Progetto “CASA RAPHAEL” Anno 2009 CASA ALLOGGIO AD ALTA INTEGRAZIONE SANITARIA Struttura residenziale extra-ospedaliera di assistenza alle persone affette da HIV/AIDS ai sensi della Deliberazione della Giunta Regionale n. VII/20766 del 16 febbraio 2005
Associazione Comunità “Emmaus” Onlus - Casa “Raphael” - Via Calvarola, 2 Torre Boldone (BG) tel. 0354124386 e-mail:
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1. BREVE STORIA
Casa Raphael è una struttura realizzata e voluta dalla Diocesi di Bergamo e dal Vescovo Roberto Amadei come segno concreto del proprio impegno a fianco delle persone malate di AIDS. Il progetto è stata affidato all’Associazione “Comunità Emmaus” che gestisce due Case di Accoglienza per malati di AIDS (oltre a Casa Raphael inaugurata nel 1999, Casa San Michele, aperta nel 1989). L’Associazione promuove inoltre progetti di reinserimento sociale, abitativo e lavorativo, un servizio socio-educativo di assistenza ospedaliera e domiciliare rivolto a minori sieropositivi e/o malati di AIDS, denominato Progetto “Vivere al Sole” e spazio di ascolto rivolti a persone sieropositive. Casa Raphael si configura come “struttura ad alta integrazione sanitaria” per malati di AIDS ed è orientata all’accoglienza e all’accompagnamento di persone in AIDS conclamato anche nella fase terminale della malattia.
2. PREMESSA
Il territorio di Bergamo presenta un significativo numero di casi di persone in HIV e AIDS. Date le problematiche sociali e culturali legate alla persistente paura dell’AIDS, per tutte queste persone non è facile vivere “normalmente” la propria vita: spesso, diventa necessario un aiuto, ma non è semplice rivolgersi ai servizi territoriali.
Altri aspetti del fenomeno AIDS necessitano di essere sottolineati: •
L’AIDS è costantemente “cambiata” dalla sua comparsa, verso la fine degli anni 80, ad oggi: i progressi scientifici in campo farmacologico e terapeutico sono stati importanti e hanno ampliato notevolmente le aspettative e le prospettive di vita delle persone sieropositive.
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L’assunzione delle terapie (tempi, modi, quantità, effetti collaterali) e la cosiddetta “compliance terapeutica” mettono in discussione il rapporto medico-paziente e la libertà di scelta delle persone, coinvolgendo in un compito di sostegno non sempre facile familiari, educatori e volontari. 2
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È diminuito il numero di nuovi casi di AIDS in Italia (attestato attorno a 1500/1800 all’anno), anche se i dati sul numero dei nuovi contagi continuano a destare preoccupazioni: si evidenzia, infatti, un crescente numero di infezioni in persone “normali” che si contagiano prevalentemente per via sessuale. Spesso si tratta di persone che non erano a conoscenza della propria sieropositività e di conseguenza non si sono mai curate e possono aver più o meno “inconsapevolmente” assunto comportamenti a rischio e aver infettato altre persone. L’impatto con la malattia in questi casi è improvviso ed ancor più problematico sia dal punto di vista sanitario, che da quello psicologico, familiare e sociale.
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A fronte di tutto ciò, resta significativo il numero delle persone che, nonostante i progressi delle terapie, si ammalano. Allo stesso modo, rimane significativo il numero di persone che muoiono a causa dell’AIDS. Questa situazione può avere diverse interpretazioni: da un lato, molte persone non tollerano o rifiutano la terapia, dall’altro, molti scoprono tardi l’infezione, quando ormai si sta sviluppando la malattia, infine, vi sono casi in cui la terapia mostra dei limiti oppure gli stessi effetti collaterali e tossici delle terapie provocano conseguenze particolarmente gravi e, a volte, mortali soprattutto in persone con co-infezioni come quella da epatite C o con tumori.
