Premessa Il consumo come racconto
Cosa succede quando un individuo ha il coraggio di mettersi a nudo? Quando un brand decide di diventare tanto reale da rinunciare alla retorica manageriale celebrativa? Quando un prodotto non esprime solo un set di caratteristiche ma un mondo di esperienze personali collegate alle autobiografie di chi lo consuma? Accade che si entra nel “regno del racconto”. Accade che prodotti, individui e aziende iniziano a conversare tra di loro. A socializzare in modo diverso dal passato, dove la retorica descrittiva del marketing celebrativo lascia spazio alla reciprocità del marketing conversazionale, in cui un consumatore, o forse sarebbe meglio dire un prosumer decide di parlare male, dire male, di quel prodotto e di quella azienda non per diffamare ma per relazionare: perché è entrato in una vera relazione di connessione emotiva profonda con quella stessa istituzione. E non può sopportare di essere deluso. Se il consumo diventa racconto allora il marketing si fa narrativo e la relazione individui-aziende si apre a illimitate possibilità che hanno a che fare con le tecniche della narrazione. Lo storytelling, la narrazione, le tecnologie del racconto diventano quindi: • sistemi per saper leggere meglio le dinamiche di creazione del valore della nostra contemporaneità; • approcci per approfondire e intensificare relazioni di valore: • dispositivi di condivisione di senso (etico ed estetico). 11
Questo testo è un primo tentativo per tematizzare elementi importanti nella narrazione di consumo contemporaneo. E per connettere insieme discipline diverse, indispensabili oggi al prosumer contemporaneo, vuoi che questo prosumer venda e/o compri narrazioni. L’idea di fare un libro sul marketing narrativo la devo a innumerevoli incontri, dibattiti, confronti con altrettanti innumerevoli interlocutori autobiografici significativi nella mia vita. Dagli educatori professionali che frequentavo nella mia infanzia professionale ai direttori marketing che mi capita di incontrare ultimamente. Dagli studenti di Milano e Pavia che mi sollevano dubbi esistenziali sul futuro del nostro Paese e sull’uso delle tecnologie di social networking e sul destino dei nostri figli; fino ad arrivare ai tanti maestri professionali che ho avuto la fortuna di conoscere. Ho tentato insieme a due amici, colleghi, e magistrali studiosi, miei co-autori, di abbozzare una ipotesi di ricerca sul tema del marketing narrativo. A loro sono grato per aver assunto con coraggio questa sfida professionale. E per essere una presenza che conforta la mia solitudine, in certe giornate in cui le aziende pretendono di parlare a tutti i costi anche quando nessuno vuole ascoltare. Nonostante sia ormai chiaro che i mercati sono conversazioni, vi è ancora molta strada da fare per permettere alle organizzazioni di andare oltre la loro autoreferenzialità, ormai logora e sterile. E consentire loro di imparare a raccontare e a raccontarsi con intensità ed estensione; audacia e lealtà. Andrea Fontana
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Introduzione
Vi è stato un tempo, da molti considerato felice, in cui il marketing era militarizzato e militante. Era il tempo dei target e delle operazioni mirate. Chi si occupava di attività promozionali e commerciali – in quel tempo – aveva vita facile in un mercato affamato di oggetti, dove le “cose” venivano comprate per il semplice fatto di essere comunicate. Poi il tempo è passato, i muri sono crollati insieme alle torri; gli individui sono diventati sempre più enigmatici nei loro gesti di acquisto; i mercati sono entrati in turbolenza critica (dominati da chissà quali forze misteriose) e le società tutte sono diventate “liquide”. Ci siamo ritrovati catapultati in un nuovo mondo, semi sconosciuto, in cui non basta più informare, comunicare, coinvolgere, ma diventa necessario narrare perché i processi di costruzione e condivisione del valore economico, sociale e politico non sono più dominati solo dalla prestazione operativa che poteva essere oggettivamente comunicata. In questo nuovo mondo, la prestazione oggettiva è data per scontata e anche la sua comunicazione lo è. Tutte le aziende hanno prodotti di qualità e sanno comunicare, o per lo meno così si presume. Meno ovvio invece è il fatto che la qualità del prodotto e servizio e la sua comunicazione richiedono – in un mondo globalizzato e sotto turbolenza critica, educato dai media di tutti i livelli e gradi – analisi e strategie narrative per essere efficaci. 13
