Principi di politica ambientale a. Il principio “chi inquina paga” (polluters payers principle) Se l’inquinamento ambientale crea una divergenza tra costo privato e costo sociale (l’esternalità), un criterio per internalizzare questa differenza è di imputare l’esternalità a chi causa l’inquinamento. Non è un criterio etico. Spesso il costo di una politica ambientale è traslato sul consumatore finale. Ma consente di far rivelare al prezzo di un prodotto tutti i costi (sociali) effettivi di produzione.
b. Il principio di azione preventiva È il principio su cui si basano le politiche USA ed Europee di seconda e terza generazione, volte a prevenire piuttosto che a curare il degrado ambientale.
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Come effettuare l’internalizzazione dell’esternalità nel rispetto dei principi di politica ambientale?
a. Attraverso strumenti di regolamentazione diretta - Le norme di “comando e controllo” e gli standard ambientali
b. Attraverso strumenti di regolamentazione indiretta-
Gli strumenti economico-finanziari oooo0ooooo a. Le norme di “comando e controllo” e gli standard ambientali
Con legge o regolamento, l’autorità competente impone a tutti i soggetti di ridurre le proprie emissioni fino a raggiungere un livello di purezza desiderato, fissando uno standard sulle emissioni di un impianto o di un prodotto.
Si possono avere: 1. Standard di emissione 2. Standard di qualità del corpo ricettore 3. Standard di processo 4. Standard di prodotto
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Ancora: 1. Standard uniformi 2. Standard differenziati 2.1 Differenziati per settore 2.2 Differenziati per area territoriale oooo0ooooo 1. Standard di emissione Stabiliscono la quantità massima di sversamento consentito in un corpo ricettore (es. acqua, aria). Tutti coloro che producono emissioni devono attenersi agli standard stabiliti, provvedendo alla depurazione dei propri scarichi in modo da non superarli. Es. la legge Merli (319/76) stabilisce nella tab. A gli standard per scarichi in un corso d’acqua superficiale, nella tab. C quelli per scarichi in una fognatura provvista di depuratore. ⇒ Si demanda all’inquinante il costo di depurazione. Ma il costo del controllo è addossato sulla collettività (a seconda del grado di efficienza della PA). ⇒ Si potrà garantire il rispetto dello standard se: • lo scarico è periodicamente analizzato • la multa è sufficientemente elevata, tanto da scoraggiare l’evasione.
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• Inoltre, la fissazione dello standard necessita di continue revisioni, all’aumentare delle attività.
2. Standard di qualità del corpo ricettore Determinano il livello voluto di qualità ambientale e sono di solito affiancati ad uno standard di emissione. Es. la legge Merli demanda alle istituzioni locali il compito di redigere dei piani di qualità delle acque. Ma ad oggi poche Regioni hanno provveduto. Questi standard sono sempre più utilizzati e permettono la definizione di standard differenziati per attività produttiva e a seconda del luogo in cui si scarica.
3. Standard di processo Prevedono che certi impianti (di depurazione) siano conformi a certe caratteristiche prescritte da un ente controllore. Es. si può stabilire che, per l’abbattimento del particolato dei fumi, le imprese utilizzino particolari tipi di filtri. Garantisce la depurazione, una volta installato l’impianto richiesto, ma impedisce la ricerca di soluzioni meno costose e più efficienti per la singola impresa
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L’esperienza degli USA. La politica dell’EPA della “migliore tecnologia disponibile” è stata a lungo contrastata dai produttori più propensi a standard di emissione che lasciassero loro più libertà di scelta. 4.
Standard di prodotto
Dettano norme di qualità ambientale del prodotto. Es. richiedere che tutte le automobili di nuova produzione abbiano in dotazione la marmitta catalitica; oppure l’abbattimento della produzione di CFC. Questo standard permette di perseguire l’obiettivo dell’azione preventiva.
Pregi e difetti delle norme di “comando e controllo” Pregi: Sono le sole utilizzabili quando un’emissione produce degli effetti gravi e/o livelli di inquinamento inaccettabili. In questo caso la decisione di disinquinare non può essere lasciata alla discrezionalità dell’inquinatore. Difetti: Sono poco incitative. Gli inquinatori tendono a conformarsi allo standard, senza avere alcun incentivo nella ricerca di tecnologie più pulite o prodotti meno inquinanti. Il successo di una norma “comando e controllo” dipende da un’amministrazione efficiente. 5
b.Gli strumenti economici Il principio della regolamentazione indiretta è quello di minimizzare i costi globali di depurazione attraverso meccanismi (tasse, sussidi etc.) che consentono di eguagliare al margine i costi individuali di depurazione. b.1 Gli strumenti eco-finanziari: le tasse ambientali Le tasse sulle emissioni o sugli scarichi si basano sul principio che sia efficiente incentivare a depurare quelle imprese che hanno costi di depurazione più bassi. Si fissa una tassa per unità di inquinamento, e l’impresa può scegliere se pagare per gli scarichi sversati o depurarli e non pagare. La scelta efficiente si compie eguagliando i costi marginali di depurazione con la tassa stessa. Se le imprese hanno costi marginali di depurazione diversi, a parità di tassa, alcune depureranno di più altre pagheranno di più. Ma se la tassa è fissata correttamente, il livello di inquinamento prodotto sarà quello efficiente e sostenibile e il disinquinamento sarà ottenuto al costo più basso possibile perché depureranno di più le imprese che hanno bassi costi e pagheranno la tassa quelle per cui la depurazione avrebbe costi più elevati.
