefaz. V-VI). Una conferma della matrice psicologista che caratterizza questo lavo ro sta nel fatto che l'Autore, dopo avere condotto una distinzione tra pen siero (elemento con il quale si conosce la natura delle cose, per mezzo di condizioni esterne e del nostro libero arbitrio) e mente (facoltà per la quale l'uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi) afferma che il primo, il cui fine consiste nel renderci in grado di scegliere tra il vero ed il falso ed il certo e l'incerto, è un'operazione della mente. "La facoltà per la quale l'uomo si distingue da tutti gli esseri della natura ed a loro sovrasta, la più nobile e la maggiore di quante per avventura adornano la natura umana la mente; e chiamasi pensiero l'operazione della mente per cui si conosce e si scerne il vero dal falso, il bene dal male, il certo dall'incerto" (I, I, 3). Poco più oltre egli ribadisce che: "Quel che per il presente scopo fa d'uopo avvertire e bene intendere si è che il pensiero è un'operazione..., in parte dipendente da condizioni esterne, ed in parte soggetta al nostro libero arbitrio: il che in altri termini significa che l'operazione della mente, in virtù della quale si acquista la conoscenza delle cose or è naturale e spontanea, ora è volontaria e libera. Questa importante distinzione circa il doppio modo di pensare si rileva facilmente per poco che si consideri l'origine delle cognizioni umane. Egli è un fatto che nessuno può negare o mettere in dubbio, che molte verità o molte idee sono nella nostra mente, senza che noi avessimo avuto l'intenzione di acquistarle: tali sono quelle che sono venute per mezzo del linguaggio, degli ammaestramenti civili e religiosi..., dall'aspetto esteriore..." (I, I, 5). Non solo, ma si sotto linea che per lo studio della conoscenza occorre prendere l'avvio dall'ana lisi del concetto di volontà, il quale risulta primario, per il fatto che è specifico della natura di ogni soggetto. Infatti "... sono scarse, imprecise, vaghe, indeterminate, insufficienti ed a soddisfare l'ingenito desiderio di conoscere la verità, ed a renderci padroni delle forze naturali per farle servire ai nostri bisogni. Quindi è, che quando la nostra mente si è in qualche modo svolta naturalmente, e per l'età, e per i bisogni che crescono coli'età, più vivo si è fatto il desiderio di conoscere ciò che ci circonda,
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noi, tra le altre cognizioni, acquistiamo e quella della nostra ignoranza, e quella di essere capaci di per noi medesimi, cioè senza aspettare che l'oc casione ci venga dall'esterno, di sforzare la nostra propria mente ad inve stigare ciò che crediamo essere necessario ed utile a sapere. Egli è mani festo che quando siamo noi stessi che ci poniamo a cercare la verità, il pensiero, e la cognizione che ne consegue, sono volontari e liberi" (I, I, 6). Quando allora si ricerca qualcosa che non si conosce, occorre almeno sapere se il procedimento che si attua è deputato a condurre al fine, che il soggetto si è preposto. Questo significa che lo studioso conosce a-priori le classi a cui appartengono gli oggetti considerati, nonché alcune proprie tà degli stessi ed inoltre che ad ogni classe corrispondano diverse opera zioni mentali. Ora la Logica è quella scienza che ci dice come queste due caratteristiche si correlino e siano riconducibili a precise leggi. La Logica non è allora da intendersi come un'arte di pensare e nep pure un abito per pensare bene, ma come una conoscenza ed un'esposi zione dei principii razionali da cui dipende la perfezione "dell'abito". Pertanto l'obiettivo della Logica concernerà il seguente interrogativo: "qual'è tra tutte le verità che naturalmente conosciamo, quella da cui dipende l'evidenza e la certezza delle altre?" (I, II, 13). Certamente la Logica ha carattere di universalità, ma non è scienza prima: è il principio di evidenza in sé e per sé. Ma che significa il termine "evidente"? Per Barbera vi sono tre tipi di evidenza: di pensiero, di fatti esterni, di ciò "che accade dentro di noi" (I, XVII, 170). Ognuna di queste ha caratteristiche precise: "Come deriviamo in prima un fatto prodotto dal pensiero, ad esempio, un triangolo: manifesta cosa è che noi vediamo nel triangolo ciò che vi abbiamo posto, cioè tre lati che chiudono lo spazio. La relazione tra il triangolo ed i tre lati che chiudono lo spazio è evidente, cioè tale che noi non possiamo negare di vederla, dimanieraché se la negassimo, saremmo certi di negare quello che noi colla mente abbiamo fatto... sicché si può dire che questa specie di evidenza consiste nella presenza immediata della mente ai fatti suoi medesimi" (I, XVII, 171). "... La seconda [eviden za] si rende presente allo spirito per mezzo dei sensi. Ma comecché per lo intermedio dei sensi ella penetri nello spirito, l'evidenza dei fatti esterni non è meno efficace degli altri, anzi per la generalità degli uomini è la più efficace; onde procede quella tendenza irresistibile del nostro animo ad affermare, senza esitare un istante, tutte quelle relazioni che sono illustrate dall'evidenza propria dei fatti esterni" (I, XVII, 173). "[Infine] non resta che chiamare evidenti quelle verità che si veggono durante il tempo dello svolgimento spontaneo. Così questo termine indeterminato, evidente, può
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applicarsi solamente a quelle relazioni, che non possiamo conoscere ed affermare mentre la nostra intelligenza si svolge sotto il sapiente indirizzo della natura, e non della nostra volontà. In altri termini, tutti i giudizi spontanei od intuitivi, come altri li chiamano, sono evidenti immediata mente. Tutte le altre relazioni debbonsi tenere per oscure, finché per mez zo della riflessione non siano fatte palesi" (I, XVII, 177). Il rapporto tra Logica e Psicologia è pertanto ridotto ad un'attività di costruzione che l'individuo compie grazie alla contemporanea e mutua interazione tra le proprie attività mentali e l'ambiente esterno. "La mente ed il sentimento sono i due soli mezzi di che è fornito il nostro spirito per conoscer le cose [ed è difficile] fare [intendere] completamente qual parte abbia ciascuna di queste due facoltà nel produrre in noi la conoscenza della natura, e più difficile ancora rintracciare i legami interni che le con giungono nell'atto conoscitivo che ha per obietto l'esterna realtà... Queste sottili ricerche sono di pertinenza della Psicologia, anziché della Logica" (II, XIX, 200). Stabilire la necessità di relazione tra esperienza soggettiva interna e realtà oggettiva esterna, ponendole in un rapporto interattivo, è allora il suggerimento che Barbera fornisce per comprendere come si formino le nostre conoscenze. Poco più oltre egli chiarisce assai bene la sua posizio ne: "L'atto della mente che conosce per mezzo dei sensi si chiama perce zione, e la conoscenza che ne acquistiamo, esperienza: la percezione, quindi, è l'operazione fondamentale, la base unica e necessaria di tutte le nostre cognizioni naturali; e l'esperienza è quella che contiene i principii, e determina i metodi legittimi per acquistare tali cognizioni... Dicendo che la percezione è l'operazione fondamentale per cui si acquista la cognizione della natura non dovete intendere, come fanno certuni, in un significato stretto la nostra proposizione, quasi che ogni cognizione della natura dovesse essere sperimentale. Imperocché la nostra mente è una potenza ragionatrice e deduttiva, capace di scorgere i rapporti tra ciò che perce pisce per mezzo dei sensi con quello che non percepisce; onde può affer mare e credere a fatti, i quali awegnacché non siano percepiti, hanno una relazione necessaria con quelli che per esperienza sono conosciuti... Que' naturalisti che restringono tutte le scienze della natura negli stretti confini dell'esperienza, e che empirici sono appellati, non sono meno perniciosi al progresso del sapere di quelli altri, che tutto vogliono ricavare dalle loro idee" (II, XIX, 201-202). In questo senso la Logica inventiva è una forma di adattamento che deve necessariamente attuarsi tra l'individuo ed il mondo fisico: si tratta, in
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altri termini, di un prodotto e non di un qualcosa di dato. Rispetto a coloro che mettevano in evidenza la componente organizzativa della Logica, la quale doveva, in altri termini, favorire una strutturazione della mente volta al raggiungimento delle verità prime del sapere, la componente adattiva è ora anch'essa elevata a rango primario. "Noi non potremmo percepire le cose esterne se... l'impressione ch'esse fanno sugli organi della sensibilità non fosse da noi sentita come un'azione, che la mente indi rapporta ad una causa diversa da quelle che fanno parte del nostro corpo. Toccando colla mano questo tavolo, io sento nella mano una resistenza, che colla mente riferisco al tavolo come a cosa da me diversa ed indipendente. La perce zione consiste propriamente in quest'atto intellettuale, il quale come si vede, sarebbe impossibile se non fosse preceduto, o se vuoisi, accompagna to da un'azione sentita nell'organo della sensibilità" (II, XXI, 223). La rilevante presenza di temi riconducibili a studi di matrice biologista non giunge però, almeno nell'Autore in questione, ad eliminare il ruolo, certamente positivo che la filosofia ancora possiede. Infatti i risul tati cui il soggetto può giungere, attraverso le proprie attività mentali, non sono necessariamente legati ad oggetti od a processi empirici e, dunque, non sono riducibili né riconducibili esclusivamente alla scienza della na tura. Per l'Autore vi sono fenomeni che non sono rinviabili né all'imme diata percezione e neppure a ragionamenti che si fondano su quest'ultima. Se infatti il punto di partenza deve essere l'esperienza, occorre però am pliarla. "I fenomeni sono fatti individuali, esistenti in una parte del tempo e dello spazio, variabili, passeggeri e corruttibili; e la cognizione che di loro possiamo avere, oltre di essere particolare e ristretta, ..., non è più propriamente cognizione, sì bene memoria di ciò che si conobbe" (II, XXVI, 353-354). In questo caso allora si devono ricercare «i modi pos sibili di essere dei fenomeni » (506) ed è questo un compito spettante all'ontologia e non certo all'esperienza immediata. Si precisano, in tal modo, i motivi che spiegano le polemiche che Barbera sostiene contro i positivisti più ortodossi, ribadendo che la spe culazione nel campo scientifico non deve essere considerata mutile, se si tiene valida la condizione di riuscire a ricavare la verità delle ipotesi, dapprima astrattamente ed in seguito col processo di induzione. "I posi tivisti... avendo una visione confusa ed inadeguata, ..., non accettano una speculazione di ipotesi possibili e [la] spacciano come cagione potentissima di errori e di ostacoli al progresso del sapere" (II, XXXIV, 507). In tal modo, a suo avviso, questi studiosi limitano la conoscenza, "anche se qualche volta hanno ragione" (ibidem).
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Ma, dato che occorre preporre il concetto di invenzione a quello di dimostrazione, allo stesso modo, egli si schiera contro la Logica aristote lica e scolastica, affermando che non la si deve più intendere adeguata rispetto al progresso avuto dalle scienze. Ed è il suo approccio critico verso le precedenti produzioni logiche, più che non un suo originale con tributo, ciò che motiva la natura pratica del suo lavoro. Un esempio lo possiamo trovare nella presentazione della natura del giudizio: egli si di chiara d'accordo con la ripartizione in analitici e sintetici fatta da Kant, ma non è questo, a suo avviso, il punto più importante. I giudizi, comunque li si voglia ripartire, non sono né affermare né negare (Aristotele), non sono paragonare tra loro idee (tesi attribuita a filosofi francesi che, tutta via, non sono nominati), non è la relazione tra due fenomeni (J. S. Mili) e neanche un rapporto tra fatto ed idea (A. Rosmini). Un giudizio è invece il rapporto che sempre si stabilisce tra qualsiasi termine, sia questo reale che mentale, per favorire una sua applicazione, ovvero per potere rendere meglio attuabile un'invenzione. Queste posizioni presentano certamente delle novità rispetto al sape re comune del periodo e precedono più organiche presentazioni di un rapporto maggiormente costruttivo tra Logica e Psicologia. Soprattutto interessante è il tentativo di farle confluire in una prospettiva tesa a con siderare il principio di adattamento come chiave di volta per comprendere la formazione e la costruzione del sapere e dei modi con cui questa si realizza. Il legame con alcuni retaggi speculativi lo ritroviamo invece an cora presente quando si rimandano a tematiche ontologiche, dunque metafisiche, lo studio della natura di alcuni accadimenti, non ritenendoli pertanto come anch'essi costruiti dal soggetto. Le critiche rivolte alla sillogistica saranno poi riprese in modo ancora più pungente da G. Bellavitis 71 (Sulla Logica. Discorso Accademico, 1874 [XVIII, 321-341]), e verteranno in generale sul fatto che un uso troppo rigoroso della stessa arresti lo sviluppo delle scienze piuttosto che favorir lo. Infatti se in luogo di una trattazione fondata sulla sillogistica « nei licei 71 Giusto Bellavitis (1803-1880). Di origini nobili, dopo una prima istruzione ricevuta dal padre, si dedica agli studi matematici. Nel 1840 diviene membro pensio nato dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti. Nel 1843 insegna Matematica e Meccanica in un liceo di Vicenza e nel 1845 diviene professore di Geometria descrittiva all'Università di Padova. Sempre a Padova nel 1867 ottiene la cattedra di Algebra complementare e nel 1869 è socio onorario dell'Accademia nazionale dei Lincei. Tra i suoi lavori II calcolo delle equipollenze (1835) ed una serie di articoli (oltre 140), apparsi tra il 1838 ed il 1876, sulle Memorie dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti.
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si insegnassero bene le nozioni fondamentali della matematica, [...] io credo che non si arresterebbe alcun giovine, che potesse divenire uno scienziato od anche un letterato, non esclusivamente parolajo » (325). Al contrario, si sottolinea come ogni ricerca debba essere pragmaticamente valida e coerente: per questo occorre fare propria una ricerca psicologisti ca di tipo empirico, tesa alla costruzione di "oggetti" utili alla conoscenza, e si indica in Bacone colui al quale ci si deve rifare. Se inoltre non si danno precisi significati alle parole delle quali si fa uso si rischia di rendere aleatorie le stesse tecniche della Logica: la deduzione, ad esempio, sarebbe solo un semplice procedere per analogia, che produrrebbe risultati non certo di grande utilità per la ricerca. Anche se non motivata con toni forti come gli A. precedenti una presentazione che, in ogni caso, richiama quelle citate è riscontrabile anche in Annibale Chiarolanza (Lezioni di logica, metafisica ed etica, 1869) 72 . La Logica ha « l'ufficio di porci nel grado di sapere in che maniera lo spirito umano, comunicando con l'oggetto pensabile, ne acquisti una cognizione certa e sicura; e, distinguendo il vero dal falso, possa con eguale certezza comunicarla ad altri» (13). Siccome si tratta della «scienza dell'arte del pensiero riflesso... le operazioni dello stesso vengono ordinate al vero » (15). Se allora, per un verso, ha le proprie basi nella Metafisica, perché « i canoni logici sono un'applicazione dei processi ontologici» (15), per un altro verso assolve alla funzione di aiutarci a comunicare il vero, ossia « difendendolo da ogni aggressione sofistica, facendo le cerne dal vero e dal falso, e ponendo in chiaro le lacune ed i vizii dell'errore » (16). Egli affermerà che la Psicologia, che comprende studi sulla percezione, la rifles sione e la convinzione, è una semplice componente, seppure la prima, della Logica inventiva, come lo sono, in un secondo momento, anche i problemi di studio del linguaggio (grammatica, fonetica), nonché i problemi di spe rimentazione (osservazione e percezione). E la Logica inventiva, ha la fun zione "pedagogica" di presentare una serie di norme che definiscano e delimitino le caratteristiche del pensiero corretto, partendo dal presuppo sto che l'uomo si adegua e riconosce istintualmente il vero, anche se a volte deve sospendere il giudizio (dubbio, probabilità, opinione), per non cadere nell'errore. Al contrario, per formulare ipotesi corrette, occorre che queste siano reali, positive, semplici ed atte a spiegare i fenomeni cui si riferisco72 Si conoscono altri due lavori dell'Autore in questione e, precisamente, Elemen ti di filosofia secondo le dottrine di Vincenzo Gioberti (1861) ed Saggio di un nuovo diritto universale secondo i principii del vero ontologismo (1869).
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no, avere la caratteristica della certezza, vale a dire lo « stato dello spirito umano in cui esso afferma... l'informazione della nostra mente alla verità obiettiva » (73). Un'ulteriore critica alla sillogistica, intesa come unica Logica possibile, è riscontrabile anche nell'opera di A. Gravaghi 73 (Logica e filosofia raziona le, 1866). La componente inventiva è qui più celata, nel senso che non viene dichiarata espressamente, ma si manifesta tuttavia nel corso del lavoro. Egli sostiene che la Logica è arte di ragionare, ovvero conoscenza dei principi generali sui quali si basano le leggi direttive di ogni riflessione. Tuttavia egli rivolge una serrata critica alla sillogistica, per il fatto che la Logica deve intendersi come arte di ragionare, ovvero come la conoscenza dei principi generali sui quali si basa la riflessione e che hanno il fine di rendere "pra tici", nel rapporto con gli altri individui, gli insegnamenti che tale disciplina propone. Questi principi si fondano sull'analisi del Soggetto ed hanno come intento di osservare se in esso è contenuto tutto (o solo in parte) il Predicato. Il metodo che l'A. propone per assolvere a tale compito è abbastanza curioso e fa trapelare, in ogni caso, l'impostazione psicologistica con cui affronta il problema. Ad esempio l'asserzione "l'uomo è un essere socievo le" non è inizialmente accettabile nel senso che si tratta di una proposizio ne che noi non possiamo accogliere acriticamente, senza averla preceden temente esaminata. Occorre infatti un'accurata analisi della natura dell'uo mo e sarà questa a fare emergere come gli esseri umani siano spinti alla verità ed alla virtù (predicato). La tendenza del soggetto ad un bene comu ne è identica nel predicato: solo a questo punto possiamo dire che l'uomo è naturalmente socievole. Il sillogismo per l'A. non permette di conoscere quali sono le proposizioni a cui ci si deve rifare per poter dedurre la verità: al limite, può ordinare il lavoro della mente, ma nulla più. Concludiamo questo settore richiamando un Autore (G. M. Bertini 74 , Introduzione ad un corso di Filosofia, 1867 e, soprattutto, Logica, 73 Alessandro Gravaghi (1834-1893), fu un sacerdote predicatore che nel 1859 abbandonò la chiesa per combattere al fianco di Garibaldi. Fu professore nel liceo di Recco e scrisse in particolare a proposito del modo in cui si dovesse insegnare la filosofia in Italia. 74 Giovanni Maria Bertini (1818-1876), inizia gli studi a Carmagnola e nel 1835 giunge a Torino dove rimane fortemente colpito dal teismo mistico di Luigi Ornato. Nel 1847 gli viene assegnata la cattedra di Storia della Filosofia (primo anno che tale disciplina compare all'Università di Torino) che terrà sino alla morte. Dal 1854 è membro residente della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Tra le sue pubblica zioni ricordiamo anche: La questione religiosa (1852 dialoghi), Storia della filosofia moderna (1881 - postumo).
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1880 75) che, come tutti quelli sinora esaminati in questo punto, si dichia rano favorevoli all'acccttazione degli stessi principi costruttivi, ma non giunge però a mettere in discussione il valore della sillogistica, che ancora conserva una sua utilità. Come gli altri, invece, egli si colloca su una posizione contraria alle tesi del positivismo per il fatto che in questa cor rente vede pochi vantaggi e molte contraddizioni. Il suo intento è manifestamente quello di servirsi della Logica per liberarsi delle erronee dottrine che, in quel tempo, a suo avviso, impregna vano negativamente il classico sapere filosofico (lo psicologismo di J. S. Mili manca, per l'A. di una solida base razionale). Ma il suo tentativo è ancor più radicale, e per G. Gentile (op. cit.) addirittura eccessivamente progressista rispetto quello di altri. Sia G. Gentile (1921) che C. Cantoni (1869) ritengono che anche nell'ultima fase della sua produzione, questa sia rimasta di stampo teisti co. La componente progressista di cui parla G. Gentile, è dovuta al fatto che, rispetto all'Ornato 76, il quale sosteneva una fattispecie di teismo mi stico, che si fondava sul contatto diretto dell'anima con Dio, (ovvero so pra un "intuito" dell'Infinito reale), egli passa progressivamente ad un teismo razionale e tende a sviluppare un sistema propriamente filosofico. Questa posizione lo porta all'abbandono di assunti limitati e dogmatici ed anzi, in luogo di trincerarsi dietro l'acritica acccttazione di dogmi o prin cipi indubitabili (ad esempio quello della fede), si sforza di collegare il suo studio richiamandosi alle esperienze ricavate dalle scienze del perio75 Malgrado il testo sia stato pubblicato nel 1880 fu scritto tra il 1857 ed il 1860 (G. M. Bertini muore il 13 ottobre 1876) ed appartiene all'insieme delle opere postume pubblicata da A. Capello. Pure essendo stato per C. Cantoni, che con lui si formò, (1878 - si veda bibliografia generale) uno dei più acuti ingegni della cultura piemontese e, malgrado i modi diversi con cui furono lette le sue opere, anche se fu tenuto in grande considerazione da G. Gentile e P. Gobetti, i suoi lavori non ebbero mai un'ec cessiva divulgazione. Il tentativo di G. Gentile di ripresentare alcuni suoi lavori, inse rendoli nella collana Studi Filosofici da lui diretta (nel 1933 fu pubblicato Idee di una Filosofia della Vita con l'aggiunta di Scritti inediti) non ebbe il successo sperato. Per tanto l'intento di pubblicare altri suoi lavori nella stessa collana non ebbe seguito e gli scritti di Bertini furono collocati in secondo piano quando addirittura non furono completamente dimenticati. Occorre ricordare che G. M. Bertini, insieme a T. Mamiani nonché a M. Ceppino e P. Boselli si cimentò assai a lungo anche in campo pedagogico ed elaborò un progetto di riforma della scuola secondaria che prevedeva un'unicità della stessa limitatamente al primo grado. Il suo progetto, come quello degli altri Autori citati, non arrivò però in Parlamento. 76 Luigi Ornato (1787-1842) fu un filosofo ed un letterato piemontese attivo nel secondo e terzo decennio del secolo XIX dal quale G. M. Bertini fu inizialmente assai influenzato.
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do: a tale proposito dedica un importante settore della sua opera alla teoria dell'inventare e dell'insegnare e, per questo, rifiuta ogni forma ra dicale di apriorismo. Anche evitando in modo accurato di basare il suo lavoro sullo studio dell'esperienza del soggetto, non esita ad accennare al valore di questa già nell'Introduzione del testo in questione (op. cit., 1867). Anche se ribadisce però che il momento centrale del suo scritto è da ricercarsi nelle definizioni dell'Idea e del Concetto, sostiene che un tal fatto possa più facilmente accadere se ci formiamo delle possibilità di una loro rappresentazione. È questo, infatti, il mezzo che ci consente di pro durre le definizioni, elemento insostituibile per le nostre costruzioni scientifiche. Già in Idea di una filosofia della vita (1852) accennava a questi temi, ribadendo il ruolo primario che il concetto di definizione riveste per la costruzione di un sistema. Ogni definizione, per l'A., comporta sempre un triplice aspetto: ontologico, logico, morale. Ed è in loro virtù che noi siamo in grado di considerare unitariamente vari concetti parziali. Ad esempio, al livello ontologico, la filosofia è scienza dell'ente, scienza delle cause; a livello logico è invece la scienza delle ragioni ultime, delle verità prime, la « teoria delle scienze [...] derivata nelle sue conseguenze relative alla conoscenza » (27); a livello morale è invece « la medicina dell'anima » (ibidem) e la scienza della vita. Ora essendo il ruolo della definizione non ristretto soltanto all'aspetto concettuale, ma anche a quello rappresentati vo, ovvero comprendente una partecipazione attiva del soggetto nei con fronti di ciò in cui s'imbatte, emerge anche una valenza psicologica. In effetti il soggetto partecipa attivamente e costruttivamente alla decodifica ed all'interpretazione dei messaggi, delle informazioni, che gli provengono dall'esterno ed è quindi in grado di manipolarle meglio. A tale proposito l'A. (in Logica, op. cit.) è assai chiaro. La caratteri stica soggiacente a questi messaggi è infatti quella di poter essere in grado di darci una rappresentazione visiva di quello che ci si accinge a fare. Lo schema che egli propone per attuare un simile obiettivo (ed è questo ciò che egli chiama "Logica") concerne: a) il mettere in chiaro il contenuto di ciò che si conosce (definizione), e b) l'accrescere questo contenuto (argomentazione). Al punto b) egli fa corrispondere due operazioni del pensiero: e) illustrare correttamente il genere del soggetto di indagine (necessità) d) ampliare quello che già si conosce (possibilità immediata e/o mediata). L'A. esemplifica queste due operazioni, attraverso tre proposizioni:
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a.l) "II prodotto di due fattori non si altera mutandone l'ordine" (necessità); a.2) "In un triangolo rettangolo il prolungamento di un cateto oltre il vertice dell'angolo retto, fa angolo retto con l'altro cateto" (possibilità immediata); a.3) "Primo teorema di Euclide (possibilità mediata). Il lavoro di G. M. Berlini abbonda di simili esempi, ricavati dall'arit metica e dalla geometria elementare, perché il suo scopo è "fare vedere" determinati principi o concetti che, in caso contrario, richiederebbero un lungo e gravoso impegno per la loro comprensione. In altri termini l'Au tore, che non pretende di escludere la possibilità di un universo formale, dotato di propri principi e regole, ritiene tuttavia che un approccio alle scienze che faccia ricorso a rappresentazioni mentali delle osservazioni, e poi ad immagini mentali delle stesse, sia senza dubbio più produttivo. Un simile bisogno di esemplificazioni (e di semplificazioni) lo conduce a trat tare in questi modi anche figure sillogistiche derivate quali l'epicherema, il sorite, l'entimema. Emerge, anche in questo caso, un intento pedagogico che, a volte (come fa notare a proposito G. Gentile, il quale però non nasconde una favorevole accoglienza alle sue opere), corre il rischio di semplificare eccessivamente gli argomenti trattati, quando invece merite rebbero di essere discussi in modo più particolareggiato e, soprattutto, esaustivo.
5.2.4. Logica, ovvero strumento "per vedere" ciò che si percepisce della realtà. Rispetto a queste posizioni, che non sono certamente numerose nel periodo da noi esaminato, quella che invece è assai più frequente possia mo ritrovarla nei lavori di P. Tarino 77 (Istituzioni elementari di Logica e Metafisica del professar Pietro Tarino, 1874). L'Autore afferma che il pen siero è di per sé incoerente e superficiale: occorre pertanto la Logica per farci "ben pensare" e porre norme per "ben ragionare". Se la Metafisica stabilisce le norme direttive del pensiero e dell'azione, mentre l'Ontologia ha il compito di farci evitare gli errori nelle scienze, la Logica (e l'Etica) sono discipline "pratiche" e sono "in ordine al vero ed al bene": compren77 Filosofo piemontese che pubblicò gran parte dei suoi lavori a Biella. Il periodo della sua produttività letteraria è compreso tra il 1862 ed il 1897. Ricordiamo tra i suoi lavori: Istituzioni di filosofia morale (1862), La Logica (1872 - discorso), Problemi fon damentali delle scienze (1878), Compendio e quasi midollo di tutta la filosofia cioè logica, metafisica, etica e storia (1895).
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de in sé anche l'Antropologia sperimentale (operazioni dell'anima) e la Psicologia razionale che, insieme alla teologia naturale ed alla cosmologia, ci consentono di cogliere i vari aspetti dell'ordine dell'Universo. In questo senso, allora, non può trattarsi di una disciplina solo formale, ma deve anche essere "materiale", per il fatto che tratta non solo delle norme, ma pure degli oggetti a queste legati. Siamo di fronte ad un qualcosa che ci presenta, o meglio ci rappresenta, quelle che sono le interazioni tra il soggetto e l'oggetto e, pertanto, ci mostra quali sono gli altri atti che si devono compiere per accostarsi a tutte le altre conoscenze e ci indica quali sono le differenti strategie cognitive che dobbiamo adottare (si veda anche Gap. II 6.1.5. e Gap. Ili C). G. Puccianti 78 invece (Elementi della logica generale di Alessandro Paoli, 1867 - per l'opera di A. Paoli si veda cap. II) 79 -, sostiene che la Logica è una scienza di osservazione « che anco i pensieri son fatti, ed i fatti si debbono osservare, non già immaginare » (402): proprio per que sto, deve staccarsi completamente dalle «nebbie hegeliane» (391) e dai « filosofi positivisti » (ibidem). La differenza fondamentale è che questo gruppo di autori valuta la Logica come avente fini esplicativi ed eventual mente descrittivi delle facoltà cognitive, ma senza che questo implichi una componente "didattica" o "pragmatica". Il legame con la Psicologia si manifesta ancor più chiaramente: la Logica investiga le vie che il pensiero deve compiere per la ricerca della Verità. Questo sta però anche a signi ficare che tale disciplina non è il pensiero né lo crea, ma al contrario lo descrive; non produce le scienze, ma le segue con l'intento di ricercare « per quali vie e per quali modi si siano formate » (393): non è il pensiero diretto, ma « è un portato del pensiero riflesso » (ibidem). In tal senso la si deve separare e staccare completamente dalla Metafisica, in quanto deve esaminare ciò che il pensiero ha bisogno di attuare per raggiungere la verità. Questo però per l'A. non implica la ricerca di una protologia (si veda anche F. M. Falco, 1866), come sarà invece per il Gioberti, e neppu re della natura del pensiero, ma, al contrario, la sua indagine tenderà a mostrare quali siano le sue principali operazioni. Occorrerebbe, pertanto, 78 Giuseppe Puccianti (1830-1913), nacque a Pisa ed in questa città si laureò in Filologia ed in Filosofia. Fu professore di Lettere nel liceo Galileo Galilei di Pisa e successivamente docente di Lettere italiane nell'Università della città toscana. Tra i molti suoi scritti ricordiamo: La Poesia psicologica (1871), // realismo nella Poesia (1874). 79 II lavoro consiste in un articolo inserito in « Nuova Antologia di Scienze » , VI, 391-406.
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approfondire il tema della percezione intellettiva, come fece A. Rosmini, perché è questo lo strumento più idoneo per separare la Logica dalla Metafisica e fare della Psicologia la materia ad essa più collegata. E que st'ultimo è lo scopo principale che la tutta la serie di autori da noi citati si propose durante questo periodo storico, anche se i risultati non sempre furono i più soddisfacenti o quelli desiderati ed, a volte, raggiunsero il fine opposto. V. Pieralisi (Della filosofia razionale speculativa, 1878) 80 propone un'organica connessione tra Logica e Psicologia, anche se, L. M. Billia (Tre regole inesatte che si danno comunemente del sillogismo, 1889) dirà che lo fa respingendo, a torto, gli insegnamenti di A. Rosmini. In ogni caso V. Pieralisi dirà che se l'oggetto della Logica è « una scienza delle nostre conoscenze » (31), il suo fine è quello di « ben vedere » (ibidem), poiché solo a queste condizioni si scopre la verità. La Logica, che è la scienza della « conoscenza delle cose nelle loro razioni » (82) è il punto in cui il sapere giunge solo dopo aver amalgamato le tre facoltà che lo caratteriz zano e che sono la Percezione, l'Intelletto e l'Idea. La prima riguarda il nostro Essere e le cose materiali. L'A. non distin gue, come già aveva fatto M. Liberatore nel 1855 (op. cit.), la sensazione dalla percezione, ma, in compenso, suddivide quest'ultima in interna ed esterna: ognuna di queste sarà riferita sempre ad oggetti distinti ed è connotata da differenti modalità di esplicazione. Parecchie percezioni non sono in grado di darci un'idea dell'oggetto, o della situazione, in cui ci imbattiamo perché avremo solamente una visione di componenti parziali dello stesso, senza poterne ricavare una concezione totale. Sarà compito dell'intelletto, in virtù della facoltà di astrazione a lui specifica, ricavare una relazione tra le percezioni, col fine di fornire una visione unitaria dell'oggetto (della situazione) stesso. Infine si ha l'idea, ultima facoltà cognitiva, che sta alla percezione come l'effetto sta alla causa, ovvero che inizia quando quest'ultima finisce. Tutti gli A., da noi posti in 5.2., si preoccupano di tenere ben separati e divisi i campi di applicazione di Logica e Psicologia, anche se si sforzano di ricondurre tali discipline a comuni presupposti. Sussiste infatti la preoc cupazione di mostrare come le due discipline non siano certamente distac80 Venceslao Pieralisi. Religioso dei minori riformati concentra le sue pubblicazio ni nel periodo tra il 1874 ed il 1883. Tra le sue altre opere, oltre a quelle citate nel testo: La filosofia razionale pratica, ovvero dei Doveri Naturali (1874), Institutiones logicae ac metaphysicae (1882), Institutiones philospohiae rationalis praticae, seu de officis naturalibus (1886 - postumo).
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cate tra loro, ma che anzi in esse si possa ritrovare un fondamento comune alle varie forme del sapere. Le posizioni, a questo riguardo, sono le più disparate e si distribuiscono come un ventaglio assai frastagliato. Probabilmente una delle affermazioni più sfumate, rispetto a quelle sino a questo momento riportate, la troviamo in G. Amenduni 81 (La logica nella scienza e nella vita, 1879). Egli non accetta le conclusioni dei soste nitori della Logica inventiva, in quanto sono giudicate troppo estremiste, troppo "staccate" da un vero procedimento di indagine rigorosa, e dun que poco attendibili per ciò che concerne i risultati. A suo avviso invece la Logica, ovvero la « scienza delle leggi che governano il nostro pensiero nel riconoscimento delle cose » (8), « ha insieme dell'oggettivo e del sog gettivo, dell'ideale e del reale, del formale e del materiale » (ibidem). Sic come i due errori che hanno accompagnato tale disciplina sono stati, per l'A., l'idealismo trascendentale kantiano e quello assoluto di Hegel, ne consegue che essa « ha il suo giusto posto tra la psicologia e l'ontologia » (ibidem) o, usando altri termini certamente meno tecnici ma più compren sibili, tra l'anima e l'essere. A questo punto bisogna trovare uno strumento od indicare una stra tegia operativamente valida che ci consenta di saldare tra loro questi due aspetti essenziali. Per l'Autore è la riflessione lo strumento che ci consente di accordare soggettività ed oggettività, perché grazie ad essa « in ogni specie di ragionamento si raggiunge il vero » (9). La collocazione della Logica tra l'empirico e lo speculativo è da intendersi come il tentativo di ritagliare uno spazio che le permetta una propria produttività e le garan tisca una sua specifica autonomia, facendola divenire « la scienza che rac coglie e dispone ordinatamente le leggi secondo le quali procedono le riflessioni » (ibidem) ed attraverso cui « si raggiunge il vero e si evita l'errore » (ibidem). Un'analoga correlazione tra Logica e Psicologia la troviamo anche in G. Caroli 82 (Logica con nuovo metodo, 1876 - si veda cap. III). A suo avviso 81 Giuseppe Amenduni. Oltre l'opera citata conosciamo solamente: La metafisica e la scienza (1879). 82 Gian Franco Nazareno Caroli (1821-1899). Entra giovanissimo nell'ordine dei Minori Conventuali con il nome Giovanni Maria. Studia ebraico e caldaico: nel 1843 entra in contatto con Rosmini (per il quale parteggia nella querelle filosofica di quest'ul timo con il Gioberti) e si laurea in Filosofia nel 1846 a Bologna nel Collegio di San Bonaventura. Sempre nello stesso anno diviene membro del collegio filosofico-matematico di Ferrara (Università Pontificia). Dopo il 1851 si raccoglie nel convento francesca no di Bologna, dedicandosi allo studio del magnetismo animale. Nel 1859, quando gli Austriaci lasciano Bologna, collabora con il Comitato liberale, seppure mantenendosi in
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il principale vantaggio che la scienza ricava dal corretto uso del sillogismo (che per l'Autore non è la sola Logica, ma è certamente quella più pura e sicura) è la certezza, la quale, tuttavia, è un argomento specificatamente e solamente psicologico. A seconda del campo sul quale effettuiamo le no stre esperienze, corrisponderanno differenti tipi di certezza: ogni materia avrà allora la sua Logica (ne parleremo più diffusamente nel capitolo III). In altri termini gli Autori di questo sottogruppo paiono farci un ragiona mento del genere: tutte le scienze nascono dall'esperienza ma non occorre molto ad accorgersi che al loro interno vi sono elementi, situazioni, e dun que concetti più pregnanti di altri. La Logica deve occuparsi di questi ultimi: ma proprio a causa della loro natura (ricavati e generalizzati tramite procedimenti empirici) deve lavorare su temi psicologici.
5.2.5. Psicologia generatrice della Logica (approcci empirici). Con gli ultimi due decenni del secolo XIX la posizione 5.1. tende ad inglobare la 5.2.1 principi della cultura positivistica hanno ora decisamente preso il sopravvento anche in Italia: si confina tutto quello che non è em piricamente verificabile in un universo filosofico o speculativo, col quale è sempre possibile confrontarsi, a patto di non ritenerlo parte dell'attività scientifica. Si cerca di "spiegare" qualsiasi fatto, facendo ricorso a strumen ti e mezzi controllabili e manipolabili empiricamente. Il problema è ora esaminare come le facoltà cognitive e mentali dell'individuo agiscano e si strutturino e non più quali siano le cause e le ragioni prime di questi accadimenti. Proprio per questo gli Autori del periodo tendono, in massima parte, non solo a postulare una base organica a fondamento di qualsiasi attività intellettiva, ma affermano anche come quest'ultima si presenti, in ultimo, come un riflesso, od una conseguenza, della prima. È ovvio che in una tale situazione i rapporti tra la Logica e la Psicologia siano condotti ad essere del tutto ribaltati e, a volte, ad essere addirittura superati. Infatti anche se nell'ultimo decennio del secolo assistiamo ancora al tentativo, per posizioni sempre moderate: tuttavia questo non gli impedisce di abbandonare l'ordine religioso cui apparteneva e farsi laico. Dopo avere insegnato Filosofia al liceo Ludovico Ariosto di Firenze (1860) si fa trasferire al Sud dove insegna al liceo Giannone di Benevento e Giordano Bruno di Maddaloni. Nel 1879 infine approderà al liceo Vittorio Emanuele di Napoli dove lavorerà sino al termine della sua attività (1888). Egli compose un vastissimo numero di lavori, ma una posizione filosofica, che possa dirsi tale (natu ralismo, psicologismo), comparirà solamente nell'ultimo periodo del suo lavoro. Tra le sue opere oltre quelle citate, ricordiamo: Lezioni di filosofia (Bologna, 1863), Piccola Psicologia (Napoli, 1878), Neologia (Napoli, 1897), II pensiero filosofico (Napoli, 1899).
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altro sempre più limitato, di individuare uno spazio nel quale far interagire queste due discipline, tuttavia la Logica è intesa come una tra le tante modalità del sapere, magari la più perfetta, con cui si esplicitano le strut ture primarie di ordine biologico e psicologico, che ogni soggetto possiede. Un esempio, a tal proposito, ci è fornito da L. Severini 83 (Della Logica induttiva nei suoi rapporti colla fisiologia, 1881), il quale rivendicherà come solo una ricerca che si distacchi da qualsiasi componente metafisica e si fondi su dati empiricamente controllabili possa realmente dirsi scientifica. In questo caso l'Autore, che è un medico in accordo con le tesi positiviste, si rifa esplicitamente a J. S. Mili, E. du Bois Reymond, ed a A. Bain, ritenendo che occorre intendere i principii generali del ragionamen to ponendosi ad un livello empirico e che non bisogni confondere que st'ultimo con ciò che è invece pertinente alla filosofia. Il breve trattato (51 pagine) trae spunto da una questione relativa al principio di ragion sufficiente (G.G. Leibniz) ed alle sue possibili relazioni con il ragionamento induttivo. A suo avviso questo problema investe una questione fondamentale di tipo logico, riguardante l'interpretazione del principio di causalità e non deve assolutamente richiamarsi a concetti di natura metafisica come quello di spirito e materia. Ma proprio per questi motivi, ovvero quando si è in grado di stabilire la disciplina alla quale certi concetti appartengono e sono a questa pertinenti, non conviene, ed anzi è dannoso, espandere il loro raggio di applicazione. Ed allora, come oc corre attribuire alla Logica dei concetti a lei propri e non confondibili con problemi metafisici, allo stesso modo occorrerà stabilire, una volta per tutte, quello che appartiene alle materie sperimentali e preservarlo da contaminazioni speculative. Quando allora si parla di causalità applicata alla ricerca scientifica sperimentale, questa deve avere nulla a che fare (non deve essere assolutamente combinata) con il principio di ragion suf ficiente. « Noi dobbiamo riconoscere con J. S. Mili che la sola nozione di causalità, di cui abbisogna la teoria dell'induzione, è quella che può essere acquistata con l'esperienza » (22). Su posizioni assai simili si porrà anche G. Cesca 84 (L'origine del prin83 Luigi Severini. Oltre all'opera citata nel testo conosciamo solamente: Sulla misura del tempo e della quantità nella vita psichica (1871). 84 Giovanni Cesca (1858-1908), è fautore di un individualismo contrario ad ogni forma di assolutismo. Si impegna in campo pedagogico sostenendo una polemica vio lenta con i testi di J. J. Rousseau. Tra i suoi lavori: L'evoluzionismo di Erberto Spencer (1883), La dottrina kantiana dell'apriori (1884). Inoltre tra il 1884 ed il 1890 compone vari articoli per la Rivista di filosofia Scientìfica.
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àpio di causalità, 1885) il quale, anche se cita le difese che Lange e Schulz facevano dell'apriorismo kantiano, ribadirà la natura sperimentale che un tale principio deve possedere e, per questo, sarà più opportuno presentar lo come « potere efficiente » (58). La sua definizione del principio di causalità, per cui « ogni evento deve avere la sua causa ed esprime quindi la necessità logica in cui ci troviamo di supporre e di cercare la causa di ogni fenomeno » (2) e degli elementi che lo compongono (ricerca della causa soggiacente a nozione di causa e sua determinazione), è, per l'A., completamente rinvenibile in J. S. Mili, colui che, a suo avviso, risolse in maniera corretta la dicotomia teoria/pratica (e, potremmo aggiungere, Logica/Psicologia) che ancora costellava il panorama scientifico. In ogni caso per l'A. non ci si può limitare, come voleva A. Compte, a studiare la semplice successione fenomenica, ma occorre anche prendere in esame il motivo della stessa (tuttavia senza tentare di costruirlo attivamente, ma limitandosi ad attestarlo). Solamente in questo caso il principio di causalità riuscirà a cogliere le leggi fondamentali che stanno alla base dell'ordinamento dei fenomeni (per l'Autore si tratta "dell'interno" dei fenomeni) e presiederà a tutte le loro caratteristiche per renderle oggettive. Ancor più chiaro sarà il caso di A. Andreasi 85 (Arte logica, 1882) che ritiene che la Logica sia un'arte che estende la propria influenza su tutti i processi mentali e consiste in un insieme di regole sistematizzate rigoro samente con lo scopo di indirizzarci alla verità. Il suo dominio sono le operazioni mentali e l'obiettivo è quello di controllarle, governarle e dirigerle. Non solo, ma se la Logica è una facoltà unicamente propria del pensiero, il linguaggio « è la sorgente più feconda di errore » (72). Senza un'adeguata esercitazione propedeutica della mente, che ci preservi dagli errori dovuti alla memoria, all'immaginazione ed agli stessi sensi, si corre il rischio di fare confusione tra parola e sostanza con il rischio quindi di « accusarsi d'errore, quantunque si sia d'accordo nella sostanza, perché non ci si intende sulle parole» (73). Ora, malgrado queste posizioni ed alcune riflessioni filosofiche che lasciano intrawedere tematiche hegeliane (la ragione rappresenta infatti l'Assoluto in quanto comprende il Contin gente ed il suo opposto il Necessario), l'A. sostiene come sia solamente 85 II periodo della sua produzione letteraria più interessante va dal 1869 al 1884. Ricordiamo: Brevi risposte al programma di filosofia per gli esami di licenza liceale (1869), L'educazione della volontà (1879), L'igiene dei sentimenti (1883), Sull'esistenza di una legge morale (1884).
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dalla percezione esterna (ovvero dai sensi) che occorre partire per studiare tutte le facoltà mentali del soggetto ed è solo a questa condizione che si potrà parlare delle primarietà del pensiero. E questo malgrado che per l'A. la percezione esterna non ci conduce al di là di quello che la provoca: si tratta, tuttavia, del solo mezzo di cui l'uomo dispone per conoscere o, più precisamente, per iniziare a conoscere la realtà circostante. Le altre facoltà intellettive, derivate dall'attività psichica, sono: memoria, da intendersi come "ricordanza", che ci consente di concepire figure perfette (quali quelle geometriche); induzione, attraverso la quale possiamo giungere alla conoscenza di tutte le proprietà degli oggetti; ragione, che sorpassa la contingenza delle precedenti facoltà in quanto possiede l'idea del Neces sario. Si aggiungono altri processi mentali (astrazione, generalizzazione, giudizio, ragionamento) che tuttavia, per l'A., sono operazioni secondarie ed in ogni caso collegate all'attività percettiva, della quale costituiscono un maggior ampliamento e perfezionamento. Preporre uno studio psicologico a quello logico, significa dunque cercare di comprendere che cosa mai sia un ragionamento, un giudizio, una riflessione, solo dopo avere indagato come questi si generino e si formino. Occorre sottolineare come gli Autori, che affrontano questi ar gomenti, pure rintracciando in uno studio di tipo organicista il punto dal quale occorre partire per esaminare le attività cognitive del soggetto, de notino come "culturale" l'attività percettiva. Non solo, ma è proprio gra zie ad una simile natura della percezione che essi possono ricercare le basi "naturali" dei processi psichici, senza per questo escludere od un'unicità dell'Idea od una primarietà dello Spirito. Ma oltre a ciò, e questa è la cosa importante, si ribadisce con vigore che quest'ultimo diviene ora un altro problema, che poco o nulla ha a che fare con una ricerca che voglia dirsi scientifica. Il rischio è quello in cui cadde già lo stesso Wundt di proporre posizioni teoriche che, in quanto troppo rigide, conducono a contraddi zioni le quali, una volta esplose, inquinano irrimediabilmente tutto il lavo ro svolto (e dunque anche le parti valide a tutti gli effetti). In tale maniera, alcuni anni dopo, presenterà le sue argomentazioni anche G. Dandolo 86 in II Concetto della Logica Positiva (1885) e, soprat tutto, in modo più sistematico, in Appunti di filosofia per i Licei (1894 e 86 Giovanni Dandolo (1861-1908) Vedi nota [32] del capitolo IL Tra i suoi lavori ricordiamo: Intorno al numero (1896), La conoscenza nel sonno. Studio di Psicologia (1899), La forma di persistenza dell'esperienza psichica (1900), Studi di Psicologia e di Noseologia (1905), Senso ed Intelletto (1906), La funzione gnoseologica della rappresen tazione (1907), Intorno al valore della scienza (1908).
