Problematiche emergenti e prospettive
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Il Patto per la Salute
Nella seduta della Conferenza Stato-Regioni del 10 luglio è stata siglata l’Intesa sul nuovo Patto per la Salute 2014-2016. In un rinnovato contesto politico-istituzionale, rivolto all’Europa, il nuovo Patto per la Salute rappresenta lo strumento condiviso tra il Governo e le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano per la realizzazione di un nuovo sistema di governance della sanità. Le principali caratteristiche del Patto, in un’ottica di efficientamento strutturale del sistema, sono costituite: dalla programmazione triennale dei costi standard e dei fabbisogni regionali, che consente di avviare e implementare politiche di innovazione del Servizio sanitario nazionale (SSN) sul territorio; dalla definizione degli standard relativi all’assistenza ospedaliera che, unitamente all’assistenza sanitaria transfrontaliera, all’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) e alla reale promozione dell’assistenza territoriale, costituiscono i pilastri su cui fondare tutte le iniziative necessarie per garantire la tutela della salute a tutti i cittadini uniformemente sul territorio nazionale. Il tema degli investimenti in sanità è anch’esso centrale per garantire le condizioni di competitività, di qualità e di sicurezza delle strutture sanitarie. Il tema della sanità digitale, con la previsione del Patto per la Salute digitale, rappresenta anch’esso uno strumento di razionalizzazione ed efficientamento del sistema. Il Patto sarà governato da una Cabina di regia politica, che ne garantirà il monitoraggio costante e verificherà l’attuazione di tutti i provvedimenti, avvalendosi di un apposito Tavolo tecnico, istituito presso l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali
(AgeNaS), che dovrà anche monitorare l’applicazione delle misure in campo sanitario sulla revisione della spesa, seguendo le indicazioni del Commissario straordinario per la revisione della spesa, di cui al programma di Governo. La possibilità di realizzare concretamente gli obiettivi fissati nel nuovo Patto per la Salute è garantita non solo dai risparmi derivanti dall’applicazione delle misure ivi previste che rimarranno nella disponibilità delle Regioni per finalità esclusivamente sanitarie, ma anche da quelli conseguiti dalla revisione della spesa, i quali saranno utilizzati per migliorare i livelli qualitativi dell’intero sistema sanitario. Tra le novità contenute nel Patto vi è anche la previsione di attivare un sistema di monitoraggio, analisi e controllo dell’andamento dei singoli sistemi sanitari regionali, che consenta di rilevare in via preventiva, attraverso un apposito meccanismo di allerta, eventuali e significativi scostamenti delle performance delle Aziende sanitarie e dei sistemi sanitari regionali, in termini di qualità, sicurezza, efficacia, efficienza, appropriatezza ed equità dei servizi erogati. È previsto che questo compito venga affidato ad AgeNaS quale strumento operativo del Ministero della salute, analogamente a quanto accade negli altri Paesi dell’Unione Europea (UE). Il tema della revisione del sistema di compartecipazione (ticket) e quello delle esenzioni sono trattati nel Patto in un’ottica di riforma, affinché si eviti che la compartecipazione rappresenti una barriera per l’accesso ai servizi sanitari e la principale causa dell’esodo dei cittadini dalle cure. Anche il tema della gestione delle risorse umane trova nel Patto un impegno definito e uno strumento concreto per procedere a una
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Problematiche emergenti e prospettive
riforma del sistema attuale attraverso specifici provvedimenti che saranno elaborati dal Governo insieme alle Regioni. Il nuovo Patto per la Salute 2014-2016 mira a un generale efficientamento del nostro SSN, proprio nell’ottica dell’appropriatezza. Tutte
le previsioni in esso contenute sono state ispirate dai bisogni di salute dei cittadini e, allo stato attuale, costituisce il solo strumento per la costruzione di una sanità più vicina alle persone, una sanità più efficace ed efficiente, sicura, di qualità e competitiva in Europa.
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Appropriatezza e programmazione ospedaliera
2.1. Introduzione
zione degli obiettivi alla ripartizione delle risorse.
L’appropriatezza degli interventi sanitari, nelle diverse dimensioni clinica e organizzativa, costituisce uno strumento tecnico imprescindibile che accompagna le fasi di sviluppo degli interventi di programmazione sanitaria. Come è noto, diversi fattori possono contribuire a incrementare il rischio di inappropriatezza nel ricorso alle prestazioni sanitarie; ciò esita in un potenziale, incongruo sovrautilizzo delle risorse e deriva, in linea generale, dalla tendenza degli operatori e degli utilizzatori, rispettivamente, a garantire ed esigere un ventaglio di prestazioni sempre più ampio. Ciò si verifica per la rapidità di diffusione dell’informazione scientifica, anche in contesti laici, per l’evoluzione del rapporto medico-paziente e per il fenomeno di estremo ricorso alla prescrizione specialistica noto come “medicina difensiva”. A ciò si deve aggiungere l’oggettivo incremento dei costi sanitari derivante, tra l’altro, dal tasso di prevalenza delle patologie cronico-degenerative, dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, che conducono a nuove e più accessibili frontiere terapeutiche, e dalle evoluzioni normative con relative revisioni interpretative che, sovente, introducono nuovi e più ampi criteri di accessibilità di talune prestazioni. In una visione sistemica, ciascuna prestazione rivolta a un singolo paziente determina una sottrazione di risorse, potenzialmente necessarie ad altri. Alla luce di tale consapevolezza, e in ragione della non ulteriore espansibilità delle risorse destinate alla sanità, le valutazioni di appropriatezza devono costantemente coniugarsi con il principio di sicurezza delle cure e con la tensione etica che caratterizza ogni fase dell’azione programmatoria, dall’individua-
2.2. Esposizione e valutazione critica dei dati Nella consapevolezza che un’adeguata azione di controllo possa rappresentare un elemento necessario per la promozione dell’appropriatezza, sono state condotte in primo luogo attività collegate alle funzioni di monitoraggio e verifica. In tal senso, tramite il sistema SiVeAS (Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria) sono state condotte azioni di verifica delle attività aziendali (anche attraverso la conduzione di specifici accessi diretti) e, per le Regioni interessate, il monitoraggio dei Piani di rientro dal deficit. Ulteriori azioni di monitoraggio degli interventi di programmazione regionale sono state condotte nell’ambito delle attività del Comitato LEA (Livelli essenziali di assistenza), sede nella quale, attraverso l’analisi di specifici set di indicatori quali-quantitativi, sono state valutate le adempienze regionali. Tali valutazioni periodiche sono state elaborate in tema di qualità, accreditamento e sicurezza delle attività sanitarie, adeguatezza nella gestione delle liste di attesa, appropriata organizzazione dei punti nascita, funzionalità dei percorsi diagnostico-terapeutici, organizzazione dell’assistenza ospedaliera. Nell’ambito delle attività di revisione organizzativa per l’incremento del grado di appropriatezza delle prestazioni, sono stati avviati specifici progetti inerenti le attività di senologia-breast unit, il ricorso alle innovazioni, con particolare riguardo alla chirurgia robotica, e i percorsi integrati per la gestione delle cronicità.
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Problematiche emergenti e prospettive
Inoltre, sono state elaborate e diffuse guide ai pazienti per l’appropriato e sicuro ricorso ai servizi sanitari e sono stati prodotti manuali per la formazione degli operatori in tema di appropriatezza e governo clinico.
2.3. Indicazioni per la programmazione Le attività di programmazione sanitaria per il potenziamento del grado di appropriatezza delle prestazioni sanitarie non dovrebbero contemplare la mera introduzione di tetti di spesa. Un siffatto intervento, infatti, rischierebbe di essere solo apparentemente risolutivo, poiché in ultima analisi può determinare la rinuncia a una quota di prestazioni e può, paradossalmente, generare costi aggiuntivi per la gestione di patologie diagnosticate in ritardo, oppure non adeguatamente trattate. A tal fine deve essere garantito un utilizzo ottimale delle risorse sul piano dell’efficienza, mentre sul piano dell’allocazione delle risorse deve essere garantito il principio di equità. L’appropriatezza delle prestazioni va intesa quale funzione di un corretto utilizzo delle reti assistenziali integrate, della corretta applicazione dei criteri di valutazione volume/esiti e dello sviluppo di moderni e flessibili assetti assistenziali, quali i percorsi organizzativo-assistenziali in integrazione multiprofessionale, che potenziano il territorio non disconoscendo la valenza dell’area ospedaliera. In tale ottica si inserisce anche la diffusione della cartella clinica informatizzata/cartella integrata che, nel garantire la condivisione dei dati, evita la duplicazione di indagini diagnostiche e prestazioni cliniche specialistiche. Sono pertanto opportuni quegli interventi di programmazione che puntino alla definizione di criteri condivisi di appropriatezza [Evidence-Based Medicine (EBM), consenso, Linee guida, Raccomandazioni], all’elaborazione di regolamenti omogenei a livello regionale e all’individuazione di poli di eccellenza, per favorire, oltre che l’appropriatezza, anche l’efficacia e la sicurezza delle cure, promuovendo specifici interventi formativi per gli operatori sanitari, mirati allo sviluppo di competenze tecnico-professio-
nali e metodologie gestionali, nonché all’acquisizione dell’adeguata padronanza delle tecnologie e delle innovazioni, per l’individuazione dei profili di cura più appropriati tra quelli disponibili. Sul piano della revisione organizzativa, la programmazione sanitaria deve procedere alla definizione di criteri di accesso alle prestazioni che, garantendo il ricorso a pratiche diagnostiche e terapeutiche secondo le migliori evidenze scientifiche disponibili, eviti il ricorso a interventi che non apportano benefici e che, invece, possono esporre i pazienti a rischi ingiustificati. Contestualmente, non devono essere disconosciuti i potenziali benefici derivanti dalla diffusione, su scala più ampia, di approcci innovativi appannaggio di poche realtà assistenziali. Deve essere garantito un utilizzo delle risorse ottimale sul piano dell’efficienza e, sul piano dell’allocazione delle risorse, devono essere garantiti i principi di equità; l’appropriatezza delle prestazioni diventa funzione del corretto utilizzo delle reti assistenziali integrate, della corretta applicazione dei criteri di valutazione volume/esiti e dello sviluppo di moderni e flessibili assetti assistenziali, quali i percorsi organizzativo-assistenziali in integrazione multiprofessionale, che potenziano il territorio non disconoscendo la valenza dell’area ospedaliera. In tale ottica si inserisce anche la diffusione della cartella clinica informatizzata/cartella integrata che, nel garantire la condivisione dei dati, evita la duplicazione di indagini diagnostiche e prestazioni cliniche specialistiche. Gli interventi di programmazione sanitaria fin qui descritti non possono restare disgiunti dalla promozione di iniziative mirate al coinvolgimento del paziente, necessarie sia per la più idonea comunicazione delle informazioni relative ai percorsi di cura disponibili, sia per il corretto dimensionamento delle aspettative dei singoli. Devono, inoltre, essere promossi interventi formativi per l’empowerment del paziente e dei familiari, per la co-gestione delle cronicità e delle fragilità.