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La difficoltà nel caso della tassa è nella sua fissazione ad un livello adeguato e nella modalità di calcolo. I costi del controllo sono invece più limitati (rispetto agli standard) e si limitano ad una verifica della quantità di inquinamento prodotto.
Le tasse ambientali sui prodotti si utilizzano per disincentivare l’uso di certi prodotti inquinanti (nella fabbricazione o nell’utilizzo), quando esistano dei succedanei non inquinanti o quando si tratti di un bene superfluo (con domanda molto elastica). Questo è il principio della carbon tax introdotta dalla CEE Ha anche un effetto di segnale per i consumatori: indica che quel prodotto è nocivo per l’ambiente. È una forma di “divieto debole” e un incitamento al risparmio di una risorsa.
Le tasse per servizio reso sono tariffe per il ritiro e trattamento di rifiuti in strutture collettive, pubbliche o private. In Italia è il caso della tassa per la raccolta dei rifiuti, il canone per i servizi di fognatura e depurazione delle acque di scarico. Per essere uno strumento di incitamento efficiente, devono essere proporzionali alla quantità e qualità dei rifiuti 7
prodotti. In realtà, i canoni vengono fatti pagare in modo forfettario, per oggettive difficoltà di misurazione e non incentivano forme di riciclo o recupero di materiale.
Le tasse sul vuoto a rendere sono imposte su imballaggi o su prodotti che si desidera far restituire dopo l’uso (es. lattine, vetro, pile etc.). Si tratta di una tassa/deposito che viene pagata al momento dell’acquisto e restituita in parte al momento della consegna del rifiuto. [Vd Table 2 p.40-41 R. Stavins (2000)]
Perché le tasse sono così poco utilizzate? Le tasse, anche se presentano vantaggi in termini di efficienza, devono essere usate con cautela, perché hanno dei costi di esazione e controllo elevati. Inoltre di solito sono di piccola entità e vengono accompagnate ad uno standard, in quanto molto spesso per essere efficaci dovrebbero essere molto elevate, con pesanti ripercussioni sulla competitività internazionale delle imprese nazionali. ⇒ Al momento le tasse ambientali sono solo un accompagnamento di politiche ambientali che restano basate su leggi e standard.
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b.2 Incentivi, aiuti e sovvenzioni L’inquinante riceve una sovvenzione, un prestito a tasso agevolato o la defiscalizzazione degli investimenti, per ridurre le proprie emissioni al di sotto di certi livelli di inquinamento. Sul piano economico contraddicono il principio “chi inquina paga”, e non hanno alcun effetto incentivante. Sono però di solito utilizzati nelle fasi di prima applicazione di una norma ambientale.
b.3 La creazione di mercati artificiali: i diritti di emissione negoziabili ed il mercato dei diritti di emissione
Si intende creare dei mercati artificiali per i beni ambientali, in situazioni in cui questi non esistano, attraverso tre modalità principali: - il mercato dei diritti di emissione negoziabili; - le borse per le materie secondarie; - le assicurazioni di responsabilità.
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Lo strumento dei diritti di emissione negoziabili si basa sull’idea che l’ambiente abbia una capacità massima di smaltimento delle emissioni, “capacità di carico”. Stabilita la massa di emissioni vendibile, la si suddivide in titoli, che danno diritto ad una certa quantità di emissioni. I titoli vengono messi all’asta, o distribuiti gratuitamente e in parte messi in vendita e gli stessi danno origine ad un vero e proprio mercato.
Pregi: I diritti di emissione garantiscono il raggiungimento di un certo livello di qualità dell’ambiente quando accoppiati ad uno standard, molto più di una tassa. Inoltre se il pubblico desidera una qualità dell’ambiente migliore può intervenire acquistando titoli. Difetti: non sono adatti ad un uso da soli, perché dovrebbero contenere troppe informazioni ed essere emanati di diversi tipi. Finora sono stati introdotti solo negli SU e in Germania.
