PARTE GENERALE
1^ LEZIONE FONTI – CONTENUTI – FUNZIONE Il diritto penale consiste nell’insieme delle norme giuridiche che disciplinano i reati, le regole generali per la definizione della responsabilità e le sanzioni previste. I reati sono previsti nelle norme di parte speciale del codice penale, il codice Rocco del 1930 che è diviso in 3 libri: •
1 libro
regole per l’imputazione (responsabilità)
•
2 libro
delitti
•
3 libro
contravvenzioni
Le sanzioni sono diverse e sono disciplinate nella parte finale del libro 1°. Oltre al codice penale ci sono molte altre leggi che si occupano di reati ad esempio la legge fallimentare del ’42 che al suo interno prevede i così detti reati fallimentari come la bancarotta. Altre leggi sono la legge tributaria (in materia di tributi e imposte – omessa dichiarazione dei redditi); testo unico di pubblica sicurezza; i reati societari previsti nel codice civile (falso in bilancio); legge in materia di armi del ’75 (detenzione e porto abusivo); legge doganale (contrabbando); legge sugli stupefacenti (traffico, spaccio e coltivazione) ed altre ancora. Tutte queste leggi si sommano e sono comunque sottoposte alle regole generali inserite nel codice penale. Parte generale e singole incriminazioni vivono assieme sempre. Le norme penali sono di diverso tipo: •
NORME INCRIMINATRICI descrivono un fatto come reato e prevedono una pena (fattispecie di reato e relativa sanzione ) a loro volta si dividono in:
•
1.
PRECETTO
è la parte che descrive il fatto vietato
2.
TRATTAMENTO SANZIONATORIO è la parte relativa alla pena prevista
NORME GIUSTIFICATRICI indicano i casi in cui un fatto previsto come reato è giustificato e quindi esime l’autore dalla punibilità es: legittima difesa
•
NORME DI DISCIPLINA GENERALE
si occupano di dolo, colpa ecc..
Sotto il punto di vista sostanziale il diritto penale ed i suoi precetti con l’insieme delle norme incriminatrici (circa 2000 nel nostro ordinamento) rappresenta la carta degli obblighi dei cittadini per non incorrere in una sanzione penale. Questi obblighi, desumibili dalle singole norme si dividono in obblighi di non fare (reati commissivi) o obblighi di fare (reati omissivi). Quelli omissivi, indipendentemente dalla denominazione possono essere rappresentati da reati omissivi (omissione di soccorso); rifiuti (rifiuto di sottoporsi al test alcoolimetrico) o inosservanze (inosservanza del provvedimento del giudice). Generalmente l’insieme dei precetti costituisce il minimo comune etico della convivenza civile. Il diritto penale non si occupa di “morale” ma è indubbio che la morale stessa sia spesso alla base di indeterminate scelte del legislatore, a volte con l’introduzione di nuove fattispecie di reato, altre con la depenalizzazione. La funzione principale del diritto penale è tutelare beni giuridici meritevoli di tutela e solo in via secondaria quella di punire il fatto lesivo ed il suo autore.
LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE
Perché lo stato ricorre alla pena (limitazione/privazione della libertà personale)? Quali sono le teorie su cui l’azione statuale si fonda? Essenzialmente ve ne sono 3 TEORIA RETRIBUTIVA
E’ la teoria secondo cui l’inflizione della pena non ha altro scopo se non il rendere al reo una sofferenza in risposta ad un danno da esso compiuto.
TEORIA GENERAL PREVENTIVA
E’la teoria secondo cui, attraverso la pena, si cerca di raggiungere lo scopo di prevenire: nel breve periodo la commissione dei reati attraverso l’intimidazione (general preventiva negativa) e nel lungo periodo, attraverso l’azione pedagogica della norma penale, di ottenere un orientamento culturale rispettoso delle norme penali (positiva.)
TEORIA SPECIAL PREVENTIVA
E’ la teoria secondo cui la pena ha il compito di evitare all’autore di reato la commissione di ulteriori reati futuri (prevenire la recidiva). Attraverso la rieducazione e il reinserimento nella società civile (in primis), attraverso la deterrenza per i soggetti insensibili alla rieducazione e attraverso la neutralizzazione per i soggetti insensibili a rieducazione e intimidazione.
Queste teorie però non sono applicabili a tutti i sistemi giuridici, di fatto, la legittimazione della pena varia a seconda del tipo di stato. Stati teocratici tenderanno a reprimere come reato ogni comportamento immorale o peccaminoso. Stati assoluti reprimeranno come reato qualsiasi comportamento ritenuto sintomo di ribellione esigendo dai cittadini fedeltà incondizionata alla legge. Per lo Stato italiano noi dobbiamo fare riferimento alla carta costituzionale individuando l’uso della pena che i singoli poteri dello stato (legislativo, esecutivo, giurisdizionale) fanno. LEGISLATORE
Nello Stato italiano, la particolare struttura per cui tutti i poteri derivano dal popolo, vieta al legislatore l’utilizzo della pena come indiscriminato deterrente finalizzato alla repressione di “infedeltà” allo Stato. Allo stadio della minaccia legislativa della pena è chiaro che il fine da perseguire è una prevenzione generale; resta però la limitazione, prevista dall’Art. 27Cost. del fine rieducativo della pena. Non possono quindi essere comminate pene finalizzate alla sola retribuzione del reo, pene eccessivamente severe tanto da non poter essere minimamente ritenute giuste, né pene che precludano la possibilità della rieducazione del reo ed il suo reinserimento nella società. In proposito si è disquisito sulla legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo. Di fatto, la previsione di alcuni istituti come la liberazione condizionale ed altri, mitigano questo conflitto tanto da aver permesso alla Corte Costituzionale di rigettare le censure di incostituzionalità della pena all’ergastolo.
PRINCIPI GUIDA PER LA DETERMINAZIONE DEI FATTI PENALMENTE RILEVANTI PRINCIPIO DI MATERIALITA’
Il fatto di reato per essere meritevole di previsione di legge, deve consistere in un comportamento umano (materiale), un’azione o omissione, non può riguardare modi di essere, pensare, desiderare ecc. è necessario che un fatto sia materialmente compiuto. Ci sono nel nostro ordinamento, però, norme che perseguono appunto modi di essere, pensare ecc, tali norme perseguono il “pericolo di reato” indipendentemente dalla prova di un fatto materiale. Queste norme non prevedono pene ma, bensì, sanzioni extra penali come la sorveglianza speciale o altre misure “ante delittum”.
PRINCIPIO DI OFFENSIVITA’
Con questo principio si intende dare rilevanza penale e quindi prevedere come fattispecie di reato solo quei comportamenti che ledono o pongano in pericolo l’esistenza e lo sviluppo della società. Quindi tutti quei comportamenti che ledono o pongono in pericolo beni giuridici individuali e collettivi. Beni che con il tempo sono andati moltiplicandosi. La condizione di pericolo deve anche essere “effettiva” per configurarsi il reato, ad esempio l’apologia di reato colpisce la lesione all’ordine pubblico, se un’apologia di reato venisse fatta ad un pubblico di non violenti, l’ordine pubblico non sarebbe messo in pericolo (i non violenti non reagiranno mai con tumulti o violenze). A questo principio (offensività) è stato attribuito rango costituzionale dalla Corte Costituzionale rendendolo vincolo sia per il giudice che per il legislatore.
PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA
Con questo principio si intende legittimare il ricorso alla pena unicamente per quei fatti colpevolmente commessi, fatti personalmente rimproverabili al suo autore. Anche questo principio ha rango costituzionale essendo espressamente previsto dall’Art. 27 Co. 1Cost.
PRINCIPIO DI PROPORZIONE
Con proporzione della pena si intende che per il legislatore è necessario ponderare bene sulla “bilancia” i danni che la pena arreca alla società e al reo (limitazione della libertà, lesione dell’onore ecc..) con gli effetti positivi che la pena porta (prevenzione di fatti socialmente dannosi). E’ quindi necessario che i danni arrecati al reo e alla società dall’inflizione della pena siano almeno controbilanciati dagli effetti positivi di prevenzione. Solo fatti sufficientemente gravi sono quindi legittimati a divenire fattispecie di reato. Al legislatore è fatto divieto di ricorrere alla pena anche per quei fatti, comunque gravi, la cui repressione attraverso la pena determini un effetto criminogeno anziché
preventivo. es. Aborto. La sua repressione penale spingeva le donne ad aborti clandestini dai quali scaturivano morti e quindi casi di omicidio.) PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
E’ il principio per cui la pena deve rappresentare l’ultima ratio del legislatore. La pena deve essere applicata solo se altri rami del diritto non siano sufficientemente efficaci nella tutela del bene giuridico protetto dalla norma. Non solo le bagatelle non devono essere penalmente rilevanti ma anche tutti quei reati, comunque gravi, per cui un qualsiasi altro intervento di politica sociale o intervento meno invasivo, possano dare risultati di prevenzione.
PRINCIPIO DI FRAMMENTARIETA’
Il diritto penale è frammentato perché si occupa di questi fatti solo quando raggiungono un certo grado di gravità rispetto al risultato finale (e qui si ricollega in qualche modo al principio di proporzionalità), sia rispetto alle modalità (le forme più gravi di offesa; non ogni illecito civile è anche illecito penale ad esempio se io faccio cadere una persona che prende una botta ad una gamba è illecito civile e devo risarcire civilmente il danno, ma se lo faccio intenzionalmente per procurargli un danno fisico ecco che assume rilievo penale.)
In relazione ai principi di proporzione e sussidiarietà si fonda tutto il meccanismo di depenalizzazione del legislatore italiano. Il Legislatore in definitiva è legittimato al ricorso alla pena per finalità general preventive, entro i limiti imposti per la rieducazione del reo, a tutela proporzionale e sussidiaria di beni giuridici contro offese inferte colpevolmente. GIUDICE
Una volta accertato che il fatto concreto del giudizio si integra con il modello astratto previsto dalla norma penale, il giudice infligge la pena scegliendola entro i tipi ed i limiti previsti per quella fattispecie di reato. Il fine rieducativo del condannato impone al giudice di adottare la pena più adatta a prevenire il rischio di recidiva e di commisurarla entro i limiti minimi e massimi previsti dalla norma al fine di evitare che il condannato possa sentire la pena inflitta come vessatoria.
RUOLO DELLA PENA
Da un lato l’inflizione della pena è finalizzata al supporto della prevenzione generale.. Se il principio di prevenzione generale concorre a legittimare l’inflizione della pena, certamente non può assolutamente entrare in giuoco nella commisurazione. Infliggere una pena esemplare, eccedendo la pena “meritata” dal reo al fine di dissuadere altri dal delinquere è contrario al principio di personalità della responsabilità previsto dall’Art. 27Cost. Sarebbe come determinare una responsabilità per ipotetico fatto altrui.
PREVENZIONE SPECIALE
Informati al ruolo special preventivo sono gli istituti della sospensione condizionale e sostituzione della pena con altre meno invasive. Dopo aver commisurato la pena, il giudice, può sostituirla con pene diverse e meno gravose. Questa possibilità è limitata a reati di gravità medio bassa, il fine è di evitare al reo gli effetti desocializzanti del carcere quando il giudice ha ragione di ritenere che quel soggetto non commetterà nuovi reati. La possibilità è di scegliere la pena più idonea al reinserimento sociale del condannato.
ESECUTIVO
Una volta inflitta la pena dal giudice, salvo i casi in cui sia stata sospesa e la sospensione non revocata, la pena deve essere eseguita. Questo è compito del potere esecutivo (organi del ministero di giustizia e dell’interno). La non applicazione della pena prevista dalla norma fa cadere l’effetto deterrente della norma e non permette, nel lungo periodo, l’orientamento culturale dei consociati.
Il fine rieducativo della pena è limitato alla proposta di aiuto verso il condannato, non può quindi in alcun modo essere coattiva, fermo restando che, un soggetto non rieducabile, legittima il fine neutralizzante della pena. A questo principio fa riferimento tutta la legislazione nei casi di criminalità organizzata quali terrorismo e mafia (per fare degli esempi). EFFICACIA DEL GIUDICATO PENALE NEI GIUDIZI EXTRAPENALI
Come spesso accade un fatto potrebbe ricadere in diversi interventi sanzionatori (penali, civili, amministrativi, disciplinari). Controlli estesi ed efficaci permetterebbero di lasciare il controllo penale come ultima ratio nella determinazione e risoluzione delle controversie. Purtroppo molto spesso non è così. Resta quindi da valutare se una decisione penale vincoli o meno gli organi preposti all’applicazione delle sanzioni extrapenali. Nel nostro ordinamento vige un’articolata e differenziata efficacia del giudizio penale nei giudizi civili, amministrativi e disciplinari. La norma penale è caratterizzata da un’accessorietà o autonomia rispetto agli altri rami dell’ordinamento. Si possono individuare due gruppi: 1)
da un lato vi sono norme penali che disciplinano materie già disciplinate almeno in parte dal diritto civile o amministrativo; in questi casi il giudice penale oltre a constatare i fatti dovrà anche applicare quelle regole extrapenali. A esempio in caso di furto dovrà accertare l’altruità dell’oggetto del reato applicando tutte le regole sulle modalità di acquisto della proprietà ecc..
2)
Da un altro lato, vi sono norme assolutamente autonome. In un caso relative al significato da attribuire a un dato termine (pur essendo utilizzato in altri rami), in altri casi ampliando il raggio d’azione di una norma reprimendo fatti che non troverebbero tutela in altri rami dell’ordinamento ad esempio nel caso di insolvenza fraudolenta. Si contrae un’obbligazione nulla civilisticamente (difetto di volontà: io non voglio obbligarmi), ciò nonostante la contraggo con il proposito di non adempiere.
VIOLAZIONE DELLE REGOLE PROBATORIE La sussistenza degli elementi costitutivi di reato deve essere provata dall’accusa. E’ regola di rango costituzionale imposta dall’Art. 27Cost. relativo al principio di presunzione di non colpevolezza sino a condanna definitiva. La sentenza di assoluzione deve essere pronunciata non solo quando vi è la prova che il fatto non sussiste, non costituisce reato, l’imputato non lo ha commesso o non è imputabile o punibile, ma anche quando vi è dubbio di reale sussistenza, commissione, costituzione di reato del fatto ma la cui prova manca, è insufficiente o contraddittoria. Inoltre deve essere pronunciata se il fatto è stato commesso in presenza di cause di giustificazione o non punibilità ovvero quando vi sia il dubbio sull’esistenza di queste cause. Va da se che l’onere probatorio a carico dell’accusa è decisamente gravoso. Spesso accade che legislatore e giurisprudenza tentino di violare questo onere. Il legislatore ad esempio coniando norme che delineano i reati di sospetto, ritenuti incostituzionali dalla Corte Costituzionale. La giurisprudenza cercando di stravolgere la struttura del reato ad esempio fondando la prova del DOLO su elementi sostanziali riconducibili di fatto solo a principi di semplice COLPA. E ancora nel caso del rapporto di causalità, quando manchino elementi scientifici certi di prova che da un certo evento derivi una certa conseguenza, sostenendo il rapporto di causalità unicamente con indagini che, di fatto, mostrano unicamente come quel fatto possa aver solo aumentato la probabilità del verificarsi della conseguenza. Il rapporto di causalità, infatti, deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio tra un’azione ed un evento concreto e non sul pericolo del verificarsi di quell’evento in conseguenza del fatto.
LE FONTI
PRINCIPIO DI LEGALITA’ Dal pensiero illuminista deriva la necessità di apporre limiti alla potestà punitiva dello Stato partendo dal principio di legalità quale garanzia verso i cittadini contro gli abusi del potere esecutivo e giudiziario. Questo principio si concretizza nelle forme della RISERVA DI LEGGE, PRINCIPIO DI PRECISIONE, DETERMINATEZZA, TASSATIVITA’, IRRETROATTIVITA’. In buona sostanza nessuno può essere punito se non in forza di una legge formale, entrata in vigore prima dei fatti commessi, chiara, che non incrimini fatti che non possono essere provati nel processo e con espresso divieto di utilizzo dell’analogia. RISERVA DI LEGGE Innanzitutto si parla di “riserva di legge formale tendenzialmente assoluta” perché ci si interroga se l’individuazione degli elementi costitutivi il reato possano in qualche modo essere delegati anche a fonti sub legislative. Il concetto di legge formale esclude gli atti aventi forza di legge (d.l. / d.lgs.) in quanto opera dell’esecutivo che rappresenta solo la “maggioranza” politica del paese e non tutti i cittadini. Di fatto nella prassi ci si muove nel senso opposto. Spesso d.l. e d.lgs. in materia penale vengono adottati. Parte della dottrina giustifica e ritiene lecito questo orientamento asserendo che il d.l. viene poi convertito in legge formale dal Parlamento e se così non fosse gli effetti cadrebbero ex tunc. Per il d.lgs., l’esecutivo è comunque vincolato dai “paletti” posti dal Parlamento con la legge di delega. In effetti, a pensarci bene si può ravvisare comunque qualcosa di biasimevole: un d.l. non convertito e quindi decaduto, nel frattempo ha comunque inciso anche temporaneamente sulla limitazione della libertà di alcuni soggetti al di fuori della riserva di legge formale rappresentativa della generale volontà politica nazionale. Per quanto riguarda il d.lgs., purtroppo, troppo spesso le leggi di delega presentano caratteri direttivi talmente lontani
dagli standard di rigore necessari che si esauriscono in vere e proprie attribuzioni al potere esecutivo di discrezionalità politiche in materia penale. Solo la legge dello stato comunque può incidere in materia penale perché, ai sensi dell’Art. 117 Cost. coperta da legislazione esclusiva. Quindi le leggi regionali non possono essere fonte di norme incriminatrici né di norme di giustificazione (ai sensi dell’Art. 25 Cost.). Allo stesso modo anche la consuetudine non può avere alcun ruolo in materia penale, né come consuetudine incriminatrice, integratrice, né tanto meno quanto abrogatrice (per effetto della desuetudine). Può, però, avere un ruolo nei casi di norme scriminanti: la consuetudine di lanciare petardi la notte di capodanno ha effetto giustificativo in previsione del reato di disturbo della quiete pubblica mediante schiamazzi o rumori. Diverso è il ruolo del Diritto dell’Unione Europea; nessuno dei trattati istitutivi attribuisce alle istituzioni comunitarie la potestà di creare norme incriminatrici, l’UE può però imporre al legislatore dei singoli stati l’obbligo di emanare norme penali a tutela di determinati interessi. Per il diritto comunitario in senso stretto è stato affermato dalla Corte di giustizia Europea questo obbligo ad esempio quando una direttiva richieda ai singoli stati di provvedere ad adeguata ed efficace tutela a determinati interessi comunitari. Nel campo della collaborazione in materia di giustizia e affari interni questo è indirizzato all’armonizzazione e coordinamento nella lotta alla criminalità transnazionale (terrorismo ecc..). Il diritto Europeo quindi incide notevolmente nel nostro ordinamento, salvo la necessità che sia il nostro legislatore a disporre norme penali in conformità al Diritto Europeo. Qualora norme interne contrastino con norme Comunitarie, queste ultime paralizzano o limitano per la parte confliggente le norme nazionali. Resta per il giudice nazionale quindi da un lato il vincolo di interpretare le norme in conformità alla normativa Comunitaria, dall’altro il limite imposto dal divieto di analogia e quindi non può attribuire un significato che vada oltre il tenore letterale. Resta inteso che le norme comunitarie da sole (senza il recepimento) sono efficaci solo in quanto norme giustificatrici. È il caso del medico tedesco che opera in Italia senza essere iscritto all’ordine dei medici italiani; di persé sarebbe un reato ma la norma comunitaria che tutela il diritto di installazione di attività nelle varie nazioni della comunità, oltre alla libertà di circolazione di persone e merci, autorizza il medico tedesco ad operare in Italia senza l’iscrizione all’albo italiano purché in possesso dell’abilitazione nello stato tedesco. L’Art. 25 Cost. di fatto vieta alla stessa Corte Costituzionale di ampliare, la gamma dei comportamenti penalmente rilevanti, inasprire le sanzioni e far rivivere una fattispecie abolita o depenalizzata dal legislatore ad eccezione del caso in cui dichiari incostituzionale una disposizione nuova che abroga una precedente che quindi torna a vivere. Quando si parla della riserva assoluta o relativa ci si riferisce, come sopra citato, alla possibilità che il potere esecutivo possa incidere sulla determinazione delle norme penali. Nel nostro ordinamento si ritiene legittima una riserva tendenzialmente assoluta che permette a fonti sub legislative di specificare sul piano tecnico singoli elementi costitutivi del reato già individuati dalla legge. Questo è il caso di regolamenti, decreti ministeriali ecc che sappiamo essere fonti subordinate alla legge, sempre che si limitino ad aspetti tecnici di elementi già individuati e non ne introducano altri. Per quanto riguarda il rapporto tra legge penale e provvedimenti dell’esecutivo (ad esempio provvedimenti amministrativi ecc), la previsione della punibilità in caso di inosservanza di quel provvedimento è legittima perché il provvedimento in se non determina gli elementi costitutivi del reato ma solamente un accadimento che la legge considera esso stesso elemento costitutivo di reato. Sicuramente illecite sono le cd norme penali in bianco, norme che demandano il precetto penale in tutto o in parte a fonti sub legislative. La riserva di legge è a sua volta è composta, come parti integranti, dai principi di determinatezza, tassatività e precisione. I principi di tassatività e precisione per la maggior parte della dottrina coincidono. PRINCIPIO DI PRECISIONE
Il legislatore ha l’obbligo di disciplinare con precisione il reato e le sanzioni previste onde evitare abusi del giudice e per permettere al cittadino di conoscere in ogni momento cosa è lecito fare e cosa gli è vietato. Leggi imprecise possono poi compromettere il
rimprovero di colpevolezza perché il cittadino è stato indotto in errore dall’assoluta oscurità del testo legislativo. Norme penali non precise, inoltre, precludono o almeno limitano la possibilità dell’accusato di esercitare il diritto di difesa. PRINCIPIO DI TASSATIVITA’
Viene designato come divieto di analogia a sfavore del reo. Nessuno può essere punito per fatti che non siano espressamente previsti come reato dalla legge e comunque non oltre i casi e i tempi in esse considerati. E’ legittimo da parte del giudice adottare interpretazioni estensive della norma penale punendo tutti i casi riconducibili al tenore letterale della norma. E’ illegittimo farlo punendo fatti non riconducibili alla lettera della norma o a casi simili solo per effetto di una comune ratio di disciplina. Il divieto di analogia non opera però per le norme che limitano o attenuano la responsabilità ( a favore del reo). Tale possibilità però è limitato dal fatto che la norma di favore non deve ricomprendere il caso in esame, la lacuna non deve essere voluta dal legislatore e la norma non deve avere carattere eccezionale. In virtù di quest’ultimo punto, infatti, non può essere adottata l’analogia per i casi di non imputabilità in quanto trattasi di norme eccezionali (es: immunità dell’ambasciatore ecc). Altresì alle norme sulle circostanze attenuanti non può essere applicata l’analogia perché il legislatore ha voluto prevedere SOLO quelle circostanze.
PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA
Esprime l’esigenza che le norme penali descrivano fattispecie di reato che possano essere accertate e provate nel processo. In merito è stato dichiarato illegittimo il reato di plagio perché non sono empiricamente verificabili le attività che porterebbero una persona in stato di totale soggezione.
PRINCIPIO DI LEGALITA’ NELLE PENE E NELLE MISURE DI SICUREZZA Il principio di legalità investe non solo la norma incriminatrice ma, a maggior ragione, sia le pene che le misure si sicurezza. La legge deve prevedere oltre che la determinazione della fattispecie di reato anche il tipo di sanzione, i contenuti e la misura previsti per quella singola fattispecie. Questo vincola il legislatore in una previsione legislativa precisa e vincola il giudice nel suo operato. La previsione delle pene applicabili spetta sia alla singola norma incriminatrice, sia attraverso clausole generali ( vedi possibilità per il giudice di sostituire, in alcuni casi, pene detentive con semi detenzione, libertà vigilata o pena pecuniaria sostitutiva). La legge deve anche definire il contenuto stesso della pena, a questo pro, si solleva qualche dubbio alla previsione della pena dell’affidamento in prova ai servizi sociali. La norma nulla detta in merito al contenuto di tale “prova”, contenuto che quindi resta a discrezionalità del giudice. Anche la misura deve essere dettata dalla legge, che deve prevedere un minimo ed un massimo di pena applicabile per quella fattispecie. Entro tali limiti è compito del giudice individuare la giusta commisurazione in funzione del reo e della gravità del reato commesso (secondo i criteri
dell’Art. 133 c.p.), sempre tenendo in primo piano la funzione primaria (costituzionalmente sancita) di rieducazione del reo; dovrà quindi scegliere la pena che maggiormente potrà aiutare il reo a rieducarsi e reinserirsi nella società civile. Stesso dicasi per le misure di sicurezza, le quali, non possono essere applicate se non previste dalla legge e comunque non in forma e in misura diversa da quelle stabilite dalla legge. I presupposti per la loro applicabilità sono due: •
Commissione di un fatto previsto dalla legge come reato o, in via eccezionale di un quasi reato (reato impossibile, accordo per un delitto poi non commesso, istigazione a delitto accolta ma non attuata ecc.)