Bibliografia essenziale Guide per gli stakeholders sul sito istituzionale www. salute.gov.it
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Appropriatezza e programmazione ospedaliera
Ministero della salute – Direzione generale della programmazione sanitaria – Ufficio III. La formazione per il governo clinico. Aprile 2013 Ministero della salute – Direzione generale della programmazione sanitaria – Ufficio III. Manuale di formazione per il governo clinico. Appropriatezza. Luglio 2012 Ministero della salute – Direzione generale della
programmazione sanitaria – Ufficio III. Manuale di formazione per il governo clinico. Il governo dell’innovazione nei sistemi sanitari. Dicembre 2012 Ministero della salute – Direzione generale della programmazione sanitaria – Ufficio III. Manuale di formazione per il governo clinico. Monitoraggio delle performance cliniche. Dicembre 2012
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Valutazione dei costi standard dei Livelli essenziali di assistenza
Con l’introduzione del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, si è avuto, dall’anno 2013, un definitivo superamento dei precedenti criteri di riparto delle risorse destinate alla sanità, attraverso l’applicazione a tutte le Regioni dei valori di costo rilevati nelle tre Regioni di riferimento scelte nel rispetto di quanto previsto dall’art. 27 della citata norma. Le best practice, individuate nelle varie real tà regionali mediante un set di indicatori tali da valutare i livelli di efficienza e di appropriatezza raggiunti con riferimento a un aggregato di prestazioni rese all’interno di ciascuno dei tre macrolivelli dell’assistenza sanitaria (la norma richiamata intende il costo standard in relazione a macro-livelli prestazionali – assistenza collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera – e non per singola prestazione o fattore produttivo), sono divenute riferimento per tutte le Regioni, in particolare per quelle che oggi presentano i maggiori problemi di organizzazione e gestione della sanità pubblica. Anche per queste ultime si è quindi reso necessario tendere verso il rispetto del pareggio di bilancio, recuperando elementi di efficienza ed efficacia nella produzione ed erogazione dei servizi, avendo come target i livelli di offerta garantiti dalle Regioni benchmark a fronte del solo finanziamento dello Stato. Al fine di proseguire nel percorso di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, nonché sulla scorta delle risultanze del lavoro già svolto nel corso dell’anno 2013, a partire dall’anno 2014 si dovrà procedere a una rideterminazione biennale dei criteri di qualità, di appropriatezza e di efficienza dei servizi erogati, anche in attuazione dell’art. 29 del menzionato D.Lgs. 68/2011. A tal fine è stato istituito un Gruppo di lavoro interistituzionale chiamato a individuare nuovi
indicatori tali da integrare e/o modificare quelli già definiti con la delibera del Consiglio dei Ministri dell’11 novembre 2012 e che tengano conto di: criteri di pesatura della popolazione residente, ai fini della determinazione del fabbisogno regionale standard, strutturati anche sull’indice di prevalenza delle malattie; indicatori di outcome (esiti di cura delle malattie), al fine di effettuare confronti tra le diverse Regioni e all’interno di una stessa Regione; un ulteriore macro-livello di assistenza nella ripartizione del fabbisogno sanitario che sia legato all’emergenza-urgenza da inserire tra le offerte di assistenza distrettuale e ospedaliera. Il miglioramento in prospettiva futura della metodologia vigente finalizzata alla definizione dei criteri di qualità, di appropriatezza e di efficienza dei servizi erogati, come disciplinata dalla delibera del Consiglio dei Ministri dell’11 dicembre 2012, potrà giovarsi anche dei dati rilevati dai flussi informativi NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario) di più recente attivazione per il monitoraggio sistematico dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), nell’ambito dei diversi livelli assistenziali, a partire da quello ospedaliero e da quello territoriale, con particolare riferimento all’assistenza residenziale, semiresidenziale e domiciliare. Imprescindibile è, altresì, il processo di certificazione dei dati contabili: solo partendo da costi certi è possibile individuare costi standard attendibili. Non vi è dubbio che il sistema federalista consente una politica sanitaria più vicina alle esigenze dei cittadini appartenenti alle singole Regioni, poiché dovrebbe interpretare direttamente e in modo appropriato la domanda
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Valutazione dei costi standard dei Livelli essenziali di assistenza
sanitaria regionale e fornire tempestivamente ed efficacemente una risposta ai bisogni assistenziali. Va però anche detto che l’autonomia delle Regioni ha avuto effetti positivi in alcune aree geografiche, ma ha nel contempo accentuato ancora di più il divario tra Nord e Sud del nostro Paese, alimentando il fenomeno della mobilità interregionale. Occorre fare
in modo, quindi, che lo sviluppo della metodologia dei costi standard in sanità rappresenti anche un’occasione imperdibile di consolidamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) e di riqualificazione dell’offerta sanitaria, in particolare nelle Regioni in cui vi sono ancora gravi carenze in termini di efficienza, appropriatezza e qualità.
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Dalla continuità assistenziale all’assistenza H24
4.1. Quadro programmatico La continuità dell’assistenza in questi ultimi anni è stata una delle priorità all’attenzione della programmazione nazionale che, a tal fine, ha incoraggiato le Regioni a sperimentare nuovi modelli organizzativi che prevedessero l’integrazione delle diverse professionalità sanitarie e, in particolare, dei servizi territoriali. Indicazioni utili in tal senso sono state fornite con gli Accordi relativi agli obiettivi di PSN (Piano Sanitario Nazionale), linea Cure primarie per gli anni 2009-2010 e riconfermati con l’Accordo Stato-Regioni 20 aprile 2011 che ha rafforzato tali indirizzi prevedendo anche specifici programmi relativi all’“assistenza H24: riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso e miglioramento della rete assistenziale”. La finalità era anche sviluppare nuovi percorsi organizzativi integrati per ridurre gli accessi impropri ai servizi di emergenza-urgenza, razionalizzare le risorse presenti sul territorio e rispondere in modo adeguato ai nuovi bisogni di salute della popolazione, sempre più caratterizzati dalla cronicità e non autosufficienza. Successivamente, con l’Accordo integrativo del 27 luglio 2011, le Regioni sono state invitate a realizzare e/o potenziare lo sviluppo di modalità organizzative per l’integrazione tra i servizi di emergenza-urgenza (118) e di continuità assistenziale (ex guardia medica), anche al fine di superare la frammentarietà degli interventi e assicurare risposte adeguate ai bisogni del cittadino sin dalla fase di accesso telefonico ai servizi sanitari nelle 24 ore per 7 giorni a settimana. Il principale obiettivo di quanto indicato è la realizzazione di una rete territoriale che integri le strutture, i servizi e le figure professionali della medicina territoriale [medici di
medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta (PLS) e medici del servizio di continuità assistenziale (MCA)], anche se già presenti in forma aggregata, con le strutture e le professionalità del sistema di emergenza territoriale. Tale integrazione, servizio di continuità assistenziale (ex guardia medica) con quello 118, consente l’individuazione tempestiva delle patologie con minore gravità (cosiddetti codici bianchi e verdi) e l’invio dei pazienti ai servizi del Distretto. Questo modello organizzativo permette, già nell’immediato, di assolvere alla domanda di salute dei cittadini indirizzandoli in un percorso di cura appropriato e più tempestivo. Il processo di rinnovamento, intrapreso dalle Regioni, è stato inoltre favorito dalla legge n. 189/2012 che innovando nell’organizzazione delle cure primarie intende offrire sul territorio, con l’organizzazione e la messa a regime delle Unità complesse di cure primarie, l’integrazione delle attività assistenziali delle cure primarie per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana (vedi Capitolo “Le reti distrettuali territoriali”, pag. 321). Un’altra importante innovazione della legge n. 189/2012 (art. 1, comma 4 lettera h) è l’istituzione del ruolo unico, che si concretizza con la previsione di un’unica graduatoria per le funzioni di MMG, nella quale è ricompresa anche la continuità assistenziale. Tale scelta ha, tra le sue motivazioni, la volontà di garantire una migliore assistenza, poiché il MMG con un numero esiguo di scelte svolgerà la sua funzione di MCA nell’ambito dello stesso territorio dove opera come MMG, garantendo la continuità dell’assistenza anche attraverso la conoscenza degli assistiti e della loro storia clinica, nonché l’accesso ai dati clinici degli stessi. Considerando la rilevanza della tematica e al
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Dalla continuità assistenziale all’assistenza H24
fine di dare continuità a quanto già indicato, anche nell’accordo per il 2013 sono stati ulteriormente confermati gli indirizzi relativi all’integrazione territoriale.
4.2. Stato di attuazione nei contesti regionali In attuazione agli ultimi Accordi, i progetti presentati per l’anno 2012 dalla maggior parte delle Regioni, non solo quelle in Piano di rientro, hanno previsto la sperimentazione di modelli organizzativi volti all’assistenza in H24 e all’integrazione tra Centrale Operativa 118 e continuità assistenziale. Nella programmazione di tali modelli sperimentali è stato tenuto conto delle caratteristiche del territorio interessato, della preesistente dislocazione delle Centrali Operative, della presenza di strutture derivanti da piccoli ospedali riconvertiti e delle già esistenti forme di aggregazione dei medici territoriali. Inoltre, in tutti i modelli presentati nei progetti sono state previste anche modalità di integrazione tra le attività sanitarie e quelle sociali del territorio. Risulta, pertanto, che i sistemi organizzativi previsti sono molto simili in tutti i progetti, diversificandosi solo per la tipologia delle aree individuate, che sono generalmente le grandi aree metropolitane (es. Roma e Torino) o Aziende sanitarie locali (ASL) con più Comuni (es. ASL di AvezzanoSulmona-L’Aquila). La valutazione dell’estendibilità di tali modelli ad altre realtà risulta ancora difficile, in quanto la maggior parte dei progetti, pur essendo in un avanzato stato di sperimentazione, è ancora in una fase di prima attuazione. La realizzazione di tali modelli di integrazione si inserisce in uno scenario favorevole, allo stato attuale, in quanto le Regioni si trovano ad affrontare la riorganizzazione delle reti assistenziali, emergenza, ospedaliera e territoriale, attualmente in una fase evolutiva che vede ancora in corso, sia nelle Regioni in Piano di rientro sia in altre Regioni, la riconversione di piccoli presidi ospedalieri, la razionalizzazione dei presidi di continuità assistenziale, la realizzazione di presidi sanitari territoriali [Case della salute, Punti territoriali di assistenza (PTA)].