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1897) 87 , ove si richiama espressamente al lavoro di L. Severini (1881). Anche in questo caso si pone completa fiducia nella teoria positivista e si inizia lo studio partendo dalla Fisiologia, cui segue quello della Psicologia sperimentale, scienze che concernono la genesi e la formazione dei feno meni cerebrali (per l'A. si tratta dell'Anima e dello Spirito), a partire dai quali è possibile comprendere l'evoluzione di tutte le attività del soggetto. L'intento dell'A. è chiaro: si inizia con lo studio fisiologico del sistema nervoso, corredato da un discreto numero di osservazioni anatomiche, condotte con una precisione certamente più rilevante dei suoi colleghi di studio. In seguito si ha una discussione sulla posizione delle correnti innatiste o genetiche a proposito della sensazione (che è suddivisa in esterna, muscolare, della vita organica): pure evitando di assumere posizioni defi nitive, traspare la netta adesione dell'Autore per la seconda corrente cita ta. In un terzo momento, dichiarandosi d'accordo col suo maestro Ardigò, propone una distinzione tra il concetto di percezione (la quale richiama alla mente idee già pre-esistenti) e quello di rappresentazione (riproduzio ne di sensazioni in mancanza di stimoli primitivi, che pure l'hanno origi nata). Procedendo in tal modo egli definisce la conoscenza « come condi zione primitiva e primaria del fenomeno psichico » (159), mentre l'incon scio e/o il subconscio, termini da lui introdotti senza alcuna esitazione e/ o prevenzione, hanno una spiegazione unicamente fisiologica. Partendo da queste basi egli compie ricerche sufficientemente valide a proposito dei processi che presiedono alla messa in atto delle diverse facoltà cognitive. In questo modo, e soprattutto con questo intento, che possiamo intendere come una ingenua, ma non per questo meno interes sante ricerca psicogenetica, egli studia come si generino e si formino i concetti di causa, legge naturale e, particolarmente, quello di numero, dimostrando di essere a conoscenza delle ricerche a lui contemporanee su tali temi. È il meccanismo dell'astrazione il punto che segna il passaggio dalla Psicologia alla Logica: pure avendo un'origine organico/psichica ci pone a confronto con una forma semplice, ovvero "mentale superiore", che è il concetto, definito come « unità delle note essenziali di una cosa » (171, ed. 1897). Rispetto ad Andreasi (1882), che pure le assegnava un ruolo importante ma secondario ed, in ogni caso, legato all'attività psico logica, l'Autore assegna a questa facoltà intellettiva una rilevanza assai 87 L'articolo del 1887 (op. cit.) è un lavoro di 26 pagine che compare sulla Rivista di Filosofia Scientifica del marzo 1887, e contiene l'introduzione ai primi due capitoli di 1894-1897 (op. cit.), ovvero "Psicologia: le sensazioni" e "Logica: il concetto".
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maggiore, collocandola ad un livello metapsicologico e, fatto ancora più importante, quasi accennando ad una dinamica evolutiva della stessa. Sempre Dandolo (1885) compie importanti studi sulla memoria, in quanto è convinto che questa, intesa come coscienza dell'organismo e delle sue modificazioni, sia in grado di spiegare tutto il mondo psichico: per questo si dedica allo studio delle leggi mnemoniche, dell'oblio, del riconoscimento, della localizzazione, del rapporto tra memoria ed identità personale. Siccome egli orienta sempre di più i suoi studi verso la fisio logia del cervello con l'intento di liberare il campo della Psicologia dal problema di un'esperienza psichica non trattabile da un punto di vista psicofisico, deve tuttavia sforzarsi di superare il problema dell'esperienza immediata, in quanto la memoria imprime nella coscienza un riferimento che non è il contenuto specifico della sensazione stessa. Per potere fare questo egli deve ammettere che il primo dato psichico, ovvero la sensa zione, non è in grado di elevarsi alle forme superiori della psiche: deve allora comportare qualche cosa di nuovo e deve, di conseguenza, essere un'attività organica più elevata. A questo punto egli stabilisce una dina mica, un'energia mentale (quasi una specie di vitalismo), dove la memoria consente di passare dalla sensazione, alla percezione, alla sintesi percettiva. Sono questi i punti meno chiari del suo lavoro. Infatti per spiegare una tale dinamica egli ricorre ad una non ben precisata sinergia di parec chie funzioni cerebrali: l'atto essenziale della memoria sarà allora il porsi in rapporto con l'energia mentale che trasforma una sensazione in perce zione. Rispetto a R. Ardigò, per il quale la percezione altro non era se non un esperimento psicologico riconducibile alle semplici associazioni, egli si pone in una posizione più intellettualistica, che di fatto è un superamento del positivismo, inteso come intuizione naturalistica del mondo. Ma egli non si avvede di questo problema: anziché indirizzarsi verso una posizione fenomenologica, che gli avrebbe anche consentito di esaminare più ampia mente il rapporto tra la Logica e la Psicologia, al contrario « camminò sempre sull'orlo di un precipizio, in fondo al quale era l'idealismo e la metafisica da lui costantemente oppugnati, e procede, franco, sicuro, bea to di concorrere la parte sua nell'incremento del positivismo » (G. Gen tile, 1921, II, XI, 7, 356).
5.2.6. Psicologia generatrice della Logica (approcci teorici). Negli ultimi anni del secolo è presente anche una serie di autori che, non solo accettano completamente la tesi che stabilisce la primarietà della
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Psicologia sulla Logica e la derivazione di questa dalla prima, ma tendono anche a dare una giustificazione ad un tale argomento che non si limiti ad un approccio empirico ma implichi pure una spiegazione filosofica. Non si tratta, in ogni caso, di scienziati eccessivamente innovativi né, d'altro canto, di filosofi di statura particolare. Nel primo caso, infatti, non sareb be stato in alcun modo importante voler giustificare filosoficamente quello che la scienza mostrava (quest'ultima, infatti, aveva come presupposto il non ricorrere a spiegazioni filosofiche o, come dicevano seppure molto superficialmente gli studiosi dell'epoca, metafisiche). Nel secondo caso il problema era ancora più rischioso: l'indagine, o meglio la giustificazione filosofica di una scienza, acquista valore alla condizione che sia ricercata e condotta all'interno della scienza stessa in esame, perché altrimenti con duce ad improduttive e ripetitive speculazioni. Ma per fare questo occorre che siano ben definiti i dominii della disciplina in questione ed allora la Psicologia non si trovava certamente in questa posizione. Gli studiosi in questione non solo non si rendevano conto dei due problemi ora accennati, ma il loro obiettivo si spingeva ancora più oltre. Infatti, stabilite le differenze che sussistono tra la Logica e la Psicologia, intese nel senso tradizionale, si tratta ora, non tanto o non solo di ribadire la primarietà dell'una rispetto all'altra, ma anche di individuare uno spazio d'indagine comune rispetto al quale compararle e sul quale farle interagi re. Evidentemente all'epoca in cui si pongono questi principi, da un punto di vista teorico è elemento estremamente difficoltoso lo stabilire i ruoli che tali materie debbono svolgere e questo giustifica lo scarso valore che han no i loro scritti. Tuttavia, da un punto di vista storico, ci sembra impor tante che la questione si presenti in modo assai frequente: il fatto che compaia anche negli scritti minori da noi esaminati ci persuade dell'impat to positivo che questa problematica aveva alla fine del secolo scorso nella cultura del nostro paese 88 . A. Valdarnini (Elementi scientifici di Psicologia e di Logica, 1888) è certamente un buon esempio per illustrare la comparsa di simili interro88 Questo fatto ci sembra assai importante, poiché si cominciano a gettare le basi di quella che sarà la futura Psicologia Genetica di J. Baldwin (Menta! Development in thè Child and in thè Race, 1895). Sono proprio questi i punti essenziali che costituisco no anche le basi delle successive ricerche di J. Piaget il quale, seppure si sia sforzato di adottare ripetutamente i risultati, di volta in volta raggiunti, alle differenti situazioni culturali che attraversò durante la sua lunga attività, non mise mai in dubbio questi principi. Non bisogna oltretutto dimenticare che J. Piaget nasce nel 1896 e si forma, come biologo, in un ambiente culturale fortemente impreganto da queste teorie le quali erano allora assai seguite e studiate.
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gativi nel panorama culturale italiano. Per l'A. Logica e Psicologia fanno parte della Filosofia Teoretica. La prima non è un'arte, per il fatto che sarebbe altrimenti inclusa nelle scienze pratiche, ma è la "scienza dell'arte del vero" poiché indaga le leggi del pensiero in relazione con la verità oggettiva. In questo senso, allora, oltre che seguire alla scienza, svolge contemporaneamente il compito di introdurre il soggetto alle operazioni scientifiche, con lo scopo di garantirgli che queste siano "logicamente" conseguenti e necessarie. La seconda invece concerne « fatti e potenze e leggi » (15) dello spirito umano. Ogni ricerca scientifica deve quindi par tire dalla Psicologia, in virtù del fatto che l'uomo che vuole conoscere gli altri deve iniziare a conoscere se stesso. Ora se la Logica ha il compito di studiare il pensiero e le sue leggi in rapporto al Vero, la Psicologia studia come si forma il pensiero: questo il motivo per cui la seconda materia precede cronologicamente la prima. In altri termini: se occorre cercare con accuratezza le relazioni tra gli atti della conoscenza e gli oggetti conosciuti (compito della Logica), pos siamo arrivare a questo risultato solo grazie allo studio dei sensi, dell'in telletto e della facoltà dell'Anima (compito della Psicologia), ovvero degli elementi che fungono da propulsori per qualsiasi attività, anche la più concettualmente elevata. A questo proposito l'Autore è categorico: non ci si deve mai dimenticare di questa gerarchla anche quando si affrontano temi sempre più specifici e particolari che, apparentemente, tendono a farla scomparire. Le due discipline così intese, non solo sono strettamente correlate e connesse tra di loro, ma assumono anche una funzione pro pedeutica, attraverso cui affrontare le varie forme del sapere. Vale a dire che le si intende più come mezzi atti a conoscere che non oggetti della conoscenza. Malgrado contenga elementi interessanti occorre leggere criticamente la posizione di Valdarnini: la sua ci pare una riduzione ed una restrizione dello spazio che Logica e Psicologia assumono, in quanto scienze. Se in fatti è del tutto valido attribuire un ruolo essenzialmente operativo ad entrambe, il rischio è proprio quello di non indagarle in maniera appro fondita: in questo caso allora si disattenderebbero gli eventuali obiettivi che l'Autore si era prefisso. Se si trattava di lavorare sull'esame delle due discipline il compito non è stato certo condotto a termine in maniera sufficiente; se, al contrario, egli si prefiggeva di proporre una filosofia della conoscenza, non ha dedicato eccessiva attenzione e non si è preoc cupato di elaborare sufficientemente quelli che, a suo avviso, erano i mezzi con i quali realizzarla.
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In A. Ferrata (Logica critica ed Ontologia, 1895) 89 probabilmente ci si imbatte in una maggiore componente psicologista ancor più rilevante, ma si osservano tuttavia le stesse preoccupazioni che abbiamo trovato in A. Valdarnini (1888). È questo uno scritto che vuole precisare ed approfon dire quanto l'A. aveva già tentato di affermare quattro anni prima in Osservazioni sulle leggi della conoscenza (1891) lavoro nel quale pretende va di mostrare come "naturale", ovvero logicamente codificata, l'attitudine ad organizzare e sistematizzare i dati ricavati dall'esperienza 90. In 1895, partendo da questi presupposti, si sottolinea che la Logica è una parte della teoria della conoscenza: « dall'incontro o concorrenza del subbietto coll'obbietto, nascono gli atti conoscitivi onde si occupa la Logica » (17). Questa disciplina ha così il compito di regolare gli atti mentali attraverso cui ci è permesso di conoscere il Vero, elemento che costituisce la finalità stessa di tali atti: si tratta, in altre parole, di un insieme di regole, o leggi che, se scrupolosamente seguite, impediscono alla mente di cadere nell'er rore. Quest'ultimo, a sua volta, è da intendersi quale fatto accidentale, ma tuttavia inevitabile, perché il soggetto, proprio in quanto essere umano, non è certo perfetto. In ogni caso l'errore (l'Autore tende a renderlo sinonimo di contraddizione) può essere un valido strumento che accresce e rende più attendibile le nostre conoscenze qualora, una volta che sia stato riscontrato, venga analizzato e studiato approfonditamente. Sulla stessa lunghezza d'onda dell'Autore (op. cit.) troviamo, già al cuni anni prima, anche R. Benzoni (La Filosofia ai nostri giorni, « Filoso fia », Rassegna Siciliana, I. F. S., 1, 1890, Palermo) 91 , il quale cerca di approfondire, attraverso una breve rassegna storica, il rapporto tra la fi losofia e la scienza. A suo avviso la Logica è connotata in modo fortemente psicologico e, dichiarandosi del tutto d'accordo con le speculazioni di Herbart, si professa una completa adesione al metodo sperimentale di Wundt, Ardigò e A. Riehl. Una posizione più decisa ed argomentata in modo certamente più preciso è invece assunta da G. Marchesini (Elementi di Logica secondo le 89 È il solo testo di Angelo Ferrata che siamo riusciti a trovare. Anche in Biblio grafia Filosofica Italiana 1850-1900 compare solo lo scritto da noi riportato e consultato. 90 In particolare dal capitolo VI sino al capitolo XI in cui si discute della mente e delle sue funzioni come strumento per la conoscenza. 91 Roberto Benzoni, particolarmente attivo nel nostro secolo, è ordinario di Filo sofia teoretica presso l'Università di Genova. Interessante è lo scritto Recenti conquiste e nuove battaglie del pensiero filosofico (Genova, 1904), in cui tratta specificatamente del concetto di epistemologia.
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opere di R. Ardigò, J. S. Mili ed A. Barn, 1896) 92 che riprenderà queste tesi affermando come la Logica deve occuparsi dei rapporti formali e materiali tra (e delle) idee, assumendo queste ultime come già costituite, mentre la Psicologia è deputata ad occuparsi di come le idee si formano. Questo sta a significare, in maniera ancora più rilevante, che la Logica trova i propri fondamenti nella Psicologia. Se, infatti, la Logica « è scienza ed arte a un tempo, è teorica e pratica, e tratta anche con la critica, delle operazioni intellettuali e sperimentali dell'uomo nella ricerca della verità » (1), la Psicologia, in quanto si occupa della genesi delle idee, e permette di rico struire il criterio di verità, deve essere ritenuta come la disciplina dalla quale si deve iniziare qualsiasi studio. Per questo l'induzione sarà il me todo per eccellenza che ci consente di accrescere la nostra cognizione. Proprio per lo stesso motivo ogni conoscenza che pretenda di essere scien tificamente valida deve sempre andare dal particolare all'universale e mai all'opposto, poiché, in tale caso, si ritornerebbe immediatamente in una prospettiva speculativa. A tal proposito egli ribadirà che « l'origine degli enti astratti... è nell'osservazione e nell'esperienza » (195) e senza quest'ul tima non possono esservi i concetti di numero, superficie, solido, etc. In altri termini è necessario che i nostri pensieri siano ricondotti con ordine cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi, per salire poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza dei più composti » (195). La Logica, a questo punto, è l'apice delle conoscenze, in quanto presuppone come certe e sicure parecchie cognizioni, che il soggetto si è costruito in precedenza. Lungi dall'essere una disciplina analitica, ovvero concettuale, è invece sintetica per eccellenza in quanto riassume ed ordina quelle che sono le caratteristiche invariabili che ogni soggetto deve posse dere: ma queste non sono già date, bensì sono gradualmente costruite ed inoltre, essendo del tutto legate, o meglio, dipendenti dall'evoluzione del sapere nelle sue varie forme, non sono fisse e statiche ma in continua formazione e trasformazione. In questo caso, più che il tentativo di individuare un campo comune alle due discipline, come aveva tentato di fare A. Valdarnini (1888), si tratta 92 Giovanni Marchesini (1868-1931), dopo aver insegnato alle scuole medie, è incaricato di Filosofia del Diritto all'Università di Ferrara. Dopo il 1902 insegna Filo sofia morale a Padova e dal 1922 è docente di Pedagogia nella stessa Università. Tra le altre opere: La crisi del positivismo ed il problema filosofico (1898), Le funzioni dell'anima. Saggio di etica pedagogica (1905), L'intolleranza ed i suoi presupposti (1909), La dottrina Positiva dell'idealità (1913), I problemi fondamentali nell'educazione (1917), // relativismo nella morale (1923).
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di "riordinare" lo schema nel quale dovevano essere presentate le scienze. Il nuovo ordine gerarchico, testimone del ribaltamento tra le due materie in questione, è mantenuto anche da chi si sforza ancora di stabilire o riba dire una certa autonomia tra le due discipline: tuttavia per ciò che concerne la loro genesi non sembra che si debbano sostenere altre discussioni. Ad esempio N. D'Alfonso 93 , (Principi di logica reale, 1894) paragona la Psicologia con la Logica dove la prima, in quanto più semplice ed elementare, è da anteporsi cronologicamente alla seconda. L'impostazione psicologistica dell'A. è ancora più evidente quando sostiene che occorre abbandonare il termine di Idea e sostituirlo con quello di rappresentazio ne psicologica e di rappresentazione logica, dove la prima è collegata a fatti individuali e nozioni particolari, mentre la seconda riguarda la cono scenza di tutte le strutture e di tutte le caratteristiche essenziali e necessarie di un oggetto. Non solo, ma bisogna sempre ricordarsi che è la biologia la scienza alla quale dobbiamo rifarci per aver le conoscenze fondamentali della realtà e che, anche se esiste una sfera logica che si distingue da una sfera sensitiva, « in generale si può dire che l'oggetto della percezione, ovvero la rappresentazione di esso principia a mostrare il primo movimento logico allorché cessa di apparire innanzi al soggetto come risultante di una sola qualità naturale, ma apparisce come distinto in due o più qualità connesse in qualsiasi modo fra di loro ed allora si ha la forma primitiva di rappresentazione logica» (14). Fondamentalmente la Logica è distinta dalla sensitività solo in quanto è in grado di potersi applicare contemporaneamente a più dati, ovvero di connettere tra di loro un sempre maggior numero di qualità: in questo passaggio dal semplice al complesso si avrà dapprima una Logica meccanica (od estrinseca), una Logica chimica (od intima) ed, infine, una Logica organica. Si tratta allora di un ampiamento, seppure consistente, di un'identica facoltà che tutti i soggetti possiedono. La sfera logica, intesa in tal modo, è ripartita in livelli di crescente complessità a seconda del numero di qualità che vengono connesse e poste in relazione (e l'A. arriva a sostenere che tale sfera è presente, seppur in forma infima, anche nell'animale). Egli ci fornisce un esempio quando parla del giudizio, che è definito come costituito da tre elementi: due fatti inerenti ad un oggetto ed un atto 93 Nicola D'Alfonso è un filosofo attivo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Tra i suoi lavori del secolo scorso ricordiamo: Saggi di Pedagogia. Il problema morale. Il problema dell'educazione della donna (Torino, 1883), II problema dell'educa zione religiosa (Torino, 1887), Lezioni elementari di Psicologia Normale (Milano, 1890), Sonno e sogni: Studio psicologico (1891), Psicologia del linguaggio (1899).
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psicologico che li connette. Ora il giudizio, in quanto figura logica, è costituito da un atto contenente contemporaneamente questi tre fattori, ma la copula, che è l'elemento principale del giudizio, è da considerarsi come un atto squisitamente psicologico. Dato il modo con il quale è co struito, lo stesso atto psicologico implica, contemporaneamente, anche un'analisi ed una sintesi degli elementi che lo formano e lo compongono. Non sappiamo, ma il fatto che l'Autore non li citi mai è assai signi ficativo, se egli sia a conoscenza della corrente fenomenolgica ed in par ticolare dei lavori di Brentano: ci sembra in ogni caso che, quando egli parla di atto psicologico, faccia probabilmente ricorso al valore che questa espressione aveva per il filosofo di Marienberg (Renania), poiché ciò gli consente di uscire dalle difficoltà in cui la sua ricerca l'aveva inevitabil mente condotto. Egli si sforza, in ultimo, di garantire una certa oggettività alla ricerca psicologica, condizione indispensabile perché questa possa dirsi scientifica. Per ottenere un tale risultato occorreva, in altri termini, uscire dall'impasse dell'associazionismo che si fondava sul rapporto con creto tra stimolazioni differenti, e rendere più "mentali", ovvero elaborate da istanze interne dell'individuo, le risposte che questi forniva a determi nati stimoli. Con ciò si vuole dire che quando il soggetto afferma, ad esempio, che sta vedendo un colore, è "il vedere", atto specificatamente mentale, ciò che occorre considerare, non già il colore in quanto tale, che è un elemento specificatamente fisico. Perché questo atto si compia è necessario che abbia un significato: occorre allora che il vedere riguardi qualcosa, un oggetto. In tal modo si attribuisce rilievo primario all'inten zionalità, la cui caratteristica essenziale non consiste nell'essere immagine o riproduzione di qualche cosa, ma appunto quella di essere un atto de stinato a cogliere, a rappresentare, un oggetto. Se qualsiasi fenomeno psichico è in rapporto con un contenuto e volto verso un oggetto (e dunque non è ancora rappresentazione), l'intenzionalità consente invece una relazione immediata tra oggetto ed atto psichico e, contemporanea mente, consente pure al soggetto psichico di porsi in relazione con qualco sa diverso da sé. La Psicologia, a questo punto possiede un'oggetti vita immanente, perché, in ultimo, si riferisce esclusivamente ad atti dello spirito umano. Ora sappiamo che dai lavori di Brentano, oltre che da quelli del suo allievo C. Stumpf, nasce la Psicologia della Gestalt che è forse la prima sistemazione organica della disciplina psicologica; ma sem pre dai lavori di Brentano prendono l'avvio anche altre problematiche, quali il passaggio dallo studio di un contenuto, la cui oggettività poteva essere il problema di indagine (come per Wundt, ad esempio), ad un'og-
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gettività immanente (l'atto). Ma, anche in senso più generale, erano altret tanto ricchi i suggerimenti che giungevano dalle sue posizioni teoriche: si presentava, ad esempio, una nuova strada e si indicavano i presupposti metodologici con i quali, grazie alla Psicologia, ci si sottraeva alle dispute di natura metafisica tra materialismo ed idealismo. È certo che, in ogni caso, la finezza e la profondità degli studiosi austro-tedeschi del periodo non è assolutamente paragonabile con gli in genui tentativi di D'Alfonso di proporre il concetto di atto psichico. In altri termini l'Autore in questione, ma con lui anche la gran parte degli studiosi da noi individuati, non comprese sino in fondo la portata euristica di queste nuove correnti di pensiero. È abbastanza probabile che la mag gior parte di costoro conoscesse questi filosofi stranieri, come d'altro can to è anche probabile che avessero letto ed avessero sentito parlare di scienziati non italiani che coltivavano altre discipline, perché altrimenti non avrebbero spesso fatto uso della stessa terminologia. Ma il fatto che si guardassero bene, nella maggior parte dei casi, dal citarli e che discu tessero solo superficialmente ed in modo spesso impreciso dei loro lavori era un elemento significativo che caratterizzava, l'arretratezza culturale ita liana del periodo. Potremmo dire che non avevano fiducia, ovvero che non ritenessero assolutamente di importanza rilevante le scoperte e le ricerche che i loro colleghi stranieri compivano. Questo impediva di certo di assumere con eccessivo entusiasmo, e dunque acriticamente, qualsiasi risultato e ciò po trebbe essere anche una buona giustificazione al loro atteggiamento pas sivo. Ma quando il rifiuto diventa sistematico e l'indifferenza verso gli altrui lavori diviene la caratteristica principale, allora si tratta molto pro babilmente di una attestazione di fiducia che costoro cercavano di dare alla propria passività ed all'acccttazione di una cultura, la quale era oramai definitivamente morta.
5.3. Rifiuto di comparazione della Logica con la Psicologia. Un quadro del rapporto intercorrente tra Logica e Psicologia nella letteratura minore della seconda metà del secolo XIX, che voglia essere sufficientemente completo, deve anche tenere conto di quegli Autori che evitavano accuratamente di porre a confronto queste due materie. In sen so molto generale tutti questi studiosi ritengono che possiamo giudicare i nostri concetti solo secondo la Logica (o meglio la loro Logica), oppure secondo fatti direttamente ricollegabili ad essa. Tutto quanto questi fatti
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possono comportare da un punto di vista psicologico, deve essere radical mente escluso da ogni ricerca, poiché si produrrebbero inutili confusioni e nulla ci tornerebbe utile. Ci pare inevitabile fornire la seguente precisazione: ci stiamo muoven do in un universo filosofico in quanto le due materie sono ancora collegate a questa disciplina, che si pone come punto di riferimento con cui occorre confrontarsi. Nella cultura italiana, anche se la Psicologia si è staccata, o meglio, ha preteso di staccarsi dalla filosofia classica, è pur sempre con essa che si rapporta in quanto si rivela ancora incapace di produrre una filoso fia, a lei specifica, mutuata dalla sua stessa struttura. Analogo discorso vale ancor di più per la Logica, la quale, proprio in virtù della sua tradizione, ritrova sempre maggiori difficoltà ad attuare questo progetto. Una conferma alle nostre osservazione l'abbiamo incontrata mostran do precedentemente che tutti i maggiori psicologi italiani, pure rivendican do un'autonomia rispetto ai modi di accostarsi alla scienza imposti dal sa pere tradizionale, non evitano di cimentarsi in lunghe disquisizioni filosofiche. Per quello che concerne i logici abbiamo segnalato come questa situa zione era ancor più evidente e come i risultati erano di qualità secondaria. Vi saranno, di conseguenza, ancora alcuni autori che parlano di Logica sforzandosi di non trattare di Psicologia, con l'intento di evitare le "contaminazioni" che una tale disciplina avrebbe comportato al classico sapere filosofico. In questo caso, che è quello che esamineremo, si tratta per lo più, di filosofi che rimandano al platonismo più ortodosso, oppure che si rifanno a tesi hegeliane: nella maggior parte dei casi sono però uomini che si richiamano alla tradizione culturale ecclesiastica, rigida conservatrice degli insegnamenti scolastico-tomistici, senza neppure badare, non foss'altro che per metterla in discussione, alla comparsa della nuova scienza psicologica (come invece aveva fatto M. Liberatore, 1850, 1855). Nel periodo da noi considerato, questi studiosi costituiscono un'esi gua minoranza, ma è sintomatico che la quantità di lavori e la radicalità con la quale sostengono le loro posizioni, aumentino col passare del tempo, ovvero col crescente-rinforzarsi delle posizioni biologiciste e psicologiste. Non è allora un caso che, proprio in questo periodo, aumentino anche gli incontri, organizzati dalle autorità ecclesiastiche, aventi il preciso scopo di "restaurare" il secolare sapere religioso, difendendolo dalle "troppo inno vative" produzioni scientifiche (S. Mahraba, 1981, I). Queste osservazioni non debbono in ogni caso fare pensare che non sia stato prodotto alcunché di valido e che tutti i lavori siano da rigettare sempre ed in ogni caso. Anche ora, pure senza mai raggiungere posizioni realmente nuove o rivo-
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luzionarie, cosa che d'altra parte non avvenne neppure per gli studiosi più aperti ai cambiamenti culturali, qualche osservazione interessante può es sere rinvenuta negli scritti di questi studiosi e di questi filosofi. Forse il contributo di R. Bonghi 94 (Sunto delle lezioni di Logica, scritto da lui per i suoi allievi, 1860) non è il più rigido all'interno di questa cor rente. Tuttavia egli postula uno scollamento tra la Logica e la Psicologia, anche se questo principio è argomentato in modo alquanto debole. Quan do l'A. afferma che la Psicologia studia la genesi dell'atto, dell'oggetto, delle facoltà della percezione intellettiva, della ragione e dell'immaginazio ne, mentre la Logica studia la ragione nei vari caratteri formali ed univer sali, se giustamente si sforza di delimitare i campi di queste due discipline, con grande difficoltà si cimenta a sostenere la loro totale indipendenza. Ma è proprio questo il punto su cui maggiormente insiste poiché, questo, d'al tro canto, costituisce l'impegno principale di tutto il suo lavoro: siccome la Logica studia la ragione nei caratteri universali e formali dei suoi prodotti, occorre ritenerla del tutto indipendente dall'Ontologia e dalla Psicologia e, dirà l'A., anche dalla Matematica (anche se, al limite, egli dirà, è proprio quest'ultima che deve mutuare dalla Logica il suo carattere formale). In questo caso allora una serie di discipline (e la Psicologia in particolare) possono essere messe da parte senza eccessive preoccupazioni. Ma se questo obiettivo di fondo era nettamente sorpassato già alla sua epoca, compare tuttavia un punto assai interessante nel suo lavoro. Quan do espone la teorica del concetto, lo fa analizzando le caratteristiche di quest'ultimo in forma di domanda e risposta e la suddivide in due sezioni, concernenti la natura intrinseca del concetto e le relazioni estrinseche tra gli stessi. Nel primo caso parlerà della pluralità discreta contenuta nel concetto (prodotta tramite astrazione partendo dalla riflessione); dell'unità concet tuale (dotata di una sua estensione); della sua molteplicità complessiva (in tensione e comprensione); delle relazioni tra le caratteristiche concettuali e la sua unitarietà, ovvero sostrato sul quale inseriscono proprietà che lo qualificano; della definizione (« Concetto passato sotto forma di unità si 94 Ruggiero Bonghi (1826-1895). Ispirato al liberalismo di Tocqueville, all'etica ed alla religione del Rosmini e del Manzoni ed alla politica del Cavour, svolse un ruolo importante sia durante la preparazione delle campagne risorgimentali sia, successiva mente, a livello parlamentare. Le sue opere, numerosissime, toccano argomenti preva lentemente politici (temi di filosofia politica). Il Bonghi svolse anche un'importante funzione educativa, tentando di presentare con un fine divulgativo opere destinate ad un pubblico di esperti (filosofi, logici, metafisici, moralisti).
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può chiamare il definito, ed i suoi fattori la sua definizione » [28], le cui norme per attuarla sono mutuate dalla « Logica Formante » [29]), e della divisione (« Ogni divisione esige un concetto che ne sia l'effetto ed un altro che immediatamente o mediante la sua determinazione specifica, ne sia il mezzo » (ibidem)), come operazioni tra loro complementari ma opposte. Nel secondo caso, esaminando le relazioni (« Un nesso, qualcosa d'intermedio fra due concetti » [37]) tra concetti, sosterrà come quella più rilevante sia l'alterità, poiché ogni concetto è in se stesso saturo (« Un concetto essendo un tutto per sé, esclude da sé ogni altra cosa che non è esso» [37]). Per questo dovrà allora essere colto in rapporto ad altri concetti e l'alterità sarà « includente rispetto a concetti intesi sostanzial mente » [45] ed includente rispetto alla loro qualificazione. Questa classificazione dei concetti e la loro ripartizione potrebbero essere un'ulteriore prova delle sue posizioni filosofiche, ma, ed è quello che maggiormente ci interessa, nelle pagine 52-76 del lavoro in questione, egli cerca di rendere pratiche ed operative queste osservazioni, tramite la presentazione di una serie di problemi da risolvere, riguardanti i temi in questione. Siccome per la corretta utilizzazione dei concetti occorre che il soggetto faccia proprie, assimili, regole intellettive, atte a raggiungere il risultato voluto, l'Autore presenta, sotto forma di quesiti, una serie di questioni la cui soluzione richiede l'impiego di dette regole. Non solo, ma egli cerca anche di esaminare quali siano le strategie di cui il soggetto fa uso per giungere alla soluzione. Poco ci importa che riconduca queste tecniche a concetti filosofici (analisi, sintesi, etc.) e che lo faccia col chiaro intento di stabilirne la primarietà e l'unicità. Interessa, al contrario, il fatto che egli si prefigga di analizzare queste strategie: è questo, almeno nell'ot tica attuale, il suo più interessante contributo. Una concezione platonica del mondo fa si che A. Conti 95 (II Vero 95 Augusto Conti (1822-1905). Di famiglia religiosissima mostrò notevole interesse per il mondo dello spettacolo, ma dovette frequentare i corsi universitari di Giurispru denza a Siena, a Pisa ed a Lucca ove si laureò. A Firenze iniziò ad esercitare l'avvocatura. Nel 1849 insegnò Filosofia elementare nelle Scuole di san Miniato e nel 1856 ottenne la cattedra di Filosofia razionale e morale a Lucca. Tenne sempre una posizione polemica nei confronti del positivismo ed anche del neohegelismo, ponendosi come convinto assertore dell'armonia leibniziana. Nel 1869 divenne Accademico della Crusca e nel 1873 ne fu Arciconsole. Col 1864 era stato chiamato dal ministro D. Berti al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e sino al 1888 partecipò alla vita politica di Firenze. Col 1899 a causa di una progressiva infermità dovette abbandonare tutte le cariche pubbliche. Le sue opere furono numerosissime e concernevano temi teatrali, filosofici, letterari, politici ed artistici. Il titolo completo del testo del 1878 da noi citato è: // Vero nell'Ordine. Ontologìa e Logica, libri cinque. Aggiuntavi un cenno di tutte le filosofie.
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nell'Ordine, 1878) ritenga la Logica una semplice parte della dialettica. Non solo, ma rispetto a quest'ultima si tratta della parte meno importante, per il fatto che « su essa [la dialettica] pertanto si esamina la conoscenza del vero e l'arte della conoscenza. L'esame della conoscenza espone gli universali e l'armonia delle cose; l'esame dell'arte riguarda le leggi del ragionamento, derivate dagli universali che mostrano qual sia l'ordine sostanziale del pensiero ed il suo coordinarsi con l'ordine degli effetti. Talché la Logica, che cade intorno alle predette leggi, si comprende nella dialettica quale parte del tutto » (230). In quanto parte della dialettica la Logica è arte: « l'arte logica è dunque osservazione imitativa di natura ed inventrice a fine di verità, come l'arte bella è osservazione imitativa di natura ed inventrice a fine di bellezza, e l'arte morale è poi tutto ciò a fin di bene » (246). Non ci deve portare fuori strada la caratteristica "inventrice" della Logica (vi è nulla in comune con la Logica Inventiva di cui si è parlato in 5.2.3.), facendoci immaginare qualche attività da parte del soggetto. La Psicologia ha nulla a che vedere con il sapere, il quale è un prodotto dello Spirito, che non può tenere conto alcuno delle istanze delle caratteristiche individuali e personali. Le sensazioni, le reazioni agli stimoli esterni, e via dicendo, proprio per questo, sono elementi che non riguardano minima mente la conoscenza: al limite fanno parte dell'animalità umana, che è proprio la condizione al di là della quale occorre porsi per conoscere. L'Autore, in quanto platonico, ritiene che la Logica non sia autonoma, ma arte inventrice del Vero: il Vero, tuttavia, è fissato dalla dialettica, che ne è la Scienza. La Logica, allora, è quella di Aristotele e serve solamente a determinare le forme del discorso, attraverso cui l'uomo tenta di riflettere sulla verità. Chi sostiene ancor più radicalmente queste posizioni, portandole a livelli estremi, è invece F. Diviso (La ragione umana. Studi secondo la dottrina di San Tommaso d'Aquino, 1874). Il punto centrale del suo lavoro è basato sul concetto di evidenza, che non è solamente la « parvenza dell'intellegibile » (24), né la «limpidezza oggettiva » (ibidem), ma « l'identità dell'oggetto che tale apparisce alla vista dello spirito » (ibi dem). Questo è il motivo per il quale bisogna ben guardarsi dall'entrare in un'ottica psicologistica (che per l'A. trova in Descartes il suo iniziatore ed in Kant, Fichte ed Hegel i continuatori!), poiché, oltre ad impoverire la ricerca, condurrebbe inevitabilmente il soggetto all'ateismo. Per gli stes si motivi si critica anche V. Gioberti (in particolare la sua opera postuma Protologia del 1857) a proposito della dialettizzazione del termine "essen-
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za", che sfocia nel concetto di "realizzazione". Il verbo "essere", per l'A., non ha mai un'interpretazione temporale, ma è significante l'Identità, la quale compare « nel supremo pronunziamento logico "l'ente è" e nella forma algebrica A è A» (112). Partendo invece dalle osservazioni di B. Pascal, per il quale la razionalità consiste nello scoprire che molte cose superano la ragione, occorre rendersi conto che vi sono due tipi di verità: quella naturale e quella soprannaturale. Quest'ultima è senza dubbio la più perfetta poiché può spiegare se stessa e quella naturale. Assertore della validità indiscussa della logica aristotelica e dell'inu tilità e confusività delle logiche successive, tra le quali quella di Bacone, che, a suo avviso, riduce all'induzione tutte le logiche, quella trascenden tale di Kant, che esula e, in ogni caso, riduce la portata universale della Logica classica nonché, soprattutto, quella psicologistica di J. S. Mili, rite nuta portatrice solamente di confusività, è anche il lavoro del filosofomatematico R. Bobba % (La logica induttiva e formale comparata all'Organon di Aristotele, 1878). Non solo ma l'Autore in questione dimostra di non accettare alcunché di ciò che è veramente nuovo nelle produzioni logiche del suo periodo. Egli cita W. S. Jevons, A. De Morgan, G. Boole, e ciò torna a suo merito perché è uno tra i pochi che compie una tal opera: ma travisa, o meglio, non comprende assolutamente quello che costoro volevano fare (espansione dell'interpretazione delle forme delle Analisi, sino a quel momento solo quantitative, ed interpretazione coerente di altri metodi di calcolo, quali quello logico) e ritiene che la loro opera generi confusione ed il procedimento da loro seguito comporti uno stravolgimen to del ruolo che la Logica ha sempre seguito in tutta la sua storia. Sostenitrice invece della filosofia hegeliana, che in quanto tale deve porsi al di là di tutto ciò che è singolare ed empirico, ovvero con l'intento di ricercare la filosofia assoluta, che è ben diversa dalle altre scienze, è l'opera di P. Ceretti 97 (Saggio circa la ragione logica di tutte le cose, 1888),
96 Filosofo piemontese, preside del Liceo di Brescia, preside di Lettere e Filosofia alla regia Università di Torino, visse e lavorò nella seconda metà del secolo passato. Tra i suoi numerosi scritti di Storia, di Filosofia e di Critica ricordiamo: La vita e le opere di Antonio Genovesi, Saggio intorno ai filosofi italiani meno noti prima e dopo la pretesa riforma cartesiana, Lo sperimentalismo e l'apriorismo nella filosofia contemporanea. 97 Pietro Ceretti (1823-1884) nasce ad Intra da famiglia assai agiata ed entra gio vane nel seminario di Arona, dedicandosi alla composizione poetica. Nel 1840 si trasfe risce nella scuola dei Gesuiti di Novara, dove si rende particolarmente brillante nello studio e nell'impiego della Retorica. Le sue prime produzioni sono opere letterarie, tragedie, poesie. Dopo un lungo viaggio pluriennale attraverso tutta l'Europa, col 1864
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anche se, in quest'opera, come nella successiva, (Smosso dell'Enciclopedia Speculativa, 1990) « torna senza averne chiara consapevolezza, al dualismo realistico, per cui lo spirito è mera fenomenologia del reale, la quale solo subbiettivamente ha un valore logico e, in questo senso, assoluto » (G. Gentile, 1921, II, IV, IV, 638) 98. Certamente le critiche di Gentile, riguar danti l'opera del 1888, composta da oltre 3000 pagine suddivise in nove volumi, sono più che giustificate, soprattutto in considerazione che anche successivamente Ceretti (1990) tenderà a porsi su un piano utopisticosociale, dunque abbandonando anche il "realismo" hegeliano a cui inizial mente affermava di richiamarsi ". La sua posizione immanentista ed antipsicologistica emerge in misura sempre più rilevante, al punto che in 1990 (op. cit.) giungerà a criticare Kant, per il quale l'oggetto in sé, astratto dal pensiero, è indeterminato ed incognito, mentre, a suo avviso, tale non conoscenza è da intendersi come un nostro giudizio negativo. Teso a mantenere la chiarezza concettuale, necessaria per affrontare qualsiasi problema filosofico, A. Errerà (Elementi di Logica ad uso delle Scuole, 1890) osserverà che la Logica deve essere tenuta assolutamente distinta dalla Psicologia, pena una completa confusione, poiché tratta di temi (capacità di ben pensare) che nulla hanno a che fare con quest'ultima (si veda più estesamente nel capitolo II); E. Sala (La logica antica e moderna, esposta con metodo storico-critico ad uso delle scuole, 1892) 10°, parafrasando Kant pre-critico, ribadirà questa posizione affermando come dopo Aristotele, la logica, che « insegna le regole generali di qualsiasi ragionamento » (p. 39), sia terminata ed il tentativo di renderla scienza empirica, od a carattere psicologico, porta a nessun risultato. In tal senso egli sosterrà che H. Spencer e J. S. Mili hanno capito assolutamente nulla ed hanno soltanto arrecato confusività, si occupa esclusivamente di Filosofia. Oltre ai testi da noi citati rientrano in questa produzione anche: Saggio diPanlogica (Torino, 1864-1871) e Considerazioni sul sistema della natura e dello spirito (1878). 98 Lo stesso A., ribadirà queste convinzioni in Smosso dell'Enciclopedia Specula tiva, 1890 op. cit. 99 Su analoghe posizioni che andarono da un hegelismo ortodosso ad un sempre più marcato misticismo troviamo anche Antonio Tari (1809-1884), autore di Ente, Spinto e Reale (1872). 100 Enrico Sala fu un filosofo della fine del secolo scorso autore di numerosissimi lavori. Ricordiamo: Consulta filosofica della questione tomistico-rosminiana (1883), La religione cattolica esposta nella sua natura e difesa contro gli errori moderni (1884), Ulti ma critica di Ausonio Franchi (1889), Brevi elementi di estetica (1890), Psicologia, esposta con metodo critico-storico, coli'aggiunta di un trattatello sull'evoluzionismo (1895).
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in quanto hanno condotto una materia, che tratta della pura concettualità, quasi al livello di una disciplina pratica. E vero che egli parlerà di diversi tipi di Logiche, ognuna delle quali sarà dotata di proprie caratteristiche ma, fondamentalmente, egli accetta le tesi di A. Rosmini per il quale la Psicologia studia l'origine delle Idee ma nulla ha da spartire con la Logica. Allo stesso modo G. Caldi 101 (Metodologia generale dell'interpretazione scientifica, 1893-1894) non solo rinforzerà ulteriormente le posizioni di E. Sala (1892), ma riterrà che la Logica determini la verità della specu lazione scientifica e che, l'unica in grado di assolvere a questo compito, può essere solamente quella aristotelica. Ma, a parte questa premessa, l'Autore, che pure si dichiara aderente alla posizione positivista, preten dendo di presentare una metodologia adatta per tutte le scienze, sembra, con la sue posizioni successive, voler tagliare ogni rapporto con la Logica o, più precisamente, con gli sviluppi che tale disciplina poteva avere. In fatti questa « studia le condizioni a cui soddisfano tutti i concetti definiti in generale in quanto sono definiti, non in quanto sono il concetto di una cosa piuttosto che di un'altra cosa reale; studia quali sono le condizioni a cui soddisfano tutte le condizioni dimostrate in generale, in quanto sono dimostrate, non in quanto sono condizioni di fisica piuttosto che di Lo gica, di Psicologia e così via: e mostra nello stesso tempo come criticare concetti e conclusioni, se non comprendessero quelle condizioni, che sono le condizioni prime del sapere scientifico » (28). Con queste affermazioni egli sembra sostenere che la Logica ha un compito definito ed un campo ben delimitato. In ogni caso, malgrado queste precisazioni o, più proba bilmente, con l'intento di farle accettare ad ogni costo, le verità prime della Logica aristotelica neppure sono poste in discussione. Poco importa dell'uso operativo che si potrà fare di queste: è sufficiente che le si faccia proprie e non le si contesti. Fondamentalmente si assiste ad un ritorno di tematiche collegate alla Morale, per la quale i principii primi della Logica classica sono le indispensabili condizioni dalle quali si deve in ogni caso partire per qualsiasi attività. Non occorre pertanto andare oltre a queste, perché non vi è alcun vantaggio, in quanto ci si ridurrebbe alla ripetizione di principii universali e necessari, dati una volta per tutte. Convinto sostenitore che la Logica sia l'unica scienza prima, includen101 Conosciamo di questo filosofo e pedagogo solo altre due pubblicazioni, scritte tre anni dopo il testo da noi citato. Si tratta di: La coscienza e l'Io nel loro valore psicologico elementare (1896), La critica del secolo XVI contro la Logica di Aristotele e l'insegnamento scolastico (1896).
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te qualsiasi forma di sapere, è pure G. Mattiusi 102 (Principii di Filosofia, 1895). Egli ritiene che si tratti della Scienza direttiva dell'atto della ragione, che è finalizzato alla conoscenza del Vero. Il fatto che, a suo avviso, possia mo intenderla anche come una scienza teorica « in quanto ragionando as segna il retto ordine dei nostri atti intellettivi » (13), ed una scienza pratica « in quanto è esercitata applicandola alle scienze particolari » (ibidem), non solo non sminuisce ma ampia il suo valore. La stessa cosa può dirsi quando afferma che oltre ai soliti argomenti della Logica classica (concetto, giudi zio, raziocinio e metodo) sarebbe possibile introdurre anche quello dell'ap prensione, che riguarda, specificatamente, i termini mentali e che potrebbe essere un ottimo punto di avvio per uno studio psicologico. Ma questo è proprio ciò che egli ben si guarda dal fare. Infatti, in ogni caso, qualunque sia il modo con il quale la Logica è presentata, l'Autore sta facendo un discorso sulla stessa e non certo sui rapporti che questa ha con le altre discipline: l'aspetto strettamente normativo della Logica è ribadito ad ogni passaggio. Simili posizioni continueranno a perdurare senza sosta, proponendo, quasi a scadenza fissa, i soliti problemi, che saranno discussi sempre nei soliti modi. Ed allora nel 1897 A. Cappellazzi 103 (Universalità della Logi ca) m, rivalutando totalmente San Tommaso, attribuirà carattere di univer salità alla Logica, che è un « vero ufficio tecnico di polizia speculativa » (7). In primo luogo si tratta di « un'arte direttiva degli atti della ragione nell'ac quisto della Verità » (10) e, in secondo luogo, è anche una scienza: in ogni caso l'universalità è la caratteristica che la rende, a differenza di ogni disci plina empirica, strumento e regola della ragione. Non solo, ma egli rinforza questa posizione collocandosi su posizioni panlogistiche. Non si tratta però di un'estensione della Logica, in riferimento ad altre scienze: anzi, la scien za per l'Autore occorre intenderla negativamente, in quanto ci fa scordare della nostra ignoranza. Se tutto ha una Logica, allora vuole dire che qual siasi cosa è riconducibile a principii primi eterni ed immutabili, che non devono essere provati in alcun modo, in quanto del tutto razionali. 102 Giovanni Mattiusi. Oltre il testo da noi citato siamo riusciti ad individuarne solamente un altro scritto dall'A. il cui titolo è L'evoluzione è possibile? (1877). 105 Andrea Cappellazzi (1854-1933) fu un filosofo legato ancora alla tradizionale scolastica, attivo in particolare negli ultimi due decenni del secolo scorso. Tra le altre opere: Gli elementi del pensiero. Studio di Psicologia ed Ideologia secondo le dottrine di san Tommaso d'Aquino (1895), Le Questioni moderne (1896). 104 Si tratta non di un testo, ma della prolusione che l'Autore lesse nell'inaugu razione dell'Anno Scolastico 1897/1898 presso il Seminario Vescovile di Crema.
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Nel 1898 L. Schiavi (Logica secondo la Scuola di San Tommaso d'Aquino ad uso degli studiosi che si iniziano nella Filosofia, 1898) 105 , quando tratterà delle varie scienze, ne proporrà una gerarchizzazione secondo l'or dinamento stabilito nel basso medio-evo, per il quale la Logica (insieme alla matematica, la fisica e la morale), pur essendo subalterna alla metafi sica, ovvero alla « scienza prima e la più sublime per ragion dell'oggetto che è il più astratto » (226), sarà subalternante tutte le altre forme del sapere, per il fatto che indica « i principii della vita a tante altre scienze ed arti che [le] sono in rapporto come di figlie » (26). Ancora nel 1899, vi sarà chi, come G. Tarozzi (Esercizi ed esempi di Logica ad uso dei Licei) 106 ribadirà che la Logica è solo teoria del sillogi smo, che ha nulla da spartire con la Psicologia, ma che serve unicamente per l'analisi del concetto, del pensiero e del linguaggio. Si tratta, in questo caso, di un libretto concepito con scopo didattico, che fa uso di un note vole numero di esempi per illustrare il funzionamento della Logica. Nep pure in questo caso, malgrado le posizioni conservatrici, mancano spunti interessanti. Infatti si accenna ad argomenti che sfuggono alle direttive iniziali con cui li si è costruiti e presentano idee sufficientemente innova tive. E così nella prima parte del lavoro, in cui propone esercizi ed esempi a proposito della teorica del concetto (si veda anche Bonghi, 1860), intro duce un'interessante problematica epistemologica, nel senso che i termini e le definizioni scientifiche sono analizzati all'interno della loro dimensio ne linguistico-grammaticale. Nella seconda parte, intitolata "commenti logici", propone delle vere e proprie analisi del testo (in questo caso egli lavora sul secondo canto del Paradiso della Divina Commedia), non tanto in riferimento agli scopi e supposte intenzioni dell'Autore (argomento dunque psicologico), quanto in riferimento alla modalità con cui è orga nizzato il testo (argomento logico). Ad esempio egli cerca di indicare come nel suo interno, di qualunque genere esso sia, vengano a verificarsi casi di modus tollendo tollens ("Perempto consequente perimitur antecedens", ovvero "se P, allora Q; ma non-Q; dunque, non-P"), di dilemmi (ragiona105 Lorenzo Schiavi è stato un filosofo attivo nella parte finale del secolo scorso. Ricordiamo, oltre al lavoro citato nel testo: Propedeutica allo studio della Filosofia (1868-1879), Del bello in generale e del bello letterario (1869), Delle relazioni interne che esistono tra la Filosofia di Aristotile e la Dottrina di san Tommaso e di Dante (1891). 106 Giuseppe Tarozzi (1868-1958). Allievo di Ardigò, dopo un precocissimo inte resse per i problemi pedagogici, si indirizza verso posizioni spiritualiste, richiamandosi a Lotze. Tra i suoi lavori: Trattato di Pedagogia e Morale (1894), Filosofia e Pedagogia (1924), L'infinito ed il Divino (1951).
