Sport e motivazione
La psicologia dello sport è la disciplina che studia gli aspetti psicologici,sociali, pedagogici e psico-fisiologici dello sport. Inizialmente la psicologia dello sport cercò di stabilire delle relazioni significative fra personalità e sport, utilizzando soprattutto strumenti diagnostici provenienti dalla psicologia clinica, ma successivamente si è specializzata nell'ambito della preparazione mentale e sulle abilità che possono essere incrementate nello sportivo, vale a dire l'attenzione, la concentrazione, la motivazione, la gestione dello stress e dell'ansia ed altro. Lo psicologo dello sport è un dottore in psicologia (più spesso ad indirizzo clinico o del lavoro) che mette a disposizione le sue conoscenze presso Federazioni, Enti, Palestre Associazioni e si dedica alla formazione, tramite interventi individuali o di gruppo, dello staff dirigenziale, degli arbotri, degli allenatori, istruttori, degli atleti di sport individuali o di squadra. Lo psicologo non è un tecnico, quindi non eroga servizi concernenti consigli o strategie tecniche e tattiche, ma riveste un ruolo ben definito: quello di esperto di tematiche psicologiche e psico-pedagogiche nei confronti di tutti i membri della Società sportiva. Lo psicologo dello sport si occupa in particolare di: allenare e potenziare le abilità mentali degli atleti, fra cui annoveriamo in particolare l'abilità di rilassarsi,di visualizzare, di porsi degli obiettivi, di mantenere la propria motivazione, di gestire l'ansia da prestazione. La psicologia dello sport sta dando un enorme contributo alla comprensione del ruolo dello sport nello sviluppo dei bambini, evidenziando come debba rappresentare un'esperienza divertente, di crescita e consapevolezza del proprio corpo, dello stare bene con se stessi e gli altri (compagni di squadra e allenatore). Le principali competenze dello psicologo sportivo sono: il goal setting (formazione corretta degli obiettivi di prestazione e di risultato); allenare a gestire le emozioni; allenare alla visualizzazione del percorso e dei gesti motori dell'atleta; migliorare l'autostima dell’atleta; proporre strategie per la gestione dell'attivazione psicofisica dell'atleta; studiare e potenziare gli stili attentivi dell'atleta; lavorare sul self talk (dialogo interno) positivo e negativo; diagnosticare disturbi alimentari (DCA) sport-specifici; diagnosticare psicopatologie sportspecifiche come la nikefobia, l'ansia da prestazione o la sindrome del campione; analizzare il gesto motorio con videoregistrazioni; informare ed intervenire sull'abuso di sostanze dopanti e stupefacenti; informare ed intervenire sull'uso improprio di farmaci antidolorifici negli atleti infortunati; offrire consulenza sul dolore, depressione, perdita e suicidio negli atleti; offrire consulenza sull'overtraining e sul
burn out negli sportivi; offrire consulenza sulla gestione della grinta e dell'aggressività in relazione allo sport; intervenire sull'infortunio sportivo e sul processo riabilitativo; seguire i passaggi di categoria e i cambiamenti nella vita dello sportivo; favorire il team spirit; favorire la gestione della coesione di squadra; analizzare e sviluppare la leadership di atleti ed allenatori; sviluppare le competenze relazionali dell'allenatore; sviluppare la sportività (fair play) negli atleti; offrire consulenze di parent training ai genitori. Riguardo concentrazione e attenzione, dato che questa può essere spontanea (cioè involontaria, che "segue" gli stimoli così come si susseguono attorno all'individuo) e conativa (cioè volontaria, focalizzata su un determinato stimolo). È su questa seconda tipologia che si concentra la psicologia dello sport. Le competenze di psicologia sono importanti soprattutto se il medico dello sport , l’istruttore e l’allenatore ha a che fare con il settore giovanile: l’attività motoria riveste una fondamentale importanza in età adolescenziale, ma non sempre viene proposta in modo corretto. Le motivazioni che spingono i ragazzi allo sport sono: acquisire e migliorare l’abilità e la competenza sportiva, il divertimento, il desiderio di competere, lo stare in squadra, l’amicizia, la forma fisica. Gli errori da evitare sono: le eccessive pressioni agonistiche, le metodologie didattiche inadeguate, l’esasperazione dei gesti tecnici: questi sono fattori che possono portare all’abbandono precoce e, fatto ancor più grave, possono creare danni nel processo di crescita dell’adolescente. Ovviamente anche nelle squadre composte da adulti possono esserci spazi di intervento da un punto di vista psicologico, sia negli sport di squadra che in quelli individuali. Pertanto compito del medico dello sport ed i tecnici è cercare di capire più possibile i ragazzi, curare, attentamente il rapporto con gli allenatori, controllare la qualità degli allenamenti e verificare l’armonia all’interno dei gruppi. In Psicologia, ed in particolare in Psicologia Sportiva, si parla spesso della differenza tra Motivazione Estrinseca (o Esterna), e Motivazione Intrinseca (o Interna). Ma qual è la differenza? La motivazione estrinseca trae la sua forza dall’esterno: soldi, successo, posizione sociale… La motivazione intrinseca invece proviene dal nostro mondo interiore: è la passione, l’amore nei confronti di ciò che facciamo. Spesso sono necessarie entrambe le tipologie motivazionali per motivarci al meglio. Ma sicuramente è soprattutto la motivazione interna a rappresentare il motore interiore più importante. Le persone che traggono la propria spinta motivazionale dal punto di vista Esterno (Estrinseco) a lungo andare possono vedere la propria “carica” motivazionale esaurirsi, proprio perchè non alimentata da una vera passione, da un vero amore radicato interiormente. Ci sono atleti appagati economicamente e dai numerosi successi ottenuti che però continuano a gareggiare. Perchè? Molto probabilmente perchè animati da obiettivi sempre più ambiziosi, e da un amore nei confronti del proprio sport che vince il trascorrere del tempo e degli anni. Ecco perchè è importante, qualora questa “fiamma” si sia affievolita, andare ad analizzarne
il perchè, cercando di trovare interiormente quella passione che col tempo è venuta meno.
Storia Che la mente possa influire significativamente su ogni attività umana e, quindi, anche su quella sportiva è stato certamente chiaro fin dai primi Giochi Olimpici ateniesi. il destino di una competizione sportiva non dipendeva esclusivamente dalla prestanza fisico-atletica, ma anche dall'astuzia, dalla strategia, dal coraggio, dallo stato d'animo, caratteristiche, quest'ultime, strettamente legate all'attività mentale dell'atleta. Nonostante ciò solamente intorno al 1890 alcuni educatori hanno espresso le loro opinioni sugli aspetti psicologici dell'educazione fisica. Norman Triplett nel 1897 effettuò i primi studi sulla performance in situazioni di agonismo. la psicologia dello sport iniziò ad entrare nelle università, con l'istituzione di master, dottorati e corsi di specializzazione. Tra il 1970 ed il 1980 furono condotti studi sul miglioramento della performance, sulla personalità dell'atleta e sulla motivazione. Negli anni ottanta si studiarono tecniche mirate al miglioramento della prestazione. Nel 1993 fu pubblicata la prima edizione di Handbook of Research on Sport Psychology da Singer e colleghi in cui erano raccolte le ricerche più significative pubblicate fino ad allora. "Dalla prima pubblicazione di questo manuale, vi sono state molte evoluzioni, segno di maturità. Negli ultimi vent'anni (1989) hanno preso poi piede gli studi di psicologia clinica dello sport grazie ai lavori di C.Ravasini-G.Lodetti( Aspetti psicoanalitici dell'attivita sportiva ed.Ghedini) La psicologia clinica dello sport si occupa degli aspetti clinici e di crescita globale della personalità dello sportivo e dell'abbattimento del disagio giovanile attraverso le dinamiche sportive di interazione.
Preparazione mentale
La psicodiagnostica E' mirata alla valutazione delle caratteristiche psicologiche generali e delle capacità cognitive dell'atleta. Lo scopo è quello di evidenziare o escludere la presenza di tratti o sintomi psicopatologici manifesti o latenti e di fornire indicazioni circa le capacità visuo-immaginative, attentive e mnemoniche del giocatore. Tra le molteplici scale psicodiagnostiche validate, negli ultimi anni, l'orientamento è stato quello di preferire strumenti sport specifici anche se, talvolta, come si vedrà in seguito, non è possibile fare a meno di scale utilizzate per tutta la popolazione generale. In questa pagina, verrà presentato un modello psicodiagnostica in particolare, il C.B.A. SPORT e, successivamente, saranno presentati altri strumenti utili, ma soltanto in determinate situazioni. C.B.A. SPORT (Cognitive Behavioral Assessment) E' un questionario per la raccolta e l'elaborazione di informazioni che riguardano ampie problematiche di interesse psicologico e più precisamente sportivo. Si compone di 13 schede o sub-test, ognuna delle quali indaga una particolare area psicologica. La scheda 1: dati socioanagrafici permette di recuperare gli indici generali del soggetto riguardanti l'attività sportiva e i dati demografici. La scheda 2: STAI X1 è costituita dalla forma X1 dello State Trait Anxiety Inventory (STAI) e consente di valutare l'ansia del soggetto all'inizio della compilazione del test. La scheda 3: STAI X2 è costituita dalla forma X2 dello State Trait Anxiety Inventory di Spielberger e consente di valutare la predisposizione ansiosa del soggetto intesa come caratteristica stabile di personalità. La scheda 4: cartella autobiografica contiene informazioni delicate e strettamente riservate, relative alla vita affettiva e sessuale, alle abitudini alimentari, alla qualità del sonno e alle condizioni della pratica sportiva. La scheda 5: questionario psicofisiologico è una versione ridotta del QPF-R e rileva eventuali reazioni psico-fisiologiche, nonché i sintomi somatici senza base organica dimostrabile esperiti dal soggetto prima di una gara o di un avvenimento importante. La scheda 6: questionario di assertività ha lo scopo di determinare il livello di "assertività" del soggetto, termine che denota la capacità di affermare le proprie esigenze all'interno dell'ambiente e di realizzarle.