4.3. Esposizione e valutazione dei dati Le Regioni che nell’anno 2012 hanno presentato progetti relativi alla “continuità delle cure in un sistema integrato: modelli organizzativi 118 e continuità assistenziale” sono 6, di cui la maggior parte (83%) del Centro Italia e la restante parte del Nord. Inoltre, di queste, 4 Regioni sono in Piano di rientro. I progetti proposti, per un totale di 7, rientrano completamente nella linea progettuale, in quanto prevedono lo sviluppo di nuovi percorsi organizzativi integrati che dovranno ridurre gli accessi impropri al pronto soccorso, razionalizzare le risorse presenti sul territorio e rispondere, con maggiore efficacia, al bisogno di salute della popolazione. Tra i progetti presentati, 5 prevedono un’integrazione funzionale della continuità assistenziale con la Centrale Operativa 118 mediante collegamenti telefonici e supporto tecnologico. In tale ambito, i MCA forniscono consulenze e informazioni sanitarie ai richiedenti e, se necessario, li indirizzano alle forme associate territoriali [Aggregazioni funzionali territoriali (AFT) ecc.]. Due progetti, invece, prevedono la creazione di un’area dedicata all’attività della continuità assistenziale nell’ambito delle Centrali Operative 118 con ampliamento dell’orario dei MCA nelle ore diurne per fornire risposte alle chiamate pervenute impropriamente al 118 ed, eventualmente, indirizzare il richiedente ai presidi territoriali di assistenza H24. Le Regioni che nell’anno 2012 hanno presentato progetti relativamente ai modelli di “assistenza H24” sono 9, di cui 1 del Sud Italia e la maggior parte (55%) del Centro. Quattro progetti, sul totale dei 9 proposti, trattano un modello organizzativo che rappresenta l’evoluzione di quello della continuità assistenziale, in quanto l’assistenza H24 è garantita dall’associazionismo dei medici del territorio o dall’implementazione dell’attività ambulatoriale dei MCA. In altri 3 progetti è il Distretto che assume un ruolo predominante per la copertura H24. Infine, in un caso la continuità assistenziale 24H è affidata alla Casa della Salute e in un altro alla messa in rete di tutti gli ambulatori delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP)
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Problematiche emergenti e prospettive
e di questi con i servizi ospedalieri. In tutti i progetti risulta che, per il raggiungimento degli obiettivi, devono essere implementati sistemi informativi adeguati. In considerazione di quanto esposto, si intende rivolgere l’attenzione futura alla verifica dei modelli sperimentali, in fase di realizzazione o già realizzati, mediante un sistema di indicatori a tal fine individuati.
Bibliografia essenziale Accordo Stato-Regioni 25 marzo 2009 per gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009 afferenti alla linea progettuale “Cure Primarie – assistenza h 24 riduzione degli accessi impropri al PS e miglioramento della rete assistenziale” Accordo Stato-Regioni 8 luglio 2010 per gli obiettivi di
carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2010 afferenti alla linea progettuale “Cure Primarie – assistenza h 24 riduzione degli accessi impropri al PS e miglioramento della rete assistenziale” Accordo Stato-Regioni 20 aprile 2011 per gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009 afferenti alla linea progettuale “Cure Primarie – assistenza h 24 riduzione degli accessi impropri al PS e miglioramento della rete assistenziale” Accordo Stato-Regioni 22 novembre 2012 per gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per per l’anno 2012 afferenti alla linea progettuale “Attività di assistenza primaria” Decreto legge n. 158/2012 convertito dalla legge 189/2012 “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”
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L’invecchiamento attivo
5.1. Quadro programmatico L’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’attesa di vita. Nell’Europa dell’Unione Europea (UE), ma in generale in tutta l’Europa, l’aspettativa di vita è andata aumentando negli ultimi decenni, raggiungendo nei Paesi a più bassa natalità e con un reddito elevato, come Francia, Spagna e Italia, valori di circa 85 anni per le donne e 80 anni per gli uomini. L’Italia è, dopo la Germania, il Paese europeo con la popolazione anziana più numerosa e l’età media più elevata (43,8). Secondo l’Istituto Europeo di statistica (Eurostatat), gli anziani in Europa saranno nel 2050 circa 141 milioni, passando dall’attuale 17,4% al 30,0% della popolazione totale (in Italia l’Istat prevede che nel 2050 saranno il 32,0%). Il carico delle malattie nella popolazione che invecchia. A questo aumento incessante dell’attesa di vita non corrisponde un parallelo aumento della quantità di vita vissuta in salute. Infatti, se si prende in considerazione la popolazione ultra64enne, l’orizzonte temporale è di circa 20 anni (18,4 negli uomini e 21,9 nelle donne), ma, di questi, la quota con limitazioni gravi dell’attività è di circa 3,6 anni per gli uomini e 5,8 anni per le donne (ultimi dati disponibili Istat, HFA). Questa differenza tra l’attesa di vita e quella in buona salute è legata al carico di malattie, soprattutto quelle croniche non trasmissibili, che insorgono in questa fascia di età e in età precedenti e che conducono le persone a una situazione di disabilità. I determinanti del carico delle malattie. Le malattie croniche non trasmissibili sono responsabili del maggiore carico di malattie, della disabilità che spesso ne consegue e
anche della mortalità (in misura di circa il 76% della mortalità totale). Queste malattie croniche non trasmissibili sono costituite da un numero ristretto di condizioni patologiche come malattie cardiovascolari, tumori, diabete, malattie respiratorie a carattere ostruttivo, artrosi e artriti e poche altre che si sviluppano per l’azione di determinanti (fattori di rischio) attinenti al nostro stile di vita (alimentazione, fumo, alcol e attività fisica). Negli ultimi decenni sono state raccolte innumerevoli evidenze che permettono di sperare che il carico di malattia e la disabilità siano ampiamente prevenibili o ritardabili agendo sugli stili di vita, con azioni sperimentate e di provata efficacia. La necessità di interventi di maggiore ampiezza. Molti interventi efficaci si situano nell’area della promozione della salute, cioè nell’attivazione di quei processi che permettono a individui e collettività di fare scelte favorevoli alla propria salute, a condizione che i sistemi e gli ambienti (sociali, scolastici, ecologici) siano di sostegno a queste scelte. Tuttavia, alcuni gruppi svantaggiati dal punto di vista socioeconomico sono più soggetti alle malattie croniche e più facilmente esposti ai fattori di rischio che le determinano a causa di fattori strutturali (governance, politiche, valori e norme sociali) e fattori “intermedi” legati alla posizione sociale (scolarità, occupazione, livello di guadagno, genere, posizione sociale) [UNDP, ottobre 2013].
5.2. Rappresentazione dei dati La strategia per la crescita e l’invecchiamento in una società. Da un lato, quindi, l’invecchiamento rappresenta tanto un indubbio
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Problematiche emergenti e prospettive
successo di una società, quanto una sfida che richiede risposte sul piano della sanità pubblica, ma anche dal punto di vista delle politiche sanitarie e sociali, per consentire alla vasta platea dei cittadini di invecchiare prevenendo le malattie croniche e integrandosi pienamente nel tessuto sociale, in tal modo rivelandosi una risorsa, anche sul piano economico, piuttosto che un peso per l’intera società. Traduzione in strategie europee e nazionali delle linee d’azione internazionali. Invecchiare in buona salute è pertanto l’obiettivo prioritario delle strategie nazionali, europee e internazionali e su questo piano l’Italia ha ancora molto da lavorare. In occasione dell’Anno dell’Invecchiamento Attivo (2012), a livello europeo è stato sviluppato un indicatore complessivo per misurare il grado di invecchiamento attivo e in buona salute della popolazione oltre i 64 anni di età. L’“Indice dell’Invecchiamento Attivo”, sviluppato in 4 aree (Impiego, Partecipazione nella società, Vita sicura, sana e indipendente, Capacità dell’ambiente di rendere possibile l’invecchiamento attivo) e con 22 indicatori,
vuole dare a colpo d’occhio una misura della capacità di una società di promuovere l’invecchiamento attivo. Il nostro Paese si classifica 15° (su 27) per il valore globale dell’Indice, ma 22° nell’area dell’impiego, 2° nella partecipazione alla società, 19° nell’area della vita autonoma e indipendente, 15° nelle capacità ambientali di promuovere l’invecchiamento attivo (Figura 5.1). In ambito europeo, inoltre, due importanti iniziative sono in atto per sviluppare strategie e politiche di sostegno comuni per un invecchiamento attivo e senza disabilità. L’Ufficio Regionale Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con gli Stati membri, ha prodotto nel 2012 un documento relativo a una strategia e a un Piano di Azione europeo per l’invecchiamento attivo e in buona salute nel periodo 2012-2020. Il documento tiene conto e si integra con gli altri documenti strategici dell’Ufficio Europeo dell’OMS e in particolare con le quattro aree prioritarie di “Health 2020”, una politica di riferimento europea a sostegno di un’azione trasversale ai Governi e alle società per la salute e il benessere.