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menti con due premesse), di reductio ad absurdum per mezzo di deduzio ne diretta 107 . Siamo, ancora una volta, ai confini tra la Logica e la Retorica, ma l'Autore tende ad annullare questo potenziale rapporto tra le due discipline, sostenendo come tutti questi problemi siano pur sempre riconducibili alla Logica classica (sillogistica). Il compito che egli si propone, malgrado il dichiarato intento da lui prefissosi, è in ogni caso assai rilevan te perché ora si tratta di analizzare non più singole proposizioni, ma un discorso che tocca argomenti, i quali vanno ben al di là di semplici esempi appositamente costruiti, con l'intento di sostenere la primarietà di deter minati elementi invarianti. In altre parole, la sua analisi, pure essendo ancora formale e non certo contenutistica, è volta ad indicare come qualsivoglia discorso, per essere compreso (anche se egli si sforzerà di soste nere che l'intento è quello di dimostrare) debba essere necessariamente dotato di un senso che si richiami a precise strutture espressive. In tutti i casi questi tentativi di recupero della classica Logica e del l'attestazione della sua primarietà su qualsiasi altra forma del sapere non si esauriscono con la fine del secolo, ma anche agli inizi del 1900 vi saran no studiosi che non esiteranno a sostenere simili posizioni. Un esempio significativo, tra molti altri, lo troviamo in C. F. Savio, Logica raziocinativa ed induttiva, 1907) 108 , il quale sosterrà che la Logica, sia questa "dialetti ca" (concetto, giudizio e raziocinio) che "critica" (verità, certezza, errore, metodo, definizione, dimostrazione) può essere solo quella aristotelicoscolastica. La Logica induttiva è trattata solo a fine polemico: il pensiero positivista è criticato lungo tutto il testo e l'empirismo e lo psicologismo di J. S. Mili sono ritenuti del tutto inutili per la ricerca poiché « peccano per i principi generali che li informano» (8).
6. Conclusioni. Caratteristica comune della produzione logica italiana del secolo scorso (e di gran parte di quella europea) è stato il tentativo di mettersi in rapporto con ciò che viene assunto quale Verità. Indipendentemente 107 Gli altri testi che egli prende in esame per condurre questa analisi sono il libro II dei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio di N. Machiavelli ed il capitolo XXII di Assunto primo del diritto naturale di G. Romagnosi. 108 Carlo Fedele Savio (1848-1916). Nel 1873 entrò nell'ordine dei gesuiti. Inse gnò Storia nel collegio della Visitazione del Principato di Monaco e poi a Torino (Istituto Sociale). Nel 1906 fu chiamato alla cattedra di Storia ecclesiastica dell'Univer sità Pontificia Gregoriana di Roma.
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dal fatto che la si sia considerata arte di pensare, o riproduzione e rappre sentazione degli schemi che ogni soggetto segue quando pensa, o mecca nismo con cui la natura opera, od insieme di regole che devono seguire sia il linguaggio che l'azione, o strumento operativo per il corretto impiego delle facoltà intellettive, essa è sempre stata volta alla ricerca di un'argo mentazione coerente per la costituzione del modello ottimale della razio nalità. Una materia che si assegna un simile statuto, deve tuttavia porsi a rapporto con quelle che sono le caratteristiche meno controllabili, od in ogni caso più aleatorie, di ogni soggetto (oggetto di studio della Psico logia), ma senza alcun dubbio anch'esse presenti, se non addirittura pri marie. In senso molto generale possiamo proporre la seguente ripartizione. Da un lato abbiamo la Verità, la certezza, e, dall'altro la confutabilità e la provvisorietà: le prime due caratteristiche appartengono ad un universo ideale, perfetto, mentre le ultime due sono specifiche del mondo reale, quotidiano. Impiegare il primo per "leggere" il secondo può essere utile sino al momento in cui non si pretenda di ritrovare esattamente riprodotte nel concreto le caratteristiche pure del primo universo: il tentativo di imporre queste ultime e di imbrigliare in esse quelle che sono le molteplici modalità in cui il soggetto pensa, parla e si rapporta con gli altri, è inevi tabilmente destinato a fallire. Allo stesso modo fondare le costruzioni teoriche, che ogni soggetto produce, su assunti ricavati da semplici osser vazioni o basandosi su dati unicamente verificabili da un punto di vista empirico, darà luogo a risultati la cui attendibilità sarà sempre messa in discussione, in quanto mancano stabili punti di riferimento. Il ritenere che un fatto, una situazione, sia vero solo perché lo viviamo concretamente e 10 sperimentiamo su di noi è altrettanto pericoloso quanto l'interpretare i fatti basandoci su assunti formalmente perfetti, ma senza alcun riscontro nella realtà empirica. Tutto il nostro lavoro è ruotato attorno a questi punti ed ha investi gato la produzione filosofica che la letteratura minore italiana del secolo scorso ha prodotto riguardo il rapporto tra Logica e Psicologia. Ha inoltre messo in luce come si sia ben lungi, indipendentemente dalle posizioni degli Autori considerati, dal trovare una loro reale correlazione (il fondare 11 rapporto tra scienze pure e scienze empiriche sul concetto di proba bilità, oppure il produrre un modello astratto come trait d'union tra le due, sono temi che compariranno molto tempo dopo). Ecco perché alla luce delle osservazioni da noi ricavate attraverso l'esame dei testi concer nenti tali argomenti, ci limitiamo a segnalare alcune caratteristiche, con
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l'intento di individuare alcuni tratti salienti che hanno caratterizzato la dinamica che, nel secolo scorso, ha connotato il rapporto tra queste due forme del sapere. 6.1. Malgrado alcuni spunti interessanti e, per certi versi, anche in novativi, se dovessimo riassumere in poche parole ciò che ha segnato il rapporto tra Psicologia e Logica, dovremmo sofiolineare che la confusività sia stata la caratteristica più rilevante. Se questo è un risultato di non difficile verifica globale, vogliamo concludere il lavoro argomentando che tale confusività, lungi dallo scomparire progressivamente col passare del tempo, grazie alla comparsa di nuovi risultati, è, per certi aspetti, ancor più evidente nella seconda metà del secolo. Infatti ora la Psicologia si batte per acquisire lo statuto di scienza autonoma e, successivamente, nell'ultimo decennio, la stessa cosa avviene anche per la Logica. Ciò comporta il comparire di nuove problematiche, che richiedono per la loro soluzione l'adozione di nuovi strumenti cultu rali, ed il proporre quesiti sino a quel momento mai affrontati. Questi nuovi fatti spiazzano completamente tutti i filosofi, che non riescono a comprendere le importanti innovazioni teoretiche, che queste nuove scien ze producono al loro interno. Si aggiunga a ciò che gli strumenti filosofici, di cui questi studiosi si servono per accostarsi a tematiche che forse "in tuiscono", ma delle quali mai hanno una precisa visione, sono ancora quelli vecchi e del tutto superati. Da un lato un troppo rilevante tentativo di trasformare i problemi logici in problemi psicologici non può essere accettato, anche se parecchi filosofi di questo periodo furono tentati di farlo. D'altro canto è anche un errore considerare solamente l'aspetto logico di un problema filosofico, senza neppure prendere in esame la portata psicologica che questo certamente riveste. Siamo convinti che tutti i personaggi da noi citati fossero dotati di una buona erudiziene (erano quasi tutti docenti universitari o liceali) e che abbiano inteso, quando non addirittura letto direttamente, quello che, in campo scientifico (e filosofico), avveniva negli altri paesi. Tuttavia siamo anche convinti che le conoscenze delle grandi correnti di pensiero, che si erano diffuse nella cultura europea dell'epoca, siano state viziate dall'im possibilità reale di fornirsi di un'adeguata quantità di materiale bibliogra fico e che, in ogni caso, tutti i nostri filosofi siano stati irrimediabilmente legati ad una tradizione culturale oramai sorpassata. Il limite di questa letteratura minore sta proprio nell'aver "letto", con un metro di giudizio non più attuale, quello che le scienze, ma anche la
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filosofia del periodo in questione, stava invece proponendo di nuovo: il risultato è che, nella maggior parte dei casi, i lavori degli Autori da noi esaminati si sono basati su interpretazioni, a volte avventurose ed impre cise, degli scritti dei grandi filosofi dell'epoca (è impressionante, ad esem pio, osservare le storture apportate da costoro agli scritti di Kant e di Hegel e degli altri filosofi contemporanei, ma anche le interpretazioni superficiali di lavori quali quelli di Helmholtz e Brentano, oppure la totale incomprensione dei testi di Jevons, de Morgan e Boole). Questi atteggia menti hanno fatto sì che analoghe condizioni perdurassero ancora alla fine del secolo nella maggior parte della cultura italiana, quando era invece oramai chiaro l'indirizzo e le prospettive che la nuova filosofia ed anche la nuova scienza stavano prendendo. Vogliamo fare ricorso a due esemplificazioni per chiarire tale punto: la prima sarà di carattere generale [6.2 e 6.3], la seconda [6.4] più speci ficatamente collegata alla cultura italiana di fine secolo. 6.2. Anche se gli psicologi italiani sono debitori alla filosofia più di quanto non lo siano i loro colleghi stranieri, con la fine del secolo (e soprattutto nei primi anni del secolo XX) inizia a farsi sentire in maniera sempre più pressante l'esigenza di staccarsene decisamente e definiti vamente. Questo è dovuto al duplice fatto che la Psicologia diviene area di discussione e ricerca per i filosofi, ma anche per gli antropologi, i fisici, gli psichiatri, i fisiologi ed i biologi, e, contemporaneamente, sorgono nuovi indirizzi di ricerca che hanno la funzione di arricchirla e di favorire una continua discussione dei problemi che si ponevano di volta in volta. Se inizialmente erano stati il positivismo di Wundt e l'evoluzionismo di Spencer i punti di partenza, in questo periodo fanno la loro comparsa, in modo particolare grazie ai lavori di G. C. Ferrari, la corrente funzionalista, di orientamento anti-positivista, rappresentata da E. Claparède e, soprat tutto, da W. James (la sua opera principale Principles of Psychology del 1890 sarà tradotta ed arricchita da G. C. Ferrari nel 1901 ed, in seguito, sarà adottata come manuale per gli studenti liceali), quella strutturalista di E. B. Titchener e di G. L. Cuvier, nonché alcune elaborazioni originali, mutuate dall'incontro di tali correnti (ad esempio il lavoro di Baldwin). 6.2.1. La psicologia funzionalista si presenta nei suoi nuclei teorici con un programma fondamentalmente interazionista e ritiene che l'espe rienza psichica non sia spiegabile in base al semplice associazionismo ed al principio di causalità meccanica. L'obiettivo che si pone è il tentativo di fornire una spiegazione sistematica riguardo la riflessione, ovvero la
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relazione intenzionale tra il soggetto e l'oggetto: il suo postulato di base afferma che l'intenzionalità della ricerca psichica deve coincidere con il finalismo dell'individuo biologico. In questo modo ci si trova in contrasto con il classico orientamento positivista per il fatto che ora ci si rifiuta di accogliere qualsiasi riduzionismo meccanicistico della vita psichica e, con temporaneamente, in virtù del suo postulato, auspica la necessità di adot tare i concetti e la metodologia della scienza biologica. Tutto ciò consente agli psicologi, che divengono fautori di questa modalità di ricerca, di andare al di là dei limiti della Psicologia associazionista wundtiana e di dedicarsi non tanto allo studio di ciò che è nella coscienza, quanto piut tosto di ciò che la coscienza mette in atto, agisce. Il fatto comporta un ulteriore ampiamento del campo di indagine della Psicologia perché, in ultima analisi, riguardano questa materia le relazioni (funzioni) che si sta biliscono fra ambiente e soggetto, intendendo quest'ultimo come organi smo, colto nella sua totalità (si pensi, a tale proposito, al contrasto che oppose James rispetto a Wundt, a proposito delle emozioni, che per que st'ultimo altro non erano che una reazione dell'appercezione al contenuto sensoriale, oppure al drastico giudizio di E. Claparède, per il quale solo con gli inizi del nostro secolo ci si poteva accostare alla Psicologia « in un'epoca in cui l'associazionismo superficiale, che aveva più o meno intos sicato i più anziani [psicologi] di trenta o quarantenni fa, era [definitiva mente] finito ») 109. 6.2.2. Lo strutturalismo, a sua volta, segue un orientamento rigida mente naturalistico ma postula per il livello biologico, anch'esso primario, una ulteriore riduzione ad un livello matematico. La biologia, in effetti, può costituirsi scientificamente a condizione di non limitarsi all'osserva zione dei fatti empirici, ma attraverso la ricerca di leggi costanti e necessarie, ovvero matematiche, che presiedono alla correlazione tra le differen ti componenti dell'organismo. E allora il concetto di specie il punto fon damentale della biologia: i tratti dell'individuo, esaminato singolarmente, rimangono un fatto empirico, casuale, la cui importanza diviene rilevante solo se i suoi elementi caratteristici sono riconducibili a leggi universali. Nello studio del soggetto allora sarà necessario subordinare la fisiologia 109 La citazione è tratta dalla prefazione che E. Claparède scrisse nel 1923 al libro di J. Piaget Le Langage et la Pensée chez l'enfant e che segna il passaggio di quest'ultimo da una prospettiva funzionalista ad una strutturalista. Noi ci siamo rifatti alla traduzio ne di C. Musatti Rapuzzi (// Linguaggio ed il Pensiero nel bambino, Giunti e Barbera, Firenze, 1962, IX).
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all'anatomia in un'ottica causa/effetto: in base a ciò le strutture anatomiche sono deputate a predeterminare e ad ordinare le funzioni dell'organi smo. In questo caso, allora, la scienza psicologica deve essere molto più autonoma, rispetto a quanto proponevano le posizioni funzionalistiche, e deve riguardare le leggi generali della mente: la matematica, a sua volta, deve essere intesa alla stregua di linguaggio, certamente il più opportuno in quanto il più preciso, per descrivere, non solo quantificare, gli elementi primari delle esperienze del soggetto. Per fare questo occorre che non ci si soffermi sulle singole tipologie mentali, in quanto le differenze indivi duali divengono leggi, solamente se riferite a condizioni stabili e definite: ed è quest'ultimo l'obiettivo della ricerca (si pensi, a tale proposito, alla disputa tra Titchener e Baldwin a proposito dei tempi di reazione, che per quest'ultimo dipendevano dalle differenze tra tipi dotati di reazioni senso riali e tipi dotati di reazioni motorie). 6.2.3. Alla fine del secolo S. de Sanctis, allievo di C. Lombroso e di G. Sergi, lo psicologo italiano allora probabilmente più conosciuto al l'estero, ritiene di grande importanza l'impiego dei test mentali e si impe gna a fondo per fare tradurre e pubblicare il lavoro di A. Binet e Simon, studiosi che, in opposizione a Wundt, ritengono che la Psicologia Speri mentale debba occuparsi dei processi mentali superiori e dedicano, preva lentemente, il loro studio al pensiero ed all'intelligenza. Il problema legato alla "quantificazione" (Galton è conosciuto dai nostri studiosi) delle abi lità cognitive entra a far parte del panorama di ricerca: inevitabilmente ciò comporta il presentarsi di nuovi problemi da affrontare e da risolvere e soprattutto anche l'introdurre concetti teorici del tutto nuovi, che sconvol gevano alcune certezze ritenute indubitabili. Tutte queste differenti modalità di accostarsi alla Psicologia sono conosciute in Italia e ciò giustifica il fatto che sorgano alcune riviste che accolgono le più differenti impostazioni di ricerca. Ad esempio nel 1881 E. Morselli fonda la Rivista di Psicologia scientifica che è l'espressione per eccellenza della corrente positivista, ma che contiene anche lavori di stu diosi appartenenti a differenti orientamenti (ad esempio vi scrive G. Ta rozzi che, partito da posizioni spiritualiste (1899, op. cit.) approda poi a quelle funzionaliste, tanto che nel 1911 propone il Compendio dei principii di Psicologia di W. James sotto forma di manuale destinato addirittura agli studenti delle scuole medie); nel 1899 nasce la Rivista quindicinale di Psicologia, Psichiatria, Neuropatologia che si occupa principalmente di stu di psicopatologici; nel 1900 inizia la pubblicazione dell'Archivio di Psi-
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oologia collettiva e Scienze affini che indaga temi di "psicologia sociale" o, potremmo forse oggi sostenere con maggior precisione, di "antropologia culturale". 6.3. È allora comprensibile come la Psicologia tenda ad assumere il ruolo di guida rispetto alle altre scienze e, per ciò che concerne il nostro discorso, si può anche agevolmente comprendere come per la maggior parte degli studiosi, negli ultimi decenni del secolo la Logica dipenda totalmente dalla Psicologia, ne sia una derivazione e, fondamentalmente, sia intesa alla stregua di strumento atto a rappresentare, tramite astrazione, quelle che sono le caratteristiche fondamentali, che stanno alla base e presiedono alla formazione delle attività cognitive del soggetto. Si tratta di una posizione oramai acquisita che non solo gli psicologi sostengono fermamente, ma qualsiasi persona che indaghi tale problema. Ecco perché anche i logici del periodo fanno propria questa impostazione di pensiero 110. Indubbiamente, questo è l'aspetto che caratterizza mag giormente la cultura del periodo: non si può fare a meno di un punto di partenza psicologico per poter spiegare qualsiasi forma del sapere, a meno di trincerarsi dietro posizioni conservatrici ed atemporali. Eppure, l'esame da noi condotto sulla grande maggioranza dei filo sofi italiani della seconda metà del secolo XIX, ci conduce ad ammettere che, paradossalmente, possiamo oggi sostenere che i fautori della corrente (quella che noi abbiamo indicato come gruppo 5.3.), che rifiutava assolu tamente di trovare alcun contatto tra le due materie, possano essere con siderati "moderni" almeno quanto coloro che sostenevano una correlazio ne tra queste due materie (gruppi 5.2.) e coloro i quali ritenevano la Psicologia generatrice di tutte le forme del sapere, dunque anche della Logica (gruppo 5.1.). 110 In un tale contesto rimane pertanto isolata la voce di chi si oppone a queste posizioni, come ad esempio quella di G. Frege. Egli aveva compreso che era la Logica, e non altre discipline, il fondamento della matematica e pertanto il mescolarla con componenti psicologiche aveva come unico risultato quello di inquinare la stessa e di deviarne la ricerca. Siamo nel periodo in cui G. Frege inizia e compone la parte più importante dei suoi lavori (Begriffsschrift, 1879; Grundlagen der Arithmetik, 1884; Grundgesetze der Arithmetik I, II, 1893, 1902) tesi alla ricerca dei fondamenti della matematica che, a suo avviso, sono di natura logica. Sappiamo altresì che nella sua opera egli prende decisamente posizione proprio contro coloro nei quali era riscontra bile qualsiasi elemento psicologistico per tentare di assolvere al compito accennato. A tale proposito sono assai conosciute le sue precise e pungenti osservazioni verso J. S. Mili, Jevons, ed altri.
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Infatti un'interpretazione psicologistica della Logica, va incontro a molteplici difficoltà, proprio in virtù dei suoi presupposti di base che condizionano la stessa ricerca. L'indagine sugli effettivi processi psichici, concernenti le forme del pensiero, o le leggi del pensiero, proprio perché tratta di qualcosa non sperimentalmente verificabile, conduce ad una nuova ricerca speculativa, oppure presuppone la riesumazione di una con cezione naturalistico-meccanicista del pensiero stesso, tipica della cultura settecentesca, che rende quest'ultimo un "oggetto reale" di indagine, alla stregua di tutti gli altri oggetti di cui si occupano le altre scienze della natura. Tutti gli studiosi esaminati non riescono ad eliminare completa mente questo aspetto: infatti, come abbiamo mostrato, non hanno mai avuto un attimo di esitazione a proporre una visione unitaria del sapere con l'intento dichiarato di produrre una sintesi concettuale, ma con il risultato effettivo di dar luogo a lavori assai discutibili, generando, di conseguenza, una notevole confusività. In modo assai generale manca a questi psicologi la capacità di saper partire nel loro lavoro dall'essere umano inteso come una totalità concreta o, in termini più attuali, come una persone. Ma questo è un modello che sarà riscontrabile solo nella Psicologia contemporanea e che all'epoca non poteva certamente essere facilmente inteso e compreso. In altri termini: anche se in campo psicologico vi sono stati notevoli progressi, consistenti in una delimitazione più precisa ed in una più pun tuale individuazione degli obiettivi, la maggioranza di coloro che si occu pavano di questa disciplina, dimostra di non aver compreso sino in fondo quella che erano state la fondamentali intuizioni kantiane, da cui si erano mossi un po' tutti i grandi psicologi europei. Nella maggior parte dei casi, infatti, si lavora ancora attorno ad una Psicologia Razionale (l'influenza di Wolff non cessa neppure ora), mentre invece la critica di Kant, pure mettendo in luce le verità essenziali che questa comportava, negava tutta via che queste costituissero una conoscenza razionale, ovvero oggettiva. È l'esperienza l'elemento che ci informa riguardo la vita cosciente e, di con seguenza, tutti i quesiti, che tale attività non può risolvere, appartengono alla metafisica, non certo alla Psicologia come Scienza. Gli psicologi ita liani, affermano di volere eliminare dai loro interessi una Psicologia Razio nale, sostituendola con una Psicologia Empirica e nella pratica si assestano su questo campo. Tuttavia spesse volte sono condotti ad impiegare le tecniche, che sono proprie di questa modalità di ricerca, con l'intento -di cercare di risolvere problemi che non possono essere affrontati in tal modo. In senso opposto si verifica allora proprio quello che pretendevano
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di eliminare, ovvero il forzare una ricerca attraverso l'impiego di strumenti inadatti ed improduttivi. Probabilmente questo è dovuto al fatto che non si ha una concezione della Psicologia che, oltre ad essere empirica, sia anche fenomenologica. Infatti l'osservazione e la sperimentazione presentano delle insormontabili difficoltà, che si può cercare di superare, almeno in parte, solo intendendo la Psicologia alla stregua di pura descrizione dei processi interni. Se si accetta questa posizione, bisogna però anche convincersi che è impossibile dedurre e fissare delle leggi a priori per una simile disciplina, mentre questo, al massimo, potrebbe essere possibile per altre conoscenze (per Kant, ad esempio, quelle fisiche). Forse il timore di ridurre ulteriormente il campo d'applicazione della Psicologia e la resistenza ad accorgersi che è solo delimitando chiaramente i problemi che una disciplina deve affrontare e, di conseguenza, i metodi da adottare, costituirono il principale ostacolo che i nostri studiosi incon trarono per legittimare come prettamente scientifiche le ricerche da loro compiute. 6.4. Se per ciò che concerne la Psicologia ci troviamo in una situa zione alquanto confusa, per la Logica si naviga in acque ancora più tor bide, in quanto si viene a verificare ed a rafforzare assai presto, ciò che C. S. Peirce sosteneva a proposito degli studi di tale materia. Egli si ren deva conto « che questa disciplina era in una brutta condizione, comple tamente indegna dello stato generale di sviluppo intellettuale dell'epoca. In conseguenza di ciò ogni altra branca della filosofia, ..., - poiché già era chiaro che la Psicologia era una forma di conoscenza del tutto speciale e non una parte della filosofia - si trovava in un simile spiacevole stato... Essa era caduta continuamente e tutt'altro che lentamente, relativamente al progresso della scienza fisica, dal tempo della rinascita del sapere, cioè dalla data della caduta definitiva di Costantinopoli » (F. Barone, op. cit., II, V, II, 198). Per quello che concerne l'Italia degli ultimi anni del XIX secolo, dove una tale condizione era lampante, abbiamo un esempio asso lutamente significativo per illustrare la confusività in cui si dibatteva il sapere filosofico. Una decina di anni prima della fine del secolo, e precisamente nel 1889, il lavoro di Giuseppe Peano ha fatto il suo ingresso nel panorama culturale, apportando specifici e precisi contributi nel campo della Mate matica e della Logica, al punto che i suoi lavori sono conosciuti e discussi in Europa già a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Se si escludono alcune
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posizioni che risentono del clima culturale specifico del periodo, il suo lavoro era certamente innovativo e, soprattutto, espresso con un rigore ed una chiarezza tali che B. Russell affermò che "Peano era sempre più pre ciso di tutti gli altri e che in tutte le discussioni risultava indubbiamente il più brillante... [e] mi convinsi che questo dipendeva dalla sua logica mate matica" (citato da H. C. Kennedy, Peano. Storia di un matematico, 104). Sarebbe forse comodo, e crediamo anche semplicistico, affermare che ben difficilmente le grandi opere conoscano subito il successo e l'apprez zamento loro dovuto ed altrettanto banale sarebbe rifarsi ai numerosi esempi storici, che testimoniano tale fatto. Pur non mettendo minimamen te in discussione l'indubbio valore di Peano, egli è rappresentante di un clima culturale del tutto attuale nella cultura europea del suo tempo, dove le discussioni sui temi da lui trattati sono sufficientemente diffuse. Tutta via la cultura filosofica italiana non solo non si rende conto di ciò, ma assume posizioni arbitrariamente contrarie. Anche ora vi sono alcune eccezioni, le quali però altro non fanno che avvalorare le tesi di partenza. Nel nostro caso possiamo riferire di due Autori che compresero la portata innovativa dei lavori peaniani. Si tratta di F. Masci 111 e, ancora più marcamente, di A. Nagy 112 , il quale già nel 1890 (Fondamenti del calcolo logico) mostrava di conoscere ed apprezzare i lavori del matematico torinese (ma anche quelli di G. Boole, E. Schròder 111 Ci riferiamo ad Elementi di Filosofia - Logica del 1899, opera citata dallo stesso G. Peano sul bollettino di Mathesis A. VII (G. Peano, Le definizioni per astrazione, in Opere scelte, a cura di U. Cassina, Roma, 1958, II, 402-416). Nella seconda parte della sua produzione filosofica F. Masci (1844-1922), discepolo di B. Spaventa, passò ad una ricerca tesa alla ricostruzione psicofisica dell'esperienza conoscitiva, ripudiando comple tamente le tesi fondamentali di Kant, dalle quali pure era partito e che aveva a lungo sostenuto, cercando di preservarle dalle osservazioni di coloro che si presentavano legati ad un empirismo troppo radicale. A conferma di queste sue ultime posizioni si veda Pensiero e coscienza (Roma, 1922). Tra le altre opere segnaliamo: Le forme dell'intuizio ne (1881), Filosofia, scienza, storia della filosofia (1902). Da sottolineare infine, secondo G. Gentile, che il Masci, nell'ultimo periodo della sua vita, "per stanca disperazione di venire a capo di una scienza che affermasse insieme lo Spirito e la Natura meccanica, si è abbandonato al misticismo... quando non era più in grado di criticare ed approfondire il proprio contenuto e pervenire ad una chiara e netta soluzione (1921, III, 98-99). 112 Albino Nagy. Di origini dalmate fu docente di Filosofia nel Liceo di Velletri e col 1894 divenne libero docente di Logica all'Università di Roma. La sua produzione più interessante è quella compresa tra il 1890 ed il 1899. Ricordiamo tra le altre opere: // Nyaga e la logica aristotelica (1889), Le cognizioni matematiche nella Filosofia di Platone (1890), Principii di Logica esposti secondo le dottrine moderne (1892), I primi dati della Logica (1894), Fatti normali e fatti morbosi in Psicologia (1896 - Con frequenti richiami ai lavori di P. Janet e J. B. E. Charcot).
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e G. Frege) e due anni dopo (Principii di logica esposti secondo le dottrine moderne, 1892) affermava che la Logica, in Italia, si trovava in netto ritar do rispetto alle altre nazioni, perché i filosofi si disinteressavano comple tamente dei suggerimenti che venivano dai matematici (tra i quali è citato G. Peano). Egli da l'impressione di volersi sforzare di prendere in esame i suggerimenti dei matematici con l'intento di cercare di fare uscire la Logica "dal sonno" aristotelico: se infatti lo stagirita è senza dubbio il padre di questa disciplina, occorre tuttavia che questa evolva e per questo sono necessarie nuove speculazioni, nuove teorie e diverse tecniche. A suo avviso « la Logica s'occupa del pensiero come dev'essere, esatto nella forma e vivo nel contenuto... La Logica non considera il pensiero come prodotto dell'essere pensante, né come parte della realtà obiettiva e nep pure come significato di parole, sibbene lo riguarda in sé, nel suo processo ordinato, nelle sue leggi » (12). Dopo avere suddiviso la Logica in dottrina delle forme elementari, dottrina delle forme sistematiche (che rende conto anche del contenuto), riprende espressamente da Boole e Schròder la dottrina delle leggi del pensiero e svolge quella del sillogismo, che l'Au tore non elimina certo dal corpus della Logica, ma che anzi ritiene pur sempre come la forma prima della stessa, (cosa che, d'altra parte, lo stesso Peano sosteneva ancora nel 1908), facendo ricorso alle tematiche astratte da lui già impiegate per trattare la dottrina del concetto e del giudizio: subordinazione (relazione d'inclusione), interferenza (inclusione ed esclu sione parziale), disgiunzione o distinzione (esclusione totale), semplicità, molteplicità, somma ed infine intersezione. Quello che maggiormente ci interessa dei lavori del Nagy lo ritrovia mo in Lo stato attuale ed i progressi della Logica (Rivista Italiana di Filo sofia, 1891). Egli si rende conto che "eccetto alcuni opuscoli di chi scrive queste linee e le interessanti pubblicazioni del professor Peano dell'Uni versità di Torino [del quale cita Calcolo geometrico preceduto dalle opera zioni della Logica deduttiva del 1888 e Principii e formule di Logica mate matica del 1891], niente altro accenna che tali ricerche vengano coltivate da noi" (301-302). Dopo alcune pagine in cui elenca chi si cimentò "nell'applicare il calcolo alla Logica" (302), dove partendo da Leibniz, attra verso J. H. Lambert e G. Ploucquet, giunge sino a Boole e Peirce, egli ritiene che da parte dei filosofi (in primo luogo Lotze, ma anche lo stesso Wundt) "si era restii ad accettare subito delle dottrine svolte in sembianze matematiche, fuori dalla cerchia dei filosofi di professione: e ciò, sia per ché - confessiamolo francamente - non le si comprendevano, sia perché apparivano in opposizione o non se ne vedeva la connessione possibile con
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la dominante Logica tradizionale" (305). Ma in seguito alle aperture dei logici inglesi e tedeschi egli è fermamente convinto che la distinzione tra il sapere filosofico e quello matematico sarà destinata a scomparire "col progredire del tempo e della scienza. Poiché se pure esiste e v'è la diffi coltà per alcuni filosofi di intendere la parte matematica della Logica - ed anche, forse -per alcuni matematici di intendere la parte filosofica credo che, ... crescerà una schiera di filosofi matematici" (306). Il resto del lavoro esamina successivamente la questione concernente l'eventuale opposizione tra la nuova logica inglese e tedesca e quella tra dizionale scolastica. Si passano in rassegna le varie modalità con le quali è stato definito il termine "Logica" (citando Bain, Wundt, Kant, Trendelemburg, Hegel, Hamilton, J. S. Mili), giungendo in ultimo a stabilire che questa disciplina "studia i tipi schematici dei giusti pensieri in quanto conducono alla scoperta di verità" (312). Si sottolinea che in tal modo non si ricade nel puro formalismo in quanto si prendono in considerazione sempre entità dotate di un preciso significato, anche se inizialmente non stabilito. In conclusione dopo avere mostrato i limiti della Logica tradizio nale, della quale compie un rapido esame delle parti che la costituiscono, sostiene che quest'ultima non è in opposizione a quella a lui contempora nea, anche se è stata solo la Logica matematica il solo vero progresso rispetto al sapere classico m . Questo è dovuto al fatto che tale disciplina, possedendo due principii, l'uno "dipendente dall'umana parola" (314) e l'altro di ordine psicologico, ha reso possibile la trasformazione della Lo gica in una scienza aperta, passibile di infiniti miglioramenti. Ciò gli consente di concludere che: "Tutta la Logica tradizionale è contenuta, come parte elementare o come caso speciale, nella Logica ma tematica. In quest'ultima [inoltre] alcune parti della prima sono essenzial mente semplificate o modificate ed hawi, da ultimo, un campo vasto e fecondo schiuso a ricerche, che son del tutto nuove per la scienza" (319). Nel 1893 A. Nagy riprende questi temi in Discussione: la Logica matematica ed il Calcolo logico (Rivista Italiana di Filosofia) per schierarsi decisamente contro il testo di G. G. Gizzi 114 (La Logica negli uomini e 113 Una più ampia trattazione di questo problema, ma contenente nulla di nuovo, è presente nel lavoro del 1904 (op. cit.). 114 Giovanni Giuseppe Gizzi (1865-?). Letterato e filosofo romano, laureatesi in diritto, lettere, medicina ed ingegneria, insegnò Filosofia nei Licei della capitale e poi divenne docente di Estetica presso l'Università romana. Tra le sue opere ricordiamo: II fondamento dell'Estetica, Lettere sulla Logica (1882), Sulla riforma del potere giudizia rio (1887), Spazio e Tempo (1890). Fu anche redattore del quotidiano II Messaggero.
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negli animali, 1892 - vedi cap. II), ribadendo che cosa egli vuole intendere col termine Logica. Si pone decisamente contro il tentativo di ritenere questa disciplina in modo esclusivamente psicologistico, perché ciò "mi fa l'effetto di uno che volesse imparare a studiare il pianoforte studiando il modo come è fabbricato" (389). Successivamente analizza i temi specifici con cui il Gizzi pretende di porre un freno all'espansione della Logica matematica che, a suo avviso, si verificava in quel periodo. In particolare Nagy ritiene che "lo scopo della logica è di dare delle regole per ben ragionare... Ora il calcolo logico obbedisce perfettamente a questo scopo... né [esprime] vuote identità, inutili astrattezze, ma, sempre come il simbolismo algebrico, [presenta] relazioni e leggi ben determinate" (393). Dopo avere rivendicato l'impor tanza del calcolo logico, facendo addirittura ricorso a citazioni di Wundt e Bain, i quali non erano certo favorevoli ai principii della Logica mate matica, conclude affermando nuovamente i vantaggi insiti nella nuova disciplina. "Se il Gizzi si darà la pena di leggere attentamente un qualun que buon trattato di Logica matematica si convincerà che la formula del sillogismo dato dalla signorina Land e riprodotta dal Peano, comprende... in sé tutti i modi esatti del sillogismo tradizionale" (395) 115 . Ma questa, occorre sottolinearlo, è una posizione unica, singolare, anch'essa subito soggetta a violente critiche da parte della grande maggio ranza degli studiosi, che non vorrà mai accogliere certi suggerimenti trop po innovativi (il nome di Nagy è spesso associato a quello di Peano per indicare la degenerazione cui la Logica era stata soggetta). Riflettono assai meglio il clima culturale generale i due autori di cui ora tratteremo: attraverso di loro è possibile rendersi conto di quale fosse la reale situazione della filosofia italiana alla fine del secolo XIX e giusti fica completamente l'affermazione incontrastata della corrente neo-ideali stica. Quest'ultimo fatto è del tutto comprensibile, visto lo stato delle altre discipline. Nel nostro caso specifico abbiamo una Logica matematica che quasi per tutti è ancora un "oggetto" sconosciuto. La Psicologia non riesce ad assumere posizioni precise e ad inserirsi nel contesto culturale se non in modo limitato. Non solo ma quegli Psicologi, che pure erano affermati ricercatori e conoscevano e seguivano le più avanzate correnti in cui la 115 Sempre nello stesso anno Nagy fece una presentazione di Philosophie der Aritmetik, Psychologische und logische Untersuchungen di E. G. Husserl, nella quale evita ogni commento limitandosi a riportare dettagliatamente gli argomenti del testo (Cfr. Rivista Italiana di Filosofia, 1983, II, 243-245).
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loro disciplina si espandeva, non furono certo persone che corredarono al loro lavoro scientifico, un'altrettanto forte capacità divulgativa ed, allo stesso modo, non cercarono di portare sul terreno filosofico quelli che erano i problemi interni alle loro discipline, cosa che invece sarebbe stata della massima utilità (ed in verità anche un logico quale G. Peano non volle mai occuparsi di questioni filosofiche, ritenendole, ed a torto, estra nee alla sua attività). A queste condizioni, le produzioni filosofiche appartenenti alla lette ratura minore, ovvero non particolarmente rilevanti da un punto di vista speculativo, ma che di fatto sono ciò che denota il clima culturale globale di un paese, si dibattono in posizioni deboli, contraddittorie e di facile manipolazione. Come caratteristica globale avviene che, fondamentalmen te, l'assunzione di un modello psicologistico, che non di certo è empirica mente valido né risulta supportato da una solida base filosofica, è presen tato come il solo mezzo con il quale si possa investigare a proposito del sapere dell'uomo. Tutto il resto è non solo "inutile", ma, addirittura, "ascientifico". Per confermare quanto è stato ora detto, diamo i due se guenti esempi: 6.4.1. A. Ferrari (Trattato di filosofia elementare ad uso dei licei, se condo i vigenti programmi. Nozioni di psicologia in servizio della logica e dell'etica, 1892) 116 afferma che il rapporto che la Psicologia instaura con la Logica consiste nel fornire a quest'ultima la sua valenza reale. I metodi di analisi e sintesi sono in realtà dei meccanismi psicologici che consento no all'uomo di formarsi degli schemi, attraverso i quali egli conosce la realtà. Tali meccanismi sono collocati a vari livelli, dalla percezione all'im maginazione, ed è la loro associazione quello che ci permette uno sviluppo della conoscenza, la quale è « una manifestazione dell'attività psichica » (73), perché «ognuno... vede come la gnoseologia sia intimamente con nessa con la Psicologia » (ibidem). Questo grave errore filosofico (si ren dono equivalenti Gnoseologia e Psicologia, fatto che dimostra un'errata lettura non solo di Kant, ma anche di Hegel, filosofo al quale l'Autore dice espressamente di rifarsi), fa sì che egli ritenga prodotti psichici la totalità delle attività cognitive. E, per corroborare tale ipotesi, egli non ha proble mi a sostenere che « il concetto non è un'attività semplice ed originaria, 116 Tra le altre opere di Ambrogio Ferrari segnaliamo: Trattato di Filosofia ele mentare ad uso dei Licei: I) Nozioni di Psicologia in servizio della Logica e dell'Etica (1892), II fondamento della morale (1898).
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ma un prodotto di molti fattori che si manifestarono nella nostra psiche, in un ordine cronologico. Quindi per conoscere il concetto occorre ana lizzare tanti fattori seguendo tale ordine: conviene in una parola rintrac ciarne la genesi psicologica » (86). La Logica, allora, può definirsi scienza del ragionamento, ma unicamente per il fatto che si occupa del modo nel quale si esplicano i concetti e di come questi si armonizzino in funzione del raggiungimento e della costituzione di una (non precisata) unità dia lettica. Tre anni più tardi in Introduzione alla logica (1895), per sostenere come una componente psicologica presiedesse alla costruzione di ogni conoscenza e come questa fosse maggiormente da stimarsi rispetto a tutti gli altri aspetti impliciti in tale processo, si scaglierà decisamente contro l'indirizzo matematico che si voleva assegnare alla Logica. « Anche lo stes so indirizzo matematico, fondato sulla quantificazione dell'attributo che alcuni moderni, sull'esempio degli inglesi De Morgan, Boole, Jevons, e del nostro Peano, tentarono con tanto ingegno di dare alla Logica, non sor passa in realtà il valore di un'analisi secondaria, che lascia intatta la que stione principale intorno alla possibilità e legittimità di questa scienza. Si può con tutta ragione dubitare se, specialmente nelle scuole secondarie, tale nuovo indirizzo abbia dato, come asserisce lo Schròder, o possa dare per l'avvenire nuovi frutti » (10-11). 6.4.2. Allo stesso modo A. Martinazzoli e F. Cicchitti-Suriani 117 (Principii di filosofia scientifica - Voi. I: Psicologia e Logica, 1896) presen tano favorevolmente il tentativo di voler indagare non solo da un punto di vista formale, ma anche reale, i processi del pensiero. Tuttavia è la Psicologia la scienza che deve essere collocata a fondamento di qualsiasi conoscenza, perché altrimenti si potrebbe cadere in quelli che sono stati gli errori, o le illusioni, della Logica-matematica. Infatti per gli Autori, che avevano mostrato di conoscere i lavori di Peano, « alcuni moderni, traendo argomento dai progressi fatti dalla matematica con l'introduzione dei segni algebrici e dalla chimica con quelli delle formule letterali, tentano di 117 Filippo Cicchitti-Suriani fu un filosofo di fine secolo scorso con interessi per la ricerca psicologica. Segnaliamo tra i suoi lavori: Sinossi della Storia della Filosofia (1886), La Logica e la Psicologia. La morale e la Storia della filosofia (1887-1888), L'attenzione (1891), / primardi del kantismo in Italia (1892), Di alcune fasi della Logica nella Storia della filosofia (1894). Il Martinazzoli e, a sua volta, un filosofo pedagogista, attivo nello stesso periodo. In particolare egli curò con L. Credaro (1860-1939) la redazione del Dizionario Illustrato di Pedagogia (1893).
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sostituire anche nella Logica, un simbolismo ideale, che esprima le relazio ni logiche indipendentemente al linguaggio. E iniziando lo studio delle relazioni di più concetti, credono di avere posto e risoluto il problema del sillogismo e dell'inversione dei giudizi in tutta la sua ampiezza. Tale logica di cesi matematica... Contro la logica matematica si sono mosse obiezioni non poche, né trascurabili. Principalissima delle quali è: che i fautori della medesima, mal si appongano, quando credono di arricchire la scienza di nuove scoperte: perché essi, in fondo in fondo, non fanno che svolgere la logica classica e formale, la quale è noto, fu sempre ritenuto abbia delle affinità con la matematica, per il suo processo rigorosamente esatto » (138-139). È dunque sempre il richiamo all'evidenza empirica quello a cui si rifanno questi Autori, non rendendosi invece conto di come sia assai più proficuo "leggere" questi ultimi attraverso modelli astratti, certamente meglio adatti non solo per spiegarci, ma anche "per farci vedere" tutto quello che invece l'osservazione, o la sperimentazione diretta, non è in grado di presentarci. 6.5. Questo per gli Autori citati, ed anche per la grande maggioranza di coloro che lavoravano in tal periodo, equivale allo spostare ad un livello differente il problema concernente la Logica, ma non di certo a risolverlo, poiché si guardano bene dal mettere in discussione la sua dipendenza dalla Psicologia: senza una primitiva indagine psicologica, nulla sapremo riguardo all'origine, alla natura ed all'impiego del sapere in generale ed, in particolare, della Logica. Forse colui che meglio comprende il rapporto tra Logica e Psicologia è B. Varisco (Intorno ai principii fondamentali del ragionamento, 1892) 118 quando attua una distinzione tra giudizio logico e giudizio psicologico. Si tratta di uno studioso che di certo, in virtù della sua formazione (egli è un matematico, docente di tale disciplina, ed in un secondo momento si dedica alla filosofia), conosce le produzioni della Psicologia dell'Atto, mostra di avere letto i lavori di Boole, a proposito dell'algebra della 118 Bernardino Varisco (1850-1933). Nipote di F. Bonatelli si forma come mate matico e diviene presto professore di questa disciplina. Si occupa poi di pedagogia della matematica e da qui, poco alla volta, si porta su posizioni laiche e spiritualiste. Dal 1905 al 1925 assume la cattedra di Filosofia all'Università di Roma. Tutta la sua produzione ruota attorno alla speculazione leibniziana, della quale propone alcune (in verità non molto significative) variazioni. Ricordiamo tra i suoi lavori: Scienza ed opinione (1901), Conosci te stesso (1912), Linee di Filosofia critica (1921).