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La situazione mondiale dell’HIV permane drammatica, soprattutto in Africa e nel sud est asiatico, ma anche in nazioni dell’est Europa come la Romania e la Russia. È una sfida culturale ed economica che si inserisce nel tema più ampio del divario tra paesi ricchi e paesi poveri o in via di sviluppo. Ma vi sono delle conseguenze dirette anche per il nostro territorio: è in aumento il numero delle singole persone e famiglie, soprattutto di origine africana e sud americana, spesso senza permesso di soggiorno, che si rivolgono ai servizi sanitari nazionali per problemi legati alla sieropositività o alla malattia, con notevoli difficoltà di comunicazione e di comprensione. Si ha a che fare con stili di vita e modelli culturali diversi e complessi. Si aprono questioni importanti legate al tema del diritto alla salute, del ruolo dei servizi pubblici, del significato della cura e dell’importanza della prevenzione.
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3. DESTINATARI
A partire dal contesto sopra descritto, i destinatari principali di Casa “Raphael” restano, ad oggi, persone in AIDS conclamato, con patologie opportunistiche più o meno gravi, in diversi casi parzialmente o totalmente non autosufficienti, allettate e bisognose di assistenza continuativa. Buona parte dei soggetti segnalati presentano situazioni particolarmente compromesse dal punto di vista sanitario e con margini di recupero limitati: rimane significativa, tra essi, la percentuale delle persone che necessitano di essere accompagnate il più dignitosamente possibile nella fase terminale della malattia. Contemporaneamente, si sta assistendo alla cronicizzazione di numerose e pregresse storie d’uomini e donne che, pur potendo giovare del beneficio delle terapie non hanno risolto i problemi personali, sociali e/o familiari e necessitano di essere supportati verso un sufficiente livello di capacità d’autocura e di autonomia. Rimane significativo, infatti, il numero di situazioni che, non trovando risposte alternative sul territorio, sono segnalate dalle istituzioni soprattutto per problematiche di tipo relazionale e sociale che compromettono la continuità della cura e la corretta assunzione delle terapie con conseguenti ricadute sul piano fisico e sull’evoluzione negativa della malattia. Accanto a ciò, si rileva un graduale aumento delle situazioni di “normalità”, almeno fino alla scoperta della malattia che genera fratture e grosse difficoltà nel contesto familiare ed amicale. Una parte significativa delle richieste di accoglienza riguarda persone di origine extracomunitaria che spesso non hanno reti familiari ed amicali di supporto, frequentemente sono prive del permesso di soggiorno e presentano situazioni sociosanitarie gravemente compromesse.
4. OBIETTIVI
A partire dal quadro di bisogno sopra descritto, “Casa Raphael” orienta il proprio impegno nell’assistenza a malati con significative compromissioni dovute alle patologie AIDS correlate e/o con situazioni familiari e relazionali compromesse e particolarmente fragili.
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La struttura è quindi luogo di accoglienza, di assistenza e cura per il tempo che la persona malata e la sua famiglia, quando presente e coinvolgibile, richiedono. Le modalità di assistenza sono diversificate e adattate alle diverse situazioni che richiedono un aiuto: la casa si configura come struttura ad alta integrazione sanitaria dove l’obiettivo primario diventa il curare la qualità di vita della persona indipendentemente dalla quantità di vita attesa. Ciò che assume priorità è la capacità di accoglienza di persone profondamente provate dai sintomi che la malattia comporta (dolore, difficoltà di movimento, inappetenza, ecc.) e dalle fragilità psicologiche e relazionali che essa implica. Alcuni ospiti richiedono di essere accompagnati il più serenamente possibile alla morte, altri di essere sostenuti, nei limiti del possibile, in percorsi di recupero fisico e psicologico e di reinserimento sociale. L’obiettivo è quindi duplice: da un lato, Casa Raphael intende garantire un adeguato e competente approccio sanitario alle patologie di cui la persona è portatrice nelle diverse fasi della malattia, dall’altro, la struttura propone uno spazio educativo e relazionale dentro cui valorizzare le capacità e competenze di ogni ospite, anche se residue e marginali, e dei suoi familiari.