Figura 5.1. Indice Invecchiamento Attivo, UNECE e Commissione Europea (Anno 2012). Indice complessivo
Indice Invecchiamento Attivo
Aree Contributo tramite attività remunerate
Attività sociale e partecipazione
Vita autonoma e indipendente
Abilità/Ambiente favorente
Tasso impiego 55-59
Lavoro volontario
Esercizio fisico
Tasso impiego 60-64
Attenzione per figli e nipoti
Accesso ai servizi
Restante attesa di vita a 55 anni
Tasso impiego 65-69
Attenzione per anziani
Vita indipendente
Restante attesa di vita in salute a 55 anni
Tasso impiego 70-74
Partecipazione politica
Sicurezza finanziaria
Benessere mentale
Sicurezza fisica
Uso competenze informatiche
Apprendimento adulto
Connessioni sociali
Indicatori
Livelli di istruzione
Condizioni in atto di Invecchiamento Attivo
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Capacità di invecchiare attivamente
L’invecchiamento attivo
Il Piano europeo ha colto e precisato quattro aree strategiche prioritarie di intervento e altrettanti obiettivi per l’invecchiamento attivo e in buona salute: invecchiamento attivo per tutto il percorso di vita con l’obiettivo di assicurare servizi di prevenzione e promozione della salute, con un’attenzione particolare per la fascia di età sopra i 50 anni; sviluppo di ambienti di vita favorevoli, con l’obiettivo di sensibilizzare le comunità locali verso interventi che realizzino ambienti di vita e sociali favorevoli per le persone anziane per proteggerne la salute, favorire la partecipazione alla vita sociale e sostenere il loro ruolo e contributo nell’ideazione di ambienti sociali e politiche di inclusione; sistemi di salute e di assistenza a lungo termine centrati sulla persona, adatti per popolazioni in progressivo invecchiamento, con l’obiettivo di rafforzare la capacità dei sistemi sanitari di rispondere alle esigenze degli anziani migliorandone la salute e il benessere, facilitando l’utilizzo di servizi sanitari di alta qualità e meccanismi di protezione sociale ed economica che consentano una vita indipendente il più a lungo possibile ed evitino la disabilità e l’esclusione sociale; rafforzare la ricerca basata sull’evidenza, con l’obiettivo di rafforzare la capacità degli Stati membri e dell’Ufficio Regionale di monitorare e valutare la salute e lo stato funzionale degli anziani e le possibilità di accesso ai servizi sanitari e sociali. Interventi prioritari secondo il Piano europeo per l’invecchiamento attivo. Tenendo conto anche delle condizioni della popolazione ultra64enne italiana (vedi Capitolo “La salute attraverso le fasi della vita e in alcuni gruppi di popolazione”, pag. 159), gli interventi prioritari indicati nella strategia europea risultano particolarmente adatti al nostro contesto: promuovere l’attività fisica degli anziani attraverso gli ambienti di vita e le attività sociali; prevenire le cadute al fine di ridurre il peso di malattia e disabilità;
eseguire le vaccinazioni per le persone anziane e prevenire le malattie infettive nelle strutture e nei contesti assistenziali; fornire il sostegno pubblico alle cure informali (familiari e amici) con particolare attenzione all’assistenza domiciliare e all’autoassistenza, e un particolare riguardo ai casi di demenza; sviluppare le competenze nel settore geriatrico e gerontologico nella forza lavoro sanitaria e sociale, con particolare attenzione alle demenze. Per la buona riuscita di queste priorità, sono inoltre indicati tre interventi intersettoriali di supporto: prevenzione dell’isolamento e dell’esclusione sociale; prevenzione dei maltrattamenti sulle persone anziane; miglioramento della qualità delle strategie di cura per le persone anziane, in particolare per le persone affette da malattie croniche gravi e limitazioni funzionali, con un’attenzione speciale all’assistenza dei pazienti affetti da demenza e che richiedono cure palliative di lungo termine. La promozione di iniziative innovative locali per l’invecchiamento sano e attivo. Una seconda iniziativa della Commissione Europea (DG SANCO) nel novembre 2012 riguarda lo sviluppo di una piattaforma denominata “European Innovation Partnership on Active and Healthy Ageing” (Partenariato europeo per l’innovazione europea sull’invecchiamento sano e attivo), che sostiene un programma di collaborazione volontaria tra Stati membri per lo scambio di buone pratiche tra i molteplici soggetti che possono intervenire o intervengono con politiche di sostegno all’invecchiamento attivo. I soggetti interessati possono essere le Amministrazioni nazionali, le Regioni e le Amministrazioni locali, i fornitori di servizi sanitari, le organizzazioni di difesa degli interessi collettivi, le imprese industriali e altri soggetti che intendono impegnarsi nella sperimentazione di progetti innovativi per combattere la fragilità e il declino funzionale degli anziani. L’Italia, tra i 32 Reference Sites di tutta Europa, ne ospita ben 5: Emilia
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Problematiche emergenti e prospettive
Romagna, Campania, Piemonte, Liguria e Friuli Venezia Giulia. Relativamente alla prescrizione dei farmaci il progetto si concentra su iniziative pilota e sinergie tra i Paesi europei per aumentare l’aspettativa di vita attiva e ridurre la disabilità attraverso il miglioramento della qualità della prescrizione farmacologica e l’aderenza ai trattamenti. L’Italia – che insieme alla Scozia e alla Spagna guida il Gruppo d’Azione sull’aderenza e la prescrizione – si è fatta promotrice di alcune iniziative e proposte, tra cui la semplificazione delle confezioni dei farmaci per migliorarne la riconoscibilità e renderli più user-friendly, la revisione, sotto la supervisione delle Autorità regolatorie, delle istruzioni riportate sui fogli illustrativi o l’affiancamento di un foglio semplificato e lo sviluppo di sistemi di monitoraggio informatici per supportare il paziente nell’assunzione dei farmaci e vigilare sull’aderenza alla terapia.
5.3. Esposizione e valutazione critica dei fenomeni rappresentati dai dati Per garantire una vita indipendente e attiva è fondamentale promuovere la salute, prevenire le condizioni di rischio, aggravamento, recidive e, non ultimo, il peggioramento della qualità della vita nelle fasi finali dell’esistenza. A tal fine è necessario adottare un approccio life-course, agendo precocemente e lungo tutto il corso della vita per ridurre i fattori di rischio individuali (fumo, abuso di alcol, sedentarietà e alimentazione scorretta) e per rimuovere le cause che impediscono ai cittadini scelte di vita salutari. Il programma “Guadagnare Salute”, adottato dal nostro Paese con il DPCM del 4 maggio 2007, ha individuato nell’approccio intersettoriale e integrato della “Salute in tutte le politiche” il quadro di riferimento entro il quale agire al fine di promuovere la salute e prevenire le patologie croniche, mirando al tempo stesso a garantire l’equità. L’obiettivo è trasformare la sfida dell’invecchiamento attivo in un’opportunità, attraverso un approccio positivo centrato sulle potenzialità dell’anziano, ottimizzando le possibilità di favorire la partecipazione, la salute e la sicurezza.
Attraverso i progetti del CCM sono stati supportati interventi sia per sostenere un invecchiamento attivo e in buona salute, sia per il contrasto alla “fragilità” dell’anziano e al rischio di progressione verso la perdita di autonomia, promuovendo interventi volti a mantenere il più a lungo possibile una buona qualità di vita. Il monitoraggio della popolazione ultra64enne e dell’invecchiamento attivo. A fronte delle numerose iniziative, strategie e programmi che si mettono in atto a livello internazionale e nel nostro Paese per l’invecchiamento sano e attivo, è necessario disporre di un sistema di sorveglianza delle condizioni degli ultra64enni e di monitoraggio degli interventi realizzati. A questo scopo già da alcuni anni è stato sperimentato e messo a regime il sistema di sorveglianza della popolazione “PASSI d’Argento: salute e qualità della vita nella terza età”, promosso e finanziato dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) con le Regioni del Paese. Il Programma è stato dettagliatamente esposto nel Capitolo “La salute attraverso le fasi della vita e in alcuni gruppi di popolazione” di questa Relazione. La sorveglianza messa in atto da PASSI d’Argento ha già evidenziato molte delle aree in cui attivarsi con il criterio della specificità e dell’intervento mirato, in particolare le cadute, la masticazione, le immunizzazioni, la vista e l’udito, la salute mentale e le demenze, gli stili di vita, le reti sociali e la sicurezza dell’ambiente di vita. Il Piano Nazionale della Prevenzione 20142018. Sulla scorta delle indicazioni europee e sui dati del PASSI d’Argento, il Ministero della salute, che con le Regioni sta mettendo a punto in questi mesi un Piano quinquennale, potrà identificare tramite una pianificazione strategica le priorità e i programmi più adeguati che, tramite attività di prevenzione efficaci, possono costituire un passo avanti importante verso l’invecchiamento sano e attivo degli ultra64enni del nostro Paese e il raggiungimento dell’obiettivo europeo per il 2020 di aumentare di 2 anni in buona salute la vita dei cittadini europei.
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L’invecchiamento attivo
In conclusione, si può affermare che l’invecchiamento attivo e in salute sia un obiettivo prioritario dei Governi per garantire a tutte le età un elevato livello di qualità della vita e, al contempo, la sostenibilità dei sistemi sanitari e di assistenza. Un traguardo che richiede un ulteriore sforzo delle Istituzioni pubbliche in termini di formazione, prevenzione e promozione di stili di vita corretti; un obiettivo che deve giovarsi di una stabile e proficua partnership pubblico-privato: due settori, distinti nella natura e nei fini, ma complementari, la cui collaborazione è fondamentale, non solo nella ricerca e nello sviluppo di nuove terapie, ma anche nelle attività che mirano a garantire il sostegno
alle persone anziane e alle loro famiglie, l’inclusione sociale, il mantenimento di buoni standard di vita e il contrasto alla fragilità e ai suoi effetti.