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Logica, quelli dei logici inglesi e segue i discorsi portati avanti da Peano. In primo luogo egli prende posizione contro il positivismo, in quanto la pretesa di tale corrente di trattare scientificamente qualsiasi forma di verità si scontra con l'incertezza che permane, in ogni caso, dopo qualsiasi investigazione. In secondo luogo, richiamandosi a Kant, sostiene come sia l'atto del giudizio ciò che segna l'inizio di qualsiasi conoscenza, che lo si deve intendere come una formula esprimente un paragone, che può essere indifferentemente espresso in modo diretto od indiretto alla condi zione che sia conforme alle categorie nelle quali è collocato. Il giudizio inoltre può essere logico (ovvero posteriore, che riproduce il concetto e vi applica sicure e particolari determinazioni), oppure psicologico (nel quale soggetto e predicato sono pensati insieme in virtù di un atto unico ed indistinto). Per quanto riguarda il primo si tratta, a suo avviso, di quello più valido, in quanto « è ufficio dell'arte logica scindere un procedimento complesso e ridurlo a tanta semplicità e precisione che ogni dubbio ne sia eliminato» (La necessità logica, 1895, 17): la matematica è allora lo stru mento che meglio si adatta a presentare questo tipo di giudizio, ma ha il limite di occupare un'area troppo ristretta e limitata. Per quanto riguarda il secondo (che in 1895 definirà come oggetto di studio della filosofia), possiede un'estensione assai più vasta, perché riguarda e riflette anche gli elementi che ci sono forniti dall'osservazione, ovvero dalle scienze basate sull'osservazione. Negli anni successivi egli muterà ancora posizione, rite nendo che occorre intendere la realtà alla stregua di una pluralità di centri psichici attivi (compaiono richiami a Leibniz ed alla monadologia ma, soprattutto, all'idealismo critico di Lotze). Nel mondo fenomenico provo cato da questi centri compaiono fattori alogici di carattere psicologico, basati sulla spontaneità e sull'immediatezza dell'individuo, elementi primari e naturali, che hanno bisogno di essere organizzati tramite un fattore logico. Questo, a sua volta, è deputato ad ordinare ed organizzare i feno meni stessi. Il fattore logico sarà rappresentato dall'idea dell'Essere di derivazione rosminiana. Probabilmente i lavori di B. Varisco (che si richiama spesso a Bonatelli e Rosmini) sono quelli più accurati del periodo e mostrano come il problema in questione fosse particolarmente sentito. Di fatto, tuttavia, anch'agli non giunge a superare la posizione culturale predominante nel periodo (derivazione psicologica di ogni forma del sapere), anche se egli è invece convinto di aver raggiunto il suo obiettivo e quando si sforza di attestare una certa autonomia alle singole discipline, attua questo intento
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facendo ricorso a tematiche spiritualiste di scarso valore scientifico. Fon damentalmente dunque neppure egli, malgrado pretenda di avere colto il significato della nuova Logica, dimostra nella pratica di sapersi distaccare da una posizione che invece è del tutto superata. Proprio per il fatto che egli richiama anche concetti mutuati dalla Psicologia, ma pretende di valutarli ed esaminarli non sperimentalmente, ma inserendoli in un conte sto speculativo, il suo lavoro non è certo di grande utilità neppure per questa disciplina. Tutte queste posizioni ci confermano in modo inequivocabile in quali difficoltà il pensiero dell'epoca ponesse chiunque avesse realmente da pro porre ricerche davvero nuove. Non si era compresa, in altri termini, la differenza che intercorre tra lo stabilire la primarietà di una scienza e lo studiarne la genesi. Da un punto di vista genetico nessuno, neppure un logico, avrebbe di che ridire di fronte all'affermazione che qualsiasi forma di conoscenza, anche quella più precisa (come potrebbe essere quella lo gica), si possa considerare come il frutto di progressive costruzioni e rifles sioni, che si formano e si consolidano con il maturare e l'espandersi delle attività cognitive del soggetto. Ma il discorso non regge più, od almeno è certamente assai più debole, quando si pretende di fare della Logica una Denkpsycbologie, ovvero quasi uno strumento, non più una scienza, che ci descriva come la mente del soggetto funziona in differenti situazioni. Se alle osservazioni degli autori citati aggiungiamo anche quanto sosteneva C. F. Savio ancora nel 1907 (op. cit.) ci rendiamo conto del relativo abbandono in cui furono lasciati gli Psicologi del periodo, ma anche dell'indifferenza che non solo precedette, ma anche accompagnò l'opera di G. Peano. La sua Logica matematica, tutte le edizioni del "For mulario", i successi personali ottenuti nel mondo accademici europeo ed americano, non compaiono mai nei trattati di filosofia, ed anche in quello di C. F. Savio, che compone questo lavoro quando il logico torinese ha già da tempo ottenuto i suoi migliori risultati, non è neppure citato nella breve appendice dedicata alla storia della Logica. Non solo ma quando parla della Logica matematica si rifa unicamente alla scuola inglese, che deve però essere intesa come « una scuola a parte, [anche se] ricca di produzioni originali » (365) ed inoltre non presenta i suoi esponenti in modo certamente positivo. Infatti, dopo avere accennato senza alcun com mento alla quantificazione dei predicati di W. Hamilton (si veda anche M. F. Waddington, 1864, op. cit.) e ad un lavoro di J. F. W. Herschel e W. Whewell a proposito della Logica della scoperta scientifica, quando parla del lavoro di A. de Morgan, afferma che questo produce un « siste-
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ma [che] in complesso è di niuna utilità» (366), mentre quello di G. Boole « nella sua Analisi matematica della Logica e nelle sue ricerche sulle leggi del Pensiero, riduce la Logica ad una specie di algebra adottandone i simboli » (366), ma ottenendo nulla che possa dirsi scientificamente e filosoficamente valido ed attendibile. Bisognerà attendere ancora parecchi anni per iniziare un'opera di rivisitazione del rapporto Logica/Psicologia, che consenta di passare da una loro dicotomizzazione, o dalla riduzione dell'una nell'altra, ad una loro costruttiva integrazione. Tutto ciò comporterà la produzione di molti lavori, tesi ad indagare in modo più approfondito la natura di queste due discipline e ad individuare specifici livelli, che consentano una loro reale e produttiva correlazione, senza per questo mettere in discussione la loro specificità ed autonomia. Una volta di più, la cultura italiana, anche in questo caso con le dovute e pure notevoli eccezioni (si pensi ai lavori di F. Enriques) si presenterà in ritardo rispetto a questo obiettivo. In misura di certo rilevan te le vicende politiche italiane, oberate da una dittatura con evidenti con notazioni razziste (molti studiosi tra cui Enriques devono andarsene dal Paese), giocano un ruolo non certo favorevole al progresso della ricerca scientifica, proponendo invece astorici modelli speculativi. Resta il fatto tuttavia che se in Europa, soprattutto grazie ai lavori di J. Piaget 119 (il quale, già a partire dalla seconda metà del terzo decennio di questo secolo, inizierà una grande operazione di revisione dei rapporti tra Logica e Psi cologia, che prosegue ancora attualmente ed ha portato ad interessanti risultati), questo tema sarà spesso trattato e produrrà validi lavori e da parte di logici e da parte di psicologi, nel nostro paese occorrerà attendere ancora altre decenni, prima di affrontare in modo realmente scientifico questo argomento di ricerca.
119 Si veda in particolare Introduction a l'epistemologie génétique I: La pensée mathématique (1950, 1973) e Logique et connaissance scientifique (1967).
II LA LOGICA NATURALE NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA DEL XIX SECOLO
1. PREMESSA. Durante la prima metà del secolo scorso, nella continua e costante ricerca volta a rintracciare quali fossero la genesi e le basi dell'umana conoscenza e come si dovesse strutturare il pensiero del soggetto per poterne acquisire i più validi risultati, si sottolineava, generalmente, che occorreva muoversi dall'attività sensitiva per indagare e scoprire la mag gior parte (se non addirittura tutte) le possibili forme di ragionamento. Quasi tutti gli studiosi condividevano questo punto, anche se fornivano le più disparate giustificazioni e le più diverse spiegazioni. Nessuno di loro però lo riteneva un argomento sufficiente, ovvero in grado di fungere quale fondamento delle conoscenze dei soggetti, e ciascuno forniva il pro prio contributo, costituito dall'aggiunta di elementi integrativi dei più di versi tipi. O meglio: anche se ci si richiamava pur sempre a temi generali di natura ontologica, morale ed etica, quello che variava per ogni Autore era ora la maggiore ora la minore rilevanza ed il livello gerarchico da questi occupato nella loro costruzione, che mirava ad essere sistematica e completa. Ora, benché siano stati parecchi i tentativi di accostarsi al pro blema da noi accennato ed ancor più numerose le diverse modalità che si suggerivano per investigarlo, pensiamo che due fossero le principali cor renti di pensiero che, all'epoca, si schieravano l'una di fronte all'altra e che non raramente davano vita a lunghe e vivaci polemiche tra i rispettivi sostenitori dell'una o dell'altra. 1.1. Vi erano coloro che si rifacevano ad una concezione rigidamente sensista del soggetto e quindi pensavano che fosse la sensazione la base
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reale, anche.se non l'unica, da cui partire per studiare ogni forma di evoluzione dell'individuo (dunque anche quella cognitiva). 1.2. Vi era chi, ed all'epoca non costituiva di certo minoranza, pen sava che a monte degli stessi sensi vi fosse una "caratteristica universale", comune ad ogni soggetto, la quale presiedeva a qualsiasi suo agire, fosse questo di natura fisica o psichica. È agevole osservare come una posizione più "psicologista" si contrap ponesse ad una dichiaratamente "filosofica". Entrambe davano evidente mente origine a lavori che si contrapponevano: tuttavia, indipendentemen te dall'adesione ad una posizione piuttosto che all'altra, nessuno, prima che le singole scienze iniziassero ad acquisire una loro autonomia ma, fatto originale, anche in seguito, avrebbe mai negato che vi fosse una Logica Naturale e che si potesse constatare la sua presenza e manifestazione spon tanea in qualsiasi campo del sapere (ed anche dell'agire). Si trattava pertanto di considerare un qualcosa di dato che, in poten za, possedeva l'attributo di regolazione e di ordinamento tendente al rag giungimento dell'esattezza e della rettitudine delle operazioni che il sogget to compiva, una volta entrato in relazione con la realtà a lui esterna, oppure una volta che aveva instaurato una comunicazione con qualsiasi altro sog getto: da qui il sostantivo Logica. Generalmente, inoltre, si trattava di una pre-determinazione, o pre-disposizione, in quanto ritenuta universalmente presente e, nella maggior parte dei casi, stimata anche propria degli altri esseri viventi diversi dall'uomo: da qui l'attributo Naturale. Accettando queste caratteristiche derivava che le classiche suddivisio ni, in cui le varie forme della conoscenza erano allora ripartite, fossero garantite nella loro validità. Non solo ma una tale Logica Naturale, che stava a monte di tutto ciò che il soggetto faceva, si doveva necessariamente intendere come riconducibile a concetti primi, ritenuti oggettivamente veri. Proporre una simile posizione, voleva dire fare ricorso a strumenti in grado di corroborarla. Le polemiche, che nascevano tra i sostenitori delle due posizioni da noi accennate, non concernevano tanto la presenza di una Logica Naturale, nel senso da noi indicato, quanto piuttosto la sua "natu ra", ovvero la sua genesi, nonché le modalità con cui questa si manifestasse e gli strumenti ed i mezzi di cui fare uso per poterla indagare, studiare e trattarne. Essendo un argomento di così ampia portata e certamente pro blematico, tutto questo ci fa comprendere perché, malgrado i grandi cam biamenti che la scienza subì durante il secolo passato, il concetto di Logica
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CAPITOLO SECONDO
Naturale sia sempre perdurato: così com'era intesa, infatti, rappresentava l'estremo tentativo per il mantenimento di alcuni principi secolari, che le scienze avevano indagato in differenti modi e diversificato secondo i propri ambiti specifici, ma che nessuno osava mettere in discussione. 1.3. Quando, con la seconda metà del secolo si prospettò per la prima volta il problema della Psicologia intesa come scienza, ovvero nel momento in cui si cominciò a rafforzare la persuasione che fondare scien tificamente questa disciplina era possibile alla sola condizione che, coloro che se ne occupavano, si decidessero ad affrontare ed a fare uso di con cetti e strumenti metodologici già impiegati precedentemente, e con suc cesso, nelle altre scienze della natura, il fatto comportò due punti specifici: 1.3.1. per un verso, come in ogni scienza della natura, si cercò di fare affidamento, da un punto di vista teoretico, al modello del pensiero for male che garantisse la validità dei risultati ottenuti, andando al di la di un semplice ed incompleto approccio empirico: questa sarà la caratteristica che contrassegnerà la ricerca dei "logici" del periodo. 1.3.2. per un altro verso, pena la sussistenza stessa della Psicologia, si dovette adottare sistematicamente il metodo sperimentale, per verificare quale corrispondenza trovassero nella realtà le formulazioni ipotetiche 1 . Permane, in ogni caso, la necessità di fissare un codice primario, un insie me di istanze, di carattere universale e necessaria, eppure controllabile ed agevolmente manipolabile, sulle quali fondarsi: questa ricerca accompa gnerà tutto il lavoro psicologico. 1.4. La cultura filosofica italiana del XIX secolo, (cfr. cap. I), anche se non produce risultati di primaria importanza, per ciò che concerne la 1 Una tale problematica contraddittoria ha sempre caratterizzato la storia della Psicologia. Il fatto che sia stata espressa ancora abbastanza recentemente da P. Greco (Cfr. Epistemologie de la psychologie, in: J. Piaget, Logique et connaissance scientifique, 1967) e che con parole e concetti pressoché identici compaia già nei lavori del secolo scorso, ci testimonia come la Psicologia si ponga in un rapporto antitetico con tutte le altre discipline. In particolare nei rapporti con la Logica, che allora è ritenuta la scienza del Vero, dunque la scienza oggettiva per eccellenza, ci si imbatte nella necessità di decidere: a) se questa è prodotta dal soggetto, anche inteso nel senso più generale, del quale occorre dunque ricercare quelle che sono le basi comuni con tutti gli altri, b) se è, al contrario, da ritenersi staccata dallo stesso ed, in qualche modo, a lui precostituita e generatrice di qualsiasi forma di ogni sua attività e ragionamento.
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Logica e la Psicologia, è tuttavia soggetta ad una considerevole serie di mutamenti, che riflettono le conseguenze comportate dall'ingresso delle grandi correnti filosofiche straniere, nonché dai sempre più numerosi ri sultati ottenuti dalle varie scienze. Seppure nel campo della Logica, per ciò che concerne l'Italia, questo fatto non si avverte in misura così rilevan te almeno sino all'ultimo decennio del secolo, osserviamo egualmente un continuo tentativo di adeguarsi agli sviluppi che tale disciplina stava aven do, anche se un dato di fatto ineliminabile è il tentativo di collegarla sempre ad indagini esclusivamente filosofiche. Indipendentemente dal fatto che una caratteristica costante fu quella di cercare di preservare la Logica dalle "contaminazioni" con altre disci pline e, soprattutto, con la matematica (che faceva parte della metafisica), è tuttavia rinvenibile una dinamica interna a questo processo "conserva tore", nella misura in cui compaiono numerose e sempre nuove definizioni date a questa branca del sapere, nonché varie tipologie nelle quali la si suddivide. Si osserva infatti che, non certamente a caso, a seconda dei differenti periodi in cui questi studiosi lavoravano, identiche ripartizioni della Logica avevano significati differenti, cui si attribuivano intenti diver si. Ma se tutte queste modificazioni investono la produzione di coloro che scrivono di Logica, un solo concetto, anche nel nostro paese, pare che rimanga anche ora inalterato: quello di Logica Naturale. In questo caso si tratta di una parte della Logica Generale che, pure essendo anch'essa soggetta al processo evolutivo di tale materia, conserverà sempre un pres soché inalterato valore durante tutto il secolo. La conferma a questa affer mazione è data dal fatto che il convincimento della presenza di una Logica Naturale è talmente radicato che, quando la stessa verrà messa in discus sione verso la fine del secolo XIX, in luogo di adeguarsi ai cambiamenti in corso, si tenderà a farla scomparire definitivamente. In questa sede ci proponiamo, in ultimo, di discutere del problema che investiva tutte le scienze della natura dell'epoca, le quali seguivano uno dei due schemi di ricerca che abbiamo appena mostrato. Da parte nostra esamineremo l'argomento secondo un'ottica psicologica [1.3] ed un'ottica logica [1.4].
2. I PRECEDENTI STORICI.
Quando parliamo di Logica Naturale stiamo trattando di un concetto che attualmente, dopo varie vicende, costituisce un argomento di studio
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che comincia ad essere nuovamente investigato. Nel secolo scorso costitu iva uno dei punti cardine della ricerca filosofica, ma occorre precisare che si trattava di un tema il quale non era comparso solamente nel XIX secolo, e neppure, in particolare modo, era da considerarsi elemento caratteristico e specifico della sola cultura italiana. Nei secoli precedenti possiamo ritro vare degli illustri anticipatori e la genesi di questi studi possiamo certamen te ritrovarla nel XVII secolo. Vedremo però che fu il secolo XVIII il peri odo nel quale si ebbe la massima fioritura di un simile campo di indagine al punto che le produzioni del XIX secolo, anche se numericamente più consistenti, possono essere considerate alla stregua di epigoni di quelle del secolo precedente e quindi apportatrici di scarsi contributi e novità. Nel 1662 A. Arnaud e P. Nicole, nel Primo Discorso della Logique de Port-Royal ou l'Ari de Penser (op. cit.), lavoro che, per esplicita ammissio ne degli Autori, si richiama alle Regulae ad directionem ingenti di R. Descartes ed a De l'esprit géométrique di B. Pascal, sostenevano che biso gnava compiere uno sforzo costante per collocarsi al di là ed al di sopra delle prime nostre sensazioni ed impressioni. Infatti solamente « la vera ragione colloca tutte le cose nell'ordine loro spettante » (5), in quanto questo ci permette di superare «le falsità dello spirito, causa non solo degli errori che si insinuano nelle scienze..., ma anche di quelli che si commettono nella vita quotidiana» (3). Il razionalismo cartesiano è del tutto evidente, ma ciò nonostante gli Autori iniziano la loro opera affer mando che « nulla vi è di più apprezzabile del buon senso e della rettitu dine dell'animo per il discernimento del vero e del falso» (1). In altre parole: il soggetto, in quanto tale, dispone già di alcune facoltà primarie e semplicissime, che possiamo definire "naturali", le quali antecedono a qualsiasi attività. Queste facoltà sono insufficienti se considerate isolata mente, ma rappresentano tuttavia un punto di partenza ineliminabile, per garantire una corretta crescita delle conoscenze, intendendo questo pro cesso sia da un punto di vista intellettivo che morale. Gli Autori ora citati, tuttavia, abbandonano subito questo problema che invece, pure essendo anche ora eliminato dalla struttura globale della propria produzione, sarà più estesamente trattato da G. G. Leibniz. Non solo ma questi si sforzerà di fornirci le ragioni per le quali egli opterà per una scelta che non implica alcun riferimento alla Logica Naturale. Infatti, in una lettera a G. Wagner, scritta alla fine del 1696, Leibniz 2 , 2 Si tratta di un «magnifico documento scritto da Leibniz nella sua maturità... indirizzata a Gabriel Wagner, modestissimo studioso del periodo il ricordo del cui
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parlando dell'uso della Logica, affermava che « la Logica, come arte del pensiero, può servire ad ordinare ed a ben parlare, anche se, in generale, quelli che l'insegnano non mettono in ordine e non parlano bene... C'è qualche cosa di vero nel dire che una gran parte dell'arte è stata scoperta e può essere insegnata con la mera Logica Naturale; ma un uomo ragio nevole che non conosca né la scrittura né le cifre, può anche calcolare con un'aritmetica naturale quando occorra: e per ciò l'arte del calcolare è forse niente? » (G. G. Leibniz, Scritti di Logica, a cura di F. Barone, 1968, 504) 3 . Ovvero egli crede che per costruire le conoscenze occorra, in primo luogo, raccogliere tutte le possibili informazioni e le scoperte direttamente esperibili. Senza dubbio, a suo avviso, il nostro spirito porta in sé il germe di tutta la verità, ma per ottenere un'evoluzione ed uno sviluppo della stessa è necessario, in primo luogo, fondarsi sull'esperienza (procedimento provvisorio) e superare poi la stessa grazie alla Logica, strumento ad hoc per ordinare e concatenare tra loro i pensieri. Gli intenti di Leibniz divergono profondamente da quelli degli Au tori della Logica di Port-Royal (« sebbene il signor Arnaud nella sua Arte del Pensare ritenga che gli uomini non errino facilmente nella forma, bensì quasi soltanto nel contenuto [del pensiero], le cose tuttavia vanno in realtà assai diversamente » (op. cit., 499-500)). Costoro, malgrado alcune mini me concessioni, non si scostavano da R. Descartes secondo cui la Logica « è un ingombrante peso del quale è meglio liberarsi se veramente si vuole contribuire al progresso delle scienze » (H. Scholz, op. cit., Ili, 80): tut tavia sia questi che Leibniz accolgono la presenza di una Logica Naturale, di un buon senso, che presiede ad ogni umana attività, ma entrambi si rifiutano decisamente di assumerla a livello di scienza e neppure di con siderarla una modalità di conoscenza. Variano però le ragioni di tale rifiuto: A. Arnaud e P. Nicole dedica no infatti tutto il primo discorso a ribadire come sia la ragione lo strumen to che presiede ad ogni conoscenza e come senza di essa non si possa nome è unicamente dovuto all'immeritata fortuna di essere stato il destinatario di questa lettera. Qualsiasi passaggio della suddetta lettera deve obbligatoriamente com parire in qualsivoglia ricerca, anche la più breve, che riguardi la storia della Logica » (H. Scholz, op. cit., Ili, 80). 3 Nello stesso scritto Leibniz parla anche di "Logica Comune" attribuendole significato analogo a quello di Logica Naturale. Già nel 1684 in Meditazione sulla conoscenza, la verità e le idee (da Scritti logici, op. cit., 231) egli affermava che «non sono da disprezzare come criteri di verità degli enunciati quelle regole della Logica Comune », ribadendo tuttavia che « non venga ammesso come certo alcunché se non è provato per mezzo di un'accurata esperienza o di una rigorosa dimostrazione ».
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compiere alcun progresso. Sappiamo che il razionalismo descartiano (per il quale la Logica serve solo a sistematizzare e mai a scoprire e bisogna quindi abbandonare il suo studio sostituendolo con quello della mate matica, materia invece realmente euristica) va ben oltre alle semplici intui zioni, sforzandosi di presentare un metodo che ci consenta di superare proprio i limiti dovuti all'imprecisione ed all'alcatorietà delle stesse. Tutto questo avrà un influsso non certo positivo per le produzioni logiche del XIX secolo, soprattutto per la cultura italiana. Nel caso di Leibniz, invece, occorre soffermarci un po' più lungamente, soprattutto in riferimento agli sviluppi, da lui certamente non previsti né contemplati, che il suo lavoro ebbe quand'egli era ancor vivo e che si protrassero sino alla metà del secolo XIX. Il filosofo tedesco si occupò approfonditamente delle tecniche dedut tive in conformità al fatto che, a suo avviso, la Logica era il mezzo con cui si assimila tutto quanto è scoperto dall'intelletto e che, di conseguenza, non era possibile ammettere che con la Logica si scoprisse nulla. Ora Leibniz sosteneva che l'approfondimento delle "regole naturali", le quali pure hanno una loro importanza, condurrà tuttavia alla Logica Artificiale, con la quale « si giungerà assai meglio a qualcosa di nuovo » (504). Non è questo però il compito che lo interessa particolarmente e quindi egli evita di approfondirlo per il fatto che, cercando di presentare un calcolo simbolico ad argomentazioni logiche e geometriche, si prefigge di produr re una "mathesis", attraverso la quale si possa assegnare il rigore deduttivo del calcolo non solo a tutte le quantità fisiche, ma anche alle varie strut ture gnoseologiche. La Logica Naturale è pertanto intesa unicamente come la base minima da cui ogni soggetto deve muoversi per qualsiasi operazione intellettuale voglia affrontare, ma, tuttavia, si tratta di attestare la sua presenza e nulla più: il compito della Logica è invece ben differente e non ha alcunché da spartire con essa 4 . Se la posizione leibniziana è stata, una volta di più, assolutamente chiara, la stessa cosa non può dirsi per i suoi immediati continuatori ed ancora di più per quelli successivi. C. F. Wolff, anche sostenendo che solamente le matematiche possano essere utili ad impegnare "felicemente"
4 « Le lingue ordinarie, sebbene siano assai utili al ragionamento, sono tuttavia soggette ad innumerevoli equivoci e non possono sostituire il calcolo, in modo cioè che gli errori di ragionamento possano essere scoperti dalla stessa formazione e costruzione delle parole, come se si trattasse di solecismi e barbarismi » (G. G. Leibniz, Saggio sulla Caratteristica, in "Leibniz e la Logica Simbolica", Firenze, Sansoni, 1973, 60).
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le facoltà dell'anima nella ricerca della verità 5 , fa del metodo matematico, al quale pure si riferisce continuamente, un impiego solamente "esterno" e gli attribuisce unicamente funzione esemplificativa. Il suo fine per un lato svaluta la funzione della matematica stessa, in quanto la riduce ad una sorta di "sussidiario", con il quale si hanno esempi semplici e chiari del sapere; per una altro verso distorce, capovolgendola, la prospettiva leibniziana, attraverso l'inclusione della Logica nella matematica, attribuendole la funzione di semplice "mezzo". Quello che gli interessa è l'adeguamento di un tale strumento a ciò che egli definisce "Logica Naturale", ovvero « l'insieme semplice delle leggi che costituiscono onticamente e regolano il funzionamento del pensiero » (introduzione di F. Barone a G. B. Leibniz, Scritti Logici, op. cit., 14). Non solo ma quando si prefigge di dare vita ad un vero e proprio sistema filosofico, ovvero dopo il 1725, Wolff « ab bandona... ogni interesse, anche estrinseco per la scienza logico-combinatoria superiore alla matematica quantitativa, concentra la sua attenzione su quella dottrina dei modi e delle figure che era per Leibniz un modesto esempio e, addirittura, la semplifica ed impoverisce per renderla modello adeguato di quella che per lui è la Logica Naturale» (16). Proprio per questo, rivolgendo il suo interesse alla presentazione di una sistemazione enciclopedica delle conoscenze, aveva introdotto la di stinzione tra Logica Naturale e Logica Artificiale, intendendo la prima « come le regole che Dio ha prescritto all'intelletto, e la disposizione na turale che noi abbiamo a seguirle », e la seconda come una tecnica che ci « insegna come si può ridurre ad abito la disposizione che ci ha dato la natura » 6. Ne conseguiva che « se la Logica Artificiale non è che l'elabo razione delle forze e delle leggi proprie del pensiero, è evidente che essa deve necessariamente occuparsi del funzionamento dell'intelletto in tutte le sue attività, dalla formazione sino alla connessione delle idee, e della garanzia di oggettività offerta da esse. Si comprende così come anche la parte teorica della Logica di C. F. Wolff non si restringa allo studio spe cifico dei sistemi deduttivi, ma comprenda anche, ed addirittura in preva lenza, un complesso di considerazioni di carattere metafisico e gnoseologico » 7 . 5 Questi problemi sono contenuti nella prefazione, scritta in tedesco nel 1712, alla prima edizione dell'opera Logica, inserita poi nella traduzione della IX edizione della stessa opera scritta in lingua italiana (1784). 6 La citazione di Wolff è stata tratta da F. Barone, Logica formale e Logica trascen dentale, 1957, I (Da Leibniz a Kant), III, II, 94. 7 Ibidem, 95.
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Partendo da queste convinzioni egli eviterà rigorosamente di porsi alla ricerca di nuove strutture formali deduttive: anzi, al contrario, cerche rà di proporre addirittura una riduzione dello schema sillogistico, opera zione che, a suo avviso, rende ancora più "naturale" la Logica. Proceden do in questa dirczione nel 1728 (Philosophia rationalis sive Logica...) affer merà che solo i modi della prima figura sillogistica sono "naturali", mentre è del tutto inutile sviluppare le altre figure, ritenute asillogistiche. Il con nubio tra semplicità ed evidenza con "naturalità", che, in ultimo, si tratta di collegare questi attributi, è uno dei motivi principali che caratterizza il periodo nel quale la filosofia di Leibniz viene dimenticata, o meglio distor ta, e che spiega la semplificazione eccessiva cui è sottoposta la Logica, al punto da intenderla come dotata di una funzione precettistica, atta ad indicare come la mente funzioni spontaneamente e con l'obiettivo di con servare la normalità "naturale". Se nel 1728 (op. cit.) egli aveva accennato alle "restrizioni" che il suo piano di lavoro avrebbe apportato a quello leibniziano, il risultato che ottenne fu ancora più radicale: infatti il suo insegnamento fece subito presa ed ebbe, come immediata conseguenza, uno stravolgimento ancor maggiore dei testi leibniziani. Si può quindi paradossalmente affermare che, alla luce delle successive produzioni, Wolff sia stato lo studioso an cora "più fedele" agli insegnamenti di Leibniz, in quanto gli altri, che pure si richiamavano a lui, attueranno una radicalizzazione ed una semplifica zione alle sue stesse tesi, ottenendo risultati assolutamente privi di valore, sia da un punto di vista strettamente logico che da uno filosofico più articolato. Ovvero, malgrado scompaiano i motivi più innovativi ed origi nali dei temi leibniziani, nell'opera di Wolff si riscontra ancora una sorta di difesa della Logica, soprattutto in riferimento alle critiche mosse dalla cultura tedesca dell'epoca, mentre negli studiosi successivi sarà eliminato anche questo intento. In senso generale quello che più fece presa nei seguaci di Wolff, indipendentemente dalla loro specifica posizione filosofica, fu una conce zione manualistica della Logica con scopi di natura divulgativa: l'attributo "naturale", assegnato a questa disciplina, non poteva che essere accolto favorevolmente. La portata del suo insegnamento fu tale ed ebbe una così forte rilevanza il postulato, per cui vi è una Logica Naturale come premes sa a quella Artificiale, che vi saranno anche Autori, i quali, pure discostan dosi dalle soluzioni da lui proposte al problema della conoscenza, oppure presentando un'elaborazione assolutamente originale e specifica del suo sistema, furono tuttavia fedeli seguaci del suo metodo e mantennero tutti
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il suo postulato di base. Più specificatamente assistiamo allora alla defini tiva consacrazione degli insegnamenti descartiani espressi nella Logique di Port-Royal (si veda anche Gap. Ili), senza però sviluppare sufficientemen te i punti più rilevanti degli stessi. Infatti L. F. Thumming, con l'intento di presentare in forma massi malistica le tesi di Wolff, è costretto a compiere numerose riduzioni che vanno tutte verso un'unica dirczione, ovvero il tentativo di semplificazione di tematiche ritenute troppo complesse. Ad esempio, egli elimina defi nitivamente qualsiasi riferimento all'arte caratteristico-combinatoria, ritie ne che la "speciosa generale" altro non sia che una curiosità, e sostiene come sia una naturale facilità ad osservare la manifesta somiglianzà tra le cose, il punto da cui si debba iniziare lo studio della Logica, poiché il suo fine più che scoprire e costruire è invece quello di comprendere e cono scere. La Logica Artificiale, a sua volta, dovrà limitarsi ad essere un'ap plicazione della regola naturale, alla quale si attiene comunemente la mente umana, le cui facoltà primarie sono il senso, l'immaginazione e le prime e generali forme con cui si struttura l'intelletto (ad esempio, quella di somiglianzà). F. C. Baumeister e J. P. Reusch spingono ancor oltre queste posizioni e, accettando le tematiche wolffiane della Logica Natura le, si limitano però a definizioni nominali a proposito della "speciosa uni versale" e si rifanno alla monotona applicazione del metodo naturalematematico 8 come strumento ritenuto onnicomprensivo. A sua volta H. Winkler tende ad un completamento della Logica wolffiana con una mag giore apertura ed interesse rispetto alle argomentazioni scientifiche (so prattutto empiriche), ma non mette in discussione il carattere "naturale" della Logica, guardandosi bene dall'approfondire la componente formale della stessa. M. Knutzen (seguace della fisica newtoniana e docente di Kant a Kònigsberg), verso la metà del XVIII secolo, continua a sviluppare questi temi e sostiene che il metodo matematico e quello filosofico si basano su identiche leggi, per rendere attive le quali bisogna premettere alcuni prin cipii, da cui dipende la possibilità di conoscere i rimanenti argomenti. In virtù di questa affermazione tale metodo si può dire "naturale" per il fatto 8 Una posizione contraria a queste affermazioni sarà condotta da M. F. Zinelli (Dei due metodi analitico e sintetico, 1832) che criticherà Wolff (senza citare né F. C. Baumeister né J. P. Reusch) a proposito dell'espressione "definizione nominale", rite nendo che il metodo euclideo sia certamente quello più adeguato per produrre una valida procedura scientifica e che non occorra aggiungerne altri, in quanto sarebbero solamente inutili ripetizioni.
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che, proprio per questo, è lo strumento più adatto per comprendere le cose ed iniziare a "fare" scienza: a suo avviso, la sillogistica opportu namente ridotta è lo strumento che lo rappresenta per eccellenza. Grazie a queste semplificazioni si tende a presentare la Logica in modo completo e definitivo: se si riesce infatti a ridurre qualsiasi argomentazione formale alla prima figura del sillogismo, che è "naturale", non vi sono altri compiti da affrontare, a meno di volersi immergere in inutili elucubrazioni. La riduzione sillogistica è pertanto il presupposto che i continuatori di Wolff perseguono costantemente: la loro affermazione deriva dal fatto che, a loro avviso, non si può andare più a monte. Anche G. F. Meier pone come presupposto a tutti i suoi lavori, tesi anch'essi all'espansione della Logica di Wolff, l'affermazione che qualsiasi conoscenza si modella su una Logica Naturale, in quanto tutto quello che è prodotto dalle facoltà intellettive è conforme a certe regole (naturali) da considerarsi pre-determinate 9. Occorre sottolineare come questi seguaci di Wolff non siano gli unici rappresentanti della cultura tedesca dell'epoca, ma tuttavia, che anche altri studiosi, pure assumendo posizioni filosofiche differenti, si guardino bene dal mettere in discussione la sua concezione dalla Logica, raggiungendo anzi posizioni ancora più rigide: è questo in modo particolare, il caso di J. C. Darjes e, per certi versi, anche di C. A. Crusius. Nel primo caso, pure accettando l'impiego del metodo matematico e dimostrativo in campo metafisico, l'Autore si pone su posizioni differenti da Wolff in quanto rivaluta il ruolo dell'esperienza rispetto al razionalismo dogmatico e sostiene che il concetto di esistenza abbia un carattere extra logico. Tuttavia da un punto di vista logico, egli non si discosta sostanzial mente dalle linee direttrici wolffiane, che anzi rende più rigide. Malgrado sia a conoscenza dei lavori di Leibniz, non lo cita affatto perché si limita allo studio delle classiche forme logiche tradizionali, che ritiene pertanto rappresentate unicamente dal sillogismo. Ed allora nel 1755 (Via ad veritatem) propone considerazioni ancora più radicali delle tesi di Wolff: « Tutti gli uomini dispongono della facoltà di conoscere la verità e di cogliere il nesso della verità. Ossia c'è una Logica Naturale: ma l'arte 9 I lavori di G. F. Meier sono quelli che riprendono con maggiore precisione e fedeltà la terminologia di Wolff, la quale era d'altro canto divenuta specifica ad ogni cultura accademica del periodo. Lo stesso Kant, commentando i lavori di Meier, non soltanto cita gli esempi di Wolff, ma si preoccupa anch'egli di porre subito in primo piano la distinzione tra Logica Naturale e Logica Artificiale, anche se con intenti ben specifici, tesi a mettere in luce la necessità di rendere trascendentale la problematica logica.
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perfeziona la natura. Si tratta di acquisire un abito. Quindi il filosofo costituisce la via della scienza per scoprire la verità, via che insegna sia il modo di poter acquisire l'abito per conoscere la verità, sia il modo per poter cogliere il nesso delle verità » 10. Questa è la scienza che è stata chiamata Logica Artificiale, via alla verità, filosofia razionale, arte del pensiero, via per la scoperta. Il Logico non sviluppa solamente le regole che conducono alla verità da conoscere, ma anche il modo di accomodare le regole a ciò che si presenta. Un simile discorso può essere fatto anche per C. A. Crusius che, pure distaccandosi radicalmente da Wolff per la metodologia scientifica propo sta (senza dubbio più ampia e più ricca, poiché, a suo avviso, il metodo matematico di Wolff è un limite per lo studio delle cose, in quanto non giunge all'esistenza delle stesse), se rivaluta l'esperienza al punto da con siderarla il principio primo di tutte le nostre conoscenze, dunque anche delle verità logiche e matematiche, se si schiera contro la pretesa wolffiana di ricavare il principio di causalità da quello di non-contraddizione, da un punto di vista logico, egli si muove ancora nella scia wolffiana, che ritiene la Logica Formale come espansione ed esplicazione della Logica Naturale. Non vi è più una sola legge del pensiero, ma le molte che vi sono dobbia mo intenderle quali strutture immutabili ("naturali") dello stesso. Più pre cisamente la Logica Formale possiamo ritenerla come una chiara, evidente ed esatta rappresentazione ed espansione delle leggi dell'intelletto. Pro prio in virtù di questa proprietà essa è in grado di indicare il loro corretto uso: ma allo stato minimo queste leggi fanno corredo cognitivo specifico ad ogni essere vivente. Alla fine del XVIII secolo il suggerimento wolffiano della Logica Naturale, mirante ad indicare le regole del "buon senso" con le quali si era in grado di "ben pensare", era ancora tenuto in conto per il fatto che, in ultimo, forniva un punto di partenza sul quale fondare la scienza (la Logica Artificiale e, successivamente, la Scienza Logica). Vale a dire che il convincimento di avere alle spalle qualcosa di primario, indubitabile, "naturale", giustificava maggiormente quelle che erano le successive pro duzioni e non consentiva di intenderle come costruzioni ex-novo, coi ri schi che tal fatto comportava. A questo proposito J. G. H. Feder, ancora nel 1790, stabiliva che la Logica si poteva considerare come unErfmdungskunst od un Hetlungskunst: nel primo caso si trattava di elaborare più formule generali con il fine di scoprire la verità; nel secondo caso, coloro 10 F. Barone, op. cit., 104.
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che se ne occupano, « trattano la Logica come un'arte della salute per l'intelletto, si preoccupano principalmente di scoprire le fonti degli errori e di provvedere contro essi medesimi regole utili... Senza togliere al primo tipo di Logica il suo valore, è tuttavia ben manifesto che il secondo tipo di Logica è quello essenziale, e che senza di esso anche il primo non potrebbe essere [di certo] di molto aiuto» 11 . Con l'avvento della filosofia kantiana pensiamo che il problema, lungi dal risolversi, si complichi ulteriormente. Il filosofo tedesco, infatti, passa da una fase precritica, assai impregnata della cultura dell'epoca, per cui riterrà che la Logica universale di Wolff sia la migliore, ad una fase in novativa, o critica, ovvero trascendentale. Questa si occupa delle possibi lità della conoscenza ed è dunque in continua espansione, mentre la Lo gica Formale, concepita come esplicazione delle leggi naturali del pen siero, non avendo compiuto progresso alcuno, può considerarsi una scien za finita e chiusa. Tuttavia il pensiero kantiano, concernente la Logica Generale (formale e naturale), non riesce a prendere le distanze in modo definitivo da Wolff: pure negando un'interpretazione ontologica, egli non è in grado di abbandonare del tutto il presupposto della Logica Naturale. Di fronte all'intuizione leibniziana del progetto che prevedeva una Logica Formale, intesa come sistemi deduttivi aperti, si rafforza anche in Kant una semplice e povera concezione della Logica che viene rimandata a forme predeterminate del pensiero, la cui esistenza era pressoché indi mostrabile. Neppure egli, dunque, risolve il problema: lo devia su tematiche certamente importanti ma differenti ed allo stesso tempo ripresenta, senza per altro risolverli, i vecchi problemi filosofici concernenti la Logica. In fatti sostiene che il rapporto tra Logica Generale e Logica Trascendentale, per un lato è costituito da strutture del tutto formali concernenti i vari tipi di giudizio (elemento quest'ultimo a lungo discusso nella tradizione pas sata), ma pure dal fatto che queste stesse strutture sono interpretabili come leggi del pensiero, che presentano "scientificamente" le leggi na turali dello stesso. Per questo secondo motivo non è allora più possibile tenere separata la Logica Generale da quella Trascendentale, come egli pretendeva di fare: in effetti, in quanto deputata a mostrare le varie vie che il pensiero può seguire, è adibita ad intervenire anche nella determinazio ne della stessa indagine trascendentale. La speculazione kantiana ha un'originalità senza dubbio viva e produttiva ancora oggi, proprio perché 11 Ibidem, 113-114.
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ha avuto il gran merito di problematizzare molte situazioni date come valide e scontate una volta per tutte: tuttavia il tema della Logica Naturale è una componente che, seppure superata e contestabile, persiste ancora in gran parte della sua trattazione. In un senso più globale permane il motivo wolffiano che si fonda sulla concezione della Logica Formale quale strut tura naturale della mente umana (tema della Psicologia Razionale che in Kant non scompare). Questo fatto produce come conseguenza che argo menti collegati alla precedente tradizione, lungi dallo scomparire, visto l'enorme influsso esercitato dai lavori kantiani, si ripresentino, pure se sotto diversa forma, anche nel secolo XIX. Pertanto se è forse esagerato responsabilizzare oltre misura Kant per le evoluzioni che ebbe la Logica Formale, questo mantenimento di tematiche passate ebbe un'influenza non certo positiva per la Logica, ma, se vogliamo, neppure per la Psico logia, la quale tende a divenire una metafisica della mente o, più precisa mente, del pensiero. A riprova della nostra affermazione vi è il fatto che se la fortuna del criticismo si manifesta con la necessaria riduzione dell'ampiezza delle di scussioni letterarie e scientifiche e con lo smussarsi progressivo delle con tese di tipo psicologico, morale ed estetico, diversi studiosi contemporanei cercano di difendere la cultura passata dai contributi del criticismo. In tal senso i lavori di C. Wolff vengono assunti quale "conservazione" di una cultura da salvaguardare, che sapesse porre un freno alle eccessive aper ture kantiane. Il tema della Logica Naturale (vista anche l'indecisione kantiana su questo argomento) è certamente uno dei punti nodali di que ste dispute. Ora se gli studiosi da noi citati in precedenza facevano di questi argomenti il punto centrale delle loro osservazioni a Kant - ed a questo livello egli ebbe gioco facile a limitare la portata delle loro critiche - vi furono altri studiosi a lui contemporanei che affrontarono il problema della Logica Naturale in maniera più ampia ed articolata, ottenendo come risultato che questa non solo non scomparisse, ma continuasse ad essere presente e ad esercitare una certa influenza ancora per diverso tempo. Tra costoro, i cui contributi sono chiaramente dovuti più ad alcune lacune kantiane che non a vere proprie innovazioni (si tratta infatti del tentativo di recuperare Leibniz, in particolare attraverso Wolff), lo studio so più produttivo fu J. A. Eberhard, autore egli stesso di un completo sistema filosofico dogmatico (oltre a lui occorre ricordare anche Maas, Ulrich e Bratsberger). A suo avviso non è vero che l'oggettività dipenda solo dal soggetto, per il fatto che si tratta di una questione di valore e non
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di essere. Allora il contenuto oggettivo delle nostre conoscenze non può essere ridotto ai soli dati sensibili spazio/temporali, in quanto vi è pure una "intuizione intellettuale", che coglie le essenze universali delle cose sensibili ed il metasensibile in generale. Da ciò egli denuncerà l'insuffi cienza del criticismo a proposito della genesi e dell'origine delle conoscen ze. Infatti la conoscenza empirica consiste nella percezione, il suo oggetto è una rappresentazione: senza questo l'oggetto della percezione sarebbe quella Ding an Sich, che per Kant è inconoscibile. Una tale affermazione vuole significare che la conoscenza empirica non ha fondamento fuori dal soggetto, ma non l'ha neppure nel soggetto, perché in tal caso si arrivereb be alla cosa in sé. Se la conoscenza empirica ha un fondamento non conoscibile, secondo Eberhard, la stessa cosa può essere detta anche per quella a priori, ovvero per le categorie, le quali, non essendo innate, né derivate dai sensi, vale a dire dall'esterno, sono di fatto sconosciute. Se si riduce a tale punto la pretesa del criticismo si mostra come le critiche della metafisica wolffiana siano superiori, per il fatto che pone "le regole che Dio ha prescritto all'intelletto" e le disposizioni naturali con cui noi le seguiamo, come fondamento reale per qualsiasi conoscenza: più in gene rale la superiorità wolffiana deriva dalla strenua difesa da lui sostenuta riguardo il concetto di Logica Naturale. La riproposizione di quest'ultima, quale fondamento della conoscen za, permane pertanto nel panorama culturale e, lungi dal dissolversi, si estende ancora per molti anni. A conferma di ciò sta il fatto che se ne ritrovano tracce non solo nella cultura tedesca ed in quelle da lei più intensamente influenzate, ma anche in culture refrattarie ad ogni influsso speculativo e basate su una forte componente empirica, quale quella ingle se. In A Treatise on logic and scientific method (I, II, 1874-1877) W. S. Jevons, pure rifiutandosi di accogliere i dogmi del naturalismo e ripresen tando temi empiristici mutuati dall'evoluzionismo spenceriano, si rifiuta di respingere tout court ogni problematica metafisica. Egli sostiene che con Kant si è avuto un oscuramento della Logica come scienza ma, malgrado ciò, egli non esita a porsi in opposizione alla spinta innovatrice di Boole, sorta con l'intento di generalizzare e ricercare gli isomorfismi tra le strut ture formali, rivolgendosi invece alla ricerca delle specifiche connessioni deduttive del linguaggio e del pensiero comune, di tutti i giorni, ovvero "naturale". Se giustamente F. Barone 12 afferma che il lavoro di Jevons si 12 F. Barone, Logica formale e Logica trascendentale, Edizioni di Filosofia, Torino, 1965, voi. II (L'algebra della Logica], IV, 2, 132-135.
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pone in polemica con il "rudimentale formalismo booleano" (op. cit.), ritenuto eccessivamente angusto ed insufficiente per assolvere a mansioni "scientifiche", possiamo anche sostenere che sia presente nel lavoro dell'A. un tentativo di "volgarizzazione della Logica" (op. cit.): in tal senso possiamo individuare nel logico inglese anche il tentativo di prendere la dirczione di ricerca seguita dai filosofi che trattavano di Logica Naturale. Il giudizio però non può limitarsi a questa affermazione, che sarebbe del tutto riduttiva ed imprecisa. La ricerca di Jevons è assai più innovativa di quanto potrebbe invece sembrare ad un'osservazione superficiale. In ultimo infatti egli si sforza di porre una dipendenza tra l'orientamento formale booleano (oggi potremmo dire sintattico) ed uno teso ad illustrare le strutture linguistiche effettivamente impiegate (orientamento dunque semantico), toccando pertanto un tema di Logica del tutto attuale. Il fatto che egli sottolinei ripetutamente che il suo sistema logico tenda a rispecchiare l'uso effettivo del linguaggio, che parli di leggi autoevidenti del pensiero, che si sforzi, in ultimo, di produrre un'ontologia della men te, non sminuisce certamente il suo tentativo di stabilire una corrispon denza tra una Logica, intesa come sistema significante le strutture del pensiero puro, ed una logica ritenuta specifica al pensiero quotidiano. La sua sovrapposizione di motivi teorici e di concezioni generali, che spesse volte sono pregiudiziali, non devono fare passare in secondo piano il fatto che in tale tendenza siano presenti alcuni concetti dell'orientamen to semantico, soprattutto in considerazione del fatto che è rintracciabile nel suo lavoro un'anticipazione del successivo programma logicista, anche se volto ancora alla ricerca di fondamenti unici ed immutabili ad ogni forma di sapere 13 . Proprio per lo stesso motivo, mantenendo le precisa zioni ora accennate, sono altresì rintracciabili alcune intuizioni che co stituiscono il rinnovamento della Logica Naturale avvenuto nel nostro secolo. 13 F. Barone (op. cit. 134-135) afferma che l'opera di Jevons può essere conside rata un precursore alla concezione logicista della fondazione della matematica, soprat tutto per la netta opposizione ai tentativi, tipici della cultura anglosassone, di proporre una derivazione empirica della stessa. Per corroborare queste affermazioni egli sotto linea che lo stesso G. Frege in Grundlagen der Arithmetik (1884) cita favorevolmente Jevons per la sua concezione analitica delle proposizioni aritmetiche. Tuttavia l'Autore sottolinea giustamente che se per Frege il programma logicista consisteva in una rispo sta ben più profonda e meditata all'esigenza di critica dei fondamenti della matematica, in Jevons, al contrario, ci si basa ancora su presupposti pregiudiziali che tendevano a ritrovare una base unica e comune per la matematica, come per qualsiasi forma del sapere in generale.
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3. LOGICA NATURALE E PSICOLOGIA NELLA CULTURA ITALIANA DEL xix SECOLO. I lavori di Wolff sono certamente conosciuti in Italia assai presto ed hanno una vasta diffusione, facilitata anche dal fatto che una notevole parte è scritta in latino. Quando Wolff aveva trattato della Logica Natu rale, lo aveva fatto anche in testi quali Psychologia empirica (1732) ed in Psychologia rationalis (1734), che si richiamavano ad un'altra disciplina (appunto la Psicologia). Anche la maggior parte dei filosofi del XIX secolo (e pressoché tutti quelli della prima metà di tale secolo) da noi citati, non esitavano certamente a correlare e ad integrare i contributi prodotti da queste due forme del sapere, pure mantenendo la classica ripartizione nel quale quest'ultimo era allora suddiviso. Nel capitolo I si è visto che, seppure in ritardo e con una certa fatica, anche in Italia all'inizio del XIX secolo la Psicologia che, in quanto studio dell'anima era ancora inclusa nella Logica (studio della conoscenza), ac quista, con il passare dei decenni una sempre più notevole rilevanza, sino a giungere al punto da porsi come elemento primo, fondante ogni teoria della conoscenza. Questo fatto comporterà un cambiamento nell'accostarsi e nell'indirizzarsi verso il sapere, dovuto alla sempre maggior natura empirica delle modalità con le quali ci si doveva avvicinare alle varie scienze. Una tale posizione sarà costante e continua tanto che come con seguenza di ciò avremo Autori che, verso la fine del secolo, proporranno persino di sostituire al concetto di Logica Naturale quello di Psicologia Naturale (ad esempio, F. Bonatelli, 1892 - si veda anche cap. I, 5.1). Malgrado simili tentativi indubbiamente volti a chiarire, ad esplicitare, cosa si intenda con l'attributo naturale, si permane tuttavia sempre in un contesto poco preciso, aleatorio, definito in ogni caso insufficientemen te. Nonostante il fervore e l'indubbia fecondità dei molti Autori di questo periodo si assiste non già alla presentazione di una nuova epoca culturale, ma al definitivo tramonto di quella antica. Ci troviamo di fronte a quella che viene chiamata "ironia" romantica, ovvero alla presentazione di un discorso che vuole essere nuovo, accompagnato però da una forte resisten za a svilupparlo compiutamente 14 .
