Processi di innovazione e fattori di competitività nei cluster internazionali della nautica GUIDO BORTOLUZZI* ANDREA TRACOGNA**
Abstract Il paper si propone di sviluppare sul piano teorico e di dare una prima applicazione empirica ad un modello di analisi dei cluster che contribuisca alla spiegazione del rapporto esistente tra le caratteristiche dei contesti locali e la natura dei processi di innovazione. Il framework adottato cerca di superare la proliferazione di approcci esplicativi alla materia e di collocare entro uno schema interpretativo unitario le diverse variabili di contesto che stanno alla base delle performance innovative e competitive delle imprese. La ricerca empirica, che si è focalizzata su cinque cluster nautici di assoluta eccellenza internazionale, ha consentito di mettere in evidenza lo stretto rapporto tra le basi di conoscenza in essi prevalenti e l’ampiezza dei processi di innovazione realizzati, nonché la varietà dei possibili percorsi di emergenza della governance di sistema e l’impatto di questa sulle performance del cluster e le sue dinamiche evolutive. Parole chiave: cluster, distretti, RIS, innovazione, nautica, governance In this paper we develop a theoretical framework aimed at providing a thorough explanation of the relationship between local contexts and firm innovation. After summarizing the main theoretical approaches on localized innovation, we combine their major variables into a unique framework and use it in order to analyze five world-class boat-building clusters. Among our most noteworthy empirical findings, we found a relationship between the prevailing knowledge bases of the clusters and the scope of innovation processes. Further, we found that different governance systems have different impact on the cluster’s performance and dynamics. Key words: clusters, districts, RIS, innovation, boat-building, governance
1. Il rapporto tra innovazione e fattori di contesto nella letteratura economico-manageriale Tramontato il mito della grande impresa del primo capitalismo, capace di governare internamente i processi di innovazione, dalle attività di ricerca di base alla *
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Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Trieste e-mail:
[email protected] Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Trieste e-mail:
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sinergie n. 84/11
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commercializzazione di nuovi prodotti sul mercato, è oggi opinione ampiamente condivisa che i processi d’innovazione si realizzino entro filiere ampie, articolate e complesse, popolate da una pluralità di attori economici e non economici, con una forte connotazione territoriale, che ne influenza le caratteristiche e i risultati (Malmberg e Power, 2005; Von Hippel, 1994; Storper e Venables, 2004). Tra le prospettive di ricerca che hanno fornito dei contributi significativi in questa direzione e, in particolare, che hanno approfondito la relazione tra fattori di contesto e competitività delle imprese spiccano le seguenti: - la prospettiva dei distretti industriali marshalliani, - la prospettiva dei cluster à la Porter, - la prospettiva dei sistemi regionali di innovazione (Regional Innovation Systems - RIS). La letteratura distrettuale (Becattini, 1979 e 1989; Bellandi, 1982; Brusco, 1982; Piore e Sabel, 1984) ha fornito una spiegazione convincente delle determinanti contestuali della competitività delle piccole e medie imprese, segnalando come i vantaggi dell’organizzazione distrettuale siano da ricondursi a una serie di economie esterne che il distretto è in grado di offrire alle imprese ivi insediate. Tra queste ricordiamo: ‐ la prossimità spaziale, che accorcia i tempi della produzione, riduce i costi della logistica e favorisce lo sviluppo di relazioni di fiducia tra gli imprenditori (con conseguente abbattimento dei costi di transazione); ‐ l’elevata divisione del lavoro, che ottimizza l’utilizzo della capacità produttiva disponibile a livello sistemico; ‐ la presenza di un mercato del lavoro locale fortemente qualificato nelle specializzazioni e ad elevata mobilità; ‐ la rapida circolazione di informazioni a livello inter-organizzativo. Se il rapporto tra distretti e competitività appare sostanzialmente condiviso all’interno della comunità scientifica, non altrettanta uniformità di vedute è rintracciabile in merito al rapporto tra distretti e innovazione. La principale fonte di disallineamento risiede nel fatto che le teorie e le metriche tradizionali dell’innovazione sembrano avere solo scarsa applicabilità per le imprese distrettuali. Se si assumono, ad esempio, gli indicatori di brevettazione quali proxy della loro capacità innovativa, si finisce per concludere che le imprese distrettuali presentano solamente una modesta, o comunque non significativa, propensione all’innovazione (vedi, ad esempio, Camagni e Capello, 1999; Santarelli, 2006). In realtà, come diversi studiosi non hanno mancato di osservare, la brevettazione costituisce solamente l’output più evidente del processo di generazione di nuova conoscenza, quello che si conclude con la codificazione degli esiti economicamente più rilevanti. Esistono però ulteriori modalità di generare conoscenza che sono meno manifeste e che quasi mai giungono al varco della codificazione. A sostegno di tale ragionamento viene spesso scomodata la distinzione avanzata da Polanyi (1967) tra conoscenza esplicita (come quella brevettuale) e conoscenza tacita (tipicamente, il know-how).
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In particolare, la conoscenza tacita presenta la particolarità di richiedere una qualche diretta interazione tra i soggetti per poter essere trasferita. Pertanto essa tende a spostarsi più rapidamente nelle aree distrettuali grazie (1) ai frequenti rapporti di collaborazione verticale tra fornitori e clienti, (2) all’elevata mobilità inter-aziendale delle risorse umane e (3) all’elevato grado di “socializzazione” all’interno della comunità distrettuali e delle relative sotto-comunità (imprenditori, operai, agenti, designer, ecc.). Tali elementi sono comunemente riconosciuti come cause dei processi di spillover di conoscenza che caratterizzano proprio le aree distrettuali. Secondo Audretsch (1998) la propensione delle attività innovative ad organizzarsi spazialmente (all’interno di cluster) è maggiore in quei settori nei quali la conoscenza tacita gioca un ruolo rilevante. In effetti, in molte delle specializzazioni produttive distrettuali le conoscenze tacite assumano un ruolo prevalente, o comunque più critico in senso strategico, rispetto a quelle esplicitabili. In definitiva, la letteratura distrettualista delinea un modello di innovazione basato fondamentalmente sul trasferimento tacito di informazioni e conoscenze tra individui (e imprese) e sulla generazione di innovazioni di tipo prevalentemente incrementale. Dal canto loro, i cluster sono delle concentrazioni geografiche di imprese e istituzioni, tra loro interconnesse, operanti in un particolare campo di attività economica (Porter, 1998). Essi rappresentano, quindi, un ambito di analisi “allargato” rispetto a quello dei distretti marshalliani, perché mette in evidenza la presenza ed il ruolo svolto dagli attori non economici e dagli operatori appartenenti a settori e industrie complementari e di supporto. L’analisi dei cluster suggerisce inoltre un ampliamento del campo di osservazione, che nella prospettiva distrettuale rimane spesso focalizzato sullo studio delle relazioni verticali di filiera (relazioni di subfornitura) elidendo, tra l’altro, il ruolo dei consumatori nel guidare i processi di innovazione delle imprese così come l’importanza dei settori e delle filiere attigue. Ma qual è il contributo che la prospettiva dei cluster dà alla spiegazione dei fenomeni di innovazione d’impresa? Il successo di un cluster e delle imprese che vi operano è fondato sulla molteplice combinazione dei quattro fattori che compongono il cd. “diamante” (Porter, 1990): la disponibilità di input; le condizioni relative alla domanda; il contesto competitivo; la presenza di settori e industrie correlate e di supporto. È in relazione alla articolazione interna del cluster nei suoi sistemi componenti e alla presenza dei fattori del “diamante” che verrebbero dunque a determinarsi le performance competitive e innovative di un cluster. Sempre secondo Porter (1998) l’appartenenza ad un cluster può comportare notevoli benefici per un’impresa, influenzandone il potenziale competitivo a tre livelli: 1. agendo sulla produttività dei fattori utilizzati, 2. indicando le direzioni e il tasso di innovazione, 3. stimolando lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali. È chiaro che gli aspetti più rilevanti ai fini del nostro discorso sono soprattutto il secondo e il terzo. In tal senso, secondo Porter sono spesso le istanze e i bisogni dei
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clienti e dei fornitori locali a stimolare l’innovazione e l’avvio di nuovi progetti imprenditoriali, mentre la prossimità spaziale ed i legami “densi” tra le imprese velocizzano e rendono più efficienti i flussi informativi che trasferiscono la conoscenza tra le imprese e tra istituzioni (università, centri di ricerca, centri di trasferimento tecnologico, fornitori di servizi avanzati, ecc.) e imprese. L’interesse per la prospettiva dei cluster non è soltanto legata al suo potenziale analitico, ma anche alla sua valenza come strumento di pianificazione dell’intervento pubblico sul territorio. Recentemente, infatti, attorno ai cluster si sono avviate molteplici esperienze di pianificazione dello sviluppo dei sistemi locali. Si è passati cioè da un approccio che considera il cluster come un mero strumento di analisi del territorio, ad approcci più ambiziosi, che vedono nel cluster un vero e proprio strumento di sviluppo locale, quando non addirittura una entità organizzativa a sé stante, con il compito di organizzare le relazioni tra gli attori del sistema. Entro quest’ultima prospettiva, che ha trovato una più puntuale definizione entro la cornice dei sistemi regionali di innovazione, assume particolare importanza il ruolo del decisore politico, che agisce come vero e proprio “meta-organizzatore” del cluster (Antonelli, 2003), definendo i ruoli e le funzioni degli attori, stabilendo regole di comportamento, sostituendosi agli attori assenti o accelerando il ricambio di quelli inadeguati all’assolvimento dei compiti assegnati, stimolando il dialogo e incoraggiando le dinamiche relazionali, costruendo, inoltre, i legami necessari per consentire lo sviluppo di processi collaborativi di innovazione e la genesi di nuova conoscenza e di nuovi comportamenti competitivi. È ancora dunque al punto di incontro tra innovazione e localizzazione che incrociamo il concetto di sistema regionale di innovazione (RIS) che ha trovato (e che trova tuttora) larga diffusione soprattutto all’interno di una comunità internazionale di studiosi di estrazione prevalentemente economica (Dosi et al., 1988, Lundvall, 1992; Asheim e Isaksen, 2002; Doloreux e Parto, 2005). Diversamente dal distretto industriale e dal cluster, il concetto di RIS non può vantare delle definizioni comunemente accettate in letteratura. Ad ogni modo, come osserva Doloreux (2003): “it is usually understood as a set of interacting private and public interests, formal institutions and other organizations that function according to organizational and institutional arrangements and relationships conducive to the generation, use and dissemination of knowledge”. L’aspetto più evidente connesso alla definizione del perimetro concettuale del RIS è l’importanza solamente relativa assunta dalle imprese all’interno del ragionamento complessivo. Un RIS si popola, infatti, di molteplici attori - quali università, centri di ricerca, agenzie di trasferimento tecnologico, enti di formazione - appartenenti alla medesima filiera di produzione della conoscenza, che affiancano e supportano sinergicamente le imprese nei loro processi di innovazione. Di regola, il tutto avviene sotto la regia comune di un’organizzazione pubblica che funge da coordinatore (e talvolta da promotore) dei processi di innovazione localizzata e comunque di un insieme di regole condivise benché non codificate.