Bibliografia essenziale Institute for Health Metrics and Evaluation, GBD 2010, University of Washington Istat. Annuario Statistico. Anno 2013 Luzi P (Ed). Gruppo Tecnico di Coordinamento del Sistema di Sorveglianza PASSI d’Argento. Istituto superiore di sanità, 2013 (Rapporti ISTISAN 13/9) UNECE, Commissione Europea, Indice di invecchiamento attivo, 2012, 2 WHO. Regional Office for Europe. Strategy and action Plan for healthy ageing in Europe. Anno 2012
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Nanomateriali
La strategia comune adottata dalla Commissione Europea già dal 2004 impone di aumentare la “technology capability” e la “manufacturing capacity”, anche attraverso l’implementazione degli investimenti pubblici e privati, senza però rinunciare alla sicurezza, in particolare nel settore delle nuove tecnologie e/o materiali. Tra questi ultimi, particolare interesse è rivolto ai nanomateriali, i quali, secondo la più recente definizione adottata dalla Commissione Europea nel 2011, sono materiali di origine naturale, prodotti da attività antropiche o ingegnerizzati, contenenti particelle singole o in forma di aggregati o agglomerati e in cui almeno il 50% delle particelle, nella distribuzione dimensionale numerica, ha una o più dimensioni esterne comprese tra 1 e 100 nanometri (miliardesimi di metro). Laddove le preoccupazioni per l’ambiente, la salute, la sicurezza e la competitività lo giustifichino, la soglia del 50% può essere sostituita con una compresa tra l’1% e il 50% della distribuzione dimensionale numerica. È previsto che la definizione stessa venga rivisitata entro dicembre 2014, in considerazione del veloce avanzamento degli sviluppi tecnologici e del progresso scientifico. I nanomateriali sono caratterizzati da proprietà peculiari, derivanti da un elevato rapporto tra area superficiale e volume, che comporta una prevalenza delle caratteristiche degli atomi di superficie su quelle degli atomi interni, una maggiore reattività e proprietà chimico-fisiche e strutturali completamente diverse rispetto alle forme convenzionali dei materiali. Tali proprietà sono oggi ampiamente sfruttate in medicina, per lo sviluppo di materiali biocompatibili per imaging, terapia e ingegneria tissutale, e in ambito industriale, per la produzione di
una vasta gamma di prodotti attualmente in uso nei settori elettronico, automobilistico, chimico, tessile, alimentare, farmaceutico, cosmetico. La seconda Regulatory Review della Commissione Europea del 2012 riporta che la quantità annuale totale di nanomateriali sul mercato a livello globale è stata nel 2011 di circa 11 milioni di tonnellate. In termini di tipologie, cioè di natura chimica dei nanomateriali, quelli a base di carbonio (nero di carbonio, nanotubi, nanofibre), la silice amorfa sintetica, gli ossidi di alluminio, titanio, cerio, zinco, il titanato di bario e l’argento sono quelli con il più alto volume di produzione. Le nanotecnologie hanno rappresentato un valore pari a 20 miliardi di euro per il mercato mondiale e si ritiene che questo valore sia destinato a crescere di 2 trilioni di euro nel 2015 e che – solo in Europa – il numero dei posti lavoro in questo settore sia destinato a salire oltre i 400.000 dopo il 2013. Se da una parte lo sviluppo esponenziale dei nanomateriali apre nuovi orizzonti nel settore produttivo industriale e in campo biomedico, dall’altra può presentare problemi di rischio per la salute degli operatori, dei consumatori e dell’ambiente. A tal fine, gli ultimi anni hanno visto il notevole impegno di organismi internazionali e nazionali per individuare procedure adeguate, finalizzate a garantire uno sviluppo responsabile dei nanomateriali. Nel 2009, lo Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks (SCENIHR) della Commissione Europea ha evidenziato che le metodologie correnti per la valutazione dei potenziali rischi delle sostanze chimiche per l’uomo e per l’ambiente sono generalmente applicabili ai nanomateriali, anche se aspetti specifici, legati alle
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Nanomateriali
loro caratteristiche fisico-chimiche, necessitano di ulteriori approfondimenti. Inoltre, la Commissione Europea promuove l’armonizzazione e la standardizzazione delle metodologie e dei test da utilizzare per lo studio dei nanomateriali, anche attraverso la cooperazione nell’ambito del programma Health and Environmental Safety dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) e con le altre Organizzazioni Europee di Standardizzazione. Nel 2011 la European Food Safety Authority (EFSA) ha costituito lo Scientific Network for Risk Assessment of Nanotechnologies in Food and Feed, un forum di discussione e trasferimento di informazioni tra esperti EFSA e dei Paesi membri, e ha prodotto le prime Linee guida per la valutazione del rischio di nanomateriali in alimenti e mangimi. Nel contesto della vigente legislazione comunitaria per la gestione dei prodotti chimici, che mira ad assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e ambientale, i Regolamenti REACH (Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals) [CE 1907/2006)] e CLP (Classification, Labelling and Packaging) [CE 1272/2008] si applicano alle sostanze in qualsiasi dimensione, forma e stato fisico, per cui i nanomateriali ricadono nel loro campo di applicazione. Tuttavia, per rispondere alle specifiche esigenze dei nanomateriali è in corso un processo di modifica degli allegati del regolamento REACH. Le Autorità nazionali competenti, quali il Ministero della salute in Italia, si sono spese con energia, impegno e sostegno politico negli ultimi anni, proponendo, ove possibile, Raccomandazioni e pareri politici dedicati, procedendo, altresì, alla review della normativa europea in funzione della “safety and security” correlata alla produzione e all’utilizzo di queste nuove tecnologie, anche al fine di determinare l’applicabilità della normativa eventualmente preesistente ai nanomateriali. In particolare, la Direzione generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure ha partecipato dal 17 giugno 2008 al 3 ottobre 2012 a due esami regolamentatori relativi ai nanomateriali, conformemente al trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
(UE), in particolare l’art. 292, e al Piano di azione per l’Europa 2005-2009. Parallelamente, il Ministero della salute collabora e coopera fattivamente insieme ad altri Stati membri attraverso gruppi specifici di lavoro della Commissione Europea, diversificati per varie aree di interesse nel settore dei nanomateriali. Su scala nazionale il Ministero della salute si avvale anche della collaborazione scientifica dell’Istituto superiore di sanità (ISS), il cui Presidente, nel 2011, ha costituito un Gruppo di lavoro sul tema “Nanomateriali e Salute” (http://www.iss.it/ nano), con lo scopo di condividere competenze e tecnologie nel settore della nanomedicina e della nanotossicologia. Con il supporto del Ministero della salute, l’ISS partecipa e ha partecipato a numerosi progetti nazionali e internazionali tra i quali si ricordano: “Sviluppo e implementazione di una piattaforma on line quale supporto informatico alla raccolta di dati e informazioni relativamente ai nanomateriali fabbricati, importati e utilizzati in Italia”, “Sviluppo e implementazione di metodi validati e/o alternativi per la determinazione delle caratteristiche fisico-chimiche e della potenziale attività geno/tossicologica di nanomateriali rilevanti per applicazioni industriali”, “Sviluppo e applicazione di metodi e protocolli di prova a supporto dell’attività di vigilanza dei dispositivi medici portatori di nanostrutture”, finanziati dal Ministero della salute; “NANOGENOTOX – Safety evaluation of manufactured nanomaterials by characterisation of their potential genotoxic hazard” (www.nanogenotox.eu/), Joint Action europea coordinata dall’ANSES (Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail) [Francia]; progetto europeo FP7 “NANoREG, A common European approach to the regulatory testing of nanomaterials” (www.nanoreg.eu).
Bibliografia essenziale Commission Recommendation 2011/696/EU, OJ L 275, 20.10.2011 EFSA Scientific Committee. Scientific Opinion on Guidance on risk assessment of the application of nanoscience and nanotechnologies in the food and feed chain. EFSA Journal 2011; 9: 2140-76
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Problematiche emergenti e prospettive
Regolamento (CE) N. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione di sostanze chimiche (REACH). Official J European Union, 2006; L 396 Regolamento (CE) No 1272/2008 per la classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio di sostanze
e miscele (CLP). Official J European Union 2008; L 353 Second Regulatory Review on Nanomaterials http:// ec.europa.eu/nanotechnology/pdf/second_regu latory_review_on_nanomaterials_-_com%282012 %29_572.pdf. Ultima consultazione: agosto 2014
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Sviluppo tecnologico
7.1. Quadro programmatico Negli ultimi anni la medicina ha subito una trasformazione rapidissima con l’immissione sul mercato di tecnologie innovative, che, da un lato, permettono l’evoluzione verso procedure diagnostiche e terapeutiche sempre più accurate e, dall’altro, se non utilizzate correttamente, possono comportare un aumento globale dei costi del sistema sanitario e di rischi per il paziente. I prodotti di tali tecnologie sono in parte, ma non sempre, oggetto di certificazione (marcatura CE in conformità al D.Lgs. 46/1997 in attuazione della Direttiva 93/42/CEE) in quanto classificati come dispositivi medici. Ulteriori sviluppi rilevanti per la gestione e l’organizzazione dei servizi sanitari si devono alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Information and Communication Technology, ICT). Nel panorama delle tecnologie terapeutiche innovative basate sull’uso delle radiazioni è rilevante la tecnica a ultrasuoni focalizzati ad alta intensità HIFU (High Intensity Focused Ultrasound), che si sta sempre più diffondendo nel panorama del Servizio sanitario nazionale (SSN). Tali dispositivi medici sono destinati soprattutto alle applicazioni oncologiche di carcinoma alla prostata e nel campo della salute della donna (fibromi, adenomiosi e fibroadenoma del seno). La radioterapia con radiazioni ionizzanti – sia con fasci X sia con particelle cariche (come i protoni e gli ioni carbonio) – è attualmente in continua e progressiva crescita. Nell’ambito della diagnostica per immagini, lo sviluppo tecnologico è caratterizzato dalla digitalizzazione dell’imaging come fattore di trasformazione decisivo sia nelle modalità produttive interne alle strutture di diagnostica sia nei processi clinici complessivi (ospedale,
rete di ospedali, funzioni e ruoli territoriali). Le tecniche computazionali per l’elaborazione del segnale biologico e delle bioimmagini comportano un miglioramento dell’accuratezza quantitativa e dell’interpretazione. L’Istituto superiore di sanità (ISS) ha poi inquadrato le esperienze di tele-radiologia in una proposta di Linee guida in collaborazione con la Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM), che ha avuto notevole risalto e impatto. L’innovazione tecnologica nel settore dell’informazione e della comunicazione (ICT) rappresenta il motore dello sviluppo dei servizi territoriali, ma presenta nuove problematiche di integrazione con i servizi attuali e nuovi rischi nella connessione di varie tecnologie biomediche (es. dispositivi medici), oggetto di nuovi interventi normativi. Le applicazioni per il monitoraggio a distanza di parametri vitali sono ormai disponibili con tecnologie wireless a basso costo. Tra le innovazioni tecnologiche più mature nella telemedicina, per esempio in telecardiologia, sono facilmente reperibili in commercio quelle indossabili (magliette, bilance ecc.) per il monitoraggio dei parametri vitali che si interfacciano direttamente con database dedicati. Tali tecniche possono contribuire a ridurre le ospedalizzazioni grazie alla continuità assistenziale assicurata dall’ospedale e dal medico di medicina generale (MMG), promuovendo l’autogestione della malattia e migliorando l’aderenza ai trattamenti (es. farmacologico). Nei casi più complessi (es. cronicità multifattoriale) è possibile il riconoscimento anche precoce di segnali importanti dell’insorgere di instabilità clinica (es. emodinamica e respiratoria). I software gestionali a supporto delle telemisure permettono poi di impostare limiti soglia e l’attivazione di se-
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Problematiche emergenti e prospettive
gnali di allarme con richiesta di un intervento specifico. Sono in rapido sviluppo applicazioni in telemedicina per il monitoraggio di parametri fisiologici in remoto (es. con finalità tele-riabilitative), o la trasmissione di immagini cliniche. Le soluzioni tecnologiche oggi disponibili supportano servizi sanitari complessi per la gestione del paziente H24. Le app (applicazioni in ambiente mobile) e la sensoristica indossabile ricadono generalmente nella definizione di dispositivo medico e in tal caso devono conformarsi al dettato legislativo delle Direttive europee, e quando i servizi ICT fanno uso di dispositivi medici particolari cautele devono essere osservate per la conformità della tecnologia impiegata (es. vedi la normativa internazionale della serie ISO EN CEI 80001) per rendere coerente il Risk Management tra i fabbricanti di dispositivi medici e le Aziende ospedaliere. L’innovazione tecnologica in neuroscienze include una varietà di tecniche accomunate dalla possibilità di influire direttamente sull’attività del cervello. Queste, in un elenco non esaustivo, includono: dispositivi di miglioramento o sostituzione di funzioni sensoriali (es. impianti cocleari e retinici); tecniche di decodifica dell’attività corticale per guidare dispositivi artificiali in sostituzione degli arti naturali in pazienti con paralisi totale (braincomputer interface, BCI); dispositivi di stimolazione cerebrale (corticale o sub-corticale) per il controllo di sintomi, come nella stimolazione profonda (deep brain stimulation, DBS) ormai in uso su decine di migliaia di pazienti parkinsoniani nel mondo, o (a livello più sperimentale) per il controllo delle crisi epilettiche; diverse altre applicazioni. In Italia, i centri di neurologia DBS sono circa 60, mentre i centri di neurochirurgia DBS sono circa 30.