•
La pericolosità sociale del reo. E su questo punto si apre un dibattito infinito. Secondo la legge attuale l’accertamento della pericolosità del reo non è definito dalla legge ma spetta al giudice, si viola quindi il principio di precisione e si espone il soggetto all’arbitrio del giudice. Si sottolinea anche il fatto che, per la scienza criminologica, non esistano leggi scientifiche che permettano di affermare concretamente la pericolosità del reo.
Altro problema è il fatto che la legge spesso non indichi la specie della misura di sicurezza e non indichi neppure in contenuti precisi di una determinata misura di sicurezza. Il dibattito si inasprisce ancor di più quando si nota che la legge tollera misure di sicurezza indeterminate nel loro massimo oltre che la mancanza di criteri precisi per il riesame della pericolosità del reo in previsione della scadenza della misura di sicurezza precedentemente inflitta. L’INTERPRETAZIONE DEL DIRITTO PENALE Come tutte le leggi, anche per quelle penali, si rende necessario a chiunque ne analizzi il disposto, un’interpretazione al fine della sua applicazione. Ribadendo il principio del divieto di analogia (tassatività), analizziamo in sintesi i tipi di interpretazione da utilizzare: LETTERALE
è necessario individuare i possibili significati letterali della legge, abbracciandone in via estensiva solo tutte le fattispecie riconducibili alla lettera del disposto. Per fare ciò è necessario attingere a diversi linguaggi: •
Il linguaggio comune – legato al significato che comunemente è attribuito a quel termine (violenza = lesione o imminente pericolo di lesione.)
•
Il linguaggio giuridico – in relazione al significato attribuito a determinati concetti da altri rami di legislazione che già disciplinano i fatti da cui deriva un reato (furto = definire come civilmente si considera l’acquisto della proprietà.)
SISTEMATICA
•
Il linguaggio economico
•
Il linguaggio medico e biologico
fatta in riferimento ad altre norme che disciplinano fattispecie pressoché simili permettendo le dovute distinzioni (confine tra percosse e lesioni personali.)
A FORTIORI
ossia a maggior ragione; in caso di dubbi interpretativi (la previsione di non punibilità per gli atti preparatori di un delitto compiuti da più persone, a maggior ragione, esclude la punibilità di quelli compiuti da un singolo.)
CONFORME ALLA COSTITUZIONE
l’interpretazione letterale è limite esterno, oltre il quale in giudice non può andare, deve però utilizzare “criteri interni” per analizzare i fatti, attenendosi ai principi di: •
Offensività
•
Colpevolezza
•
Precisione (questo vieta al giudice di adottare interpretazioni compatibili alla lettera ma che determinerebbero contorni imprecisi al divieto.)
CONFORME ALLA NORMATIVA UE
nel caso in cui la norma penale italiana da attuazione ad una norma UE, è fatto obbligo al giudice di attribuire al disposto il significato letterale della legge italiana più conforme alle pretese della norma UE.
LIMITI ALL’APPLICABILITA’ DELLA LEGGE PENALE LIMITI TEMPORALI
Innanzitutto è doveroso identificare quale sia il “tempo” della commissione di reato. Per i reati commissivi si intende il tempo in cui il fatto, o l’ultima azione prevista dalla norma penale, sia stata commessa. Per i reati omissivi si considera il tempo in cui quella data azione avrebbe dovuto essere compiuta. Nei reati permanenti (es: sequestro di persona) ed i reati abituali (es: maltrattamenti in famiglia), si considera il tempo in cui il soggetto compie l’ultimo atto con cui mantiene il comportamento antigiuridico. IRRETROATTIVITA’ DELLE LEGGI SFAVOREVOLI AL REO E’ fatto divieto per il legislatore e per il giudice di applicare retroattivamente una legge penale sfavorevole al reo. La legge si intende sfavorevole nel momento in cui estenda una fattispecie di reato, ne crei una nuova; in relazione a pena principale e/o accessoria, ne aggravi il tipo, la commisurazione e/o gli effetti. Per quanto riguarda le misure di sicurezza, tale divieto è limitato unicamente ai casi in cui al momento dei fatti, tali fatti non avevano rilevanza penale. Se al momento della commissione, quel fatto era considerato reato ma non era prevista misura di sicurezza o era prevista in misura più lieve, la nuova misura di sicurezza deve essere applicata retroattivamente. RETROATTIVITA’ DELLE LEGGI FAVOREVOLI AL REO
ABOLIZIONE DEL REATO Nel caso una fattispecie di reato venisse abolita (in tutto o in parte), la nuova legge si applica retroattivamente travolgendo anche il giudicato. Non è più incriminabile l’imputato e, nel caso di sentenza passata in giudicato, ne cadono
gli effetti (fatti salvi eventuali misure di sicurezza adottate come la confisca che permane) e il condannato è rilasciato. RETROATTIVITA’ ILLIMITATA
SUCCESSIONE DI LEGGI PIU’ FAVOREVOLI AL REO MODIFICA DELLA DISCIPLINA Nel caso di una legge successiva più favorevole al reo, si applica la nuova legge retroattivamente tranne nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (passata in giudicato) RETROATTIVITA’ LIMITATA. Nel caso in cui tale modifica sostituisca la previsione della pena detentiva SOLO con una pena pecuniaria, la pena detentiva si commuta immediatamente in pena pecuniaria anche in presenza di sentenza passata in giudicato RETROATTIVITA’ ILLIMITATA. Il principio di retroattività delle leggi favorevoli al reo NON si applica alle leggi speciali e temporanee. DECRETO LEGGE DECADUTO Come già detto la riserva di legge formale non ammetterebbe il d.l. quale fonte di norme penali, ciò nonostante la pratica è ben diversa. Occorre quindi valutare gli effetti derivanti da un d.l. non convertito in legge.
COMMISSIONE DEL FATTO PRIMA DELL’EMANAZIONE DEL D.L. Che il contenuto risulti favorevole o sfavorevole al reo, tale d.l. NON SI APPLICA.
COMMISSIONE DEL FATTO DOPO L’EMANAZIONE E PRIMA DELLA DECADENZA Se il fatto è stato compiuto nei 60gg che intercorrono tra l’emanazione e la decadenza o la non conversione è necessario distinguere se il contenuto fosse a favore o a sfavore del reo: A FAVORE Si applica il contenuto del d.l. perché al momento dei fatti rappresentava un trattamento più favorevole che in seguito alla decadenza (a posteriori dei fatti) si aggraverebbe confliggendo con il divieto di irretroattività per le leggi sfavorevoli. A SFAVORE Non si applica il contenuto del d.l. DECRETO LEGGE CONVERTITO
FATTI COMMESSI PRIMA DELL’EMANAZIONE A FAVORE Se il d.l. è stato emanato dopo la commissione dei fatti si applica retroattivamente in quanto più favorevole. A SFAVORE Non si applica perché violerebbe il principio di irretroattività.
FATTI COMMESSI TRA L’EMANAZIONE E LA CONVERSIONE IN LEGGE A FAVORE Si applica il d.l. convertito
A SFAVORE Si applica il d.l. perché al momento dei fatti la disciplina di quella fattispecie di reato era disciplinata allo stesso modo dal d.l. poi convertito in legge.
DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE Un’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge avrebbe effetti dal giorno di pubblicazione della sentenza di incostituzionalità. Da quel giorno tutti gli imputati per quella norma devono essere rilasciati, e, nel caso di sentenza irrevocabile, la sentenza deve essere revocata e ne cadono tutti gli effetti. La Corte Costituzionale potrebbe esprimere anche un giudizio di illegittimità in merito a norme sulle cause di giustificazione. Qualora sia dichiarata illegittima una norma penale di favore per fatti commessi prima della dichiarazione, al reo continuerà ad essere applicata la norma favorevole. La disciplina più sfavorevole si applicherà a tutti i fatti commessi a partire dal giorno successivo alla pubblicazione.
LIMITI SPAZIALI
La legge penale italiana si applica a tutti i fatti da essa previsti come reato DOVUNQUE, DA CHIUNQUE, CONTRO CHIUNQUE, ad eccezione di una ristretta gamma di reati di limitata gravità. REATI COMMESSI NEL TERRITORIO DELLO STATO Si considera commesso nel territorio dello stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è avvenuta in tutto o in parte all’interno del territorio italiano; inoltre quando l’evento che è conseguenza dell’azione o omissione è avvenuto all’interno del territorio dello stato. es. incidente in Francia, il ferito viene ricoverato in ospedale a Torino e qui muore. IL CONCETTO DI TERRITORIO Si considera territorio dello stato il suolo, il sottosuolo, lo spazio marino entro le 12 miglia dalla costa ed tutto lo spazio aereo sovrastante entro il limite atmosferico, le navi e gli aeromobili italiani ovunque si trovino ad eccezione del caso in cui il diritto internazionale disponga la soggezione ad una legge straniera. E’ il caso di un delitto avvenuto a bordo di una nave italiana in territorio es americano. Si applicherà la legge statunitense qualora l’omicidio non riguardi l’equipaggio, sia stato richiesto l’intervento delle forze locali o turbi la tranquillità dello stato americano. Per converso vale l’opposto per una nave americana in acque italiane. REATI COMMESSI ALL’ESTERO Sono puniti incondizionatamente con la legge italiana tutti i reati commessi all’estero da cittadini italiani o stranieri. •
Contro la personalità dello stato
•
Di falsità di monete aventi corso legale nel territorio dello stato o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano
di contraffazione del sigillo di stato e del suo uso
•
Commessi dai pubblici ufficiali a servizio dello stato con abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni
ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convezioni internazionali dispongano
l’applicabilità della legge italiana. I delitti politici ( che offendono un interesse politico dello stato o di un cittadino) o soggettivamente politici (delitto comune determinato anche solo in parte da motivi politici) commessi da cittadini italiani o stranieri, sono puniti con legge italiana a condizione che: * vi sia richiesta del Ministero di Giustizia
* vi sia anche la querela, se si tratta di delitti perseguibili a querela.
DELITTI COMUNI Cittadini italiani Sono puniti con legge italiana a condizione che: •
Sia prevista la reclusione
•
A seconda della gravità del reato: la presenza del soggetto nel territorio dello stato, Vi sia richiesta del Ministro della Giustizia, istanza o querela di parte, estradizione non concessa dallo stato italiano o non accettata dallo stato estero.
•
Sussista la doppia incriminazione (il fatto rappresenti reato anche nello stato estero.)
Cittadini stranieri Sono puniti con legge italiana a condizione che: •
Per essi sia prevista la reclusione non inferiore nel minimo di un anno.
•
A seconda della gravità del reato: la presenza del soggetto nel territorio dello stato, la richiesta del Ministro della Giustizia, istanza o querela di parte, estradizione non concessa dallo stato italiano o non accettata dallo stato estero.
•
Sussista la doppia incriminazione
RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE PENALI STRANIERE In generale, il cittadino già giudicato in uno stato estero, può essere nuovamente giudicato in Italia secondo i limiti sopra esposti. Nella prassi, nel diritto Europeo, questo concetto sta evolvendo in senso opposto per mezzo di svariate convenzioni tra cui il trattato di Schengen. Di fatto ad oggi, secondo il codice penale vigente, le sentenze penali straniere sono assolutamente irrilevanti, il loro riconoscimento è circoscritto ad aspetti secondari. •
Stabilire la recidiva o altro effetto della condanna (esclusione dalla sospensione condizionale.)
•
Dichiarare l’abitualità, la professionalità o la tendenza a delinquere.
•
Applicare pene accessorie o misure di sicurezza personali.
E’ possibile anche il riconoscimento di altri effetti civili quali ad esempio il risarcimento del danno. Come detto la tendenza è di evoluzione verso un graduale riconoscimento delle sentenze penali straniere tanto che oggi è possibile dare esecuzione in Italia alle pene principali inflitte da giudice estero anche quando iniziate all’estero per poi trasferire il detenuto in Italia per proseguire la condanna. Tali sentenze sono valide anche ai fini della confisca dei beni del condannato che si trovino in Italia e che siano beni confiscabili secondo il diritto italiano. Il nostro sistema però pone alcune condizioni:
•
La doppia incriminazione e che il reato in Italia sia previsto come delitto.
•
Deve esistere un trattato di estradizione con il paese estero o, in mancanza, necessita la richiesta del Ministro della Giustizia.
ESTRADIZIONE E’ il procedimento attraverso il quale uno stato consegna ad un altro una persona affinché venga sottoposta a giudizio o all’esecuzione di una pena. L’estradizione è regola da varie fonti, in primis il diritto internazionale generale e le convenzioni internazionali. Al diritto interno resta solo competenza residuale e comunque non in contrasto con norme internazionali. Esistono però limiti costituzionali per cui l’Italia non può concedere l’estradizione se non espressamente previsto da convenzioni internazionali. Condizione necessaria resta la doppia incriminazione, sia dal punto di vista dei fatti che della colpevolezza ma anche dell’imputabilità. E’ vietata anche la sottoposizione della persona, da parte dello stato che ottiene l’estradizione, a restrizione delle libertà personali per fatti diversi e anteriori a quelli per cui è stata richiesta ed ottenuta l’estradizione. Non è possibile concederla anche nel caso in cui per la stessa persona è in corso un procedimento penale in Italia o sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. E’ vietata anche l’estradizione per reati politici ma, l’evoluzione dei fatti ha portato, ad oggi, alla possibilità di estradizione per diversi reati politici (genocidio, terrorismo ecc). Restano però per i reati politici alcuni limiti all’estradabilità: 1) La mancata ratifica dell’Italia alla convenzione di Dublino 2) nel caso in cui vi sia il timore di atti persecutori nei confronti del soggetto da parte dello stato richiedente. Resta, inoltre, il divieto di estradizione per i reati per i quali l’ordinamento dello stato straniero richiedente preveda la pena di morte.
LIMITI PERSONALI Il limite personale all’applicabilità del diritto penale italiano è rappresentato dall’IMMUNITA’. Trattasi di un’eccezionale sottrazione di alcuni individui all’applicabilità o alla processabilità secondo il diritto penale italiano per effetto di norme di diritto pubblico interno o internazionale. Si dividono sostanzialmente in immunità
•
Di diritto sostanziale – comporta l’inapplicabilità delle norme di diritto penale ed in alcuni casi anche di diritto extrapenale (civile, amministrativo ecc) Esempi: il Presidente della Repubblica, i parlamentari, gli ambasciatori ecc.
•
Di diritto processuale – comporta la non procedibilità, non è quindi possibile attivare un procedimento giudiziario penale ed in alcuni casi anche extrapenale.
•
Funzionale – opera solo per i reati commessi strettamente nell’esercizio delle funzioni da cui deriva l’immunità.
•
Extrafunzionale – è di più ampia portata perché opera per tutti i reati commessi anche al di fuori dell’esercizio delle rispettive funzioni da cui deriva l’immunità.
Ad esempio il PdR gode di un’immunità funzionale sostanziale limitata, infatti, non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni tranne per alto tradimento ed attentato alla costituzione. Quindi non si applicano le norme penali solo per i reati commessi nell’esercizio della carica di PdR, si applicano però nei casi di altro tradimento e attentato alla costituzione (anche nell’esercizio delle sue funzioni); per questi reati la giurisdizione è di competenza della Corte Costituzionale. Il PdR è altresì perseguibile per i reati commessi al di fuori dell’esercizio della sua carica per cui è competente la giurisdizione ordinaria, quindi se rubasse un’automobile durante il suo tempo libero sarebbe perseguibile dall’autorità giudiziaria ordinaria.
Vi sono norme di diritto interno che individuano i soggetti beneficiari di queste immunità (PdR, parlamentari, consiglieri regionali ecc) e vi sono anche norme di diritto internazionale che individuano altri soggetti quali ad esempio i Capi di Stato, il Pontefice, i membri di governi stranieri componenti missioni speciali sul nostro territorio, gli agenti diplomatici stranieri, funzionari ed impiegati consolari, i membri del parlamento Europeo ecc..
DIRITTO PENALE INTERNAZIONALE. Sebbene sia da escludere una personalità giuridica degli individui a livello internazionale, la prassi rappresenta, invece, l’esatto contrario. Esistono, di fatto, norme penali internazionali che vincolano gli individui senza necessità della mediazione (ratifica e recepimento) del diritto interno. Si tratta di norme per lo più riferite a gravi crimini internazionali quali crimini di guerra, contro l’umanità, genocidio e aggressione. La nascita di questo diritto penale internazionale fa sostanzialmente nascere il riconoscimento del singolo individuo quale soggetto internazionale di diritto. Attraverso gli anni, partendo dagli eventi immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale, si è arrivati oggi alla costituzione della Corte Penale Internazionale, primo organismo giurisdizionale sovrastatuale permanente con competenza sui crimini più gravi.
IL REATO Si considera REATO qualunque fatto a cui la legge ricollega una pena. Per pena si intendono solamente le pene principali quindi: ARRESTO
ERGASTOLO
RECLUSIONE
MULTA AMMENDA
Di sola competenza del giudice di pace sono la PERMANENZA DOMICILIARE.
LAVORI DI PUBBLICA UTILITA’.
Pene sostitutive ed accessorie non determinano fattispecie di reato perché intervengono qualora un fatto sia stato già identificato come reato e quindi è già prevista una pena principale a cui può esserne aggiunta un’altra (accessorie) o che può essere sostituita con un’altra (sostitutive.) La distinzione dei reati tra DELITTI e CONTRAVVENZIONI avviene per mezzo del tipo di pena principale prevista.
DELITTI prevedono come pena principale: ERGASTOLO, RECLUSIONE, MULTA
CONTRAVVENZIONI prevedono come pena principale. ARRESTO, AMMENDA Sebbene debba esservi una diversa disciplina tra arresto e reclusione, multa e ammenda, nella realtà le differenze in questo senso sono limitate: ad esempio nei diversi termini minimi e massimi previsti per arresto e reclusione, mentre per multa e ammenda si tratta pur sempre di una somma di denaro da pagare allo Stato. Ci sono però elementi sostanziali che caratterizzano la differenza tra delitti e contravvenzioni: ELEMENTO SOGGETTIVO in linea di massima il DOLO è l’elemento necessario a configurare un delitto, eccetto i casi in cui la legge espressamente dia rilevanza a preterintenzionalità e colpa. Le contravvenzioni possono essere configurate, invece, sia per dolo che per colpa.
IL TENTATIVO configura unicamente il delitto perché presuppone la volontarietà assoluta dell’azione. LA RECIDIVA si configura solo per i delitti. Non è attuabile per le contravvenzioni, quindi chi commette più contravvenzioni non può essere considerato recidivo, così come chi commette un delitto e poi una o più contravvenzioni. Un fatto sanzionato come illecito civile non è detto che rivesta rilevanza penale, solo se per lo stesso fatto è prevista una pena, allora rivestirà anche rilevanza penale. Lo stesso rapporto si ha con gli illeciti amministrativi. Qualora la sanzione prevista per tale illecito non sia una pena ma bensì una sanzione amministrativa, non si configura fattispecie di reato. Le sanzioni amministrative possono essere di vario genere, dall’interdizione alla sanzione amministrativa pecuniaria che nella sostanza è identica alla multa o all’ammenda, a causa però della diversa e sostanziale denominazione non può delineare fattispecie di reato per i fatti che ne hanno determinato la comminazione.
ILLECITO AMMINISTRATIVO Questa tipologia di illecito si muove in modo facilmente confondibile con il diritto penale, in primo luogo perché reprime offese a beni giuridici in funzione degli stessi criteri di proporzione e sussidiarietà del diritto penale tanto che spesso la declassificazione ad illecito amministrativo (per mezzo della modifica della previsione di legge da pene in sanzioni amministrative)è stata usata come forma di depenalizzazione di fattispecie prima previste appunto come reato. In secondo luogo perché l’illecito amministrativo è l’unica arma nelle mani del legislatore regionale per la tutela di beni giuridici essendo la materia penale coperta da legislazione esclusiva dello Stato. La previsione dell’illecito amministrativo distoglie anche processualmente i casi dalla giurisdizione penale, la quale, conosce l’illecito solo a causa di una connessione obiettiva con un reato, è il tipico caso della violazione di norma di legge nel procedimento della PA (abuso di potere – illecito amministrativo) in connessione diretta con il perseguimento di interessi personali da parte del funzionario pubblico che riceve somme di denaro al fine di agevolare/ostacolare in qualche modo dei procedimenti (corruzione/concussione). Di portata ben più ampia è l’aspetto legato alla responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche.
RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DA REATO DELLE PERSONE GIURIDICHE Ribaltando un concetto che si riteneva assodato, si è andata affermando la responsabilità penale, autonoma delle società rispetto a quella delle persone fisiche che agiscono per la società stessa. Si configura quindi una responsabilità dell’ente per i reati commessi da soggetti che ricoprono ruoli apicali o soggetti all’altrui direzione. Nella sostanza si tratta di responsabilità amministrativa. Lo si evince dalla mancanza di previsione di pene quali appunto ergastolo, reclusione, arresto, multa o ammenda. In fatti sono previste solo sanzioni amministrative e amministrative pecuniarie la cui funzione deterrente è discussa, al di fuori della previsione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività di impresa prevista per i casi in cui l’azienda o una sua unità sono stabilmente utilizzate al fine unico o prevalente di compiere o agevolare reati.
I REATI ASCRIVIBILI ALL’ENTE Il documento su cui si fonda questa previsione è il d.lgs. 8 giugno 2001n°231. Questo documento riguarda una serie di delitti: CONTRO LA PA
FALSITA’ IN MONETE
FEMMINILI
FINALITA’ TERRORISTICHE MUTILAZIONE DI ORGANI GENITALI
SCHIAVITU’ PROSTITUZIONE E PORNOGRAFIA MINORILE
CRIMINALITA’ ORGANIZZATA
REATI SOCIETARI
REATI TRANSNAZIONALI DI
ABUSI DI MERCATO
CRITERI DI ATTRIBUZIONE Innanzitutto il primo criterio è che il reato deve essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, è quindi inapplicabile qualora i soggetti abbiano commesso il reato per propri interessi o a vantaggio di terzi. Il secondo criterio è la responsabilità per reati commessi sia da soggetti in posizione apicale, sia da soggetti sottoposti all’altrui direzione. Si vuol colpire in sostanza il difetto di organizzazione, la mancanza di adeguati controlli o il mancato affidamento di tali controlli ad un organismo autonomo dell’ente.
REGIME PROBATORIO E’in campo probatorio che si evincono le differenze tra posizioni apicali e “subordinate”. Se il reato è stato commesso da soggetto sottoposto all’altrui controllo l’onere della prova spetta all’accusa che, in presenza di dubbio, non può perseguire l’ente. Ben diversa è l’ipotesi che il reato sia stato commesso da soggetti che rivestono posizione apicale nell’ente: spetta all’ente provare l’assenza di una colpa di organizzazione dell’ente stesso, in caso di dubbio, l’ente sarà comunque perseguito. A tale pro resta quanto meno dubbia la reale possibilità di liberazione dell’ente. Tale possibilità è prevista solo quando il soggetto ha fraudolentemente aggirato i modelli organizzativi di gestione dell’ente. Ma se tale soggetto riveste un ruolo tanto apicale da potersi immedesimare nell’espressione della volontà dell’azienda risulterebbe comunque impossibile respingere l’accusa. COLPA COME DISCRIMINANTE. L’unica discriminante quindi prevista per l’attribuzione all’ente è la colpa. Il dolo è semmai un aggravante che porterebbe ad un inasprimento delle sanzioni amministrative fino al discioglimento dell’ente per interdizione definitiva dall’attività dell’ente. SANZIONI Le sanzioni amministrative possono essere sanzioni pecuniarie, interdittive temporanee, interdittive definitive, confisca del prezzo o del profitto del reato, pubblicazione della sentenza. PRESCRIZIONE L’illecito dell’ente si prescrive in 5 anni come per gli illeciti civili.
STRUTTURA DEL REATO La dottrina ha identificato uno schema generale che pare compatibile con qualsiasi tipo di reato. All’interno identifica 3 elementi (4 secondo Marinucci.) 1.