La scheda 7: inventario delle paure consiste in una serie di 17 item rivolti a rilevare la presenza di eventuali oggetti o esperienze che potrebbero essere fonte di ansia o paura per il soggetto. La scheda 8: questionario sulla depressione ha lo scopo di valutare la presenza o meno di indici che possano far pensare ad uno stato di depressione. La scheda 9: scala di consapevolezza corporea ed efficienza fisica si propone di valutare altre due dimensioni associate alla pratica sportiva: la consapevolezza corporea ossia l'abilità nel percepire alcuni aspetti del proprio fisico e della propria funzionalità corporea; l'efficienza fisica che si riferisce invece alla valutazione soggettiva del proprio stato di salute psicofisica. La scheda 10: questionario di autoconsapevolezza dell'atleta valuta la tendenza e la capacità dell'atleta a riflettere sugli aspetti più personali del proprio Sé, siano essi manifesti come immagine esteriore, siano essi più intimi come le aspirazioni personali, i valori, i sentimenti. La scheda 11: scheda questionario di valutazione dell'affermazione di sé misura il grado di autostima dell'atleta a tre livelli: immagini prototipiche (maggiore è il grado di identificazione dell'atleta con le aspettative e le caratteristiche del suo sport, maggiore sarà la sua tendenza a condividerne i tratti e le disposizioni), approvazione sociale (se le reazioni degli altri sono congruenti con la propria immagine di sé, l'autostima sale), autovalutazione emotiva (fiducia in sé e autoapprezzamento). La scheda 12: locus of control misura su quale versante "interno-esterno" si colloca ciascun atleta. Nel versante esterno troviamo le persone che tendono ad attribuire i risultati ottenuti a forze che vanno al di là del proprio controllo, chiamano in causa il fato, la fortuna, la sorte; nel versante interno si collocano tutte quelle persone che si ritengono completamente responsabili di ciò che accade loro. ALTRE SCALE DI VALUTAZIONE Sport specifiche: Questionario di Motivazione alla partecipazione sportiva. Composto da 30 item a risposta multipla da molto importante (3) a per nulla importante (1), questo strumento può essere utile per valutare e quantificare il grado di motivazione allo sport. Drop out Risk Profile (DPR). Tratto da "La motivazione all'esercizio fisico" di J.Annesi (Ed.il campo), è composto da 30 item a risposta multipla da molto falso (1) a molto vero (5), può essere utile per valutare quanto l'atleta in questione è a rischio di abbandono. Leadership Scale for Sport (Chelladurai, 1978). Composto da 40 item a risposta multipla, da sempre (5) a mai (1), esplora la leadership nello sport. E' molto interessante poiché, attraverso cinque sottoscale (allenamento e istruzione, comportamento democratico, comportamento autocratico, supporto sociale, feedback positivi), è possibile valutare la leadership percepita (nella scheda: IL MIO ALLENATORE), la leadership desiderata (nella scheda: VORREI CHE IL MIO ALLENATORE), oltre alla autovalutazione dell'allenatore stesso (nella scheda: QUANDO IO ALLENO). Flow State Scale (Muzio, Nitro, Crosta, 1998, da Jackson, Marsh, 1992
modificato). Composto da 36 item a risposta multipla da assolutamente sì (5) ad assolutamente no (1), attraverso 9 dimensioni (equilibrio tra sfida e abilità, unione tra azione e coscienza, mete chiare, feedback immediato, concentrazione sul compito, senso di controllo, perdita di autoconsapevolezza, destrutturazione del tempo, esperienza autotelica) si propone di descrivere il tipo di Flow ("esperienza ottimale") dell'atleta. Competitive State Anxiety Inventory-2, CSAI-2 (Martens e coll., 1990). Composto da 27 item a risposta multipla da moltissimo (4) a per niente (1), va somministrato un'ora prima della competizione ed, attraverso le tre sottoscale (autoefficacia, ansia cognitiva, ansia somatica) è utile per discriminare e quantificare i sentimenti pre-gara dell'alteta. Non Sport specifiche: Matrici Progressive di Raven (Raven, 1940). Composto da 60 item che vengono presentati in 5 serie da 12 problemi ciascuno. Utile per valutare le abilità analitiche, spaziali e di ragionamento, non dipendenti fa nozioni apprese precedentemente. Attraverso una tabella di conversione dei dati grezzi è possibile derivare il Quoziente Intellettivo (Q.I.) dell'individuo. Questionario di Edinburgo (Oldfield, 1971). Di semplice compilazione, composto da 12 item, è utile per valutare la dominanza manuale. POMS: Profile of Mood States (D.M. McNair, M. Lorr e L.F. Droppleman, 1971). Il test consiste di 58 aggettivi che definiscono 6 diversi fattori: Tensione Ansia (fattore T), Depressione - Avvilimento (fattore D), Aggressività - Rabbia (fattore A), Vigore - Attività (fattore V), Stanchezza - Indolenza (fattore S), Confusione - Sconcerto (fattore C). La risposta è multipla da moltissimo (4) a per nulla (0). Il questionario studia alcuni aspetti della personalità. Minnesota Multiphasic Personalità Inventory, MMPI-2 (James N. Butcher, Carolyn L. Williams, 1992); è un questionario di autovalutazione che consta di 567 item di tipo vero/falso. Permette di redigere i tratti della personalità e di evidenziare l'eventuale presenza di elementi psicopatologici mediante la combinazione delle scale di base (L menzogna, F frequenza, K correzione, Hs ipocondria, D depressione, Hy isteria, Pd deviazione psicopatica, Mf mascolinità/femminilità, Pa paranoia, Pt psicastenia, Sc schizofrenia, Ma ipomania, Si introversione sociale), le scale di contenuto (ANX ansia, FRS fobie, OBS ossessività, DEP depressione, HEA preoccupazione per la salute, BIZ ideazione bizzarra, ANG rabbia, CYN cinismo, APS comportamenti antisociali, TPA tipa A, LSE bassa autostima, SOD disagio sociale, FAM problemi familiari, WRK problemi lavorativi, TRT difficoltà al trattamento) e le scale supplementari (Fb frequenza, TRIN V/F corrispondenza alle risposte vero/falso, MAC-R alcolismo, APS tossicodipendenza potenziale, AAS ammissione di tossicodipendenza, PK disturno post-traumatico, O-H ostilità ipercontrollata, MDS disagio coniugale). Rorshach Test (1956). La prova consiste nel dare un'interpretazione a dieci macchie d'inchiostro. Rorscach ritiene che s'inneschi un processo di percezione distinto in tre
momenti: sensazione, ricordo e associazione. In altre parole, le sensazioni suscitate dalle macchie provocano il risveglio di vecchi insiemi di sensazioni sotto forma di immagini ricordo. Permette di redigere i tratti della personalità e di evidenziare l'eventuale presenza di elementi psicopatologici. Affinché i risultati del test possano essere considerati validi, è necessario che chi somministra il test ed interpreta le risposte sia particolarmente formato ed esperto.
Pensiero positivo Alla fatidica domanda riguardo quale parte del bicchiere si guardi più spesso, non tutti rispondono il "bicchiere mezzo pieno". Una buona parte della popolazione, infatti, tende a porre maggior attenzione al negativo ("bicchiere mezzo vuoto"). E succede che ciò che, inizialmente, sembra essere solo una predisposizione poi diventa inevitabilmente un'abitudine. E' proprio così, nella grande differenza interindividuale, c'è chi spontaneamente, aprendo la porta di una stanza sconosciuta (come la vita), guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose piacevoli e chi, invece, altrettanto naturalmente, guarda (o cerca) prevalentemente gli oggetti, gli arredi, le cose spiacevoli. Il perché di tale realtà è, certamente, radicato su dinamiche psicologiche complesse che, a seconda dei casi, poi trova conferme e/o disconferme nell'esperienza della quotidianità. Una verità ancor più importante è che in ogni individuo, senza alcuna ombra di dubbio, il positivo c'è. In alcune persone è chiaro, evidente ed in bella mostra, in altre è da ricercare con il lumicino, ma c'è. Il pensiero positivo, quindi, prima ancora di essere una tecnica di preparazione mentale, è una filosofia di vita. Senza tale approccio interiore, senza cioè ricercare il positivo esistente negli altri, è davvero difficile e quantomeno bizzarro utilizzare questa importante tecnica di mental training. Si cadrebbe, empaticamente, in contraddizione. La tecnica. Per poter effettuare tale pratica, è importante che lo psicologo sportivo conosca bene l'atleta in modo da sapere qual'è la sua predisposizione iniziale "a pensare positivo". Bisogna capire come l'individuo, che si vuole preparare, vive gli eventi positivi e quelli negativi. In seguito a cosa, a suo avviso, si è vinto o perso. Bravura, fortuna, fatalità? Anche da questi elementi è possibile valutare l'autostima dell'atleta e l'autoefficacia (autostima gesto-specifica) sapendo che chi pensa spesso in negativo, probabilmente, ha una bassa autostima E' bene, pertanto, aiutare l'atleta a cercare, inizialmente insieme, ciò che di lui è positivo per poi cominciare a "tirarlo fuori". E' un allenamento continuo: spostare il negativo, vedere positivo, stoppare i pensieri neri, far avanzare solo quelli chiari. Mano a mano, ciò che sembra uno sforzo diventa naturale. L'atleta scopre che ha imparato a pensare positivo. E siccome il pensiero positivo è "contagioso", senza rendersene pienamente conto, l'atleta comincia ad insegnare a pensare in positivo a chi sta accanto a lui. Questa è la migliore prova che la tecnica è stata compresa, accettata e praticata.