7.2. Rappresentazione dei dati In un rapporto HTA (Health Technology Assessment) dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AgeNaS) indica come la diffusione della tecnologia HIFU (High Intensity Focused Ultrasound) sul territorio nazionale appaia già rilevante: ben 29 centri risultano esserne dotati alla data di pubblicazione del rapporto (2011). Nella Tabella 7.1 sono riportati gli ultimi dati nazionali disponibili (fonte AgeNaS), che si estendono fino al 2009, sui pazienti dimessi dopo una prostatectomia, con o senza complicanze. Nella Figura 7.1 è riportata la distribuzione geografica dei pazienti trattati dal Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) nel periodo 22 settembre 2011-3 luglio 2013. Complessivamente sono stati trattati 53 pazienti con protoni e 62 pazienti con ioni carbonio. Sul totale di 115 pazienti, 14 sono stati trattati a scopo compassionevole. In ambito di radioterapia con radiazioni ionizzanti – sia con fasci X sia con particelle cariche (come i protoni e gli ioni carbonio) – è da segnalare che in aggiunta al Centro di AdroTerapia e Applicazioni Nucleari Avanzate (CATANA) di Catania, attivo già da diversi anni per il trattamento con fasci di protoni di lesioni neoplastiche della regione oculare, il 22 settembre 2011 il CNAO di Pavia ha eseguito il trattamento del primo paziente con fasci di protoni, mentre il 13 novembre 2012 sono stati avviati i protocolli clinici approvati dal Consiglio superiore di sanità per l’utilizzo dei fasci di ioni carbonio su pazienti oncologici. Nel dicembre 2013 il CNAO ha ottenuto la marcatura CE. A regime, il centro oncologico CNAO potrà complessivamente effettuare, nelle tre sale di trattamento, circa 15.000 sedute di
Tabella 7.1. Prostatectomie effettuate in Italia. Dimissioni ospedaliere per prostatectomie, con e senza complicazioni (Anni 2001, 2005, 2009) DRG
2001
2005
2009
DRG 306 – Prostatectomia con complicanze
1.292
1.237
1.140
DRG 307 – Prostatectomia senza complicanze
3.687
3.503
3.201
Totale
4.979
4.740
4.341
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Sviluppo tecnologico
Figura 7.1. Distribuzione geografica dei pazienti trattati presso il CNAO (da settembre 2011 a luglio 2013). Piemonte Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Marche Lazio Abruzzo Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna
Protoni Ioni Carbonio 0
2
4
6
8
10
12
14
16
Fonte: Rossi S (direttore scientifico del CNAO), corso di “Adroterapia: l’applicazione delle tecnologie degli acceleratori alla cura dei tumori”, Università La Sapienza, Dipartimento di Fisica, luglio 2013.
adroterapia l’anno, che corrispondono a circa 2.500 pazienti l’anno. I pazienti trattati con adroterapia in Italia sono quantificabili come segue (fonte: http:// ptcog.web.psi.ch/): (INFN-LNS, Catania) 293 pazienti trattati con protoni, nel periodo 2002-novembre 2012; (CNAO, Pavia) 58 pazienti trattati con protoni, nel periodo 2011-marzo 2013; (CNAO, Pavia) 22 pazienti trattati con ioni carbonio, nel periodo 2012-marzo 2013. Nel dicembre 2013 il numero complessivo di pazienti trattati presso il CNAO ha raggiunto circa 150 unità. Nella Tabella 7.2 è riportata la distribuzione per patologia e sede dei trattamenti disponibili, come riportato dalla fondazione CNAO.
7.3. Esposizione e valutazione critica dei fenomeni rappresentati dai dati Tecnologie terapeutiche innovative basate sull’uso delle radiazioni. Per il carcinoma della prostata, uno dei tumori più comuni negli uomini (36.500 casi in Italia nel 2008),
Tabella 7.2. Distribuzione per patologia e sede dei trattamenti disponibili presso il CNAO Tipo di tumore
Sito anatomico
Cordoma/condrosarcoma
Base del cranio
Cordoma/condrosarcoma
Sacro coccige
Cordoma/condrosarcoma
Rachide cervicale
Cordoma/condrosarcoma
Rachide lombare
Meningioma
Encefalo
Carcinoma adenoideo cistico
Ghiandole salivari
Melanoma mucoso
Vie aerodigestive
Adenocarcinoma Carcinoma mucoepidermoide Carcinoma adenoideo cistico Sarcoma Sarcoma Adenomi pleomorfi recidivi
Prostata Ghiandole salivari Orbita Cranio/facciale Tronco Ghiandole salivari
Carcinoma squamoso
Rinofaringe
Carcinoma squamoso
Rinofaringe
ITAC (intestinal type adenocarcinoma)
Seno sfenoidale
la termoablazione HIFU rappresenta un’opzione minimamente invasiva e quindi conservativa, grazie alla capacità degli ultrasuoni di distruggere i tessuti patologici senza danneggiare quelli adiacenti.
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Problematiche emergenti e prospettive
Innovazione tecnologica dovuta all’impiego di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Riguardo all’utilizzo dell’ICT nella sanità italiana, analizzato in un progetto strategico proposto dall’ISS e finanziato dal Ministero della salute, le strutture sanitarie risultano carenti per quanto riguarda gli organismi o Enti interni completamente dedicati al monitoraggio dell’uso dell’ICT nelle prestazioni sanitarie, in quanto l’utilizzo dell’ICT è a carico dell’area manageriale delle strutture sanitarie, che ne monitorano l’immissione e l’uso a fini economici, e dei Sistemi Informativi, che ne gestiscono l’utilizzo. La presenza di settori specificamente dedicati al monitoraggio dell’uso di ICT è comunque destinata a crescere, vista la rilevanza della responsabilità del rischio nel caso di strutture ICT che incorporino uno o più dispositivi medici (vedi norme della serie ISO IEC 80001). La spesa complessiva allocata alla digitalizzazione della sanità italiana nel 2012 è di 1,23 miliardi di euro, in diminuzione del 5% rispetto al 2011. Tale spesa è pari all’1,1% della spesa sanitaria pubblica. La spesa informatica nella sanità italiana ha una distribuzione ancora disomogenea a livello geografico, spiegabile in parte con la maggiore densità abitativa del Nord (le cui Aziende assorbono il 60% del totale del budget di spesa informatica). In prospettiva, analizzando gli andamenti di spesa, si può comunque prevedere una diminuzione graduale del divario di spesa tra Nord e Sud Italia.
Innovazione tecnologica in neuroscienze. Lo sviluppo di dispositivi artificiali direttamente accoppiati al sistema nervoso richiede una componente di ricerca di base, attualmente molto attiva in ambito italiano e internazionale, per comprendere sia la codifica di informazione nel sistema nervoso (es. BCI), sia la reazione dinamica del tessuto nervoso a una stimolazione (elettrica, come per la DBS, o magnetica); questo è tanto più necessario quanto più si aspira a sviluppare neuroprotesi che agiscano a “loop chiuso”, siano cioè in grado di monitorare l’attività delle strutture nervose coinvolte e di adeguare, di conseguenza, in tempo reale la loro azione su tali strutture. La ricerca italiana è attiva in questo campo e include aree di eccellenza internazionale, come per lo studio della neurostimolazione, degli impianti retinici, delle BCI.