14 "Ironia" per la cultura romantica è un termine che occorre prendere in senso letterale, ovvero "parlare mascherato". Più precisamente si tratta di un distogliersi dall'oggetto che si sta perseguendo, di un'impossibilità di credere a ciò che si fa, di potersi realizzare pienamente. Ora, da questa situazione è difficile uscire, perché, quan to più uno rivolta il problema, tanto più esso cresce. Proprio per questo motivo si ha
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Illustriamo questo punto con un esempio. A. Cappellazzi (si veda cap. I, 5.3) ritiene che la Logica, nella sua generalità, assolva al compito di essere il « vero ufficio tecnico di polizia speculativa » (7): per questo in primo luogo è arte, in quanto è « direttiva della ragione nell'acquisto della verità » (ibidem). Si tratta di un A. che non mette in dubbio come sia una base psi cologica il fondamento di ogni forma di organizzazione del sapere. Ma la sua posizione non solo non gli consente di ottenere dei vantaggi, ma lo fa ripiombare in un genere di argomentazioni che egli avrebbe voluto evita re. Infatti, a suo avviso, in tutta la storia della filosofia vi è sempre stata contrapposizione tra chi considerava la Logica un'arte, chi la definiva una scienza, chi la stimava sia l'una che l'altra: egli pensa di risolvere la dia triba affermando che, qualora si mantenga il presupposto dell'universa lità, questa suddivisione ha scarsa importanza. A riprova di come la pro prietà di universalità risolva tali problemi, aggiunge che tutto ha una Logica e nel tutto è sì compresa la scienza, ma anche, e soprattutto, la natura e l'azione, ovvero qualsiasi cosa che il soggetto è in grado non solo di pensare, ma anche di tradurre in pratica. Non è molto, in verità, quello che l'A. ci dice, a meno che si voglia intendere l'impiego del tutto im preciso di certi concetti (Logica, Universalità, Natura, Azione) come l'at testazione della propria ignoranza, rispetto a problemi che erano ritenuti irrisolvibili. Questo esempio è uno fra i tanti (certamente non è il meno chiaro) che si ritrovano in questo periodo. In altre parole: per un lungo periodo di tempo si fa del concetto di Logica Naturale un punto di riferimento, non tanto dal quale partire, quanto piuttosto nel quale ritrovare i fonda menti della cognitività umana e sul quale fondare tutte le proprie attività. Tematiche metafisiche o, con maggior precisione, ontologiche, più che non logiche, ne sono le basi. Si aggiunga a questi motivi una posizione volutamente agnostica, a proposito del settore nel quale si colloca questa disciplina, dovuta, potremmo forse dire, al timore di affrontare temi trop po specifici che metterebbero in luce la contraddizione di una cultura che vuole fare della spontaneità (naturalità) il fondamento delle produzioni culturali, ma la castra in misura crescente quanto più tende e pretende di sottolineare di avere consapevolezza proprio di questo processo. una eccessiva produzione di pensiero riflesso che limita la creatività: qualcuno potrà in tal modo desiderare un vichiano "ricorso" di barbarie, quale unico rimedio per ritro vare ciò che è perduto.
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La scelta di posizioni agnostiche da parte degli Autori non permette certo di superare agevolmente questa contraddizione. Il risultato più evi dente sono definizioni di Logica Naturale poco puntuali eppure, allo stes so tempo, significative, le quali abbondano a dismisura e si presentano pressoché inalterate per tutto il secolo. Un tal fatto ci spinge a supporre che si sia trattato di un argomento assai più rilevante di quanto possa apparire. Proponiamo, con l'intento di inquadrare il problema, la seguente schematizzazione in dieci punti, che, basandoci sui testi degli Autori ita liani da noi consultati, possono essere gli argomenti da sviluppare in suc cessivi lavori: 3.1. La filosofia italiana del XIX secolo si trova in una posizione connotata da una notevole confusività od, in linea di massima, si mostra in ritardo rispetto a quelli che sono i progressi delle grandi correnti filosofiche europee. Molti problemi sono stati riproposti per l'ennesima volta ed affrontati con mezzi e strumenti oramai vecchi. Allo stesso tempo al cuni studiosi del passato sono del tutto dimenticati o letti in modo riduttivo e distorto. L'esempio più evidente di quest'ultima situazione è Leibniz: non possiamo affermare che le sue produzioni siano state definitiva mente cancellate rispetto ai lavori filosofici precedenti, ma, probabilmen te, solo per il fatto che si fa spesso uso della loro terminologia e si richia mano non raramente le sue opere. Tuttavia i nostri Autori trattano quasi sempre di argomenti leibniziani "letti" da Wolff: ed è quest'ultimo filoso fo, assai conosciuto e diffuso, colui di cui all'epoca più si parla. Ora una gran parte dei nostri studiosi, avendo già Wolff letto Leibniz ed avendolo esposto in modo divulgativo, ritiene che non sia più indispensabile richia marsi e consultare gli scritti originali di quest'ultimo. I risultati non possono essere che negativi: in particolare per quello che concerne specificatamente la Logica un tale fatto rappresenta di per sé un enorme impoverimento, perché gli studi dei problemi apportati da questa disciplina sono risolti con un'affermazione dogmatica di alcuni principi ritenuti essenziali e primitivi (tra i quali, appunto, quello di Lo gica Naturale). Allo stesso tempo la vasta problematica kantiana fa il suo ingresso anche nella cultura italiana ma, all'inizio del secolo, il suo studio è condot to in modo impreciso e parziale (si tratta per lo più di autori che hanno letto personalmente gli scritti kantiani e, almeno sino agli anni '30 manca un dibattito culturale tale da poterli presentare nella loro ricchezza e
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complessità). Si discute in modo non certo costruttivo, bensì riducendosi a sterili competizioni verbali, se Logica "trascendentale" sia la denomina zione scelta da Kant in opposizione a Logica "classica", che egli per la prima volta qualificò come "formale". Si aggiunga che non si arriva a comprendere pienamente, e neppure ci si rende conto, che i legami con la Logica aristotelica sono assai ben più problematici di quanto potesse superficialmente apparire e non li si può identificare tout-court con quella kantiana, poiché alle "forme" dello stagirita si contrappone la "deduzione delle categorie" partendo dalle forme assunte dal giudizio. La Logica kantiana, d'altro canto, « non solo permette di staccarsi dal legame [con quella classica], ma, in più, è solamente quando riesce a liberarsi comple tamente da quest'ultima che si può vedere chiaramente ciò che essa è » (H. Scholz, 1968, I, 6, 36). Simili problemi non potevano che aumentare la già notevole confu sione dei filosofi italiani di quel periodo. Per quello che concerne la Lo gica occorre mettere in evidenza un duplice problema teoretico, aggiunto dalla comparsa dei lavori di Kant nello scenario culturale del nostro paese. 3.1.1. Gli Autori affrontano le novità filosofiche di Kant facendo però riferimento ad una Logica oramai vecchia, superata e, oltretutto, ancor più "ridotta" da Wolff, senza tener conto delle severe osservazioni che lo stesso Kant del periodo "critico" muoveva agli assunti wolffiani. Il risultato è che in un tale contesto la Logica Naturale diviene qualcosa di assolutamente indecifrabile: l'ulteriore tentativo di collegarla alla Psicolo gia produce un'ancor maggiore confusività. 3.1.2. Nessuno degli Autori italiani da noi consultati prende posizio ne per quello che concerne la collocazione dei lavori logici di Kant. Non che siano restii a giudicare l'opera kantiana che, al contrario, si passa da una sua esaltazione agli attacchi più polemici: ci si guarda tuttavia dal chiedersi se la Logica kantiana sia la necessaria "distruzione" della Logica formale, oppure se riguardi non tanto il produrre nuovi risultati, quanto piuttosto il "leggere" le possibili conseguenze cui questa materia può condurre. 3.2. La Logica, in ogni caso, perde progressivamente la propria au tonomia ed oltre ad essere mescolata e confusa con le classiche forme del sapere (morale, metafisica, ontologia), tende ad identificarsi sempre più con il metodo col quale ci si deve accostare al sapere (gli scritti di Port-
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Royal sono conosciuti da tutti ed apprezzati dalla maggior parte di loro). Il progredire ed il consolidarsi di questo indirizzo spinge inevitabilmente verso una prospettiva psicologista. L'irrompere delle tematiche hegeliane (che rappresentano « indubbiamente il cambiamento che più di altri ha scompaginato il concetto di Logica... [ed il cui] legame con la Logica nel senso di Aristotele è unicamente rintracciabile in una distorsione che He gel compie [nei confronti di quest'ultima] » - H. Scholz, 1968, I, 8, 4041), in ogni caso assimilate in ritardo, ed il successivo riduzionismo posi tivista, hanno l'effetto di corroborare ulteriormente una simile tendenza sino a renderla dominante, oppure, per reazione, a produrre astorici trat tati che si prefiggono la conservazione completa dei classici insegnamenti tradizionali. 3.3. In linea di-massima pensiamo che una tale imprecisione sia do vuta al processo culturale che si è protratto, e non solo in Italia, durante tutto il secolo passato e che, salvo le rare e giustificate eccezioni (si pensi a Lambert), aveva provocato un ribaltamento delle posizioni occu pate dalla Logica e dalla Psicologia: ovvero si tendeva progressivamente a fare di quest'ultima disciplina la base dalla quale si doveva partire per comprendere qualsiasi forma di conoscenza. Necessariamente essa perde va la propria autonomia e doveva rivedere i punti principali su cui si era fondata. 3.4. Mancava tuttavia la capacità di saper fornire una spiegazione rigorosa a questo nuovo indirizzo. Ecco perché quando si parla di Logica Naturale si fa sempre ricorso a definizioni estremamente generali, caratte rizzate da una voluta imprecisione che, a nostro avviso, possiamo fare risalire all'intento di trovare un elemento comune a tutte le attività del soggetto, attraverso le quali spiegare tutte le forme in cui si presentano le sue conoscenze ed anche si giustificano le sue azioni, si comprendono i suoi comportamenti. L'obiettivo è evidentemente quello di giungere alla verità, ma ci si guarda bene dall'indicare una teoria della stessa. In linea di massima pen siamo che si sia condotti ad intenderla contemporaneamente come coeren za (un asserto è valido se appartiene ad un sistema più vasto) e come corrispondenza (con i fatti empirici, concreti). In un modo o nell'altro ci si sforza di intendere la verità come un qualcosa di tangibile, che si può ricercare e ritrovare e rispetto alla quale non vi siano problemi di sorta per accoglierla: l'attributo "naturale", ovvero specifico dell'Essere, ribadisce
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come si tratti, in ultimo, di un atteggiamento ontologico, che è destinato a scomparire col proseguire del tempo (si veda anche cap. I). 3.5. Un tale contesto teorico rende ancora più interessante lo studio dell'evoluzione della Logica Naturale, la quale dovrebbe essere, molto generalmente, la conditio sine qua non qualsiasi soggetto possa arrivare a scoprire, ma anche a costruire qualunque forma del sapere, dunque anche la stessa Logica Generale. Questo Lumen mentis, come a volte la si in dicava, può infatti essere e una predisposizione di natura soggettiva, ov vero qualcosa di indispensabile per ogni attività dell'individuo, oppure lo si può intendere come il "marchio" specifico ad ogni essere vivente, ov vero la condizione che regola qualsiasi atto del soggetto. Vale a dire che si tratta della condizione per la quale ogni operazione ed ogni azione "hanno un senso", obbediscono a delle regole, seguono certi ritmi senza dei quali non sarebbe possibile instaurare alcun rapporto (sia questo co municativo, sociale, scientifico, etc.) con gli altri individui. Ma allo stesso tempo, si tratta anche di una norma, di un principio che antecede qualsiasi attività od atto (di qualunque genere): perché possa condurre ad un risul tato da ognuno accolto come "naturale", deve essere comune a tutti. Non occorre, allora, denotare un sistema logico per inserirvi questa specifica componente, perché sarebbe limitarne la portata. L'attributo "naturale" mira invece ad indicare un carattere unico, primario, e potremmo dire assoluto, di tutto quello che appartiene all'universo del sapere e dell'agire. Si tratta ora di vedere sino a che punto questa caratteristica influisca per la successive strutturazioni cognitive: in linea di massima i nostri Autori si rifanno a Wolff anche su questo punto, non raccogliendo i suggerimenti di Leibniz. 3.6. Di fronte alla presenza di pensieri tra loro incompatibili, alla necessità di trasformare costantemente un dato ipotetico in un dato reale che escluda qualsiasi altra possibilità, al bisogno di fare ricorso unicamen te a valutazioni e soluzioni immediate, ci imbattiamo in problemi che, per l'inevitabile carenza di approfondimenti e di indagini più accurate, com portano affermazioni dogmatiche, in virtù del fatto che queste non pos sono essere ulteriormente analizzate. Siccome la Logica Naturale, così intesa, è indirizzata alla ricerca esasperata di elementi che siano fondamen tali e primitivi, gli Autori che ne trattano si vedono costretti a proporre ed ad imporre semplificazioni arbitrarie che non possano essere messe in discussione.
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Lo stabilire la sussitenza di un principio forte, ritenuto oltretutto primario, ha, anche in questo caso, effetti del tutto controproducenti, poiché costituisce una limitazione ed un impedimento ad ogni progresso, al punto di arrivare a bloccare qualsiasi ulteriore ricerca. Il ritenere che tale principio contenga in potenza tutto ciò che potrà successivamente attualizzarsi, conduce inoltre verso una prospettiva rigidamente deter ministica. Infatti la sua pretesa owietà e la sua acritica acccttazione mirano a celare la non volontà ad operare la scelta di un settore specifico e re lativo della ricerca, ovvero ribadiscono l'intento di imporre un preciso orizzonte di indagine e di condizionare ogni tentativo di una spiegazione di quest'ultimo. Si aggiunga a ciò anche il fatto che ci si imbatte nella curiosa situazione per cui sono proprio gli elementi "naturali" quelli che non possono essere spiegati, posizione sostenuta anche da coloro che sti mavano che la sola scienza fosse proprio quella che si occupava della natura. 3.7. Con il passare del tempo, e soprattutto nella seconda metà del secolo XIX, il problema della Logica Naturale si pone sempre di più come uno dei principali punti che contrassegnano il rapporto tra Logica e Psicologia, in qualunque modo questo venga a presentarsi. A seconda delle posizioni che queste due discipline verranno ad assumere, la Lo gica Naturale, pure mantenendo un significato sufficientemente simile a quello avuto in passato, acquisterà valenze differenti e ricoprirà ruoli spe cifici, ma sarà pur sempre presente in un gran numero di lavori. Negli scritti più conservatori di questo periodo la nozione di Logica Naturale tenderà ad essere assunta quale ultima difesa contro le pretese positivistiche. 3.8. Da un punto di vista generale si richiamano alle posizioni dei punti 3.6. e 3.7. quei filosofi che, tendendo a fornire una presentazione enciclopedica del sapere, si rifanno in massima parte al razionalismo wolffiano. Una posizione meno rigida, seppure sempre indirizzata ad at testare la necessità di una Logica Naturale, la si ritrova invece in coloro che si richiamano alla più duttile ed elastica filosofia empirista, ereditata sia dalla cultura francese che da quella inglese. In questo caso si tende a fornire esemplificazioni, seppure a volte troppo semplici ed in ogni caso discutibili, di cosa si intenda con questo termine (certe azioni che il sog getto in ogni caso compie; certi ragionamenti comuni a soggetti di qualun que razza o cultura). Ovvero seguendo queste tradizioni empiriste si cerca
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almeno di "far vedere", di "mostrare", come si esplichi questo Lumen Mentis. Tuttavia i risultati non sono certo più attendibili di quelli ottenuti dai filosofi dei punti 3.6. e 3.7. Anzi, a volte, il loro tentativo di "essere chiari" e la loro esigenza di fornire prove controllabili produce risultati del tutto banali. 3.9. Da un punto di vista specificatamente logico un tal fatto rappre senta un blocco compatto e solido, che ha l'effetto negativo di ritardare notevolmente la soluzione di problematiche le quali erano invece sempre più numerose, proprio per il fatto di impedire studi troppo approfonditi. Infatti il persistere di una concezione che riteneva la Logica Formale (ed in generale qualunque tipo di Logica) come un'esplicitazione delle leggi naturali del pensiero, ha avuto come risultato di ostacolare ed impedire gli sviluppi della ricerca logica, indirizzandola sempre di più verso una pro spettiva psicologistica. 3.10. Da un punto di vista psicologico il risultato non è certo foriero di interessanti novità né di aperture rivoluzionarie. Infatti, anche in questo caso, si tende pur sempre a sancire la presenza di alcuni elementi primi, comuni ad ogni soggetto, mentre, per un altro verso, un tal fatto corre il rischio di giungere a risultati sempre contestabili in quanto, proprio per ché empirici, sono soggetti a continue variazioni e cambiamenti. Occorre rebbe che ci fossero dati di fatto, situazioni concrete, sempre valide ed universali, per potere assolvere a questo compito. Ma questo è proprio la negazione del concetto di empirismo. Se tale osservazione è valida per fenomeni specifici e particolari, tanto più lo è per fatti macroscopici e di difficile controllo.
4. EVOLUZIONI DELLA LOGICA NATURALE IN RAPPORTO CON LA PSICOLOGIA (1850-1900). Malgrado le varie e multiformi modalità con cui questo rapporto si è manifestato, riteniamo che sia possibile suddividerlo in due grandi momenti. 4.1. Nella seconda metà del secolo si tenderà a rendere sempre più complementare la Logica con la Psicologia (si pensi, soprattutto, a Wundt, Logik, 1880-1893.
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4.2. Vi saranno sempre studiosi che parleranno di un insieme di prin cipii, di regole, di disposizioni, da ritenersi primitivi in ogni caso (e per tanto naturali) e, quindi non analizzabili. Il primo momento tenderà ad imporsi (si veda cap. I) e la "naturalità" della Logica sarà raggiungimento di una correlazione tra una successione di azioni (sia pratiche che intellettuali), che hanno il fine di "farci ben ragionare". La Logica, considerata proprio nei suoi aspetti fondamentali 15 , di pende dall'esperienza per le seguenti ragioni: 4.3. Perché si propone di regolare i fatti, ovvero le «operazioni in tellettuali rivolte all'acquisto delle cognizioni e deve quindi trarre dalla Psicologia sperimentale le conoscenze di queste operazioni» (120). 4.4. «Perché la riflessione sulle scienze, che sono i prodotti più alti di quelle operazioni intellettuali, influisce, nel modo che si è detto nel paragrafo precedente, sui progressi della logica » (ibidem). Si comprende allora come, col passare del tempo, la primitiva acce zione della Logica Naturale tenderà ad essere abbandonata, per il fatto che si propenderà ad identificarla con i primi atti e con le prime elabora zioni intellettive compiute dal soggetto e l'intento di ritenere primitiva tale facoltà acquisterà un significato del tutto specifico: vale a dire che ci si sforzerà di retrodatare sempre di più la sua comparsa, senza però mai intenderla, come nel passato, alla stregua di un qualcosa di innato, di precedente agli stessi esseri umani. D'altro canto quando si parlerà della sua primarietà, si intende questo termine in senso esclusivamente cronologico. La Logica Naturale è tempo ralmente antecedente a qualsiasi sviluppo delle facoltà cognitive; è tipica dell'essere primitivo, del bambino, dell'uomo inteso come animale, addi rittura degli stessi animali. Costituisce un necessario punto di partenza, dotato di sue regole specifiche anche se del tutto ingenue, che deve for zatamente essere superato. Da questo insieme di osservazioni deriva evidentemente che tutta la Logica, in generale, deve ritenersi parte della Psicologia per il fatto che 15 In particolare si veda C. Cantoni, Corso elementare di Filosofia: Psicologia e Logica, 1895.
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quest'ultima ha l'anima (lo spirito) come oggetto di studio e quindi anche il cervello ed il sistema nervoso. La prima, invece, occupandosi solo delle facoltà cognitive, prende in esame soltanto alcune fra le molteplici funzio ni cui questi organi presiedono. Ecco perché si inizia il suo studio parten do dalle sensazioni, a cui fa seguito quello delle rappresentazioni, delle associazioni, della memoria e del linguaggio. Ora, intesa in questo modo, la Logica può dirsi ancora Naturale, ma in un senso del tutto specifico e del tutto diverso rispetto a quanto si sosteneva in passato. Occorre tuttavia segnalare che questo cambiamento non apporterà quei vantaggi che i suoi Autori credevano di ottenere. In ultimo cercare di trasferire in campo biologico e fisico un problema filosofico non produce alcun vantaggio sino al momento in cui non si dispone di strumenti atti e deputati a realizzare tale obiettivo. In caso contrario non solo si aggiunge nulla di nuovo, ma si crea una grande confusività. In ogni caso, molto generalmente, la situazione può essere così dicotomizzata. 4.5. per un verso si ha un significato del termine più ampio (non vi è, infatti, più ragione di suddividere la Logica in Naturale, Speciale o Applicata perché tutto è riconducibile al soggetto biologico: le eventuali suddivisioni della Logica riguarderanno, al limite, la loro precisione e non certo la loro genesi). 4.6. Per un altro verso avrà invece un significato più riduttivo per il fatto che, in ultimo, rappresenta il tentativo di ricondurre tutte le facoltà cognitive ad un'unica e sola base fondante e ci riporta in quella prospet tiva metafisica, che pure ci si era sforzati di eliminare. Un esempio lo troviamo in uno scritto non di un filosofo ma di un docente di Algebra, fatto questo che conferma, ancora una volta, come tale problema fosse allora veramente rilevante. In Sull'Aritmetica: disser tazione storico-critica (Tomo III, 1870, 389-408) A. Stiattesi 16, dice che l'attività percettiva è primitiva per il fatto che è la sola in grado di farci apprezzare le cose «che meritano uopo» (403). Discutendo poi sulla scienza matematica egli segue il progetto di Wolff, teso a semplificare ad 16 Andrea Stiattesi. È docente di algebra all'Università di Milano negli ultimi decenni del secolo scorso. Oltre ai vari contributi di Algebra, dobbiamo ricordare anche Intorno alla vita ed al lavoro del... Giovanni Antonelli della Scuola... (1873 Bollettino di Bibliografia di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, Roma, 1873).
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ogni costo il ragionamento matematico, al punto di renderlo un processo primario, "naturale". Infatti se « un'abitudine intellettuale... lo informa di una logica artificiale e fallace, rende l'intelletto medesimo inetto a conse guire nuove e salde cognizioni » (402). Dunque, paradossalmente, la tema tica Logica, anziché possedere una capacità espansiva, in luogo di favorire la costruzione di più solide strutture intellettuali (la Logica Artificiale, ad esempio), ha la funzione negativa di limitare il corretto sviluppo delle potenzialità cognitive che ogni soggetto possiede "naturalmente". Si è giunti al ribaltamento completo di Leibniz ma non si è certamente in possesso di conoscenze più ampie e precise per quello che concerne la Logica Naturale.
5. OSSERVAZIONI.
5.1. Genesi, esplicazione, interpretazione. E inevitabile che tutte le nostre conoscenze debbano iniziare da qualche punto che noi riteniamo non necessitante di alcuna spiegazione. Si è visto che questo fatto non è mai stato messo in discussione ma che, al limite, le interminabili contese che si sono verificate nella storia delle conoscenze riguardavano la-natura di questi principi ed il valore loro assegnato. Ora sappiamo che già Aristotele aveva perfettamente compreso che qualsiasi scienza dimostrativa debba prendere l'avvio da principii in dimostrabili, perché altrimenti ci si troverebbe in un circolo vizioso. D'al tro canto i filosofi si rendevano conto che doveva esservi qualche modalità in base alla quale si giustificassero gli assiomi, in modo che i concetti risultassero autoevidenti e gli assunti necessariamente veri. Anche se in ultimo si giungerà a risultati assai simili tra loro, un argomento oggetto di notevoli discussioni riguarda due punti ed è l'ele mento caratteristico di tutte le discussioni, a volte anche le contese e le polemiche (spesse volte anche assai aspre, ma d'altro canto non bisogna dimenticare che la polemica è un elemento retorico, allora molto in uso) registrate tra i vari studiosi, che hanno trattato la questione della Logica Naturale. Si tratta di sapere: (a) se l'individuo possiede delle disposizioni (o meno) tali da potere assimilare in certuni modi le varie forme del sapere (componente cognitiva e morale), nonché di adattarsi alla realtà esterna (componente sociale, etica);
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(b) qualora (a) abbia risposta affermativa, quale è la natura di tali disposizioni e quale è la modalità del loro apparire. È questo il punto sul quale si scontreranno, da un lato, gli eredi della filosofia classica che alla questione (a) rispondevano affermativamente, facendo poi ricorso a posizioni metafisiche per giustificarla, e, da un altro lato, gli studiosi legati alla novità positivista, che tuttavia trovavano che l'unico mezzo per affermare (b), con il fine di darne una giustificazione scientifica, consistesse nel negare (a), anche se poi ricadevano in posizioni ancora fortemente impregnate di tematiche metafisiche. Oggi consideriamo gli assiomi come enunciati che non possiamo di chiarare veri o falsi per il fatto che non occorre che lo siano, in quanto i concetti sono giudicati a partire dalle conseguenze che comportano. Que sto implica che in luogo della genesi e dell'esplicazione dobbiamo parlare di interpretazione (da intendersi anch'essa ripartita in differenti livelli) dei termini primitivi di cui ci serviamo ed assumere quest'ultimo concetto come strumento dal quale ricavare e col quale valutare i primi due. Se, ad esempio, esaminiamo la geometria intendendola quale pura matematica e la proponiamo come sistema, il criterio perché questo sia ritenuto vero è che debba risultare non-contraddittorio, ovvero che risulti coerente. Se invece lo interpretiamo come una descrizione dello spazio fisico, dobbiamo anche interpretare gli assiomi in termini di esperienza, in modo da poter controllare nella realtà i teoremi che ne derivano. È dun que l'interpretazione l'elemento che connota pragmatisticamente (o meno) una disciplina, indicandone così il possibile impiego. Fondamentalmente le teorie classiche si propongono di fare un'analisi dei vari concetti impie gati, mentre ora ci si limita a ritenere validi quelli che producono, che costruiscono, qualche cosa. Non necessariamente si considera solamente l'attività fisica, preponendola a quella mentale, perché non solo ogni azio ne, ma anche ogni asserto, ogni pensiero, riveste una funzione operativa. Evidentemente, a queste condizioni, una teoria sarà giudicata solo dopo che si è constatato quello che è in grado di produrre ed aver testato concretamente le potenzialità che le sono state in precedenza attribuite. Nel periodo da noi preso in esame questo problema non è conside rato proprio perché in luogo di collocare su differenti livelli, e soprattutto a-posteriori, l'attendibilità della Logica Naturale, la si da come anteceden te ad ogni umana attività: proprio per questo non sarà mai sufficientemen te chiarita. In altri termini i tre concetti (genesi, esplicazione ed interpre tazione) non rientrano per alcun motivo nel contesto culturale del perio do, limitando in maniera considerevole la portata delle ricerche.
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5.2. Mondo esterno e mondo interno. L'idea per la quale qualsiasi conoscenza nasca esclusivamente dal l'umano tentativo di adattarsi alla natura esterna, senza considerare ade guatamente l'importanza di una propria organizzazione interna, ha pochi argomenti per essere ritenuta valida. La stessa cosa può evidentemente dirsi per la situazione opposta. La storia ci mostra che la scienza si costrui sce in virtù di interazioni che il soggetto stabilisce tra la natura e se stesso. Il discorso può essere ulteriormente specificato, affermando che quando trattiamo della conoscenza abbiamo vari livelli nel quale questo rapporto si struttura. Quando sognarne o fantastichiamo trattiamo di fatti certamente non tangibili, che oltretutto ci paiono irreali, proprio perché mentre ne parlia mo siamo costretti a fare uso di termini od immagini contraddittorie od a richiamare situazioni impossibili (io posso sognare di essere a casa mia e contemporaneamente a Pechino ed a Parigi, od immaginarmi di trattare di filosofia con Platone: entrambi i fatti di certo non saranno però eviden temente realizzabili concretamente). Allo stesso modo se noi parliamo, ad esempio, di triangolo rotondo o di quadrilatero triangolare, pronunziarne proposizioni prive di senso, in quanto non hanno riferimento alcuno con le strutturazione geometriche dello spazio che sono state stabilite: ovvero ogni cosa che riteniamo reale od esistente deve poter essere descritta in modo non-contraddittorio. La razionalità allora consiste nell'atto con il quale ci si libera da queste contraddizioni e siamo in grado, in tal modo, di fornire una descri zione del mondo esterno che sia reale, sistematica ed ordinata. È fuori di dubbio che la Logica, che rappresenta la forma più elevata ed evoluta della razionalità, sia lo strumento che più di altri ci aiuta in questo compito. Grazie ad essa, ovvero giudicando i nostri concetti secon do la loro Logica, od in riferimento ai fatti a cui si suppone che si riferi scano, anche considerando rilevante tutto quello che questi possano com portare nello sviluppo psicologico dell'individuo, o della società, ci trovia mo di fronte ad un risultato puramente intellettualistico, in base a cui vediamo come la ragione ed i fatti esterni influenzino lo sviluppo delle nostre idee. Questa è di certo una valida spiegazione, la quale non è però sufficiente, in quanto non risolve un problema che sta a monte ed è ancora più complesso. Infatti di fronte al quesito in cui inevitabilmente ci imbat tiamo, ovvero se è il mondo esterno che è razionale (logico), oppure se è la Logica (la ragione) ciò che noi imponiamo al mondo esterno, siamo
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costretti ad ammettere che la Logica e la razionalità, almeno nel loro apparire, sorgono come interazione tra mondo esterno e mondo interno. Questo sta a significare che la regolarità interna del soggetto (ad esempio l'ordine dei processi fisiologici) e quella del mondo esterno sono obbligate a correlarsi tra loro, raggiungendo stadi di equilibrazione sempre più consistenti. In tal caso se la Logica è, se non rappresentativa, almeno indicativa della realtà esterna, la stessa mansione è a lei attribuibile anche per quanto riguarda il nostro mondo intcriore, almeno per la parte di questo che si pone sotto il controllo della ragione. La Psicologia ci insegna che i conflitti tra realtà esterna e realtà inter na si traducono linguisticamente in contraddizioni. La Logica, a sua volta, ci dice che ci imbattiamo in una contraddizione quando diciamo, ad esem pio, che è vero A e non-A, oppure quando ad una proposizione universale affermativa ne facciamo seguire un'altra che, facendo uso degli stessi ter mini, è invece particolare e negativa. Ora, razionalmente parlando, una contraddizione è superabile facen do ricorso ad espressioni metalinguistiche, ma spesso questo nella realtà quotidiana non succede così frequentemente, malgrado il linguaggio natu rale possa essere metalinguaggio di se stesso: ed allora adottiamo mecca nismi di vario genere, quali ad esempio la negazione di due entità antitetiche e la loro equilibrazione in forze opposte ma eguali, oppure negando ne una tout-court. La contraddizione conduce od al dualismo od alla negazione, che sono elementi tipici del linguaggio di tutti i giorni: questo è un fatto psicologico. La Logica è però la disciplina che meglio ci mostra questa situazione. In questo senso possiamo intenderla come una razionalizzazione di quelli che sono i conflitti interni di ogni soggetto. Nel capitolo I (2.) abbiamo visto come, soprattutto agli inizi del se colo scorso, ma anche successivamente, la maggior parte dei filosofi non solo tendeva a far collimare Logica e Psicologia, ma cercava di risolvere il problema collocando le tematiche di queste discipline nell'Ontologia, e la Logica naturale diveniva ciò che meglio rappresentava questa posizione. La nostra interpretazione della Logica Naturale, certamente condotta fa cendo ricorso a termini e tematiche psicologiche, ci mostra che tale carat teristica del soggetto viene assunta proprio come potenzialità di cui ognu no dispone, per ovviare alle incongruenze intercorrenti tra mondo esterno e mondo interno e per porci, in tal modo, nella condizione ottimale per affrontare qualsivoglia impegno. Infatti è pressoché impossibile essere coerentemente formali, ovvero separare esplicitamente la forma dal conte nuto: in caso contrario, per ciò che concerne la realtà esterna non avrem-
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mo alcuna difficoltà a compiere astrazioni sui suoi elementi, mentre, per quello che riguarda la realtà interna, non dovremmo più avere a che fare con le tensioni, che pure sempre l'accompagnano, né coi sentimenti di ambivalenza, ansia e così via. Allo stesso modo è però impossibile porci in una posizione per la quale tutti i problemi logici o fisici sono riconducibili ad istanze psicologiche. In questo caso la stessa sopravvivenza del l'individuo correrebbe seri rischi o, ancora più freddamente, non vi sareb be alcuna sopravvivenza. Ora pensiamo che la Logica Naturale, nei differenti modi con cui fu presentata nel secolo scorso, dovette assolvere proprio alla funzione equi libratrice tra queste opposte realtà, rispetto alle quali il soggetto si imbat teva. Ma se così fosse avrebbe un valore fuorviante l'attributo naturale, che sarebbe più opportuno sostituire con culturale. 5.3. Natura e cultura. L'aggettivo "naturale" possiamo intenderlo in modi tra loro assai differenti. Per un verso, in senso ampio, ci può far pensare che indichi un qualcosa comune a tutti gli esseri viventi, una certa predisposizione a pensare ed agire in un modo pre-determinato. In ogni caso non si tratta di un qualcosa unicamente fisico o biologico. Anche nel periodo in cui trionferà il più forte naturalismo, l'aggettivo "naturale", quando sarà attri buito agli esseri umani, include qualcosa che va al di là della semplice animalità (salvo un caso - vedi questo capitolo 6.2.18.). Sembrerebbe pertanto che ogni individuo possieda un substrato comune, che è ciò che lo caratterizza come essere umano, come soggetto, ovvero un qualcosa che è il fondamento indispensabile perché possa essere in grado di evolvere normalmente sia da un punto di vista fisico, ma anche intellettivo e di porsi in rapporto con gli altri. Per un altro verso l'aggettivo "naturale" può avere un significato più ristretto ed essere sinonimo di "ovvio", od ancora più precisamente, "ne cessario". In questo caso una persona acquisisce certe nozioni di base, si comporta in un certo modo, apprende alcune cose prima di altre, per il fatto che non può essere altrimenti, perché è "naturale" che sia così. Sia in un senso che nell'altro, sia che questa disposizione dell'indivi duo venga scoperta nel corso del suo sviluppo globale oppure che si presenti e manifesti in ogni caso, sia che si mostri sempre identica in ogni persona, sia che tenda a variare progressivamente a seconda dei soggetti,
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stiamo facendo di certo uno studio che non può dirsi "naturalistico", per il fatto che stiamo imponendo alcuni presupposti, da noi ritenuti in grado di spiegare i punti principali e primari, che sono alla base delle più ele mentari caratteristiche umane. In altri termini facciamo un uso "culturale" dell'aggettivo "naturale", ovvero cerchiamo di rintracciare mentalmente quelli che sono i principii primi dell'umano agire. Cerchiamo di risolvere la diade natura/cultura, in riferimento alla Logica, nel seguente modo: (a) Definiamo naturale ciò che è ritenuto comune a tutti i soggetti, la cui manifestazione è immediata ed istantanea, che possiamo rimandare al rapporto causa/effetto e che possiamo cogliere immediatamente. (b) definiamo culturale qualsiasi forma di rappresentazione, nonché di riproduzione, che il soggetto compie nel suo rapporto con se stesso e col mondo esterno. In tale senso possiamo dire che la percettività è connotata come at tività culturale, deputata all'elaborazione allo studio di fenomeni naturali (la sensazione), ovvero delle prime reazioni che un soggetto presenta quando si rapporta col mondo esterno. La stessa cosa possiamo dirla, evidentemente, per altre attività psichiche più complesse (rappresentazio ne, ricordo, fantasia e così via). In particolare, allora, la Logica Naturale, soprattutto all'inizio del secolo scorso, è pertanto un prodotto squisita mente culturale poiché rappresenta una riflessione globale su qualsiasi forma di conoscenza, nonché sulla strutturazione della stessa. Coloro che nel secolo passato trattavano di Logica e la connotavano con l'attributo naturale, intendendo con questo una disposizione comune a tutti gli esseri viventi, di fatto stavano proponendo un concetto generale che, in quanto tale, è del tutto culturale. Questa caratteristica è altrettanto mantenuta quando anche si tenderà a porre la Logica Naturale sullo stesso piano, od anche in dipendenza, dalla Psicologia e, allo stesso modo, quando se ne farà uno strumento per l'estensione e la comprensione degli accadimenti psichici. Se facessimo uso dell'odierna terminologia gli argomenti di studio appartenenti alla Logica Naturale sarebbero oggetto di indagine della Psicologia Genetica od, al limite, di quella Cognitiva o del Pensiero (dunque branche squisi tamente culturali). Se accettiamo questa precisazione, non abbiamo difficoltà ad asserire che il valore scientifico della Logica Naturale è direttamente proporzio nale al livello di "culturalizzazione" a cui la si conduce. Riteniamo altresì che la sua operatività più rilevante, che di fatto le ha consentito sue-
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cessivamente di uscire dall'impasse (rapporto Logica-Psicologia), che l'aveva pressoché eliminata alla fine del secolo scorso, è da ricercarsi ad un livello ancora superiore, vale a dire quando oggetto della sua applicazione divengono i propri argomenti, più che non quelli a cui, in precedenza, la si collegava: in altri termini il suo valore, estendibile alla stessa Logica, ed anche ricco di contributi per la Psicologia, diviene realmente produttivo alla condizione che lo si la si collochi in un universo metalogico.
6. AUTORI ITALIANI CHE TRATTANO DI LOGICA NATURALE. Il problema della Logica Naturale non è certamente tipico della sola cultura italiana e, allo stesso modo, non nasce solamente nel secolo scorso. L'esserci limitati alla produzione italiana è riconducibile ad una nostra scelta suggerita da un duplice intento: (a) recuperare un patrimonio culturale del nostro paese, in verità poco conosciuto; (b) mostrare come anche la cultura italiana fosse attiva e ricca di produzioni quanto gli altri paesi europei. 6.1. Si daranno cinque esempi, sufficientemente ampi, concernenti Autori, due dei quali abbastanza conosciuti, che in differenti epoche del secolo scorso hanno fatto ricorso al concetto di Logica Naturale. 6.2. Si riporteranno in modo più schematico tutti gli altri studiosi (21) del secolo passato da noi trovati, che nei loro trattati hanno parlato, o che almeno hanno accennato, a questo tipo di Logica.
6.1. Cinque differenti usi della logica naturale. 6.1.1. Francesco Soave, Istituzioni di Logica, metafisica ed Etica, 1815. La Logica deriva direttamente dal termine greco Lògos: si tratta di un'arte che insegna a fare buon uso della ragione, un mezzo indispensa bile per affrontare qualsiasi disciplina: vale a dire che si tratta di una forma del sapere il quale indica il metodo con cui accostarsi alle scienze per potere giungere, alla fine, a conoscenze certe e sicure. Tuttavia « Vero è che alcuni pur giungono senza studio di libri a saper ragionare in molte cose assestatamente, e a possedere quella che chiamasi Logica Naturale » (pp. 77-78).
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La definizione di questa parte della Logica è fornita in modo assai sbrigativo, al punto da essere collocata soltanto in una nota del testo. « La Logica Naturale equivale a ciò che con nome più famigliare si dice buon senso» (Nota 1, 78). Al contrario si fornisce una descrizione abbastanza estesa delle fun zioni cui la stessa presiede. « Questa medesima non è già nata con noi: essa non si acquista che a forza di molto studio, e di molta riflessione sui proprj ed altrui giudizj e ragionamenti, e col soccorso di lunga esperienza, e sovente dopo molti e replicati errori: sicché fra la Logica Naturale, e questa che noi chiamiamo Artificiale, il principal divario si è che 1° è più difficile da acquistarsi perché ciascuno è costretto a crearsela da sé senza soccorso d'altrui, e colla sua propria riflessione ed esperienza; 2° è meno estesa, perciocché è troppo malagevole, che un solo, e per solo proprio uso, giunga a scoprire tutte le regole del ragionare, che sono state fin qui scoperte da tanti uomini per tanto tempo in questa ricerca occupati; 3° è men sicura, giacché tanti sono nel ragionare i pericoli di smarrirsi, e di confondere il vero col falso, il reale coll'apparente, che è troppo raro, che non inciampi, o si perda chi in questa via si inoltra da sé medesimo senza una guida opportuna » (78). Si respinge dunque, ma solo apparentemente, ogni ipotesi troppo speculativa, perché si sostiene che unicamente attraverso le tecniche della Logica Artificiale (effetti) si possa giungere a scoprire i principii primi, o naturali (cause), che presiedono alle stesse. Ovvero la Logica Artificiale ha il compito di ordinare, chiarire e rendere cognitivamente validi gli stessi principi che già sono presenti nella Logica Naturale. Ma ciò fa sì che quest'ultima debba essere stimata più difficile che non la prima, per il fatto che non può usufruire dei mezzi che la ren dano più chiara e sicura. Infatti « Niente è più stimabile che il buon senso nel saper giudicare del vero e del falso, ma è cosa strana il ve dere come questa qualità sia rara » (Nota 2, 78). Ora siccome « La ve rità logica consiste nella conformità delle nostre idee, e de' nostri giu dizi colle cose alle quali si riferiscono... » (83) e dato che « rispetto alla logica verità delle cose in quattro stati l'animo nostro può ritrovarsi, cioè in quello di ignoranza, o di dubbio, o di semplice opinione, o di certez za » (84), vi è la necessità d porre un rimedio, per poter condurre la conoscenza al vero. Infatti « I frequenti errori degli uomini abbandona ti alla sola Logica Naturale, cioè alla sola propria riflessione ed espe rienza, son quelli appunto, che hanno determinato alcuni dei più saggi, e più avveduti, a cercare di ridurre le leggi del ben ragionare a certi
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capi e fissare i precetti, e formare ciò, che si chiama la Logica Artificiale » (78-79). In altri termini quando l'A. parla di Logica Naturale vuole intendere quella serie di elementi indispensabili che ci consentono di rendere ope rativa quella artificiale, la quale è da considerarsi una tecnica e nulla più. Inoltre siccome egli si sforza in tutto il suo lavoro di evitare qualsiasi affermazione che fosse contraria alla tradizione filosofico-religiosa del passato, tende ad abbandonare una concezione troppo sensista dell'attri buto naturale ed a recuperare tematiche metafisiche. In ultimo queste sono considerate anche con una rilevante componente morale: la Logica Naturale è ciò che consente di vivere in modo coerente e facilita l'instau razione di un rapporto di reciproca fiducia e rispetto verso gli altri uomini. 6.1.2. Giandomenico Romagnosi, Elementi di Logica, 1832a. Analizzando La Logica per gli giovinetti 11 (1766) di A. Genovesi, rappresentante principale dell'Illuminismo napoletano della seconda metà del secolo XVIII, osserviamo come l'Autore accolga molte delle sue affer mazioni, ed in particolare quella concernente la necessità di proporre fi nalmente un testo che, pure mantenendo un notevole rigore filosofico, fosse in grado di chiarire che cos'era e come si doveva impiegare la Logica. Tuttavia, l'A. che conosce anche l'opera di Wolff, propone delle precisa zioni sulla definizione da assegnare al termine Logica. Se G. Romagnosi concorda con il filosofo napoletano nella lotta contro la metafisica, ritenu ta generatrice di ipotesi vaghe e confuse, e sul carattere costruttivo e non solo recettivo della conoscenza, introduce delle osservazioni riguardo la natura della Logica, proprio con l'intento di rafforzare tali posizioni. 17 Abbiamo indicato l'edizione Remondini di Bassano del 1766 in quanto si tratta di una delle prime pubblicazioni del lavoro di A. Genovesi. Questo libro è stato suc cessivamente stampato da parte di diverse case tipografiche, quasi tutte di Bassano, Napoli e Milano; a partire dal 1850, invece, vi saranno ulteriori edizioni stampate in prevalenza a Torino. Nella nostra ricerca abbiamo trovato le seguenti: 1866, 1774, 1776, 1779, 1790, 1794, 1818, 1832, Remondini, Bassano; 1799 [S. N.]; 1802, D. Sangiacomo; 1817, Seguin, Napoli; 1783, Tipografia Federico Agnelli; 1830, Silvestri; 1832 Antonio Fontana, Milano; 1850, Società Biblioteca Comuni Italiani; 1853, [S. N.]; 1857, [S. N.]; 1859, Fer rerò, Torino. A questo si aggiunga che col 1835 l'A. diede alle stampe Logica e Metafisica, volume suddiviso in due parti la prima delle quali altro non è che la riproduzione dell'opera del 1766. Anche in questo caso le stampe furono parecchie. Noi abbiamo ritrovato 1835 e 1843, Società Tipografica, Milano; 1840 [S. N.] [S. L.]; 1847 [S. N.] [S.L.].
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A. Genovesi (1830) riteneva che la Logica fosse da considerarsi come « L'arte di dirigere l'attenzione a scuoprire od a verificare qualche cosa, e di esprimere le cognizioni risultanti », mentre G. Romagnosi corregge tale definizione affermando che « II discernere il vero dal falso è propriamente un effetto dell'arte e non un andamento della medesima. L'arte essenzial mente consiste in un dato procedimento preconosciuto, valevole ad ottenere un dato effetto » (7). Tuttavia, secondo l'A., ciò non è ancora sufficiente perché l'Arte Logica ha bisogno di essere meglio connotata. Questo gli fa dire che: « Certamente in punto di Logica la natura fa molto senza dell'ar te, e la prova si è che dapprima gli uomini consociati giungono ad un certo grado di ragionevolezza d'onde nasce il così detto senso comune rispetta bile anche dai filosofi. Esiste adunque una Logica Naturale la quale non sembra prima deliberata. Essa è tale che senza di lei sarebbe stata impos sibile la Logica Artificiale, come sarebbe impossibile l'arte del ballo, se gli uomini non avessero saputo prima camminare senz'arte veruna. Si può dunque dire che la Logica insegnata [nelle scuole] altro veramente non è che la Logica Naturale disciplinata » (VI-VII). Del tutto coerente con la sua posizione antimetafisica e protopositi vista egli sottolinea subito che la Logica Naturale è da intendersi in senso "economico". Infatti si riportano all'anima tutte le funzioni mentali (per cepire, attendere, giudicare) ed affettive (amare ed odiare); si riportano al corpo le funzioni « macchinali (batter dei polsi, l'ingrandire del corpo, la digestione ed ogni altra mozione corporale) » (13-14). Ora « Tutte queste cose esistenti, ordinate ed operanti nella guisa propria della specie nostra, ricevono in complesso il nome di costituzione e di natura umana. Dalla qualità delle potenze, dalla loro compaginatura, dalla loro capacità di ri cevere e di trasmettere le azioni, ed il comporle ed effettuarle sì dentro che fuori di noi, ne segue \ economia naturale della specie umana, la quale risulta dai rapporti reali ed attivi che passano fra gli uomini e gli esseri che sono in comunicazione con lui. L'economia della natura umana è dunque una delle leggi che compongono l'ordine generale dell'Universo» (14). Ma se questo è un postulato non ci si può fermare e si deve progre dire: « Col nascere egli [il soggetto] non porta seco fuorché VAttitudine, mediante la convivenza abituale co' suoi simili, a divenire ragionevole e morale, nel che consiste la padronanza nel pensare e nel volere... e ciò vien fatto dopo la puerizia, purché il suo organismo interno non sia difettoso » (15). È proprio in questa prospettiva evolutiva, ovvero nell'identificazione dei punti fondamentali e primi per la crescita intellettiva ed operativa del soggetto, che l'A. colloca la Logica Naturale. Infatti « l'uomo è un animale
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per indole sua capace, nel consorzio de' suoi simili, non solamente di divenire ragionevole e morale, ma eziandio (mediante la posizione e una data fisica posizione) di ben conservarsi e di migliorare progressivamente la sua vita » (16). Date queste premesse si possono capire anche le successive codifi cazioni della Logica e l'intento per cui queste sussistono. « In ogni ra gionamento l'istinto umano tende al vero, ma nella Logica disciplinata si vuole dare l'itinerario riputato sicuro verso del vero. La condizione dunque caratteristica propria e specifica dell'Arte Logica si è la dirczione prescelta, riputata sicura ad ottenere il vero mediante il certo, o almeno il probabile, usando di certi dati e di certe direzioni dei nostri pensieri » (VII). 6.1.3. A. Paoli, Elementi di Logica generale, 1867 18. La Logica non può assolutamente dipendere dalla Metafisica per il fatto che, secondo l'A., quest'ultima forma del sapere è comparsa ed ha avuto un grande successo, in periodi nei quali la cultura era basata su un'esperienza grossolana e superficiale, che non permetteva di disporre di un preciso insieme di conoscenze scientifiche. Se la Metafisica serve per comprendere l'ignoranza che gli scienziati hanno rispetto a certi argomen ti, la Logica manterrà invece una sua valida autonomia sovra-scientifica, a patto che restringa i propri campi di applicazione e si ponga sempre in una posizione successiva rispetto alle scoperte scientifiche. In questo caso la Logica può fungere da « Scienza del Pensiero » (25), senza per questo essere lo stesso pensiero, né la creatrice dello stesso, né, d'altro canto, lo strumento che serve a scoprire verità relative alle scienze particolari e specifiche. Solo eliminando ogni « boria della metafisica » (ibidem), per cui si pretende di ricercare una genesi del sapere in modo astratto ed irreale, potrà collocarsi quale disciplina del tutto utile alla cono scenza (« Una dolce illusione, la speranza di descrivere a fondo tutto l'Uni verso genera la metafisica... la gioia di avere trovato una nuova cognizione vera o falsa [e] d'aver avvertito una relazione [genera la Logica] » (64-65)). L'oggetto di quest'ultima è « un'energia naturale » (p. 69), in base alla quale una riflessione segue spontaneamente ad un'altra, la modifica, 18 Alessandro Paoli (1839-?), nacque presso Firenze e si formò al Liceo Cicognini di Prato ed alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Dapprima insegnò nei Licei di Roma, fu poi professore incaricato all'Università di Padova ed infine divenne ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Pisa. Tra le sue altre opere: Introduzione alla logica (Firenze, 1869), Lo Schopenhauer ed il Rosmini (Roma, 1877), Hume ed il prin cipio di causa (Firenze, 1880).