Goal Setting Prima di poter lavorare sugli obiettivi è importante sapere che essi possono essere suddivisi in: OGGETTIVI misurabili (diminuire di peso, vincere un determinato numero di gare, ecc) o SOGGETTIVI non misurabili (compiere un gesto bene, divertirsi, ecc). Gli obiettivi possono essere, inoltre: OUTCOME GOAL orientati al risultato (vincere una gara, una medaglia, ecc. Si può giocare bene e perdere con fallimento dell'outcome goal); PERFORMANCE GOAL orientati al miglioramento della performance indipendentemente dagli altri (migliorare un tempo, una misura, un fondamentale, ecc); PROCESS GOAL focalizzati sull'azione e l'esecuzione dell'individuo (nuotatore che vuol tenere la bracciata lunga in uno stile, calciatore che vuole mantenere il baricentro basso sul tiro di collo piede, ecc). Le AREE su cui orientare un goal setting sono: INDIVIDUAL SKILL migliorare alcune qualità individuali come la velocità, l'esecuzione del movimento ecc.; TEAM SKILL traguardi di squadra, tattiche, ecc.; FITNESS obiettivi sulle prestazioni del proprio fisico quali peso, elasticità, equilibrio, ecc.; PLAYING TIME entrare nella squadra dei titolari, aumentare il minutaggio, ecc.; ENJOYMENT con gli atleti più anziani per evitare che si annoino; PSYCHOLOGICAL SKILL visualizzazione, ripetizione di uno statement positivo, ecc. Gli OBIETTIVI devono essere: SPECIFICI precisando esattamente cosa deve essere fatto; VALUTABILI essendo sicuri di poter quantificare i goal; ORIENTATI ALL'AZIONE indicando qualcosa che deve essere fatto; REALISTICI essendo sicuri di poter raggiungere i goal; TIMELY essendo sicuri di poter raggiungere i goal in tempi ragionevoli; STRATEGICI da stabilire con il gruppo (come giocare durante la stagione, ecc.). Le MISURAZIONI dei goal possono essere: SOGGETTIVE osservazioni del coach, feedback dei giocatori, modo di allenarsi; OGGETTIVE tempo giocato, punti segnati, tempi raggiunti, statistiche, ecc. Le BARRIERE al goal setting possono essere di tipo: PSICOLOGICO mancanza di sicurezza, di impegno, attitudine negativa, atleti giovani umorali ed emotivi, ecc.; FISICO infortuni, malattie, scarsa abilità; ESTERNO distrazioni, tempo atmosferico, problemi sociali (fidanzata, moglie, parenti), altre attività esterne; MOTIVAZIONALE perdita d'interesse, mancanza d'impegno, coaching style, ecc.
LAVORO PER OBIETTIVI · pianificazione di specifici obiettivi significativi per il gruppo o per il singolo · determinazione di obiettivi chiari, realistici, e definiti operativamente · definizione di obiettivi misurabili e di procedure di valutazione dei risultati · diversificazione di sotto-obiettivi a breve, medio e lungo termine · differenziazione di obiettivi di prestazione e di risultato · formulazione di obiettivi in termini positivi e propositivi · pianificazione di strategie per il raggiungimento delle mete
Training propriocettivo L'obiettivo del training propriocettivo è quello di portare l'individuo ad apprendere ed affinare gradualmente le capacità di autopercezione, autoispezione e raggiungere una migliore consapevolezza corporea come prerequisiti al training di rilassamento psicofisico vero e proprio. Non tutti gli atleti "ascoltano" il loro corpo. Per ascoltare il proprio corpo è necessario, innanzitutto, fare silenzio. Successivamente bisogna impararne la lingua, costituita dal ritmo cardiaco e dalla frequenza respiratoria, da contrazioni e decontrazioni, posture, massa, elasticità, forza, potenza, e da tutta una serie di sensazioni che, ad un attento ascoltatore, comunicano qualcosa. Il corpo non smette mai di comunicare e, pertanto, appare riduttivo prestargli attenzione solamente in caso di dolore, fatica e/o limitazione funzionale. La tecnica. Si procede mediante esercizi che favoriscono una progressiva acquisizione della capacità di concentrazione e presa di coscienza corporea in relazione a specifiche parti dell'organismo (rappresentazione mentale, autopercezione, esplorazione, autoinduzione di sensazioni di pesantezza e calore). Naturalmente si comincia dalla percezione dei segnali corporei più evidenti (come frequenza cardiaca e respiratoria), poi si ascoltano le sensazioni corporee conseguenti ad un determinato movimento fino ad arrivare a riconoscere i segnali connessi ai gesti più fini. Allenare l'atleta ad ascoltare il proprio corpo dà all'atleta stesso una maggiore sensazione di controllo del movimento e, di conseguenza, ne aumenta la sicurezza durante l'esecuzione.
Concentrazione La attenzione può essere spontanea (cioè involontaria, che "segue" gli stimoli così come si susseguono attorno all'individuo) e conativa (cioè volontaria, focalizzata su un determinato stimolo). E' appunto questo secondo tipo di attenzione che è molto importante nello sport e che è anche chiamata concentrazione. Lo stile attentivo è stato studiato a lungo da Neideffer che, nel 1993 Il Focus attentivo può essere: ESTERNO AMPIO (Aware) tipico dei giochi di squadra e/o delle categorie "open skill"; ESTERNO RISTRETTO (Focused) tipico delle discipline o delle azioni motorie "closed skill"; INTERNO AMPIO ( Strategic) si riscontra nelle pianificazioni di gara o in determinate tipologie di pausa all'interno della stessa; INTERNO RISTRETTO (Systematic) tipica dell'allenamento ideomotorio. Allenare la concentrazione significa controllare i processi motori di pensiero, dirigere e mantenere l'attenzione su di un compito per una corretta esecuzione incrementando le capacità di: 1. selezionare gli stimoli su cui focalizzare l'attenzione, escludendo quelli irrilevanti 2. dirigere l'attenzione al momento opportuno verso le informazioni pertinenti 3. mantenere l'attenzione sugli stimoli rilevanti. L'affinamento e la gestione volontaria della capacità di concentrazione vengono sviluppate attraverso il training propriocettivo e le procedure di rilassamento, andando così a costituire un insieme di abilità sinergiche ed interconnesse e rappresentando le condizioni necessarie per la buona riuscita delle successive fasi di visualizzazione e ripetizione ideomotoria.
Rilassamento L'obiettivo del rilassamento è controllare il livello di attivazione al fine di gestire stati d'ansia e di tensione psicofisica. Il rilassamento è, probabilmente, tra le tecniche di preparazione mentale, quella più conosciuta ed accettata. Nonostante ciò, tale pratica ancora troppo spesso viene lasciata alla libera iniziativa del singolo atleta (che ne sente il bisogno) e stenta a far parte sistematica dell'allenamento psicofisico dell'individuo. I benefici che ne possono derivare sono notevoli: dal miglioramento della qualità di tutto il periodo di allenamento alla gestione ed ottimizzazione delle ore pre-gara fino alla creazione di una base solida su cui instaurare un serio progetto di preparazione mentale. I modi con si può ottenere un buon rilassamento sono diversi, basti pensare al Training Autogeno di Schultz (in cui il termine Autogeno vuole mettere in risalto come le modificazioni psichiche e somatiche vengono provocate autonomamente dal praticante, adattando il metodo alle proprie esigenze), al Rilassamento Progressivo di Jacobson (che prevede un rilassamento generale dell'intero corpo ed un rilassamento differenziale col quale si insegna, nei gesti della vita quotidiana, ad utilizzare solo i muscoli impegnati in posture o movimenti, lasciando rilasciati gli altri) o alle tecniche di origine orientale (quali lo joga e lo zen). La cosa importante è che, a prescindere dalla tecnica utilizzata, il soggetto deve raggiungere bene l'obiettivo: il controllo del livello di attivazione psicofisica. Una procedura di rilassamento può prevedere tre fasi differenti da svilupparsi progressivamente: 1. esercizi di contrazione-decontrazione di specifici distretti muscolari: la tecnica consiste nel contrarre gradualmente specifici gruppi muscolari, mantenerli in tensione isometrica per alcuni secondi, ed infine rilasciarli; 2. modulazione del ritmo respiratorio: concentrazione sulle sequenze inspirazioneespirazione ed induzione di un ritmo respiratorio diaframmatico-addominale, caratterizzato da respiri lenti e profondi (mentre respiri rapidi e superficiali segnalano al cervello le presenza di pericolo, respiri lenti e profondi comunicano alla mente di rilassarsi). Attraverso una respirazione lenta e completa, si favorisce l'instaurarsi di uno stato di rilassamento facendo prestare attenzione al gioco di tensione-distensione muscolare dell'addome e del torace; 3. abbinamento di esercizi di contrazione-decontrazione muscolare ed esercizi
respiratori: contrazione-rilassamento dei vari gruppi muscolari dalla parte bassa del corpo a quella alta, abbinati al ritmo respiratorio (alla contrazione l'atto inspiratorio, mentre il rilasciamento è accompagnato dalla fase espiratoria), ed intervallati da fasi di ripresa della concentrazione sulla sola respirazione. Infine, è doveroso porre l'attenzione a quei soggetti affetti da disturbo d'ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, "depressione mascherata", claustrofobia, fobia specifica poiché il "setting" del rilassamento potrebbe causare un certo disagio; in tale occasione (non così rara anche in ambito sportivo) uno psicologo sportivo, con competenze anche cliniche, troverà insieme all'atleta un modo "personalizzato" per raggiungere, comunque, il controllo dello suo stato di attivazione che rimane possibile e che, anzi, in queste persone, assume una doppia valenza:terapeutica e di preparazione mentale. Buoni risultati sono stato ottenuti anche attraverso l'ausilio del Biofeedback (elettromiografico, termocutaneo, della frequenza cardiaca, attività elettrodermica) mediante il quale viene facilitato il controllo della funzionalità neurovegetativa del soggetto.