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I processi di innovazione osservati nei RIS risultano in parte sovrapponibili a quelli che si realizzano nei cluster e nei distretti industriali. Più precisamente, secondo Doloreux e Parto (2005) tali processi: - fuoriescono dai reparti di ricerca e sviluppo delle imprese per realizzarsi all’interno di contesti istituzionali, politici e sociali che presentano determinate caratteristiche (offerta di lavoro qualificata, istituzioni di supporto, presenza di consumatori recettivi, presenza di subfornitori specializzati); - avvengono con maggiore probabilità all’interno di contesti territoriali caratterizzati dalla presenza di elevata concentrazione e di prossimità imprenditoriale, come tipico nei distretti marshalliani e nei cluster à la Porter (che vengono pertanto intesi come sotto-dimensioni di un RIS); - risultano immersi in relazioni sociali tra individui e avvengono pertanto all’interno di contesti sociali caratterizzati dalla presenza di norme condivise, benché non formalizzate, che vincolano i comportamenti, soprattutto quelli opportunistici, delle imprese. In relazione al rapporto RIS-innovazione, ci sembra quindi di poter affermare che l’assunto principale su cui poggia l’intero impianto teorico possa identificarsi non tanto in un generico riconoscimento che “geography matters” (Krugman, 1991a; 1991b), quanto piuttosto nel ritenere che la prossimità geografica agisca da catalizzatore di relazioni interorganizzative (tra attori strutturalmente diversi) che risultano rilevanti nel sostenere i processi di innovazione delle imprese e, pertanto, la loro competitività (Arundel e Geuna, 2001). Detto in altre parole, il territorio fornisce l’elemento di contesto e rappresenta pertanto una precondizione necessaria, ma non sufficiente, all’avvio di processi di innovazione condivisa. È il coordinamento tra gli attori (e pertanto la governance del sistema) a costituire il naturale completamento della prossimità (Cooke e Morgan, 1998; Asheim e Isaksen, 2002; Asheim e Gertler, 2005). Localizzazione ed organizzazione appaiono, pertanto, le parole chiave per comprendere il “fenomeno” RIS. Da più parti si sottolinea come le distinzioni tra i concetti di distretto, cluster e RIS risultino sempre più sfumate (Lindsay, 2005) fino talvolta a generare perfette sovrapposizioni concettuali e operative (ad esempio, Maskell, 2001; Grandinetti et al., 2009). È pertanto diffusa la consapevolezza che i tratti che accomunano tali contesti produttivi e di innovazione - tra i quali, la prossimità spaziale, la presenza di interazioni collaborative tra le imprese, i processi di apprendimento a livello sistemico - risultano maggiori, o comunque più importanti, rispetto a quelli che li distinguono (Bathelt e Boggs, 2003; Storper, 1997). Ai fini di questo lavoro si rileva, quindi, che ognuna delle prospettive appena discusse fornisce una spiegazione soddisfacente in merito al rapporto esistente tra fattori di contesto e innovazione ma comunque non esaustiva. In particolare, la prospettiva distrettualista ha fatto abbondante ricorso al concetto di “conoscenza tacita” al fine di spiegare i processi di innovazione che hanno luogo nei distretti industriali. Il problema è che tale forma di conoscenza
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costituisce uno strumento utile al fine di spiegare i processi di innovazione di tipo incrementale (di prodotto e di processo) che tipicamente hanno luogo all’interno delle filiere produttive (e nelle relazioni di subfornitura), ma risulta assai meno adatta a comprendere in che modo e in quale misura le imprese distrettuali gestiscano anche l’innovazione di tipo radicale, che spesso travalica i confini del distretto e della sua filiera produttiva. Conseguentemente, tale lato della medaglia, la cui rilevanza non è certamente inferiore all’altro, ha storicamente ricevuto minori attenzioni da parte degli studiosi (Maffei e Zurlo, 2000; Micelli, Chiarvesio, 2003; Varaldo, 2006). Inoltre, mentre nella prospettiva distrettualista si enfatizza il ruolo della prossimità spaziale tra le imprese, ci si occupa meno della cd. prossimità istituzionale e/o organizzativa. Chi studia i processi innovativi a base territoriale sa però che essi non accadono automaticamente, semplicemente in virtù della vicinanza tra le imprese, ma che sono invece necessarie delle precise precondizioni socioculturali perché si inneschino delle dinamiche di innovazione. Ci riferiamo allo “spessore istituzionale” di un contesto e all’intensità e alla stabilità delle relazioni tra gli attori. Relazioni che sono a loro volta alimentate da fiducia e reciprocità (Dei Ottati, 1994; Brusco 1999) e che sfociano in forme di prossimità culturale e organizzativa (Varaldo e Ferrucci, 1996; Grandinetti e Tabacco, 2003). Come sostiene Izzo (2009) “il territorio diventa uno spazio relazionale dove la geografia conta soltanto se agiscono nel territorio le forze dell’appartenenza - le norme condivise e la prossimità relazionale - e della similarità - la prossimità cognitiva e il patrimonio comune di conoscenze degli attori radicati nel luogo”. In tal senso, la letteratura distrettuale ci sembra fornire un’interpretazione eccessivamente meccanica in merito al rapporto causale tra prossimità spaziale e innovazione, mentre, come sintetizza efficacemente Boschma (2005): “social connectedness is more important than geo proximity”1. Per quanto concerne la prospettiva dei cluster industriali à la Porter, le principali critiche al modello hanno fatto riferimento all’uso prevalentemente descrittivo delle categorie di analisi introdotte. Nella nostra prospettiva, manca, inoltre un riferimento all’impresa del cluster quale unità analitica distinta ma complementare rispetto al sistema. Distinzione che è invece rintracciabile nella prospettiva dei distretti industriali, nella quale è andato alimentandosi nel tempo un dibattito intorno al ruolo delle imprese leader di distretto quali interfaccia tra contesto produttivo locale e mercato globale (Ferrucci e Varaldo, 1993; Varaldo, 2006). Per quanto concerne, infine, i sistemi regionali di innovazione l’impressione che si ricava dalla letteratura di riferimento è che essi (come peraltro anche i distretti industriali) rappresentino degli spazi dell’innovazione eccessivamente auto1
Chetty e Agndal (2007) forniscono un supporto empirico a tale affermazione argomentando, con riferimento ad un gruppo di imprese appartenenti ad un distretto nautico, che “spatial proximity did not result in automatic collaboration amongst firms, because despite their close proximity these firms were initially reluctant to collaborate”.
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contenuti. Questa impostazione rischia di diventare anacronistica in un contesto geoeconomico nel quale le imprese si muovono più rapidamente che in passato alla ricerca di fonti globali di innovazione e di competitività. Inoltre, un ulteriore limite della prospettiva è a nostro avviso connesso alla natura dei meccanismi di governance e di sostegno all’innovazione, che appaiono oltremodo eterodiretti. Detto in altri termini, la prospettiva dei RIS sembra non tener sufficientemente conto della dimensione spontaneistica dei processi collettivi di innovazione e pone, viceversa, un’enfasi eccessiva sull’innovazione governata. Ciò apre ad un ulteriore, e conseguente, problema connesso all’efficacia delle politiche pubbliche di sostegno ai processi di innovazione localizzata, che, secondo Muscio (2006), evidenziano una maggiore applicabilità, oltre che una superiore efficacia, a livello di distretto piuttosto che di regione, a causa della minor omogeneità industriale rinvenibile in quest’ultima. Pur muovendo dalla consapevolezza dei limiti insiti in ciascuna prospettiva sopra esaminata, intravediamo anche i potenziali vantaggi derivanti da una loro reciproca contaminazione. Una contaminazione che, quando avvenuta, ha già offerto risultati promettenti. Ad esempio, la scuola distrettualista ha già fatto proprie alcune dinamiche tipiche della prospettiva dei RIS (Asheim, 1996). Camuffo e Grandinetti (2006) osservano, in questo senso, che mentre in passato i distretti hanno potuto funzionare prevalentemente come sistemi locali di innovazione, oggi il mantenimento di un vantaggio competitivo a livello distrettuale passa necessariamente per una maggiore apertura cognitiva del distretto. Tale processo di fuoriuscita dai confini distrettuali mette da un lato in primo piano il ruolo delle aziende leader e dall’altro segnala l’importanza dei centri di servizi alle imprese (o Knowledge Intensive Business Services - KIBS) chiamati a svolgere una funzione di interfaccia cognitiva tra il contesto distrettuale e il più ampio ambiente competitivo globale. Sulla stessa linea, Corò e Micelli (2006) rileggono i distretti industriali come sistemi locali (regionali) di innovazione e invitano i policy maker a promuovere la nascita di progetti di innovazione condivisi tra imprese (non necessariamente appartenenti alla medesima filiera produttiva) e istituzioni del territorio (non necessariamente coincidente con i confini del distretto). Aldilà di tali apporti, talvolta molto puntuali ma dall’elevato contenuto segnaletico, riteniamo sussistano le precondizioni per procedere verso una possibile convergenza che poggi sull’individuazione di un framework analitico unitario. Proprio a tal fine introduciamo brevemente la prospettiva analitica dei network che a nostro parere ha segnato in misura significativa l’evoluzione del pensiero relativo al rapporto contesti-innovazione, pur muovendo da un punto di partenza diverso da quello delle prospettive sopra esaminate. Esistono molteplici definizioni di network, sulle quali non è nostra intenzione (ed interesse) soffermarci, che promanano da altrettanto differenti prospettive di studio (Ozman, 2009 per un’aggiornata e comprensiva review della letteratura).