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la ampia, la corregge, la ordina. Ora sino al momento in cui ciò avviene senza che il soggetto ne prenda coscienza, abbiamo una Logica Naturale, ovvero un "buon senso" che ci conduce a compiere operazioni (sia con crete che intellettuali), le quali rispondono a canoni da tutti accolti ed accettati e che non implicano che noi ci rendiamo conto dei meccanismi ad esse soggiacenti. Solo in un secondo momento, quando si avrà la con vinzione che si tratta di « una scienza che osserva le vie che tiene la mente nell'andare da una cognizione all'altra, si produrrà una scienza» (173). Impiegando termini oggi di certo più correnti, possiamo definire pre operativo il ruolo della Logica Naturale: questa infatti « deve guardarsi a' fatti che si compiono entro di noi, ed osservare quali di essi conducano all'errore, quali alla verità » (78). Possiamo invece intrawedere una com ponente operativa, attribuita dall'A. alla Scienza della Logica, per quello che riguarda l'apprendimento di nuove conoscenze: ovvero fare che « que ste non procedano secondo un incerto e contrastato metodo » (84). Non solo, ma siccome la Logica, con tutte le scienze, deve adattarsi al tempo ed ai periodi in cui compare e siccome questi sono in continua evoluzione, lo stesso patrimonio comune, di cui ogni soggetto dispone ancor prima di avvicinarsi al sapere (Logica naturale), sarà anch'esso mutevole. In termini più generali, la Logica Naturale del periodo dell'A., è costituita da un insieme di regole non conosciute dal soggetto allo stadio iniziale, ma certamente più ricche di quelle di cui disponeva un soggetto del secolo precedente. In tal senso la Logica Naturale acquisisce un valore di depositato culturale e, in quanto tale, sarà in continua espansione ed evoluzione. In ogni caso, quasi a preservare le caratteristiche di questa Logica, egli si guarderà dall'affermare che la stessa si trasformerà succes sivamente in quella Artificiale. Quest'ultima, in quanto tecnica e strumen to, sarà di certo in continua espansione, ma avrà nulla da spartire con la prima in quanto del tutto differenziata. 6.1.4. G. Lunati, Del metodo o della logica, 1871 19. Già nell'introduzione l'A. generalizza volutamente il significato del termine Logica Naturale, identificandolo col metodo causale e teleologia), che è, a suo avviso, quello specifico alla natura fisica. La sua formazione 19 Giuseppe Lunati (1800-1878). Di origini romane divise i suoi interessi tra studi di Filosofia e di Giurisprudenza (fu chiamato da Pio IX spesse volte come avvocato per la Santa Sede). In seguito ricoprì il ministero delle Finanze per lo Stato Vaticano. Dopo il 1870 divenne sindaco di Roma e continuò ad occuparsi dei problemi ministeriali del nuovo stato italiano.
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empirica e psicologistica emerge in modo del tutto palese quando afferma che queste sono le due prime caratteristiche che si riscontrano nella natura e, di conseguenza, anche nell'uomo, poiché lo stesso è retto da identici principi. Il compito della Logica, intesa come scienza, acquista un valore pedagogico per il fatto che consiste nell'insegnare le differenti regole spe cifiche ai vari metodi di studio che la conoscenza deve adottare, partendo dalle due componenti "naturali" accennate, le quali precedono cronologi camente qualsiasi attività del soggetto 20 . Successivamente egli puntualizza il discorso, passando in rassegna brevemente la filosofia della cultura passata e ne ricava, senza discostarsi minimamente dagli Autori del perio do, che la Logica è una scienza del ragionare con cui si giunge al Vero. A tale proposito egli sostiene che « a noi sembra che la questione del metodo da tenersi nella ricerca della verità sia di facilissima soluzione » (II, 17). Rifiutando qualsiasi possibilità di ammettere idee, o nozioni, innate, cosa che sarebbe in completo disaccordo rispetto alle sue posizioni teoriche, egli afferma che è solamente muovendo dall'esperienza e dalle sensa zioni (le quali sono "esterne", ovvero « quelle che costituiscono gli oggetti esterni stabili, quelle che costituiscono gli oggetti esterni mobili, quelle che costituiscono il nostro corpo » (I, 47) ed "interne", le quali « si [compon gono] di sei elementi che sono i sentimenti, i giudizii, i desiderii, le volontà, le passioni e le ricordanze » (I, 52), che si deve prendere l'avvio per costru ire qualsiasi conoscenza. Per l'A. inoltre è il sentimento ciò che assolve al compito di collegare tra loro le sensazioni esterne con quelle interne, pro ducendo pertanto una sorta di "schema cognitivo" completo ed operativo. Tutto il lavoro di Lunati si snoda in funzione della ricerca del meto do, che spesso è identificato tout-court con la Logica, per giungere alla verità. L'attributo "naturale" è presentato come sinonimo di "comune" ed in virtù della sua posizione filosofica egli tende a storicizzare tali termini. Anche da un punto di vista teoretico un tale fatto riveste una certa impor tanza: la "natura", infatti, non è più assunta metafisicamente e, quindi, per comprenderla non occorre un lavoro unicamente speculativo, ma la si presenta come un "evolvere e mutare" costante al quale le scienze devono modellarsi conscguentemente. Non solo, ma siccome tutte le scienze sono tra loro differenti ognuna dovrà posseder un proprio metodo. 20 Sulla stessa posizione di Lunati (op. cit.), che identifica la Logica col metodo causale (e teleologico) troviamo Luigi Severini (Della logica induttiva nei suoi rapporti colla fisiologia, 1881). Il tema trattato è tuttavia presentato in modo molto più speri mentale ed in questo senso, FA., che è medico con evidenti adesioni alla filosofia positivista, è molto più vicino ad autori direttamente impegnati nella ricerca empirica.
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Ma « tutti gli uomini hanno un fondo comune di cognizioni, che servono a loro per condursi nella vita; e dal Selavaggio fino al Cinese ed all'Inglese tutti possiedono un fondo di regole comunque diversamente modificato, secondo i diversi gradi di civiltà, a cui appartengono, le quali regole dirigono le loro opinioni, ed ancor, più o meno, i loro pensieri » (III, 387). Da questo fondo comune a tutti gli uomini ogni scienza attinge i suoi elementi primi, ovvero « quelli che noi dichiariamo appartenere alla Logica » (ibidem). Quando l'A. parla dei principi che si riscontrano nella condotta or dinaria degli uomini se da un lato, ribadisce che « nessun principio gene rale è innato... però moltissimi principii vengono trasmessi di padre in figlio; e comunque debbono essere nati in origine da esperienze immedia te, tuttavia vengono acquisiti dagli uomini senza propria esperienza » (III, 388). Se anche « una gran parte di questi principii nacque in noi da nostre precedenti esperienze, [queste sono] talmente antiche, che noi non ne ricordiamo affatto il processo » (ibidem). In questo caso emerge in modo del tutto evidente quanto sia "cultu rale" la valenza dei principi comuni, o "naturali", del sapere (si veda l'osservazione 5.3. di questo capitolo). Siccome ogni nostra operazione, e dunque anche quelle comuni ad ogni soggetto, nascono dall'esperienza, si può pensare che anche quelle primitive, "naturali" siano il prodotto di un depositato culturale che si accresce e modifica in continuazione. Se allora è vero che con la spiegazione fornita su questo tema dall'A. si ricade in una prospettiva metafisica (troppo generali e non sperimentalmente con trollabili sono gli argomenti e le prove da lui addotte), assistiamo in ogni caso ad un sostanziale mutamento dello spazio nel quale si colloca la Logica Naturale. 6.1.5. Pietro Tarino, Istituzioni elementari di Logica e Metafisica del Professar Pietro Tarino, 1874. Siccome il termine greco Lògos significa «pensiero, raziocinio, di scorso che la mente tiene seco medesima» (14), si ha che «la primitiva sua significazione essa viene adoperata generalmente per denotare le qua lità di ragionevole, di ragionatore, proprie di una cosa o di una persona qualunque» (14). Questo comporta che ogni soggetto disponga di speci fiche particolarità. In effetti « L'uomo come animai ragionevole porta dalla natura un'at titudine più o meno spiegata a ben usare della sua ragione per cui egli può, senza alcun magistero d'arte, pensare e ragionare rettamente e vera-
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cernente. Questa attitudine forma la Logica Naturale o volgare, detta anco buon senso, la quale non è altro che una semplice facoltà di ben ragionare, quale viene in diversi gradi impartita ad ogni uomo da natura, e quale altresì viene acquistata col retto ed ordinato esercizio di quel raziocinio di cui sono capaci tutti gli uomini che vivono in società. La Logica Naturale è perciò innata od acquisita; la prima consiste in una mera disposizione, più o meno pronunciata, a ben pensare sortita da natura, la quale pone il fondamento di tutte le cose, e quindi anche i principi seminali della scien za e della virtù; la seconda consiste in un'abilità a pensare rettamente e veracemente, acquistata a forza di ragionar bene, seguendo il solo magi stero della natura» (14-15). La Logica Naturale è allora qualcosa di dato, il cui riscontro è imme diato, che non occorre ricercare perché cade istantaneamente sotto la nostra osservazione. Non è però un qualcosa di sufficiente, in quanto trattandosi di un fondamento su cui si deve costruire qualsiasi azione o situazione, se la si considera isolatamente e non la si approfondisce, può portare a risultati che non sempre sono positivi. Ciò sta a significare che si tratta di un elemento primo della cognitività, ma non sufficiente per renderne ragione. Infatti « L'uomo col solo sussidio della Logica Naturale può difficilmente scansare l'errore e scopri re il sofisma, massime nelle cose più rilevanti ed assai remote dai sensi » (15). Ora « Uffizio generale della Logica è di studiare la natura dell'umano pensiero, e di additare le regole per arrivare al possesso della verità... Il fine della Logica è il conseguimento del vero » (82). È questo il punto specifico per il quale la Logica Naturale non può essere considerata uno strumento sufficiente, se impiegata isolatamente. La spiegazione ci è fornita dall'A. medesimo quando tratta della verità logica, che è un qualcosa che presuppone una completa e totale messa in relazione (dunque un atto cognitivo, culturale) tra il soggetto e l'oggetto. « La verità logica è una conformità ed un'adeguazione del nostro intelletto colla cosa conosciuta. Questa verità perciò importa un soggetto conoscen te ed un oggetto conosciuto, ma non dimora esclusivamente nell'uno o nell'altro» (86). «La Verità logica, ..., è quella che dimora nei nostri giudizi, i quali si dicono veri in quanto sono conformi alle cose conosciute, e si può quindi definire per una conformità del giudizio colle cose conosciu te quali sono in se stesse, un'equazione del pensiero colla cosa » (84). Rispetto a Wolff, di cui pure impiega la terminologia, egli propone un'ulteriore ripartizione della Logica: l'Arte Logica del filosofo tedesco è per il Nostro la Logica Naturale Acquisita, mentre si definisce "scientifi-
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ca" una forma assolutamente speculativa di tale materia, rispetto alla quale egli si mostrerà per altro assai contrario. Se la Logica Naturale Acquisita si distingue dalla Logica Scientifica, l'A. la rende tuttavia omonima alla Logica Artificiale. Sebbene infatti que ste due ultime forme di Logica siano omologate da alcuni studiosi « per ché si suppone la distinta conoscenza delle regole somministrate della scienza logica » (nota 1, 15), bisogna tenerle distinte. Non a caso «... per parlar proprio la Logica Artificiale anziché una scienza pare si debba dire piuttosto un abito di ben ragionare con facilità, prontezza, sicurtà, pre cisione ed anco diletto che si contrae da chi si applica segnatamente alle scienze matematiche, conversa con persone distinte in fatto di Logica, e sovrattutto segue rigorosamente le regole suggerite dalla scienza logica » (nota 1, 15). Allora la Scienza Logica è un prodotto della riflessione sulla Logica Artificiale. « L'uomo invero stimolato per natura a rendersi ra gione delle sue operazioni intellettuali ed a premunirsi contro i travia menti dell'errore e le fallacie del sofisma, osserva il naturale e costante procedimento della propria ragione quando ragiona direttamente e segue la Logica Naturale, e massime il procedimento della ragione di coloro cui è molto famigliare l'arte e la Scienza Logica; ne esamina i vari passi, di stingue i veri dai falsi, i facili dai difficili, i piani dagli scabrosi, racco glie i risultati delle proprie osservazioni, li traduce in tante leggi e regole pratiche, li ordina, li dimostra, e li riduce ad una legge e principio su premo, da cui tutte discendono le regole speciali che scorgono la mente così nella ricerca come nell'esposizione del vero. La Logica Artificiale perciò non è che uno sviluppo ed un perfezionamento della Logica na turale, e non si trova mai in opposizione con questa, come pretende l'He gel » (17-18). In questo caso osserviamo allora da un lato il tentativo di ampliamen to del concetto di Logica, attraverso la ripartizione in due componenti del concetto di Logica Naturale, ma, per un altro lato, si propende a chiudere ogni discorso riguardo alla genesi ed alla natura della stessa, in quanto è data una volta per tutte, è comune a tutti gli uomini: proprio per questo non può essere definita in modo compiuto. Probabilmente sulle scorte del Wolff si assiste alla scomparsa del problema tecnico di fornire una defi nizione rigorosa e precisa al concetto di Logica, in quanto ritenerla come la principale manifestazione delle leggi del pensiero, rientrava in una con cezione del mondo nella quale ogni ente è da intendersi come dotato di una propria essenza. Ovvero è attraverso motivazioni ontologiche che si cerca di porre rimedio ai limiti della trattazione logica, che però l'Autore
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non approfondisce né specifica. Soprattutto egli non riesce a distaccare il suo lavoro da una forte valenza psicologica che lo caratterizza in più punti: allo stesso tempo non riesce neppure ad approfondire adeguatamente neppure quest'ultima.
6.2. Altri autori italiani che trattano di Logica Naturale. F. Soave, G. Romagnosi, A. Paoli, G. Lunati e P. Tarino possono essere assunti quali campioni che illustrano le varie modalità con cui fu affrontato il tema della Logica Naturale nel secolo scorso da parte della cultura italiana. Evidentemente vi sono stati altri Autori che solo a grandi linee possono essere ricondotti ai cinque da noi presentati, in quanto ognuno di loro, come è ovvio, mostra caratteristiche specifiche. Se dei primi Autori abbiamo parlato più diffusamente, ci limiteremo, d'ora in avanti, a riportare per sommi capi che cosa questi ultimi abbiano inteso con l'espressione Logica Naturale ed a vedere quale rapporto questa di sciplina abbia instaurato con le altre forme di Logica e con la Psicologia. Precisiamo altresì che non si pretende da parte nostra di avere esau rito il problema, in quanto ci siamo rifatti alla pur numerosa raccolta, ma certo non esaustiva, dei materiali bibliografici che trattavano di Logica Naturale nel secolo scorso. Abbiamo infine inserito pure due A. che hanno scritto il loro lavoro alla fine del secolo XVIII, per il fatto che si tratta di personaggi vissuti ed operanti anche nel XIX secolo e perché sono portatori di idee che si protrarranno per lunga parte del secolo successivo: di diritto possiamo inserirli nel nostro elenco.
6.2.1. Sauri (abate di), Elementi di logica, lili. La Logica, nella sua generalità, è per l'Autore la parte « forse la più sterile e la men dilettevole » (Introd. XXIII) della filosofia, in quanto poco o nulla di interessante è ciò che ci insegna: in ogni caso la suddivide in naturale, artificiale, e sofistica (la quale è identificata con la Retorica). Il rapporto intercorrente tra le tre logiche riguarda i livelli di approfon dimento delle attività cognitive: la Logica Naturale è tra queste la più povera, benché appartengano ad essa tutti i momenti costituenti tale di sciplina nella sua globalità. Questi per l'A., che non si stacca dalla tradi zione classica, sono la percezione, il giudizio, il raziocinio ed il metodo (egli però non dice e non da esempi di che cosa si intenda, ad esempio, per percezione o metodo "naturale", anche se propende ad identificare
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tale aggettivo con "semplice", "ovvio"). Il suo giudizio sulla Logica come scienza è fortemente negativo: solo la Logica Naturale, in quanto tratto comune ad ogni soggetto, viene accolta in modo relativamente positivo. Questo però a patto che la si consideri come una disposizione specifica ad ogni soggetto, una caratteristica "innata", nel senso di Wolff, ad ogni individuo e non una disciplina da apprendere. In quest'ultimo caso, si limiterebbe ad una successione di banalità e di ingenuità e non avrebbe alcun senso impararla 21 .
6.2.2. Romeo Gianandrea, Institutiones logicae in usum... scriptae, ..., 1795. Solamente partendo dallo studio della natura in senso lato (sua ori gine e suo sviluppo) e poi dell'uomo, inteso come essere vivente dotato di sensazioni (dunque come elemento della natura), si può giungere all'esame del soggetto che per l'A. corrisponde allo studio del ragionamento, ovvero della caratteristica essenziale dell'uomo, che lo distingue da qualsiasi esse re vivente. Tali presupposti iniziali costituiscono gli elementi indispensa bili (le basi) con cui poter creare la più pura forma del raziocinio (che per la maggior parte degli studiosi dell'epoca era sempre il sillogismo). L'Au tore tende ad identificare con i precetti morali queste prime manifestazio ni della Logica. 6.2.3. Bartolomeo Bellofiore, Elementa logicae et ontologiae quibus Bartholamaeus Bellofiore olim auditores mos philosophos in seminarii dictando istituebat, 1813. La Logica è sempre suddivisa in Naturale ed Artificiale: la prima, che ci è donata direttamente da Dio, è ipsum rationis lumen, mentre la seconda è quella che ci mostra le regole, attraverso cui la mente umana giunge alla conoscenza. Il problema della "veritas mentis" ed anche il principio di contraddizione (impossibile est, idem simul esse et non esse] costituiscono un tema non tanto pertinente alla Logica e neppure alla Psicologia, quanto invece all'Ontologia. La commistione tra Logica Natu rale ed Ontologia deriva dal fatto che quando si tratta delle definizioni di termini quali teorema, assioma, scolio, etc., si sottolinea che questi devo21 Sauri (Abate di) (sec. XVIII). Fu docente a Montpellier. Oltre al lavoro da noi citato conosciamo dell'Autore un Corso di Filosofia ed un Compendio di Matematica (Venezia, 1781), in cui si occupa di Aritmetica (che lui definisce Matematica), Algebra e Geometria.
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no essere interpretati quali i primi costituenti dell'Essere. In questo senso la Logica Naturale è non solo la prima fra le varie forme di Logica, ma è anche quella senza di cui l'Essere, in quanto tale, non può formarsi e costituirsi. 6.2.4. Paulo Mako, Compendio di logica, 1819. Anche questo A. si premura di stabilire un'interessante distinzione tra Logica Naturale e Logica Artificiale. Se, infatti, entrambe hanno come obiettivo quello di indicare la « forza misurata ad ognuno, per mezzo di cui contempliamo qualunque cosa come se fosse presente e formiamo i giudizi ed i raziocinii » (13), la prima concerne la rettitudine dei pensieri in quanto tali, mentre la seconda riguarda la capacità di comunicare ad altri una tale rettitudine di pensieri. Sottolineiamo che l'attributo naturale diviene sinonimo di primario, quasi di generativo e, pure essendo qualcosa di non chiaramente identificabile, lo si comincia ad intendere come più direttamente collegato con le successive fasi evolutive che la conoscenza dovrà attraversare. In ogni caso rimane pur sempre un'entità che si esplica solamente in sé 22 .
6.2.5. Andrea Braghetti, Istituzioni logiche esposte da un sacerdote della Compagnia di Gesù, 1820. In quanto si intende la Logica come dottrina che insegna a ben ra gionare nonché abito acquisito con il quale ben si ragiona, è ovvio che la si distingua in Naturale e Artificiale. La prima è « quella che l'uomo ac quista da sé, e colla sua riflessione » (1), mentre la seconda è « quella che si acquista con l'ajuto dei precetti e degli insegnamenti altrui... » (1). Pro prio in virtù di questo principio la seconda è da ritenersi ben più compli cata che non la prima, ma, tuttavia, assolutamente dipendente da questa, senza di cui non potrebbe essere. Se la Logica Naturale è allora indispen sabile in quanto primaria, quella artificiale, ci permette di estendere a tutti i casi possibili le regole del ben ragionare, di mostrare la verità delle stesse, e di esporre precetti in modo preciso ed ordinato, per far che sia anche facile il loro insegnamento agli allievi. In questo caso ci si ricollega alla 22 II testo da noi citato è presente anche in un'edizione in italiano precedente, pubblicata da Graziosi e S. Apollinare, Venezia, 1792, rispetto alla quale l'edizione del 1819, non contiene nulla di nuovo o di differente, se non l'approvazione per la sua pubblicazione, accordata da Padre F. G. Mascheroni, Inquisitore del Santo Offizio di Venezia, in quanto « non v'è cosa alcuna contro la Santa Fede Cattolica [e] niente contro Principi e Buoni Costumi ».
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concezione megarico-stoica, per cui la Logica è, contemporaneamente, capacità di parlare bene (retorica) e di ben ordinare e strutturare il pen siero (dialettica) e si attribuisce pertanto una valenza naturale, ovvero cronologicamente antecedente, alla prima. 6.2.6. Pietro Bottura, Logica, 1833. Se la Psicologia sperimentale è quella disciplina che « osserva atten tamente... i fatti interni... che nascono nell'anima nostra» (49), pure la Logica è indispensabile per ogni persona, poiché ha funzioni direttive del pensiero e del linguaggio. Seppure l'Autore si sforzi di sottolineare queste differenze, anche nel suo caso si parla tuttavia di una Logica Naturale « che l'uomo non ha appreso, ma ha ricevuto dalla stessa natura » (10), e di una Logica Artificiale che « somministra i precetti per tutte le scienze » (13). La Logica Naturale è anteposta a qualsiasi forma di ricerca e di conoscenza, dunque anche a quella psicologica, ed è intesa in modo al quanto ingenuo e semplicistico, nel senso che è definita come rappresen tante le caratteristiche che il soggetto possiede in ogni caso e di fronte a qualsiasi situazione. Partendo da queste premesse, la maggior parte del testo, che esamina la Psicologia empirica e che analizza dettagliatamente la sensazione, segue alla discussione condotta sulla Logica, esaminata nella sua globalità, in quanto per l'Autore, a causa del significato da lui assegna to alla Logica Naturale, questa disciplina è da considerarsi prima rispetto ad ogni forma di sapere. 6.2.7. Francesco Zantedeschi, Elementi di logica, 1833. La Psicologia empirica è il punto di partenza per analizzare il con cetto di verità, secondo il criterio dell'estensione, perfettibilità e relazione, ed a questa succede la Logica che « è la scienza che dirige le facoltà conoscitive al suo perfezionamento » (1-2). Per arrivare alla verità Logica si deve stabilire una « conformità del nostro pensiero colle qualità degli oggetti ideali alle quali si riferiscono » (9). Ma se quest'ultimo punto è ciò che si ottiene con la Logica Critica, la quale è allora un risultato, ottenuto dallo studio della Psicologia empirica, tuttavia si deve presupporre pur sempre una Logica Naturale, da intendersi quale buon senso, disposizione ad agire rettamente, unico strumento per giungere alla conoscenza del vero. Non possiamo neanche dire che si tratti di una disciplina la quale preceda le altre (in questo caso la Psicologia empirica): si tratta infatti di una disposizione comune a tutti gli esseri che, al limite, condiziona, ma non costituisce, le altre forme di conoscenza.
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6.2.8. Vincenzo Garelli, Logica parlamentare, 1849 23 . La Logica Naturale corrisponde ai ragionamenti ricavati direttamente dalle verità dei sensi e, conscguentemente, precede la Scienza Logica, la quale, altro non è che una correlazione tra ciò che è specifico alla Logica Naturale rispetto alle molteplici maniere con cui il soggetto può riflettere. Si tratta pertanto di un'estensione di tipo esclusivamente quantitativo, l'elemento che caratterizza le forme più evolute della conoscenza. Allo stesso tempo non si attribuisce posizione primaria alla Logica Naturale, per il fatto che secondo l'Autore, si deve considerare inizialmente una "Logica del senso comune", il quale è il vero e proprio punto di partenza di tutte le attività cognitive. Dunque l'attributo "naturale" è differente dal concetto di "senso comune", rivestendo una componente che va al di là, che oltrepassa la nozione di "già dato", di innato, assumendo questa volta sempre più esplicitamente un valore di "depositato culturale", che si in staura su una precedente base, di valore effettivamente generale 24. Proba bilmente "senso comune" è collegato ad istanze biologicamente primarie, è quasi sinonimo di sopravvivenza (animale), mentre "naturale" è aggetti vo attribuito ad un'attività umana. 6.2.9. Vincenzo Garelli, Della logica o teorica delle scienze, 1863. La Logica Naturale può essere "connata", (si noti la sottile distinzione terminologica, rispetto alla nozione di "innata") ossia può trattarsi di un'attitudine a ragionare, e/o "acquisita", ossia un'attitudine fatta propria attraverso l'esercizio. A sua volta l'A. intende con l'espressione Arte Logica ciò che procura sicurezza nel ragionare, « tale quella di mente che si ac quista coltivando studi matematici » (4). Infine la Scienza Logica si ottiene quando, partendo dall'Arte Logica, la mente ne fa proprie le regole « le quali raccoglie ed ordina in modo che le une dalle altre discendano e tutte si possano dire contenute in una sola, la quale non essendo più contenuta in verun'altra, dicesi prima » (5). Tutti questi livelli hanno come obiettivo comune quello di giudicare correttamente l'umano raziocinio, nonché di 23 II testo di V. Garelli è del tutto particolare in quanto indica nella Logica Parlamentare, arte tesa a fare emergere verità ed efficacia nonché ordine e dignità, l'obiettivo del suo lavoro. La Logica, allora, giunta al massimo livello di specializzazio ne, tende per l'Autore ad identificarsi con la retorica. Si comprende pertanto come una tale disciplina si riassuma in una serie di consigli dati ai parlamentari per essere in grado di esprimersi bene e come la stessa, così intesa, sia posta in posizione primaria rispetto a tutte le altre forme di Logica. 24 Su Posizioni analoghe possiamo collocare il lavoro del 1854 di G. Balmes (si veda Gap. I, 5.2.1).
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raccogliere ed ordinare le regole per una corretta esposizione delle scienze. Siccome la Logica è fondamentalmente intesa come un'arte per ragionare e, in quanto tale, si danno puntuali suddivisioni della stessa, la Logica Naturale appare come un qualcosa che vi è, che ha una sua funzione, ma sulla quale non occorre investigare ulteriormente, perché sarebbe del tutto inutile. E allora quasi una conditio sine qua non da accettarsi senza chie dersi altre ragioni, anche perché saranno i livelli più elevati della disciplina a motivare e giustificare la stessa. In ultimo, dunque, la Logica Naturale non è ciò che ci farà avere nuove conoscenze e neppure ci fornirà i mezzi per comprendere le nostre capacità intellettive, ma è tuttavia un "codice" senza del quale non si potrebbe iniziare alcuna attività cognitiva.
6.2.10. Vincenzo di Giovanni, Principii di filosofia prima esposti ai giovani italiani, 1863 25 . Dopo un'interessante rivisitazione antologica degli autori italiani, e specificatamente siciliani, che si occuparono di Logica, l'A. sostiene che questa materia non è stata creata da Aristotele né da Hegel, ma, al con trario, è stata la natura stessa della nostra mente a renderla possibile. Lo studioso potrà, allora, solo esperia od interpretarla, ma non ne sarà mai l'autore e tanto meno il costruttore. Partendo poi dal fatto che la Logica è contemporaneamente reale e naturale e produce insieme l'assimilazione dell'ordine naturale del conoscere e le riflessioni sullo stesso, l'A. sottolinea come esista una Logica Naturale, o del pensiero naturale, che è generata dall'intuizione primitiva. Si tratta allora di principi comuni a tutte le menti di cui i soggetti dispongono in eguai misura, estensibili ad ogni situazione e presentabili alla stregua di codici di portata universale (ad esempio di sopravvivenza, di socializzazione, di coesistenza). Si tratta in ogni caso di qualcosa che lo studioso può solo scoprire e, successivamente, descrivere: si esclude pertanto qualsiasi componente costruttiva o creativa. 6.2.11. Filippo Diviso, La ragione umana, studi secondo la dottrina di San Tommaso d'Aquino, 1874. 25 Si tratta di un testo aspramente criticato da Gentile (II tramonto della cultura siciliana, 1919) per il quale l'A. in questione « ripete, nella forma affatto estrinseca del giobertismo, vecchi motivi; ripete scolasticamente e meccanicamente [temi] in cui ... non mette nulla di suo » (citazione tratta dall'Introduzione di E. Garin alla Storia della filosofia Italiana di G. Gentile, I, V, 693). Lo stesso Gentile, nella stessa opera affer merà, in modo del tutto ironico, che le opere di V. di Giovanni insieme a quelle di S. Corico sono quanto di meglio la cultura siciliana dell'epoca fosse in grado di produrre.
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In questo caso, abbastanza singolare rispetto alla maggior parte degli A. citati, si parla di Logica Naturale, ma guardandosi bene dall'entrare in un'ottica psicologistica (anche se di fatto, tuttavia, quest'ultima è chiara mente rinvenibile almeno quanto quella presente negli altri Autori), cosa che la depriverebbe del suo ruolo principale, ovvero la ricerca della verità. Si tratta invece di un qualcosa sulla cui esistenza non vi sono ragioni per dubitare, che non richiede alcuna investigazione, per il fatto che è specifica e tipica di ogni essere vivente e di tutto l'universo, ovvero è una condizione necessaria (quasi un archetipo) perché vi possa essere qualsiasi forma di vita. Di conseguenza, egli fa notare, è questa una questione spettante di diritto alla metafisica, di cui la Logica (classica mente suddivisa in retorica e dialettica) è una semplice parte.
6.2.12. Venceslao Pieralisi (de' minori riformati), Della filosofia razio nale speculativa. Parte soggettiva ossia la logica, 1876. Il fine della Logica è « ben vedere » in quanto solo grazie a questa facoltà si scopre la verità, mentre il suo oggetto è « la scienza della nostra conoscenza» (31): per questo deve basarsi su una serie di regole, criteri e principii da seguire rigorosamente. A monte di tutto ciò è tuttavia pre sente nel soggetto una Logica Naturale, la quale è una conoscenza im mediata di molte cose ed è lo strumento senza del quale non possiamo pretendere di accostarci ad alcuna forma di sapere. In altri termini la Logica Naturale ci fornisce un bagaglio iniziale di cognizioni, o più pre cisamente di potenzialità cognitive, indispensabili per affrontare qualsiasi tipo di ricerca o conoscenza. Non siamo ancora al livello di competenza perché ciò rimanderebbe alla necessità di alcune strutture primarie già attive di per sé ed indirizzate ad ordinare (strutturare) le successive cono scenze. Se si trattasse di competenze, nel senso ora descritto, ci troverem mo in un contesto costruito, fabbricato. Ma questo è invece proprio quan to l'Autore si sforza di evitare. Anzi egli afferma che quello che non è invece indispensabile è la Logica Artificiale: infatti, se serve per evitare errori, se è addirittura necessaria per una scienza come la matematica, la quale è una disciplina discorsiva, vale a dire è « quella che scopre le cose per via di raziocinio » (21), per altre facoltà cognitive, quali la percezione, che riguarda il nostro essere e le cose materiali che entrano in contatto con questo, la Logica Naturale è del tutto sufficiente 26. 26 L'A. non fa distinzione tra percezione e sensazione ma, al contrario, tra perce zione interna e percezione esterna, che concerne sempre oggetti distinti. Inoltre lo
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6.2.13. Augusto Conti, II Vero nell'Ordine. Ontologia e Logica, libri cinque. Aggiunto un anno di tutta la filosofia, 1878. L'A. non impiega mai l'espressione Logica Naturale, ma la sua è solo una caratteristica terminologica, per il fatto che fa uso degli stessi concetti e degli stessi termini di coloro che invece ne trattavano. Egli preferisce indicarla come un'arte, ovvero una costruzione del soggetto, ma in un senso del tutto prossimo a quello della Logica Naturale Acquisita di cui parlava P. Tarino (op. cit.): si guarda bene, di conseguenza, dal conside rarla come data, come un buon senso tipico di ogni uomo, ma si guarda altrettanto bene dal considerarla come una scienza e dal definirla formale. Questo gli consente di potere affermare, ampliando il punto di vista di F. Soave (op. cit.), che tale arte « è dunque osservazione imitativa di natura ed inventrice a fine di verità, come l'arte bella è osservazione imitativa di natura ed inventrice a fine di bellezza, e l'arte morale di bene» (241). Siamo dunque in un tipo di pan-naturalismo in cui l'uomo, quale essere vivente, e le sue facoltà intellettive, sono elementi reciprocamente inclusi l'uno nell'altro. Tuttavia l'uomo è anche inteso come un soggetto attivo che, grazie ai suoi mezzi culturali, può porsi in una posizione del tutto primaria rispetto ad ogni altra forma di vita. In tal senso è l'azione, ovvero un'Arte Logica Naturale, il campo dal quale occorre partire per studiare come il soggetto giunga al massimo livello delle conoscenze (il Vero). Nel caso del nostro Autore, quando usa il termine azione, occorre intenderlo in senso stretto, ritenendolo sinonimo di "comportamento" e non inter pretarlo nel senso ben più ampio di elemento rappresentante per eccellen za le facoltà non solo fisiche, ma anche intellettive del soggetto. 6.2.14. Vincenzo di Giovanni, Prelezioni di Filosofia, 1877. Non vi sono grandi novità rispetto al testo del 1867, e anzi anche ora vi è il rifiuto di intendere la Logica come qualcosa di artificiale che pre scinda dall'uomo, ovvero di intenderla come disciplina astratta e non in vece del tutto concreta. Non solo, ma l'A. non esita a dichiarare la sua avversione verso qualsiasi forma del sapere che si occupi e della struttu razione e dell'ordinamento delle conoscenze, poiché il fatto causerebbe solo confusione (vi è già il sillogismo che assolve perfettamente a tale compito). Se proprio si vuole parlare di Logica, egli sottolinea come possa stesso Autore, ancora nel 1883 (Sui vizi capitali dell'insegnamento scientifico), sosterrà nuovamente queste tesi, ma in modo alquanto polemico, indirizzandole contro coloro che pur di negare la presenza di questo bagaglio di cognizioni iniziali a tutti comuni (Logica Naturale), sostenevano l'infinita divisibilità di qualsivoglia forma del sapere.
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esservi una predisposizione innata in ogni soggetto (e pertanto una Logica Naturale), che si colloca a monte anche della sensazione e della Psicologia in generale. Si tratta allora di intenderla come una caratteristica specifica dell'Essere in quanto tale: è dunque compito solamente spettante alla fi losofia (ovvero all'ontologia) prenderla in esame.
6.2.15. Giambattista Zitto, L'organo della scienza o la scienza del pensiero umano nello investigare e scoprire il vero, 1877 27 . Globalmente la Logica è l'insieme delle regole che strutturano l'uma na conoscenza. Fondamentalmente le si assegna una duplice valenza, na turale e acquisita, dove la seconda dipende strettamente dalla prima. La Logica Naturale « è la ragione stessa in quanto per l'uso spontaneo e per l'imitazione che si ha nella convivenza sociale è più o meno disposta ed inclinata a rettamente pensare » (2). Partendo da questo punto abbiamo successivamente una Logica acquisita la quale « è la Logica Naturale per fezionata mediante lo studio o azioni e sulle opere di ragione, e per l'eser cizio ancora o scuola pratica delle regole logiche » (3). La Logica Naturale è allora da intendersi come scienza, per il fatto che è in grado di dimostrare quello che l'Arte Logica (logica acquisita) prescrive per ricercare il vero e per scongiurare gli errori del ragionamento. In tal caso ci si richiama a F. Soave (op. cit.) attribuendo al termine "naturale" un valore del tutto particolare, quasi pedagogico, rispetto alla tradizione culturale del periodo. 6.2.16. Alberto Errerà, Elementi di logica ad uso delle scuole, 1890 28. La Logica è l'arte del ben ragionare e va inoltre tenuti distinta dalla Psicologia che è «la scienza del pensiero in formazione» (5). Si deve tuttavia presupporre un'Arte Logica di cui si faceva già uso ancora prima 27 Giambattista Zitto. Oltre l'opera da noi riportata conosciamo solamente Meta fisica generale e Filosofia prima e fondamentale (1885). 28 Alberto Errerà (1841-1894) nacque a Venezia da una famiglia di origini spa gnole e si istruì dapprima al Ginnasio Santa Caterina di Venezia ed in seguito nel l'Università di Padova, ove si laureò sia in Giurisprudenza che in Filosofia. Partecipò attivamente alle lotte per la nascita dello stato italiano (fu imprigionato anche alcune volte). Quando queste si conclusero fu nominato a Venezia professore di Economia Libera, Statistica e Diritto. Dopo avere avuto incarichi all'Università di Milano si tra sferì a Napoli dove risiedette per il resto della sua vita. Tra le sue opere ricordiamo La teoria dello Stato considerata nelle sue relazioni con l'Etica, Saggio sui precursori italia ni: Giordano Bruno precursore delle scienze esatte (1868), Monografia su Giordano Bruno (pubblicato sul Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere), Elementi di Socio logia Etica (1890).
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che questa materia divenisse scienza. La Logica è successivamente divisa in naturale (capacità che ogni uomo ha di ragionare), riflessiva (attraverso lo studio si perfeziona l'attitudine all'apprendimento), formale (che studia le leggi del pensiero che ci permettono di conoscere), reale (la quale sta bilisce che le leggi del pensiero siano conformi a ciò che si studia), gene rale (norme che ci consentano un corretto metodo di studio), particolare (atta a determinare le leggi del pensiero, ma in modo settoriale, vale a dire a seconda delle varie discipline). Anche se la Logica Naturale è la forma più semplice di questa disciplina, tuttavia è intesa come un qualcosa ap partenente all'universo del sapere, la cui esistenza è ritenuta possibile solo dopo che la materia (la Logica) è stata resa una scienza. In questo caso il soggetto scopre che la Logica Naturale ci insegna che ogni uomo ha l'at titudine a ben ragionare, mentre l'Arte Logica, che pure si scopre assol vere alle stesse funzioni della Logica Naturale, è un qualcosa che si poteva ammettere anche precedentemente. Particolare curioso è allora la posizio ne di questa Logica Naturale, la quale ha il compito di farci vedere che l'Arte Logica è addirittura precedente alla stessa. Si tratta, tuttavia, dell'as sunzione di una posizione abbastanza negativa, ed in ogni caso non co struttiva, nei confronti della Logica Naturale, al punto da fare pensare che l'Autore ne tratti solamente perché si sente obbligato, ovvero non sapendo come affrontare i complessi problemi filosofici concernenti le classificazio ni delle conoscenze. Ora anche se i significati tendono a coincidere l'A. si guarda dall'assimilarli, richiamandosi anch'egli alla posizione filosofica di Soave (1815) e di Zitto (1877).
6.2.17. Angelo Ferrata, Osservazioni sulle leggi della conoscenza, 1891. Siccome la mente umana è atta a conoscere il vero ed è strutturata per porsi in armonia con l'universo, l'ordinamento che essa possiede deve rispondere ad un principio logico naturale. In virtù di questa proprietà la mente coglie la naturale verità che è logica, in quanto è in grado di pre sentarci la natura degli oggetti e/o dell'essere come identica a se stessa. Il falso non è invece naturale e deriva dal fatto che non essendo la mente umana onnisciente, può accidentalmente cadere nella falsità, la quale è allora elemento umano per eccellenza. Paradossalmente si può quindi sostenere che è la falsità il principio logico naturale. Ma questo non è certo l'intento dell'Autore, il quale sembra addirittura intendere l'errore come una limitazione all'esplicazione della naturalità umana. Su queste basi egli sostiene che la conoscenza si evolverà tramite la visione e l'ap prensione del vero e si manifesterà necessariamente nell'atto del giudi-
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zio 29. I due atti fondamentali della mente sono l'apprensione ed il giudi zio. La prima è la contemplazione mentale di un'idea o di un oggetto, mentre il secondo, in quanto legato all'affermazione od alla negazione dell'identità di due cose, è il vero atto della mente che produce la cono scenza. Questi due atti sono « i soli atti fisici della mente » (38) e, in quanto tali, sono i punti di partenza per ogni successiva conoscenza. Tuttavia, se nell'apprensione non si ha errore (ed è allora a questo livello che si deve parlare di principio logico naturale), nel giudizio, anche se questo è l'atto più perfetto, si può avere errore per il fatto che l'afferma zione e/o la negazione sono legate alle nozioni di vero e/o falso. Riemer gono in queste affermazioni alcuni aspetti del romanticismo di J. J. Rousseau, per il quale l'animalità umana è positiva (vera) per definizione, sino al momento in cui intervengono le successive fasi evolutive, le quali pos sono condurre alla falsità. In un senso più psicologico si tende a sottoli neare come vi siano competenze cognitive la cui certezza è di per sé evidente e che quindi costituiscono un fondamento sicuro per le succes sive evoluzioni e, in contrapposizione, una miriade di dati aleatori ed imprecisi che producono solamente confusione. 6.2.18. Giuseppe Giovanni Gizzi, La logica negli uomini e negli ani mali, 1892. L'A., anch'esso assai influenzato dalla scuola positivista, identifica il concetto di Logica Naturale con quello di Logica Pratica. Quest'ultima deve studiare il ragionamento umano, ma senza mai assumerlo nelle sue condizioni ottimali, vale a dire ritenendole specifiche ad un livello che appartiene ad un mondo ideale. La Logica deve studiare "le condizioni del cervello" in quanto è quest'ultimo a determinare tutte le nostre pos sibilità di ragionamento. Ecco perché bisogna evitare con ogni cura di affrancare la scienza logica dal linguaggio naturale, altrimenti si dovrà fare ricorso a complicati simbolismi che anziché facilitare lo scopo lo com plicano eccessivamente 30. Il linguaggio sarà solo lo strumento di espres29 Gli stessi concetti si trovano anche nei lavori di Bernardino Varisco, e special mente in La necessità logica, 1895. 30 Questi sono i motivi addotti dall'A. per iniziare una dura polemica in partico lare nei confronti di G. Peano e A. Nagy ed, in generale, contro chiunque pretendesse di fare ricorso a simbolismi astratti e di diffìcile lettura. Egli non ha problemi a soste nere che col loro simbolismo artificiale costoro ottengono il solo risultato di rendere più oscure le relazioni tra i concetti. Per lo stesso motivo sono citati e criticati anche L. Eulero e E. Schròder. Sulle stesse posizioni troviamo anche Martinazzoli e Filippo Cicchitti-Suriani, Principi di filosofia scientifica (voi. I - Psicologia e logica), 1896.
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sione dei contenuti del pensiero, che nelle sue forme più semplici sarà "naturale".
6.2.19. Enrico Sala, La logica antica e moderna esposta con metodo storico-critico ad mo delle scuole, 1892. La Logica ci permette di procedere regolarmente e speditamente nei pensieri e ci preserva dall'errore. Essa studia i fatti psicologici, ovvero le idee, mentre la Psicologia studia la loro natura ed anche la loro origine 31 . Duplice è la valenza della Logica: con Logica Naturale si intende l'attitu dine umana ad esporre le idee dando a queste un certo ordine, assegnando loro un certo obiettivo, mentre con Logica Artificiale si contrassegna il perfezionamento che l'uomo apporta a quella naturale. Ma quest'opera è anche interessante per il fatto che vi è la tendenza, già riscontrata anche in P. Tarino (1874) e A. Conti (1878) a presentare come consequenzial mente collegate la Logica Naturale con l'Arte Logica. Quest'ultima non è allora soltanto un ampiamente della prima, ma una sua diretta conseguen za. Infatti la Logica, per l'A., è da intendersi quale logos che rappresenta la ragione ed il linguaggio, mezzi che ci consentono di passare dall'ignoto al noto. Ora la Logica, intesa come scienza, è del tutto specifica, ha come oggetto il raziocinio ed « insegna le regole generali di qualsiasi ragiona mento » (39). La sua utilità consiste nel permetterci di procedere ordina tamente e facilmente nei nostri ragionamenti e nel preservarci dall'errore: in questo senso la scienza logica ha bisogno di essere formale. La Logica formale, a sua volta, « studia le idee come fatti psicologici dati e conosciuti e di essi vede solo l'uso e le proprietà » (ibidem) ed i fatti psicologici sono le stesse idee. La Logica è pertanto arte e scienza. Come scienza è suddi visa in formale e materiale: in questo secondo caso la si definisce Logica Artificiale. In quanto arte (primitiva organizzazione di idee ed azioni) è naturale. 6.2.20. Giovanni Dandolo, Appunti di filosofia ad uso dei licei. Psico logia e Logica, 1897. È la chiara connotazione positivista dell'Autore ciò che consente che si possa arrivare a parlare di Logica Naturale, la quale deriva direttamente dalla Psicologia, che tratta di fenomeni biologici (naturali), cui è tutto 31 Posizioni del tutto analoghe a quelle di E. Sala si possono trovare anche nel lavoro di Giovanni Marchesini, Elementi di logica secondo le opere di R. Ardigò, J. S. Mili ed A. Bain, 1896.
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CAPITOLO SECONDO
riconducibile. Se però la Psicologia si occupa dell'anima (ossia del cervello e del sistema nervoso), la Logica studia solo le facoltà di conoscere, che sono solo alcune tra le funzioni cui i due organi citati presiedono. Più precisamente l'A. sottolinea come la Psicologia appartenga al ramo delle scienze biologiche e comprenda in sé, come parti, anche la Logica: in questo senso l'aspetto "naturale" di tale disciplina è ciò che si rivela più agevolmente osservabile ed analizzarle e non richiede particolari difficol tà ad essere appreso. Proprio per questo concerne le più elementari facoltà cognitive che sono a disposizione di ogni soggetto 32 .