Visualizzazione La visualizzazione può essere definita la rappresentazione immaginativa del programma e delle singole sequenze motorie da eseguire nei diversi momenti della gara. Tale capacità immaginativa non è uguale in ogni individuo, ma differisce sia per quantità (immagini e sensazioni più o meno vivide e realistiche) e qualità (c'è chi dimostra di avere una spiccata capacità immaginativa del senso della vista, del tatto, piuttosto che dell'olfatto o dell'udito). La tecnica. Partendo da una base di rilassamento, si guidano gli atleti nella rappresentazione mentale di immagini visive dapprima semplici ed in seguito complesse; si procede quindi all'inserimento progressivo di stimoli immaginativi acustici, tattili, cinestetici, olfattivi, favorendo il progressivo sviluppo di una capacità immaginativa polisensoriale ed immersiva. Le scene immaginate utilizzate devono essere, oltre che distensive, anche coinvolgenti e realistiche, per poter creare o ricreare nella mente dell'atleta esperienze il più ricche possibili. Vengono dapprima introdotte immagini di scene familiari agli atleti, sia sportive che non sportive; in seguito si passa a sequenze immaginative riguardanti il setting della pratica sportiva. Infine, si propongono specifiche fasi tecniche o manovre della specialità in oggetto. Tali sequenze di allenamento delle capacità di visualizzazione vengono effettuate due o tre volte a sessione, e, per evitare eventuali cali di concentrazione, ciascuna ripetizione non deve superare i 5-10 minuti di durata.
Self-talk Spesso gli atleti sono consapevoli di attuare un intenso dialogo con se stessi (self talk) e generalmente viene considerato che parole, frasi o immagini positive possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di efficacia che l'atleta ha di se stesso in una determinata situazione sportiva. In effetti, è ragionevole credere che la struttura e i contenuti di specifici pensieri influenzino la prestazioni più di altri. Questi pensieri sono: 1. affermazioni rilevanti per il compito (aspetti tecnico-tattici); 2. parole chiave riguardanti l'umore (singole parole a forte contenuto emotivoaffettivo); 3. affermazioni positive (parole significativamente positive). La tecnica. I "promemoria psicologici" consistono quindi in simboli o parole chiave la cui funzione è quella di richiamare sensazioni associate a ciò che si intende pensare, sentire o fare. Il self talk viene quindi suggerito attraverso apposite parolestimolo che aiutano l'atleta a focalizzare l'attenzione su aspetti chiave della prestazione e ad evocare volontariamente stati chiave psicologici positivi e produttivi, comportando una percezione di autocontrollo e di autoinduzione emotiva. La procedura consiste nel definire un simbolo (una parola specifica o una frase), annotarla, cercare di visualizzarla, e tenerla in mente. Ogni volta che si pone attenzione al simbolo o si pensa alla parola presa in considerazione, verranno sperimentati i pensieri e le azioni associate allo stato che si vuole raggiungere. Quanto più saranno ripetute ed intense le sensazioni che si associano allo specifico simbolo o parola, tanto più quest'ultimo sarà un efficiente promemoria. In tal modo, si intuisce come il self talk, da una parte, possa costituire una forma di controllo attentivo e direzioni l'attenzione verso segnali rilevanti sul compito, dall'altra, sia inscildibile dalla corretta applicazione del pensiero positivo assieme al quale trova la massima espressione.
Allenamento ideomotorio Definizione. Rappresentazione mentale sistematicamente ripetuta e cosciente dell'azione motoria (Frester, 1985)…che deve essere appresa, perfezionata o stabilizzata, senza che vi sia una esecuzione reale, visibile esternamente, di movimenti parziali o globali (Corbin, 1972). Un'altra definizione è quella di Richardson (1969): l'imagery si riferisce a tutte quelle esperienze quasi-sensoriali e quasi-percettive di cui siamo coscienti e che per noi esistono in assenza di quelle condizioni di stimolo che realmente determinano quelle specifiche reazioni sensoriali e percettive. Le caratteristiche principali, quindi dell'allenamento ideomotorio sono: · capacità individuale di provare sensazioni in assenza di stimolo · consapevolezza nell'esecuzione di questa attività mentale · assenza di movimenti visibili, durante tale attività L'allenamento ideomotorio: 1. facilita-supporta l'apprendimento del movimento 2. ottimizza l'esecuzione motoria La teoria. Fondamentalmente sono cinque le teorie che tentano di spiegare il perché dell'efficacia dell'allenamento ideomotorio: 1. la teoria psiconeurosensoriale (Carpenter, 1894; Jacobson, 1934; Suinn, 1972, 1976; Jowdy e Harris, 1990) secondo la quale la ripetizione ideomotoria provoca una ridotta, ma misurabile attivazione neuromuscolare specifica (distretti muscolari interessati all'azione); 2. la teoria dell'attivazione ("arousal") (Schimidt, 1982; Feltz & Riessinger, 1990) secondo la quale l'imagery favorisce l'insorgere di livelli di attivazione adeguati alle richieste (attivazione neuromuscolare generalizzata); 3. la teoria dell'apprendimento simbolico (Fitts, 1964; Feltz & Landers, 1983; Hall & Erffmeyer, 1983) secondo cui tale pratica fornisce al soggetto l'opportunità di
allenare gli elementi simbolici di un compito motorio e di preparare/pianificare mentalmente la prestazione (Bandura, 1969); 4. la teoria bioinformazionale (Lang, 1977; Bird, 1984) secondo cui al variare dell'immagine mentale varia anche il comportamento reale poiché entrambi possiedono la stessa base psicofisiologica (efficacia dell'imagery); 5. teoria del modello triplo codice (Ahseen, 1984; Murphy e Jowdy, 1992) secondo la quale l'efficacia dell'imagery subisce l'influenza di tre fattori interagenti: il realismo sensoriale delle immagini, le modificazioni fisiologiche prodotte dalle immagini e il significato delle immagini che deve essere soggettivamente significativo. La tecnica. Dopo aver definito la sequenza motoria specifica, si procede alla sua sistematica ripetizione a livello immaginativo, in parallelo all'allenamento effettuato sul campo (esecuzione pratica). Ogni gesto tecnico è composto da una sequenza di movimenti consecutivi: per la realizzazione della pratica ideomotoria occorre focalizzare l'attenzione, per ogni step motorio della sequenza, solo sul movimento del proprio corpo e, una volta memorizzata la sequenza corretta, anche sulle sensazioni e sui pensieri che lo accompagnano e sul ritmo respiratorio. Per aiutare l'atleta nell'acquisizione della sequenza motoria corretta e nell'elaborazione di immagini mentali appropriate, la rappresentazione mentale viene fatta precedere dalla visione di un filmato del gesto tecnico. Successivamente, dopo aver raggiunto lo stato di rilassamento in tempi brevi, si introducono visualizzazioni polisensoriali riguardanti il setting abituale, al cui interno si rappresenta mentalmente la sequenza ideomotoria del gesto atletico, rispettandone i parametri spazio-temporali. La sequenza ideomotoria deve essere ripetuta da tre a cinque volte, ma nel caso subentri un calo della concentrazione va sospesa immediatamente per passare all'esecuzione pratica.
Autonomizzazione delle strategie Uno degli obiettivi più nobili della preparazione mentale è rendere l'atleta autonomo. Per arrivare a questo obiettivo, però, sono necessari dei buoni maestri e anni di allenamenti fisici e mentali. Il contributo che, in questo processo di maturazione dell'atleta, può dare l'allenamento mentale, fondamentalmente, è di conoscenza e consapevolezza delle risorse di cui l'uomo è stato dotato, ma che non sempre utilizza a pieno. Infatti, pensare positivo, avere degli obiettivi, ascoltare il proprio corpo, sapersi concentrare, imparare a rilassarsi, utilizzare l'immaginazione, impostare un dialogo positivo con se stessi, ripetere a mente il gesto atletico perfetto, non sono altro che degli strumenti per "tirar fuori" da ogni individuo le energie più profonde che ciascuno possiede. Quel di più che fa la differenza. Un atleta che, per anni, ha utilizzato queste tecniche avrà acquisito le capacità per gestire al meglio tutto il periodo della preparazione di un evento importante, le fasi di attivazione immediatamente precedenti la gara, la gara stessa ed il dopo gara, in maniera completa e matura. Il miglior augurio, infatti, che si possa fare ad un atleta è di sperimentare, il più a lungo possibile, la gioia ed il piacere di "guidare" il proprio corpo attraverso il pieno utilizzo delle sue attività mentali. Le vittorie che, inevitabilmente, vivrà faranno da lieto contorno a quello che sarà l'equilibrio di un atleta perfetto.