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L’utilità della network perspective per i nostri fini risiede principalmente nel fatto che la spiegazione del rapporto impresa-contesto viene fornita in termini aterritoriali. In altri termini, nei network non è affatto rilevante la prossimità spaziale tra le imprese, quanto piuttosto la loro prossimità relazionale, che si concretizza nella esistenza di relazioni di business all’interno di spazi relazionali creati dalle stesse imprese e volti al raggiungimento di specifici obiettivi di breve, medio e lungo termine. È questa la modalità tipica della genesi delle “reti lunghe” di innovazione (lunghe perché esterne anche rispetto ai confini territoriali di cluster, distretti e RIS), che possono avere un impatto notevole sulle performance innovative delle imprese e dei sistemi di impresa. Il concetto al centro della discussione è quindi quello di weak-ties à la Granovetter (1973)2. Un ulteriore aspetto qualificante della prospettiva network è connesso alla possibilità che l’impresa ha di impegnarsi nella attiva e deliberata costruzione di una precisa e peculiare architettura del network, la quale viene così a rappresentare una “variabile dipendente” e non una semplice “dotazione iniziale”. La definizione di tale architettura risulta strumentale al raggiungimento di specifici obiettivi strategici (Capaldo, 2007). Appare in questo senso interessante il concetto di network broker, che svolge una funzione interconnettiva tra attori distanti e che non hanno coscienza dell’esistenza l’uno dell’altro (o non avrebbero comunque sufficienti ragioni per interfacciarsi direttamente). Allo stesso modo, ci pare di notevole interesse il concetto di structural hole, sviluppato da Burt (1992), che muove nella stessa direzione, sottolineando la criticità delle relazioni lunghe e dei mediatori cognitivi che fungono da perni connettori della rete. L’adozione della prospettiva dei network può essere funzionale anche all’analisi dei processi dinamici che si sviluppano all’interno degli stessi distretti, cluster e RIS, segnandone le traiettorie di cambiamento ed evoluzione (Dubini e Aldrich, 1991). In conclusione, gli elementi sopra discussi ci portano a ritenere possibile una convergenza tra le diverse prospettive che risulta funzionale a una lettura più completa del rapporto tra contesti e innovazione. 2. La ricerca empirica 2.1 Metodologia e metodo Il fine principale di questo studio consiste nell’individuazione e nella prima verifica della robustezza di un framework analitico atto a spiegare il rapporto tra caratteristiche dei cluster e processi di innovazione delle imprese. 2
La scuola distrettualista sembra aver endogenizzato prima di altre la possibilità (e talvolta la necessità) che le imprese affianchino alle tradizionali reti distrettuali, “corte” per definizione, reti di maggiore gittata (Belussi et al., 2003; Chiarvesio et al., 2004). Ad esempio, il contributo di Camuffo e Grandinetti (2006) sul ruolo delle imprese distrettuali leader e sui KIBS come interfaccia locale-globale può essere letto in questo senso.
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Le nostre domande di ricerca sono sostanzialmente le seguenti: quali specifiche dimensioni territoriali risultano più rilevanti per comprendere la natura e le direzioni dei processi di innovazione delle imprese? - quali forme di governance dei sistemi territoriali appaiono maggiormente idonee a supportare questi processi di innovazione? - con quali implicazioni per i policy maker e per le singole imprese? Per rispondere a questi interrogativi abbiamo progettato una ricerca empirica di natura qualitativa avente ad oggetto 5 cluster internazionali della nautica. I metodi qualitativi, per loro natura, presentano un buon fit metodologico rispetto alla natura della teoria che intendiamo utilizzare, che possiamo qualificare come emergente (Eisenhardt, 1989). Il metodo che abbiamo utilizzato è quello dello studio di casi multipli, ed è stato condotto attraverso la specificazione ex-ante di alcune dimensioni di analisi, che costituiscono il nostro framework per l’analisi dei cluster e dei processi di innovazione che vi si realizzano. A tale fine, all’interno della parte empirica del presente paper scegliamo di adottare il termine “cluster” anziché quelli di distretto o di sistema regionale. I motivi sono diversi e hanno a che vedere con: 1. una maggiore ampiezza del concetto rispetto a quello di distretto industriale marshalliano, che tra l’altro presuppone una concentrazione delle attività economico-produttive all’interno di filiere ben identificabili3; 2. una minore indeterminatezza settoriale unita ad una maggiore elasticità territoriale rispetto al concetto di sistema regionale di innovazione; 3. una maggiore diffusione del concetto anche a livello internazionale, cui fa seguito una crescente utilizzazione dello stesso anche in termini più generali rispetto a quelli originariamente forniti da Porter. Con il termine cluster ci riferiamo, quindi, ad un sistema di imprese territorialmente contestualizzato e caratterizzato da un’elevata concentrazione di attività economiche operanti in uno o più settori complementari e con il supporto di istituzioni pubblico-private di carattere scientifico, tecnologico, politico che ne codeterminano le traiettorie evolutive. -
2.2 La definizione del framework analitico Il framework analitico che proponiamo si compone di nove dimensioni (tabella 1). Le prime tre hanno una valenza esclusivamente descrittiva dei cluster e risultano utili principalmente per qualificare ciascun sistema di innovazione. Le restanti dimensioni hanno invece una funzione esplicativa e ci aiutano pertanto ad interpretare il rapporto tra fattori contestuali, innovazione e competitività dei cluster stessi e delle imprese all’interno di ciascun cluster.
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Cosa che non accade, ad esempio, in alcuni distretti della meccanica (Bortoluzzi et al., 2006; Russo, 2008) dove le specializzazioni sono plurime, o in quelli della nautica, che normalmente non possono vantare alcuna filiera di supporto loro dedicata.
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Tab. 1: Il framework analitico utilizzato Variabile
Funzione
Descrizione Ampiezza geografica del cluster
1. Geografia ed economia del cluster
Densità infrastrutturale Descrittiva
Numero di imprese Numero di occupati Fatturato complessivo
2. Ampiezza e articolazione interna del cluster
Descrittiva
Ampiezza delle attività produttive; articolazione del cluster in termini di sistemi costitutivi: sistema imprenditoriale, sistema delle istituzioni (amministrazioni pubbliche), sistema della conoscenza (università e centri di ricerca)
3. Stadio evolutivo del cluster
Descrittiva
Storia e processi di (co)evoluzione del cluster; presenza di fenomeni di path-dependence e di lock-in evolutivi
4. Fondamenti della competitività del sistema
Esplicativa
Esistenza e grado di sofisticazione delle condizioni relative ai fondamenti microeconomici della competitività, secondo il modello del “diamante” di M. Porter
5. Basi della conoscenza e fonti Esplicativa dell’innovazione prevalenti
Tipologia di conoscenze prevalenti, fonti dell’innovazione; grado di apertura ai circuiti esterni della conoscenza
6. Economie di agglomerazione Esplicativa prevalenti
Qualificazione del cluster rispetto alle esternalità derivanti dalle dinamiche del mercato del lavoro, dall’integrazione logistica tra imprese e dai knowledge spill-over
7. Processi di networking
Esplicativa
Presenza di processi di networking interni al cluster, loro natura (informali, istituzionali) e dinamica (istituzionalizzazione, socializzazione)
8. Presenza e ruolo delle imprese leader
Esplicativa
Presenza e ruolo di imprese in grado di esercitare una funzione di leadership all’interno del cluster e di generare esternalità significative per gli altri attori economici del cluster
9. Governance e politiche di cluster
Esplicativa
Meccanismi di emergenza e grado di strutturazione e di formalizzazione di una governance a livello di cluster; attori principali coinvolti; esistenza di specifiche policy ed iniziative di intervento a favore del cluster
Fonte: nostra elaborazione
La prima dimensione (geografia ed economia del cluster) ha a che vedere con la descrizione economico-geografica di ciascun cluster. In particolare, qui rilevano elementi come le dotazioni infrastrutturali oltre agli indicatori di demografia economica (numerosità delle imprese, dimensione dell’indotto occupazionale, fatturato di cluster). La seconda dimensione (ampiezza ed articolazione interna del cluster) identifica il campo delle attività produttive svolte. Inoltre, viene fornita una descrizione del cluster relativamente alla presenza di sistemi costituitivi a natura non economica (sistema delle istituzioni e sistema della conoscenza).