6.2.21. Carlo Calzi, Lezioni di logica stenografate e pubblicate da Umberto Ortalli, 1898 33 . Secondo l'Autore la Logica possiamo e dobbiamo intenderla come una scienza dedita allo studio dell'arte del "pensare riflesso", il quale è il frutto delle nostre esperienze e conoscenze progressivamente acquisite. Si deve tuttavia presupporre a questa disciplina una Logica Naturale, che precede da ogni punto di vista, quindi anche temporalmente e concettual mente, quella scientifica. Ora per l'Autore in questione la Logica Naturale non è solo una (od un insieme di) disposizione/i che antecedono ogni forma di conoscenza e che sono date una volta per tutte. Al contrario il significato dell'attributo "naturale" deve essere arricchito: una Logica che si fregi di un simile titolo deve inoltre essere intesa anche come un'arte, 32 G. Dandolo è un autore appartenente alla schiera di fisiologi e medici che tendevano ad occuparsi dei problemi concernenti la conoscenza, ponendosi, evidente mente, in posizioni molto simili tra loro, aventi come comune denominatore l'accctta zione delle tesi positiviste. Nel caso specifico dell'A., egli aveva già sostenuto le posi zioni da noi riportate anche in // concetto nella logica positiva (Rivista di filosofia scientifica, marzo, 1887) seppure in modo più sintetico e limitato. Presso lo stesso editore di 1897 (op. cit.), egli aveva già pubblicato nel 1894 un testo del tutto analogo a 1897, nel quale compariva anche un capitolo dedicato alla morale. Inoltre è rilevante come in 1894, siano presenti alcune definizioni che non troviamo più in 1897. Abba stanza rilevante è che egli sostenga che, ad esempio, la percezione differisce dalla sensazione per il fatto che richiama alla mente, per associazione, delle idee già pre esistenti, mentre la rappresentazione è una riproduzione delle sensazioni in mancanza degli stimoli primitivi che l'hanno originata. La conoscenza è, a sua volta, "condizione primitiva e primaria del fenomeno psichico" (159), mentre inconscio e subconscio hanno solo spiegazioni fisiologiche. Il collegamento tra la base logica e quella psicolo gica è costituita dall'astrazione. 33 Carlo Calzi (1842-1902). Di origini cremonesi, si occupò prevalentemente di Pedagogia, assumendo posizioni del tutto contrarie rispetto alla corrente di pensiero positivista ed a favore di quella spiritualista. La sua opera più importante è: L'educa zione inglese di Erberto Spencer e la Pedagogia italiana.
LA LOGICA NATURALE NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA
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ovvero la capacità di ordinare e di organizzare gli accadimenti e le azioni con cui l'individuo si imbatte o che compie. In tal senso, più ampio rispet to a quelli sinora visti, dobbiamo intendere la Logica Naturale come co mune ad ogni soggetto. Ne deriva che la Logica Naturale non è un mezzo come invece per l'A. è quella Artificiale, ma una facoltà di cui ogni uomo dispone. Eppure l'Arte Logica è intesa anch'essa come "naturale": come già Tarino (1874), Conti (1878) e Sala (1892) egli tende a considerarla in questo modo per sottolinearne la "naturalità, ovvero l'universalità delle prime forme della conoscenza. Solo in seguito con l'apprendimento e l'esperienza ogni soggetto dispone di strumenti a lui specifici con i quali potrà costruire una Logica più perfezionata (Logica Artificiale), con cui sarà in grado di affrontare i problemi complessi della cognitività, in quan to sarà in grado di meglio percepire gli errori cui lo condurrebbe un limitarsi a fermarsi alle forme iniziali del sapere 34 . Anche se si nota, in questo caso, un apparente richiamo alle tesi espresse all'inizio del secolo, riteniamo che la somiglianzà sia però solo apparente. Indubbiamente l'A. vuole riprendere i temi di matrice spiritualista, sviluppati precedentemen te, con l'intento di ribadire la necessità della conservazione della cultura classica (legata pur sempre alla tradizione aristotelica). Per un altro verso tanti e tali sono stati i progressi della scienza, ed in particolare della Psi cologia, che l'A. non può certo sorvolarli: di conseguenza ci si trova nella situazione in cui egli propone di accettare per fede un certo insegnamento, sul quale, da un punto di vista scientifico, pone egli stesso profondi dubbi.
54 Malgrado la posizione di Calzi sia, almeno all'epoca nella quale egli lavora, abbastanza superata, ciò non toglie che anche alla fine del secolo diversi Autori sosten gano le sue stesse tesi. Un esempio lo troviamo in Giuseppe Morando, Corso elementare di filosofia, 1898 ed anche, seppure con qualche sfumatura differente, nei primi lavori di Giuseppe Tarozzi, Esercizi ed esempi di logica ad uso dei licei (1899). A testimonianza di come queste idee fossero ancora "attuali" sta il fatto che nel 1900 viene pubblicato uno scritto del 1820, sino a quel momento inedito, che sostiene le stesse argomentazioni (O. Simonetti, Elementi di Logica ad uso del suo Studio. - La Logica è la prima scienza che mostra la fonte degli errori e sviluppa tutti i rapporti tra idee, condizione indispen sabile per ben ragionare).
Ili DIFFERENTI FORME DI LOGICA NELLA LETTERATURA MINORE ITALIANA DEL XIX SECOLO
1. PREMESSA. La cultura logica italiana del XIX secolo, come, d'altro canto anche quella del precedente periodo, risente in maniera rilevante della crisi che tale disciplina aveva attraversato durante i secoli passati. Il suo interesse è stato sempre quello di indagare gli schemi che presiedevano alla corretta argomentazione e che dovevano essere universalmente validi. Si assiste, da un lato, ad un ampiamente dei suoi orizzonti grazie all'introduzione di teorie linguistiche e di regole di metodologia scientifica ma, allo stesso tempo, coloro che si occupano di tali studi (e non sono pochi), tendono verso posizioni che vogliono ridurla a teoria del sillogismo, ad una disqui sizione, il più delle volte inutile, se la si debba intendere in senso aristo telico (strumento della filosofia) o megarico-stoico (parte della filosofia), oppure al tentativo di fonderla (anche se, in verità, si dovrà parlare di confusione più che non di fusione) con la retorica. Anche quest'ultima, a sua volta, aveva subito delle modificazioni, che ebbero come effetto quello di complicare ulteriormente i problemi in questione. Infatti nel periodo in esame tale disciplina non si occupava più dello studio delle operazioni del pensiero in grado di generare, se non tutti i discorsi, almeno quelli pratici, di tutti i giorni. In luogo di essere lo studio dei ragionamenti non dimo strativi, si era ben presto limitata all'arte del parlare correttamente. In campo logico vi erano state copiose produzioni, questo è vero, ma, fondamentalmente, la Logica "classica", intendendo con questa definizio ne quella aristotelica o megarico-stoica, o fu semplicemente rifiutata, o venne presentata come un manuale, un insieme di regole, un "sussidiario", con funzioni semplificatrici ed esemplificatrici dei suoi argomenti, oppure
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furono cambiati del tutto i suoi obiettivi. Se il primo caso è riconducibile all'Umanesimo, per ciò che concerne il secondo la Logique de Port-Royal (1662) è l'espressione più significativa, mentre l'ultimo è riconducibile a Kant ed in un secondo tempo, in misura ancora maggiore, ad Hegel (H. Scholz, 1968, 14-16). . Nostro obiettivo è proporre un confronto tra la Logica tradizionale ed i successivi mutamenti avuti da questa disciplina, per cercare di com prendere il motivo del proliferare di tanti tipi di Logica nel XIX secolo e, in particolare per ciò che concerne la cultura italiana. Allo stesso tempo cercheremo anche di delineare quelle che sono state le differenti strategie cognitive che, di volta in volta, si sono presentate negli Autori da noi trattati per l'attuazione di una ricerca, tesa a fare progredire una forma specifica della conoscenza, a seconda dei differenti modi in cui questa veniva intesa. Anche ora emergerà un richiamo ai temi psicologici sotto stanti a simili operazioni culturali. Se non tratteremo della produzione umanistica, anche perché sarebbe ben poco ciò che potremmo dire, per assolvere al compito che ci siamo proposti, ci soffermeremo maggiormente sulla Logique di Port-Royal, che fu quella che più influenzò questo processo di settorializzazione di tale disciplina. L'ultimo livello, che pure può essere collegato al secondo per ciò che concerne l'opera di smembramento della Logica "classica" (J. M. Bochensky, Formale Logik, 1956), pensiamo che abbia influito sulla pro duzione italiana, ma in modi differenti. Più precisamente dovremmo dire che fu l'influsso kantiano a deter minare le numerose partizioni di questa materia, in quanto quello hegelia no ne ricercava una riunificazione tesa alla costruzione di un sistema del sapere onnicomprensivo. Tuttavia, visto il particolare significato che la Logica assume in Hegel, il risultato fu quello di produrre una scissione definitiva tra chi restava ancorato alla tradizione e chi, invece, si rifaceva agli insegnamenti, per altro mai intieramente compresi, del filosofo tede sco. Effettivamente: a) La logica kantiana, a parte le difficoltà di una sua completa com prensione (si veda cap. II), influì certamente sulle suddivisioni cui questa materia fu soggetta, perché probabilmente riguardò il modo di intendere la/le Logica/e ed il ruolo da assegnare a queste: ciò procurò una loro settorializzazione in riferimento ai differenti ambiti del sapere. Non era certamente questo l'obiettivo kantiano, ma il fatto per il quale dalla sua lettura emergeva che l'individuazione di principi o regole avveniva solo in seguito alla scoperta delle stesse e che si trattava, pertanto, di un processo
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più contenutistico che non formale, fece sì che una sua lettura non con dotta in modo criticamente rigoroso, potesse fare pensare che ogni disci plina avesse una sua Logica. Oggi possiamo dire che queste osservazioni non sono certo false, ma le possiamo fare dopo oltre centocinquanta anni di studi che hanno portato a risultati del tutto imprevedibili (si pensi, ad esempio, alla crisi dei fonda menti). Ma all'epoca certi problemi neppure erano immaginabili e le conclu sioni che gli Autori in questione ricavavano da Kant erano del tutto errate. A riprova di questo fatto diamo un esempio, tratto da G. M. Bertini (1852, III, 28-29). Rifacendosi a Kant, l'A. si chiede: «Dunque [se] la critica della conoscenza deve precedere tutte le altre trattazioni, che cosa significa [tuttavia] fare la critica della conoscenza umana? Certo nient'altro se non esaminare se la conoscenza umana sia verace, e percepisca le cose quali sono in sé, senza svisarle, né alterarle; ond'è che per fare questo esame conviene aver l'idea della conoscenza verace in se stessa, e con questa idea paragonare la conoscenza umana. Ora d'onde ricaveremo noi questa idea? non certamente dall'osservazione. Dunque è un'idea a-priori, la cui medi tazione spetta all'ontologia. Da questa adunque si deve cominciare ». b) A sua volta la Logica di Hegel per un verso approdò abbastanza tardivamente nel nostro paese e, in ogni caso, coloro che la presentarono cercarono di evitare qualsiasi partizione al suo interno, poiché l'obiettivo era invece quello di identificarla con la Metafisica e l'Ontologia. L'influen za hegeliana tuttavia, salvo rare eccezioni, si manifestò forse più nelle de nominazioni che non nei contenuti di questa materia: infatti, a partire dalla seconda metà del secolo, molti saranno gli studiosi che parleranno di Scienza della Logica ma, nella maggior parte dei casi, impiegheranno que sta locuzione per indicare la Logica classica o "formale" ed, in ogni caso, senza rendersi completamente conto del grandioso progetto hegeliano. Nel caso della Logique di Port-Royal, invece, dove la dottrina del metodo assume particolare importanza, la questione dell'adattamento del sapere in relazione ai differenti tipi di conoscenze, ha un'importanza ben maggiore ed è questo un fatto che favorisce una progressiva ripartizione della Logica. L'opera di A. Arnaud e P. Nicole consiste in una riduzione attuata sulla Logica Scolastica, più che non su quella Aristotelica. Infatti anche se i principali argomenti sono quelli di Delle Categorie, Dell'Interpretazione e dei primi libri degli Analitici Primi, ci si rifa principalmente alla sillogi stica categorica di P. Ispano, si mantiene l'uso delle parole mnemoniche (Barbara, Celarent, Darii, Ferion, ...) per classificare le differenti forme del
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sillogismo e, soprattutto, si ricorre ad un metodo metalogico di esposizio ne. Ma anche in questo caso si escludono tuttavia alcune parti importanti prodotte da questa scuola (dottrina delle supposizioni, delle conseguenze, delle antinomie, logica modale). Ciò è dovuto al fatto che, proprio da questo momento, prenderà origine una « nuova e seconda forma della Logica che possiamo definire, nei confronti della Logica formale nel senso stretto aristotelico, come "Logica formale allargata" » (H. Scholz, op. cit., I, 6, 35), nella quale un notevole spazio è occupato dalla « teoria della conoscenza » (ibidem). Col passare del tempo questo "allargamento" si fa sempre più rile vante al punto che la Logica formale, strido sensu, costituisce una parte sempre meno presa in considerazione, quando non addirittura esclusa, di questa nuova disciplina. Infatti la Logica di Port-Royal, considerata in rapporto ai temi trattati, è composta da due parti, la prima delle quali riprende le regole delle vecchie Scuole del passato, mentre l'altra concerne nuove osservazioni, riguardanti l'attività del giudizio. Lo stesso titolo com pleto dell'opera (La Logique, ou l'Art de Penser, contenant, outre les règles communes, plusieurs observations nouvelles propres a former le jugement), ci informa sul ruolo e gli obiettivi di questa materia. Non solo ma gli stessi Autori ci dicono anche che proprio « queste nuove osservazioni... sono quanto vi è di più specifico nella loro opera e ciò che ne costituisce il suo carattere peculiare » (op. cit., Introduz., XIV). Ed è proprio quest'ultima parte che « ai loro occhi è la più importante » (ibidem). Infatti, anche se «la Logica ordinaria non è senza utilità, tuttavia la maggior parte dei precetti che propone sulle proposizioni e sugli argomenti, è più specula tiva che pratica » (ibidem). Pertanto essi sono convinti che riproducendo e riportando tutte le regole della Logica classica, essi l'« abbiano [fatto] più per conformità con la tradizione che non per l'effettiva utilità od impiego che si posson ricavare da queste » (XIV-XV). Se la Logique de Port-Royal conserva pur sempre un suo valore l , tutti i lavori successivi si risolvono in una sua pedissequa e riduttiva ripresenta1 Sia H. Scholz che J. M. Bochensky ritengono che la Logica Hamburgensis di J. Jungius (1587-1657) sia da considerarsi più valida di quella di Port-Royal. Essa è infatti « migliore e più ricca di contenuto » (J. M. Bochensky, op. cit., I, IV, B, 337) ed è « la Logica più profonda ed importante del XVII secolo [al punto che] Leibniz la stimò talmente da arrivare a collocare il suo Autore allo stesso livello di G. Galilei e J. Keplero » (H. Scholz, op. cit., II, 3, 69). Molto probabilmente la sua scarsa fortuna fu dovuta al fatto che trattava argomenti che « il pubblico dei filosofi, già dalla metà XVIII, non richiedeva più» (H. Scholz, op. cit., I, 3, 71).
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zione, che si può intendere come una produzione « povera di contenuto, priva di ogni problematica profonda, permeata da tutta una serie di idee filosofiche non logiche, psicologistica nel senso peggiore del termine » (J. M. Bochensky, 1956, I, IV, C, 337). Un tale giudizio che chiaramente esclude G. G. Leibniz, ma anche J. H. Lambert, è estesa alla quasi totalità delle produzioni logiche, almeno sino a G. Boole: « Formati da questa Logica e dai suoi pregiudizi, filosofi moderni quali B. Spinoza, gli empiristi britannici, Wolff, Kant, Hegel, etc., non presentano alcun interesse per lo studio della Logica formale... [Costoro] erano semplicemente degli igno ranti per quel che riguarda la Logica e conoscevano per la maggior parte soltanto quello che avevano trovato nella Logique de Port-Royal » (op. cit, I, IV, D, 338). Probabilmente il giudizio di J. M. Bochensky è così categorico in quanto egli si propone di analizzare solamente la Logica formale e, certa mente, se esaminiamo questa disciplina attraverso le produzioni del perio do da noi considerato e le confrontiamo a quelle del IV secolo a.C. e dei secoli XIII e XX d.C., non si può non essere d'accordo con lui. Ma anche generalizzando il discorso osserviamo un proliferare di nuove Logiche o, più precisamente, di significati attribuiti al termine Logica, che, nella maggior parte dei casi, si rivelano assai confusivi. La cultura italiana nel XIX secolo non si discosta da questo processo da noi descritto ed anzi, a complicare ulteriormente questo problema, inter vengono anche fattori di carattere storico, economico e politico (si veda cap. I). Il solo elemento specifico consiste nel fatto che in luogo di porre a confronto la Logica formale (o classica) con gli ampiamenti attribuiti a questa disciplina, ora un costante ed unico elemento, riscontrabile in tutto l'arco di tempo da noi considerato, è la contrapposizione tra una Logica naturale ed altre forme di Logica (si veda cap. II). Per quello che concerne la prima occorre ribadire che non si tratta soltanto, come apparentemente potrebbe sembrare, del confronto tra un'entità invariabile, comune ad ogni soggetto, ed una disciplina fondata, o costruita successivamente sulla stessa. La distinzione va posta invece all'interno della Logica intesa come discipli na ed assumerà varie forme nel corso del tempo (si veda cap. II).
2. OSSERVAZIONI. In questo capitolo ci interessa esaminare le varie ripartizioni cui questa disciplina fu soggetta in particolare nel XIX secolo, poiché questo
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ci consente di vedere i vari livelli e le differenti modalità che segnano il suo rapporto con le componenti psicologiche, in ogni caso sempre presen ti. Si tratta comunque di una schematizzazione assai più complessa di quella che noi presentiamo, per il fatto che ci troviamo di fronte a casi in cui: a) a volte definizioni diverse tendono a collimare tra loro, riducendo si a pure differenze nominali; b) a volte, una stessa definizione ha, per un autore, un significato a volte addirittura opposto rispetto a quello attribuitele da un altro; e) un caso a parte è inoltre costituito dalle opere di stampo manua listico le quali, in vista del loro fine didattico, tendono a dare una visione, la più completa possibile, delle varie definizioni impiegate per classificare la Logica e le varie applicazioni cui questa può essere soggetta. In questo caso troviamo delle ripartizioni per lo meno originali nonché uniche ed, inoltre, specificazioni tra termini che hanno significati analoghi, ma a volte non sempre ben chiariti. Un esempio curioso, ma certamente significativo, è il lavoro di L. Brangero (Lezioni di Logica, 1888) 2 , che compone un trattato di Logica destinato ai Reali Carabinieri (ma non per gli ufficiali, bensì per quelli meno istruiti) con lo specifico intento di fare loro evitare le punizioni (a causa di comportamenti istintivi, di risposte date ai superiori facendo uso di un linguaggio confuso e passibile pertanto di varie interpretazioni) e di renderli più colti. Dunque la Logica viene qui presentata sotto diverse forme, ma con l'intento primo di essere una guida al comportamento. In tale senso egli riterrà che se ad una tale disciplina « si conviene il titolo di arte per quanto concerne la parola, pure le si addice quello di scienza, dovendola considerare quale regolatrice del pensiero, dell'umana ragione, dell'intelletto » (73). Si tratta, in questo caso, di un completo snaturamento della Logica, la quale è addirittura intesa alla stregua di un insieme di precetti comportamentali. Questo fatto però rappresenta un livello magari estremo, ma di certo non unico, della volgarizzazione di questa disciplina. Siccome si tratta di un fatto che, seppure in forme differenti, è co stante per tutto il XIX secolo si ha che una ripartizione strettamente cronologica delle varie forme di Logica sarebbe assai problematica, poiché non esistono precisi punti di demarcazione tra i vari periodi cui corrispon2 Non conosciamo altre opere di questo Autore. Anche la Bibliografia Filoso/tea Italiana 1850-1900 presenta solo questo lavoro.
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de una differente denominazione della disciplina in questione (forse solo la Scienza Logica compare in un momento sufficientemente circonscrivibile temporalmente). Faremo riferimento, in primo luogo, ad una classificazione impronta ta su uno schema concettuale e, solo all'interno di ogni sua parte, cerche remo, per quanto è possibile, di mantenere una successione cronologica sufficientemente precisa, anche se mai rigida, né definitiva. a) Si contrappone una Logica Naturale ad una Artificiale (o acquisi ta): quest'ultima è poi successivamente ripartita in ulteriori logiche o, per lo meno, suddivisa in branche particolari, tutte dotate di fini operativi. b) La Logica, quando è intesa come acquisita, è di solito suddivisa ulteriormente in due parti tra di loro del tutto complementari: Generale/ Speciale (o Particolare); Pura/Mista; Teorica/Pratica (o Applicata). e) All'incirca verso la metà del secolo XIX si tende, anche se ciò non è completamente generalizzabile, a denominare Scienza Logica quella che in precedenza era definita con l'attributo "formale" o, a volte, anche se in minor misura, "generale", "pura", "teorica": si è rimandati, in ogni caso, ad un universo esclusivamente speculativo e razionale. d) Soprattutto nella seconda metà del secolo compare una Logica Critica, che si occupa della classificazione degli argomenti e della determi nazione della validità degli stessi. Siccome non tutti gli argomenti sono deduttivi od esplicativi, in questa Logica rientrano l'esame di problemi concernenti l'induzione, la probabilità ed, in senso più globale, la meto dologia scientifica. Più chiaramente, la Logica Formale si orienta verso « l'elaborazione scientifica delle connessioni oggettive tra certe ipotesi, non determinate dall'effettiva situazione reale, ma liberamente poste e le loro conclusioni relative, [mentre quella critica, verso] la riflessione su queste attività umane e sul suo significato » (F. Barone, 1965, II, V, II, 188). In altri termini si ripropone la distinzione Scolastica tra Logica Utens e Logica Docens (ibidem). e) Infine, in particolar modo verso la fine del secolo, compariranno ulteriori definizioni delle varie parti in cui è divisa la Logica. Questo è il motivo per il quale, vuoi per la vastità di classificazioni impiegate, vuoi a causa del fatto che compaiono termini abbastanza inusuali, ci siamo visti costretti a presentare i lavori degli autori in questione, inserendoli in un loro spazio autonomo, non definibile in modo preciso. Quest'ultimo pun to è indicativo del travaglio che ha accompagnato questa disciplina per tutto il secolo e che ora è arrivata ad un punto da cui non si può più
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tornare indietro, ovvero in un punto che esige un suo completo rinnova mento. Le innumerevoli ripartizioni, nuove a volte come terminologia, ma antiche e superate in quanto a contenuti, rappresentano gli epigoni di un ciclo che sta definitivamente terminando.
3. DIFFERENTI TIPI DI LOGICA. a) Almeno nei primi anni del secolo passato, la Logica Artificiale è quella che si contrappone più frequentemente alla Logica Naturale. La troviamo in Sauri (1777 - Gap. II, 6.2.1) intesa quale perfezionamento generale della Logica Naturale della quale è un approfondimento ed una specificazione. Analoga contrapposizione la ritroviamo anche in Soave (1815), dove però la si presenta volta verso due obiettivi: a) analitico (conoscere la verità); b) dialettico (dimostrare la verità). Altri autori, inve ce, come P. Mako (1819 - Gap. I, 2.2), ne danno una connotazione morale, ritenendola una necessaria propedeutica per saper comunicare ad altri la propria rettitudine di pensiero. Se questa era la distinzione fondamentale con cui gli Autori suddivi devano la Logica, ciò non significa che tale disciplina fosse ripartita solo in queste due grandi categorie, poiché la maggior parte degli studiosi indicava parecchi altri tipi di logiche possibili. E così, ad esempio, l'abate Sauri (1777) riferendosi alla capacità ar gomentativa, sottolinea che "vi sarebbe" anche una Logica Sofistica, con cernente le abilità con cui si deve tenere un discorso. Si tratterebbe però di una Logica che è falsa, rispetto alle prime due (naturale ed artificiale) e che non riveste un particolare interesse. Probabilmente l'A. si riferisce alla retorica, che non ritiene una disciplina autonoma e, rifiutando di cogliere le sue specificità, .si vede pertanto costretto ad inserirla, suo malgrado, nell'universo della Logica. Una ulteriore ripartizione la troviamo in P. Mako (op. cit.) per il quale vi è anche una Logica Teorica che concerne lo studio di nozioni od idee, vocaboli, definizioni, giudizio, sillogismo, raziocinio, entimema, epicherma, dilemma, sorite ed induzione ed una Logica Pratica, la quale studia la verità logica che è « conformar i nostri pensieri non solo alle leggi della logica, ma anche alle cose esterne » (87). In altri termini egli sta proponendo, con la diade teorico/pratico, le ripartizioni successive tra Logica Generale ed Arte Logica, ribaltando in tal modo le posizioni del Sauri. Tuttavia resta ancorato alla concezione che la Logica è deputata ad
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occuparsi non solo del pensiero e del linguaggio, ma anche delle azioni del soggetto in quanto è una scienza che mira a ritrovare la Verità in qualsiasi forma questa possa presentarsi. A. Braghetti (1820 - Gap. I, 2.2) da una definizione più ampia del termine "Logica" proponendone una ripartizione abbastanza dettagliata. La Logica Artificiale è « quella che si acquista coll'ajuto dei precetti e degli insegnamenti altrui » (1). Proprio perché appresa è inoltre superiore a quella Naturale per il fatto che coincide con l'arte di ben ragionare, la quale ci permette di estendere a tutte le possibili situazione le regole per ben ragionare; di esibire l'evidenza delle regole che propone; di esporre i suoi precetti con ordine e precisione. Anche in questo caso la Logica Artificiale, a sua volta, è ripartita in diversi sottosettori: a) Arte di pensare, che corrisponde alla classica ripartizione della Logique di Port-Royaì, in quanto comprende l'Apprensione, il Giudizio, il Ragionamento ed il Metodo; b) Arte di conoscere, la quale è specifica di tutte le facoltà mnemo niche ed è tesa a mostrare le diverse strategie che deve seguire ogni sog getto, che voglia assimilare differenti nozioni. Si tratta in questo caso di una serie di precetti, corredati con esempi, tesi a mostrare i vari modi di apprendimento, specifici ad ogni materia, dal soggetto. e) Arte di comunicare, ovvero l'attitudine ad occuparsi dettagliata mente di problemi concernenti l'istruzione, la scienza, nonché di quelli che trattano « della qualità del discorso » (89). Anche in questo caso sono evidenti i collegamenti con la retorica, nel senso ristretto e limitato che questa disciplina stava assumendo. In altri casi, nei quali si predilige un fine pedagogico, si osserva il tentativo di mostrare la Logica quasi come un sommario di principi e di regole pratiche da seguire. Evidentemente possiederanno la stessa valenza tutte le ulteriori specificazioni e ripartizioni, cui questa disciplina sarà sottoposta. A tal proposito, un esempio lo troviamo in P. Bottura (1833 - Gap. I, 2.2) per il quale la Logica Artificiale « somministra i precetti per tutte le arti e per tutte le scienze » (p. 13). A differenza di Draghetti (1820) egli ritiene tuttavia che tali suddivisioni non siano da intendersi quali Arti, ma siano ancora delle logiche, nel senso puro del termine, anche se saranno dotate di fini chiaramente operativi. Pertanto egli par lerà di: a) Logica Aristotelica e Scolastica: impiego dell'arte dialettica, tesa a fare sì che il soggetto possa pensare in modo del tutto chiaro e preciso;
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b) Logica Analitica e Dialettica: ricerca della verità e della falsità riscontrabile nelle singole proposizioni nonché nei discorsi, esaminati nella loro completezza; e) Logica Objettiva e Trascendentale: la prima riguarda le idee ed i pensieri, mentre la seconda investiga la natura dell'intelletto. Ovvero la prima è connotata ontologicamente, mentre la seconda presenta una va lenza gnoseologica; d) Logica Pura ed Applicata: riguarda l'induttività ed è collegata alla ricerca sperimentale. Essa ha proprie regole e concerne, specificatamente, il metodo che ogni scienziato deve seguire durante le sue ricerche. La presenza di una Logica Artificiale, col passare del tempo, tende ad essere presenta in misura minore perché completamente assorbita da altre definizioni, oppure perché ritenuta sorpassata, non più attuale. La sua caratteristica è, fondamentalmente, pragmatica e, proprio per il fatto che si collega a discipline differenti tra loro, corre il rischio di parcellizzarsi in un numero illimitato di sottosettori, fatto dovuto al sempre più frequente comparire di nuove materie, le quali pretendevano di fornirsi di uno sta tuto autonomo, staccato dalla filosofia. In sua vece si tenderà allora a considerare quelle che sono le leggi del pensiero che presiedono alla cognitività, ma esaminate in modo globale, non eccessivamente specificato. E così G. Balmes (1854 - Gap. I, 5.2.1) parlerà di Logica Artificiale, pre cisando che la si può definire anche Formale, intendendola come una riflessione che l'intelletto compie mentre dirige se stesso intanto che dirige le altre facoltà cognitive. A sua volta V. Garelli (1863 - Gap. I, 2.4) la identificherà con l'Arte Logica e la intenderà come prontezza e facilità nel ragionare "tale è quella della mente che si acquista coltivando gli studi matematici" (5). Non si deve però pensare assolutamente ad un tentativo di proporre un'interazione tra la Logica e la Matematica perché l'Autore, come del resto tutti gli altri, si sforza di escludere categoricamente questa possibilità. La Logica, in effetti, appartiene, in tutto e per tutto, alla Filo sofia e nulla ha a che vedere con qualsiasi altra disciplina. Infine, dopo il 1863, abbiamo trovato solo due casi in cui si parla di Logica Artificiale connotandola con una definizione che rimanda al tenta tivo di recuperare, per motivi "conservatori", gli insegnamenti del passato. Si tratta infatti di studiosi che non esitano a sottolineare la necessità di recuperare la tradizione aristotelico-scolastica, ritenuta portatrice di prin cipi universali e necessari, di fronte agli sviluppi, a loro avviso negativi, della scienza del periodo. A tal proposito segnaliamo il lavoro di E. Sala che, anche nell'ultimo decennio del secolo (1892), parlerà di Logica Ar-
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tificiale facendo uso degli stessi termini e degli stessi concetti impiegati dal Sauri (lili] cento anni prima. Si tratterà sempre di una Logica Naturale, ma perfezionata dall'uomo che, per l'Autore, comincia con Zenone e ter mina con Aristotele. Eppure, malgrado tutto ciò, nella quasi totalità dei casi, non si farà a meno di sottolineare la relatività della Logica Classica, ovvero affermando la sua utilità, ma non più stabilendo la sua necessità. V. Pieralisi (1878 Gap. I, 5.2.4), la riterrà assai importante ed a volte addirittura indispen sabile in alcuni campi, ma sottolineerà come se ne può anche fare a meno in altri contesti. Si tratterà infatti, a suo avviso, di una serie di regole, criteri e principii che le facoltà cognitive debbono osservare: se ciò non è necessario e neppure utile per tutte le materie, è tuttavia fondante per evitare errori. Solo nella matematica è addirittura indispensabile, poiché quest'ultima è scienza discorsiva, ovvero « quella che scopre le cose per via del raziocinio» (34) 3 . b) Se Soave (1815), Braghetti (1820), Bottura (1833) nei primi anni del secolo contrapponevano la Logica Artificiale a quella Naturale, se si esclude il lavoro di Pieralisi (op. cit.) il quale faceva la stessa cosa ancora nel 1876 (ma è il solo da noi ritrovato), tutti gli altri Autori, a partire dagli anni attorno al 1830, troveranno altre definizioni da assegnare alla Logica e non si limiteranno più ad una presentazione dicotomica della materia, attraverso l'introduzione di ulteriori specificazioni. Assistiamo allora ad una complessificazione del rapporto: la Logica Artificiale costituirà una parte della disciplina ed è al suo interno che si introdurrà un rapporto dicotomico che riguarderà la distinzione tra pratico/teorico. In senso globale si osserverà il tentativo di assumere come polo con cui confrontare la Logica Naturale, una Logica Generale che si tenderà ad assumere come una scienza che, proprio per la sua vastità, nella maggior parte dei casi, tenderà ad inglobare quasi sempre la Logica Artificiale. In quanto tale la Logica Generale sarà soggetta ad ulteriori ripartizioni che, in massima parte, anche se non in modo totale, faranno riferimento alle consuete diadi teorico/pratico, puro/misto, elementare/speciale. Molto spesso inoltre il secondo elemento di una tale suddivisione acquisterà un'importanza crescente al punto che per alcuni Autori si trat3 Venceslao Pieralisi ribadirà anche negli anni successivi queste sue posizioni in Sui vizi capitali dell'insegnamento scientifico (1883): a suo avviso una troppo ortodossa acccttazione dei principi logici servirà unicamente a rinforzare i vizi che una tale cultura porta con sé. Tali vizi, per l'A., sono il realismo platonico, la dottrina degli universali, il semi-materialismo, il materialismo semi-ateo.
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terà della sola e vera Logica. Nella maggior parte dei casi tale materia sarà detta Arte Logica ed occuperà lo spazio più rilevante delle trattazioni degli Autori, al punto da escludere qualsiasi altra forma di Logica (ad esempio F. M. Falco (1865 - Gap. I, 5.2.2)). La conferma a questa osservazione la troviamo già nel 1832 quando G. Romagnosi afferma in Vedute fondamentali sull'arte logica (1832a) che si dovrà distinguere tra Logica Generale, per la quale « educare la mente e potentemente e dirittamente pensare, forma lo scopo proprio della Logica generale » (1) e Arte Logica per cui « se l'arte logica cui ho desti nato questo lavoro non influisse sul perfezionamento intellettuale, morale e politico, almeno di coloro che debbono guidare i loro simili, sarebbe tempo perduto il lambiccarsi il cervello nelle astruse e tenebrose elucubra zioni della metafisica» (1). Sulle stesse posizioni, malgrado i cambiamenti di denominazione, si porrà anche B. Poli (1837 - Gap. 1,2.3.1) il quale stabilirà che si deve parlare di Logica Pura quando si parte dal fatto che il pensiero è « l'atto con cui la mente riduce all'unità le varie percezioni ed idee raccolte in sé per opera del senso, dell'intelletto o della ragione » (6) e si tende alla ricerca della verità, che è l'accordo delle percezioni e delle idee con le leggi essenziali del pensiero (non-contraddizione). Al contrario la Logica Applicata consi dera le circostanze particolari ed empiriche in cui opera il pensiero e da cui la Logica Pura faceva astrazione: tale Logica non è, per l'A., collocabile in secondo piano perché, al contrario, è altrettanto indispensabile per il corretto uso del pensiero. Anzi l'Autore, una volta stabilita per ragioni ideologiche, la primarietà della Logica Pura, non esiterà a dire che da un punto di vista operativo è preferibile quella applicata e nel suo lavoro de dicherà un'attenzione maggiore a quest'ultima, in quanto è in grado di fornirci gli strumenti più idonei per affrontare qualsiasi conoscenza. Queste affermazioni precedono di pochi anni il lavoro di P. Galluppi (Lezioni di logica e metafisica, 1841) che porrà una distinzione tra Logica Pura, o scienza del raziocinio puro, e Logica Mista, ovvero studio di problemi psicologici e dell'ideologia. La sua posizione filosofica, inizial mente assai collegata al sensismo di Condillac, alquanto critica verso la metodologia aprioristica, strettamente legata a quella psicologista, lo porta a privilegiare quest'ultima. Più precisamente la Logica Mista è la teoria del metodo della conoscenza fattuale, considerata nella sua razionalità, da porsi sempre a monte dello studio della genesi delle Idee. Pertanto verte sull'apprensione delle verità primitive di fatto, su soggettività, analogia, certezza, errore, ipotesi, probabilità, memoria e linguaggio.
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Fondamentalmente varia in modo globale la concezione che si ha della Logica. Non è più la scienza del Vero, ma tenderà a presentarsi come ciò che aiuta il soggetto ad arrivare al Vero, vale a dire come ciò che permette a questi di costruire un sapere coerente. L'opera di Galluppi costituisce per la filosofia italiana un punto di riferimento, cui attingono diversi filosofi del periodo, sia giudicandola positivamente che negativa mente. Tale influenza dell'Autore ha particolare rilevanza per coloro che si occupano di Logica, dove numerosi studiosi si rifanno alla sua riparti zione e ripercorrono fedelmente i suoi insegnamenti. Chiaramente collocato su posizioni simili a quelle di Galluppi (1841) è di certo A. Biondi (1845 - Gap. I, 2.4) il quale suddividerà la materia in modo del tutto analogo. La Logica Pura stabilisce come l'idea particolare preceda sempre quella universale: solo attraverso l'astrazione, che confe risce le caratteristiche di indefinitezza ed immutabilità, ed attraverso il giudizio, si può arrivare all'Idea Universale. La Logica Mista tratta invece delle conoscenze reali, ovvero quelle connesse con l'esistenza di ciò che si vuole conoscere. Il raziocinio misto è allora quello nel quale uno dei giudizi è sintetico a-posteriori e la deduzione riguarda una cosa di fatto. Altrettanto si può dire di A. Pestalozza (1857 - Gap. I, 5.2.1) che parlerà di Logica Generale la quale, in quanto anteriore a tutte le varie forme della conoscenza, è la più semplice forma di ragionamento e pos siede dei principi, vale a dire delle idee, che sono « oggetti dell'intuizio ne » (197). A questa si devono altresì aggiungere vari tipi di Logiche Speciali, le quali sono applicazioni della Logica Generale alle singole materie. In questo caso l'A. riprenderà le osservazioni che M. Semmola (1833 - Gap. I, 2.2) aveva fatto a proposito della Logica Sintetica, il cui scopo « è di insegnare agli altri le verità scoperte » (6) nelle varie disci pline. Un'analoga posizione la troviamo infine in G. B. Campiagna, (1844 Gap. I, 2.4). Questa volta la ripartizione è tra una Logica Elementare, che « esamina le leggi del pensare nelle singole rappresentazioni universali, nei singoli pensieri » (7) e studia il concetto, il giudizio ed il raziocinio ed una Logica Sistematica, la quale « indaga le leggi cui deve seguire l'intelletto, allorché vuole ordinare sistematicamente in un tutto i singoli pensieri ri guardanti un determinato effetto » (9) e riguarda allora la dottrina del metodo. Di fatto, tuttavia, il privilegiare questa seconda componente (metodologica-psicologista) e ritenerla come la parte più importante e valida di questa disciplina, fa sì che nuovamente ci ritroviamo nella stessa impostazione del problema che richiama i lavori di Galluppi (1841).
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Questa contrapposizione è indubbiamente un elemento assai presen te nella cultura logica della prima metà del secolo. Anche in questo caso ovviamente si trovano delle eccezioni e, soprattutto, si tenderà a proporre nuove posizioni, rispetto a quelle trattate nelle precedenti produzioni, anche se con risultati assai modesti. Gli Autori non sono infatti in grado di liberarsi di alcuni concetti oramai depositati nel contesto culturale in questione ed accettati acriticamente. 1) Infatti, malgrado le innovazioni apportate alla definizione di tale disciplina, questo non significa affatto che non si parlerà più di Logica Naturale: anzi quest'ultima assumerà pur sempre il ruolo di elemento da contrapporre a tutte le altre forme di Logica. Una tale impostazione si protrarrà per parecchi anni e, malgrado si sia in una differente epoca storica, V. di Giovanni (1863 - Gap. I, 3, b) affermerà ancora che esiste solamente la Logica Teorica, come disciplina che non tutti sono in grado di possedere, deputata ad occuparsi dei principii, delle conseguenze, dei giudizi, delle dimostrazioni, delle argomentazioni, del metodo, della cer tezza e dei criteri, da poter contrapporre a quella Naturale, che è invece comune a tutti i soggetti. E allo stesso modo Giuseppe Allievo (Saggi fi losofici, 1866) 4 affermerà che questo compito spetta ad una Logica Critica, che ha il compito di studiare i rapporti tra soggetto ed oggetto, pensiero e realtà e tra mente e corpo, andando al di là delle limitazioni che un approccio "naturale" (qui sinonimo di semplice, ovvio) avrebbe compor tato nell'affrontare simili problemi. 2) Vi saranno inoltre studiosi che metteranno in risalto l'aspetto più specificatamente speculativo di tale disciplina (Logica Generale), oppure tenderanno, all'opposto, ad eliminarlo, ribadendo solo la natura operativa della Logica (Arte Logica). A nostro avviso questa si rivelerà però una posizione più che altro ideologica perché di fatto sia chi privilegi il primo •* Giuseppe Allievo (1830-1913), dopo avere studiato a Vercelli si iscrive alla facoltà di Filosofia di Torino dove si laurea nel 1853. Insegna Pedagogia nei Licei di Novara, Domodossola (dove conosce personalmente A. Rosmini), Ivrea e Ceva. Nel 1858 diviene aggregato alla facoltà di Filosofia di Torino e col 1860, dopo l'unione della Lombardia al Piemonte, si trasferisce a Milano. Qui nel 1860-1861 ottiene l'incarico di Logica all'Accademia scientifico-letteraria e nel 1862 quello di Metafisica. Si occupa successivamente di Pedagogia e scrive alcune relazioni per il ministro D. Berti: dopo il 1870 diviene titolare della cattedra di Pedagogia all'Università di Torino. Mantiene questo incarico sino al 1912. L'opera da noi consultata è una riduzione dal suo volume L'hegelismo, la scienza e la vita, pubblicato a Milano due anni dopo (1868). Egli scrisse un gran numero di altri lavori, che possiamo suddividere in tre grandi settori: antropologico-psicologico, pedagogico, storico (della pedagogia).
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aspetto, sia chi reputi più importante (per non dire unico) il secondo, quando si impegnerà a suddividere gli stessi, rimanderà a quella parte che pure ci si era sforzati di eliminare. Ad esempio M. Semmola (1833) preferisce parlare solamente di Logi ca Generale e ripudia la possibilità di avere un'Arte Logica. La Logica Generale, infatti, proprio per la sua natura, è deputata a trattare solamente di principi generali, anche quando si occupa delle singole materie: « La Verità Logica è la conformità dei nostri giudizi con le cose che ne sono gli oggetti » (91). Al suo interno è tuttavia possibile procedere ad una suddi visione rispetto agli obiettivi che questa si pone e che sono la scoperta della Verità ed il suo insegnamento o, più specificatamente, i modi con cui que sto deve essere presentato per poter venire appreso. Nel primo caso avre mo una Logica Analitica, che ha una notevole componente gnoseologica ed il cui scopo è la ricerca del vero: inizia con una descrizione delle facoltà dei sensi per poi indagare quelle "riflettenti" (astrazione, composizione, para gone, giudizio, raziocinio, analogia, coscienza). Nel secondo caso, invece, si avrà una Logica Sintetica, dotata di un fine pedagogico e che pertanto parte da alcune considerazioni sull'importanza del linguaggio quale strumento di comunicazione ed è quindi improntata ad un carattere più retorico, che non logico stricto sensu. Questa parte del lavoro infatti si conclude con una trattazione sulle definizioni, che sono reali e nominali, e si giunge all'analisi delle proposizioni esaminate in tutta la loro complessità e varietà 5 . Al contrario F. M. Falco (1866) ricondurrà tutta la Logica ad un'arte ma quando proporrà una sua suddivisione avremo una (Arte Logica) Generale che concerne lo studio delle scienze nella loro globalità ed una (Arte Logica) Speciale, che è invece tipica delle varie discipline, le quali sono presentate disposte secondo una scala gerarchica. Nei due Autori da noi citati osserviamo dunque che il tentativo di eliminare uno dei componenti della diade (teorico/pratico; generale/arte logica, etc.) si risolve in uno sdoppiamento della parte da loro prescelta. Se prima una tale dicotomia era prodotta da una ripartizione che si pone va a monte di ogni Logica, in questo modo la si colloca all'interno della componente che avrebbe dovuto invece essere unica. Ritornando alla classica ripartizione dicotomica interna alla Logica Generale, troviamo un esempio espresso in modo assai chiaro in un lavoro 5 Mariano Semmola, sostenendo che la Logica Generale è analitica (ricerca del vero) e sintetica (insegnamento agli altri delle verità scoperte) stabilisce che, in quest'ul timo senso, ogni disciplina dovrà avere una propria "logichetta".
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cronologicamente posteriore a quelli citati. Ci riferiamo a G. Caroli (1876 - Gap. I, 5.2.4) che pure richiamandosi ancora al Galluppi, presenta i risultati in modo filosoficamente più puntuale rispetto agli altri Autori da noi esaminati. A suo avviso si avrà una Logica Pura che è poi quella classica, o la sillogistica, e una Logica Applicata, in base alla quale ogni materia ha una sua logica, che è riconducibile a principii psicologici. In questo secondo caso siamo vicini al Pestalozza (1860), ma le problemati che legate alla Logica Applicata sono trattate in modo indubbiamente più approfondito, presentando delle osservazioni del tutto interessanti, non fosse che dal punto di vista storico. Ovvero, in quest'ultimo caso, si tende a mostrare l'universalità della Logica classica per il sapere in generale, ma la sua relatività ed incompletezza se applicata ai numerosi settori del co noscere: più generalmente osserviamo il tentativo di ripartire in modo chiaro e preciso la metafisica da ogni altra forma di sapere (si veda in particolare 6. di questo capitolo).
4. LA SCIENZA DELLA LOGICA: SUO SIGNIFICATO (ORIGINE E MUTAZIONI).
Abbiamo sostenuto che, quando si parlava di Logica Artificiale, que sta definizione era impiegata per contrapporla e/o perfezionare l'idea di Logica Naturale. Anche quando il concetto di Logica Artificiale fu progres sivamente sostituito da quello di Logica Generale, si presentava quest'ulti mo attraverso le diadi puro/misto, teorico/applicato, etc., e si manteneva il solito rapporto dicotomico, rispetto ad una forma di Logica Naturale. Nella seconda metà del secolo fa il suo ingresso nel panorama culturale italiano la Scienza della Logica (la Wissenschaft der Logik di Hegel viene tradotta per la prima volta in questo periodo) e, salvo le inevitabili eccezio ni, assistiamo ad alcuni fatti che procedono in modo strettamente correlato tra di loro e che possiamo cercare di ridurre nei tre seguenti punti: a) La Scienza della logica tende a sostituire sempre di più la Logica Artificiale, o Pura, o Generale, o meglio, tende ad inglobarle tutte al suo interno. b) Compare una più numerosa ripartizione delle altre forme di logi ca, le quali sono ritenute strettamente collegate in diversi modo alle sin gole discipline, alla pratica, ed hanno come caratteristica prima quella di essere loro stesse riferite ad obiettivi operativi. e) Si assiste ad una radicalizzazione delle rispettive posizioni che ver ranno sottolineate in modo assai marcato. Successivamente ogni Autore, a
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seconda della propria formazione, attribuirà maggiore importanza ora al l'una ora all'altra. Come sempre, tuttavia, neppure ora dobbiamo però pensare ad un mutamento definitivo. Vi saranno infatti anche in questa nuova situazione dei casi in cui si utilizzeranno definizioni tipiche dei precedenti periodi (dunque vi sarà ancora chi parlerà Logica Generale, di Arte Logica, o di Logica Artificiale, e soprattutto di Logica Naturale) e questa tendenza si protrarrà per tutto il secolo. Ad esempio, ancora nel 1898 G. Morando (Corso elementare di filo sofia - Elementi di Logica, 1898) 6 riproporrà questa suddivisione, anche se fatta in modo alquanto più particolareggiato ed originale. Vi sarà una Logica Generale, suddivisa in tre parti: a) Logica del Ragionare, ovvero insieme di regole che permettono di derivare correttamente le cognizioni le une dalle altre e comprenderle nella loro completezza, riprendendo la classica teoria sillogistica (sorite); b) Logica dell'Assenso, ovvero la dirczione della ragione per determi nare se le nuove cognizioni, ottenute con a), siano state derivate in modo più o meno corretto dalle cognizioni precedenti. Si tratta allora, in questo caso, di una verifica concettuale di quanto ricavato da a). e) Logica del Criterio, ovvero le norme in base alle quali la ragione arriva a stabilire se queste nuove cognizioni siano vere (o false) in virtù di vari gradi di certezza, da stabilire in riferimento agli insegnamenti che saranno addotti. Ad una Logica Generale così ripartita dovrà aggiungersi una Logica Speciale, che riguarda le varie scienze considerate nella loro specificità e si espande con queste (vi sarà allora la Logica Speciale della matematica, della fisica, della chimica, etc.). Non si tratta però dello studio delle carat teristiche concettuali pregnanti di tali discipline, quanto piuttosto delle regole che si dovranno seguire per la corretta attuazione degli insegna menti apportati da queste materie (L'Autore, in ogni caso, non fornisce la benché minima esemplificazione). Ma, se si escludono questi casi sufficientemente numerosi, la tenden za generale è tuttavia quella di includere nella Scienza Logica tutti i pro blemi di natura speculativa e teorica, mentre si rimanda ad altre forme di Logica del tutto differenti, la loro possibile influenza nella realtà scienti6 Giuseppe Morando (1866-?). Fu un letterato e filosofo di Genova che si occupò principalmente di critica letteraria. Insegnò nel Liceo P. Verri di Lodi. Tra le sue opere: Ottimismo e pessimismo, II principio fondamentale della filosofia rosminiana davanti alla ragione, ed alla tradizione, Le stresiane di R. Bonghi.