IL FATTO TIPICO DI REATO
Il fatto lo capiamo dalla lettura del testo della norma incriminatrice. Rappresenta un fatto astratto tipico, è la cd FATTISPECIE DI REATO. Il diritto penale oltre a proteggere beni giuridici, ha in seconda battuta una funzione di garanzia nei confronti dei cittadini. Leggendo le norme i cittadini sanno cosa è lecito e cosa è illecito. E’ quindi necessario che la norma sia scritta in modo chiaro e preciso. Per poter ritenere un fatto come rispondente a reato è necessaria la presenza di questi fattori: §
CONDOTTA
un comportamento umano, un’azione
od omissione §
EVENTO
alcuni reati richiedono un risultato finale in
conseguenza ad una condotta. Ad esempio la truffa: a seguito di raggiri, l’evento è l’errore del raggirato con arricchimento indebito del truffatore. Se l’evento non si realizza, il reato è solo tentato. §
RAPPORTO DI CAUSALITA’ se il reato è descritto come reato di evento è necessario che l’evento si realizzi e che sia conseguenza diretta del fatto previsto come reato. Se il truffato era già stato indotto in errore prima dei miei raggiri (comunque compiuti) non si configura il rapporto di causalità, l’errore del truffato è dovuto ad altri fatti estranei alla mia condotta.
§
OFFESA
deve avvenire un’offesa ad un bene giuridico.
Offesa che può essere lesione o, in alcuni casi, anche pericolo di lesione. La previsione del “pericolo di lesione” deve essere esplicita o deve potersi evincere chiaramente dalla norma. Es: associazione a delinquere – non è necessario il compimento di reati, è sufficiente l’associazione finalizzata al compimento di reati. Si vuol punire il pericolo di lesione dell’ordine pubblico. Il bene protetto dalla norma si può evincere oltre che dal testo della norma, anche dal titolo del cp in cui è inserita. Nel caso in esempio è inserita nel titolo dei reati contro l’ordine pubblico. L’offesa è condizione fondamentale per configurarsi un reato (ricorda esempio dell’apologia di reato.)
2.
ANTIGIURIDICITA’
E’ una formulazione di mera estrazione dottrinale. Viene riempita di significato con il collegamento a cause di giustificazione. Il fatto è antigiuridico solo se compiuto in assenza di cause di giustificazione, le quali sono situazioni, in presenza delle quali, la commissione di un “fatto tipico” non rappresenta reato; in questo caso è lecito o giustificato. Le norme di giustificazione si applicano anche per analogia (artt. 50>55 cp.)
3.
COLPEVOLEZZA
Se tutti gli altri elementi del reato sono di tipo oggettivo, questo elemento è di tipo soggettivo. Consiste nel giudizio di responsabilità del soggetto che ha commesso il reato volontariamente o per imprudenza. I requisiti che concorrono alla formazione della colpevolezza sono:
§
Imputabilità del soggetto (capacità di intendere e di volere)
§
Dolo colpa o preterintenzione (il dolo è rappresentazione e volizione di tutti gli estremi del fatto antigiuridico; la colpa consiste nella negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di norme giuridiche preventive.)
§
Assenza di scusanti (vedi norme giustificatrici.)
§
Conoscibilità della norma penale (il soggetto doveva conoscere o almeno poter conoscere il divieto imposto dalla norma penale utilizzando la normale diligenza.)
Anche questo, come l’antigiuridicità è di estrazione dottrinale, va rilevato, però, che ci sono norme che disciplinano dolo colpa e preterintenzione (artt. 42-43 cp). Il contenuto principale è la RIMPROVERABILITA’ è necessario poter rimproverare al soggetto di aver agito contro legge in modo doloso, colposo o imprudente. Nel cp esistono solo un numero limitatissimo di “responsabilità oggettive”. 4.
PUNIBILITA’
Il fatto tipico, antigiuridico e colpevole deve essere anche punibile, ossia realizzato in assenza di casi di esclusione della punibilità oppure in assenza di prescrizione. La punibilità è prevista ad esempio in caso di flagranza di reato, dichiarazione di fallimento nel caso di bancarotta ecc. altre, invece, escludono la punibilità Es: indulto, amnistia e prescrizione. Permettono di non scontare la pena o di sospenderne l’esecuzione.
Nell’analizzare una norma incriminatrice si deve sempre partire dall’individuazione del soggetto che può compiere il reato. Ci sono casi di norme che configurano i cd reati propri, reati che possono essere commessi solo da specifiche categorie di persone; ad esempio la previsione che “l’imprenditore che compie atti……” la norma stessa identifica quali tipi di soggetti possono vedersi attribuire quel tipo di reato. Le altre norme che si rivolgono a tutti
“chiunque cagioni un danno……” configurano i cd reati comuni. In questo caso, però, non è detto che una formulazione generica non configuri un reato proprio, infatti, la previsione che “chiunque compia raggiri verso la compagnia assicuratrice al fine di….” Prevede un reato proprio, solo un assicurato può vedersi attribuire il tipo di reato in questione. IL
metodo vincolante è quindi: 1 Individuare se al soggetto possa essere attribuito un reato. 2 individuare se il fatto sussiste (analizzando tutti i suoi elementi.) 3 verificarne l’antigiuridicità 4 verificare la colpevolezza del soggetto 5 verificarne la punibilità.
IL FATTO TIPICO DI REATO Il fatto consiste nella fattispecie oggettiva prevista dalla norma incriminatrice. Condotta, talvolta evento, descritti dalla norma, la cui presenza è condizione necessaria per la configurabilità del reato. Il fatto è a sua volta costituito da diversi elementi quali: condotta tipica, evento e offesa.
§
CONDOTTA TIPICA
Bisogna innanzitutto distinguere tra condotta attiva (azione) e condotta omissiva (omissione). La maggior parte dei reati è a condotta commissiva, condotta che prevede un’azione corporea comunque sia prodotta (movimento di un braccio, delle corde vocali x la voce ecc.). Alcuni reati sono a condotta vincolata, ossia si realizzano mediante una specifica modalità (es: truffa = indebito profitto mediante raggiri). Altri reati sono a condotta libera, la definizione è più generica e colpisce qualsiasi modalità di condotta (es: omicidio = colpito qualsiasi modo di procurare la morte). E’ necessario, per la configurazione di reato, che la condotta posta in essere sia identica a quella “tipica” prevista dalla norma incriminatrice. Condotte diverse si definiscono “atipiche” e non configurano il reato.
Facciamo degli esempi che ci serviranno per capire gli spetti che più sotto andiamo ad analizzare: -
Cooperativa di operai su un cantiere, un operaio che lavora su impalcatura viene sbalzato via da tromba d’aria, cade su un’altra persona uccidendola.
-
Madre che dorme nel letto col figlio piccolo e nel sonno gli si posiziona sopra soffocandolo.
-
Pneumatico che esplode facendo sbandare l’auto che finisce contro un albero producendo lesioni gravi al trasportato. Tra i vari requisiti per la configurazione del reato l’Art. 42 cp. Prevede che nessuno è punibile per un fatto se non è compiuto con coscienza o volontà. COSCIENZA il soggetto deve, al momento del compimento del fatto, avere la capacità di rappresentarsi e di capire cosa sta accadendo. Stati di incoscienza sono SONNO, SONNAMBULISMO,
DELIRIO PROVOCATO DA MALATTIA, MALORE IMPROVVISO, IPNOSI. In presenza di stati di incoscienza, il soggetto che ha compiuto il reato non è teoricamente perseguibile. Subentrano, però, altri fattori che risolvono in maniera diversa fatti o condotte atipiche. Ad esempio l’Art. 43 cp. Disciplina dolo e COLPA, in questo caso la madre del caso su riportato sebbene abbia agito in stato di incoscienza, è colpevole della morte del figlio perché, quando era cosciente, ha deciso di dormire con il figlio nel letto e la normale diligenza doveva permettere di prevedere la pericolosità della sua scelta. VOLONTARIETA’ solo atti compiuti in modo volontario sono perseguibili, rientrano in questi casi anche atti abituali (gettar via la sigaretta finita) ed impulsivi (protendere in avanti le mani quando si cade), con “volontari” si intendono tutti quegli atti che il soggetto avrebbe potuto evitare con uno sforzo della psiche. Restano esclusi, e quindi si considerano involontari, gli atti riflessi (es. puntura di vespa su un braccio), questi atti sono compiuti in modo involontario per reazione automatica del corpo in seguito ad altri avvenimenti. Ci sono anche i casi previsti dagli artt. 45, 46 cp che introducono i concetti di forza maggiore, caso fortuito e costrizione fisica. FORZA MAGGIORE non è punibile chi commette un fatto per cause di forza maggiore. Ci si riferisce a fatti causati da fattori della natura esterni alla volontà dell’uomo. In questi casi è come se il soggetto fosse “agito” dalla natura stessa. È il caso proposto sopra della tromba d’aria, la condotta è atipica perché l’operaio è stato sbalzato via da un evento naturale e non perché lo ha voluto lui. Anche in questo caso, però, entra in gioco il fattore colpa, infatti, se non erano state rispettate le norme di sicurezza sul lavoro che prevedevano reti di protezione, l’operaio e gli altri suoi soci sono responsabili. Sono responsabili per l’OMISSIONE dell’apposizione delle prescritte misure di sicurezza. In questo caso la condotta omissiva è tipica e fa ricadere sul soggetto la colpa. COSTRINGIMENTO FISICO non è punibile chi commette il fatto per violenza fisica di altri a cui l’agente non ha potuto sottrarsi. In questo caso la condotta è atipica perché è esclusa dall’art. 46 cp. es. un soggetto prende la mano di un altro facendogli impugnare un’arma e premendo il grilletto uccidendo un terzo. Risponde del reato il COARTATORE (l’aggressore). CASO FORTUITO non è punibile chi compie il fatto per caso fortuito. La norma non dice di più, il fortuito intende un avvenimento imprevedibile, non normalmente immaginabile come conseguenza di un’azione. Si applica sia alla condotta che all’evento. È un istituto poco applicato. Ci sono pochi esempi e rarissimi casi giurisprudenziali. Es: scoppio accidentale di una gomma (in condizioni di normalità sia atmosferiche che di usura della gomma)
con conseguente sbandata e impatto contro un pedone. Nel caso dell’evento può accadere che la condotta sia volontaria ma l’evento imprevedibile es: ferimento volontario di un soggetto che viene trasportato in ospedale, qui scoppia un incendio ed il soggetto viene ustionato. Casi più reali sono quelli degli incidenti stradali causati da lastroni di ghiaccio sul manto stradale non in inverno (sono prevedibili).
§
EVENTO (quando previsto)
Per alcuni reati è necessario che oltre ad una condotta si realizzi un evento. Possiamo distinguere tra reati di mera condotta e reati di condotta che produce un evento. Mera condotta es: evasione, associazione a delinquere. Evento es: reati contro la persona, il patrimonio ecc. in questi reati la realizzazione dell’evento è condizione necessaria per la configurazione del reato consumato (altrimenti, se previsto, si configura il reato tentato). Se il reato è di evento è necessario verificare il rapporto di causalità. L’evento deve essere conseguenza diretta della condotta cosciente e volontaria (o colposa). L’evento è considerato nel suo significato naturalistico, deve poter essere constatabile in natura (la morte lo è, la diminuzione del patrimonio anche). Il concetto di evento in materia penale è estremamente importante. Risulta dispensabile attribuire al termine “evento” il corretto significato. In ambito penale si sono attribuiti diversi significati. Una prima attribuzione nella concezione giuridica del termine è stata quella di Offesa, in tempi più recenti si è attribuito il significato di accadimento naturalistico, la trasformazione della realtà naturalistica. Alla luce, però, dell’uso che ne viene fatto nell’Art. 43 cp con cui si disciplinano dolo e colpa, si evince il suo utilizzo sia per identificare la condotta che l’evento quale conseguenza della condotta, più in generale, si estende a tutto il fatto tipico. La soluzione finale è quella che al termine “evento” deve essere attribuito il significato che si può evincere dall’analisi del contesto normativo in cui il termine è utilizzato: INTERPRETAZIONE CONTESTUALE. RAPPORTO DI CAUSALITA’ assume rilevanza per i reati di evento. E’ l’elemento che congiunge l’evento alla condotta. L’evento finale può essere un evento dannoso (se arreca un danno al bene es: la morte) oppure un evento di pericolo concreto (se mette in pericolo un bene es: incendio di cosa propria quando si sviluppa un fuoco di vaste dimensioni che mette in pericolo l’incolumità pubblica). Art. 40 cp. Nessuno è punibile per un evento che non sia una conseguenza dalla condotta tenuta.
TEORIE DELLA CAUSALITA’ L’articolo 40 non spiega chiaramente come identificare il rapporto di causalità, a questo pro si sono sviluppate diverse teorie della causalità. La prima è la: TEORIA CONDIZIONALISTICA. Condicio sine qua non. Secondo questa teoria un evento è il risultato di una serie di condizioni antecedenti, ma solo alcune di queste risultano significative (causali) per la realizzazione dell’evento. E’ necessario individuare quale/i causa/e siano determinanti, lo si fa con il criterio dell’eliminazione mentale. Per ogni condotta si immagina che non si fosse verificata e ci si chiede se l’evento sarebbe successo ugualmente. Se la risposta è sì, la condizione in esame non ne è la causa. Questa è attuabile a tutti i casi semplici es: sparo – uccisione della persona, ma nei casi più complessi la cosa non è semplice. È necessario che sussistano e si possano applicare “leggi scientifiche” che provino la consequenzialità dell’evento ad una determinata condotta (dallo sparo l’ogiva colpisce il cuore che si lesiona e smette di pulsare causando la morte). Ma pensiamo al caso MACCHIE BLU… un’officina meccanica lavorava alluminio con emissioni gassose nell’aria, dopo un certo periodo e si è registrata la comparsa di macchie blu sulla pelle dei residenti nei paraggi dell’azienda. Si sono dovute analizzare prima tutte le condizioni preesistenti che possono aver determinato l’evento: i permessi forniti dal comune, l’autotrasportatore che ha portato i materiali, i processi di lavorazione, l’emissione dei fumi ecc. e quindi ci si deve chiedere quale di queste ha contribuito in modo determinante? Ma, esistono basi scientifiche che ricolleghino le macchie a tali attività? Di fatto non ci sono. La giurisprudenza ha superato il problema con il criterio della probabilità o sussunzione mediante teorie tecnico scientifiche. La teoria condizionalistica si basa, quindi, su regole scientifiche (leggi universali) che derivano dalle scienze certe, ed in mancanza, si “accontenta” di leggi statistiche che dimostrino che nella maggioranza dei casi, ad una certa condotta, segue l’evento in esame. Nei tribunali, si è affermata non solo la probabilità nella maggioranza dei casi ma anche in presenza di un coefficiente medio-basso dal punto di vista statistico. Questo concetto è emerso in una sez. unite con la sentenza “franzese” del 2002 in cui si è stabilito che il rapporto di causalità è provato anche con coefficienti medio bassi se il giudice ha la probabilità logica (il suo intimo convincimento) dell’esistenza del rapporto di causalità. Ovviamente si utilizza solo qualora manchino spiegazioni alternative al realizzarsi dell’evento. CONCAUSE
Facciamo alcuni esempi per spiegare quanto sotto esposto: 1) spacciatore che vende droga ad un tizio che si è appena disintossicato, il quale assume la droga e muore in quanto il suo fisico non è più abituato alla “normale” dose per un tossico dipendente. Oltre all’elemento spaccio di droga è intervenuta la “non più abitudine” del soggetto ad assumere stupefacenti. La giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate sulla reale possibilità di determinare il rapporto di causalità nel caso in cui più cause concorrano alla realizzazione dell’evento. Quali concause possono interrompere il rapporto di causalità tra condotta ed evento? Questa problematica è affrontata nell’Art. 41 cp con cui si affrontano le concause. Comma1 “Le cause preesistenti, concomitanti o sopravvenute
non escludono il rapporto di causalità tra la condotta e l’evento” Nel nostro caso quindi in riferimento a questo primo comma lo spacciatore è colpevole di omicidio. Comma2 “Le cause sopravvenute da sole sufficienti a causare
l’evento, interrompono il rapporto di causalità”. Quindi cause intervenute dopo la realizzazione della condotta, ancora il nostro spacciatore sarebbe responsabile di omicidio. Il problema di corretta interpretazione di questo comma si presenta alla luce di casi un po’ diversi, in merito al concetto di “sole sufficienti”. Una prima teoria a cui aderisce Marinucci (ma poco seguita) è quella per cui la causa dell’evento deve essere completamente autonomo ed indipendente rispetto alla condotta. Quindi nel caso in cui un amico venisse a trovarmi a casa e io lo avvelenassi, ma prima che il veleno faccia effetto crolli il palazzo uccidendolo: l’azione che ha causato la morte è il crollo del palazzo, io non sono responsabile perché il mio amico si trovava lì per sua libera scelta. Io sarò colpevole solo di tentato omicidio (per il tentato avvelenamento). Ma nel caso in cui io ferisca un soggetto e questo finisca in ospedale per le cure, qui scoppia un incendio e muore, io, secondo questa visione, sarei responsabile perché l’azione incendio non è del tutto indipendente dalla mia azione di ferimento. Il ferito non si trovava lì per sua libera scelta ma perché da me ferito. La seconda teoria, più condivisa è quella che la concausa “da sola sufficiente” risulta essere quella che risulta essere stata imprevedibile, quindi nel caso dell’incendio in ospedale (condizione non certo prevedibile) io non sarei colpevole di omicidio ma solo di tentato omicidio o di lesioni personali (ferimento). La giurisprudenza ha largamente applicato appunto il criterio di imprevedibilità. Lo spacciatore è stato punito per procurata morte a mezzo di altro delitto (lo spaccio). In ambito medico però, la giurisprudenza, ha seguito un diverso approccio: se il mio ferito si fosse rivolto ad un medico cha ha sbagliato diagnosi, commesso un errore nell’intervento chirurgico, o il soggetto avesse rifiutato le cure, con la
sua conseguente morte, io sarei comunque responsabile di omicidio preterintenzionale (volevo ferirlo, non ucciderlo, anche se poi è morto). In questi casi si dice che la concausa non è considerata imprevedibile. TEORIE DELLA CAUSALITA’ A DEGUATA E DELLA CAUSALITA’ UMANA Si tratta di teorie minori che si sono sviluppate quando la teoria condizionalistica non era ancora stata corretta con la sussunzione mediante teorie tecniche scientifiche. La prima ritiene che il rapporto di causalità vada ricercato valutando se l’evento segue normalmente una determinata condotta. Es: io invito mio zio a prendere un aeroplano sperando che cada per potere ereditare il suo patrimonio, lo zio accetta e l’aereo cade con la sua morte. La caduta dell’aereo avviene normalmente come conseguenza ad un invito a volare? No. La valutazione dovendo essere fatta in astratto, non portava a conclusioni del tutto compatibili ad istanze di giustizia. Infatti, se applicata al caso del ferimento gravissimo di un soggetto portato in ospedale in cui avviene il nostro solito incendio che uccide il soggetto, ci chiederemmo “ il ferimento gravissimo è normalmente idoneo a causare la morte?” la risposta è sì e non terremmo conto del fatto che a causare la morte del soggetto non è stato il ferimento ma l’incendio. La seconda teoria ritiene che non tutti gli eventi siano sotto il controllo dell’uomo, eventi eccezionali che non rientrano nella normalità interrompono il rapporto di causalità. Si fanno alcuni esempi quali l’incendio, il fulmine ecc. il confine oltre il quale l’evento non è più imprevedibile è il caso del ferito trasportato in ospedale con l’ambulanza che ha un incidente, si ribalta con la morte del trasportato. Il caso di incidente automobilistico non interrompe il rapporto di causalità perché la sua probabile realizzazione non è un evento remoto.
§
OFFESA
Il principio di offensività è utilizzato come criterio per determinare che un’offesa si sia realizzata. Nonostante in dottrina sia unanime l’idea della necessità dell’offesa per la configurazione di reato, in giurisprudenza non è altrettanto vero, specialmente per i cd “reati di pericolo astratto”. I magistrati si accontentano di verificare unicamente che un comportamento sia stato tenuto e non la sua reale offensività. Un primo schema di norme prevede l’offesa in modo espresso (diffamazione, ingiuria – offesa all’altrui reputazione); un secondo schema di norme prevede solo la messa in pericolo, la potenziale offesa ad un bene giuridico (incendio di cosa propria quando un fuoco di vaste dimensioni metta in pericolo
l’incolumità pubblica); in un terzo schema, l’offesa non emerge dal testo del disposto, è ricavabile in via interpretativa (sono le cd norme a pericolo astratto), ci si deve chiedere quale sia il bene protetto e quale sia l’offesa a quel bene. Nella falsa testimonianza, infatti, nulla è detto in merito (chiunque dinnanzi all’autorità giudiziaria affermi il falso, neghi il vero o tace parte di ciò che sa in merito ai fatti…), si ricava che il bene protetto è “il corretto accertamento della verità” e quindi l’offesa è relativa al solo dolo dell’accertamento. Ad esempio: rapina, un testimone racconta i fatti accaduti ma mente sul motivo per cui si trovava sul posto (es dice x lavoro ma in realtà andava a scommettere di nascosto dalla moglie). Se applicassimo la norma in modo formale, senza guardare all’offensività il testimone che testimonia il falso è colpevole, si configura il reato di falsa testimonianza; se guardiamo all’offensività, invece, ci rendiamo conto che ha mentito su aspetti secondari che non incidono sul corretto accertamento della verità, non si configura quindi il reato in quanto non ha leso o messo in pericolo il bene protetto dalla norma. Questa interpretazione (sul caso specifico è condivisa anche dalla giurisprudenza). Nel caso di accesso abusivo a sistemi informatici, invece, la giurisprudenza ha posizione diversa dalla dottrina. Se in dottrina è necessario che l’intrusione abusiva abbia leso o posto in pericolo un bene giuridico (il patrimonio con la distruzione del sistema o la privacy con l’accesso a dati personali), la giurisprudenza (nei pochi casi trattati) ha ritenuto configurato il reato a prescindere dall’offesa (es: accesso abusivo ad una casella email vuota = nessun dato personale = non lesione privacy > comunque configurato il reato x giurisprudenza.) Sebbene per la dottrina il modello ideale debba ricomprendere sempre il concetto dell’offesa, per la giurisprudenza non è così. A seguito dei vari distinguo sinora fatti (evento – condotta – offesa) possiamo analizzare diversi tipi di reato: Rispetto all’offesa il reato può essere:
DI LESIONE
quando lede, distrugge, deteriora il bene protetto.
DI PERICOLO
quando è punita la semplice messa in pericolo del bene protetto realizzando una protezione anticipata. Il pericolo è la probabilità che una lesione segua ad una certa condotta.
DI PERICOLO CONCRETO
viene incriminata la semplice esposizione a pericolo del bene, il pericolo è esplicitamente previsto dal disposto “se deriva pericolo per….” Occorre in questi casi verificare che il pericolo si sia concretamente realizzato. Es: strage = pericolo di causare molti morti, l’evento morte è solo un’aggravante.
DI PERICOLO ASTRATTO
dalla lettura di queste norme non emerge né il pericolo né l’offesa ad un bene. Si dicono reati di pericolo presunto in cui l’offesa al bene è stata ritenuta comunque presente dal legislatore, liberando il giudice dall’accertamento del pericolo. Si sono sollevati dubbi di costituzionalità di queste norme con la spinta a riformulazioni che integrino la previsione espressa dell’elemento pericolo nel disposto, nel frattempo, la giurisprudenza, in casi clamorosi, ha reinterpretato le norme in cui l’inoffensività era evidentemente immeritevole di essere colpita. È l’esempio della calunnia, della falsa testimonianza ma anche del furto, il furto di un oggetto privo di valore non costituisce reato (es. furto di un chiodo arrugginito), attenzione: privo di valore e non di modesto valore!
Rispetto al soggetto attivo il reato può essere:
REATI COMUNI REATI PROPRI
Già visti, i primi possono essere commessi da chiunque, i secondi solo da determinati soggetti.
MONO SOGGETTIVI
descritti come tali, quindi agente è una persona singola.
PLURI SOGGETTIVI
per la cui realizzazione è necessario l’intervento di più persone.
PLURI SOGGETTIVI PROPRI
quando tutti i soggetti necessari alla configurazione del reato sono puniti (es: rissa, bigamia, associazione a delinquere ecc.)
PLURI SOGGETTIVI IMPROPRI
quando necessitano più soggetti per la configurazione ma solo uno di essi è punito. Si punisce il soggetto la cui condotta è considerata di maggior disvalore (es: reato di usura, c’è l’usuraio e l’usurato, entrambi sono necessari alla configurazione del reato ma solo l’usuraio è punito, stesso dicasi per il reato di millantato credito: c’è il millantatore ed il privato che paga per ottenere con il suo tramite un’agevolazione in un atto ad opera di un funzionario pubblico, solo il millantatore è punito).
Rispetto alla condotta il reato può essere: OMISSIVO COMMISSIVO
li abbiamo già visti
REATI ISTANTANEI
sono quei reati in cui l’offesa al bene giuridico si realizza con un semplice atto, in modo immediato.
REATI PERMANENTI
sono quei reati in cui l’offesa al bene giuridico perdura per un certo lasso di tempo e questo perdurare deve sussistere. La condotta deve avvenire in modo volontario ad opera dell’agente che mantiene per un certo periodo il bene in situazione di offesa, prima che si realizzi una durata minima si configura il solo tentativo. È importantissimo distinguere tra reati istantanei e permanenti per determinare il tempo della commissione da cui derivano termini di prescrizione e legge applicabile.