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La terza dimensione (stadio evolutivo del cluster) fa riferimento alla storia ed alle principali traiettorie evolutive del cluster, con particolare riferimento all’esistenza di processi di evoluzione, co-evoluzione (rispetto alle dinamiche ambientali) o di mancata evoluzione causata da fenomeni di lock-in. Con la quarta dimensione - il “diamante” di Porter - ci si addentra nella componente esplicativa dello schema. L’intento è di comprendere in maniera sintetica se nel cluster siano presenti condizioni di bilanciamento rispetto al grado di sofisticazione degli elementi costitutivi del diamante o, se invece, emergano chiari punti di debolezza connessi ad una o più variabili qualificanti il modello originario. La quinta dimensione (natura della conoscenza e fonti prevalenti dell’innovazione) è volta a esaminare e posizionare i cluster sulla base della tipologia di conoscenze che risultano prevalenti (tacite, esplicite) nell’informare i processi di innovazione, della loro intensità innovativa, del grado di apertura del cluster nei confronti dei circuiti esterni di produzione della conoscenza. La sesta dimensione fa riferimento all’importanza delle economie di agglomerazione all’interno di ciascun cluster. Tali economie vengono ricondotte ai seguenti aspetti: le dinamiche del mercato del lavoro (mobilità interaziendale), i rapporti a livello di supply chain (catene logistiche) e la rilevanza dei processi di spill-over di conoscenza. Ci aspettiamo in sostanza che alcuni cluster si configurino essenzialmente come un mercato del lavoro fortemente integrato, ma con bassi livelli di spill-over della conoscenza e scarsa integrazione al livello delle catene di fornitura, mentre altre realtà territoriali potranno risultare invece più fortemente centrate sulle relazioni verticali cliente-fornitore oppure su una intensa disseminazione e diffusione delle conoscenze. La settima dimensione è relativa alla presenza e intensità dei processi di networking all’interno del cluster, alla loro natura (formali, informali) e alle dinamiche che li caratterizzano (socializzazione, istituzionalizzazione). Proprio in relazione a un cluster nautico, Chetty e Agndal (2007) esaminano la natura e la portata dei processi di networking tra le imprese giungendo alla individuazione di una tipologia basata (A) sul grado di formalizzazione dei network (che può essere alta o bassa) e (B) sul livello analitico adottato (che può essere interpersonale o inter-organizzativo). L’incrocio tra le dimensioni A e B genera una tipologia di network che si prestano ad essere analizzati in chiave evolutiva. In particolare le dinamiche socio-economiche interne al cluster possono dar luogo a processi di istituzionalizzazione (che attengono alla progressiva formalizzazione delle relazioni di cluster) e a processi di socializzazione (che attengono alle ricadute informali delle reti formalizzate). I due processi si sovrappongono e rafforzano reciprocamente: le reti interpersonali sono importanti per la creazione di reti interorganizzative (processi di istituzionalizzazione), mentre le reti interorganizzative possono rafforzare quelle interpersonali, dando luogo a processi di socializzazione, che sono fondamentali per la costruzione di capitale sociale, di capitale relazionale e anche per la diffusione di informazioni funzionali ai processi di innovazione. L’ottava dimensione fa riferimento alla presenza e al ruolo svolto dalle (eventuali) imprese leader. Ci attendiamo infatti di identificare cluster in cui
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non vi siano soggetti imprenditoriali in grado di assumere funzioni di leadership e sistemi territoriali dove esistono imprese di rilevanti dimensioni che svolgono un ruolo di integrazione e di indirizzo per tutto il cluster, generando significative esternalità per gli altri attori economici. Infine, ma non certo per livello di importanza, nella nona dimensione riassumiamo le tematiche della governance di cluster - che fanno riferimento alla presenza e alle modalità attraverso le quali la governance è emersa, ai soggetti che hanno preso l’iniziativa, al grado di strutturazione e di formalizzazione della governance, ai possibili filoni di intervento ed alle specifiche iniziative avviate nell’ambito dei diversi cluster territoriali, anche in relazione ai fondi a disposizione ed alle modalità di finanziamento dei progetti. 2.3 L’ambito settoriale di applicazione: la nautica e i suoi cluster L’ambito settoriale empirico di applicazione del framework analitico sopra delineato è stato quello della nautica da diporto. Si tratta di un comparto relativamente poco indagato, anche a livello internazionale (Chetty e Agndal, 2007; Blundel e Thatcher, 2005; Lindsay, 2005), ma di rilevanza economica crescente. Per l’economia italiana la nautica costituisce un ambito di eccellenza produttiva oltre che un pilastro dell’export. Il settore, pur afflitto da una crisi economica profonda, sta tuttora realizzando delle performance economiche di tutto rilievo, sia in termini di contributo al PIL e all’occupazione, che di dinamica imprenditoriale. D’altro canto il comparto appare anche caratterizzato, almeno sul piano nazionale, da fattori intrinseci di fragilità, riconducibili alla piccola dimensione media delle imprese, alla ancora notevole diffusione di modelli produttivi artigianali, alla difficoltà di molti imprenditori minori di muoversi efficacemente, secondo logiche di sistema, sui mercati internazionali. Il settore non sembra avere ancora raggiunto una vera e propria struttura industriale, centrata sui principi strategici, gestionali ed organizzativi della produzione di prodotti in serie, ed è invece rimasto fondato sulla logica delle produzioni non ripetitive, sulla lavorazione di “pezzi unici”, altamente personalizzati rispetto alle esigenze del cliente. Si tratta pertanto di un settore che fonda il suo successo competitivo non tanto su variabili come l’efficienza, la produttività, il livello tecnologico, tipici indicatori di successo dei settori “industrializzati”, quanto piuttosto sulla creatività e le abilità manuali dell’artigiano/imprenditore. Per alcuni aspetti la nautica ci appare, quindi, come un settore che presenta forti elementi di comunanza rispetto ad altre produzioni di alto livello tipiche del Made in Italy (l’esistenza di forti legami con settori complementari, tra questi) e che soffre dei medesimi limiti (in primis, la forte pressione competitiva a cui è sottoposta). D’altra parte, alcuni elementi di distinzione appaiono altrettanto marcati, e in particolare la mancanza di catene di subfornitura dedicate (che intrecciano molteplici lavorazioni meccaniche, tessili, plastiche e del legno) e la presenza di
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comunità di riferimento che hanno dimensione globale (i produttori di vele, ad esempio). Quello che è maggiormente rilevante ai nostri fini è il forte radicamento delle produzioni nautiche, sia a livello nazionale che internazionale, in cluster territoriali. Sul territorio nazionale la Versilia e la Toscana rappresentano senza dubbio il caso più emblematico. In definitiva, il fatto di costituire un settore poco specializzato verticalmente (e quindi poco “distrettuale” in senso stretto), territorialmente concentrato (al pari di cluster e distretti) e nel quale converge un’attenzione crescente da parte dei policy maker di natura pubblica (come è tipico nei RIS) fanno della nautica un settore ideale per affinare il framework teorico adottato in questo paper. Fig. 1: Rappresentazione di un cluster nautico Settori collegati
Attività a monte Altri servizi nautici Equipagg. nautici/motori Progettazione Materiali compositi
Associazioni di categoria
Istituzioni scientifiche, di formazione e di ricerca
Costruttori di imbarcazioni
Imbarcazioni senza rimorchio
Unità pneumatiche
Yacht da competizione
Imbarcazioni con rimorchio
Superyacht
Istituzioni pubbliche
Enti territoriali
Attività a valle
Terziario nautico Marina e porti turistici
Interni
Vela e cordame
Pesca/ Imbarcazioni commerciali
Eventi nautici
Elettronica
Alberi e verricelli
Turismo
Refit e manutenzione Yacht management
Fonte: Tracogna (2010)
La scelta dei cluster da analizzare utilizzando le lenti concettuali sopra introdotte ha seguito una logica finalistica: poiché è obiettivo del paper discutere il rapporto tra contesti territoriali, innovazione e competitività, sono stati selezionati alcuni cluster internazionali universalmente riconosciuti come altamente innovativi e competitivi. Si tratta quindi di “polar cases” per dirla con Eisenhardt (1989), scelti per ragioni teoriche e non di rappresentatività statistica.
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INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ NEI CLUSTER DELLA NAUTICA
Si tratta, in particolare, dei seguenti sistemi locali: il cluster nautico della Toscana (Italia), il cluster nautico della Nuova Zelanda, il cluster nautico della Florida del Sud (Stati Uniti), il cluster nautico del Solent (Gran Bretagna), il cluster nautico della Bretagna (Francia). I cluster individuati presentano tratti differenziati, che sono il frutto della loro specifica evoluzione storica e delle diverse condizioni di contesto. Ad esempio, il cluster della Toscana ha una storia secolare e si è recentemente sviluppato e affermato soprattutto nel segmento della costruzione dei super yacht. La Nuova Zelanda ci offre invece l’esempio di come le produzioni nautiche possano svilupparsi anche in contesti geografici periferici, a partire da una vera e propria passione nazionale, che non ha semplicemente un carattere ludico-ricreativo, ma che si estende anche alla dimensione sportiva e competitiva del fenomeno. Il cluster della Florida ci offre a sua volta la possibilità di esaminare le condizioni di sviluppo delle attività nautiche in quella che può essere considerata la patria del turismo nautico e il principale polo attrattivo di super yacht a livello internazionale. La regione inglese del Solent ha sviluppato un articolato settore marittimo, composto da portualità, navi militari e attività marine. In questa regione, un tempo culla dello yachting elitario, si è affrontato in tempi recenti lo spinoso problema della scarsità di accessi al mare e più in generale la gestione di una situazione di declino economico. Infine, il cluster della Bretagna presenta ai nostri fini degli interessanti profili di governance multi-livello, e rientra nei poli di competitività francesi a valenza internazionale. Ci sembra importante sottolineare che nel definire i confini economici dei cluster ci siamo focalizzati esclusivamente sulle attività cantieristiche e di servizio alla produzione che gravitano attorno alle attività di costruzione nautica. Non sono state invece esplorate attività di natura prettamente terziaria (come la portualità turistica e i servizi rivolti all’imbarcazione e al diportista). La raccolta di dati, specialmente quelli numerici, riferiti alle produzioni nautiche non è stata un’operazione agevole. Esiste una prima intrinseca difficoltà di ordine statistico, determinata dalla non univoca classificazione di molte produzioni nautiche, sulla quale si innesta una seconda problematica connessa al fatto che i dati e le informazioni riferite alle produzioni nautiche sono spesso presentati insieme a quelli del terziario nautico, per cui risulta difficoltoso separare il peso economico della filiera “costruttiva” da quella riferita alla “portualità”. Nonostante tutti i vincoli metodologici, a cui si aggiunge una qualità del dato non sempre elevata, ci sembra comunque di poter affermare che quella offerta costituisca la rappresentazione in questo momento più attendibile del settore e dei cluster internazionali della nautica.
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3. Risultati Al fine di agevolare la comparazione tra i cluster della nautica esaminati proponiamo una tabella che riproduce il framework presentato nella sezione precedente e che aggiunge, rispetto a quello, alcune ulteriori informazioni di carattere descrittivo, utili alla qualificazione di ciascun cluster4. Tab. 2: Applicazione del framework analitico ai cinque cluster nautici
Toscana (Italia) Nuova Zelanda Florida del Sud (USA) Solent (Gran Bretagna) Bretagna (Francia)
ITEM 1. Geografia ed economia del cluster (dati 2009) Numero Posti Imbarcazioni imprese Occupazione barca registrate nautiche
Fatturato nautico
Dimensione area (kmq)
Km di coste
22.992
330
20.155
10.012
2.815
15.000
270.500
15.134
21.000
420.000470.000
1.3001.400
9.000-10.000
15.896
180
nd
157.000
15.000
154.314
4.150
480
25.000
nd
600
8000
700 mln di Sterline
27.208
2.700
25.000
200.000
1.300
8.000
700 mln di Euro
1.500 mln di Euro 1.120 mln di Euro 13.600 mln di Dollari (compresi effetti indotti non scorporabili)
ITEM 2. Ampiezza e articolazione interna del cluster Toscana (Italia)
Il cluster è esclusivamente nautico ed ha una forte caratterizzazione produttiva. Il cuore del cluster è costituito dai cantieri di costruzione e dal loro indotto di piccole imprese prevalentemente artigiane.
Nuova Zelanda
Il cluster è essenzialmente centrato sulle attività nautiche ed in particolare su quelle della filiera costruttiva. Non appare ancora sufficientemente definita l’ampiezza del focus territoriale, che a seconda dei casi interessa l’intero paese oppure la sola regione di Auckland, che presenta di gran lunga i maggiori livelli di concentrazione di attività nautiche.
Florida del Sud (USA)
Il cluster è delimitabile in senso esclusivamente nautico, anche se non si fanno distinzioni tra le attività relative alla cantieristica e quelle relative al terziario nautico, trovando questa rappresentanza indistinta nell’ambito delle associazioni. Alcune delle associazioni di categoria sono nate con un focus territoriale delimitato alle Contee. Tuttavia, l’associazione a queste istituzioni trascende ormai i confini di contea e gli stessi confini della Florida del Sud.