Ecco allora la “svolta narrativa” farsi largo anche nel business. Ecco che aziende, organizzazioni, persino agenzie politiche e mediatiche iniziano nel nuovo millennio a usare tecniche di narrazione per “posizionarsi” e “vendersi” e a fare invertising (Iabichino, 2009). Qualcuno potrà dire che questo è stato sempre fatto. Lo facevano gli Egiziani. I Romani. I Greci. E tanti altri dopo di loro. È vero ma mai prima di adesso la narrazione è stata incorporata ovunque; sia nei prodotti che nei processi di costruzione dei prodotti. Così i brand hanno iniziato a raccontare storie. I prodotti hanno iniziato a essere storie. E il marketing si è fatto narrativo. E qui veniamo a noi. E alle questioni che ci interessano, ci inquietano, ci appassionano e spingono ad aprire un dibattito tutto nuovo per lo meno nel nostro Paese: • Perché una persona entra in sintonia con una narrazione e ne fruisce i contenuti facendoli suoi? • Quali sono gli elementi principali e non trascurabili per costruire una narrazione? • Quale è la fisica dell’ascolto narrativo? Cioè come l’ascoltatore entra in sintonia da un punto di vista fisiologico con una narrazione e con i suoi elementi? È possibile misurarne in qualche modo la fisiologia? Ci siamo posti tali questioni (che tuttora in verità ci inseguono e sollecitano all’indagine) muovendoci da diversi punti di ricerca; da diversi ambiti disciplinari e da tanta esperienza di consulenza maturata negli ultimi venti anni sul campo. Sollecitati da tali questioni, abbiamo quindi deciso di far convergere tre approcci innovativi e nascenti che chi scrive sta portando avanti in Italia e all’estero suddividendoci tra di noi, e le nostre competenze di base, le aree di riflessione su indicate. Così il libro segue un andamento logico per cui: • il primo capitolo di Andrea Fontana analizza lo storytelling e la narrazione d’impresa, declinata in termini strategici e operativi, partendo dal presupposto che ogni narrazione necessita di una preparazione all’ascolto, senza la quale non si può raccontare. L’ascolto narrativo è possibile perché noi entriamo ed usciamo 14
da quell’esperienza definita “trance narrativa d’ascolto” tema questo poco affrontato prima in Italia; • nel secondo capitolo Joseph Sassoon, integrando il modello semiotico francese con le categorie analitiche proprie degli screenwriters americani, propone un approccio semiotico-narrativo che dà vita a un nuovo intreccio metodologico chiamato Semioscreen. In questa parte del volume Sassoon prende in considerazione quelle variabili indispensabili che fanno di un racconto una “storia efficace” che in qualche modo produce e precede la “trance narrativa”; • nel terzo capitolo Ramon Soranzo prende in considerazione il neuromarketing e l’analisi biometrica applicata ai gesti di acquisto e consumo e sviluppa il difficile tema, mai toccato prima, di come una storia possa essere misurata rispetto agli effetti che produce emotivamente e fisiologicamente. In questa parte Soranzo insieme al Prof. Fabio Babiloni dell’Università “La Sapienza” di Roma – a cui va il nostro ringraziamento per la collaborazione e il supporto ai dati – ha sviluppato nel corso di questi ultimi anni un approccio originale ed unico alla misurazione degli eventi narrativi. Il capitolo si conclude con tre case histories frutto della convergenza dell’approccio semiotico-narrativo di Joseph Sassoon con quello biometrico di Ramon Soranzo. Questi tre approcci – convergendo – generano quello che crediamo possa essere definito: marketing narrativo. Siamo consapevoli che il nostro viaggio è solo all’inizio. E siamo consci che il marketing narrativo è un territorio teorico e pratico nuovo, in cui ancora molto c’è da scoprire, dire, dibattere, confutare. Ma nello stesso tempo vogliamo provare ad aprire una strada. Essere testimoni del fatto che questo itinerario di ricerca ci ha portato, e tutti i giorni ci conduce, a capire che esistono variabili specifiche della narrazione che portano a identificarsi – nei gesti commerciali – con strutture profonde e/o archetipi specifici. L’effetto di questi in termini di stati d’animo può essere oggi misurato. Crediamo che avere consapevolezza di queste dinamiche sia oggi importante in termini etici e valoriali per capire meglio la società e il mondo che abitiamo e per questo troverete nell’ultima 15
parte del testo anche esempi di narrazioni commerciali che funzionano (più o meno); cioè casi di studio dove analizziamo alcuni racconti commerciali. Abbiamo voluto rendervi partecipi delle scoperte fatte nel nostro viaggio, sperando vi siano utili. Milano, gennaio 2011 A. Fontana, J. Sassoon, R. Soranzo
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