Bibliografia essenziale “ICT in Sanità: perché il digitale non rimanga solo in agenda”. Report dell’Osservatorio ICT in sanità, Politecnico di Milano, 2013 Linee guida per l’assicurazione di qualità in teleradiologia. A cura del Gruppo di Studio per l’Assicurazione di Qualità in Radiologia Diagnostica e Interventistica 2010. Rapporti ISTISAN, 10/44 Orecchia R, Fiore MR, Fossati P, et al. Initial results at CNAO Proceedings Joint Symposium on Carbon Ion Radiotherapy. Wiener Neustadt (Austria), 5-6 dicembre 2013 Perrini MR, Migliore A, Jefferson T, Cerbo M. HTA Report – Trattamento del carcinoma della prostata mediante termoablazione con HIFU. AgeNaS, luglio 2011
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Terapie innovative e farmaceutica ospedaliera
Il Servizio sanitario nazionale (SSN) italiano è, nell’ambito dei Paesi del G10, l’unico veramente solidaristico e universale rimasto. Questo comporta un impegno costante nel garantire la tempestività di accesso ai farmaci e la sostenibilità delle cure al paziente, che costituiscono una priorità strategica fondamentale per l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). L’AIFA, anche nel corso dell’ultimo biennio, ha migliorato ancora le proprie performance nel garantire che a ogni cittadino siano resi disponibili i farmaci più innovativi, sicuri ed efficaci, che la ricerca farmaceutica è stata capace di sviluppare. L’innovazione rappresenta oggi il punto principale su cui fondare tutto il concetto della nuova farmaceutica e della sostenibilità del sistema e negli ultimi anni abbiamo assistito, in tempi straordinariamente veloci, allo sviluppo di molecole innovative. Oggi, infatti, le biotecnologie rappresentano la vera frontiera della ricerca farmacologica mondiale, dove l’Italia è uno dei Paesi più all’avanguardia. L’introduzione dei nuovi farmaci biotecnologici contribuirà a una svolta importante nei percorsi decisionali della pratica clinica, che vedrà il cittadino sempre più garantito nelle cure e nei trattamenti terapeutici personalizzati, una tendenza destinata a confermarsi nel prossimo futuro, anche se è necessario considerare che l’impatto economico dei farmaci biotecnologici è molto rilevante. I dati relativi ai primi 9 mesi del 2013 dimostrano che la spesa per i farmaci utilizzati in ambito ospedaliero è stata pari a 1,9 miliardi di euro, per il 68,1% composta dai farmaci di classe H, per il 16,7% dai farmaci di classe C e per il restante 15,2% dai farmaci di classe A (vedi Tabella 22 Rapporto Osmed). Questi dati confermano che, a fronte di una riduzione della spesa territoriale (circa il 4,0% in meno
rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente), la spesa ospedaliera si conferma in crescita, anche e soprattutto per l’introduzione delle molecole innovative, dal costo molto elevato, che nella maggior parte dei casi sono dispensate proprio in ambito ospedaliero. In questo contesto, i farmaci biosimilari rappresentano un’opportunità reale per migliorare l’accesso alle cure e la sostenibilità del sistema. Per tale ragione, l’AIFA ha intrapreso nel corso del 2013 importanti iniziative di informazione e sensibilizzazione verso gli operatori sanitari e i cittadini, anche attraverso la pubblicazione di un Position Paper e dell’articolo “Biosimilars: the paradox of sharing the same pharmacological action without full chemical identity” sulla rivista Expert Opinion on Biological Therapy, proprio allo scopo di rimuovere dubbi infondati sui tali farmaci e favorirne una sempre maggiore diffusione. Tuttavia, la sfida che ci troveremo ad affrontare nel prossimo futuro sarà quella di trovare il giusto punto di equilibrio tra la necessità di garantire un rapido accesso alle tecnologie sanitarie da un lato e dall’altro di garantire il migliore rapporto beneficio-costo al fine di ottimizzare l’erogazione dei servizi nel contesto attuale, caratterizzato da risorse limitate, dall’invecchiamento della popolazione e da una crescente domanda assistenziale. Si tratta di una sfida importante per tutte le Autorità regolatorie, sfida che può essere superata solo mettendo a punto strumenti atti a valorizzare e a misurare l’innovatività. A questo scopo l’AIFA ha recentemente ideato un algoritmo per la valutazione dell’innovatività che consentirà di “premiare” i farmaci davvero innovativi, consentendo di identificare il migliore approccio clinico per il trattamento di una determinata patologia e di rendere trasparente, oggettivo e tracciabile in qualsiasi momen-
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Problematiche emergenti e prospettive
to il percorso che porta all’identificazione del farmaco da utilizzare. L’AIFA ha pertanto realizzato, sviluppato e pubblicato, attraverso algoritmi matematici e in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova, un percorso decisionale relativo alla più appropriata terapia farmacologica per il trattamento dell’HCV. Questo percorso predefinito è in grado di indicare il migliore approccio clinico utilizzabile da parte degli operatori sanitari alla luce delle più recenti evidenze scientifiche. L’accesso a tali strumenti è reso pubblico tramite una sezione dedicata del portale istituzionale e si arricchirà progressivamente con la pubblicazione di altri algoritmi terapeutici. Le strategie di lungo periodo, volte a garantire una migliore assistenza farmaceutica, dovranno infine passare attraverso l’introduzione di nuove norme per regolamentare e omogeneizzare i tempi di accesso ai medicinali, al fine di avere una più precoce e sinergica disponibilità sul territorio del farmaco. Per rispondere a questa esigenza, nel corso dell’ultimo biennio sono stati emanati diversi provvedimenti legislativi. Il primo, il cosiddetto decreto Balduzzi (decreto legge n. 158/2012), che ha stabilito, in attesa della negoziazione dei prezzo di rimborso, l’automatica immissione in commercio di farmaci innovativi già autorizzati in Europa in fascia C; il secondo, il cosiddetto decreto Fare (decreto legge n. 69/2013), che ha previsto una corsia preferenziale per i farmaci orfani e di eccezionale rilevanza terapeutica (i cosiddetti “salvavita”), per cui l’AIFA – tramite “sedute straordinarie delle competenti commissioni” – avrà massimo 100 giorni per il completamento delle procedure per il loro inserimento nel prontuario a carico del SSN. La capacità negoziale delle Regioni resta una discriminante molto importante per l’acces-
so ai farmaci da parte dei cittadini. Anche dopo la decisione sulla rimborsabilità da parte dell’AIFA, che segue l’approvazione della European Medicine Agency (EMA), è necessario attendere l’ulteriore approvazione delle singole Commissioni regionali e provinciali e il successivo inserimento nei Prontuari Terapeutici Regionali, che crea differenze notevoli, tra Regione e Regione, nei tempi di accesso. È probabile che tra le sfide emergenti che ci troveremo ad affrontare in un prossimo futuro ci sarà quella di dover ripensare al federalismo sanitario e a un’eventuale revisione del Titolo V della Costituzione per la farmaceutica. Il ruolo che l’AIFA è chiamata a compiere è e sarà sempre quello di garantire l’accesso rapido e omogeneo ai farmaci innovativi di cui sia possibile misurare obiettivamente l’efficacia e la sicurezza. Le problematiche emergenti che l’AIFA si troverà ad affrontare, in un contesto particolarmente impegnativo per l’economia del nostro Paese, saranno quelle di garantire l’accesso alle cure per i malati, che devono essere posti al centro del sistema. Mettere loro a disposizione, nel più breve tempo possibile, farmaci veramente efficaci e innovativi è un dovere etico, oltre che scientifico, per un Paese civile. Certo, sarà necessario coniugare questi aspetti con la sostenibilità economica del sistema. Siamo infatti in presenza di un notevole incremento del costo medio dei farmaci, per esempio dell’area terapeutica oncologica, che continua a essere una voce importante nel capitolo della spesa farmaceutica ospedaliera. Per questo motivo è prevedibile un crescente ricorso, nel medio periodo, a regimi di combinazione con farmaci di nuova generazione. Ciò ci impone di governare con tempestività questo processo e di continuare a operare nel segno dell’autorevolezza e dell’indipendenza delle valutazioni scientifiche.
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Istituzione di unità di rischio clinico
9.1. Introduzione La necessità di prevedere un’unità di gestione del rischio clinico nel nostro Paese trae spunto dalle indicazioni presenti nelle Raccomandazioni della Commissione Nazionale sul risk management del 2003, che aveva suggerito tale soluzione organizzativa, collocandola nella cornice delle politiche di governo clinico. Successivamente, tale indicazione ha trovato cogenza nell’Intesa Stato-Regioni del 20 marzo 2008 sulla sicurezza delle cure, nella quale, tra l’altro, si prevedeva per tutte le strutture sanitarie la presenza di una funzione aziendale permanentemente dedicata alla gestione del rischio clinico, responsabile di tutte le iniziative volte alla sicurezza dei pazienti e delle cure, inclusi il monitoraggio e l’analisi degli eventi avversi e l’implementazione di buone pratiche per la sicurezza. L’Intesa, nel definire il quadro di riferimento per il governo del rischio clinico, riconosceva quale struttura strategica l’unità di gestione del rischio clinico alla quale assegnare il ruolo di attuare le politiche aziendali in tema di sicurezza attraverso l’indicazione di obiettivi, metodi e strumenti contestualizzati alla specifica realtà aziendale e in armonia con le indicazioni regionali e nazionali.
9.2. Esposizione e valutazione critica dei dati Nel corso degli anni si è assistito a un progressivo incremento della presenza di unità operativa/funzione di gestione del rischio clinico: i dati disponibili evidenziano un trend di crescita in tal senso. In particolare, nel 2003 era risultato che il 17% delle strutture sanitarie aveva istituito l’unità operativa/
funzione di gestione del rischio clinico e nel 2005 tale percentuale risultava del 28%. Nel periodo compreso tra novembre 2008 e marzo 2009 è stato effettuato un ulteriore censimento delle attività per la gestione del rischio nelle Regioni e nelle Aziende sanitarie tramite un questionario: da questo è emerso un notevole incremento rispetto alle rilevazioni precedenti, con il 97% delle strutture sanitarie che dichiarava la presenza di unità operativa/ funzione di gestione del rischio clinico. Tuttavia, solo nel 67% dei casi era stato predisposto un piano aziendale per la sicurezza, con la presenza di una procedura aziendale, rispettivamente, per la gestione degli eventi sentinella nel 53% e per la comunicazione degli eventi avversi nel 28% dei casi. Dall’analisi dei dati emerge, quindi, un incremento significativo rispetto alle iniziative per la sicurezza e che unità o funzioni aziendali dedicate alla gestione del rischio hanno subito un forte impulso anche in relazione all’emanazione dell’Intesa del 20 marzo 2008. L’indagine nazionale sullo stato dell’arte in tema di sicurezza dei pazienti condotta nel 2012 in collaborazione con le Regioni e Province Autonome consente di analizzare più in dettaglio l’organizzazione della funzione aziendale per il rischio clinico prevista nell’Intesa del 2008. Si rileva che nell’88,67% è presente un programma aziendale (Linee d’indirizzo, atti, delibere) per la sicurezza dei pazienti ed è stato formalmente nominato un referente aziendale per la sicurezza delle cure nell’87,06%, mentre nel 51,46% l’organizzazione della funzione prevede una struttura semplice o complessa. A fronte di una diffusa presenza di una funzione per il rischio clinico, si può rilevare una discreta variabilità tra le Aziende del Servizio sanitario nazionale (SSN) rispetto alle soluzioni organizzative adottate.