Solent (Gran Bretagna)
Il cluster non ha una composizione esclusivamente nautica, ma si estende a tutte le attività economiche riconducibili all’economia del mare.
Bretagna (Francia)
Le forme di governance multi-livello si caratterizzano per una diversa delimitazione di confini del cluster, sia sul piano geografico (regionale, dipartimentale) che sul piano delle attività economiche incluse (economia del mare, cantieristica, regate oceaniche).
segue … 4
In questo paper trovano sintesi solo alcuni dei risultati empirici di un progetto di ricerca di maggior respiro e ampiezza temporale, condotto da uno degli Autori. Ulteriori dati e informazioni possono essere rintracciati in Tracogna (2007) e (2010).
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INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ NEI CLUSTER DELLA NAUTICA ITEM 3. Evoluzione del cluster
Toscana (Italia)
Il cluster evidenzia un lungo percorso di evoluzione storica che è stato segnato da momenti di crisi e di rilancio. Attualmente il sistema vive una fase di maturità, e di crisi contingente, nella quale i tradizionali modelli di impresa (a forte caratterizzazione artigianale) non appaiono più allineati con le sfide di uno scenario a forte dinamica evolutiva. Si manifestano alcune inerzie al cambiamento (effetti di lock-in), che potranno rendere meno efficaci i processi di adattamento.
Nuova Zelanda
Il cluster ha avuto alterne vicende e ha vissuto recentemente una fase di sviluppo e rilancio anche grazie alla America’s Cup, che ne ha segnato il percorso evolutivo, orientato soprattutto verso le competizioni veliche. Il cluster sta oggi cercando di riorientare il suo focus verso altri comparti della nautica, ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico. Si evidenzia una significativa capacità di adattamento e di evoluzione e un limitato peso di fattori di inerzia e di lock-in.
Florida del Sud (USA)
Il cluster si è sviluppato soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, quando lo stato della Florida è diventato la meta di enormi flussi turistici. Attualmente il settore vive una fase di stasi, se non di contrazione, a causa della congiuntura internazionale. La vitalità del sistema delle imprese pare tuttavia essere sufficiente ad evitare fenomeni di lock-in e di inerzia al cambiamento tipici di altre realtà geografiche.
Solent (Gran Bretagna)
Il settore nautico nel Solent è oggi popolato da piccole e piccolissime imprese, sovente in difficoltà quando si tratta di rispondere - come è stato necessario nel recente passato - a cambiamenti di mercato e tecnologici. L’evoluzione storica delle produzioni nautiche nel Solent sembra evidenziare una tendenziale inerzia al cambiamento, che non ha favorito il mantenimento della necessaria competitività del cluster di fronte alla crescente globalizzazione del mercato della nautica. Vicende analoghe sembrano aver caratterizzato le attività relative ai trasporti marittimi e alla cantieristica. In definitiva, si evidenzia la presenza di effetti di lock-in e di path-dependence.
Bretagna (Francia)
Il cluster marino della Bretagne e le attività nautiche non appaiono fortemente condizionate dai percorsi storici di sviluppo, trattandosi di attività che si sono sviluppate piuttosto recentemente. La presenza di significativi finanziamenti a disposizione e di una ben formalizzata governance di sistema rappresentano delle condizioni favorevoli per assicurare la necessaria evoluzione del cluster verso direzioni coerenti con l’evoluzione del contesto internazionale.
Toscana (Italia)
La domanda è soprattutto internazionale (scarsa quella locale); la dotazione di infrastrutture, (portualità turistica e accessi al mare) appare un fattore di potenziale debolezza del sistema. La vicinanza a importanti aree specializzate nella cantieristica navale e la presenza di un buon tessuto manifatturiero regionale sono elementi che rafforzano il sistema, come pure l’articolato sistema competitivo, caratterizzato dalla presenza di diverse migliaia di imprese.
Nuova Zelanda
Nonostante la piccola dimensione del cluster, la forte vocazione nautica del paese assicura la presenza di elevati livelli di domanda interna. Tuttavia, la maggior parte delle produzioni nautiche sono rivolte all’export. Sotto gli altri profili (dotazioni di risorse, presenza di settori di supporto, grado di rivalità tra le imprese) la condizione di forte insularità e la limitata dimensione non rappresentano fattori particolarmente favorevoli.
Florida del Sud (USA)
Sul piano delle condizioni microeconomiche per la competitività del sistema, si segnala in particolare la presenza di una significativa domanda locale di produzioni e di servizi nautici, espressa dalla popolazione dello stato ma anche dagli ampi flussi di turismo nautico. L’ampiezza delle dotazioni infrastrutturali, l’elevato numero di imprese operanti nel comparto e la presenza di industrie complementari e di supporto fanno della Florida del Sud un luogo estremamente competitivo per le attività nautiche
Solent (Gran Bretagna)
L’area del Solent è un’area a forte vocazione nautica e navale. Essa pertanto esprime una significativa domanda di produzioni nautiche e marine. Anche la dotazione di risorse e infrastrutture risulta ricca,sebbene l’accesso al mare stia diventando un problema che richiede specifiche azioni di pianificazione. Anche sotto gli altri profili (presenza di industrie di supporto, grado di rivalità tra imprese) risultano esserci condizioni particolarmente favorevoli allo sviluppo di attività economiche marine.
Bretagna (Francia)
La Bretagna è la regione francese con la maggiore dotazione di infrastrutture per l’esercizio di attività diportistiche (numero di porti turistici e disponibilità di posti barca). Questi fattori determinano una significativa domanda di produzioni e servizi nautici. Dall’altro lato, manca a nostro avviso una stretta integrazione dei comparti costruttivi nautici con i settori manifatturieri, come invece accade nel caso della Toscana.
ITEM 4. Completezza e rilevanza delle dimensioni del “Diamante”
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ITEM 5. Natura della conoscenza e fonti prevalenti dell’innovazione
Toscana (Italia)
Il cluster toscano, anche in relazione alla specializzazione sul segmento dei superyacht, presenta elevate prestazioni sul piano dell’innovazione di prodotto. Esso appare caratterizzato da processi innovativi fortemente radicati nel territorio, con significative esternalità nel sistema locale delle imprese. Il sistema è aperto anche ai circuiti esterni della conoscenza e si configura attualmente come un sistema delle innovazioni con una buona sinergia tra imprese e istituzioni. Tuttavia, la fonte principale delle innovazioni risulta essere ancora prevalentemente quella interna al sistema delle imprese, mentre sono ancora poco sviluppati i rapporti con il mondo della ricerca.
Nuova Zelanda
Il cluster della nautica della Nuova Zelanda risulta segnato da processi innovativi di livello world class, specialmente con riferimento alle imbarcazioni da competizione e ai superyacht a vela. Questi processi di innovazione sono al contempo locali (cioè radicati al territorio) e globali (cioè ramificati a livello internazionale). Sono proprio gli imprenditori, con la loro frequentazione delle fiere nautiche e delle regate internazionali a svolgere una funzione di “ponte” tra le dimensioni locale e globale, assicurando una adeguata apertura del sistema
Florida del Sud (USA)
I processi di innovazione sono al contempo locali e globali. La Florida è il cuore della nautica mondiale ed è naturalmente aperta alla influenze di costruttori, fornitori e committenti provenienti da tutte le parti del mondo. Le stesse fiere della nautica rappresentano importanti momenti di diffusione di conoscenza e innovazioni.
Solent (Gran Bretagna)
La presenza di numerose istituzioni che fanno parte del sistema della conoscenza (università, centri di ricerca, agenzie di trasferimento tecnologico, parchi scientifici) rappresenta un’importante premessa affinché si possano realizzare nell’area del Solent le condizioni per l’affermazione di un efficace sistema dell’innovazione a “tripla elica”. Il sistema dell’innovazione che si è sviluppato nel Solent assume tratti tipici dei sistemi “dirigisti”, con un forte peso delle istituzioni pubbliche nella definizione dei percorsi di innovazione e nella raccolta dei fondi finanziari.
Bretagna (Francia)
La regione della Bretagna ha espresso delle significative performance innovative in campo marino e nautico. Tuttavia, il sistema pubblico di offerta di innovazione appare ancora poco integrato con quello privato, che esprime sue capacità e percorsi di innovazione e anche una domanda di nuove tecnologie e conoscenze che resta spesso insoddisfatta.
Toscana (Italia)
Nel cluster trovano ampia manifestazione tutte le forme di esternalità positive tipiche dei cluster, e cioè relative al mercato del lavoro, alle relazioni di fornitura e agli spill-over della conoscenza.
Nuova Zelanda
Il cluster si sviluppa storicamente in una condizione di forte “insularità” geografica, che ha favorito gli effetti di tipo agglomerativo, soprattutto sul piano del mercato del lavoro. La mobilità locale degli addetti alla nautica favorisce lo spill-over delle nuove conoscenze e velocizza i processi di diffusione delle innovazioni. Questi effetti sono rinforzati dalla spiccata tendenza delle imprese neozelandesi a sviluppare forme di collaborazione interaziendale.
Florida del Sud (USA)
Dato il suo sviluppo spontaneo, e le rilevanti dimensioni raggiunte, il cluster nautico della Florida del Sud esprime pienamente i potenziali positivi offerti dalle economie di agglomerazione, come quelli relativi alla mobilità della forza lavoro, alla diffusione delle conoscenze e delle innovazioni, all’articolazione delle catene di fornitura e dei sistemi di indotto. La presenza di vantaggi localizzativi significativi è ben testimoniata dalla localizzazione sul territorio della Florida del Sud di molti dei principali costruttori nautici internazionali (come Ferretti e Lurssen).
Solent (Gran Bretagna)
Data la varietà di tipologie di attività riconducibili al settore marino, gli effetti agglomerativi più importanti appaiono essere quelli relativi al mercato del lavoro e alla possibilità di attingere ad un pool comune di risorse umane ad alta qualificazione. Meno integrabili sembrano invece essere le reti di fornitura tra i diversi comparti dell’economia del mare e poco significativi appaiono anche gli effetti di knowledge spill-over spontaneo.
Bretagna (Francia)
L’estensione del cluster all’insieme delle attività marine indebolisce il peso delle economie di agglomerazione, trattandosi di comparti economici e di attività anche molto distanti tra loro, con pochi punti in comune. Più evidenti sono invece i vantaggi della concentrazione geografica e della co-localizzazione individuabili con riferimento alle attività cantieristiche e alle attività nautiche relative alle regate oceaniche.