REATI ABITUALI
Sono quei reati che prevedono una necessaria ripetizione di una certa condotta.
REATI ABITUALI PROPRI
Sono quei reati per cui i comportamenti ripetuti non sono di persè reato ma la loro “sommatoria” lo costituisce es: molestie = seguire, telefonare ripetutamente, inviare regali non graditi ecc.
REATI ABITUALI IMPROPRI
Sono quei reati per cui un singolo comportamento rappresenta di persé reato es: relazione incestuosa = un solo incontro è già di persé reato..
ANTIGIURIDICITA’ E’ una componente fondamentale da accertare per la costituzione del reato. È intesa come il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico. Un atto in contrasto con una norma incriminatrice, potrebbe risultare conforme ad altre norme dell’ordinamento, norme che potrebbero quindi autorizzarlo. Ad esempio se io autorizzo un altro a diffamarmi e questi lo faccia, so configura il fatto tipico di reato, però il soggetto che mi diffama lo fa in presenza di una “autorizzazione” che io gli ho fornito. È quindi necessario analizzare se sono o meno presenti cause di giustificazione. Cause di giustificazione sono comprese sia nel codice penale (Artt. 50 – 54), sia in leggi specifiche, codice civile e costituzione; cause di giustificazioni al cp sono ricollegate al diritto penale dall’Art. 51 cp. In presenza di un fatto tipico di reato, la presenza di cause di giustificazione lo rendono lecito, il fatto non costituisce reato. Alcune di queste cause sono il consenso dell’avente diritto, l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un dovere, la legittima difesa, lo stato di necessità ma anche la legittima difesa da atti arbitrari del pubblico ufficiale. La ratio delle cause di giustificazione è duplice: 1-
Lo stato non ha interesse ad intervenire rispetto ad alcuni fatti autorizzati dai singoli privati (interesse mancante dello stato) es: il consenso dell’avente diritto.
2-
La concezione dell’interesse prevalente, il legislatore ritiene chela tutela di un interesse messo in pericolo è prevalente ad un altro interesse che può essere leso dalla stessa tutela del bene prevalente es: legittima difesa.
Oltre alle cause di giustificazione (scriminanti) comuni e speciali, che sono specificamente previste, ve ne sono altre che sono state riconosciute dalla giurisprudenza attraverso la loro applicazione analogica. Ad esempio nello sport capita spesso che accadano fatti tipici di reato (lesioni personali: fallo nel calcio; omicidio: un incontro di pugilato in cui uno degli atleti decede), in questi casi i giudici applicano in modo analogico le cause di giustificazione. Solo fatti tipici di
reato, realizzati in violazione delle regole del gioco, sono illeciti, altrimenti sono giustificati (fallo di gioco = lecito; fallo fuori dall’azione di gioco o su giocatore senza pallone = reato). EFFICACIA DELLE SCRIMINANTI Le cause di giustificazione hanno efficacia universale: producono effetti sia a livello penale che extra penale, quindi, sia civilistici che amministrativi (il soggetto non deve neppure risarcire il danno). Le cause di giustificazione intervengono rispetto al fatto tipico di reato. Le cause di esclusione della colpevolezza intervengono rispetto la colpevolezza. Le cause di esclusione della condotta (caso fortuito, forza maggiore, costringimento fisico) intervengono sulla condotta. Tali cause non vanno confuse tra loro sebbene sia una suddivisione fatta solo dalla dottrina. Infatti, l’art 59 cp parla in generale di “cause di esclusione della punibilità”.
CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO
Art. 50 cp “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto
avendo avuto il consenso da parte di chi validamente può disporne”. Es: un soggetto autorizza un altro ad usare la sua carta di credito, il soggetto la usa e appone una firma falsa sulla ricevuta di pagamento (delitto di falsità in scrittura privata); un medico effettua un intervento con autorizzazione del paziente, durante l’operazione rileva l’utilità di intervenire anche su un altro organo e lo fa (delitto di lesioni personali). In questi casi i soggetti hanno agito in modo lecito o hanno commesso reato? ● il consenso libera il soggetto attivo dalla responsabilità. Per essere efficace deve, però: 1) essere espresso liberamente e senza costrizione o inganno da parte di terzi. 2) Attuale, presente al momento della realizzazione del fatto, quindi precedente e permanente oppure dato contestualmente alla commissione del fatto. Il consenso successivo non è efficace. 3) dato da soggetto capace di intendere e di volere maggiorenne o ultra 14enne ma, in questo caso, limitatamente ad alcuni beni, es: per la salute non ammissibile. Le autorizzazioni dei minori di 14 anni sono ammissibili solo se, in relazione alla tipologia del bene oggetto del consenso, hanno la capacità di capire il significato della loro decisione (prestito di un gioco ecc.) ● Beni disponibili sono quei beni/ diritti su cui il soggetto può dare il suo consenso, essi possono essere: Diritti disponibili: beni nei confronti dei quali il consenso può essere dato illimitatamente, essenzialmente diritti patrimoniali, diritto al segreto della corrispondenza ecc. Diritti parzialmente disponibili: sono quei diritti per cui il consenso può essere fornito ma limitatamente ad alcuni casi es: diritto all’onore e
libertà individuale possibile finché non si trasformi in una
limitazione permanente o prolungata. Integrità fisica si riferisce all’art. 5 c.c. che ritiene leciti gli atti di disposizione del proprio corpo finché non arrecano danni permanenti o siano contrari a leggi imperative, buon costume, ordine pubblico. In merito alla salute Marinucci divide due casi, tutti i fatti che cagionano una lesione la cui commissione è a svantaggio della salute sono illeciti, i fatti che cagionano lesioni ma sono a vantaggio della salute sono leciti e non ricadono nel divieto dell’Art. 5.c. (amputazione di una gamba in cancrena). Altri casi sono rappresentati dalla possibilità di farsi asportare un rene (con autorizzazione del giudice) per donarlo ad un terzo in pericolo di vita (donazione tra vivi di organi) ecc. Solitamente l’attività medica è sempre considerata a favore della salute, il chirurgo col bisturi incide i tessuti cagionando una lesione > fatto tipico di reato > giustificato dal consenso del paziente. Qualora il consenso mancasse e non ci fosse stato di pericolo di vita o di necessità l’intervento del medico sarebbe colpevole. ●Beni indisponibili sono quei beni/diritti che non possono assolutamente essere sottoposti ad autorizzazione es: vita, beni collettivi (ambiente, incolumità pubblica), beni pubblicistici (imparzialità della PA), sovra individuali (diritti della famiglia). Il diritto alla vita è indisponibile perché vietato sia dal c.c. che dal c.p. (anche per l’omicidio del consenziente); diritti collettivi o pubblici sono indisponibili perché i singoli non possono decidere su beni che riguardano la pluralità degli individui; diritti della famiglia sono indisponibili vedi mantenimento dei figli, reciproca assistenza ecc. L’esercizio del diritto di cronaca è stato autorizzato con legge del 1933. Mediante un articolo, potrebbe venir leso il diritto all’onore (reputazione) di qualcuno. Il fatto concreto corrisponde al fatto tipico di reato (diffamazione) è necessario quindi verificare se il fatto è stato commesso in presenza di un’autorizzazione del soggetto leso. Qualora mancasse, ci si deve riferire all’Art. 51c.p. e verificare se il fatto sia stato commesso in presenza di una causa di giustificazione che in questo caso è rappresentata dall’esercizio del diritto di cronaca ad opera di un giornalista. ESERCIZIO DI UN DIRITTO
Art. 51 cp “l’esercizio di un diritto esclude la punibilità” chi compie il fatto nell’esercizio di un diritto non è punibile perché si configura la causa di giustificazione. È ovviamente necessario fare rinvio ad altre norme dell’ordinamento ed alla loro disciplina per individuare tali diritti. Diritti che possono essere contenuti nella costituzione, leggi comunitarie, regolamenti dell’esecutivo, nel codice civile, leggi speciali ecc.. E’ più importante la norma incriminatrice o il diritto dal cui esercizio è giustificato il fatto? L’art. 51 da solo assegna la prevalenza alla norma che prevede il diritto, la norma incriminatrice “soccombe”. L’art. 51 è quindi
una norma aperta che lascia ad altre fonti stabilire la portata ed il contenuto dei diritti il cui esercizio “giustifica” il fatto. ●LEGGI REGIONALI non possono prevedere diritti in contrasto a norme incriminatrici perché essendo queste ultime di competenza esclusiva dello stato, se una legge regionale che vi contrastasse fosse approvata, sarebbe una violazione di competenza. ●LEGGI COMUNITARIE possono sempre introdurre diritti che, collegati all’art. 51 cp possono configurare cause di giustificazione. Questo perché tramite il recepimento, tali norme, prevalgono su norme interne contrastanti che vengono disapplicate. ●REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO, CONSUETUDINI E CONTRATTI possono sempre introdurre diritti che configurano cause di giustificazione. LIMITI ovviamente ogni norma che prevede un diritto ha dei limiti interni ed esterni. Ad esempio il diritto di sciopero non è disciplinato ma i giuslavoristi hanno comunemente condiviso che deve essere: proclamato da un organo e collettivo. Il limite interno di una norma è rappresentato dal suo stesso contenuto (diritto di accedere il fondo altrui per recuperare animali proprio li rifugiatisi, eseguire lavori sulla propria proprietà ecc). Le norme hanno anche limiti esterni, ossia dati da altre norme ancora (il diritto di accedere al fondo non recintato di terzi per l’attività della caccia esiste, il limite esterno è però dato da un’altra legge, la legge sull’attività venatoria che ne regolamenta l’esercizio. ESEMPI: 1) cronista che lede la reputazione altrui con un articolo di stampa. Alla luce dell’art 51 cp la giurisprudenza si è divisa e solo per merito della Corte di Cassazione è stato stabilito un “decalogo” del cronista e più precisamente individuati 3 parametri che, se rispettati tutti, giustificano il fatto rendendolo lecito: verità storica della notizia interesse pubblico della notizia ( notizia utile a formare un’opinione pubblica su materie di interesse collettivo.) correttezza formale delle parole usata nell’articolo ( il linguaggio usato non deve essere di persé offensivo.) 2) Sciopero con picchettaggio che impedisce ad altri dipendenti di accedere all’azienda e recarsi al lavoro. Di persé il fatto costituirebbe fatto tipico di reato (violenza privata) ma il fatto di averlo commesso nell’esercizio del diritto di sciopero lo giustifica? La risposta è No. Nel conflitto tra diritto allo sciopero e diritto al lavoro, quest’ultimo prevale. Anche il diritto alla
salute limita il diritto di sciopero, infatti, è stata introdotta una legge che impone, in caso di sciopero, l’assicurazione dell’erogazione di servizi pubblici essenziali (es pronto soccorso ecc.) DIRITTO DI CORREZIONE I genitori sono autorizzati ad utilizzare metodi correttivi nei confronti dei figli. È stato però ritenuto illecito il ricorso alla violenza perché porta a effetti diseducativi. In linea di principio può essere utilizzata l’ingiuria ma non le percosse seppur minime. OFFENDICULA
si tratta di mezzi di offesa a tutela di un
bene, normalmente la persona o la proprietà (filo spinato, vetri sui muretti, cane da guardia ecc). Sono sempre leciti ma a condizione che: siano palesi (visibili) non insidiosi (no trappole mimetizzate nel giardino.) proporzionati al bene da proteggere non pericolosi per l’incolumità pubblica in modo indeterminato ( se metto il filo spinato su dei muri alti 3 metri ok, se lo metto su un muro alto 1 metro può arrecare pericolo per i terzi. ADEMPIMENTO DI UN DOVERE
La seconda parte dell’Art. 51 cp è strutturato al fine di rendere giustificabile un fatto tipico di reato se compiuto in osservanza di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità.
DOVERE DERIVANTE DA NORMA GIURIDICA Prendiamo l’esempio del sequestro di persona realizzato da un agente di polizia giudiziaria nei confronti di un soggetto che sta commettendo un reato di particolare gravità per cui è previsto dalla legge l’obbligo di arresto. Il fatto della privazione della libertà personale del soggetto costituisce reato (sequestro di persona). Siamo però, in questo caso, in presenza di una norma giuridica che impone all’agente di arrestare il soggetto se colto in flagranza di reato. Altro esempio è il caso dell’amministratore di una società alla quale è richiesto dalla CONSOB di fornire informazioni in merito ai rapporti tra la sua società ed un’altra, informazioni fornite che però finiscono per ledere la reputazione dell’amministratore dell’altra società ( ad esempio perché si evince un comportamento deplorevole del soggetto). Si configura il reato di diffamazione, siamo però di fronte ad una norma che impone al primo amministratore di consegnare la comunicazione alla CONSOB (altrimenti si configura il reato di omessa comunicazione). In questo caso vi è un’imposizione indiretta in capo all’amministratore che non può sottrarsi
all’adempimento anche se dal contenuto della comunicazione possa derivare diffamazione (l’importante è che i fatti riportati siano veri).In via generale lo stesso art. 51 ci dice quale delle norme apparentemente confliggenti debba essere applicata. Marinucci ritiene che questo conflitto possa essere risolto mediante l’applicazione del principio di specialità. Tra norme contrastanti, viene applicata quella norma che ricomprende gli elementi di tutte le altre norme è ne aggiunge a sua volta di ulteriori determinando il carattere di specialità di detta norma. Ad esempio l’obbligo di arresto comprende già gli elementi del fatto tipico del reato di sequestro di persona (limitazione della libertà personale) ma aggiunge anche l’elemento del soggetto che può compiere l’arresto (agente di polizia) e l’elemento della flagranza di reato. Le fonti di questo istituto sono rappresentate dalla legge statale, regolamenti dell’esecutivo e norme comunitarie. Leggi regionali e consuetudini non possono introdurre norme da cui derivino obblighi il cui rispetto costituisce causa di giustificazione.
DOVERE DERIVANTE DAL RISPETTO DI UN ORDINE LEGITTIMO DELLA PUBBLICA AUTORITA’ L’ordine consiste nella manifestazione della volontà realizzata da un superiore nei confronti di un subordinato gerarchicamente. Viene impartita una direttiva comportamentale. Facciamo alcuni esempi: 1)
la segretaria di un’azienda riceve dall’amministratore l’ordine di mantenere una doppia partita contabile che viene poi utilizzata dall’amministratore per effettuare un falso in bilancio.
2)
sequestro di persona realizzato da funzionario di polizia a cui è stato consegnato ordine di custodia cautelare nei confronti di un ricercato.
3)
segretaria di un istituto di istruzione che iscrive uno studente sprovvisto del titolo di studio necessario su ordine del preside.
In tutti e tre i casi si propone lo schema: fatto, antigiuridico, ordine superiore. Per risolvere lo schema è necessario focalizzare l’attenzione su “autorità pubblica” e “ordine legittimo”.
Ordine e pubblica autorità
perché ci sia un ordine deve esserci un rapporto gerarchico all’interno della pubblica amministrazione e non tra PA e privati. L’ordine del privato è inefficace a giustificare un fatto di reato. Nel caso 1 siamo nel settore privatistico e quindi la segretaria è responsabile di concorso in falso in bilancio.
Legittimità
I caratteri della legittimità sono due:
Formali
sono l’insieme delle modalità e delle caratteristiche con cui l’ordine deve essere impartito (nel caso di custodia cautelare deve provenire dall’autorità preposta – il GIP, il destinatario deve essere l’agente di polizia, la procedura e il titolo del documento ordinanza e non sentenza.)
Sostanziali
sono le condizioni materiali necessarie per poter impartire l’ordine (nel caso di custodia cautelare devono esserci gravi indizi di colpevolezza oppure pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove e nel caso nessun altra misura si riveli efficace) Spetta a chi emana l’ordine il compito di accertare i requisiti, al subordinato spetta una valutazione della sussistenza dei requisiti. In pratica i subordinati hanno una specifica potestà di sindacato sui requisiti formali e sostanziali dell’ordine che impone loro la non esecuzione di ordini illegittimi. Nel caso 3 la segretaria è responsabile di concorso in abuso d’ufficio, in quanto i subordinati sono corresponsabili con il superiore che ha impartito l’ordine illegittimo a cui hanno dato esecuzione. Un caso particolare è rappresentato dagli “ordini illegittimi vincolanti”. Si tratta di situazioni in cui destinatari dell’ordine sono militari o figure equiparate. Ad essi era fatto divieto dalla legge di sindacare sugli ordini ricevuti. Con la riforma oggi intervenuta è previsto che i destinatari (militari o equiparati) di un ordine, non vi diano esecuzione se manifestamente criminoso. Devono accertare la legittimità formale, mentre per l’aspetto sostanziale non devono dare esecuzione ad ordini che, in quelle condizioni, risultino chiaramente criminosi a chiunque. Ad esempio un superiore che ordina ad un subordinato di impossessarsi di denaro preso dalle casse della capitaneria di porto e di portarli nella sua abitazione (peculato). Un ulteriore obbligo è quello di non dare esecuzione ad ordini che, sebbene non siano manifestamente illegittimi, il soggetto, per ragioni proprie, sia in grado di riconoscere come illegittimi.
LEGITTIMA DIFESA
Il fatto per essere anche antigiuridico deve essere compiuto in mancanza di legittima difesa. Legittima difesa che è disciplinata dall’art 52 cp. Oggi, dopo la riforma di questo articolo, si basa su due diverse figure: la legittima difesa e la legittima difesa domiciliare. In linea di principio il cp ha riconosciuto ai cittadini il diritto di difendersi anche con mezzi violenti in deroga al principio generale per cui il monopolio dell’uso della forza è in capo allo stato. Questo è permesso quando lo stato non è in grado di attuare una difesa tempestiva del bene messo in
pericolo. Se la forza pubblica è in grado di intervenire in tempo è dovere del cittadino rivolgersi ad essa. Esempi: 1)
L’imprenditore che per interrompere una serie di telefonate moleste colloca un apparecchio per la registrazione delle telefonate.
2)
Soggetto che cagiona lievi lesioni personali per difendere un bene patrimoniale di ingente valore.
3)
Soggetto che uccide il ladro che stava rubando la sua automobile.
Per risolvere questi casi bisogna esaminare bene l’art. 52. La norma prevede la non punibilità per chi commette il fatto con la necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo di una lesione ingiusta sempre ché la difesa sia proporzionata. Gli elementi fondamentali sono pericolo di offesa e reazione difensiva:
PERICOLO DI OFFESA
il soggetto che si difende deve trovarsi in una situazione di pericolo imminente (probabilità di una lesione del bene o diritto di cui è titolare). Si riconosce anche il pericolo “perdurante”, ossia il caso in cui l’offesa è già iniziata ed è ancora in corso. È il caso del furto, il ladro sottrae il bene ma deve anche impossessarsene ossia deve poterne disporre liberamente, solo allora il reato è consumato, nel frattempo è possibile esercitare la legittima difesa. Così il primo caso riportato è risolto con la mancanza di pericolo attuale in quanto quando viene installata l’apparecchiatura per registrare non è in corso la molestia (solo molestie sessuali hanno il carattere di reato abituale), l’imprenditore quindi compie reato. All’interno della “difesa di un proprio diritto” sono ricompresi una vastità di diritti, da quelli patrimoniali, personali ed anche alcuni interessi soggettivi giuridicamente tutelati. È più interessate evidenziare alcuni casi in cui non è stato riconosciuto dalla giurisprudenza il diritto: è il caso della lite in cui un soggetto occupi fisicamente un parcheggio in attesa che l’amico arrivi con l’auto per parcheggiare. L’art 52 riconosce anche il diritto di difesa di un diritto/bene di un terzo. È necessario, però che l’offesa sia ingiusta ossia realizzata a sua volta in assenza di cause di giustificazione. A questo pro è negata la legittima difesa del ricercato che reagisce all’agente che limita la sua libertà personale (sequestro di persona) mentre adempie ad un’ordinanza cautelare.
REAZIONE DIFENSIVA
È necessaria la presenza di costrizione, necessità e proporzione, in sostanza il soggetto deve aver agito perché costretto dalla necessità di difendere il bene in modo proporzionato. COSTRIZIONE
il soggetto si deve trovare nella
situazione di pericolo a causa di fattori indipendenti dalla sua volontà, ad esempio se un tizio decide di partecipare ad una rissa o accoglie una sfida, non si configura la costrizione. NECESSITA’ il soggetto che si difende era nell’alternativa tra reagire oppure subire l’offesa, se il soggetto poteva allontanarsi comodamente doveva allontanarsi. PROPORZIONE
è presente solo se la difesa è inferiore,
equivalente o di poco superiore all’offesa. Finché i beni sono omogenei è semplice verificarla (un tizio mi minaccia con una pistola ed io reagisco uccidendolo…il bene in gioco era sempre la vita). Ma quando i beni sono eterogenei le cose si complicano. La giurisprudenza ha ritenuto che le lesioni personali siano sproporzionate se in reazione ad una lesione dell’onore. Allo stesso modo la lesione della vita è sproporzionata se in reazione ad una lesione patrimoniale. La sola lesione personale potrebbe essere giustificata se in reazione ad un pericolo di lesione patrimoniale ingente, si rende necessario verificare però l’intensità della reazione difensiva. La modifica della 2° parte dell’art 52 cp ha introdotto la disciplina della legittima difesa nei luoghi di privato domicilio quali la propria abitazione o il luogo di lavoro. Nel caso di un’aggressione in questi luoghi non è necessario determinare la proporzione della legittima difesa in quanto si ritiene presunta. È necessario quindi la presenza di tutti gli altri elementi della legittima difesa e solo la proporzionalità della difesa non deve essere provata, restano però alcuni limiti: •
deve esserci pericolo di aggressione nel senso di pericolo di aggressione fisica (come comunemente condiviso dalla giurisprudenza.)
•
non deve esserci desistenza da parte dell’aggressore. Se vi è desistenza cade in automatico la persistenza dello stato di pericolo di offesa.
USO LEGITTIMO DELLE ARMI
Questa norma giustificatrice è contenuta nell’art. 53 cp e disciplina i casi in cui un fatto tipico di reato commesso utilizzando delle armi è giustificato. È una scriminante molto simile alla legittima difesa e adempimento ad un dovere, tanto che si applica laddove non sono applicabili le prime due, inoltre, si applica espressamente solo ad alcuni soggetti. In sostanza “non è punibile il pubblico
ufficiale che per adempiere il proprio dovere, in assenza di cause di legittima difesa ed adempimento di un dovere, si trovi costretto ad usare le armi o altro strumento di coazione”. 1)Caso Rolo banca, rapina in banca, i rapinatori fuggono con la refurtiva, carabinieri che li inseguono, uno spara ad una gomma dell’auto dei rapinatori ma finisce per colpirne uno che poi muore. 2) Corteo politico che passando davanti ad una sede di ministero presidiata da agenti, inizia lanciando loro contro oggetti e molotov. Gli agenti sparano in aria, i manifestanti fuggono e gli agenti li inseguono per arrestarli. Uno degli agenti estrae una pistola uccide un manifestante. Questa norma è formata da due componenti: REQUISITI SOGGETTIVI
Questa norma si applica solo ad alcuni individui espressamente previsti dalla norma: i pubblici ufficiali, dove per pubblici ufficiali sono intesi solo quelli che istituzionalmente hanno in dotazione armi o mezzi di coazione fisica. Sono esclusi i vigili urbani e le guardie giurate perché istituzionalmente non hanno la funzione di tutela dell’ordine pubblico. Con il termine armi si intendono armi da fuoco, semi automatiche, fucili per lacrimogeni. Per mezzi di coazione fisica si intendono gli sfollagente. La norma giustifica l’uso delle armi solo se il loro utilizzo è stato effettuato al fine di adempiere un dovere d’ufficio e non nell’esercizio delle funzioni, per vedere la differenza analizziamo due ipotesi: Posto di blocco ordinario in cui gli agenti fermano delle auto per identificarne gli occupanti. In questo caso gli agenti svolgono le funzioni tipiche della loro mansione. Posto di blocco istituito per fermare un veicolo che fugge da una rapina con a bordo i malviventi, qui è dovere d’ufficio, gli agenti hanno il dovere di fermarli in quanto sono in presenza di reato e devono evitare che tale reato giunga a conseguenze ulteriori.
REQUISITI OGGETTIVI
sono necessarie costrizione, necessità e l’esigenza di respingere una violenza o vincere una resistenza.
Costrizione
il soggetto deve trovarsi nell’esigenza di utilizzare mezzi necessari al conseguimento del fine istituzionale. Mezzo che deve essere quello sufficiente ad ottenere il risultato, quindi implicitamente proporzionale. Lo strumento non deve quindi essere per forza un’arma da fuoco, ad esempio per arrestare un soggetto la sua cattura è ottenibile anche con altri strumenti. Solo in presenza di pericolo per la sopravvivenza dello stato è possibile cagionare la morte con l’utilizzo delle armi (es occupazione del parlamento per sovvertire la forma di governo).