5. COSA OFFRE
Più dettagliatamente, nel valutare le richieste d’inserimento, Casa Raphael si propone di: • accogliere persone malate di AIDS in fase terminale, intervenendo su quanto provoca sofferenza e cercando di rispondere concretamente ai bisogni manifesti e non, con l’obiettivo di accompagnare la persona ad una morte dignitosa, riconoscendo la fase terminale della vita come un processo naturale che non deve essere accelerato né rallentato; • offrire a persone malate di AIDS un luogo in cui poter recuperare fisicamente e psicologicamente dopo fasi di acuzie della malattia e di ricovero ospedaliero nella prospettiva di un reinserimento presso i propri contesti di origine; • accogliere persone malate di AIDS la cui situazione familiare e sociale siano particolarmente compromesse e necessitino di un luogo in cui provare a recuperare il
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senso della propria esistenza e il desiderio di prendersi cura di sé ed intraprendere, se possibile, percorsi di reinserimento sociale ed abitativo; • sostenere il processo di accettazione della malattia e la compliance terapeutica attraverso la valorizzazione delle risorse personali e il recupero del senso della propria esistenza con e nonostante l’AIDS; • sostenere e coinvolgere attivamente la famiglia, anche e soprattutto in condizioni di fragilità, attraverso il coinvolgimento fisico negli atti e nelle metodiche di assistenza quotidiana e l’offerta di sostegno psicologico ed affettivo; • coinvolgere nei progetti di assistenza individuali i servizi sanitari e socio-sanitari e gli altri soggetti e realtà presenti sul territorio (medico di famiglia, parrocchie, gruppi di volontariato, vicini di casa, altre case alloggio) nell’ottica della collaborazione e dell’integrazione e in prospettiva dell’eventuale reinserimento sociale; • offrire un contesto di vita improntato allo stile di comunità entro cui le storie individuali si incrociano le une con le altre, in un processo di reciprocità e di crescita nella dimensione di gruppo oltre che di quella individuale; la comunità diventa luogo in cui sperimentare relazioni positive che possono facilitare l’accettazione dei propri vissuti e rafforzare le capacità individuali.
Oltre le necessità di cura dei bisogni fisiologici, le persone accolte manifestano, quindi, evidenti necessità di soddisfacimento d’alcuni bisogni superiori (amore-stima-affettocapacità di autocura): in ogni caso in cui è possibile, si cerca di favorire il rapporto con i familiari e amici per dare senso, valore e significato al periodo di vita che le persone trascorrono in casa alloggio. La famiglia, che pure ha bisogno di sostegno, rappresenta pur sempre il mondo degli affetti e può diventare la risorsa più adatta sia per l’ospite “nell’attesa della morte” che, ancor più, per coloro che, eventualmente, riusciranno a recuperare la capacità di provvedere almeno parzialmente a se stessi. Laddove non è possibile coinvolgere la famiglia o gli amici, Casa Raphael offre, anche grazie al coinvolgimento dei volontari e delle risorse territoriali, un contesto di vita il più possibile ricco di relazioni affettive calorose.
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6. PERSONALE
A tutte le persone che operano a Casa Raphael è richiesta una profonda motivazione e l’adesione ai principi di fondo della struttura e dell’Associazione Comunità Emmaus. Coerentemente con gli obiettivi e le metodologie operative, nella struttura operano personale educativo, personale di assistenza socio-sanitaria, personale infermieristico e medico, per il tempo necessario richiesto dalle cure personalizzate. Una figura importante è quella dell’assistente spirituale che offre lo spazio per la rielaborazione dei propri vissuti e la ricerca del senso delle proprie esperienze di vita. Ad integrazione del personale professionale, sono inoltre presenti animatori ed educatori volontari per la socializzazione e le attività di gruppo.