ITEM 6. Economie di agglomerazione prevalenti
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INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ NEI CLUSTER DELLA NAUTICA ITEM 7. Processi di networking
Toscana (Italia)
Il cluster si caratterizza storicamente per intensi processi di networking, che hanno alimentato nel corso dei decenni la formazione di elevati livelli di capitale sociale. Lo sviluppo della governance di cluster è anche il frutto di processi di istituzionalizzazione di queste relazioni, attive anche sul piano inter-personale.
Nuova Zelanda
Le attività nautiche sono parte integrante dello stile di vita neozelandese. Si tratta di un’attività di massa, attorno alla quale si sono sviluppate comunità sociali che vanno ben oltre quelle degli “addetti ai lavori”. Alla forza di questi processi di networking locali si sommano gli effetti del networking esterno, quello che lega gli operatori della nautica alle altre realtà nautiche mondiali. La condizione di insularità del paese ha quasi obbligato gli operatori economici a cercare continui contatti con l’esterno, sia sul piano della ricerca di sbocchi alla produzione (internazionalizzazione dei mercati) che dal lato della contaminazione agli avanzamenti delle conoscenze costruttive e tecnologiche (partecipazione ai circuiti internazionali della conoscenza nautica). La forte dotazione di capitale sociale sta in tempi recenti favorendo processi di istituzionalizzazione del cluster, che preludono a forme di governance a maggiore formalizzazione.
Florida del Sud (USA)
L’azione delle associazioni di categoria è particolarmente importante per facilitare estesi processi di networking e di socializzazione a livello del cluster. Esiste un forte senso di appartenenza nell’ambito delle comunità professionali e imprenditoriali locali, anche se questo non ha ancora favorito l’avvio di importanti processi di istituzionalizzazione finalizzati alla creazione di una governance formale.
Solent (Gran Bretagna)
L’ampiezza dei confini del cluster marino del Solent rende difficile sviluppare un senso di appartenenza ad una comunità economica che rimane poco omogenea ed integrata. I relativamente bassi livelli di capitale sociale e relazionale presenti nell’area non favoriscono pertanto processi di socializzazione e di istituzionalizzazione in grado di consolidare e rafforzare il disegno formale di governance rappresentato da MSE (Marine South-East).
Bretagna (Francia)
L’ampiezza dei confini del cluster marino della Bretagna rende difficile, per gli operatori economici, sviluppare un forte senso di appartenenza e di comunità. Sono testimonianza di questa difficoltà i dati relativi ai membri del Pole Mer, che rappresentano una frazione marginale dell’intera popolazione di imprese a specializzazione marina della regione. Non vi sono ancora, pertanto, le condizioni affinché possano realizzarsi dei processi di socializzazione capaci di rinforzare le dotazioni di capitale sociale. Più efficaci, sul piano del networking, ci paiono le iniziative di livello dipartimentale (cluster del Morbihan) e quelle a esclusiva focalizzazione nautica, come Eurolarge (regate oceaniche).
Toscana (Italia)
Nello sviluppo del cluster toscano, e in particolare nel versiliese, un ruolo strategico è stato svolto dalle imprese leader (Azimut-Benetti, Perini, Codecasa, Tecnomar, Intermarine), che hanno negli anni contribuito al rafforzamento della reputazione internazionale del cluster e dato corso ad un processo di disseminazione delle attività nautiche in tutta la regione, alimentando anche un significativo sistema di indotto.
Nuova Zelanda
Esistono diverse imprese che hanno il potenziale per svolgere un ruolo di leadership di cluster (Alloy Yacht, Ray Glass, Cookson, Fitzroy Yacht, Yachting Dev. Tuttavia, la gran parte del tessuto imprenditoriale della Nuova Zelanda è costituito da imprese di piccola e media dimensione. Diverse imprese maggiori sono state recentemente acquisite da competitori internazionali.
Florida del Sud (USA)
Molte delle imprese leader della nautica hanno scelto di localizzare una parte delle loro attività in Florida. Tuttavia, i leader internazionali della nautica non hanno i loro quartieri generali in Florida, ma altrove.
Solent (Gran Bretagna)
Esistono importanti realtà e istituzioni leader nei comparti non nautici dell’economia del mare (come Exxon nel settore petrolifero o la Marina britannica). Nel settore della nautica non risultano esserci singole imprese capaci, con le loro strategie e i loro piani di investimento, di produrre significative esternalità positive nel sistema e di svolgere un ruolo di guida.
Bretagna (Francia)
Non risultano esserci, nel campo nautico, delle vere e proprie imprese leader. Esistono imprese con una elevata reputazione a livello internazionale, ma che non hanno la dimensione necessaria per svolgere una funzione di guida e traino del sistema.
ITEM 8. Presenza e ruolo delle imprese leader
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ITEM 9. Governance e politiche di cluster Governance
Politiche di cluster
Toscana (Italia)
Lo sviluppo del cluster nautico è stato segnato dal ruolo delle imprese leader e dalle forme di coordinamento spontaneo “dal basso” realizzate nell’ambito dei sistemi di fornitura e di indotto. Oggi, la disseminazione delle attività nautiche su tutta la costa toscana sta imponendo un ruolo più attivo da parte dei soggetti pubblici, ed in particolare della regione Toscana, che ha promosso la creazione di una cabina di regia regionale, a cui partecipano soggetti pubblici e privati.
Le azioni avviate e quelle in fase di lancio sono rivolte in particolare al rafforzamento del sistema dell’innovazione, soprattutto dal lato della domanda (rappresentata dal sistema delle imprese). La modalità principale di intervento è quella del trasferimento tecnologico, operato attraverso una rete di centri servizi
Nuova Zelanda
Non esiste formalmente un cluster della nautica della Nuova Zelanda. Tuttavia, possono identificarsi delle iniziative e delle istituzioni che sono finalizzate al coordinamento e al sostegno dello sviluppo del sistema. Di particolare rilievo è il ruolo svolto dalle associazioni di categoria. Inoltre, vanno segnalate le agenzie miste, pubblico-private, che supportano i processi di internazionalizzazione delle imprese nautiche neozelandesi e favoriscono l’attrazione di investimenti stranieri nel paese.
Le azioni condotte sono state finora prevalentemente rivolte alla promozione delle esportazioni e all’attrazione di investimenti diretti dall’estero.
Florida del Sud (USA)
La governance del cluster nautico della Florida del Sud è sostanzialmente il frutto delle attività delle associazioni di rappresentanza della categoria. Si tratta di una governance informale che si è sviluppata dal basso e che svolge il proprio ruolo con elevata efficacia. Pur non avendo riscontrato delle forme strutturate di coordinamento delle azioni dei diversi attori coinvolti, ci sembra di poter affermare che le significative relazioni non strutturate assicurino comunque un buon coordinamento delle iniziative a sostegno della nautica.
Le politiche di cluster, espresse dalle associazioni di categoria, non possono assumere una rilevante portata, anche a causa dei limitati fondi a disposizione. Le azioni si esauriscono nella rappresentanza delle imprese associate, nella preservazione della dotazione di risorse e infrastrutture, nella formazione e riqualificazione della forza lavoro e nella promozione delle vendite sui mercati internazionali, anche attraverso l’organizzazione di saloni nautici. Meno significative appaiono invece le iniziative rivolte al sostegno dei processi di innovazione.
La governance del cluster marino del Solent è di tipo top-down ed ha natura pubblica, essendo espressione dell’iniziativa di un’agenzia governativa regionale (SEEDA). Tuttavia, le logiche operative sono simili a quelle di un’istituzione privata (MSE è formalmente un’impresa privata a responsabilità limitata), che opera da intermediario tra chi dispone delle risorse finanziarie (governo centrale o Unione Europea) e chi ne dovrebbe beneficiare (il sistema delle imprese).
Il cluster ha tra le finalità principali la promozione dei processi di innovazione delle piccole e medie imprese, la qualificazione della forza lavoro, la promozione dell’internazionalizzazione del sistema. I filoni di intervento e i progetti avviati hanno una forte caratterizzazione tecnologica e sono in particolare rivolti a temi “trasversali” e “intersettoriali” come la tutela dell’ambiente, la sostenibilità, il risparmio energetico. L’enfasi su questi temi rappresenta un punto di forza del cluster (si tratta di temi su cui vi è una convergenza di interessi) ma anche un punto di debolezza (trattasi di aspetti che il sistema delle imprese non percepisce ancora come vitali per la propria competitività e/o sopravvivenza). Significative appaiono le iniziative rivolte alla pianificazione dell’utilizzo della linea costiera per scopi industriali.
Solent (Gran Bretagna)
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Bretagna (Francia)
INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ NEI CLUSTER DELLA NAUTICA Di particolare interesse è la presenza, in Bretagna, di iniziative di clusterizzazione multilivello. Alla dimensione regionale del Pole Mer Bretagne (iniziativa a carattere fortemente dirigistico) si sovrappone infatti, nel dipartimento del Morbihan, una dimensione di cluster più localistica e circoscritta alla cantieristica nautica e navale. Di notevole interesse è anche il cluster bretone delle competizioni veliche oceaniche (Eurolarge). Si tratta di iniziative molto recenti, che appaiono essere “calate dall’alto” piuttosto che espressione di specifiche istanze del sistema economico. La loro forza futura dipenderà dalla capacità di coinvolgimento del sistema delle imprese e inoltre dalle risorse finanziarie che si sarà in grado di raccogliere e far confluire nel cluster.
A livello di Pole Mer Bretagne le iniziative risultano essere indirizzate soprattutto all’innovazione tecnologica, secondo priorità dettate più dalle istituzioni finanziatrici (governo nazionale, Unione Europea) che dal sistema delle imprese. Ci riferiamo a filoni come la tutela ambientale, la sostenibilità, il risparmio energetico. Si tratta di tematiche che non hanno finora trovato molti spazi per l’applicazione in campo nautico. Più focalizzate appaiono invece le azioni condotte dal dipartimento del Morbihan, che si indirizzano anche allo sviluppo delle infrastrutture per gli insediamenti produttivi e alla qualificazione e formazione del personale.