Biofeedback nella psicologia dello sport
Nello sport è importante che lo sportivo abbia coscienza del maggior numero possibile di processi corporei. Per raggiungere questa coscienza è molto utile l’utilizzo di Biofeedback. Nella psicologia dello sport ci sono alcune concrete possibilità di impiegare Biofeedback. Riduzione dell’ansia agonistica Allo scopo di ottenere una desensibilizzazione sistematica, lo sportivo viene condotto in determinate situazioni agonistiche caratterizzate da ansia, tramite immagini o sequenze video. Grazie all’impiego di tecniche di rilassamento e alla derivazione dei relativi parametri (polso, respirazione, valore di conduttanza cutanea, tensione muscolare), l’ansia viene ridotta e eventualmente la situazione connotata da ansia viene risolta. La logica conseguenza è un aumento della performance agonistica. Regolazione dell’attivazione Ogni sportivo ha una cosiddetta “zona di funzionamento ottimale”. Con questo si intende un determinato campo di tensione o di attivazione che permette la performance migliore. Molti atleti si trovano in questa zona durante l’allenamento. Durante una competizione però, a causa di una produzione supplementare di ormoni, si verifica una “ipertensione” o iperattivazione e così una performance non soddisfacente. Ottimizzazione del recupero Come supporto in misure di rigenerazione attive e passive. Lo sportivo impara a rilassare i muscoli più velocemente e in modo migliore e a liberare la mente. L’efficacia delle misure di recupero viene così incrementata. È possibile un allenamento sportivo più intenso e gli effetti desiderati (miglioramento della performance) vengono raggiunti più rapidamente. Supporto nella riabilitazione dopo infortuni Anche in questo caso è opportuno in primo luogo un training di rilassamento. D’altra parte, l’impiego di Biofeedback aiuta gli sportivi anche a riacquistare il controllo della muscolatura, a dirigere in modo più corretto l’impiego della forza o a creare una tensione muscolare equilibrata in entrambe le parti del corpo. È inoltre possibile ridurre un’eventuale paura di nuovi infortuni. Messa a punto della tecnica Un’attivazione scorretta conduce quasi sempre, direttamente o indirettamente, a un calo della performance, visto che l’atleta non si sente fisicamente a suo agio. Con un training Biofeedback dei parametri polso, respirazione, tensione muscolare e valore di conduttanza cutanea, lo sportivo riesce a rintracciare tensioni indesiderate, scopre movimenti non economici e può influenzarli e modificarli nella direzione desiderata. Come “campanello d’allarme” Sedute regolari di Biofeedback forniscono un quadro del rapporto tra carico e
recupero. Se il carico è eccessivo e il recupero non più sufficiente, si osservano modifiche nei parametri che indicano sovrallenamento. Fanno parte di queste modifiche per es. polso a riposo aumentato, scarso assorbimento di ossigeno, tensione muscolare aumentata, modifiche nella curva del respiro e capacità di rilassamento generalmente ridotta. Le ricerche sulla tecnica del biofeedback (BFB) cominciarono negli Stati Uniti negli anni quaranta e proseguirono fino agli anni settanta, ma circondate da un alone di mistero dovuto ad un uso distorto dello strumento. Sul finire degli anni sessanta fu l’ambito clinico a mostrare un crescente interesse e solo negli anni ottanta la psicologia dello sport fu attratta dalle potenzialità terapeutiche della tecnica del biofeedback e svolse le sue prime ricerche per ridurre il dolore e la fatica, incrementare la forza muscolare e regolare il ritmo cardiaco. Successivamente l’interesse si spostò verso il miglioramento delle prestazioni e l’individuazione delle condizioni psicologiche ad esse associate, attraverso la modifica e il controllo del livello di attivazione. Tali ricerche erano però svolte esclusivamente in setting di laboratorio e soltanto agli inizi degli anni novanta, dopo ripetute critiche, l’applicazione del biofeedback training è stata indirizzata verso setting naturali di competizione sportiva. I risultati delle prime ricerche evidenziarono le condizioni psicofisiologiche associate con prestazioni di alto livello soprattutto nell’ambito degli sport closed skill Nonostante si noti recentemente un crescente interesse da parte dei ricercatori la letteratura evidenzia quanto il biofeedback sia ancora poco conosciuto e applicato all’interno di un più ampio programma di intervento finalizzato a migliorare la prestazione atletica. Infatti l’utilizzo del biofeedback oggi non è ancora considerato parte integrante dell’ordinaria preparazione sportiva, sia mentale che fisica, perché molti atleti e allenatori non ne conoscono l’importanza e le potenzialità nei processi di allenamento. La tecnica del biofeedback permette di gestire volontariamente alcune funzioni fisiologiche, relative al sistema nervoso autonomo, che sfuggono al controllo cosciente della persona come il battito cardiaco. È possibile ottenere il controllo volontario attraverso un adeguato training di apprendimento che ha inizio con il rilassamento, per mezzo di tecniche come il rilassamento progressivo, da tempo utilizzato anche nell’ambito sportivo e di recente associato alla tecnica del biofeedback, al fine di migliorare la concentrazione degli atleti ed ottenere così prestazioni migliori. I ricercatori hanno notato come la tecnica del biofeedback garantiva significativi effetti positivi sulla gestione delle funzioni fisiologiche se affiancata dall’utilizzo del training autogeno, che permetteva di raggiungere il rilassamento ottimale, e dell’imagery che sembrava ricerche presenti in letteratura rilevano l’efficacia della tecnica del biofeedback in ambito sportivo, in particolare, la ua utilità per gestire lo stress, gli stati d’ansia, ma anche per ridurre il dolore e la fatica, e dunque migliorare la fiducia in sé degli atleti, soprattutto di alto livello, favorendo l’instaurarsi delle condizioni ottimali volte all’ottenimento della migliore
prestazione. Le tecniche di BFB (retroazione biologica) consistono nel fornire ad un soggetto, tramite un’apposita apparecchiatura elettronica per l’amplificazione dei segnali bioelettrici, un’informazione (un feedback) sensorialmente percepibile, continua ed immediata, sull’andamento di una sua funzione fisiologica (volontaria o autonoma) con lo scopo di operare una modificazione (permettere l’apprendimento di un autocontrollo) della funzione stessa. - FEEDBACK: può essere acustico (3 suoni possibili) o visivo. Durante le sessioni lo psicologo rinforza l’allenamento dell’atleta con un feedback che rileva le variazioni del canale prescelto stabilendo una soglia di riferimento. Il terapeuta ha il completo controllo dei comandi per una puntuale acquisizione dei dati e per fornire al paziente in difficoltà anche dei rinforzi di tipo“placebo”, agendo a sua insaputa, sulla soglia. - LA SOGLIA: rappresenta un valore ben preciso al di sotto del quale non esiste feedback acustico o visivo. BIOFEEDBACK E SPORT Nel campo della psicologia applicata allo sport, il BFB è una delle tecniche più efficaci per facilitare l'apprendimento dell'autoregolazione dell'attivazione; è stato riconosciuto, infatti, il grande potenziale offerto dalla psicofisiologia per la comprensione e il miglioramento della prestazione atletica. Il BFB, abbinato alle tecniche di rilassamento e/o di attivazione, può essere utilizzato con successo al fine di ottenere un apprendimento sistematico del processo di psicoregolazione, permettendo all'atleta di definire soggettivamente e affrontare attivamente le situazioni, considerandone le caratteristiche specifiche. L'utilizzo del BFB consente la realizzazione degli obbiettivi seguenti: • Controllo dell'attivazione • Riduzione dell'ansia da prestazione, del dolore e della fatica • Incremento della forza muscolare • Regolazione del ritmo cardiaco • Gestione dello stress • Ottimizzazione della performance Il BFB utilizza strumenti dotati di sensori e trasduttori (convertitori) che forniscono informazioni sullo stato di funzioni biologiche che solitamente non sottostanno al controllo volontario, quali la tensione muscolare, rilevata attraverso la lettura delle onde Elettromiografiche, la conduttanza cutanea (GSR), e la frequenza cardiaca (HR). Attraverso il BFB è possibile identificare le condizioni psicologiche dell'atleta associate sia alle prestazioni migliori che a quelle peggiori, misurare gli effetti del training autogeno, delle tecniche di rilassamento progressivo, dell'imagery e del training musicale. Le procedure maggiormente utilizzate riguardano quindi la psicoregolazione, il rilassamento, l'attivazione ("psyching-up") e l'allenamento allo stress mediante l'uso di strategie di coping BFB: i canali di applicazione
Il sistema può, simultaneamente o separatamente, mostrare sullo schermo i canali di diverse funzioni psico-fisiologiche tra cui: • frequenza cardiaca (HR) • conduttanza cutanea (GSR) • attività elettrica muscolare (EMG) LA FREQUENZA CARDIACA Prevede la misura della frequenza cardiaca dell’intervallo R-R del segnale elettrocardiografico rilevato sulle derivazioni periferiche (ad esempio mano destra-mano sinistra) o sulle precordiali. LA CONDUTTANZA CUTANEA Il modulo per la conduttanza cutanea utilizza per la rilevazione del segnale due elettrodi da applicare sulle dita della mano dominante; il metodo di rilevazione è a tensione costante. L’ATTIVITÀ ELETTRICA MUSCOLARE Per rilevare il segnale biografico occorrono tre elettrodi. Due elettrodi (rosso e verde) sono attivi ed uno neutro. Molto spesso si usa rilevare l’attività miografica del muscolo frontale, che funziona come rilevatore dello stato di tensione generale del soggetto. BFB e SPORT: procedura di preparazione alla competizione Uso del BFB computerizzato e del videoregistratore (VCR), abbinati a tecniche di rilassamento e/o attivazione per simulare le sensazioni delle situazioni di gara. Approccio a tre stadi: • PRIMO STADIO: baseline • SECONDO STADIO: l’atleta viene istruito sul BFB, impara la respirazione e come controllare in modo consapevole le sue risposte psicofisiologiche • TERZO STADIO: l’atleta impara a modificare volontariamente i propri livelli di attivazione e a mantenere questo stato per quanto lo desidera PRIMO STADIO All’inizio viene utilizzato un test di autoregolazione dell’attivazione per esaminare il livello "baseline" dell’autoregolazione prima che abbia inizio l’allenamento mentale e durante le varie fasi del programma. Dopo aver registrato la baseline psicofisiologica dell’atleta, gli viene chiesto di immaginare se stesso in uno stato di riposo e di tensione, in maniera consecutiva.