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METODOLOGIA DI LAVORO
Il progetto prevede la “presa in carico” dell’uomo e del suo mondo vitale. Lo si vuole affiancare e accompagnare, attraverso un piano assistenziale personalizzato, in un percorso che prevede trattamenti sanitari, educativi, psicologici e di risocializzazione. Le diverse figure professionali che operano presso la struttura utilizzano come strumento privilegiato di lavoro l’equipe multidisciplinare per la definizione, gestione e valutazione dei progetti assistenziali ed educativi personalizzati. L’assistenza all’ospite sarà guidata da tre criteri: 1.
il criterio principale sarà quello della globalità; con questo termine si intende indicare l’attenzione costante sia a tutte le dimensioni dell’individuo che a tutte le tappe della sua esistenza. Si è convinti che la promozione vada oltre il superamento degli aspetti deficitarii e il soddisfacimento di particolari bisogni e che non ci sono tempi inutili per favorire la pienezza della vita della persona. Criterio guida nell’elaborazione e attuazione del piano promozionale della persona in cura sarà il rispetto e la valorizzazione di tutto ciò che costituisce la sua individualità: la sua storia e il suo vissuto, la sua condizione attuale coi suoi limiti, la sua cultura e il suo ambiente familiare e sociale;
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il criterio della gradualità impegna tutti a rispettare le varie situazioni dell’uomo commisurando di volta in volta gli interventi
in proporzione all’età, ai ritmi, alle
forze e alle prospettive di vita di ciascuno, e dedicando il tempo e la pazienza necessari perché le varie proposte siano adeguatamente e gradualmente accolte e fatte proprie;
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questi criteri sono poi integrati con quello della continuità, per cui il lavoro sarà portato avanti nella quotidianità, cercando di evitare tempi vuoti e sbalzi.
Tutto ciò è orientato dalla necessità di creare le condizioni perché il soggetto abbia la possibilità di vivere pienamente e serenamente il tempo a disposizione, tanto o poco che sia, valorizzando soprattutto gli aspetti relazionali. In alcuni casi, il tempo è quello verso la morte, in altri verso il recupero della maggior autonomia possibile, premessa indispensabile per il rientro nella propria comunità. Il progetto personalizzato, oltre ai riferimenti valoriali generali, racchiude un intervento riabilitativo ed educativo centrato sulla quotidianità, sulla vita di comunità propria della casa e sulla costruzione delle premesse per il rientro nel proprio contesto di vita.
8. ITER DI ACCOGLIENZA
Coerentemente con le modalità stabilite dalla normativa regionale:
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La proposta di inserimento presso la struttura deve essere inviata dall’ente o servizio segnalante all’organo competente del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL di appartenenza del soggetto interessato.
2.
Tale organo, recepita la necessaria documentazione sociale e sanitaria, valuta la richiesta compilando la scheda regionale (scheda AIDASS), definisce un’ipotesi di piano di assistenza, comprensivo di tempi di attuazione e di verifica, e richiede formalmente l’inserimento presso la struttura.
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3.
L’equipe della struttura valuta la proposta di inserimento, corredata dalla documentazione sociale e sanitaria ritenuta necessaria, e il piano di assistenza proposto, incontra il soggetto segnalato ed, eventualmente, i suoi familiari.
4.
L’equipe decide in merito all’accoglienza, sulla base della disponibilità di posti e della compatibilità con la situazione delle persone presenti al momento presso la struttura e, in caso positivo, definisce il progetto assistenziale individualizzato.
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Viene effettuato l’inserimento secondo il progetto assistenziale individualizzato che verrà sottoposto alle revisioni periodiche previste.
9. PROGRAMMAZIONE E VERIFICA
Servizio e progetto richiedono interventi molteplici di programmazione e di verifica con gli operatori e con i volontari. È previsto un momento di programmazione settimanale che coinvolge l’equipe di coordinamento degli operatori (educatori, caposala, responsabile) ed è finalizzata alla programmazione delle attività individuali e di gruppo e alla valutazione progetti personalizzati. Tale momento, quando ritenuto necessario può prevedere l’integrazione di altre figure professionali dei servizi di competenza e appartenenza. Oltre a ciò, sono previsti momenti strutturati di verifica e supervisione con cadenza quindicinale che coinvolgono l’equipe di coordinamento e la figura dello psicologo per valutare la congruenza dei progetti personalizzati e dell’attività svolta con le finalità e gli obiettivi generali e specifici della struttura. Tutto il personale è coinvolto in una incontro mensile di verifica del lavoro svolto e di condivisione e confronto sui progetti educativi e sulle modalità operative e di presa in carico. Per i volontari, sono proposti incontri mensili di verifica e di formazione, in cui vengono rappresentate ed affrontate le esperienze sperimentate, le difficoltà, le opportunità. A ciascuno è offerta la possibilità di momenti di verifica individuali con la figura dello psicologo.