[Vd Table 8 p.53 R. Stavins]
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Nella gestione dei rifiuti è necessario fissare un prezzo negativo tra compratore e venditore, essendo il rifiuto un bene ad utilità negativa, con possibile formazione di mercati neri ad alto rischio sulla salute umana.
Ci sono però delle forme di risparmio nei costi di raccolta e smaltimento, se si interviene incentivando la creazione di un mercato delle materie ricuperate dai rifiuti (secondarie), che contengono ancora un valore potenziale e con prezzo positivo. Il mercato si creerà sensibilizzando la domanda (es. per carta riciclata) o se si crea convenienza nel costo rispetto a materia prima (istituendo un eventuale contributo).
Nel caso di responsabilità per danni ambientali provocati da incidenti, si impone alle aziende ad elevato rischio di assicurarsi sugli eventuali incidenti; per incentivare la sicurezza dell’impresa si potranno prevedere dei premi assicurativi tanto più bassi quanto maggiore è la sicurezza.
Queste tre forme di mercati artificiali necessitano di correttivi per area, dal momento che la concentrazione industriale non è uniforme (standard differenziati, o affiancati a tasse articolate a livello territoriale).
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b.4 Gli strumenti preventivi: i bilanci ecologici, il marchio e l’audit ambientale Sono strumenti basati sul principio di azione preventiva e sono derivati dall’esperienza (USA prima ed Europea dopo), che non sono sufficienti gli incentivi economici a depurare per garantire una qualità ambientale. Ogni processo di depurazione è in realtà un trasferimento degli inquinanti da un ricettore ad un altro. Es. I fumi trattati producono polveri e fanghi, i rifiuti bruciati producono inquinamento atmosferico e polveri, le acque depurate producono masse di fanghi.
Gli strumenti più recenti come i bilanci ambientali, gli eco-marchi, l’audit ambientale (introdotti in Europa con il V programma di azione) presuppongono un nuovo tipo di approccio imprenditoriale all’ambiente. Un approccio “proattivo” in cui le imprese anticipano le norme per guadagnare un vantaggio competitivo rispetto ad altre imprese che dovranno adeguarsi in seguito. Ma presuppone che anche i consumatori adottino un atteggiamento attento alla qualità ambientale dei prodotti che acquistano. Attraverso l’eco-label si spingono le imprese a introdurre volontariamente delle modifiche ai processi e prodotti che abbiano effetti favorevoli sull’ambiente. Tali modifiche hanno ovviamente un costo, che però le imprese potranno recuperare grazie al vantaggio in termini di concorrenza che l’aquisizione del marchio potrà garantire.
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La procedura per la concessione del marchio ambientale prevede di solito la presentazione da parte del richiedente di un bilancio ecologico del prodotto: si tratta di un’analisi del ciclo di vita di un prodotto del tipo “dalla culla alla bara”, cioè dall’estrazione della materia prima al riciclo e allo smaltimento del rifiuto. [Vd schema dalla culla alla bara p.250] L’etichetta ecologica europea (Ecolabel) è stata istituita con il regolamento comunitario 880/92, rivisto col Regolamento n.1980/2000 e recepito in Italia con la legge n.334 dell’8 ottobre 1997. Gli organi competenti in Italia sono: - il Ministero dell’Ambiente che indica gli obiettivi di politica ambientale - il Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit che approca le linee guida e i criteri ambientali oer la valutazione della Dichiarazione Ambientale di Prodotto (DAP) - l’Organismo Nazionale per il marchio ecologico (ONM) che definisce la procedura per la concessione del marchio - l’ANPA che garantisce il supporto tecnico all’ONM per la concessione del marchio.
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Gli ostacoli alla diffusione dell’etichetta ecologica europea sono stati: - la scarsa informazione delle imprese in merito allo schema e alle sue potenzialità commerciali; - la percezione di Ecolabel come strumento di marketing debole; - la diffidenza delle associazioni di settore; - la frammentazione dei pocessi produttivi. Per ovviare a questi ostacoli, si è introdotto un sistema complementare di Audit e Management Ambientale, l’EMAS (Environmental Management and Audit Scheme) con regolamento emanato nel 1993 e riformato nel marzo scorso (regolamento CE n.761/2001). Prevede l’introduzione di un Registro Europeo cui hanno diritto ad iscriversi le imprese che hanno deciso di aderire ad EMAS, rispettandone i principi e le procedure. [Vd logo Eco-label e Emas ] Entrambi gli strumenti consentono l’acquisizione di informazioni sulle prestazioni ambientali di un processo produttivo su base volontaria. Informazioni utili per migliorare l’uso degli strumenti più tradizionali di polica ambientale. [Vd Table 9 p.53 R. Stavins]
In questa direzione anche i più recenti tentativi di autirità locali di redigere bilanci ecologici territoriali (es. il Comune di Massa Carrara, e alcune regioni).
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