Fonte: nostra elaborazione
4. Discussione 4.1 Varietà dei contesti locali La prima osservazione scaturente dall’analisi comparata dei cinque cluster nautici esaminati è relativa alla molteplicità delle situazioni identificate in relazione alle dimensioni del framework analitico utilizzato. Ad esempio, abbiamo identificato un cluster nautico, quello della Florida del Sud, la cui competitività è riconducibile ad un pressoché ideale bilanciamento spontaneo e sinergico delle dimensioni del diamante di Porter, mentre in altri casi (come la Toscana o la Nuova Zelanda) i fattori centrali delle superiori performance e dei processi di innovazione sono piuttosto identificabili nel grado di apertura al mercato internazionale e nell’azione delle economie di agglomerazione tipicamente distrettuali (mobilità delle risorse, collaborazione interaziendale, spill-over di conoscenza). In entrambi questi ultimi casi, si è inoltre riscontrata una progressiva emergenza della governance di cluster (quasi del tutto assente, invece, nel caso della Florida), prima spontaneamente e poi attraverso una graduale istituzionalizzazione e formalizzazione. Su un piano ancora diverso si pone il cluster bretone, caratterizzato da una certa predominanza degli attori pubblici e del mondo della ricerca e dalla presenza di una governance di tipo dirigista e multilivello (locale/regionale) che però, anche a causa dei ridotti tassi di partecipazione “dal basso”, non sembra ancora aver saputo incidere sulle capacità innovative e la competitività della maggior parte delle imprese del cluster. Il cluster inglese del Solent si caratterizza, infine, per una forte integrazione tra attività nautiche e gli altri comparti dell’economia del mare, mettendone in luce i potenziali sinergici e le convergenze sul piano dello sviluppo tecnologico e di pianificazione dell’intervento pubblico.
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4.2 Meccanismi di emergenza della governance di cluster La nostra ricerca ci ha consentito di individuare una serie di distinti meccanismi di emergenza della governance dei cluster nautici indagati. Un primo meccanismo è quello riconducibile al ruolo del capitale sociale (Coleman, 1988; Putnam, 1995), che in tutti i cluster nautici esaminati permette di mantenere bassi i costi di transazione e favorisce pertanto il coordinamento degli attori del sistema. Un secondo importante fattore di stimolo ai processi di emergenza della governance del cluster è stato individuato, anche se non in tutti i casi, nella presenza e nel comportamento attivo delle imprese leader, cioè di quelle imprese che - in relazione alla loro dimensione, posizione di mercato, conoscenza posseduta e capacità imprenditoriali - hanno la capacità e l’interesse di porre in essere azioni strategiche e investimenti che producono esternalità positive per altre imprese del cluster (de Langen, 2002; Nijdam e de Langen, 2003). Il ruolo delle imprese leader appare rilevante in particolare quando queste sono impegnate attivamente in attività di ricerca e sviluppo, di internazionalizzazione delle vendite, di accesso ai circuiti internazionali, di produzione della conoscenza. Il loro ruolo di governance del cluster viene assolto attraverso lo svolgimento di una serie di funzioni: - coordinamento delle catene di fornitura e dei sistemi di indotto, - lead user delle innovazioni realizzate dalle imprese fornitrici, - creazione di standard di prodotto, - innovazione di prodotto, - stimolo al trasferimento tecnologico, - incoraggiamento e supporto ai processi di internazionalizzazione del cluster, - creazione e sviluppo della reputazione del sistema, - miglioramento del mercato del lavoro locale. Un ulteriore meccanismo spontaneo di governance è quello attivato dalle diverse forme di associazionismo tra imprenditori, riscontrato in ampia misura in tutti i cluster nautici studiati. Oltre a questi meccanismi informali abbiamo riscontrato in tutti i casi anche la presenza di una governance formale di cluster, seppur a diverso grado di strutturazione e di rilevanza. I processi di formalizzazione della governance dei cluster nautici assumono due modalità: dall’alto (top-down) e dal basso (bottom-up). Mentre i primi sono, appunto, calati dall’alto e vedono un ruolo forte del decisore politico, i secondi si realizzano all’interno di reti di aziende, o associazioni imprenditoriali raccolte attorno a una tematica condivisa, senza il coordinamento e la regia di un’agenzia governativa. In realtà, nelle numerose esperienze di sviluppo della governance di cluster che abbiamo esaminato, i due approcci si integrano e sovrappongono tra loro, e la prevalenza di una modalità sull’altra viene a dipendere da fattori contingenti come la scala dell’intervento (se ampia sono preferiti gli approcci guidati dal soggetto pubblico), dalle precondizioni strutturali (come la presenza di imprese innovative
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che hanno già sperimentato forme di collaborazione), dal processo evolutivo del cluster (l’azione politica esplicita gioca un ruolo decisivo soprattutto nelle fasi iniziali e di decollo del cluster) e anche dalla natura dei cluster locali e in particolare dal grado di apertura e di connessione con reti esterne di conoscenza. La pluralità di forme di governance riscontrate nei cluster nautici ci pare di estremo interesse, perché dimostra, se ce ne fosse bisogno, che non esiste una one best way ma che le soluzioni più efficaci sono quelle ad hoc, calate sulle specifiche caratteristiche ed esigenze del sistema. In particolare, la casistica esaminata si colloca entro un continuum di forme di governance che hanno ai loro estremi modelli di tipo: - bottom-up e top-down, - ad iniziativa pubblica e ad iniziativa privata, - di tipo dirigista e di tipo spontaneo (tabella 3). Tab. 3: Comparazione dei modelli di governance dei cluster esaminati Toscana
Nuova Zelanda
Florida del Sud
Solent
Bretagna
Iniziativa (pubblica, privata)
Pubblicoprivata
Pubblicoprivata
Privata
Pubblica
Pubblica
Livello dell’intervento pubblico
Regionale
Nazionale
Contea
Regionale
Regionale/ Multilivello
Tipologia di soggetto che esprime la governance
Centri servizi, Consorzi
Associazioni di categoria, Agenzie governative
Associazioni di categoria
Agenzie pubbliche
Ente pubblico
Innovazione
Promozione export, networking
Networking, lobbying
Innovazione, Internazionalizzazione, Qualificazione forza lavoro
Innovazione, promozione dell’internazionalizzazione
Filoni di intervento
Fonte: nostra elaborazione
A cluster che si contraddistinguono per una governance sorta quasi spontaneamente, dal basso, come i cluster della Toscana e della Florida, si contrappongono esperienze fortemente dirigiste come quella della Bretagna e, in una certa misura, anche quella del Solent. Queste differenze trovano riscontro, ad esempio, nella composizione delle istituzioni che svolgono le funzioni di governo di cluster. In Florida, ad esempio, la governance si esaurisce, praticamente, nelle funzioni svolte dalle associazioni di categoria, che operano prevalentemente a livello di singola Contea. In altri cluster nautici, invece, assumono un ruolo centrale - oltre alle associazioni tra imprese anche le istituzioni scientifiche, come le Università, i parchi scientifici, le agenzie di trasferimento tecnologico, secondo un modello ideale di governo dei processi di innovazione cd. a tripla elica.
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Nello specifico delle modalità di governo avviate nell’ambito dei singoli cluster esaminati, ci sembra che interessanti esperienze, importabili anche da altri contesti territoriali, possano essere considerate le seguenti: - la governance multi-livello realizzata in Bretagna, costituita da un livello regionale, un livello provinciale e un livello ancora più specifico focalizzato sulla nicchia settoriale delle regate al largo; - la pianificazione collettiva formulata e implementata nella regione del Solent e del South-East dell’Inghilterra, come risposta alla carenza di accessi al mare e all’esigenza di razionalizzare gli investimenti costieri; - il governo spontaneo e dal basso emerso nella regione della Florida del Sud, guidata dalle associazioni imprenditoriali, che hanno come finalità quella di rappresentare le istanze dei produttori nautici; - le modalità collaborative di sviluppo dell’innovazione e di attrazione degli investimenti dall’estero e di promozione delle esportazioni realizzate sinergicamente dalle agenzie governative e dalle associazioni di categoria della Nuova Zelanda; - le forme di coordinamento e di integrazione delle iniziative locali avviate recentemente sul territorio della Toscana, attraverso forme di governance miste (pubblico-privato) di marcata natura bottom-up. Ci sembra che queste esperienze locali, pur nella specificità storica e di contesto in cui hanno trovato attuazione, rappresentino potenzialmente delle best practices esportabili anche in altri ambiti territoriali. La governance multi-livello può, ad esempio, favorire processi di aggregazione di attività economiche su basi distinte, in relazione alle diverse tipologie di cluster policies che si intendono realizzare. La pianificazione degli accessi al mare e delle iniziative di sviluppo della linea costiera rappresentano modalità particolarmente efficaci di allocazione di quello che rappresenta oggi uno dei fattori più scarsi ed a maggiore criticità per lo sviluppo della nautica e dell’economia del mare in generale. Le associazioni di categoria e le forme di governance spontanea a cui esse danno luogo, basate su un esteso networking, rappresentano un necessario bilanciamento alla natura dirigistica e “calata dall’alto” di molte iniziative di clusterizzazione avviate a livello internazionale. La promozione dell’internazionalizzazione e l’attrazione degli investimenti dall’estero rappresentano importanti azioni per l’aumento della competitività internazionale del sistema territoriale, aspetto quanto mai necessario in un contesto di crescente globalizzazione dei mercati della nautica. Infine, le forme miste (pubblico-privato) di governance, ci sembrano quanto mai attuali in una cornice di risorse pubbliche scarse o limitate, anche per realizzare modalità di governance “leggere”. 4.3 Le politiche di supporto In relazione a quest’ultimo punto, vogliamo evidenziare una notevole varietà nella natura ed estensione delle politiche di supporto pubblico ai cluster nautici.