Queste prime valutazioni hanno lo scopo di rilevare le misure di psicoregolazione usate intuitivamente dall’atleta e di osservare le sue specifiche modalità di risposta. Durata: 3-4 sessioni di 18 minuti Setting: laboratorio SECONDO STADIO Lo scopo centrale del secondo stadio è rinforzare le modalità di risposta più efficaci dell’atleta al BFB e associarle alle richieste dello sport praticato insegnandogli a controllarle in modo consapevole. In questo stadio vengono introdotte tecniche come la mental imagery, il rilassamento, la respirazione, la musica e altre (Meichenbaum, 1985; Orlik e Partington, 1988; Schultz, 1970; Suinn, 1986). Lo psicologo dello sport mostra all’atleta come può rilassarsi o attivarsi (psyched-up) e come a questi stati corrispondano variazioni psicofisiologiche che vengono rilevate dall’apparato del BFB e visualizzate sullo schermo del computer. Durante le sessioni l’atleta chiude gli occhi, si concentra e viene informato del livello di rilassamento/attivazione raggiunto attraverso un feedback sonoro che rileva il canale preferenziale. Durata: il periodo per acquisire tale padronanza è lungo e individualizzato. La seduta è di 1820 minuti Setting: laboratorio TERZO STADIO In questa fase, l’atleta si prepara mentalmente ad affrontare la gara. Il materiale appreso e rinforzato dall’atleta nelle fasi precedenti, viene trasferito nei contesti di allenamento attuale (Zaichkowsky e Takenaka, 1993, consigliano l’uso del BFB portatile per aiutare gli atleti a regolare i loro stati psicofiosologici su campo). All’atleta viene chiesto di immaginare e rivivere le stesse sensazioni avute nella situazione di gara (lo stato di attivazione del pre-gara e la simulazione mentale della gara stessa). A fine sessione si chiede all’atleta di utilizzare le tecniche durante l’allenamento per poter riferire l’adeguatezza del suo stato emozionalementale per ottenere una buona prestazione. La padronanza degli stati mentali si raggiunge quando le sensazioni dell’atleta sono perfettamente coordinate ai cambiamenti delle misure psicofisiologiche. L’atleta ha imparato come controllare sia le risposte psicologiche che biologiche in situazioni di gara, attraverso la comprensione delle sue risposte corporee e dei loro cambiamenti. Durata: Il periodo per acquisire il controllo e la padronanza dei propri livelli psicofisiologici è variabile per ogni singolo atleta. Il tempo di ogni sessione è di 1820 minuti. Setting: laboratorio e su campo BFB: esercizi a casa e follow-up
Una volta manifestatisi in seduta i primi segni dell’apprendimento del controllo volontario, è necessario che il paziente completi il training con degli esercizi da svolgere a casa quotidianamente. La costante pratica di questi esercizi garantisce una buona generalizzazione di quanto appreso in seduta e riveste un ruolo rilevante nel successo della terapia. Al paziente andranno fornite semplici istruzioni e un CD da ascoltare, tendenti a metterlo in grado di riprodurre da solo, senza l’aiuto del segnale, le sensazioni e il rilassamento ottenuti in seduta. Al termine del trattamento risulta utile effettuare una serie di sedute di richiamo, con frequenza settimanale, poi quindicinale, infine mensile, per consentire al paziente di continuare ad esercitarsi con il biofeedback e di verificare e mantenere quanto è stato appreso. NOTE Setting: contesto in cui si svolge la seduta Closed skill: gli sport vengono suddivisi in open (aperte) e closed (chiuse) skill (abilità) in relazione al tipo di abilità necessarie alla prestazione Imagery: tecnica di visualizzazione Strategie di coping: strategie volte a predisporre il soggetto ad affrontare efficacemente successivi eventi stressanti BIBLIOGRAFIA 1. VARIETÀ DI APPROCCI ALL’ALLENAMENTO MENTALE (SACHS 1991; WEINBERG, 1984; WILLIAMS, 1989) 2. MIGLIORAMENTO DI PRESTAZIONE PER GESTIONE DI ANSIA/STRESS, SECONDO PRINCIPI DI PSICOLOGIA CLINICA (SMITH, 1985) 3. T. A. PROGRESSIVO (JACOBSON, 1938), T.A. DI SCHULTZ (1970), DESENSIBILIZZAZIONE SISTEMATICA (WOLPE, 1973), L’ALLENAMENTO AL MOTOR-MENTAL IMAGERY (SUINN,1986), O ALLA SOMMINISTRAZIONE DELLO STRESS (MEICHENBAUM,1985) E IL BFB (ZAICHKOWSKY E FUCHS, 1988) 4. INTERVENTI SU ATLETI CON BASSA ATTIVAZIONE/STRESS/ANSIA (DE WITT, 1980; MURPHY E WOOLFOLK, 1987; ZIEGLER ET AL., 1982) 5. “PSYCHING-UP” PER AFFRONTARE UNA SOTTO-ATTIVAZIONE (CAUDILL E WEINBERG, 1983; CAUDILL, WEINBERG E JACKSON, 1983; SHELTON E MAHONEY, 1978;TYNES E MCFATTER, 1987; WEINBERG, GOULD E JACKSON, 1980; WHELAN,
MAHONEY E MEYERS, 1991) 6. STUDI SU APPLICAZIONI (BASMAJIAN, 1989; BASMAJIAN E WOLF, 1990; DANIEL E LANDERS, 1981; LANDERS, 1985; SANDWEISS E WOLF, 1985; ZAICHKOWSKY E FUCHS, 1988) 7. IL BFB ELETTROMIOGRAFICO (EMG) PER RIDURRE GLI STATI D’ANSIA E MIGLIORARE LA PRESTAZIONE (COSTA, BONACCORSI E SCRIMALI, 1984; FRENCH, 1980; PETRUZZELLO, LANDERS E SALAZAR, 1991; WILSON E BIRD, 1981) 8. EFFETTO DI AUMENTO DEGLI INDICI FISIOLOGICI (EMG) CON TRAINING AUTOGENO (RILASSAMENTO), MENTAL IMAGERY (ECCITAZIONE) E MUSIC TRAINING, SEPARATI O ASSOCIATI A BFB (BLUMENSTEIN, BAR-ELI E TENENBAUM, 1993) 9. AFFINAMENTO DELLO STATO EMOZIONALE PERSONA-SPECIFICO DELL’ATLETA (IN LABORATORIO E IN ALLENAMENTO) (BLUMENSTEIN E ALTRI, 1993) Questo articolo è stato scritto da: Servizio di Psicologia dello Sport Istituto di Scienza dello Sport CONI - Roma (Tel. 0636859193) Umberto Manili Alberto Cei Maria Maddalena Ferrari Carlo Mozzani Maria Giuseppa Mainiero Valentina De Cecco Valentina Buzzacchino Pasqualina Maria Brancasi Laura Lo Paro Clara Brugnettini
Medicina dello sport
l’attività fisica coinvolge tutti gli apparati ed i sistemi del nostro organismo, i quali subiscono modificazioni ed adattamenti tipici, in risposta alle sollecitazioni imposte da determinati sforzi fisici. L’organo che tutti sanno viene sempre coinvolto è il cuore: il cosiddetto “cuore d’atleta” è un adattamento prodotto dall’allenamento di endurance, ossia di resistenza: consiste in un aumento di volume soprattutto del ventricolo sinistro, con una maggior quantità di sangue espulso ad ogni contrazione e, tipicamente, con una riduzione della frequenza cardiaca a riposo. Molte delle modificazioni indotte dall’attività fisica continuativa possono essere sfruttate a vantaggio della salute dell’atleta: l’attività sportiva aerobica permette di sollecitare tutto il nostro organismo (dall’apparato respiratorio a quello urinario, dal sistema nervoso a quello endocrino) a mantenere un buon livello di attività, senza esasperazioni; l’attività anaerobica permette di controllare e migliorare patologie dell’apparato osteo-muscolare; per entrambe è dimostrato un effetto positivo su stress, ansia e depressione. Esistono tre grandi patologie che traggono giovamento dall’attività fisica: l’ipertensione arteriosa, l’obesità e il diabete mellito non insulinodipendente, di tipo II°: l’attività aerobica continuativa aiuta il controllo di queste patologie, anche se praticata ai bassi ritmi eventualmente imposti dall’età o da patologie ortopediche: un’ora di esercizio aerobico tre volte alla settimana, praticato costantemente, oppure mezz’ora cinque volte alla settimana, provocano nel nostro organismo alcune modificazioni che risultano molto utili nel coadiuvare il controllo di queste patologie, ad esempio la riduzione della produzione del colesterolo LDL e l’aumento di quello HDL o il migliorato controllo della glicemia e della pressione arteriosa attraverso modificazioni dei recettori cellulari specifici: quindi il compito del medico dello sport è di consigliare a tutti coloro che presentano queste patologie, anche in fase iniziale, il giusto sport alla giusta intensità, scegliendo tra le attività aerobiche più classiche: dalla passeggiata alla corsa, dal nuoto al ciclismo, dalla semplice cyclette allo sci di fondo.
CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITA’ SPORTIVE IN RELAZIONE ALL’IMPEGNO CARDIOVASCOLARE L’esigenza di classificare discipline sportive, le più disparate, secondo criteri rispondenti a determinate finalità di tipo meramente biologico oppure operativo, si è
scontrata fin dai primi tentativi con l’obiettiva difficoltà di identificare i criteri da seguire. D’altro canto una classificazione aggiornata ed esauriente rappresenta un importante strumento operativo per il lavoro quotidiano dello specialista M.S. e del cardiologo consulente, che devono conoscere non solo organi, distretti e funzioni particolarmente impegnati nella pratica delle diverse discipline sportive, ma anche ed altrettanto bene, le caratteristiche bioenergetiche e biomeccaniche che contraddistinguono molti sport oggi noti e praticati, con particolare riferimento al rischio cardiovascolare reale od ipotetico. Classificazione Per criteri eminentemente pratici e per consentire di trovare corrispondenza tra la classificazione sostanzialmente innovativa che viene di seguito esposta e la terminologia in precedenza adottata nei protocolli COCIS 1989, le discipline descritte successivamente nel gruppo A potranno essere considerate indicative di un rischio cardiovascolare lieve, così come quelle del gruppo B2; un livello di rischio moderato potrà essere attribuito alle discipline del gruppo B1, mentre un livello di rischio da medio ad elevato potrà essere attribuito alle discipline comprese nei gruppi C, D e E che presentano tuttavia differenze sul piano delle risposte emodinamiche che possono risultare importanti in specifiche malattie o anomalie cardiovascolari ( ad es. gli sport di “pressione” nel caso dell’ipertensione arteriosa, della coartazione aortica, etc.). Queste indicazioni, è bene ripeterlo, possono essere ritenute in parte arbitrarie, e comunque soggette a possibili variazioni, ma devono essere considerate utili per ragioni eminentemente pratiche. La classificazione fornisce un’informazione “accessoria”, costituita dall’aggiunta di un primo gruppo (A) che comprende attività sportive a carattere non agonistico e che a rigor di logica esulerebbero dagli obiettivi del COCIS. Tuttavia si è ritenuto di doverla inserire alla luce del grande sviluppo che la pratica sportiva ha oggigiorno come mezzo terapeutico-riabilitativo in molte patologie cardiovascolari. A Attività sportive non competitive con impegno cardio-circolatorio minimo-moderato caratterizzato da attività di pompa a ritmo costante, frequenze sottomassimali e caduta delle resistenze periferiche: Podismo o marcia in pianura Sci di fondo Footing Pattinaggio Jogging Canoa turistica Ciclismo in pianura Trekking (non esasperato) Nuoto Golf
Caccia B Attività sportive con impegno cardiocircolatorio “neurogeno” caratterizzato da incrementi della frequenza cardiaca e non della portata, dovuto, soprattutto nelle competizioni, ad importante impatto emotivo: 1) con incrementi della FC da medi ad elevati Tuffi Motonautica Paracadutismo Vela Motociclismo Velocità Equitazione e Polo Automobilismo Ippica Aviazione sportiva Attività subacquee 2) con incrementi della FC da minimi a moderati Golf Pesca sportiva Bocce e Bowling Sport di tiro C Attività sportive con impegno cardiocircolatorio di “pressione” caratterizzato da portata cardiaca non massimale, frequenza cardiaca da elevata a massimale e resistenze periferiche da medie ad elevate: Atletica leggera velocità Eptathlon lanci e salti Bob Sci, slalom, discesa Slittino Km lanciato, sci acrobatico Ciclismo velocità e keirin Sci nautico Nuoto 50 mt Windsurf Nuoto pinnato 50 mt ap., 100 mt. Sub Tennis da tavolo Pattinaggio sul ghiaccio velocità Motociclismo, motocross
Pattinaggio a rotelle velocità Alpinismo Sollevamento pesi Free climbing Lanci Nuoto sincronizzato Salti Body building Decathlon lanci e salti D Attività sportive con impegno cardiocircolatorio da medio ad elevato caratterizzato da numerosi e rapidi incrementi anche massimali, della frequenza cardiaca e della portata, con aumento delle resistenze periferiche particolarmente evidente nelle brusche interruzioni dell’attività muscolare degli arti: Calcio Tennis Canoa Slalom Calcio a cinque Squash Football Americano Badminton Rugby Tamburello Hockey Ghiaccio Pallacanestro Arti Marziali Pallavolo Lotta Pallamano Pugilato Pallanuoto Hockey su ghiaccio Baseball Hockey su pista Softball Hockey su prato Cricket Ginnastica artistica Pattinaggio artistico E Attività sportive con impegno cardiocircolatorio elevato caratterizzato da attività di pompa con frequenza cardiaca e portata centrale e periferica massimali (condizionate nella durata dai limiti dagli adattamenti metabolici.): Atl. Leggera:400 mt, 400 mt a ostacoli, 800 mt, 1500 mt, 3000mt siepi, 5000 mt,
10000 mt, maratona, 20 Km e 50 Km marcia Canoa: 500 mt, 1000 mt, 10000 mt, maratona- tutte le imbarcazioni Canottaggio: tutte le imbarcazioni Ciclismo: inseguimento individuale e a squadre, corsa a punti, Km da fermo, linea, cronometro individuale, mountain bike (cross country e downhill) e ciclocross Decathlon: solo corsa Eptathlon: solo 100 mt, 200 mt, 400 mt, 800 mt e 1500 mt sup. Nuoto pinnato: 400 mt e 800 mt sub-200mt,400 mt, 800 mt e 1500 mt sup. Pattinaggio sul ghiaccio:500 mt, 1500 mt, 3000 mt, 5000 mt, 10000 mt Pattinaggio a rotelle: 500 mt, 1000 mt, 3000 mt, 5000 mt, 10000 mt, 20000mt Pentathlon: corsa e nuoto Sci alpino: slalom gigante-super G Sci nordico: 15 Km, 30 Km, 50 Km Biathlon (sci-tiro) Triathlon classico
Monitoraggio della frequenza cardiaca durante l'allenamento
ESEMPIO: allenarsi in bici con il cardiofrequenzimetro (CF)? Il cardiofrequenzimetro (CF) è uno strumento che attualmente viene utilizzato da oltre l’80% dei ciclisti, ad iniziare dai professionisti fino ad arrivare ai cicloamatori ed ai cicloturisti. Però molti cicloamatori, pur montando sulla propria bici il CF, non sanno come utilizzarlo al meglio. Il CF è composto da due parti: la fascia che il ciclista posiziona sul torace, ed al di sotto dei muscoli pettorali, che serve per rilevare il battito cardiaco; questo segnale elettrico viene poi inviato in telemetria (cioè senza la presenza di fili) al secondo componente del CF, che solitamente viene montato sul manubrio, il quale riceve il segnale e lo trasforma in dati numerici (battiti cardiaci al minuto). Questa componente del CF che sta sulla bici può avere associate altre funzioni utili per allenarsi, come la velocità (Km/h), il ritmo di pedalate al minuto (RPM), i Km percorsi durante l’allenamento e la media oraria. Nelle istruzioni dei CF le ditte costruttrici riportano delle tabelle per mezzo delle quali, in base all’età del ciclista, impostare le varie soglie del CF. Però senza effettuare un test per individuare la soglia anaerobica esatta, si rischia di impostare sul CF delle soglie completamente sbagliate. Seguendo l’età, le istruzioni consigliano soglie più alte per i ciclisti più giovani e progressivamente più basse per quelli più maturi. Però l’esperienza ventennale del nostro Istituto (Istituto di Medicina dello Sport di Firenze) sviluppata testando centinaia di corridori professionisti, dilettanti, juniores, donne senior e junior, e cicloamatori, ci ha insegnato che vi possono essere dei corridori giovani con la frequenze cardiache basse, ed invece ciclisti più anziani con frequenze alte (rispetto ai teorici delle tabelle). Che cosa è la Soglia Anaerobica (SA)? La SA corrisponde alla frequenza cardiaca alla quale i muscoli del ciclista iniziano ad accumulare l’acido lattico e di questo il corridore si accorge perché inizia a respirare in modo più intenso (“fiatone”) e se prima riusciva a parlare, se pur con difficoltà, con i compagni di allenamento, da questa intensità in poi non riesce più a farlo. Nei ciclisti ben allenati la SA corrisponde a circa il 90-93% della frequenza massima (es:
190 max = 171-177 SA). Invece per corridori meno evoluti la SA può essere l’85% della massima (es: 190 max = 162 SA). Perché è importante impostare il limite delle frequenze sul proprio CF in base alla SA reale? Per due ragioni fondamentali: 1. Chi usa il CF per allenarsi in sicurezza, senza oltrepassare limiti troppo impegnativi, rischia di dare molto di più di quanto potrebbe fare. 2. Chi usa il CF in maniere più “agonistica”, cioè per ottenere il massimo dal proprio allenamento, seguendo tabelle teoriche rischia o di impostare frequenze troppo alte (e di conseguenza ritmi troppo veloci per il proprio livello) o al contrario frequenze troppo basse (e conseguenti ritmi blandi). Nel primo caso il ciclista rischia di andare incontro ad una sindrome da superallenamento (stanchezza, alterazione di alcuni parametri ematici, mal di gambe e netto peggioramento delle prestazioni atletiche). Nel caso di frequenze (e velocità) troppo basse il ciclista ottiene dal proprio allenamento meno di quello che il proprio potenziale potrebbe permettergli. Quali sono i ritmi ai quali i ciclisti si devono allenare? Lento (75% della SA, es: SA 175 = Lento 131): Questo ritmo serve per riscaldarsi all’inizio dell’allenamento e per defaticarsi alla fine. È utilizzato anche negli allenamenti di scarico (ad es. il giorno precedente o il giorno dopo una gara). Lungo (85% della SA, es. SA 175 = Lungo 147): È il ritmo utilizzato in pianura durante la distanza, per lunghi periodi di tempo. Medio (90% della SA, es. SA 175 = Medio 157): Si impiega in pianura per ripetute dai 15 ai 30 minuti ed in gara per lunghi periodi. In salita quando viene fatta una salita in scarico, oppure durante le ripetute delle SFR (Salite Forza Resistenza). Veloce (95% della SA, es: SA 175 = Veloce 166): In allenamento durante le salite affrontate con ritmo brillante, ma che può essere mantenuto anche per molti minuti (20’ ed oltre). In gara in pianura durante le accelerazioni.
Soglia (100% della SA, es: SA 175): Ritmo utilizzato in allenamento, sia in pianura che in salita, proprio per migliorare la velocità di soglia. I carichi di lavoro vanno graduati bene e con incrementi progressivi durante le settimane della tabella. Si può partire con ripetute di 3 minuti fino ad arrivare a 10-12 minuti. In gara: ritmo delle cronometro e delle fughe (in pianura) e delle salite (quasi sempre). Sopra-soglia (102-104% della SA, es: 179-182): Questo è un ritmo molto impegnativo, dove i muscoli accumulano grandi quantità di acido lattico, se viene mantenuto per più di 1-2 minuti. In allenamento viene utilizzato con ripetute brevi (da pochi secondi ad un massimo di 90”), in gara più a lungo, specie nelle gare amatoriali brevi. Non se ne deve abusare durante le gran fondo perché può predisporre ai crampi, specie dei muscoli quadricipiti femorali. In conclusione Se un ciclista decide di acquistare un CF, se non lo fa per “moda”, ma vuole sfruttare al meglio le sue funzioni, deve effettuare almeno una volta un test della soglia anaerobica. La frequenza cardiaca alla SA è piuttosto stabile nel tempo, però ogni 3-4 anni (come minimo) sarebbe utile ricontrollare con un nuovo test (ogni anno, specie dopo i 35 anni di età, può diminuire di 1-2 battiti la frequenza massimale e di conseguenza anche quella della SA). Per i corridori più evoluti è utile ripetere il test anche varie volte durante la stagione agonistica perché, pur rimanendo stabile la frequenza varia la potenza della SA (solitamente espressa in Watt) ed anche pochi Watt (es.:5) in più o in meno ci danno delle indicazioni utili sul miglioramento o sul decremento della performance dell’atleta.