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Problematiche emergenti e prospettive
L’organizzazione, la pianificazione e la valutazione delle azioni e il monitoraggio dei programmi di miglioramento aziendali presuppongono la presenza di una struttura regionale per il rischio clinico che definisca le politiche e i programmi in tema di rischio clinico, le priorità e le modalità di monitoraggio. L’indagine nazionale evidenzia che in oltre l’84% delle Regioni e Province Autonome è presente una unità/centro/struttura per il coordinamento delle attività sul rischio clinico ed è stato elaborato un programma regionale per la sicurezza e nell’89% delle Regioni è stato formalmente individuato un referente regionale per la sicurezza delle cure. Tra le attività promosse dalle strutture regionali per il rischio clinico sono emerse come prioritarie iniziative di formazione/informazione dei professionisti (89%), l’elaborazione, promozione e applicazione di strumenti e procedure di valenza regionale per la sicurezza (79%) e l’applicazione di pratiche per la sicurezza (95%). Ulteriore sviluppo richiedono le strategie e le azioni a favore dell’informazione e del coinvolgimento dei pazienti nei programmi/attività per la sicurezza e la definizione di standard e indicatori per attivare un efficace sistema di valutazione.
sistema sanitario nazionale, che include specifici requisiti riferiti alla sicurezza dei pazienti. L’attuazione di tale Intesa è particolarmente urgente alla luce dell’adozione della Direttiva 24/2011/UE, la quale chiede agli erogatori di prestazioni sanitarie la garanzia di standard di qualità e sicurezza, nonché la trasparenza e la corretta informazione in merito. Tali requisiti sono essenziali in particolare per il riconoscimento dei centri di riferimento, al fine di assicurare l’accesso di pazienti con patologie che richiedono particolare concentrazione di competenze o risorse a un’assistenza sanitaria di alta qualità e alto valore costo-efficacia. Le proposte normative in tema di sicurezza delle cure, attualmente all’esame del Parlamento, prevedono, tra l’altro, la presenza di unità di gestione del rischio clinico, quale strumento indispensabile per il miglioramento delle politiche di sicurezza delle cure. L’efficace gestione del rischio clinico e la sicurezza delle cure si basano su precise e specifiche conoscenze tecniche e competenze, pertanto Ministero e Regioni devono condividere un core di competenze e indirizzi comuni per disporre di professionisti dedicati e opportunamente formati.
Bibliografia essenziale
9.3. Indicazioni per la programmazione La sicurezza dei pazienti è parte integrante della mission regionale e aziendale, ma sono sempre più urgenti la valutazione dei programmi e delle azioni intraprese sulla base di specifici indicatori e l’individuazione degli interventi sulla base dei risultati. Ministero e Regioni si pongono l’obiettivo di condividere indirizzi volti a potenziare le capacità di gestione del rischio clinico e la tutela della sicurezza dei pazienti. L’Intesa tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 20 dicembre 2012 sul documento recante “Disciplina per la revisione della normativa dell’accreditamento” ha definito un core di criteri, comuni per tutto il
Decreto 11 dicembre 2009. Istituzione del sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (10A00120). GU Serie Generale n. 8 del 12 gennaio 2010 Direttiva 2011/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2011 concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera Intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano – 20 marzo 2008 concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure ai sensi dell’’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 Intesa Stato, Regioni e Province Autonome del 20 dicembre 2012 sul documento recante “Disciplina per la revisione della normativa dell’accreditamento”
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Prospettive dell’assistenza sanitaria transfrontaliera
Il decreto legislativo del 5 aprile 2014 ha recepito la Direttiva 24/2011/UE riguardante i diritti dei pazienti nell’ambito dell’assistenza sanitaria transfrontaliera. Detta regolamentazione si inserisce in un contesto normativo comunitario che già ampiamente disciplina, per il tramite del Regolamento 883/2004, i sistemi di sicurezza sociale. Il Regolamento citato si applica alle persone assicurate così come individuate da ciascuno Stato membro, mentre la Direttiva mira ad avere un raggio d’azione soggettivo più ampio. La sua peculiarità, infatti, consiste nell’assicurare a chiunque il diritto di richiedere e di fruire dell’assistenza sanitaria transfrontaliera, indipendentemente dalle modalità organizzative e di finanziamento di ogni Stato membro. Pertanto, l’ambito di applicazione della Direttiva comprende sia le cure programmate che non, sia soprattutto le cure prestate da quei professionisti sanitari non accreditati presso il sistema sanitario nazionale. La prima criticità che emerge è dunque il rischio che il paziente si trovi a essere curato da un prestatore sanitario il quale susciti dubbi e perplessità sulla qualità dei suoi standard e sulla sicurezza del fruitore. La Direttiva, però, non lascia scoperte queste ipotesi, poiché offre agli Stati membri la possibilità di prevedere un sistema di autorizzazione preventiva nel caso su indicato o quando sia necessario il ricovero di almeno una notte o quando la cura risulti particolarmente costosa o comporti un rischio per il paziente o la popolazione. Questa misura restrittiva è stata considerata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (UE) come un ostacolo a un principio cardine dell’ordinamento europeo, la libertà di circolazione delle persone e dei servizi. È vero, però, che tale sistema scatta solo in caso di tutela di motivi imperativi di interesse generale, principio
base di ogni ordinamento. Gli Stati membri dovranno trovare un giusto equilibrio tra la non discriminazione arbitraria di un paziente in base al tipo di assistenza sanitaria richiesta e le più alte esigenze nazionali. Una lista delle singole prestazioni con l’indicazione dei criteri oggettivi e obiettivi e delle modalità in base alle quali sono state individuate, adeguatamente resa pubblica in anticipo, aiuterebbe gli Stati membri contro gli eventuali reclami in sede giudiziale, estremamente pericolosi per lo Stato italiano, che rischierebbe un ingolfamento della sua già sovraccarica macchina giudiziaria. L’obiettivo di offrire un’informazione chiara, trasparente, intellegibile e accessibile a tutti i pazienti circa i loro diritti (standard elevati di qualità e sicurezza, idonea vigilanza, accessibilità agli ospedali per i disabili, fatture e prezzi trasparenti, visione chiara dell’autorizzazione e iscrizione dei prestatori e loro copertura assicurativa, procedure circa i reclami e le denunce), in tempi brevi, è un obbligo di cui ciascuno Stato membro deve farsi carico. Tale informazione, che dovrà essere reperibile, oltre che on line, nei Punti di Contatto nazionali, dovrà essere fatta soprattutto circa il sistema di rimborso dei costi, che così come descritto nella Direttiva potrebbe creare disparità di trattamento tra i pazienti che si trovano in situazioni analoghe e limitarne la mobilità. Questo perché le numerose differenze dei costi delle stesse prestazioni sanitarie esistenti tra Stati membri (e nel caso nazionale tra le Regioni) fanno sì che i pazienti siano indotti a fare un discorso di pura convenienza economica piuttosto che di qualità, dal momento che lo Stato membro di affiliazione non rimborserà il costo effettivo (ha la facoltà però di farlo), ma il costo che il paziente avrebbe sostenuto se si fosse fatto curare sul suo territorio. In ogni caso la
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copertura non eccede il costo effettivo delle prestazioni. Uno degli obiettivi primari e punto chiave della Direttiva è rafforzare il diritto del paziente a farsi curare in strutture che giudica più adeguate al suo caso clinico oppure più vicine al luogo di residenza dei propri cari o ancora perché, trovandosi in una Regione di confine, la struttura sanitaria per lui più vicina è quella dello Stato membro confinante, non certo il rafforzamento del turismo sanitario. Altro elemento innovativo e vincente della Direttiva è l’incoraggiamento alla cooperazione tra Stati membri, al fine di giungere a una maggiore efficienza e trasparenza del servizio sanitario e rafforzare lo sviluppo scientifico e tecnologico. Questo obiettivo, di non facile realizzazione ma con un forte potenziale, sarà realizzato tramite la creazione, su base volontaria, degli European Reference Networks (ERN) tra prestatori di assistenza sanitaria e centri di eccellenza. Grazie a essi sarà possibile massimizzare i costi e l’impiego di energie umane, evitando così il rischio di duplicazioni di ricerca e sfruttando le competenze, i risultati raggiunti e le buone prassi in uso negli altri Stati membri, formare continuamente i professionisti sanitari e aiutare gli Stati che non dispongono di idonea strumentazione a offrire un servizio altamente specializzato e di alta qualità. Uno strumento fondamentale per la creazione di questa rete informativa in ambito medico tra Stati membri è l’utilizzo di un sistema integrato, tale per cui, grazie al consenso informato del paziente, la cartella clinica dello stesso, nonché tutti i dettagli della prestazione erogata, compresa la fattura, potrebbe essere accessibile on line in una banca dati, comune a tutti i paesi dell’UE. In questo modo si potrebbero, inoltre, abbattere i tempi e i costi delle procedure di rimborso indiretto (presentazione delle fatture erogate all’estero dal paziente allo Stato membro di affiliazione) e si avrebbe la possibilità di un adeguato trattamento di continuità della cura nello Stato membro di affiliazione. Da ultimo l’utilizzo del sistema valutativo dell’Health Technology Assessment (HTA) da parte degli
ERN porterebbe a uno sviluppo tecnologico mirato, in base al tipo di struttura, al tipo di cura e alle risorse finanziarie disponibili. La cooperazione e il continuo scambio di informazioni a livello europeo, realizzati dagli ERN, svilupperanno le capacità di diagnosi e cura delle malattie rare, rendendo i professionisti sanitari, i pazienti e gli organismi responsabili del finanziamento informati circa le possibilità, offerte dalla Direttiva, di trasferimento dei pazienti affetti da malattie rare in altri Stati, quando lo Stato membro di affiliazione non dispone di cure idonee. Basilare sarà, dunque, al fine del riconoscimento delle prescrizioni nei vari Stati membri, prevedere elementi comuni che le stesse dovranno possedere per garantire la loro autenticità, così come avere un quadro chiaro, a livello comunitario, di quali farmaci e dispositivi medici dovranno essere esclusi dal riconoscimento ai fini della tutela della salute pubblica. L’accesso alle prestazioni dovrà essere garantito allo stesso modo su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, a fronte di punti di forza del SSN (capacità di risposta assistenziale universale; accessibilità ai servizi dei cittadini), occorre considerare la presenza di criticità, quali l’inappropriatezza di alcune prestazioni sanitarie, le lunghe liste di attesa, un livello qualitativo dei servizi sanitari molto differenziato, che spinge i cittadini a rivolgersi alle strutture di altre Regioni per usufruire di cure adeguate. Con riferimento poi ai Livelli essenziali di assistenza (LEA), le disomogeneità tra Regioni sono evidenti in ambito sia ospedaliero sia territoriale. Ne consegue la necessità di un intervento forte e diretto che coinvolga i diversi livelli istituzionali del SSN. Fondamentale, a tale scopo, la cornice di riferimento costitui ta dal patrimonio informativo disponibile nell’ambito del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) e dalle metodologie di supporto alla lettura dei dati e alla comprensione dei fenomeni sanitari, consolidate nell’ambito del Sistema nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria (SIVeAS).
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