Necessità
L’agente deve trovarsi nell’alternativa obbligatoria tra usare la forza o non adempiere al dovere d’ufficio.
Respingere violenza o vincere resistenza
Il soggetto deve essere vittima di violenza da parte di un privato mentre sta operando. Nel concetto di violenza si comprende anche la sua minaccia, a patto che sia una minaccia seria. Vincere una resistenza significa contrastare una forza fisica, ad esempio il soggetto che per non farsi arrestare si aggrappa ad un palo RESISTENZA ATTIVA. Per quanto riguarda la resistenza passiva (sdraiarsi a terra e non muoversi piuttosto che fuggire) per Marinucci non può autorizzare l’uso delle armi, infatti, il legislatore, quando ha voluto colpire la fuga e la resistenza passiva, lo ha fatto in modo esplicito (legge contrabbando e legge penitenziaria). Nell’ambito della resistenza quale causa di giustificazione, non possono essere ricondotti episodi di resistenza passiva anche perché la resistenza a pubblico ufficiale è un delitto che prevede la violenza o la minaccia verso il pubblico ufficiale. Con la legge “Reale” del 1975 sono stati introdotti alcuni ulteriori casi in cui l’uso delle armi è consentito, ad esempio per impedire la commissione di alcuni gravi reati quali: OMICIDIO, STRAGE, DISASTRO FERROVIARIO ED AVIATORIO, NAUFRAGIO, SEQ PERSONA, RAPINA A MANO ARMATA. In presenza di questi reati i requisiti oggettivi di resistenza e violenza non sono più necessari, il reato però deve almeno essere tentato. Nel caso in cui l’uso dell’arma cagioni la morte (al di fuori del caso di pericolo di sopravvivenza dello stato) fa cadere la giustificazione. L’arma non deve in nessun caso cagionare la morte. Solo il caso di Rolo Banca è stato risolto con l’assoluzione dei carabinieri. Esistono anche casi speciali che prevedono l’uso delle armi: nell’ordinamento penitenziario per evitare l’evasione dei detenuti, nel contrabbando per arrestare il contrabbandiere in zona di confine durante la notte, quando sono più di 3 persone, quando il contrabbandiere è armato o in fuga senza abbandonare la merce.
REAZIONE LEGITTIMA AGLI ATTI ARBITRARI DEL PUBBLICO UFFICIALE
Questa scriminante giustifica alcune forme di reazione quali: •
violenza o minaccia a pubblico ufficiale
•
resistenza a pubblico ufficiale
•
oltraggio a pubblico ufficiale
•
oltraggio a magistrato in udienza
•
ingiuria a pubblico ufficiale
Questi fatti possono essere giustificati dalla commissione preventiva di atti arbitrari nei confronti del privato. Atti arbitrari = illeciti realizzati dal pubblico ufficiale (abuso di potere. Vizio ecc.) La reazione potrà essere strettamente materiale (es: violenza a pubblico ufficiale) oppure verbale (es: oltraggio a pubblico ufficiale). STATO DI NECESSITA’
è disciplinato dall’art. 54 cp. Il 1° comma stabilisce che “non è punibile chi ha commesso il fatto nella necessità di salvare se stesso o altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona se il pericolo non è da lui volontariamente causato, sempre che il fatto sia proporzionale al pericolo”.
Facendo degli esempi: 1) lesioni personali gravissime realizzate dal medico il quale, senza il consenso del paziente,
stante la diffusione di una cancrena, amputa una gamba. 2) imprenditore che vedendo un incendio nella propria azienda, per spegnere l’incendio, entra nello stabilimento a fianco prelevando acqua per spegnere l’incendio. 3) un soggetto con un’auto compie un sorpasso azzardato, per evitare l’impatto con un’altra auto compie una manovra di emergenza finendo fuori strada e causando la morte del trasportato. Le principali differenze con la legittima difesa:
un fatto commesso per legittima difesa è lecito sia penalmente che civilmente, se commesso per stato di necessità è lecito penalmente ma deve comunque civilmente risarcire il danno; nello stato di necessità il soggetto leso è un terzo che non ha aggredito l’agente e che non ha concorso al creare la situazione di pericolo; si applica solo a difesa della persona da lesioni gravi e di diritti personali non al patrimonio; invocabile per salvare se stessi o altri, secondo Marinucci consisterebbe in una scusante in quanto lo stato di pericolo provoca una modificazione, un turbamento sulla psiche del soggetto attivo che è spinto ad agire. Nel caso 2 chi subisce il furto d’acqua nulla ha a che vedere con l’incendio, nel caso 3 il trasportato non ha creato la situazione di pericolo. Gli elementi costitutivi dello stato di necessità sono:
PERICOLO
La situazione di pericolo deve essere esistente, prodotta dalla natura o dall’uomo (alluvione, maremoto, incendio, incidente automobilistico ecc). Il pericolo deve essere quello di danno alla persona, nel senso che il bene nei cui confronti è probabile una lesione, deve essere personale (vita, integrità fisica, libertà individuale, onore), non vi rientrano quindi beni/diritti patrimoniali. Nel caso dell’incendio, il fatto è antigiuridico se il prelievo dell’acqua è finalizzato alla salvaguardia del patrimonio, ma se è fatto per evitare che l’incendio causi vittime (ad esempio vista la presenza di operai e le vaste dimensioni del fuoco), si ritiene configurato lo stato di necessità. Il pericolo deve essere incombente e non deve
essere volontariamente causato dal soggetto che commette il fatto, neppure colposamente. La giurisprudenza ha interpretato il termine “volontariamente” comprendendo anche comportamenti colposi. A esempio se l’incendio è stato causato dall’imprenditore per incassare il premio di assicurazione e poi ha dovuto spegnerlo per salvare la vita ai dipendenti, non può invocare lo stato di necessità, così l’autista che ha colposamente effettuato il sorpasso azzardato. CONDOTTA NECESSITATA
È l’azione realizzata dal soggetto attivo che si trova nella situazione di pericolo potendo solamente scegliere se subire la lesione o commettere il fatto.
Fuga ed allontanamento
non deve esservi un’alternativa alle due soluzioni. Infatti, il soggetto, deve sempre allontanarsi o fuggire se possibile farlo senza così mettere in pericolo sé stesso o altri.
Non evitabilità del pericolo
il soggetto attivo deve realizzare la condotta meno lesiva possibile (es ferire il terzo e non ucciderlo se possibile). Nel caso del medico l’amputazione dell’arto è necessaria solo quando la cancrena è giunta ad uno stato per cui il pericolo di morte diviene ormai inevitabile, si rende quindi necessario amputare per salvare la vita del paziente.
Proporzione
deve esserci equivalenza tra offesa che si produce e pericolo, l’offesa deve essere inferiore o al massimo appena superiore al pericolo. Lo stato di necessità è invocabile solo per salvare se stesso o altri da un danno grave. La vita è un bene ritenuto altamente significativo, il fatto compiuto per salvare la vita è ritenuto sempre giustificato. Le lesioni personali rappresentano anch’esse un danno grave. Più problematica è l’applicabilità a beni quali libertà personale, pudore, onore ecc. Alcuni autori ritengono che l’onore non sia inseribile tra i beni la cui lesione rappresenti lesione grave ma l’orientamento giurisprudenziale è di tutt’altro avviso. Ad esempio se un amministratore rivela notizie societarie riservate (reato societario) per tutelare il proprio onore di fronte ad attacchi personali di terzi, il fatto è ritenuto giustificato. Il 2° comma dispone che “questa disposizione non si applica a quei soggetti che hanno un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”. Vigili del fuoco, comandanti di aeronave ecc, non possono invocare la scriminante. La giurisprudenza ha però ritenuto che possano invocarla limitatamente ai casi in cui questi soggetti si trovino esposti a situazioni di pericolo tali da rappresentare pericolo di morte certa.
Il 3° comma disciplina la coazione morale o costringimento psicologico: ”le disposizioni della 1^ parte si applicano anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia ma del fatto risponde il soggetto che ha costretto la sua commissione”. L’esempio è il rapinatore che con un’arma da fuoco sequestra e minaccia l’autista di un’automobile intimandogli di procedere ad alta velocità investendo anche pedoni per darsi alla fuga. Oltre alle scriminanti comuni qui sopra elencate, vi sono anche scriminanti tacite o non codificate, ad esempio lo jus corigendi, violenza sportiva, interventi medici chirurgici, informazioni commerciali ed informazioni derivanti da indagini investigative. INFORMAZIONI COMMERCIALI
Sia in dottrina che in giurisprudenza si ritiene che durante lo svolgimento di attività che richiedono l’acquisizione di informazioni commerciali, possano essere commessi dei reati. Ad esempio il bancario che riceve personalmente da un cliente informazioni sul suo pessimo stato finanziario e che le riferisca ad altri, commette reato di diffamazione che in questo caso è antigiuridico perché rivela informazioni riservate ricevute personalmente. Se però l’informazione è stata ottenuta non colloquiando col cliente ma a mezzo di propria istruttoria autonoma ad esempio mediante terzi, il fatto non è antigiuridico.
INDAGINI INVESTIGATIVE
Con il nuovo codice di procedura penale è possibile istruire indagini difensive avvalendosi di investigatori privati. Ci si chiede se le informazioni acquisite dall’investigatore privato possano essere diffuse ad altri soggetti anche se lesive dell’onore di un soggetto. La soluzione data in dottrina (non esistono ancora casi giurisprudenziali) è basata sul concetto contrattualistico – privatistico. L’investigatore è legato da un contratto con il committente a recuperare e a fornire le informazioni acquisite. Se l’investigatore le fornisce al suo committente, il fatto non è antigiuridico, se le riferisce a terzi, il fatto è antigiuridico.
Le considerazioni finali da effettuarsi in merito all’antigiuridicità sono relative al disposto degli artt 55 e 59 del codice penale. Art 55 cp
disciplina l’eccesso colposo delle norme scriminanti (il superamento dei limiti propri di queste norme), eccesso che va analizzato vendo riguardo ( ma non solo) dell’art 55cp. Eccesso che si divide in tre forme: eccesso doloso, eccesso colposo ed eccesso incolpevole:
ECCESSO DOLOSO
in questa ipotesi non si applica l’art 55 cp ma bensì l’art 43 che disciplina il dolo dell’agente. Si configura eccesso doloso quando il
soggetto attivo commette un fatto tipico di reato in presenza di una scriminante realizzando un fatto che intenzionalmente supera i limiti imposti dalla scriminante. Es: il soggetto che vede il ladro tentare di rubare la sua auto, questo estrae una pistola la punta verso il ladro con l’intenzione di ucciderlo, spara e lo uccide. In questo caso l’eccesso è configurato perché sproporzionato rispetto al bene tutelato, ed è doloso perché il soggetto attivo ha agito con l’intenzione di uccidere. Il soggetto risponde di omicidio volontario.
ECCESSO COLPOSO
in questo caso si applica l’art 55 cp. Il soggetto attivo supera materialmente i limiti delle norme scriminanti, ma lo fa in modo colposo e non volontario, sempre ché la legge preveda la punibilità del fatto come delitto colposo. Ad esempio il poliziotto che per catturare un ricercato spara alle gomme della sua auto ma che per un errore finisce per uccidere il fuggiasco. L’agente ha agito per bucare le gomme dell’auto e non per uccidere, non si configura quindi il dolo. Nell’eccesso colposo si distinguono due forme: l’errore o eccesso motivo e l’errore o eccesso in abilità:
errore motivo
È la situazione in cui il soggetto attivo ha commesso un errore di interpretazione della situazione scriminante in conseguenza del quale compie un fatto che supera un limite imposto dalla scriminante. Es: un soggetto vede un aggressore che sta per colpirlo, vede nelle sue mani un oggetto che crede sia un coltello ma in realtà è un rotolo di plastica. Il soggetto credendolo un pugnale reagisce uccidendo l’aggressore perché in pericolo la sua vita (se vi fosse stato realmente un coltello). L’eccesso si configura a seguito della morte dell’aggressore che con un rotolo di plastica non poteva uccidere la sua “vittima”. Eccesso colposo perché il soggetto ha commesso un’imprudenza nella valutazione della situazione, con maggiore attenzione avrebbe potuto accorgersi che non si trattava di un coltello ma di un oggetto inadatto a causare un’offesa tanto grave.
Errore in abilità
qui l’imprudenza si caratterizza per un controllo maldestro della reazione o dell’arma con cui ci si difende. Ad esempio se io vengo aggredito da un soggetto ed estraggo una pistola per ferirlo alle gambe ma accidentalmente mi parte un colpo che lo colpisce alla testa uccidendolo. Si configura appunto l’eccesso a causa della morte dell’aggressore che non minacciava la mia vita (ma al massimo lesioni personali) e la colpa per il mio maldestro controllo dell’arma con cui intendevo difendermi senza volerlo uccidere.
ECCESSO INCOLPEVOLE
si configura per tutte quelle situazioni no disciplinate né dall’art 55 né dall’art. 43. In questi casi il soggetto non risponde di reato perché il fatto non è previsto come reato da nessuna norma. È il caso in cui il fatto è commesso né per imprudenza né con dolo. Es: io vengo
aggredito, estraggo una pistola per ferirlo sparandogli alle gambe ma mentre premo il grilletto l’aggressore si abbassa ed il proiettile lo colpisce alla testa uccidendolo. In questo caso io sono immune da responsabilità in sede penale ma non in sede civile per cui posso essere chiamato a risarcire un danno. Art. 59 cp
ha un contenuto significativo per la rilevanza oggettiva e soggettiva della norma scriminante. Il 1° comma dispone che la scriminante si applica anche se il soggetto attivo ha agito in presenza di scriminante pur ignorandone la presenza. Es: un soggetto trattiene un bene di altra persona (appropriazione indebita), il proprietario ha però dato autorizzazione scritta a mezzo lettera non ancora recapitata al trattenimento di tale bene. Il soggetto attivo ha trattenuto il bene di altri non conoscendo il consenso dato dall’avente diritto. Ancora, se io sparo uccidendo un nemico che ha cercato di aggredirmi e che nella colluttazione si nasconde dietro una tenda (omicidio volontario) ma poi si scopre che dietro la tenda questo avesse estratto la pistola e me l’avesse puntata per uccidermi, io ho agito non sapendo del configurarsi della legittima difesa, però la realizzazione oggettiva degli elementi della scriminante hanno rilevanza oggettiva appunto.
La rilevanza oggettiva interviene anche per i reati commessi da più persone, la sua applicazione si estende anche ai “concorrenti”. Es se io presto una pistola ad un soggetto che la usa per difendersi in quanto è minacciata la sua vita ed uccide chi lo aggredisce, la causa giustificatrice per il fatto di omicidio si estende anche a me che ho concorso nella realizzazione del fatto di omicidio volontario (però giustificato da legittima difesa) (così è disciplinato dall’art 119cp). L’art. 119 riporta come applicabili estensivamente solo cause di esclusione della pena “oggettive” ciò significa che esistono cause “soggettive” che non possono essere estese ai concorrenti. È il caso ad esempio delle norme sull’imputabilità (la minore età dell’agente), l’uso legittimo delle armi (applicabile solo alle forze dell’ordine o a cittadini che hanno ricevuto un ordine delle forze dell’ordine), le scusanti ecc. L’art 59 NON si applica per le cause di giustificazione relative a: reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale o l’inadempimento di un ordine illegittimo della pubblica autorità. Queste scriminanti prevedono un elemento psicologico per cui perché possano essere attivate è necessario che il soggetto attivo si renda conto dell’arbitrarietà o dell’illiceità, tali scriminanti non possono quindi essere applicate in modo “oggettivo”. Il 4° comma ritiene applicabili le cause di giustificazione anche se il soggetto attivo ha agito in base ad un’erronea supposizione della presenza della causa di giustificazione purché tale errore non sia dovuto a errore colposo (rilevanza soggettiva). Es: di notte mi sento seguito da un’ombra che si avvicina velocemente verso di me, pensando di essere in pericolo per un’aggressione mi giro e con un pugnale ferisco una persona che credevo stesse per aggredirmi. In questo caso io “pensavo” di essere in presenza di un pericolo imminente per la mia integrità fisica ma nella realtà i fatti potevano essere ben diversi. La semplice percezione dello stato di pericolo non è sufficiente, il giudice dovrà valutare tutte le circostanze, la presenza di movimenti delle braccia, un oggetto nelle mani dell’”aggressore” di un oggetto atto ad aggredire ecc. In buona sostanza il soggetto attivo, per beneficiare della rilevanza soggettiva, deve aver valutato configurata la situazione scriminante come un qualsiasi soggetto avesse potuto fare.
COLPEVOLEZZA I requisiti della colpevolezza ci permettono di definire il concetto astratto, generale ed unitario della colpevolezza appunto. Si rende quindi necessario appurare la presenza di più requisiti quali: imputabilità, dolo, colpa o preterintenzione, assenza di scusanti, assenza di ignoranza o errore inevitabile sulla legge. La colpevolezza rappresenta la rimproverabilità ad un soggetto per un comportamento ed un atteggiamento antidoveroso da lui tenuto. Con il concetto di DOLO il soggetto deve aver commesso intenzionalmente un fatto che non doveva voler realizzare. Con il concetto di COLPA il soggetto ha commesso un fatto che non si doveva realizzare. Riconoscere colpevole un soggetto significa attribuirgli il “libero arbitrio”, ancora oggi si discute se l’uomo sia realmente libero nella determinazione delle sue azioni (libero cioè da condizionamenti anche psicologici). La coscienza, l’io, è un’entità costituita dalla capacità dell’uomo di controllare e frenare gli impulsi che provengono dalla sua psiche, orientando il proprio comportamento. La colpevolezza si attiva quando il soggetto omette di impedire agli impulsi della psiche di fargli commettere atti vietati o di non fargli compiere atti dovuti. Per Marinucci la colpevolezza è una conquista della società civile, punire un soggetto non colpevole sarebbe un ritorno al passato della civiltà giuridica con forme di responsabilità oggettiva. La stessa rilevanza dell’errore o ignoranza inevitabile della legge sostiene questa considerazione. Il principio di colpevolezza è stato costituzionalizzato dall’Art. 27Cost. per cui la responsabilità è personale, responsabilità si attiva solo in presenza di colpevolezza anche se non espressamente citata. La ragione della non citazione è la volontà di non rendere incostituzionali le poche previsioni che il cp fa di reati a responsabilità oggettiva quali le responsabilità materiali del fatto proprio (leggasi preterintenzione: commettendo un atto anche di lesione minima ad un soggetto da cui però scaturisce la morte). Secondo Marinucci queste responsabilità oggettive contrastano ugualmente con l’art. 27 Cost. in quanto in quei casi le responsabilità non sono direttamente personali dei soggetti attivi. Oggi la pena (sempre secondo l’art 27) deve tendere alla rieducazione del reo ed alla prevenzione della recidiva rieducando e reinserendo il soggetto nella società. La pena svolge, quindi, anche un ruolo di rilievo in merito alla colpevolezza: per rieducare deve tendere ad agire sulla psiche del reo ed è quindi necessario che il soggetto abbia agito con un atteggiamento rimproverabile, un atteggiamento psicologico doloso o colposo per poterlo rieducare. La colpa, ancora, si ancora anche alla commissione di un fatto materiale tipico di reato, questo serve ad evitare la configurazione della colpevolezza per i cd “stili di vita”. Uno stile di vita particolarmente caratterizzato dalla commissione di reati una volta era perseguibile anche senza accertare la commissione di un singolo fatto di reato. Bastava la considerazione fatta dal giudice che il soggetto fosse genericamente dedito al crimine. Nel nostro sistema, oggi, permangono alcuni limitati casi di responsabilità oggettiva a cui non sono applicate pene ma misure di prevenzione “ante delittum” come la sorveglianza speciale o il domicilio coatto. Rappresentano comunque una limitazione della libertà ma molto più limitata. Si tratta di sanzioni che scaturiscono dal sospetto sul soggetto. Colpevolezza che, dal punto di vista giuridico, si contrappone al concetto di pericolosità sociale. La prima consiste in un giudizio di rimproverabilità per un fatto commesso, la seconda, consiste in un giudizio di probabilità che il soggetto possa in futuro commettere un reato. La pericolosità sociale oltre alla pena per il reato eventualmente commesso, prevede anche l’applicazione di una misura di sicurezza (casa di lavoro, colonia agricola, riformatorio, osp. psichiatrico). RAPPORTO COLPEVOLEZZA – PENA La pena ricomprende diversi gradi di colpevolezza, all’interno di dolo e colpa esistono diversi gradi di gravità. Gradazioni che influiscono sulla determinazione della pena (comminazione e commisurazione) da parte del giudice.
RAPPORTO COLPEVOLEZZA – IMPUTABILITA’ Imputabilità = capacità di intendere e di volere; è un requisito della colpevolezza che per lungo tempo è stato considerato un elemento esterno, una caratteristica personale del reo. L’imputabilità, a sua volta, è definita dall’Art 85 cp per cui risulta imputabile il soggetto capace di intendere e di volere. Rispetto all’infermità mentale parziale, una recente sentenza della Cassazione, ha esteso i casi di non imputabilità, ritenendo non imputabili anche soggetti affetti da disturbi della personalità non ancora tali da poter essere dichiarati “psichiatrici”. È inutile sottoporre a sanzione penale un individuo incapace di intendere e di volere. Con l’art. 85 cp è, infatti, previsto che non è punibile la persona non imputabile, specificando nel 2° comma le caratteristiche per ritenere un soggetto imputabile. 1° REQUISITO – CAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE È imputabile il soggetto che ha la capacità di intendere e di volere. Negli articoli seguenti sono disciplinati i casi in cui in modo esplicito la capacità di intendere e di volere è esclusa: vizio di mente, minore età, intossicazione cronica da alcool e stupefacenti, sordità. CAPACITA’ DI INTENDERE
il soggetto deve essere in grado di comprendere il significato ed il valore delle situazioni che gli si presentano dinnanzi, deve essere idoneo a capire significato e valore dei comportamenti e degli oggetti.
CAPACITA’ DI VOLERE
il soggetto deve essere in grado di autodeterminarsi, definire quali condotte compiere per raggiungere determinati obiettivi o per soddisfare esigenze.
Entrambe devono essere presenti per determinare l’imputabilità del soggetto, infatti, esistono patologie per cui può mancare anche solo uno dei due elementi (es: disturbi bipolari come la ciclotimia in cui vi è la capacità di intendere ma i frequenti e forti attacchi di rabbia non permettono al soggetto di essere capace di volere in modo razionale. Gli articoli 88 ed 89 disciplinano i casi di non imputabilità per vizio di mente o infermità mentale. INFERMITA’ FISICHE
L’incapacità di intendere e di volere non è determinata da sole infermità mentali ma anche da infermità fisiche capaci di indurre il soggetto in uno stato tale di confusione impedendogli di rendersi conto di cosa stia accadendo, è il caso della febbre alta, il tifo, la meningite ecc…
INFERMITA’ PSICHIATRICHE
Schizofrenia, epilessia ad esempio sono infermità psichiatriche che producono un’infermità totale del soggetto rendendolo totalmente incapace di intendere e di volere. Nel caso dell’epilessia, però, esistono spazi temporali di lucidità, i fatti commessi in questi spazi temporali determinano la piena imputabilità del soggetto.
INFERMITA’ PSICHICHE
da un ventennio ci si interroga se infermità non così gravi come quelle psichiatriche viste sopra, possano determinare la non punibilità del soggetto. È il caso di infermità di tipo psichico come i disturbi della personalità e le psicosi. Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno ritenuto l’estensibilità della non imputabilità anche a queste forme, purché la malattia sia effettivamente la causa del fatto di reato.
L’infermità mentale può investire tutti i settori del comportamento oppure, in altri casi, solo alcuni settori specifici (manie di persecuzione nei confronti dei familiari, cleptomania solo per la sottrazione di beni ecc..).
Art 88 disciplina il vizio totale di mente (l’infermità fisica o psichica determinano una scomparsa completa della capacità di intendere e di volere. Art 89 disciplina il vizio parziale di mente (semi infermità mentale) per cui l’infermità fa scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. In giurisprudenza solo diminuzioni superiori al 50% delle capacità determinano una minore imputabilità, altrimenti il soggetto è pienamente imputabile. Se si configura la semi infermità il soggetto, una volta scontata la pena, sarà inviato presso una casa di cura. Se un soggetto commette un reato legato a malattia psichica da cui deriva la non imputabilità e poi ne commette un altro non legato alla malattia, ma in assenza di intervalli di lucidità tra i due episodi, il soggetto non è imputabile anche per il secondo reato. È il caso della mania di persecuzione, il soggetto commette normalmente percosse (reato sintomo) verso la sua vittima (es i familiari), se però commette anche una violenza sessuale (non reato sintomo) sul soggetto vittima abituale, non è imputabile perché si ritiene che il carattere psicotico – nevrotico della malattia estenda la non imputabilità anche a quelli che non sono reati sintomo. Nel caso di reati commessi in relazione a disturbi della personalità ( non psicotiche o nevrotiche ma di minor entità), la non punibilità resta limitata ai reati sintomo (es: cleptomania, non punibile il soggetto per furto o appropriazione indebita ma se reagisce al proprietario con percosse, è pienamente imputabile per le percosse). Gli stessi articoli 88 ed 89 sono richiamati dalle norme che disciplinano la non imputabilità in presenza di INTOSSICAZIONE CRONICA DA ALCOOL E STUPEFACENTI. L’intossicazione cronica da alcool si conforma con la presenza di alterazioni psichiche permanenti del soggetto che ha abusato di sostanze alcoliche. DELIRIUM TREMENS
produzione di tremori causati da alterazione del sistema nervoso.