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fica. Per questo possiamo formulare l'ipotesi per cui a partire dalla metà del secolo XIX, si assiste al tentativo di riassumere sotto un'unica defini zione (Scienza della Logica) tutte le attività razionali e speculative del soggetto e di proporre, successivamente, un ventaglio di strumenti (o tec niche), tali da favorirne l'impiego nelle più disparate branche in cui il sapere è suddiviso. Non si tratta di stabilire quale dei due aspetti sia il più importante: la cosa dipenderà dall'intento che gli Autori si propongono e dalla loro collocazione filosofica. Allo stesso modo non si tratta neppure di ricercare la genesi di tale scienza: anche se per la maggior parte di questi studiosi la si deve considerare come acquisita, non mancheranno quelli che la riterranno come specifica del soggetto in quanto tale, ovvero "naturale". Al contrario l'argomento sul quale riteniamo opportuno discutere sarà quello che ci consentirà di scindere in modo chiaro e preciso le due componenti in cui la Logica è suddivisa (ovvero, scienza e strumento). In altre parole, perché questa disciplina fosse presentata come scienza, occor reva trovare una sua unitarietà: vale a dire che si dovevano restringere necessariamente i suoi obiettivi e delimitarne chiaramente i fini. II fatto che questo compito non sia svolto una volta per tutte ma, al contrario, sia affrontato con estrema cautela, è testimone della confusività e delle inevitabili difficoltà che, per le più disparate ragioni, impregnavano un simile studio. Un esempio del tutto significativo di questa situazione ci fornito da V. Garelli. Come abbiamo precedentemente visto in (1863), egli parla di un'Arte Logica, ma non esita ad affermare che a questa si deve aggiungere una Scienza Logica, la quale si forma quando la mente riflette sull'Arte Logica, che ne registra le regole, « le quali raccoglie ed ordina in modo che le une dalle altre discendano, e tutte si possano dire contenute in una sola, la quale, non essendo più contenuta in verun'altra, dicesi prima » (5). Se la Scienza Logica assolve al compito di raccogliere e strutturare le idee, due sono i tipi di Logica, che debbono essere impiegati specificatamente per rendere operative ed anche produttive queste azioni: a) la Logica Generale, che ha per oggetto regole globali relative alla nozione di dimostrazione, ovvero un insieme di norme da ritenersi valide per la scienza in tutti i possibili modi con i quali si presenta; b) le Logiche Speciali, che hanno per effetto conoscenze razionali, proprie alle varie discipline. Malgrado ciò, in ogni caso apparirà marcata la distinzione tra la scienza logica e tutto il resto, ovvero tutto quello che da essa dipende.
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Non sappiamo sino a che punto possa avere avuto influenza in questo processo la diffusione della Wissenschaft der Logik di Hegel, (che fu tra dotto per la prima volta in italiano da Augusto Vera [1813-1885], attorno al 1860. Questo non significa però che alcuni studiosi non conoscessero già la produzione del filosofo tedesco) che pure comincia ad essere ripetutamente citato secondo un ventaglio di posizioni, che variano da una completa ed acritica acccttazione ad un altrettanto acritico rifiuto. Allo stesso modo non sappiamo sino a che punto possa avere avuto importanza la proposta positivista di attuare una vera e propria scissione tra attività speculative e ricerca empirica: in Italia non mancano certo i sostenitori di questa posizione (Ardigò, Cantoni, Bonatelli, Cattaneo) 7 che trova le pro prie origini già nelle opere del Romagnosi 8 ed alcuni suggerimenti addi rittura in Genovesi (si veda cap. I). Un fatto però è sicuro: la presenza di una scienza della Logica sepa rata, in modo assai più radicale di quanto non si fosse fatto per la Logica Artificiale e la Logica Generale, da tutte le altre forme di Logica. Questo fatto costituisce una vera e propria caratteristica della storia della Logica italiana per quasi tutta la seconda metà del secolo XIX. Presentiamo pertanto gli autori da noi ritrovati, che trattano di questi temi, stabilendo di dare in primo luogo la definizione di Scienza Logica e poi quelle delle altre ripartizioni assegnate a questa materia. M. Libera tore (Elementi di filosofia, 1850 - Cap. I, 5.2.1) stabilirà che la Scienza Logica è la disciplina che ci fornisce le regole richieste per ben pensare e, di conseguenza, per ben discutere, mentre l'Arte Logica deve intendersi come "arte dirigitrice della mente nell'investigazione del vero" (28) e, proprio per questo, è da premettere allo studio di tutte le altre scienze, quale "scorta che le guidi nel cammino che tengono" (24). G. Balmes (op. cit.) stabilirà che la Scienza Logica è la disciplina che da una ragione a tutte le regole del pensiero, siano queste reali o possibili, mentre l'Arte Logica sarà deputata a fornire le direttive per le singole scienze, cercando di mantenere l'accordo con i supremi principi razionali. Una posizione apparentemente simile la troviamo anche in C. Mamini (La logica elementare di Candido Mamini, ad uso dei suoi allievi, 1861 - Cap. I, 5.1) malgrado il rapporto tra Arte Logica e Scienza Logica sia 7 Per C. Cantoni si veda Studi sull'intelligenza umana, 1869; per C. Cattaneo si vedano le Opere edite ed inedite, 1881-1892; per R. Ardigò si veda // Vero, 1891. 8 II testo di Romagnosi (Vedute fondamentali sull'Arte Logica, 1832) può essere indicato come il lavoro che anticipa, almeno nelle grandi linee, la corrente positivista italiana che troverà la sua massima espansione a partire dal 1870.
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presentato in maniera capovolta. Quest'ultima, infatti, altro non è che una riflessione sull'Arte Logica, la quale concerne la facilità, la chiarezza e la precisione con cui si può esporre il proprio ragionamento e le proprie conoscenze e si rende facile la loro comprensione. Questa ripartizione, che sembra quella che abbia avuto più successo nella cultura italiana si manterrà sin verso la fine del secolo. Infatti anche F. Bonatelli (1892 - Gap. I, 5.1) già attivo all'inizio della seconda metà del secolo 9, stabilirà che oltre ad una Scienza Logica occorre considerare anche un'Arte Logica. La prima si deve intendere quale scienza che si occupa dei supremi principi del conoscere e che pertanto è scienza prima, oltre la quale vi è nulla. In tal senso ha un valore assoluto poiché è un complesso siste matico di verità, ovvero è una scienza del tutto autonoma che non ha biso gno di alcun riferimento alla realtà empirica. La seconda, al contrario, è da ritenersi come avente un valore relativo poiché serve a dirigere il pensiero e indica a quest'ultimo le norme cui deve conformarsi per raggiungere il proprio scopo (ossia la conoscenza delle differenti materie di studio). Allo stesso modo A. Cappellazzi (1897 - Gap. I, 5.3), affermerà che vi è una Scienza Logica, che studia le regole che attivano la ragione, ed un'Arte Logica, la quale, essendo la Logica, per definizione, una disciplina universale, è deputata a reggere tutte le modalità con cui si esprime il ragionamento. Anche in questo caso specifico la Scienza Logica è posta alle spalle dell'Arte Logica che, con differenti esplicitazioni, le fornisce il suo oggetto di studio. Ricompare in queste posizioni il tentativo di ripren dere la concezione megarico-stoica della Logica, per la quale quest'ultima è formata dalla capacità di ben pensare (dialettica) e, contemporaneamen te, da quella del saper ben parlare (retorica). In tutti gli altri casi gli Autori da noi esaminati presentano una suddi visione della Logica "pratica" molto più dettagliata e particolareggiata, ma sempre in contrapposizione alla Scienza Logica. Allora V. Garelli (Logica parlamentare, 1849) stabilirà che vi è una Scienza Logica, la quale è da intendersi come Logica Naturale, messa però in rapporto e, di conseguen za, del tutto specificata e differenziata rispetto alle molteplici maniere di riflessione. A questa si aggiunge una Logica del Senso Comune, che è tipi ca di ogni essere vivente, ma della quale l'A. non dice in che cosa realmente consista, pure osservando che non si deve confondere con la Logica Natu rale (che invece riguarda i principii primi di ogni conoscenza). Ad essa fa seguito la Logica Applicata, che è da utilizzarsi quando il ragionamento è 9 Ci riferiamo, in particolare, a Delle attinenze della Logica con la Psicologia, 1861.
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diretto ad un argomento specifico e determinato. Infine vi è la Logica Parlamentare, consistente in una serie di consigli dei quali i parlamentari debbono tener conto per ben esprimersi. Si sfocia pertanto nella retorica, intesa però nel senso riduttivo di capacità di farsi ben comprendere od anche di saper persuadere coloro che ascoltano. A. Chiarolanza (1869 - Gap. I, 5.2.3) è un testimone ancora più evi dente di queste posizioni. Egli giunge al punto di scindere la Logica in due settori l'uno opposto all'altro: da un lato infatti si hanno una serie di prin cipi universali e necessari che presiedono ad ogni fatto e poi, per un altro verso, vi sono delle specificazioni pratiche che rendono possibile la loro messa in atto. La Scienza Logica pertanto è da intendersi unicamente come « la scienza dell'arte del pensiero riflesso » (15) che ha le proprie radici nella metafisica in quanto « i canoni logici sono un'applicazione dei prin cipi ontologici » (ibidem). Si deve invece parlare di Arte Logica quando « le operazioni [del pensiero] vengono ordinate al vero » (ibidem) e ser vono « a differenza di ogni aggressione sofistica » (16) per la comunicazio ne « facendo le cerne del vero e del falso e ponendo in chiaro le lacune ed i vizi dell'errore » (ibidem). Quest'ultima è poi da suddividersi in: a) Logica Inventiva, che comprende problemi di psicologia, linguisti ca, sperimentazione 10. Si tratta di una collezione di norme che delimitano e definiscono le caratteristiche del corretto pensiero e che riguardano anche il comportamento, il quale deve essere conforme a retti principi. Si parte dal presupposto che lo spirito dell'uomo si adegui a riconoscere intuitivamente il Vero, benché a volte sia costretto a sospendere il giudizio (quando vi è il dubbio, la probabilità, l'opinione) oppure sia inevitabil mente spinto a cadere nell'errore. In questo caso tale Logica sembra as solvere quasi ad una funzione messianica, poiché consiste nell'indicare all'uomo la strada della verità, da lui inizialmente posseduta e poi smarrita, ma della quale permane nello stesso una traccia (intuizione). b) Logica Dimostrativa, la quale si occupa invece dello studio della sillogistica che è per l'Autore la più chiara espressione Logica e che, a causa della sua vastità d'applicazioni, deve essere però così ripartito: bl) sillogismo dialettico (Aristotele); b2) sillogismo sofistico, a sua volta da intendersi secondo tre forme di possibili conoscenze: 10 Nello stesso periodo Luigi Barbera tratterà approfonditamente di questo settore della Logica, al punto da arrivare ad identificare tutta la disciplina in quella che invece per Chiarolanza è solo una parte (Cfr. Luigi Barbera, Lezioni di Logica Inventiva, 1866).
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b2.1) conoscenza confusa del soggetto (assurdo implicito, infinito non compreso); b2.2) conoscenza confusa del predicato (causa falsa, fatto falso); b2.3) conoscenza confusa del nesso soggetto/predicato; b3) sofismi; b4) metodo, il quale può essere analitico, psicologico, sperimentale e sintetico, ontologico, didattico; e) Logica Critica, identificata con l'arte critica (o ermeneutica) e quella eristica. Consta di una serie di "regolette" per leggere ed interpre tare quanto scritto dagli antichi (ermeneutica) e per condurre una discus sione che presenti temi che siano tra loro contrastanti ma pur sempre correlabili (eristica). Su questo percorso si muove anche Pietro Tarino, (1874 - Cap. I, 5.1.4, Cap. II, 6.1.5). Dopo avere stabilito che la Logica è, contemporane amente, scienza pura, scienza delle leggi e scienza per arrivare, a possedere il Vero, egli inizia una capillare suddivisione di questa disciplina in parec chi sottosettori. Tuttavia in luogo di dicotomizzare il rapporto tra due forme di Logica (razionale ed applicata) tenderà invece a proporre una corrispondenza tra una Logica Scientifica e una Logica Artificiale, specificando che con tale termine si deve intendere una disciplina riconducibile a tutte le proposi zioni che possono venire espresse formalmente. Ovvero la distinzione è qui posta tra due universi: uno formale, costruito dal soggetto, ed uno cogni tivo, specifico ad ogni soggetto. In questo secondo senso egli riproporrà una suddivisione già tipica dei lavori degli anni precedenti a cui non esiterà aggiungere ulteriori precisazioni. Vi sarà, infatti, una Logica Generale, da intendersi quale principio regolatore del pensiero umano: sarà unica e sempre identica. A questa si dovrà aggiungere una Logica Particolare, ovvero un insieme di regole per le varie discipline che, di conseguenza, dovrà essere varia e molteplice, poiché ogni scienza ha una sua Logica. Ma l'A. vi aggiunge anche una Logica Materiale, che deve essere una ricerca e della verità e degli stati mentali ad essa corrispondenti. Vi appartiene la certezza fisica, fondata su fatti dell'esperienza e sulla costanza ed univer salità delle leggi della natura. Questa Logica potrà presentarsi in modo immediato (percettiva) e mediato (induttiva): di fatto, anche se in modo assai ingenuo e non ben approfondito, egli cerca di dirci che le facoltà psichiche possiedono una loro Logica specifica e differente da tutte le altre (si rimanda, ma non sappiamo sino a che punto questo sia dovuto alle letture fatte dell'Autore, alle tesi tipiche della psicologia dell'Atto).
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Infine, rispetto a Tarino (1874), E. Sala (1892) traccerà una più ac curata distinzione tra Scienza Logica e Logica Formale. La Scienza Logica è a sé stante ed ha come oggetto il raziocinio: non solo la stessa ci « in segna le regole generali di qualsiasi ragionamento » (39), ma ci permette anche di procedere ordinatamente e speditamente nei ragionamenti, che vengono così preservati dall'errore. Alla Logica Formale attribuisce invece una funzione specificatamente cognitiva, la quale deve possedere la carat teristica di essere collegata alla realtà, nell'intento, già fatto proprio da Caroli (op. cit.), di porre una netta distinzione tra la metafisica e le altre forme del conoscere. Per questo tratta delle idee, del giudizio, del razio cinio, ovvero i tradizionali schemi e canoni della Logica classica. La Lo gica Formale, secondo questo Autore, studia le idee come fatti psicologici dati e conosciuti e di essi indica solo l'uso che il soggetto può fare e tutte le proprietà che questi posseggono. Tuttavia questo Autore ribadisce che si dovrà parlare anche di una Logica Materiale, che tratta dell'apodittica o della dimostrazione, della dialettica o della disputa e della sofistica. Questa è la parte della Logica, che permette il costituirsi dei giudizi che sono materia del raziocinio.
5. ULTERIORI DEFINIZIONI E RIPARTIZIONI DELLA LOGICA. La presentazione dei differenti tipi di Logica ritrovati nella letteratura italiana del secolo passato ha cercato di seguire alcuni punti da noi fissati sulla base della frequenza con cui comparivano certe definizioni e ripar tizioni della materia. Vi sono tuttavia alcuni Autori che, pure accogliendo ne alcune, ne aggiungono delle altre, presentando in tal modo un quadro abbastanza originale ed oltremodo diversificato. Ci pare necessario fare alcune precisazioni: 1) In primo luogo molti Autori, se da un lato mantengono la suddi visione tra teorico/applicato, fanno ricorso a definizioni e ripartizioni della Logica varie e specifiche e, spesse volte del tutto particolari. 2) Si tratta di lavori che in massima parte appartengono al periodo che va dal 1877 alla fine del secolo e questo fatto può essere indicativo delle profonde trasformazioni che le sempre più copiose e nuove scoperte scientifiche di quel periodo avevano attuato sul sapere filosofico. 3) Sono assai frequenti, soprattutto nel caso di alcuni Autori, le pro duzioni di manuali scolastici destinati a studenti liceali ed anche di scuole di grado inferiore: devon pertanto comprendere una sintesi delle passate
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posizioni concettuali, esponendole in modo volutamente semplificato. È allora ovvio che la stessa strutturazione di questi testi differisca notevol mente da quella tipica dei correnti trattati di Logica e tenda, o almeno si sforzi, di creare nuove suddivisioni di questa materia, con un fine esplici tamente esemplificativo, didattico. 4) Anche altri libri cronologicamente anteriori da noi citati erano dei manuali ad uso delle Scuole, ma tuttavia mantenevano pur sempre lo schema dicotomico fra speculativo-razionale e pratico-tecnico. Nei libri di testo di fine secolo, invece, si fanno semplici descrizioni dei vari tipi di Logiche, oppure si forniscono nuove denominazioni ricorrendo a termini che gli Autori ritenevano più indicati per favorire la comprensione degli allievi. È tuttavia interessante osservare come le definizioni che gli Autori danno, sono in sintonia col clima culturale del loro tempo, mentre non sono una fedele ripresentazione di quelle che erano le reali posizioni spe cifiche del periodo di cui stavano trattando. Tra coloro che introducono nuove definizioni, segnaliamo F. Corico (Gap. I, 4, 1, e A. Valdarnini, Principio, Intendimento e Storia della clas sificazione delle umane conoscenze secondo Francesco Bacane, 1880) per il quale, a tale proposito non vi sono dubbi: non si deve fare alcuna suddi visione della Logica, nel senso che la stessa dovrebbe essere definita Sofologia, ovvero scienza del sapere e, in quanto tale, dovrebbe riguardare tutte le scienze. L. Schiavi (1898 - Gap. I, 5.3) per meglio chiarire i due diversi campi (teorico e pratico) di cui la Logica dovrebbe occuparsi, propone la se guente ripartizione. Dapprima vi è una Logica Analitica, che studia il pensiero nei suoi principi intrinseci e costitutivi e riguarda la conoscenza sensitiva, la percezione mentale, « atti coi quali ci siamo rappresentati le cose senza affermare o negare di esse alcunché » (26), il giudizio ed il raziocinio. A questa si deve aggiungere una Logica Critica, che studia i criteri e le regole che permettono l'edificazione delle scienze e studia le caratteristiche dell'universalità, le vie per giungere al Vero (Logica come Alitiologia), la gerarchizzazione delle differenti scienze. A. Ferrari (1895 - Gap. I, 6.4.1) riterrà più opportuno porre una distinzione fra la Logica Formale e la Logica Reale, che riguardano due modi di considerare la natura del pensiero e del concetto. La prima è da considerarsi del tutto astratta (« la logica formale è la legislazione del pensiero, considerato come forma astratta del reale » - 82), mentre la seconda « si tiene ferma al principio che le leggi delle cose e per tal modo la sua legislazione è data non solo come canone subiettivo, o concernente
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la forma del soggetto pensante, ma anche come canone riflettente la realtà, tutta la realtà » (105). Successivamente l'Autore segue un'altra via, ovvero quella tendente a riunificare le due Logiche, presentandone una dotata di due aspetti tra loro complementari e passibili pertanto di un'eventuale correlazione. In questo caso l'attributo "reale" viene mutato in "materia le", o, più spesso tale Logica è presentata con la locuzione "del contenu to". In questo caso « pel lato formale la Logica può dirsi scienza subbiettiva o del pensiero, e pel lato materiale o del contenuto può a buon diritto appellarsi ontologica» (219). G. Mattiusi (1895 - Gap. I, 5.3) parlerà invece di una Logica Direttiva (oggi si potrebbe dire normativa), riferita agli atti ed alla ragione, il cui fine è il raggiungimento del Vero, di Logica Teorica, la quale « ragionando assegna il retto ordine dei nostri atti intellettivi » (13) e di Logica Pratica che « è esercitata applicandola alle scienze particolari » (ibidem). Per quello che concerne la produzione specificatamente manualistica segnaliamo il lavoro di G. Zitto (1877 - Gap. II, 6.2.15) il quale, partendo dal fatto che, da un punto di vista a suo dire oggettivo, mentre risulta invece fortemente impregnato di psicologismo, la Logica è il complesso di norme e leggi che guidano il pensiero umano nella ricerca del Vero e che tutti i tipi di Logica sono naturali od acquisiti, proporrà la seguente sud divisione: a) Logica Dialettica, ovvero scienza del pensare e del disputare rettamente e scienza della rettitudine del pensiero umano (tentativo di inglo bare la retorica nella dialettica); b) Logica Materiale, che studia la natura degli elementi che vengono prodotti e compongono l'argomentazione. Si tratta, in altri termini, di sottolineare l'incompatibilità (compatibilita) che si pone tra certi oggetti, fatto che li rende non correlabili (correlabili) tra di loro; e) Logica Formale, che studia la struttura dell'argomentazione, ovve ro come deve essere condotto un ragionamento perché sia ritenuto valido; d) Logica Critica, ovvero scienza del giudizio intorno alla verità di ogni conoscenza umana. È la parte della disciplina che illustra quali sono le condizioni che occorre soddisfare per ottenere risultati validi.
Infine A. Errerà (Elementi di Logica ad uso delle Scuole, 1890) u 11 Si tratta del libro di testo del Regio Istituto Tecnico di Napoli, dedicato al professor G. Maglione. I libri di F. Fiorentino (Lezioni di Filosofia ad uso dei Licei, 1880) e di A. Valdarnini (Elementi scientifici di Psicologia e Logica, 1888) sono indicati come i più adatti, secondo l'Autore, per fare comprendere chiaramente cosa sia la Logica.
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fornirà la più numerosa ripartizione della Logica da noi trovata. Nel suo lavoro, che parte dall'assunto per il quale la Logica è arte di ben ragionare che va tenuta distinta dalla Psicologia, la quale invece è « scienza del pensiero in formazione » (5), troveremo gran parte di tutte le classificazio ni precedentemente viste nonché altre del tutto nuove. Dovremo allora stabilire che la Logica è divisibile in: a) Arte Logica, che precede la Logica perché se ne faceva uso ancora prima che la Logica divenisse scienza. Si tende a confonderla con la Lo gica Naturale, ma l'Autore tenta di evitare questa possibile confusione sostenendo che l'Arte Logica, lungi dal concernere i principi comuni ad ogni individuo, riguarda invece azioni pratiche assai generali e frequenti alla maggior parte dei soggetti. b) Logica Riflessiva, che è deputata a perfezionare l'attitudine a ra gionare e consta, in questo caso, in una serie di precetti (di natura morale) che ogni soggetto deve seguire per essere in grado di giungere al vero. e) Logica Formale, la quale si occupa delle leggi che il pensiero deve seguire per poter conoscere. La sillogistica è ancora una volta l'esempio per eccellenza. d) Logica Reale, la quale tratta delle leggi del pensiero che sono conformi a quello che studia. In altri termini, a seconda della disciplina in esame, fatti salvi i principi logici formali comuni ad ogni scienza, vi saran no particolari e specifiche norme, a seconda degli argomenti che questa tratterà. e) Logica Generale, che è deputata a stabilire le leggi che ci con sentono un corretto metodo di studio e ci preservano dagli errori meto dologici. f) Logica Particolare, che è la ricerca dei vari metodi che determina no le leggi del pensiero ma in modo settoriale, secondo le varie discipline. Dunque se Logica Formale e Logica Reale si pongono in un rapporto complementare per quello che concerne la Logica intesa nella sua totalità, la Logica Generale e la Logica Particolare sono tra loro rapportate unica mente per ciò che concerne solo una parte della Logica (il Metodo). g) Logica Dialettica. Riguarda la solita classificazione e ripartizione della sillogistica senza presentare nulla di nuovo, salvo un'impostazione del lavoro che inizia trattando dei possibili errori che si possono compiere durante un ragionamento, se non lo si conduce seguendo particolari tec niche. Le frequenti citazioni di Rosmini testimoniano come la ricerca del nostro Autore tenda a porsi su di un piano più propriamente gnoseologico che non psicologico od ontologico.
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6. UN ESEMPIO DI LOGICA APPLICATA.
Quando Giuseppe Caroli, nella prima edizione di 1876 (op. cit.), dopo un'assai lunga serie di disquisizioni sulla Logica Pura (che, in ultimo, sono sempre i soliti tradizionali argomenti), parla di logiche applicate alle singole materie (XLV-LXII), introduce per la prima volta due capitoli intitolati la Logica della Matematica (LX-LXII) 12. È la prima volta, almeno per quello che concerne gli scritti da noi esaminati, che troviamo svolto questo tema. In precedenza, infatti, anche se altri Autori come V. Garelli (1863) od ancor prima O. Colecchi (1843 - Gap. I, 2.3.2) ritenevano che la modalità di pensiero impiegata per gli studi matematici avrebbe dovuto essere utilizzata per qualsiasi forma di conoscenza, tutti gli Autori da noi consultati, pure accennando nella massima parte alla matematica, e dimo strando altresì, nella maggior parte dei casi, di possederne una discreta conoscenza, si sforzavano di sottolineare che tale disciplina nulla aveva a che fare con la Logica. Questi stessi Autori, in più ampi trattati di filosofia, corroboravano la loro posizione affermando che la matematica, secondo le classiche ripartizioni della conoscenza, spettava di diritto alla metafisica. Ora anche se Caroli non sembra avere dubbi sul fatto che la Logica sia riconducibile alla sillogistica, unico strumento in grado di fornirci la certezza, quando parla delle applicazioni che questa disciplina può avere rispetto alle singole materie, tratta della fisica molecolare, della botanica, della chimica, della medicina, della morale ed in ultimo, appunto, addirit tura anche della matematica e svolge osservazioni abbastanza interessanti e curiose, anche se molto ingenue. Si tratta di un Autore dalle spiccate tendenze psicologistiche e, in quanto tale, è spinto dal tentativo di ricavare dall'analisi delle attività del soggetto, la genesi delle differenti modalità di conoscenza e dei mezzi per sviluppare ed accrescere queste ultime. Indubbiamente l'obiettivo psicolo gista che egli si propone, se per un verso ci aiuta a capire perché segua questa via (la Logica è deputata in ultimo a mostrarci quali siano i modi più indicati per ben ragionare di fronte alle rispettive forme della cono scenza), da un altro punto di vista non sminuisce il fatto che per la prima volta si affronti il rapporto tra la Logica e la Matematica senza limitarsi a sostenere acriticamente, come la maggior parte dei suoi contemporanei, 12 Giuseppe Caroli scrive questo testo di 319 pagine nel 1876. Il lavoro sarà successivamente ristampato dallo stesso editore, con risistemazione del materiale, nel 1881. Un'ulteriore edizione si avrà nel 1891, sempre a Napoli ma questa volta con i tipi della libreria Luigi Pierro.
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che la sillogistica, senza essere compensata da altri strumenti, ci fornisce tutti i mezzi atti ad assolvere a tale compito. Per l'A. la Matematica è scienza deduttiva (formalmente) anche se « ella pur si trae dall'induzione di principii di pratica applicazione » (309): questi principii sono, in ogni caso, « i più facili ed evidenti » (ibidem). Come tutte le discipline anch'essa deve basarsi su alcune "certezze", le quali debbono fungere da "prime nozioni". La prima è quella di egua glianza, la quale costituisce il predicato più generale nelle proposizioni che compongono tale disciplina. La seconda nozione è quella di numero, il cui concetto, che nasce da situazioni reali, può essere anche astratto e consi derato « nelle volte » (ibidem) che si ripete, oppure nelle parti in cui può essere suddiviso. Tutte le definizioni matematiche (siano queste di concet ti e/o di predicati) traggono i loro presupposti unicamente dall'esperienza: L'Aritmetica avrà come principio l'unità, mentre la Geometria si fonderà sui « visibilia » (311). Accettando la concezione sensista e psicologista della matematica di J. S. Mili (che è più volte citato), nonché rifacendosi ad una proposizione di un "certo" Abate Pomari (senza per altro precisare in modo completo le indicazioni bibliografiche - si da solo il titolo del suo lavoro, ovvero la Vita di Gesù Cristo) 13 , per il quale « il numero è una divisione pensata del pensiero stesso, che è unità indivisibile » (310), egli stabilisce che il nume ro « è l'unica cosa » (ibidem), applicabile « alle cose » (ibidem). Poste le nozioni di eguaglianza, numero, unità e visibilia, dopo aver sottolineato che Aritmetica e Geometria sono primarie e fondanti rispetto ad ogni sapere matematico, egli afferma che « tutta la Scienza Matematica non fa che dedurre per via di raziocinii diretti od indiretti» (311). Inoltre tutte le dimostrazioni che si sogliono fornire nella matematica non hanno valore in virtù delle definizioni, bensì in forza di « supposti o postulati » (312). Vale a dire che un ragionamento matematico è da rite nersi vero nelle premesse e nelle conclusioni, ma « non perché le premesse sieno definizioni, ma per la supposta esistenza di un fatto: fatto verbale o psicologico » (313). Ovvero: se non è una definizione ad essere una pre messa vera, occorre che lo sia il postulato della possibile esistenza del concetto (aritmetica) o della figura (geometria). Alle dimostrazioni mate13 Vito Pomari (Abate) (1821-1900). Fu prefetto della Biblioteca Nazionale di Napoli a partire dal 1860, dopo avere compiuto tutti i suoi studi nella stessa città. Ebbe tendenze mistico-platoniche, tese alla riconciliazione di Teologia, Filosofia, Religione e Civiltà, facendo spesso riferimento al Gioberti. Ha pubblicato anche Dell'Arte del Dire, oltre ad alcuni articoli sulla rivista gesuita Civiltà Cattolica.
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matiche presiedono gli assiomi, o « degnila », (ibidem) che devono riguar dare le nozioni di eguaglianza e diseguaglianza. Gli assiomi, a loro volta, devono essere intesi come una generalizza zione operata dalla mente sulle osservazioni esterne. La tesi che la genesi degli assiomi sia pur sempre rintracciabile a livello sensoriale, viene riba dito anche quando ci si trova di fronte a fatti mentalmente possibili, ma non direttamente esperibili. Il fatto che da un punto di vista sensistico non riteniamo possibile pensare, ad esempio, a due rette parallele che mai si incontreranno, se ci ricorda che l'uomo possiede « grandi facoltà immagi native » (315), che gli permettono di ipotizzare anche ciò che non è diret tamente esperibile, non è tuttavia sufficiente secondo l'A., per contestare l'affermazione della primarietà sensoriale di ogni forma di conoscenza. Sebbene nella matematica compaiono infatti «mirabili astrazioni » (317), queste non sono mai da ritenere troppo importanti rispetto alle nozioni primitive, naturali. In questo senso non si deve pensare alla matematica né, tantomeno, alla Logica ad essa collegata, come un prodotto del pen siero puro (come ad esempio in F. Del Zio M , Intorno alle definizioni della logica, 1862 secondo il quale il matematico « sia come aritmetico che come geometra è il loico astratto della quantità ed il loico deve essere il mate matico dialettico di tutto il Sistema dell'Intellegibile » - 12), per il fatto che « se si segue questa via si è condotti al panteismo, che è equivalente all'ateismo » (318). Allo stesso tempo, tuttavia, se un assioma « ha bisogno » (316) della realtà, deve pur sempre badare ai principii astratti di identità e di disegua glianza: in questo senso, allora gli assiomi matematici hanno « necessità di logica » (315), ossia di stabilire un rapporto col principio di contraddizio ne. Possiamo pertanto parlare di assioma quando « noi non possiamo tampoco tentare moralmente di rappresentarci un caso opposto senza contraddire la nostra abituale memoria di tale esperienza» (316). 14 Floriano Del Zio (1831-1914) compie studi di Giurisprudenza a Napoli e nel 1853 si dedica all'insegnamento privato della Filosofia. Si pone su posizioni hegeliane (ammirando la Filosofia della Storia e l'Estetica), è acerrimo nemico del sensismo di Condillac e dello spiritualismo del Gioberti. Nel 1860 deve riparare in Lucania: parte cipa alle battaglie sul Volturno, a Casetta ed a Sant'Angelo. Tornato a Napoli alla fine del 1860 riapre la sua scuola privata di Filosofia continuando ad approfondire gli studi hegeliani. Nel 1861 diviene professore di Filosofia in un Liceo di Cagliari e nel 1865 è trasferito a Ferrara. In questa città inizia la carriera politica che lo vedrà eletto deputato ininterrottamente sino al 1880. Infine nel 1891 è nominato senatore. Non scrisse opere veramente rilevanti in campo filosofico ma fu di aiuto prezioso per i commentarii e le traduzioni dell'opera di Hegel, che A. Vera aveva iniziato a compiere a Napoli.
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Letti in questo modo assistiamo al tentativo, conforme al periodo considerato, di presentare i principi logici come "naturali" (si veda cap. II), intendendo con questo termine tutto quello che è proprio delle attività sensibili di ogni soggetto. Le « non poche esagerazioni, che pajonmi com messe da quegli acuti ingegni che si prefiggono di stabilire una Logica Algoritmica, ossia Matematicamente trattata» (op. cit., 1881, 222) sono dovute proprio al fatto che non si considerano come primari questi prin cipii sensibili, ovvero naturali 15 . La Logica Applicata di cui l'Autore parla è pertanto da intendersi come una serie di regole pratiche, le quali devono essere impiegate per ogni attività culturale che il soggetto intraprende: inoltre devono sempre avere un punto di partenza che sia, in ogni momen to, riconducibile alla realtà empirica sensibile. L'astrazione, tipico proce dimento induttivo, è il mezzo che ci consente di passare da conoscenze particolari e locali alla formazione di proposizioni di carattere più genera le, in quanto riflette i dati empirici, ricavati dalla diretta esperienza, in un contesto teorico già assimilato dal soggetto ed in grado di consentire una lettura più completa ed euristicamente più valida degli stessi.
15 Gli "acuti ingegni", ovvero Boole, De Morgan, Jevons, Spencer, Bentham ed Hamilton, sono stati conosciuti da Caroli attraverso la lettura di un articolo, apparso nel settembre del 1876 sulla Revue de Philosophie, ossia proprio nell'anno in cui esce la prima edizione del suo libro nel quale parla della Logica della Matematica. Nel 1898 Caroli scriverà Principii di filosofia nuova (R. Pesole, Napoli) dove non considererà più questi problemi e dedicherà invece il suo impegno a discussioni su temi della filosofia di Kant e di Rosmini.
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INDICE DEGLI AUTORI
II carattere corsivo sarà riferito alle note dei vari capitoli. Allievo G., 211, 211,228 Altieri L., 15, 15, 228 Amenduni G., 100, 100, 228 Andreasi A., 103, 103, 105, 228 Aporti R, 33 Ardigò R, 36, 43, 55, 56, 105, 106, 109, 122, 216,228 Aristotele, 11, 30, 82, 92, 117, 119, 162, 168, 189, 208, 218 Arnaud A., 12, 87, 146, 147, 200, 228 Bacone F., 39, 45, 93, 118 Bain A., 102, 134, 135 BaldwinJ., 107, 126, 128,235 Balmes G., 79, 79, 80, 84, 188, 207, 216, 228 Barbera L., 87, 87, 89-91, 218, 228 Barone F., 61, 131, 147, 149, 149, 153, 156, 156, 157, 204, 235 Baumeister F. C., 151, 151 Beccaria C., 9 Bellavitis G., 92, 92, 228 Bellofiore B., 15, 18, 79, 185, 228 Benecke G. F., 48 BenthamJ., 8,227 Benzoni R, 109, 105>, 228 Benussi V., 2 Bernard C., 85 Berti D., 119, 211 Bertini G. M., 69,94, 94, 95, 97,200,228
Bichat M. F. X., 39 Billia L. M., 41, 41, 99, 229 Binet A., 128 Bini V., 19, 19, 229 Binswanger L., 53 Biondi A., 35, 43, 210, 229 BobbaR, 118,229 Bochensky J. M., 199, 201, 202, 235 Bois Reymond (de), 102 Bonatelli F., 65, 65, 66, 66, 67, 69, 71, 71, 72, 138, 139, 158, 216, 217, 229 Bonelli L., 15, 15, 229 Bonghi R, 115, 115, 122,229 Bonucci F., 84 Boole G., 118, 126, 132, 133, 137, 138, 141, 202, 227 Boselli P., 95 Bottura P., 24, 24, 187, 206, 208, 229 Bourdon E., 47 Brangero L., 203, 203, 229 Bratsberger, 155 Brentano F., 53, 57, 112, 126 Buchner E., 40 Buttemeyer W., 235 Caldi G., 120, 120, 229 Calzi G., 196, 196, 197, 229 Campiagna G. B., 34, 210, 229 Cangiano F., 35, 229
INDICE DEGLI AUTORI
Cantoni C., 33, 65, 65, 66, 69, 70, 72, 75, 95, 166, 216, 216, 229 Capello A., 95 Cappellazzi A., 121, 121, 159, 217, 229 Capponi G., 33 Caroli G., 75, 100, 100, 213, 220, 224, 224, 227, 230 Cassina U.,132 Cananeo C., 9, 9, 45, 216, 216, 230 CattelJ.M. K., 47 Cavour C. B., 42, 115 Centofanti S., 71 Ceretti?., 118, 115,230 Cesca G., 102, 102, 230 CharcotJ. B. E., 132 Chiarolanza A., 93, 218, 218, 230 Cicchitti-Suriani R, 30, 137, 137, 194, 230 Claparède E., 126, 127, 127 Colecchi O., 29, 29, 31, 32, 224, 230 Compte A., 103 Condillac, 13, 20, 22, 31-33, 36, 72, 209, 226, 230 Conti A., 116, 116, 191, 195, 197, 230 Coppino M., 95 Corico R, 57, 57, 189, 221 Corte P. A., 83, 83, 230 Cousin V., 29 Credaro L., 137 Crusius C. A., 152, 153 Cuoco V., 9, 10 Curci C., 81 Cusani S., 46 Cuvier G. L., 126 D'Acquisto B., 25, 25, 26, 62, 63, 230 D'Alfonso N., Ili, 111, 113, 230 Dandolo G., 104, 104, 106, 195, 196, 230 DarjesJ. C, 15, 152 Darwin C., 40 Del Zio R, 226, 226, 230 Demolli P., 1 Descartes R, 11, 117, 146, 147 Di Giovanni V,, 25, 41, 41, 43, 44, 63, 71, 189, 189, 191, 211, 230, 231 Dillac, 8
Diviso R, 117, 189,231 Dominicis S. (de), 33, 66 DonatelliE., 71,231
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Donders F. C., 48, 50 Draghetti A., 15, 15, 186, 206, 208, 231 Eberhard, J. A., 155, 156 Enriques F., 141 Errerà A., 119, 192, 192, 212, 231 Euclide, 97 Eulero L., 194 Falco F. M., 84, 84, 85, 86, 86, 98, 209, 212,231 Fechner G. T., 40, 48, 66 FederJ.G.H., 153 Ferrari A., 136, 136,221,231 Ferrari G. C., 2, 40, 126 Ferrata A., 109, 109, 193,231 Feuerbach L. A., 40 FichteJ. G., 117 Fiorentino F., 54,222,231 Florenzi Waddington M., 84, 84, 140, 231 Pomari V., 225, 225 Fraisse P., 235 Franceschinis F. M., 27, 27, 36, 71, 85, 231 Franchi A., 27, 32, 36, 36, 37, 41, 43, 73, 81,53,231 Frege G., 52, 54, 129, 133, 157, 235 Friess J. F., 47 Gabelli A., 44, 44, 56, 231 Galilei G., 87, 88, 201 Gallo C., 1 Galluppi P., 29, 29, 32, 33, 33, 35, 37, 43,56, 85,209,210,213,231 Galton F., 48, 128 Galvani L., 20 Garelli V., 37, 37, 71, 50, 188, 207, 215, 224,231 Garibaldi G., 10 Garin E., 159 Gatti S., 46 Gattico E., 1 Gemelli A., 2 Genovesi A., 13, 13, 14, 176, 177, 216, 231 Gentile G., 8, 27, 32, 44, 46, 56, 58, 70, 51, 95, 95, 97, 106, 119, 132,159,235, 236 Geymonat L., 8, 12, 58, 65, 66, 236
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INDICE DEGLI AUTORI
Gianandrea R., 18, 185, 231 Gigli M., 15, 15,231 Gioberti V., 9, 41, 98,100, 117, 22J, 226 Goia M., 10, 10, 22, 40 Giuseppe II (Asburgo), 9 Gizzi G. G., 73, 134, 134, 135, 194, 231 Gobetti P., 95, 236 Goethe W., 7 Gravaghi A., 86, 94,94,231 Greco P., 144, 236 GrizeJ.B., 6 Guzzo A., 22, 56, 66, 236 Hall S., 47 Hamann J. G., 7 Hamilton W., 72, 78, 134, 140, 227, 231 Hartman, 53 Hegel G. W. F., 7, 22, 41, 41, 46, 84, 100,117,126,134,136,162,183,188, 199, 200, 202, 213, 216, 226 Helmholtz H., 48, 50, 68, 74, 79, 87, 126 Helvetius, 13 Herbart J. F., 48, 109 Herder G., 7 Hering E., 48 Herschel J. F. W., 40, 140 Humboldt W. (von), 7 Hume D., 36 Husserl E. G., 53, 135, 236 Inghignoli S., 23,231 Ispano P., 200 Jaeger (de), 48 James W., 126-128 JanetP., 51, 132 Jaspers K., 53 Jevons W. S., 118, 126, 129, 137, 156, 157, 157, 227, 232 Jouffroy T., 85 Jungius J., 201 Kant I., 22, 23, 29, 30, 32, 35, 38, 44, 69, 70, 92, 117-119, 126, 130, 131, 132, 134, 136, 139, 151, 152, 154-156, 161, 199, 200, 202, 227 Kennedy H. C., 132, 236 KepleroJ., 201 Kiesow F., 2, 56 Knutzen M., 151
Kraepelin, 47 Kroman, 68 Kuelpe O., 47 Lagrange J. L., 83 Lambert J. H., 133, 162,202 Lambruschini R., 33 Lange, 103 Larominguiere, P., 36 Leibniz G. G., 102, 133, 139, 146, 146, 147, 147, 148, 148, 149,150,152,155, 160, 163, 168, 201, 202, 236 Liberatore M., 27, 32, 32, 81, 81, 82, 85, 99, 114,216,232 Ligori (de) G., 236 LockeJ., 23, 29, 36, 36 Lombroso C., 128 Longo A., 9 Lorenzoni A., 22, 22, 232 Lotze R. H., 66, 66, 69, 122, 133, 139 Lunati G., 179, 179, 180, 184, 232 Maas, 155 Macchiavelli N., 123 Maglione S., 222 Maine Biran (de) M. F. P., 32 Mako P., 16, 16, 186, 205, 232 Malebranche N., 28 Mamiani T., 37, 42, 42, 43, 95 Mamini C., 72, 72, 216, 232 Mangione C., 1 Mannano S., 27 Mantegazza P., 58, 232 Manzoni A., 41, 115 Marchesini G., 109, 110, 195, 232 Marhaba S., 56, 59, 65, 66, 114, 236 Maria Teresa (d'Asburgo), 9 Martinazzoli A., 137, 137, 194 Mascheroni F. G., 186 Masci F., 132, 132, 232 Mattiusi G., 121, 121, 222, 232 Mazzoni D., 46 Meier G., 152, 152 Mestica F., 79, 79, 232 Michette A., 47 Mili J. S., 39, 40, 46, 50, 53, 73, 85, 92, 95, 102, 103, 118, 119, 123, 129, 134, 225, 232 Monti B., 16, 232 Morando G., 197, 214, 214, 232
INDICE DEGLI AUTORI
Morello R, 43, 43, 44, 232 Morgan (de) A., 118, 126, 137, 140, 227 Morselli E., 128 Musarti R. C., 127 Nagy A., 73, 132, 132, 133-135, 194, 232 Nicole R, 12, 87, 146, 147, 200, 228 Novalis (Hardemberg) von G. P. F., 7, 8 Odone A., 1 Ornato L, 94, 95, 95 Panizza M., 57 Paoli A., 98, 178, 178, 184,232 Pascal B., 118, 146 Passerini G., 46 Peano G., 1-3, 6, 73, 131-133, 132, 135137, 139, 140, 194 Pecci G., 81 PeirceC. S., 131, 133 Pestalozza A., 36, 36, 38, 82, 83, 210, 213,233 PeyrettiG.B., 41,41, 71,233 Piaget]., 6, 107, 127, 141, 144, 237 Pieralisi V., 99, 99, 190, 208, 208, 233 Pio IX, 42, 179 Fiatone, 170 Ploucquet G., 133 Poletti F., 73, 73, 76, 80, 233 Poli B., 26, 26, 209, 233 Puccianti G., 98, 98, 223 Quaranta M., 65, 66 Reid T, 33 Renan E., 40, 66 ReuschJ. D., 151, 151 RibotT. A., 51 Riehl A., 109 Risse W., 237 Romagnosi G., 9, 10, 10, 17, 22, 24, 36, 40, 123, 176, 177, 184, 209, 216, 216, 233 Romano G., 63, 80, 84, 233 Roselli S. M., 14, 233 Rosmini A., 9, 9, 36, 41, 42, 43, 73, 82, 83, 85, 92, 99,100, 115, 120,139,211, 223, 227 RousseauJ.J., 14, 102, 194
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Roverelli L., 20 Russell B., 132 Sala E., 119,119,120, 195, 197,207,233 Sanctis (de) S., 2, 29, 128 Sanseverino G., 32, 81 Sarlo (de) F., 57, 233 Sauri (abate di), 184, 185, 205, 208, 233 Savio C. F., 123, 123, 140, 233 SchellingF.W.J., 7, 84 Schiavi L., 122, 122, 221, 233 SchillerJ.C.F., 7 Schlegel F., 7, 8 Scholz, H., 11, 11, 147, 147, 161, 162, 199, 201, 201, 237 Schopenhauer A., 7 Schròder E., 132, 133, 137, 194 Schulz, 103 Semmola M., 21, 71, 210, 212, 212, 233 Sergi G., 128 Settembrini L., 29 Severini L., 102, 102, 105, 180, 234 Signorelli T., 81 Simonetti O., 197, 234 Soave F., 19, 19, 72, 174, 184, 191-193, 205, 208, 234 Sordi D., 81 Sordi S., 81 Spaventa B., 29, 46, 132, 234 Spearman C., 47 SpencerH., 119, 126,227 Spinoza B., 202 Stampa S., 41 Stiattesi A., 167, 167, 234 Stumpf C, 112 Taine H. A., 40 Tamagna}., 14, 14, 234 Tapparelli L., 32 Tari A., 119 Tarino P., 97, 181, 184, 191, 195, 197, 219, 220, 234 Tarozzi G., 122, 122, 128, 197, 234 Thumming L. F., 151 Tisato R, 6J Titchener E. B., 47, 126, 128 Tocco F., 71, 234 Tocqueville C. A. H., 115 Tommasi A., 237 Tommasi S., 44
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INDICE DEGLI AUTORI
Tommaso d'Aquino, 121 Tracy (de) D., 20, 20, 31 Trendelemburg A., 66, 134 Ulrich, 155 Vailati G., 2 Valdarnini A., 41, 41, 57, 107-110, 221, 222,234 Varisco B., 66, 138, 138, 139, 194, 234 Vera A., 46, 216, 226 Verri A., 9 Verri P., 9 Vico G. B., 10,43, 88 Villa G., 57 Volta A., 20 Wagner G., 146, 146 Warren G. K., 47 Weber E. H., 48 Whateley, 40 Whewell W., 140 Winkler C., 151 Wolff C. F., 15, 22, 32, 130, 148, 149, 149, 150, 151, DI, 152, D2, 153-155, 158,160,161,163,167,176,182,183, 185, 202,234 Wundt W., 47-50,52-55,57, 6?, 82,104, 109, 112, 126-128, 133-135, 165, 234 Zantedeschi F., 24, 24, 187, 234 Zenone, 208
Snelli M. F., DI, 234 Zitto G., 192, 192, 193, 222, 234
Finito di stampare nel mese di giugno 1995 da La Grafica & Stampa editrice s.r.l., Vicenza