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In particolare, la nostra analisi dei sistemi nautici ha individuato diversi possibili linee di azione, riconducibili alle seguenti: - interventi a supporto dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione; questo filone trova attualmente interessanti declinazioni verso tematiche ambientali ed energetiche; - interventi a sostegno dei processi di internazionalizzazione (tipicamente dell’export) delle imprese; - interventi a sostegno della qualificazione e riqualificazione del capitale umano; - interventi finalizzati alla promozione di nuova imprenditorialità e allo sviluppo organizzativo delle piccole imprese; - interventi orientati al rafforzamento della dotazione di capitale sociale e relazionale nel cluster attraverso la promozione dell’associazionismo; - azioni ed interventi di rappresentanza “politica” delle istanze del sistema imprenditoriale, secondo logiche di lobbying presso regolatori ed istituzioni pubbliche; - azioni volte a sviluppare e qualificare le infrastrutture e le risorse produttive più importanti per il settore della nautica, come gli accessi all’acqua, la portualità, la disponibilità di spazi per gli insediamenti produttivi. 4.4 Basi di conoscenza e processi di innovazione: la forza delle reti lunghe e dei legami deboli Un ulteriore risultato emergente della nostra ricerca ha a che vedere con la natura della conoscenza prevalente nei cluster nautici e dei processi di innovazione. Se la struttura dei cluster esaminati e le dinamiche evolutive e di governance che li caratterizzano presentano tratti di netta diversità, abbiamo anche rilevato che il mondo della nautica è letteralmente pervaso, indistintamente, da forme di conoscenza cd. “sintetica” (Asheim e Gertler, 2005), che influenzano significativamente la natura dei processi di innovazione prevalenti in questo settore. I processi di innovazione nella nautica procedono prevalentemente attraverso l’applicazione di risorse di conoscenza già esistenti, oppure attraverso nuove combinazioni di queste risorse. I processi innovativi sono guidati in particolare dal bisogno di risolvere problemi specifici che scaturiscono dalle relazioni tra clienti e fornitori: la ricerca e sviluppo è soprattutto di tipo applicato e in tale area si concentrano le sporadiche relazioni collaborative con il mondo universitario. La conoscenza è generata attraverso processi induttivi di sperimentazione e di simulazione, finendo per essere “incorporata” nelle soluzioni tecnologiche e progettuali innovative. La conoscenza tacita, associata all’esperienza e ai processi di apprendimento, tende a predominare. L’innovazione tende ad essere incrementale, con minori probabilità di generare discontinuità tecnologiche. Le spinte propulsive ai processi di miglioramento provengono prevalentemente dalle esigenze del cliente (demand pull), o dai fornitori di materiali e macchinari (technology push).
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Sotto tale profilo, i modelli di innovazione in ambito nautico risultano scarsamente basati sulla produzione di nuova conoscenza di base e non assumono, quindi, il tradizionale modello lineare della filiera università-impresa, per assumere invece una natura multilivello (Bhidè, 2008) e a più attori, dove assumono prevalente importanza le forme di innovazione di tipo customer-led (von Hippel, 2005). Su un piano adiacente, la ricerca ci ha consentito di mettere in luce che i processi di innovazione che interessano la nautica non si esauriscono soltanto sul piano locale, ma si realizzano in un contesto più ampio, dove un numero crescente di imprese dei cluster sfruttano sia forme di conoscenza fortemente localizzata, che forme di conoscenza esterna, disponibile nei circuiti internazionali della conoscenza. Infatti, i processi di innovazione che si realizzano all’interno di distretti, cluster e RIS possono risultare affetti da “miopia” nel momento in cui manchi la capacità dell’impresa localizzata di individuare opportunità e di costruire relazioni che vadano al di là dei confini del sistema. Questi sistemi possono in altri termini soffrire di una sindrome di “overembeddedness” (Uzzi, 1997), laddove predomini da parte degli attori rilevanti una proiezione interna al sistema anziché una apertura alle dinamiche innovative e competitive esterne ad esso. Se, dunque, da un lato, la migliore modalità per accedere alla conoscenza locale è proprio quella di operare a stretto contatto con chi la possiede (fornitori, lavoratori, clienti, ecc.), dall’altro lato, diviene sempre più importante relazionarsi al di fuori del cluster, sfruttando le opportunità offerte dalla globalizzazione. Sono quindi le modalità di innovazione estese, per reti lunghe, basate su relazioni “deboli” à la Granovetter, che consentono di realizzare forme di innovazione radicale, spesso importate all’interno del cluster e successivamente diffuse, attraverso processi di knowledge spill-over, presso tutti gli attori del sistema territoriale locale. A queste stesse conclusioni giungono, sempre con riferimento ai sistemi della nautica, anche Chetty e Agndal (2007) i quali evidenziano in particolare come, da un lato, il successo del cluster neozelandese vada imputato alla struttura del contesto locale, che interconnette le imprese a clienti esigenti, fornitori specializzati e designer ma come, dall’altro lato, un fondamentale ruolo di “ponte” con gli altri sistemi locali sia svolto dagli eventi velici (regate) internazionali (relazioni lunghe), frequentate da una ampia e cosmopolita comunità di pratiche. L’eccellenza sul piano dell’innovazione sembra dunque derivare dalla capacità delle imprese di lavorare su un duplice binario: quello delle relazioni locali, che sfruttano il cd. “local buzz” e quello delle relazioni lunghe, con l’esterno, che richiedono “global pipelines” per l’accesso alla conoscenza (Bathelt et al., 2002). In definitiva, sembra proprio essere la capacità di interconnettersi a fonti differenziate (locali, internazionali) dell’innovazione a marcare maggiormente la differenza tra imprese (e cluster) competitive e imprese (e cluster) che segnano il passo e che rischiano pertanto di rimanere indietro nel processo di evoluzione competitiva.
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5. Conclusioni Nonostante una sostanziale conferma, da parte della ricerca empirica, della rilevanza ed efficacia del framework analitico impiegato, questo risulta tuttavia ancora non del tutto completo. In particolare, rimangono in larga parte da indagare le relazioni reciproche tra le dimensioni introdotte e vanno inoltre ancora individuate le variabili capaci di trasformare quello presentato in un vero e proprio modello evolutivo dei cluster.5 È infatti del tutto evidente che l’evoluzione gioca un ruolo importante nei sistemi di innovazione, perché le pratiche di business, le forme di conoscenza, le modalità di relazione prevalenti al loro interno sono processi cumulativi ed evolutivi, che ne segnano le direzioni di sviluppo. Come mette in evidenza Lindsay (2005), i cluster nautici seguono percorsi di sviluppo segnati dalla co-evoluzione di imprese e contesto, e sono largamente plasmati dai processi di sedimentazione storica, dall’accumulazione di inerzie e di vincoli che sono condizionati, a loro volta, dalla parallela evoluzione del territorio (la dimensione geografica). Si tratta, in definitiva, di un processo di co-evoluzione di istituzioni, traiettorie tecnologiche, settori industriali, strategie di innovazione delle imprese. Si tratta di considerazioni del tutto coerenti con i modelli più consolidati di “evolutionary economics” (Nelson e Winter, 1982), che pongono l’enfasi sulla presenza di vincoli all’evoluzione dei sistemi economici, sotto forma di: - lock-in cognitivi: quando vi è una eccessiva omogeneità nella visione della realtà e quindi viene a ridursi il potenziale innovativo attivato dalla “generazione di varietà” nelle risposte delle singole imprese ai cambiamenti esterni; - lock-in politici: quando esistono relazioni e vincoli eccessivi, quasi simbiotici tra gli attori chiave privati e pubblici6. L’analisi teorica ed empirica condotta ci ha consentito di esplorare il complesso legame tra contesti e processi di innovazione, contribuendo a chiarire la rilevanza dei fattori cd. location specific nella determinazione dei livelli di innovazione e di competitività delle imprese che operano nei sistemi locali. Tuttavia, il punto di vista adottato e soprattutto la natura delle prospettive di ricerca che abbiamo mutuato, ci hanno portato a mettere in luce soprattutto le dimensioni e le implicazioni a livello “meso” per il governo dei processi di innovazione, piuttosto che quelle di livello individuale (singola impresa) e ci hanno condotto ad enfatizzare il rapporto tra caratteristiche dei contesti e dinamiche di innovazione collettive, piuttosto che al livello delle singole imprese.
5
6
Vedi Varaldo e Ferrucci (1996) per una prospettiva evolutiva applicata ai distretti industriali. Questi vincoli e inerzie all’evoluzione assumono in letteratura terminologie diverse: core rigidities, nella versione di Leonard-Barton (1992), competency traps, nella lettura di Cohen e Levinthal (1990).
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Rimangono, in definitiva, ancora da sviluppare in modo esauriente le implicazioni di natura manageriale dai temi sopra descritti: se riconosciamo che i processi di innovazione hanno anche una dimensione territoriale, quali modelli organizzativi e quali modalità di relazione con l’esterno sono meglio in grado di favorire ricadute positive per la singola impresa? Quali sono le condizioni che rafforzano la capacità delle imprese di “assorbire” innovazione dal contesto? E per converso, quali sono le più efficaci modalità per favorire attivamente la produzione e la diffusione di conoscenza nel network innovativo in cui l’impresa è inserita? Come esercitare una leadership dei processi di innovazione al livello dei cluster territoriali? E come sostenere questa leadership nel tempo, presidiando contemporaneamente quei processi di innovazione che tendono a realizzarsi su scala globale? Si tratta di domande che presuppongono un punto di vista diverso da quello adottato. Occorre, in definitiva, passare da una prospettiva di sistema (meso) ad una prospettiva aziendale (micro). Il ricorso a prospettive teoriche adiacenti al campo degli studi manageriali, pur avendoci fornito indubbiamente degli utili elementi per affinare l’analisi del fenomeno dell’innovazione entro i contesti locali, non appare del tutto funzionale alle esigenze conoscitive della nostra disciplina. In particolare, la diversità di unità di analisi (i sistemi piuttosto che le singole imprese) tende a riflettersi anche sulle domande di ricerca formulate dalla comunità scientifica, che non hanno a nostro avviso una adeguata declinazione in termini di scelte manageriali e di comportamenti d’impresa. Per colmare questa mancanza, sarà necessario approfondire, con ulteriori ricerche, anche l’esame di specifici casi aziendali, per valutare, specialmente con riferimento alle imprese leader dei cluster, quali siano i possibili raccordi tra livelli meso e micro, tra logiche di governance e logiche strategiche, tra politiche pubbliche e investimenti privati. Bibliografia ANTONELLI G., Organizzare l'innovazione. Spin off da ricerca, metaorganizzazioni e ambiente relazionale, FrancoAngeli, Milano, 2003. ARUNDEL A., GEUNA A., “Does proximity matter for knowledge transfer from public institutes and universities to firms?”, SPRU Electronic Working Paper Series, n. 73, 2001. ASHEIM B., “Industrial districts as learning regions: a condition for prosperity”, European Planning Studies, vol. 4, n. 4, 1996, pp. 379-400. ASHEIM B., ISAKSEN A., “Regional innovation systems: the integration of local ‘sticky’ and global ‘ubiquitous’ knowledge”, The Journal of Technology Transfer, vol. 27, n. 1, January, 2002, pp. 77-86. ASHEIM B.T., GERTLER M.S., “The geography of innovation: regional innovation systems”, in Fagerberg J., Mowery D., Nelson R. (Eds.), The Oxford Handbook of Innovation, Oxford University Press, Oxford, 2005, pp. 291-317.
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