PSICOSI ALCOOLICA
è un inizio di demenza da abuso di alcool con relativa diminuzione delle capacità cognitive del soggetto.
PARANOIA ALCOOLICA
il soggetto inizia a ritenere erroneamente di essere oggetto di persecuzione da parte di altri soggetti (es i familiari) spingendolo ad atteggiamenti aggressivi con percosse ecc..
Se il soggetto commette un fatto di reato in presenza di una di queste condizioni non è imputabile. L’intossicazione cronica da stupefacenti non è mai stata riconosciuta dalla giurisprudenza. Discorso diverso per l’UBRIACHEZZA. In caso di ubriachezza il soggetto che commette fatto di reato è sempre colpevole ad eccezione del caso di ubriachezza accidentale (es: il soggetto che lavorando in un liquorificio si ubriachi a causa dell’inalazione dei fumi alcolici delle lavorazioni). Tutti gli altri tipi di ubriachezza ed alcolismo sono disciplinati diversamente adottando una scala progressiva di gravità: UBRIACHEZZA COLPOSA
Lo stato di infermità è determinato da ubriachezza involontaria, il soggetto inizia a bere senza rendersi conto di aver esagerato: piena imputabilità.
UBRIACHEZZA VOLONTARIA
il soggetto si ubriaca in modo volontario, ad esempio per dimenticare: piena imputabilità.
UBRIACHEZZA PREORDINATA
il soggetto ha raggiunto lo stato di ubriachezza in modo volontario per compiere il reato o crearsi una “scusa”: piena imputabilità, pena aumentata di 1/3 (AGGRAVANTE.)
UBRIACHEZZA ABITUALE
il soggetto fa abitualmente uso di alcolici ed è frequentemente in stato di ubriachezza: piena imputabilità e pena aumentata di 1/3 (AGGRAVANTE.)
Il legislatore ha equiparato tutte le forme di ubriachezza alle forme di stupefacenza. La stupefacenza abituale determina lo stato di tossicodipendenza per cui il soggetto è pienamente imputabile. Altra causa di non imputabilità è disciplinata dall’art 97 cp relativamente alla MINORE ETA’. MINORI DI 14 ANNI
il minore di 14 anni è considerato non imputabile in via assoluta. Qualora il giudice dovesse ritenere la presenza della possibilità per il soggetto di commettere in futuro altri reati, può disporre misure di sicurezza quali la libertà vigilata o l’invio in riformatorio giudiziario sotto forma di comunità.
MINORI DI 18 ANNI
spetta al giudice accertare caso per caso se il soggetto avesse la capacità di intendere e volere al momento della commissione del fatto, valutando se il soggetto aveva già raggiunto uno sviluppo mentale ed etico tale da fargli comprendere l’illiceità o l’antisocialità di quanto commesso. Come per il minore di 14 anni se il giudice ritiene presente la possibilità di commissione futura di reati, può disporre misure di sicurezza.
2° REQUISITO – COLPA O DOLO Storicamente tutti i reati sono stati descritti nei codici come reati dolosi, solo dall’800 si è introdotto l’elemento della colpevolezza. DOLO è l’atteggiamento psicologico più grave con cui un soggetto compie un fatto di reato ed è il modo in cui normalmente il legislatore descrive i fatti di reato, infatti, sono sempre descritti a titolo doloso tranne quando espressamente prevista la colpa. Il dolo è implicito nel fatto di reato e descritto nell’art. 43 cp. Tutti i fatti sono perseguibili a titolo doloso, anche se la norma incriminatrice non specifica nulla in merito. Il delitto è doloso o “secondo intenzione” quando l’evento dannoso è stato previsto e voluto quale conseguenza della propria azione od omissione. Esempio1: un soggetto in grave difficoltà finanziaria assume un’obbligazione con lo scopo di non adempiervi e
successivamente non corrisponde al creditore quanto dovuto (insolvenza fraudolenta.) Esempio 2: un medico di struttura pubblica impiegato c/o il pronto soccorso è chiamato per una visita c/o un ammalato
ed omette di recarvisi (rifiuto di atti di ufficio.) Ci si chiede: doveva il soggetto del primo caso conoscere il significato di obbligazione per configurare il dolo? Doveva il medico sapere di rivestire la qualifica di ufficiale di pubblica assistenza per configurare il dolo? ELEMENTI DEL DOLO: - PREVISIONE DEL FATTO
Il soggetto deve rappresentarsi mentalmente, avere la visione anticipata, di ciò che vorrà realizzare. La previsione è configurata anche quando il soggetto ha un dubbio sul fatto (es: furto =
sottrazione di bene mobile altrui: l’altruità è un concetto normativo relativo al diritto di proprietà. Il soggetto che lo sottrae ha il dubbio se il bene è suo o di altri ad esempio per una clausola contrattuale incerta). Il fatto che il soggetto si sia rappresentato la possibilità che il bene non fosse suo, non fa venire meno la rappresentazione e previsione del fatto. La descrizione del fatto avviene normalmente con termini di facile comprensione (morte, malattia ecc) ma nel caso di termini giuridici quali “obbligazione” (caso 1 ) si ritiene non necessaria la conoscenza esplicita del contenuto della parola, è sufficiente che chi agisce abbia la comprensione che l’uomo comune ha di quel termine. Quindi che abbia capito di aver assunto un obbligo di fare o dare con il contratto. Se vado al ristorante ed ordino del cibo, l’uomo comune sa bene che dovrà pagarne il prezzo pur non conoscendo il significato di obbligazione. - VOLIZIONE DEL FATTO
È un elemento meno importante tanto che in alcuni forme di dolo non è necessario. Si concretizza con la decisione del soggetto di compiere il fatto (condotta o evento finale). La volizione deve essere presente al momento della condotta, qualora venga poi meno ma l’evento si sia comunque realizzato, l’elemento volitivo si è comunque configurato (es. piazzo una bomba per uccidere ma poi mi pento, non riesco ad evitarne l’esplosione e muoiono delle persone. La volizione era presente al momento della condotta – posizionamento dell’ordigno – quindi si ritiene comunque configurata).
Ci sono casi in cui la volizione non si configura, sono i casi di dolo antecedente, generale e susseguente. DOLO ANTECEDENTE
Il soggetto vuole causare la morte di una persona, immediatamente dopo estrae la pistola ma gli parte per errore un colpo che comunque uccide la persona. Lo sparo è prodotto dall’imprudenza e non da volizione presente al momento della condotta. Il soggetto risponderà di omicidio colposo in quanto il dolo non è configurato.
DOLO SUSSEGUENTE
supponiamo il reato di ricettazione, un soggetto acquista un bene ignorandone l’illecita provenienza. Il fatto è illecito ma al momento il soggetto non ha volizione in quanto ignora la provenienza. Se successivamente ne venisse a conoscenza e decidesse comunque di tenersi il bene (dolo susseguente) il dolo non è configurato, il reato di ricettazione non si configura, al massimo potranno configurarsi altri reati se previsti dal codice (in questo caso omessa restituzione di beni di provenienza illecita.)
DOLO GENERALE
si configura quando vi è divergenza tra ciò che il soggetto pensa di aver commesso e quanto in realtà è accaduto. Es: un soggetto colpisce
un altro con un’arma, credendolo morto (ma non lo è) lo mette in un sacco di plastica e questi muoia per asfissia. Rispetto alla 1^ fase ha agito con dolo ma ha realizzato solo lesioni personali, rispetto alla 2^ fase con l’errore della presunta avvenuta morte (imprudenza, ha omesso di verificarne l’effettiva morte) cagiona involontariamente la sua morte (la volizione in quel momento – condotta – non era presente. Siamo innanzi ad un concorso di reati, il soggetto risponderà di due capi d’accusa, tentato omicidio (1^ fase) ed omicidio colposo (2^ fase). Ulteriore aspetto è il concetto di intensità del dolo che indica l’intensità dell’elemento psicologico e, alla luce dell’art 133 cp ha rilevanza in ragione della commisurazione della pena. DOLO D’IMPETO
È la forma meno grave, il soggetto compie il fatto immediatamente dopo aver pensato e deciso il fatto.
DOLO DI PROPOSITO
detto anche PREMEDITAZIONE ( nei reati di omicidio e lesioni). L’agente ha maturato e coltivato la decisione per un certo periodo di tempo prima di commettere il fatto, per la giurisprudenza sono sufficienti almeno 2 ore di intervallo tra rappresentazione e commissione.
Oggetto del dolo è il fatto descritto dalla norma incriminatrice, nel senso di condotta ed evento (se previsto). Per i reati a forma vincolata la previsione e volizione deve essere quella specificamente prevista dalla norma (truffa: compiere raggiri inducendo in errore il terzo per trarne ingiusto profitto). Per i reati a forma libera, è sufficiente che lo scopo di previsione e volizione sia rispondente a quanto accaduto (se voglio uccidere un soggetto facendolo annegare buttandolo giù degli scogli ma, cadendo, batte il capo e la morte avviene non per annegamento ma per trauma cranico.) QUALIFICHE SOGGETTIVE REATI COMUNI chiunque può compiere il fatto. REATI PROPRI solo alcuni soggetti possono compierli, non è necessario che l’agente sappia di avere quella qualifica (caso 2 del medico), è sufficiente che sia a conoscenza di un sostrato di fatto. Ossia basta che si renda conto di essere un medico, l’imprenditore (per il reato di bancarotta) non è necessario che sappia di essere un imprenditore, basta che si renda conto di svolgere un’attività economica per cui è tenuto a tenere scritture contabili. TIPOLOGIE DI DOLO DOLO EVENTUALE
non previsto dal codice, è una categoria teorica che indica un atteggiamento psicologico caratterizzato da presenza di previsione ma non della volizione. È il coefficiente minimo per la responsabilità per dolo, se configurato l’agente è comunque responsabile del fatto dolosamente. Esempio, un soggetto per estorcere denaro ad un commerciante posiziona un ordigno per intimidirlo. Nel posizionarlo prevede la possibilità di causare morti, non vuole uccidere (vuol solo
intimidire a scopo estorsivo) ma, ciò nonostante, l’ordigno esplode e muoiono delle persone. Il soggetto è colpevole dolosamente. DOLO INTENZIONALE
È la forma più grave di dolo, il fatto o evento compiuto è quello previsto e voluto dall’agente.
DOLO GENERICO
rappresenta il dolo “normale”, non espressamente indicato dalla norma, il fatto o evento voluto è coincidente comunque con quello descritto dalla norma (reati a forma libera.)
DOLO SPECIFICO
si configura quando la norma contiene espressioni tipo “al fine di” “ allo scopo di”. Il soggetto per essere dolosamente colpevole deve prevedere e volere unicamente il fatto/ evento specificamente descritto dalla norma. Se un soggetto compie un fatto materiale (es: sottrae un bene) ma non per trarne un profitto ma per distruggerlo, non si configura il reato di furto. Al massimo, solo se sussistono gli estremi, potrà configurarsi altro reato (in questo caso danneggiamento).
ERRORE L’errore è strutturalmente collegato con il dolo che Marinucci tratta in merito all’elemento rappresentazione. Esistono diversi tipi di errore: errore di interpretazione dei fatti ed errore di diritto o interpretazione della norma di legge. ERRORE SUL FATTO
Consiste in un’errata interpretazione degli accadimenti naturalistici, un errore di percezione. Questo errore fa venir meno la responsabilità per dolo.
ERRORE DI DIRITTO
consiste in un’errata interpretazione di una norma di legge ed è equiparato all’ignoranza della legge. Se ha ad oggetto una legge penale si applica l’art. 5 cp altrimenti, se ha ad oggetto una norma extrapenale si applica l’art. 47 cp.
Alcuni esempi: 1 cacciatore che spara verso un cespuglio credendo presente un cinghiale ma in realtà si trattava di un bambino. 2 un soggetto ottiene una separazione personale e contrae nuovo matrimonio credendosi già libero da vincoli matrimoniali (bigamia.) 3 un soggetto uscendo dal ristorante vede un cappotto uguale al suo e lo prende credendolo suo. 4 un medico credendo un uomo morto, procede all’espianto degli organi. ART 47 1 co.
Questo articolo al primo comma disciplina l’errore sul fatto che costituisce reato. Per parlare di vero errore, deve riguardare gli elementi fondamentali del fatto tipico di reato. Nel delitto di omicidio i fatti sono il cagionare la morte di un uomo. Il cacciatore ha commesso sì il fatto ma ha commesso errore scambiando un uomo per la
selvaggina. Il medico ha scambiato un uomo vivo per uno deceduto. Quando il fatto è realizzato per errata rappresentazione dei fatti, il fatto commesso non è considerato doloso. Non di meno, se si tratta di errore derivato da colpa, il fatto sarà punito per colpa (se il fatto è previsto come reato colposo). Il cacciatore non ha colposamente accertato la natura del suo bersaglio, il medico non ha accertato la morte cerebrale in quanto al furto, non essendo previsto come reato colposo, il fatto non costituirà responsabilità penale. Irrilevanza dell’error aetatis
si tratta dell’errore sull’età della persona. La legge prevede quale età minima per il libero esercizio dell’attività sessuale quella dei 14 anni. Se un 18 enne, per esempio, a causa dello sviluppo di una 13 enne, fa sesso con essa, credendola maggiore di 14 anni, egli non potrà avvalersi dell’errore. L’art 47 cp non si applica, il soggetto non è scusabile e si applica l’art 609 sexies cp.
Ci sono casi in cui l’errore su uno degli elementi fondamentali del reato produce l’applicazione di un’altra norma più o meno grave. Pensiamo ai casi di omicidio ed omicidio del consenziente. Se un soggetto ne uccide un altro credendo che questo abbia dato il suo consenso alla sua uccisione, benché il consenso in realtà non fosse stato dato (l’agente lo ha supposto erroneamente) si applica la norma sull’omicidio del consenziente (con portata minore) e non quello dell’omicidio volontario. Allo stesso modo un soggetto che ne aggredisca un altro non sapendo che è un pubblico ufficiale (es perché in borghese), risponderà di violenza privata e non di aggressione a pubblico ufficiale. ART. 47 2 co
L’errata interpretazione sul fatto non esclude la punibilità del fatto per altro reato. Il giudice deve valutare i fatti e può decidere che tali fatti hanno configurato fatto tipico di altro reato su cui l’errore non ha inciso. Es. ritrovamento per strada di un bene, chi lo trova suppone che il proprietario lo abbia abbandonato (errore sull’altruità del bene). Non si configura il reato di furto, però l’errore non scusa il fatto di appropriazione di cose smarrite in quanto per l’”invenzione” chi ritrova il bene deve consegnarlo al sindaco del paese del ritrovamento.
ART 47 3 co
L’errore su norma extrapenale che determini un errore sui fatti, determina la loro non punibilità per dolo ma si applica la disciplina del 1° comma. Es: per errata interpretazione di un contratto, un soggetto, ritiene che un certo bene sia di sua proprietà mentre in realtà non lo è. Il fatto che egli se ne impossessi è fatto tipico di reato (furto) ma essendo causato da errore di interpretazione del contratto (ha valore di legge o norma tra le parti..) il soggetto non risponde per dolo. In questo caso rientra anche l’esempio della bigamia di cui sopra.
Marinucci sottolinea come la giurisprudenza abbia adottato storicamente una sorta di abrogazione del 3° comma ritenendo l’errore su norma extrapenale non scusabile. Solo dal 2002 con una sentenza della Cassazione, si è cambiato indirizzo almeno in ambito di reati patrimoniali enunciando il principio che l’errore di interpretazione di una norma extrapenale avente ad oggetto le modalità di acquisto della proprietà RILEVA. I fatti non sono quindi punibili tranne il
caso della bigamia in quanto non concerne acquisto di proprietà per cui la giurisprudenza continua a muoversi contrariamente al disposto del 3° comma. ART 48 cp
L’errore determinato dall’altrui inganno. Le disposizioni dell’art 47 si applicano anche ai casi in cui l’errore sia stato indotto dall’altrui inganno ma, del fatto, risponderà il soggetto che ha prodotto l’inganno. Es. gli amici dicono ad un tizio che quel cappotto è suo ma in realtà è di altro soggetto. Inganno = condotta consistente nello svolgimento convincente di una comunicazione verbale o scritta Artifizi = modificazione della realtà circostante, è una ”messa in scena” per portare in errore un terzo. Anche l’inganno colposo (realizzato colposamente dagli ingannatori) esclude la responsabilità dell’ingannato. Gli ingannatori rispondono del fatto commesso.
La presenza del dolo può presentarsi anche in situazioni di errore es: il tifoso che volendo colpire un altro soggetto, al posto di ferire la persona voluta, ne ferisce un’altra. Tali situazioni sono disciplinate dall’art 82 cp. ART 82 cp
1° co. Delitti aberranti. Questi casi regolano l’offesa voluta (dolosamente) ma inferta a persona diversa (diversità di soggetto). Si ritiene irrilevante l’identità del soggetto leso a causa di errore nei mezzi di esecuzione, ciò che conta è il dolo presente al momento della condotta ed il realizzarsi dell’evento in astratto. 2° co. Aberratio ictus dell’offensiva. In questo caso, oltre ad offendere il soggetto contro cui la condotta è rivolta, l’agente procura lesioni anche ad un’altro. Es sparo per uccidere un soggetto con un mitra, lo uccido ma uccido anche altri con la raffica di colpi. In questi casi l’agente risponde dolosamente della pena prevista per il reato più grave commesso (ad esempio qualcuno è morto ed altri solo feriti..), pena aumentata della metà. Pur in assenza di dolo rispetto al secondo evento, la pena è aggravata in quanto: dolo per il primo evento (voluto) e responsabilità oggettiva per il secondo evento (accidentale).
ART. 83
1 co. Aberratio delictii mono offensiva. È il caso di un soggetto che lancia una pietra volendo danneggiare una vetrina ma per errore colpisce un passante procurando lesioni personali. In questo caso la diversità è di evento, volevo provocare un danneggiamento ma ho provocato lesioni personali. L’articolo dispone che il soggetto risponde a titolo di colpa dell’evento non voluto se previsto dalla legge come reato colposo. Non risponde quindi del danneggiamento ma di lesioni personali colpose. La giurisprudenza ha letto questo articolo come responsabilità dolosa quale responsabilità oggettiva. Infatti non è
previsto l’accertamento degli elementi della colpa. Dottrina e lo stesso Marinucci, hanno criticato questo orientamento ritenendo necessario verificare la sussistenza degli elementi della colpa. Se invertiamo i fatti ed il soggetto avesse voluto colpire il soggetto e per errore colpisce invece la vetrina, egli risponderà di tentativo di lesioni personali ma penalmente il danneggiamento non gli è addebitabile perché non previsto quale reato colposo (risponderà solo civilmente dei danni…) 2 co. Aberratio delictii pluri offensiva. In questo caso, oltre all’evento voluto, il soggetto ne provoca altri. Es. il soggetto lancia sempre il sasso che colpisce la vetrina ma finisce per procurare anche lesioni personali ad altro soggetto (concorso di reati). In questo caso risponde dolosamente per il reato più grave la cui pena sarà aumentata fino al triplo, risponde di entrambi i reati attraverso l’aggravio di pena. La giurisprudenza anche in questo caso ritiene si tratti di responsabilità oggettiva per l’evento diverso (lesioni personali); anche in questo caso dottrina e Marinucci ritengono necessario procedere all’accertamento della sussistenza degli elementi della colpa. 3° REQUISITO – CONOSCIBILITA’ DELLA LEGGE PENALE o ASSENZA DI ERRORE INEVITABILE SULLA LEGGE PENALE Può accadere che un soggetto agisca ignorando o sbagliando ad interpretare la legge penale, facciamo degli esempi: 1 medico che colleziona armi antiche, acquistandone un nuovo esemplare chiede ai carabinieri se è necessario denunciarne l’acquisto. Questi gli dicono di no ed egli tiene quindi l’arma. Un giorno la polizia fa irruzione in casa sua e trova l’arma denunciandolo per detenzione abusiva di armi. 2 imprenditore agricolo che chiede ed ottiene concessione edilizia per edificare rilasciata dal comune ma relativa ad area non edificabile secondo il piano regolatore (violazione di norma di legge, atto della PA illegittimo). Se l’imprenditore edifica commette fatto tipico di reato. 3 straniero da poco tempo in Italia che si mette a commerciare materiale audio visivo sprovvisto del tagliandino siae (evasione dei diritti d’autore) non conoscendo l’obbligo della legge sul diritto d’autore. Secondo l’art 5 cp la regola generale è che nessuno può invocare a sua scusa l’ignoranza della legge penale. Questo articolo è stato criticato da dottrina e giurisprudenza in ragione del principio di colpevolezza personale sancito dall’art 27 della cost. e in ragione della finalità rieducativa della pena: può essere rimproverato ad un soggetto qualcosa che non conosceva? Può essere rieducato un soggetto attraverso la pena per qualcosa che non conosceva? La Corte costituzionale ha ritenuto l’art 5 parzialmente incostituzionale e andrà quindi così letto: nessuno può invocare a sua scusa l’ignoranza e l’errore sulla legge penale tranne se inevitabile. L’ignoranza e l’errore sulla legge penale quindi rilevano a patto di ritenere presenti alcuni criteri / motivi: CRITERIO SOGGETTIVO
I motivi soggettivi (personali) possono rendere l’ignoranza e l’errore inevitabili quando è presente la mancanza o l’insufficiente socializzazione del soggetto con la comunità in cui compie il fatto. (stranieri da poco in Italia che non conoscono la legge italiana, posto
che quel fatto da loro compiuto non fosse previsto come reato nel loro paese). Ad esempio il cittadino polacco da pochi giorni in Italia che vende video cassette senza il bollino siae (In Polonia i diritti d’autore non esistono.) CRITERI OGGETTIVI
1) Assoluta oscurità del testo normativo
il soggetto che ha commesso il fatto è stato condotto in errore sull’interpretazione della legge a causa di una sua formulazione completamente incomprensibile e non solamente “poco chiara”.
2) Mutamento improvviso dell’interpretazione giurisprudenziale Alcune norme incriminatrici hanno avuto nel tempo, da parte della giurisprudenza, un’applicazione particolare tanto da rappresentare un’interpretazione che ha assunto “valore di contenuto della norma”. Talvolta la Cassazione interviene lei stessa modificando l’orientamento della giurisprudenza. Questa situazione viene equiparata dalla dottrina (non dalla giurisprudenza) al caso di errore inevitabile sulla legge penale determinando la non colpevolezza del soggetto.
3) mancata distribuzione della GU
la mancata distribuzione della GU determina la non conoscibilità della legge per i cittadini in quanto è il mezzo di pubblicità della legge, ciò determina ignoranza inevitabile della legge.
CRITERI MISTI
Autorizzazioni e pareri dell’autorità competente Pareri ed autorizzazioni possono essere considerate sia come criterio oggettivo che misto. Come criterio misto vi concorrono motivi soggettivi (relativi al soggetto) ed oggettivi (la presenza materiale di autorizzazioni rilasciate da autorità competenti). In senso oggettivo autorizzazioni e pareri rilasciati da organi competenti formano la convinzione psicologica nel soggetto della legittimità del fatto da esso compiuto. In senso soggettivo il soggetto che le riceve è ritenuto non colpevole qualora per sua condizione personale non sia fornito di idonee conoscenze tecniche o professionali in relazione al merito dell’autorizzazione / parere. Il medico non ha competenze giuridiche quindi non è in grado di verificare la fondatezza del parere ricevuto dai carabinieri. Allo stesso modo l’imprenditore agricolo non ha competenze in materia edilizia (se fosse stato un ingegnere edile, invece, avrebbe potuto verificare la legittimità della concessione).
4° REQUISITO – ASSENZA DI SCUSANTI Sono scusanti situazioni che turbano o modificano la libera volontà con cui il soggetto agisce (condizionamenti della psiche). Il soggetto agisce con dolo “viziato” o “condizionato” da fattori esterni, manca quindi la colpevolezza. La mancanza di scusanti determina la colpevolezza. Marinucci indica tra le scusanti (alcune ma non tutte quelle presenti nel cp) la provocazione, il nemotenetur se detegere (no si può costringere nessuno a confessare) art 384 cp, stato do necessità cogente, coazione morale ed ordine illegittimo della pubblica autorità. PROVOCAZIONE art. 599 2 co.