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10. FORMAZIONE
Il gruppo degli operatori e dei volontari, come anticipato sopra, è costituito da figure professionali e non. Le figure professionali hanno già seguito o stanno seguendo percorsi formativi di base e specialistici, ed ognuno, naturalmente, può essere in grado di rispondere, almeno in parte, alle necessità della persona assistita secondo le proprie competenze e la propria esperienza. Ai volontari, proprio per definizione, non sono richieste abilità specifiche bensì competenze umane e motivazionali particolari che si esplicano nell’impegno costante presso la struttura. L’accento sulla motivazione deve essere posto anche per gli operatori: infatti, la motivazione iniziale deve essere sempre alimentata poiché il coinvolgimento emotivo e psicologico può avere il sopravvento sulle competenze e portare l’operatore, in breve tempo, alla demotivazione e al burn-out. Pertanto, tra le attenzioni che l’Associazione “COMUNITA’ EMMAUS” rivolge agli operatori e ai volontari la formazione permanente occupa una posizione prioritaria. Per raggiungere questo obiettivo, l’Associazione propone un piano formativo annuale che prevede la realizzazione di percorsi formativi interni e la partecipazione iniziative promosse da altri enti (ASL, Università, Caritas, ecc.). Accanto alla formazione su tematiche sanitarie e socio-educative correlate al tema dell’HIV/AIDS, agli operatori e ai volontari sono proposti momenti formativi finalizzati alla condivisione del modello organizzativo e dei principi che ispirano l’Associazione.
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RAPPORTI DI COLLABORAZIONE
Si intrattengono rapporti di collaborazione ed integrazione con tutti gli Enti e le Istituzioni che s’interessano dell’AIDS e delle condizioni di “terminalità” dell’uomo. In particolare con: •
la Diocesi di Bergamo, ente a cui appartiene la struttura e cotitolare del progetto e della “filosofia” che lo sostiene;
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la Caritas Diocesana che partecipa alla supervisione del progetto e favorisce la discussione dei bisogni correlati all’evoluzione dell’AIDS;
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gli Ospedali Riuniti di Bergamo e altri ospedali di provenienza dei soggetti presi in carico per i trattamenti diagnostici e terapeutici, presso cui sono eseguiti tutti gli accertamenti richiesti ed i trattamenti che non sono resi possibili dalle condizioni od attrezzature della casa;
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l’ASL per tutti gli aspetti correlati alle accoglienze, le varie certificazioni sanitarie, per la scelta e revoca del medico, per le visite d’invalidità, per le questioni legate alla tossicodipendenza;
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i Comuni ed gli altri Enti Locali Territoriali di provenienza del soggetto accolto;
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la Parrocchia di Torre Boldone con l’impegno assiduo e prezioso del parroco nella celebrazione dei sacramenti e dei momenti forti dell’anno liturgico e il coinvolgimento dei volontari;
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il CICA (Coordinamento Italiano Case Alloggio) e il Coordinamento Regionale delle Case Alloggio per malati di AIDS, per scambio d’esperienze ed informazioni riguardo dati statistici, modalità organizzative, processi d’accreditamento, modelli assistenziali.
12. RAPPORTI DI CONVENZIONE
La delibera della Giunta della Regione Lombardia n VII/20766 del 16 Febbraio 2005 ha ridefinito le modalità dei rapporti convenzionali delle Case Alloggio e i dei servizi diurni. La convenzione in essere, rinnovata nel 2009, definisce i rapporti tra i soggetti che erogano assistenza nell’ambito AIDS, gli standard organizzativi, strutturali e gestionali, le modalità e i criteri di accoglienza e le modalità di sostegno economico dell’assistenza.
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