Metabolismo energetico nel lavoro muscolare Esiste una relazione tra intensità di esercizio e consumo di grassi, scopriamo quale. L'energia necessaria per soddisfare le richieste energetiche dell'organismo deriva in percentuale diversa dall'ossidazione di CARBOIDRATI (glucosio plasmatico e glicogeno muscolare), PROTEINE E LIPIDI (acidi grassi del tessuto adiposo e trigliceridi muscolari).I principali fattori che determinano quale di questi tre substrati energetici verrà utilizzato dai muscoli durante l'esercizio sono: TIPO DI ESERCIZIO (continuo o intermittente) DURATA INTENSITA' STATO DI ALLENAMENTO COMPOSIZIONE DELLA DIETA (stato nutrizionale del soggetto) STATO DI SALUTE DEL SOGGETTO (patologie metaboliche quali il diabete modificano l'utilizzo delle fonti energetiche)
Nell'attivita' fisica di BASSA intensita' (25%-30% di VO2 max) l'energia è fornita principalmente dal metabolismo lipidico con liberazione di acidi grassi dai trigliceridi del tessuto adiposo (diete dimagranti) mentre i trigliceridi intramuscolari ed il glicogeno non contribuiscono in maniera determinante alla produzione energetica. Consumo di grassi e glucosio in funzione dell'intensità di esercizio. Gli acidi grassi vengono trasportati nel circolo sanguigno legati ad una proteina, l'albumina, e vengono poi rilasciati nei muscoli dove costituiscono il substrato per i processi ossidativi. La massima attivazione del metabolismo di acidi grassi viene raggiunta mediamente dopo 20-30 minuti dall'inizio dell'esercizio fisico. La mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto adiposo, il successivo trasporto nel circolo sanguigno, l'entrata all'interno delle cellule e poi nel mitocondrio è infatti un processo piuttosto lento aerobico anaerobico. Inoltre, all'inizio dell'esercizio vengono utilizzati principalmente gli acidi grassi ematici e solo successivamente, quando il loro livello plasmatico diminuisce, aumenta la liberazione di acidi grassi dal tessuto adiposo. Riassumendo: SE L'ATTIVITA' FISICA E' DI BASSA INTENSITA' MA DI BREVE DURATA LIPIDI E CARBOIDRATI CONTRIBUISCONO IN EGUAL MISURA ALLA RICHIESTA ENERGETICA SE L'ATTIVITA' FISICA E' DI BASSA INTENSITA' MA SI PROTRAE PER ALMENO UN'ORA VI E' UN DEPAUPERAMENTO DELLE RISERVE DI GLICOGENO E MAGGIORE UTILIZZAZIONE DI LIPIDI CHE ARRIVANO A COPRIRE L'80% DELLA RICHIESTA ENERGETICA. La progressiva prevalenza del metabolismo lipidico nel corso di attività fisica prolungata dipende dall'assetto ormonale che si instaura: anaerobico lattacido Nella prima ora si utilizza il 50% di grassi (37% di FFA) nella terza il 70% (50% di FFA).
La miscela metabolica varia in funzione dell'intensità del lavoro muscolare: AD INTENSITA' PIU' BASSA LA PRINCIPALE FONTE ENERGETICA E' RAPPRESENTATA DAI GRASSI AD INTENSITA' PIU' ALTA L'UTILIZZAZIONE DEI GRASSI RIMANE COSTANTE, MA VI E' UN PROGRESSIVO AUMENTO DELL'UTILIZZO DI GLUCOSIO E GLICOGENO MUSCOLARE (la quantità di energia liberata dall'ossidazione dei grassi è uguale al 25% e al 75% del VO2max ). I muscoli allenati hanno una maggiore capacità di assumere FFA rispetto ai non allenati, quindi L'ALLENAMENTO CONSENTE DI RISPARMIARE LE SCORTE DI GLICOGENO L'ALLENAMENTO CONSENTE DI OTTIMIZZARE L'UTILIZZAZIONE DEI GRASSI A SCOPO ENERGETICO Substrati energetici Adattamento del muscolo scheletrico all'allenamento:
Aumenta la disponibilità intracellulare degli enzimi del ciclo di Krebs e della catena di trasporto degli elettroni Migliora il trasporto degli acidi grassi attraverso le membrane della cellula muscolare Aumenta il trasporto di acidi grassi dentro il mitocondrio (meccanismo legato alla carnitina) Aumenta il numero e la grandezza dei capillari
Aumenta il numero e la grandezza dei mitocondri Aumenta il VO2 max , quindi aumenta la disponibilità di OSSIGENO che è IL FATTORE LIMITANTE DELL'UTILIZZO DEGLI ACIDI GRASSI A SCOPO ENERGETICO L'allenamento di tipo aerobico consente quindi una maggiore liberazione di ATP dalla βossidazione ed aumenta la resistenza della cellula indipendentemente dalle scorte di glicogeno.
Nell'attività fisica di MEDIA O MODERATA intensità (50%-60% VO2max) si riduce il ruolo degli acidi grassi plasmatici e aumenta l'energia derivante dall'ossidazione dei trigliceridi muscolari fino a pareggiare il conto tra queste due fonti (N.B: si riduce il contributo percentuale degli acidi grassi ma in termini assoluti rimane costante). Nella transazione da riposo a lavoro submassimale la maggior parte dell'energia è fornita dal glicogeno muscolare analogamente a quanto avviene nel lavoro ad alta intensità; nei successivi 20 minuti il glicogeno di origine epatica e muscolare fornisce il 40-50% dell'energia mentre il resto viene garantito dai lipidi con un piccolo contributo delle proteine. Col passare del tempo durante un esercizio di intensità moderata si manifesta: deplezione di glicogeno, diminuzione del livello di glucosio ematico ed aumento dei trigliceridi, aumentato catabolismo proteico per coprire il fabbisogno energetico. Il glucosio plasmatico diventa quindi la principale sorgente energetica per quanto riguarda i carboidrati ma la maggior parte di energia è fornita dai lipidi. Se l'esercizio si protrae a lungo il fegato non è più in grado di immettere in circolo glucosio sufficiente a soddisfare le richieste muscolari e la glicemia scende (addirittura di 45 mg/dl durante 90min di esercizio strenuo). La fatica si manifesta quando c'è deplezione estrema di glicogeno nel fegato e nel muscolo indipendentemente dalla disponibilità di ossigeno a livello muscolare.
L'attività fisica di ELEVATA INTENSITA' (75-90% del VO2MAX) non può essere protratta per oltre 30-60 minuti anche nei soggetti allenati. Dal punto di vista fisiologico si ha liberazione di catecolamine, glucagone ed inibizione della secrezione di insulina. L'assetto ormonale che si instaura stimola la glicogenolisi epatica e muscolare. Metabolismo energetico. Durante questo tipo di attività il 30% della richiesta energetica è coperta dal glucosio plasmatico, mentre il rimanente 70% è coperto per la maggior parte da glicogeno muscolare (1 ora di attività porta alla deplezione del 55% delle scorte, 2 ore azzerano sia il glicogeno muscolare che quello epatico). INOLTRE L'ELEVATA RICHIESTA ENERGETICA CAUSA L'AUMENTO DELLA PRODUZIONE DI ACIDO LATTICO CHE SI ACCUMULA NEL MUSCOLO E NEL SANGUE INIBENDO LA LIPOLISI NEL TESSUTO ADIPOSO. CONCLUSIONE: il fattore limitante della prestazione sportiva è la disponibilità di ossigeno. In condizioni di scarsa ossigenazione il glucosio, insieme alle riserve di fosfati muscolari è l 'unica fonte energetica utilizzabile. La glicolisi anaerobica ha un rendimento di 20 volte inferiore rispetto alla glicolisi aerobica e causa la produzione di acido lattico un metabolita responsabile della fatica muscolare. Ad un determinato carico di lavoro più è alto il VO2 max e più alto sarà il contributo dei grassi nel metabolismo energetico. Un allenamento che migliora il VO2max aumenta pertanto anche la capacità di utilizzare i grassi come fonte energetica primaria.
Bibliografia • Bal Filoramo, L. (a cura di) (2004) Esperienze di formazione in psicologia dello sport, CELID, • Bernardi, E.; Grauso, A. (2010) "La psicologia dello sport nell'età evolutiva", Edizioni Kappa. • Chevallon, S. (2007) La preparazione psicologica dello sportivo, De Vecchi, • Cosmai, M. (2005) Psicologia e mondo dello sport, CLUEB, • Giovannini, D.; Savoia, L. (2002) Psicologia dello sport, Carocci, • Guicciardi, M. (a cura di) (2003) Psicologia dello sport. Metodi e tecniche di ricerca, Guerini Scientifica, • Terreni, L.; Occhini, L. (2000) Psicologia dello sport. Aspetti sociali e psicopatologici, Guerini Scientifica, • Lodetti,G; Ravasini, C. (1990) Aspetti psicoanalitici dell'attività sportiva" , Ghedini Editore Milano
INDICE Sport e motivazione
pg 1
Preparazione mentale
pg5
La psicodiagnostica
pg6
Pensiero positivo
pg 9
Goal Setting
pg 10
Training propriocettivo
pg 11
Concentrazione
pg 12
Rilassamento
pg 13
Visualizzazione
pg 14
Self-talk
pg 16
Allenamento ideomotorio
pg 17
Autonomizzazione delle strategie
pg 19
Biofeedback nella psicologia dello sport
pg 20
Medicina dello sport
pg 28
Monitoraggio della frequenza cardiaca durante l'allenamento
pg 34
Metabolismo energetico nel lavoro muscolare
pg 38
Bibliografia
pg 43