Si applica ai delitti che tutelano l’onore. “non è punibile chi ha commesso alcuni dei fatti previsti agli artt 594 e 595 cp (diffamazione ed ingiuria), se commessi in stato d’ira, subito dopo fatti ingiusti compiuti da altri. Tale scusante non è applicabile ad altri delitti. Es: il marito legge il diario della moglie e, venuto a conoscenza di certi fatti, fotocopia le pagine, vi aggiunge epiteti e li invia ad un giornale per farli pubblicare ed agli amici (reato di diffamazione.)
Componente soggettiva
il soggetto per invocare la scusante deve trovarsi in uno stato d’ira (ha perso il controllo di se stesso).
Componente oggettiva
lo stato d’ira deve essere provocato da un fatto ingiusto altrui. Fatto ingiusto che non necessariamente deve essere un reato, la giurisprudenza ha riconosciuto quale fatto ingiusto anche fatti che si limitano a violare regole morali, etiche e di educazione. Nel caso sopra riportato la moglie aveva annotato sul diario un episodio di infedeltà coniugale.)
Componente causale
vi deve essere un rapporto di consequenzialità tra fatto ingiusto e stato d’ira.
Componente cronologica
la reazione deve essere immediata. Immediatezza che deve essere rapportata al momento in cui il soggetto ha avuto notizia del fatto. La giurisprudenza ritiene immediata una reazione che avviene entro le 24 ore dal momento in cui il soggetto è venuto a conoscenza del fatto che desta la sua ira. Anche se la reazione è contestuale al fatto (contemporanea) è riconosciuta la scusante.
Lo stato di provocazione non è applicabile quale scusante ad altri tipi di reato che non siano diffamazione e/o ingiuria, per altri tipi di reato rappresenta al massimo un’attenuante (art 62 cp.) NEMOTENETUR SE DETEGERE art 384 cp Questo istituto è legato alla presenza di un condizionamento della psiche legato all’istinto di conservazione proprio o di elementi della propria famiglia (prossimi congiunti). Questa scusante si applica ai reati previsti dall’articolo 384 stesso, si tratta di reati contro la giustizia per cui un soggetto li commette per salvare se stesso od un prossimo congiunto da grave nocumento nella libertà o nell’onore. Ad esempio false dichiarazioni rilasciate al PM o alle forze dell’ordine,
falsa testimonianza (reato nel processo..) favoreggiamento personale ecc. L’esempio è quello della madre che rilascia ai carabinieri false dichiarazioni per evitare che il figlio sia sottoposto ad indagine e processato e poi condannato per un reato che le sa da esso commesso. Per la giurisprudenza l’esempio costituisce il caso di favoreggiamento. È necessario in questi casi chiedersi se: 1- il fatto rientra tra quelli elencati dall’articolo 384 (in questo caso sì, favoreggiamento); 2- il fine è quello previsto dall’articolo (in questo caso sì, salvare un congiunto dal pericolo di reclusione). Solo gravi nocumenti alla libertà ed all’onore giustificano il comportamento, infatti, se la lesione non è grave, il soggetto è punibile (es. il ragazzo interrogato dai CC per ottenere informazioni su uno spacciatore mente per non far sapere loro ed ai suoi genitori di essere consumatore occasionale di stupefacenti = la giurisprudenza non ritiene tale lesione all’onore di tipo grave). In merito al solo caso di falsa testimonianza: la giurisprudenza ha ritenuto la giustificazione non applicabile. Se il soggetto è chiamato a testimoniare deve obbligatoriamente dire la verità e non nascondere fatti di cui è a conoscenza, altrimenti può avvalersi della facoltà di non rispondere. I recenti orientamenti della giurisprudenza hanno ampliato il concetto di prossimi congiunti includendo anche i conviventi ed i loro figli. STATO DI NECESSITA’ COGENTE Lo abbiamo già analizzato in via generale, realizzato per salvare se o prossimi congiunti è ritenuto da Marinucci una scusante e non una causa di giustificazione.
COAZIONE MORALE Disciplinata dell’art. 54 cp (detta anche costringimento psicologico), lo abbiamo già visto nel costringimento mediante l’uso delle armi. Il soggetto agisce condizionato psichicamente dalla minaccia altrui. Es il notaio che minacciato con una pistola compila un testamento falso. ORDINE ILLEGITTIMO INSINDACABILE DELLA PUBBLICA AUTORITA’ art 51 2^ parte Si tratta dell’adempimento ad un ordine, da parte di militari o forze equiparate, ad un ordine illegittimo che però non è manifestamente criminoso, il soggetto agisce perché condizionato da pressione e
condizionamento psicologico dal rapporto gerarchico di subordinazione. Al di fuori di questi 5 casi di scusanti non ve ne sono altre. INESIGIBILITA’: Una parte della dottrina, però, ha per un certo tempo ritenuto scusabile il fatto qualora non fosse esigibile dal soggetto un comportamento diverso. Tale previsione avrebbe attribuito al giudice un potere di sindacato in merito elevatissimo, giurisprudenza e poi la stessa dottrina in genere non hanno mai accolto questa previsione (es dipendente che compie un reato perché costretto a compierlo dall’imprenditore dietro minaccia di licenziamento. Tale minaccia non permetteva di esigere dal dipendente un comportamento diverso..). COLPEVOLEZZA NELLE CONTRAVVENZIONI. Abbiamo visto fino ad ora l’art 42 cp riferito ai delitti. Lo stesso articolo disciplina al 2° comma anche le contravvenzioni disponendo che ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria sia essa dolosa o colposa. L’art 43 ultimo comma interviene enunciando che la distinzione prevista dall’articolo 42 tra dolo e colpa per i delitti, si applica anche alle contravvenzioni. Da ricordare che secondo l’art. 42 i delitti sono punibili a titolo doloso e solo quando espressamente previsto dalla norma incriminatrice a titolo colposo. Le contravvenzioni, invece, possono essere punite sia a titolo colposo che doloso. L’art 133 cp contiene i criteri per la commisurazione della pena, criteri che considerano il grado della colpa o l’intensità del dolo. Questi due elementi hanno effetti giuridici sulla commisurazione sia dei delitti che delle contravvenzioni. Fino ad ora abbiamo considerato il reato come un fatto compiuto, consumato. Ci sono anche casi in cui il legislatore decide di anticipare la punibilità di un fatto di reato prima che venga commesso.
IL TENTATIVO Il nostro codice oltre a punire il reato consumato prevede l’ipotesi di punire i delitti tentati (art 56 cp). La finalità è quella di anticipare la punibilità e la protezione del bene giuridico fino al compimento di atti che ancora non consistono in un reato consumato. “chiunque compia atti idonei a commettere in modo univoco un delitto è punibile anche se il fatto di reato non si compie”. Es1: un soggetto vuole ucciderne un altro ed usa un’arma senza sapere che è difettosa, la punta e preme il grilletto ma non parte il colpo. Es2: imprenditore che viene colto dalla GdF in possesso di fatture false e di una domanda da presentare poi ad un pubblico ufficio per ottenere un finanziamento. Es3: rapinatori che stanno per entrare in una banca con armi e passamontagna e casualmente vengono intercettati dai CC prima di compiere la rapina. Es 4: ragazzi sul cavalcavia gettano dei sassi sull’autostrada colpendo un’auto facendola uscire di strada causando lesioni personali all’autista. Si scopre poi che uno di loro ha gettato un masso molto grosso atto a procurare la morte. Innanzitutto il tentativo è applicabile solo ai delitti e non anche alle contravvenzioni. L’offesa nei casi in specie è la messa in pericolo del bene giuridico (considerazione dottrinale). La giurisprudenza intende il pericolo in modo molto ampio tanto da non necessitare una vera messa in pericolo del bene. Il fatto di tentativo è composto dal fatto di tentativo, antigiuridicità e colpevolezza. I requisiti necessari al tentativo sono IDONEITA’ ed UNIVOCITA’. IDONEITA’
Il giudice deve valutare se l’atto compiuto e adeguato (ha la potenzialità) a portare il delitto a compimento, si tratta di”prognosi postuma” ai fatti, si deve accertare se al
momento dei fatti l’atto compiuto fosse idoneo a causare il compimento del delitto. (possibilità di realizzarlo). Es: un soggetto usa un’arma con 40mt di gittata ma la vittima è a 70mt, quell’atto non è idoneo a cagionare la morte. Si deve compiere una valutazione ed esistono due impostazioni su due criteri: o
criterio a base totale (secondo Marinucci) richiede che l’accertamento sia compiuto tenendo conto di tutte le condizioni effettivamente presenti al momento della commissione degli atti.
o
Criterio a base parziale (secondo giurisprudenza) si considerano solo le circostanze che il soggetto conosceva al momento dei fatti. (nel caso dello sparo il soggetto attivo non sapeva della difettosità dell’arma quindi l’atto è idoneo al compimento del delitto, lo stesso dicasi per la truffa dell’imprenditore.
Va sottolineato che l’enunciato dell’art 49 cp prevede la necessità di considerare tutte le circostanze, spingendo verso la posizione di Marinucci. UNIVOCITA’
La norma richiede che gli atti siano diretti al compimento del delitto in modo non equivoco. o
direzione: atti commessi finalizzati al compimento di un delitto
o
non equivocità: secondo una posizione dominante in dottrina e come ritenuto dalla giurisprudenza, questo requisito risulta presente quando gli atti siano giunti ad un punto tale nella commissione del fatto che il soggetto attivo difficilmente desisterà dalla consumazione del delitto. Es della rapina, i rapinatori stavano ormai per entrare in banca… questo requisito da adito a discussioni in quanto l’univocità verso uno specifico delitto non è sempre identificabile in modo preciso. Ad esempio i “rapinatori” avrebbero potuto entrare in banca non per rapinare ma per uccidere il direttore o per sequestrarlo ad esempio. La giurisprudenza li ritiene comunque univoci.
Marinucci ritiene che gli atti sarebbero univoci solo quando siano anche esecutivi del delitto. Il fatto di rapina consiste in atti di minaccia o violenza (requisiti fondamentali di questo delitto) finalizzati all’appropriazione di beni mobili altrui. Secondo Marinucci sarebbe necessario per configurare l’univocità che i rapinatori avessero almeno compiuto atti di minaccia o violenza. In questo senso Marinucci considera la detenzione di armi e maschere e la presenza all’entrata della banca dei meri ATTI PREPARATORI. Impostazione questa non seguita. Gli atti compiuti e ritenuti idonei ed univoci per il tentativo non devono concludersi con la realizzazione dell’azione o dell’evento tipico di reato. Anche nel tentativo devono essere presenti antigiuridicità e colpevolezza. Quest’ultima riveste un ruolo fondamentale. Nel tentativo la colpevolezza, prevista dall’art 43 cp, alla luce del disposto dell’art 56 consiste esclusivamente nel dolo (rappresentazione e volizione), il soggetto attivo deve quindi essere cosciente e consapevole che gli atti compiuti sono indirizzati al compimento di tale delitto. Il dolo eventuale non è sufficiente a configurare la colpevolezza secondo la dottrina, non sarebbe finalizzato al compimento del delitto in questione ma di altri fatti. Secondo la giurisprudenza il dolo eventuale è da solo già idoneo a configurare la colpevolezza. Il caso del cavalcavia è stato risolto con la condanna per tentato omicidio per il soggetto che ha lanciato il masso. In questo caso Marinucci concorda con la dottrina.
DESISTENZA VOLONTARIA E RECESSO ATTIVO Se il colpevole desiste volontariamente dall’azione, soggiace alla pena solo per i fatti compiuti qualora costituiscano da sé fatto di reato. Es. il ladro che entra in casa per rubare ma giunto davanti alla cassaforte desiste e decide magari di tornare un’altra volta. Il tentativo sussiste (si è introdotto per rubare), la desistenza però fa cadere la punibilità. Desistenza che deve avvenire volontariamente e non indotta da fattori esterni, ad esempio perché ha sentito le sirene della polizia. Nel caso in specie, la desistenza volontaria determinerà la punibilità del ladro solo per la violazione di domicilio. Il recesso attivo comporta l’applicazione della pena prevista per il tentativo ma diminuita da 1/3 AD ½. Il recesso attivo so configura quando il soggetto attivo volontariamente impedisce l’evento. Es: posiziona una bomba per uccidere una persona, avviene l’esplosione, la persona viene colpita ma l’attentatore interviene salvando la persona che avrebbe voluto uccidere. In questo modo interrompe il rapporto causale tra la condotta e l’evento voluto. La ragione di tale previsione è che i fatti sono ormai giunti ad una gravità tale da ritenere di punire ugualmente il soggetto attivo. APPLICABILITA’ DEL TENTATIVO Secondo la previsione dell’art 56 cp il tentativo è espressamente riferito al delitto, risulta quindi incompatibile con le contravvenzioni. Ciò emerge già dalla lettura del disposto di tale articolo, ne emerge anche l’incompatibilità con i delitti colposi e preterintenzionali a causa della previsione di atti “diretti” al compimento del delitto, necessita quindi prefigurazione e volizione tipiche del dolo. DELITTI OMISSIVI PROPRI, in merito a questo tipo di reati la dottrina dominante ritiene incompatibile il
tentativo in quanto i reati omissivi sono caratterizzati da un comportamento dovuto che deve essere tenuto entro un certo termine. Come sarebbe possibile commettere atti diretti ed idonei a non tenere un certo comportamento fintanto che si ha la possibilità di tenerli entro quel termine? Una certa corrente dottrinale lo ritiene compatibile al caso in cui un soggetto compie atti indirizzati ed idonei a non tenere quel comportamento dovuto e venga scoperto (es si prepara alla fuga in presenza di un obbligo a cominciare informazioni alla CONSOB ad esempio). La giurisprudenza concorda con
la dottrina dominante ritenendo incompatibile tentativo e delitti omissivi propri. DELITTI DI PERICOLO ASTRATTO questi reati sono caratterizzati dalla presunzione fatta dal legislatore dell’esistenza del pericolo nel solo configurarsi dell’elemento descritto dalla norma incriminatrice (es associazione a delinquere). Basta la mera associazione finalizzata al compimento di delitti e non il compimento concreto. Si tratta di punire il “pericolo” di lesione ad un bene giuridico. L’art 56 cp in pratica con la previsione del “tentativo” trasforma i delitti materiali in “pericolo di delitto”. Secondo la dottrina (con cui Marinucci concorda) il tentativo non è compatibile con i reati di pericolo astratto perché si punirebbe il “ pericolo di pericolo di lesione” anticipando troppo la protezione del bene giuridico. Per la giurisprudenza il tentativo è compatibile con i delitti di pericolo astratto. DELITTI DI PERICOLO CONCRETO in questo caso dottrina e giurisprudenza concordano sulla compatibilità tra tentativo e questi delitti (es tentato incendio di cosa propria). DELITTI DI ATTENTATO. È una tipologia di delitti, previsti nel cp a tutela della personalità dello stato (da non confondere con il linguaggio comune di attentato). La norma si caratterizza dalla presenza di alcune formule particolari che consentono di punire fatti non ancora giunti al livello del tentativo (fatti “diretti al compimento” senza la necessaria presenza di idoneità ed univocità). La giurisprudenza è intervenuta in merito sancendo la lettura degli articoli nel senso che i fatti devono essere giunti almeno al livello del tentativo. Con la riforma del 2006 sono stati introdotti requisiti ulteriori tanto che i delitti di attentato sono costruiti come delitti di tentativo o “a consumazione anticipata”, infatti, la loro formulazione è di “atti violenti idonei e diretti a…”. L’elemento della violenza rende la portata della norma maggiormente restrittiva. Il tentativo è applicabile solo ai casi estremi in cui vi è violenza.
DELITTI AGGRAVATI DALL’EVENTO sono quei delitti che non prevedono un evento, evento che però se si realizza determina un’aggravante per il soggetto attivo. Es: direttore di collegio che infligge una punizione ad uno studente imponendogli il digiuno per 24 ore. Se il soggetto è ipoglicemico e dovesse morire a causa del digiuno, il direttore, sarebbe responsabile di delitto di abuso di mezzi correttivi aggravato dall’evento morte. Per questi reati la
giurisprudenza ha ritenuto compatibile il tentativo qualora il giudice appuri che nella condotta del soggetto attivo ci sia stata la volontà di commettere un abuso di mezzi correttivi.
DELITTO IMPOSSIBILE art. 49 cp. Si tratta di delitti impossibili a causa dell’errata convinzione che un fatto costituisca reato. Es. 1soggetto che spara ad un altro con un’arma difettosa; es. 2 soggetto che introdottosi in camera da letto del suo bersaglio, spara al suo corpo ma si scopre che la vittima era già morta tre ore prima per un infarto. In tutti e due gli esempi gli atti sono idonei (si spara) ed univoci ( verso un soggetto) alla realizzazione del delitto di omicidio, evento che non è avvenuto. In questi casi bisogna compiere una distinzione tra l’inidoneità dell’azione e l’inesistenza dell’oggetto dell’azione. Inidoneità dell’azione: riguarda la condotta, bisogna verificare se quella tenuta era realmente idonea alla realizzazione del delitto. Nei confronti del primo caso si configura il contrasto tra dottrina e giurisprudenza, la prima ritiene il fatto un delitto impossibile, quindi il soggetto attivo non è punibile, la seconda considera solamente le circostanze di cui il soggetto attivo è a conoscenza al momento della condotta (se non sapeva della difettosità dell’arma è punibile). Inesistenza dell’oggetto: si tratta del caso in cui l’oggetto del fatto di reato non sia presente e si distinguono due sotto ipotesi: oggetto assolutamente inesistente - quando l’oggetto non esiste in natura, è il caso dell’esempio 2, il reato di omicidio ha ad oggetto un uomo, in quel caso il bersaglio era già morto, cadavere, l’oggetto del delitto “uomo” non esisteva al momento dei fatti, il soggetto attivo non è punibile; mancanza occasionale dell’oggetto – si configura quando l’oggetto del delitto non è presente per un caso fortuito ad esempio se nel nostro caso 2 la vittima non fosse stata nel letto perché ad esempio era in bagno (durante la notte) il soggetto attivo è punibile. Tutti i delitti impossibili prevedono la non punibilità del soggetto attivo tranne nel caso in cui il giudice lo ritenga socialmente pericoloso e possa quindi disporre la libertà vigilata. Facciamo anche il caso del borsaiolo che introduce la mano in una tasca per prelevare un bene mobile ma non trovando nulla la ritragga. Il fatto che normalmente nelle tasche degli abiti siano presenti beni mobili asportabili rende l’oggetto del delitto di furto occasionalmente mancante, il fatto di introdurre la mano in una tasca è un atto diretto ed idoneo in modo inequivocabile al compimento del furto. IL CONCORSO DI PERSONE Disciplinato dall’articolo 110cp. Questo articolo amplia i casi in cui la responsabilità penale può essere costituita. So collega all’art 56 cp. In questo caso però l’incriminazione riguarda soggetti che commettono alcuni atti che non costituiscono ancora reato. I soggetti non compiono un fatto di reato ma si inseriscono nella sua commissione. Es 1- Tizio sapendo che un suo amico vuole uccidere un’altra persona, gli presta la sua pistola per compiere l’omicidio. 2- l’assemblea dei soci di una società delibera di indicare all’amministratore di compiere un falso in bilancio, reato che è poi compiuto dall’amministratore. 3- un soggetto decide di aiutare un amico per commettere una rapina, gli presta la sua arma da fuoco che però non viene usata nella rapina. In tutti i casi succede che nel fatto di reato compare un soggetto ulteriore all’esecutore materiale (un concorrente) il quale non realizza un fatto di reato “autonomo” ma realizza un contributo al fatto di reato. Si tratta di identificare la
rilevanza che viene assunta dal comportamento atipico del concorrente. In presenza di alcune condizioni il contributo atipico, assume rilevanza penale (concorso – compartecipazione > comunemente = complicità). Il codice Zanardelli introduceva un regime di responsabilità differenziata disciplinando in modo differenziato il comportamento dell’autore e del complice. Il codice Rocco ha cambiato rotta e si è prefissato di perseguire infliggendo la stessa pena sia al soggetto attivo che ai concorrenti. Proprio attraverso l’art 110 cp che dispone che ciascuno dei concorrenti soggiace alla stessa pena prevista per il reato commesso. - EQUIPARAZIONE DEL TRATTAMENTO SANZIONATORIO – Marinucci sostiene la teoria dell’accessorietà per cui il contributo dell’azione atipica, diventa penalmente punibile perché “accede” (aiuta la commissione) ad un’azione tipica di reato. L’azione esecutiva “cede” una parte di tipicità all’azione del complice estendendo così la tipicità anche al concorso. Secondo l’impostazione seguita da Marinucci è sufficiente l’accessorietà minima (ossia che l’aiuto del complice sia causale – abbia favorito, agevolato - al fatto tipico realizzato). Altri autori sostengono l’accessorietà limitata per cui si rende necessario che il fatto tipico sia anche antigiuridico, un’ultima posizione seguita da quasi nessuno è quella dell’accessorietà estrema per cui il fatto tipico deve essere anche colpevole e punibile. ACCESSORIETA’ MINIMA nasce in quegli ordinamenti in cui vige una responsabilità differenziata. L’accessorietà nel nostro codice è molto meno utile. La teoria segue la cd “fattispecie plurisoggettiva”, partendo dal trattamento sanzionatorio unificato, l’art 110 cp consente di trasformare tutti i reati da fattispecie mono soggettiva in fattispecie pluri soggettiva. REQUISITI PER LA CONFIGURAZIONE DEL CONCORSO DI PERSONE: PLURALITA’ DI SOGGETTI
oltre al soggetto attivo è sufficiente la presenza di anche un solo soggetto che aiuta l’autore materiale del fatto tipico di reato. Per i reati plurisoggettivi (es associazione mafiosa) il contributo di un soggetto terzo all’associazione (associazione composta da almeno 3 persone) configura il concorso come concorso esterno. Se l’esecutore non è imputabile o non è punibile, il concorso si configura ugualmente ed il concorrente sarà punibile, anzi, se ha aiutato un minore al compimento di un reato, risulta anche configurata l’aggravante.
REALIZZAZIONE DI UN FATTO TIPICO DI REATO Per configurarsi il concorso deve essere realizzato un fatto tipico di reato. Si distingue tra reato consumato e delitto tentato. In entrambi i casi si configura comunque il concorso. Il concorso si configura anche quando il fatto commesso dal soggetto attivo non è antigiuridico. Infatti, le scriminanti oggettive si applicano anche ai concorrenti i quali non saranno puniti perché avranno concorso in un fatto tipico di reato commesso in presenza di cause di giustificazione. Le cause soggettive (le scusanti – uso legittimo delle armi, reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale ecc) si applicano solo al soggetto attivo il quale non sarà punibile mentre i concorrenti saranno punibili per concorso in reato. Il concorrente è punibile per il concorso anche se il fatto tipico di reato è stato commesso senza colpa dal soggetto attivo. È il caso del soggetto che presta un’arma ad un minore per commetter un omicidio. Il soggetto attivo non è punibile ma il concorrente risponde del concorso in omicidio
ai sensi degli artt 111, 112 cp. Se il concorrente spinge il soggetto non imputabile alla commissione del reato il concorrente è responsabile, lo si deduce anche dalla previsione degli istituti della costrizione fisica e della costrizione psicologica prevista dallo stato di necessità. CONTRIBUTO ARRECATO DAI COMPARTECIPANTI Il contributo è elemento necessario sotto il profilo materiale e morale. Rappresenta il tipo di condotta tenuto dal compartecipe che, benché non sia di persé fatto tipico di reato, rientra nella punibilità del fatto di reato. Si tratta di identificare il coefficiente minimo di capacità causale che il contributo deve possedere per essere punibile a titolo di concorso. Il criterio lo si deriva alla luce dell’orientamento di dottrina e giurisprudenza in quanto non disciplinato dal codice. Tale criterio potrà essere di tipo materiale o morale – intellettivo: §
materiale: il contributo consiste in atti fisici che hanno determinato il compimento materiale del reato (es fornire un’arma.)
§
morale - intellettivo: il contributo è relativo ad interventi compiuti dal complice mediante la determinazione o l’istigazione al compimento del reato (determinazione = interventi atti a costituire la volontà del soggetto attivo al compimento del reato; istigazione = interventi del concorrente atti a rafforzare la volontà del soggetto attivo che già erano esistenti). Questa differenziazione si applica unicamente al concorso, infatti, nei reati di istigazione la condotta punita è quella che determina la volontà criminosa. Nell’esempio dell’assemblea dei soci, l’amministratore è stato determinato a compiere il falso in bilancio a seguito della votazione dell’assemblea, l’assemblea dei soci ( per quelli che hanno votato a favore) è punibile per concorso in falso in bilancio. Il criterio per identificare quando un fatto costituisce un contributo causale è quello della condizione sine qua non ossia attraverso l’esclusione mentale. Supponiamo che un soggetto fornisce dell’esplosivo ad un altro per compiere un furto ai danni di una cassaforte. Il ladro però non usa l’esplosivo perché con sue abilità riesce ad aprire la cassaforte ugualmente. Ci si chiede: se il concorrente non gli avesse fornito l’esplosivo, si sarebbe comunque realizzato il furto? La risposta è sì, quindi non si configura il concorso materiale. Potrebbe però configurarsi il concorso morale, ad esempio quando si provi che il ladro non avrebbe nemmeno tentato il furto se non gli fosse stato fornito l’esplosivo (determinazione); se il ladro avrebbe comunque tentato il furto perché già autonomamente deciso precedentemente, non si configura il concorso. Questa è la posizione della dottrina. La giurisprudenza adotta una posizione diversa usando il criterio della causalità agevolatrice: basta che il contributo abbia anche solo
potuto agevolare la realizzazione del reato che si configura il concorso e la punibilità per il concorrente. COLPEVOLEZZA
il concorso è sempre inteso quale concorso doloso. Il concorrente deve sempre essere a conoscenza del fatto di reato che dovrà essere compiuto dal soggetto attivo ma non viceversa. Es un soggetto sa che un suo amico vuol compiere una rapina, per questo lascia sul tavolo del suo ufficio una pistola, che il soggetto userà per la rapina. Il soggetto attivo può non conoscere chi gli abbia fatto trovare la pistola, basta che il concorrente fosse a conoscenza della sua volontà di compiere un reato per configurare il concorso. Il complice deve rappresentarsi il delitto che l’esecutore deve realizzare, il reato avuto di mira e le modalità con cui vorrà realizzarlo (es per i reati a condotta vincolata). Per i reati propri il concorrente deve sapere di partecipare a reati per cui è necessario avere una particolare qualifica es: il concorrente in un reato di concussione deve sapere che uno dei complici è un pubblico ufficiale.
AGENTI PROVOCATORI ED INFILTRATI L’agente provocatore è il pubblico ufficiale od il privato cittadino che pone in essere determinati comportamenti allo scopo di far scoprire alla pubblica autorità soggetti che hanno commesso reati per i quali sono stati da essi provocati. Es. tifosi di una squadra che si infiltrano tra i tifosi dei un’altra provocandoli a commettere reati come la resistenza ai pubblici ufficiali. La giurisprudenza ha ritenuto che tali soggetti non sono considerati complici nei reati commessi solo se si sono limitati ad osservare o contenere le azioni illecite (quindi senza provocare). Se anno provocato i soggetti attivi a commettere tali reati, si configura il concorso in reato. Secondo Marinucci gli infiltrati anche quando hanno provocato dovrebbero non essere considerati complici ma solo se hanno agito con la volontà di far giungere il reato al solo livello di tentativo confidando sull’intervento della polizia. Situazione diversa e disciplinata da leggi speciali, è quella per cui la legge autorizza le forze dell’ordine ad infiltrarsi e commettere reati al fine di contrastare alcuni crimini (mafia, stupefacenti ecc.)
COMPONENTI ATIPICHE DI CONCORSO IN REATO REATO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO art 116 cp ES. alcuni complici si accordano per compiere una rapina a mano armata. Durante la rapina, però, uno dei complici uccide l’esercente del negozio a causa della sua reazione. Egli travalica l’accordo con i complici (volevano solo rapinare) e si realizzano due reati: omicidio e rapina a mano armata. L’art. 116 sancisce che per il reato diverso ed ulteriore a quello voluto da tutti i complici, rispondono ugualmente tutti i complici. L’articolo attua quindi una responsabilità oggettiva ai complici. La corte costituzionale è intervenuta sancendo che deve essere letto in senso costituzionalmente orientato, ossia, nel senso che, il complice, per rispondere anche del reato diverso ed ulteriore, esso doveva avere la possibilità di prevedere che dal suo comportamento avrebbe potuto scaturire il reato che è avvenuto. Secondo la giurisprudenza è sufficiente che la prevedibilità sia presente in astratto per determinare il concorso anche nel reato ulteriore (l’uso delle armi è astrattamente idoneo a cagionare la morte). Per la dottrina, invece, basta la previsione in concreto che però non analizziamo. Il 2° comma introduce un’attenuante nei confronti del complice che ha voluto solo il reato meno grave. L’autista della nostra rapina a mano armata ad esempio risponderà anche di concorso in omicidio ma subirà una pena ridotta di 1/3 IPOTESI PARTICOLARE DI CONCORSO IN REATO PROPRIO art 117 cp (mutamento del titolo di reato) Abbiamo già visto questa ipotesi disciplinata dall’art. 110. Perché si configuri il concorso in reato proprio è necessario che il complice sia a conoscenza del fatto che uno dei complici sia in possesso della qualifica necessaria al compimento del reato. Non è necessario che la possegga il soggetto che materialmente compie il fatto di reato, basta che il soggetto dotato della qualifica necessaria vi partecipi. Es. il pubblico ufficiale che incarica un privato di richiedere del denaro a suo nome per agevolare una pratica di altro soggetto. Nel caso in cui il complice sia a conoscenza della qualifica di uno degli altri complici si applica l’art. 110, altrimenti, si applica il 117. Questo articolo dispone che nel caso in cui al reato proprio commesso, corrisponda un reato comune, è sempre configurata la complicità nel reato proprio. (Es: se il complice è complice in un reato di appropriazione indebita, non conoscendo la qualifica di pubblico ufficiale di uno dei concorrenti, risponde comunque di concorso in peculato ma per mutazione del titolo) peculato = appropriazione indebita, concussione = estorsione.
COOPERAZIONE COLPOSA art 113 cp. Si applica solo ai delitti colposi e non anche alle contravvenzioni. Facciamo degli esempi: - soggetto che presta la propria auto ad un amico sprovvisto di patente, il quale, guidando l’auto investe un pedone e lo uccide. – soggetti che partecipano ad una gara clandestina, durante la gara uno dei piloti sbanda ed investe uno spettatore uccidendolo. Secondo questo articolo, quando un delitto colposo è stato commesso con la cooperazione di più persone, ad essi si applica la stessa pena. La norma estende quindi la responsabilità colposa a tutti i cooperanti (anche senza la volontà di commettere quel delitto). Il requisito della cooperazione è inteso nel senso materiale, cooperare materialmente alla commissione del delitto anche se non in modo volontario. Quello che si colpisce è il comportamento materiale imprudente, il concorso in fatto imprudente. Il soggetto che presta all’amico che conosce essere senza patente è di persé un comportamento imprudente. Il partecipare a gare clandestine (in violazione della legge) comporta gareggiare senza apposite misure di sicurezza ponendo in pericolo terzi, è di persé un comportamento imprudente. CONCORSO MEDIANTE OMISSIONE Rientriamo nello schema dell’art. 116 che prevede la commissione di reato diverso a quello voluto a titolo commissivo od omissivo. Omissione che potrà essere omissiva propria quando si concretizza nel non compiere intenzionalmente un’attività che si è tenuti ad effettuare dal codice penale (es omissione di soccorso di un ferito al fine di cagionarne la morte); omissiva impropria quando si viola un dovere imposto da una norma extrapenale. I REATI COLPOSI Sono solo quei reati che esplicitamente prevedono la punibilità a titolo colposo. È stato da sempre trattato come reato commesso con colpevolezza rispetto al dolo ma si è osservato che il fenomeno ha assunto un proprio ruolo autonomo rilevante. La colpa penale è vista come forma alternativa al dolo ma si nota che il reato colposo ha degli autonomi aspetti materiali rispetto al fatto tipico. Esempi: 1-
un soggetto alla guida di un’auto compie un sorpasso in curva scontrandosi con un altro veicolo e causando la morte di uno dei trasportati.
2-
tizio, volendo mostrare agli amici una pistola appena acquistata, la estrae e accidentalmente fa partire un colpo causando lesioni gravissime ad uno degli amici.
3-
un imprenditore omette di utilizzare i mezzi di prevenzione idonei a prevenire malattie professionali ai lavoratori causando la morte di alcuni di essi.
Il legislatore descrive il delitto colposo come quel delitto contro l’intenzione; l’evento, anche se preveduto, non è voluto dal soggetto attivo ma si verifica comunque a causa di imperizia, imprudenza, negligenza oppure inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline. Esistono reati colposi di mera condotta e di evento. La parola “evento” usata nell’art 43 che disciplina la colpa è intesa ricomprendendo anche la mera condotta. I reati colposi hanno una dimensione materiale ed una colposa: CARATTERISTICA MATERIALE
la condotta è costituita dalla violazione o dall’inosservanza di una regola di condotta scritta o di derivazione sociale. §
violazione di leggi, ordini, discipline: in questi casi il comportamento materiale trasgredisce norme giuridiche, la condotta è contraria a qualche legge, è la cd “COLPA SPECIFICA”. Chi investe qualcuno compiendo un sorpasso azzardato e causa la morte dell’investito, risponde per omicidio colposo per colpa specifica (violazione delle norme del CDS), lo stesso vale per la violazione di regolamenti di esecuzione di leggi o per la violazione di ordinanze prefettizie o comunali. Parlando di “discipline” ci si riferisce a regole dettate in ambito privatistico, ad esempio per regolamentare attività produttive (es. regolamenti di fabbrica), la loro violazione costituisce responsabilità a titolo di colpa se ne deriva un reato punibile a titolo di colpa.
§
negligenza, imprudenza, imperizia o “COLPA GENERICA”. In questi casi facciamo riferimento a regole di origine sociale o “prasseologica”. Si tratta di regole di condotta che non sono sancite da leggi ma che esistono perché ripetute nella prassi (es: è regola di prudenza non mettersi alla guida se si è particolarmente stanchi). Per evitare interpretazioni troppo difformi, la giurisprudenza, ha introdotto il criterio dell’AGENTE MODELLO o UOMO IDEALE. Ossia la regola di condotta deve essere individuata e riempita si significato tenendo conto di come l’uomo ideale avrebbe agito in quella situazione. Se il comportamento tenuto dal soggetto attivo è stato diverso da quello che l’uomo ideale avrebbe tenuto, esso è responsabile per colpa. Con il concetto di uomo ideale si intende il comportamento che il “professionista” avrebbe tenuto in quella situazione. Es: se un soggetto decide di riparare il tetto della sua abitazione e deposita le tegole in modo improprio e queste cadono ferendo dei terzi, esso è responsabile a titolo colposo se, il muratore professionista avrebbe depositato le tegole in modo diverso e più sicuro. La condotta colposa dovrà essere ricondotta causalmente all’evento, ossia, l’evento deve essere proprio quello che la norma violata intendeva evitare, l’evento è quindi la concretizzazione del pericolo che la norma intendeva evitare.
Ancora, se un’automobilista passa con il rosso e dopo qualche centinaio di metri un ragazzino sbuca sulla corsia stradale e viene investito, la violazione del CDS relativa al passaggio con il rosso non è causale all’investimento. La norma intendeva evitare danni a terzi in prossimità dell’incrocio stradale, il ragazzino è stato investito centinaia di metri dopo l’incrocio, l’autista non è punibile per colpa specifica. Si dovrà quindi valutare se è responsabile di colpa generica ad esempio se aveva visto il ragazzino avvicinarsi alla strada e non ha rallentato ad esempio. COLPEVOLEZZA DELLA COLPA (DIMENSIONE COLPOSA)
Come detto l’agente non deve volere l’evento. Per i casi di COLPA GENERICA l’attribuibilità è possibile solo in presenza di prevedibilità ed evitabilità: se il soggetto poteva prevedere il fatto (aveva visto il ragazzino vicino alla strada) e se poteva evitare il fatto (aveva tutto il tempo di fermare il veicolo) ma non lo ha fatto, esso è colpevole. Per i casi di COLPA SPECIFICA basta analizzare solamente se c’è stata la violazione della norma specifica, la stessa norma ha già di suo previsto il fatto e disposto il comportamento che permette di evitarlo.
RISCHIO CONSENTITO
in ambito produttivo (specie per attività pericolose – chirurgia, chimica ecc) la normale gestione del pericolo durante l’attività produttiva, funge da maggior garanzia per il soggetto attivo (altrimenti nessuno produrrebbe sostanze chimiche e nessuno farebbe il chirurgo). Si riconosce a questi soggetti il cd “RISCHIO CONSENTITO”. In pratica, il soggetto, risponde colposamente del fatto solo qualora superi il limite del rischio consentito. Questo limite non è disciplinato ma si ritiene che sia il limite oltre il quale si pone in pericolo l’incolumità pubblica.
PRINCIPIO DELL’AFFIDAMENTO
Nello svolgimento di certe attività si rende necessario agire in “team”, ma non solo, accade anche nei rapporti di tutti i giorni. Tutti devono poter confidare nel corretto comportamento degli altri soggetti, se uno non rispetta una regola di condotta, solo lui è responsabile del fatto commesso. Questo è valido finché gli altri non abbiano avuto la percezione che un comportamento scorretto fosse in atto. Es il chirurgo è colposamente responsabile con l’anestesista se, ha avuto la percezione che questo abbia violato alcune regole di condotta, non abbia posto in essere lui stesso un comportamento atto ad evitare la morte del paziente ed infine sia stata causata la morte del paziente; ad un incrocio, se io sto passando con il verde e noto che un altro autista sta sopraggiungendo ad altissima velocità e non fermerà al semaforo
rosso, devo fermarmi e fare il possibile per evitare che dal suo comportamento possa derivare un incidente, se non faccio nulla, io stesso sarò responsabile con lui. COLPA COSCIENTE
È la forma più intensa di colpa che si realizza quando il soggetto ha previsto il fatto ma no lo ha voluto, in questo caso si aggrava il trattamento sanzionatorio. In questo caso il soggetto ha agito nonostante la previsione dell’evento. È molto simile al dolo eventuale ma presenta alcune differenze. In questo caso il soggetto prevede l’evento, non lo vuole ma confida su altre circostanze tali da ritenere che non si realizzerà, nel dolo eventuale il soggetto, invece, accetta che il fatto si realizzerà.
CONCORSO MATERIALE DI REATI – REATO CONTINUATO – CONCORSO FORMALE DI REATI Si tratta di situazioni che, se presenti, determinano un trattamento sanzionatorio particolare, rappresentano una deroga sulla disciplina normale dei fatti di reato. CONCORSO MATERIALE DI REATI Non è espressamente prevista dal codice penale ma si risolve mediante l’applicazione dell’art 73 cp in materia di pene da applicare ad un soggetto che ha commesso più reati. Es: un soggetto commette un omicidio, 4gg dopo realizza delle lesioni colpose, 20gg dopo realizza un incendio nella propria azienda. Allorquando i fatti materiali siano accertati e commessi in tempi diversi, si configura il concorso materiale di reati. Si dice materiale in quanto il trattamento sanzionatorio a carico del reo sarà il cumulo delle pene previste per ogni singolo reato. Con una sola sanzione si puniscono tutti i reati. Ci sono casi in cui il trattamento però è meno grave, nell’ipotesi, ad esempio, di tre reati per cui è previsto l’ergastolo, verrà inflitta una sola pena all’ergastolo. Se concorrono più delitti per i quali è prevista la pena detentiva fino a 24 anni, la pena totale che verrà assegnata sarà l’ergastolo. Dobbiamo ora fare un distinguo tra “azione” ed “atti”. Esistono reati a struttura complessa che prevedono il compimento di più atti (es furto = sottrazione del bene + impossessamento) e reati per cui basta 1 solo atto. Parlando di “atti” intendiamo quindi un segmento di una condotta o azione. Oltre a questo dato obiettivo, vi è un’ulteriore interpretazione giurisprudenziale e dottrinale in cui la condotta è interpretata alla luce di determinate caratteristiche. Es: un ladro si introduce in un’abitazione e sottrae dei beni, esce e li ripone nella sua automobile. Poi rientra in casa, sottrae altri beni e li ripone nella sua auto e così via. Apparentemente siamo in presenza di una pluralità di reati (ha commesso più furti), giurisprudenza e dottrina ritengono che non si configuri un concorso materiale di reati in quanto la distinzione tra “atti” ed “azioni” va intesa in modo diverso: quando più atti sono conclusi contestualmente, per compiere una medesima lesione, nei confronti della medesima vittima, siamo in presenza di una condotta “unica”, un unico reato di furto in questo caso.
REATO CONTINUATO
È un tipo di reato basato sul cumulo materiale di reati. Es: un soggetto, prima di commettere un reato, decide di commettere una serie di reati es: prima un furto, poi una lesione personale, poi un incendio. Ciò che differenzia il reato continuato dal concorso materiale di reati visto sopra è che in questo caso, il soggetto attivo, si era prefigurato prima tutta la serie di reati da commettere mentre nel concorso materiale, li ha decisi di volta in volta. Nel reato continuato, la pena prevista, non è più il cumulo materiale delle pene previste per ogni singolo reato ma il CUMULO GIURIDICO che è meno gravoso del cumulo materiale. Il reato continuato ha tre requisiti fondamentali: •
MEDESIMO DISEGNO CRIMINOSO: la giurisprudenza e la maggior parte della dottrina lo ritengono presente quando il soggetto attivo ha realizzato i fatti avendo semplicemente avuto la loro rappresentazione mentale anticipata. Tutti i reati previsti e poi commessi costituiscono un unico reato. Per altri autori sarebbe necessario che tutti i reati prefigurati e poi commessi siano finalizzati ad un unico scopo finale.
•
PLURALITA’ DI AZIONI OD OMISSIONI: il soggetto deve aver materialmente tenuto una pluralità di condotte tipiche di reato. Già in questa fase bisogna distinguere tra atti ed azioni, gli atti non devono quindi essere contestuali (ma commessi in tempi diversi), devono essere commessi contro vittime diverse, e devono riguardare offese diverse.
•
PLURALITA’ DI REATI: il soggetto deve realizzare più reati nella loro interezza.
Il reato continuato è astrattamente costituito da una pluralità di reati ma di un unico dolo (una sola previsione cumulativa antecedente alla commissione di tutti i reati).
CONCORSO FORMALE DI REATI art 81 1 co. Cp Il concorso formale di reati esige la presenza di una pluralità di reati che vengono commessi medianti una sola azione od omissione. Può riguardare una molteplicità di reati di stessa natura ad es più reati di furto ( concorso omogeneo) o più reati tra loro differenti (concorso eterogeneo). Oggi concorso omogeneo ed eterogeneo (dopo la riforma del 1974) sono equiparati. Es1 imprenditore che distrugge un proprio bene (l’azienda) mediante incendio che finisce per estendersi fino a porre in pericolo l’incolumità pubblica. L’azione di incendio (unica azione) finalizzata
ad ottenere il rimborso dall’assicurazione provoca 2 reati (1 doloso danneggiamento fraudolento; 2 incendio di cosa propria). Il soggetto ha così commesso un concorso formale di reati: 1 condotta, 2 o più reati. Es 2: un soggetto con un’unica frase offensiva lede l’onore di più persone dinnanzi a lui. 1 sola condotta, più vittime di diffamazione diverse. Anche nel concorso formale di reati, come per il reato continuato, si applica il CUMULO GIURIDICO delle pene. Il legislatore ha voluto punire più gravemente l’unica condotta perché lesiva di più persone o norme. IL CUMULO GIURIDICO
Con il cumulo giuridico, il soggetto attivo, è punito con la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (ma non è obbligatorio aumentarla). Secondo la giurisprudenza la pena considerata è quella astratta prevista dalla norma incriminatrice identificata nei suoi limiti editali minimi e massimi. Per la dottrina si dovrebbe, invece, fare riferimento alla pena in concreto commisurata. Il giudice dovrebbe accertare il reato più grave in funzione della specifica pena che andrebbe assegnata per lo specifico reato e prendere quella come riferimento per l’aumento fino al triplo. Il cumulo giuridico ha un limite massimo. L’aumento fino al triplo non deve superare l’entità che si otterrebbe mediante la sommatoria delle pene previste per i singoli reati commessi. Il cumulo giuridico non può quindi essere superiore al cumulo materiale.
CONCORSO APPARENTE DI REATI Si configura quando in caso concreto sembra “apparentemente” configurato un concorso materiale o formale di reati. Per identificare se il concorso è apparente o meno, si usano alcuni criteri, alcuni dei quali codificati, altri definiti dalla giurisprudenza. Sono i principi di: SUSSIDIARIETA’. SPECIALITA’, CONSUNZIONE O ASSORBIMENTO. CONSUNZIONE
Nel concorso apparente si ha, come per il concorso materiale di reati, la commissione di una pluralità di reati ed una pluralità di condotte di cui una, la più grave, “assorbe” le altre condotte precedenti in quanto finalizzate (rapporto di “mezzo a fine”) alla commissione di quest’ultima. Es: un privato commette un reato di appropriazione indebita di un documento pubblico (1°reato e 1^ condotta) al fine di distruggerlo, distruzione che avviene il giorno seguente (2° reato e 2^condotta). L’appropriazione indebita del documento era finalizzata alla sua distruzione, distruzione che è reato più grave la cui punizione “assorbe” anche la punizione per il primo reato. Si dice che l’antefatto non è punibile, il fatto più grave è ritenuto la concretizzazione
dell’antefatto. Lo stesso vale per l’istigazione a commettere un reato contro lo stato. Se il reato è poi commesso da altro soggetto, l’istigatore risponderà di concorso apparente in reato contro lo stato. Casi di post – facto non punibile: in questi casi è il secondo fatto commesso a non essere punito perché esso di minor disvalore, accade quando è considerato “evento che normalmente segue il fatto del primo reato realizzato”. Es: furto di un bene e suo danneggiamento il giorno successivo. Il furto è il primo reato commesso ed è anche quello più grave, l’autore non sarà punito per concorso materiale con il cumulo delle pene ma sarà punito solo per il reato di furto. SUSSIDIARIETA’
Il concorso apparente si presenta anche “apparendo” un concorso formale di reati, è il caso più ricorrente, es: truffa ai danni dello stato mediante la presentazione di documentazioni false per ottenere sovvenzioni. Siamo in presenza di un’unica azione (presentazione di documenti) i reati sono però 2: la truffa ai danni dello stato e l’indebita percezione di erogazioni. In questo caso la truffa ai danni dello stato è però stata funzionale all’indebita percezione. In questo caso, però, la norma incriminatrice dell’indebita percezione esclude la sua stessa applicabilità lasciando la punibilità del reato di truffa. La norma incriminatrice per il reato meno grave è quindi sussidiaria a quella del reato più grave, sussidiarietà che è espressa dalla norma.
SPECIALITA’
Vi sono casi in cui più reati commessi con una sola azione potrebbero anche non essere puniti per effetto del principio di sussidiarietà in quanto le norme incriminatrici non prevedono espressamente il rapporto di sussidiarietà visto prima. In questi casi si applica il principio di specialità tra norme incriminatrici. Se tra più reati vi è rapporto di specialità (nel senso che i fatti tipici di uno siano ricompresi da altra norma che aggiunge elementi ulteriori), si applica e si punisce solo il reato previsto dalla norma “speciale”. Es: millantato credito semplice e millantato credito del patrocinante, delitto di omicidio e delitto di infanticidio. Con un’azione si violano “apparentemente” 2 norme (uccidendo un bimbo nato da pochi minuti sembrerebbero violate sia la norma dell’omicidio, sia quella dell’infanticidio).Secondo l’art. 15 cp si punisce solo il reato che a titolo di specialità ricomprende anche l’altro, la norma speciale deroga alla norma generale salvo sia disposto diversamente dalla legge.
PROGRESSIONE CRIMINOSA
Rappresenta la situazione in cui il soggetto attivo realizza più fatti di reato con successive deliberazioni, situazione nella quale il reato più grave rappresenta la normale evoluzione del reato meno grave. Es: un soggetto compie delle lesioni personali e, dopo averle commesse,
decide anche di uccidere la vittima (es dopo un paio d’ore). Ci sono 2 azioni (manca la contestualità, son passate 2 ore tra la prima e la seconda), ci sono 2 reati (lesioni personali ed omicidio) però, in questo caso, il soggetto attivo è passato da un livello di offesa ad un livello superiore nei confronti dello stesso bene (vita). La progressione è risolta come antefatto non punibile, le lesioni sono assorbite dall’omicidio anche se non commesse contestualmente all’omicidio. Si tratta di una soluzione portata dalla giurisprudenza e non da una previsione normativa. Art. 84 cp: le disposizioni sul concorso non si applicano ai reati composti da più fatti che da soli costituiscono reati o risultino quali aggravanti. -REATI A STRUTTURA COMPLESSASono quei reati che a loro volta sono composti da una pluralità di reati, ad esempio la rapina che è composta dal furto e dalla minaccia o violenza nei confronti della vittima. Il legislatore, in questi casi, ha voluto esplicitamente che si configuri automaticamente un concorso apparente di reati prevedendo una fattispecie complessa, il delitto di rapina appunto. Vi sono casi in cui la norma incriminatrice indichi più condotte tipiche alternative tra loro o fatti che mantengono una propria autonomia all’interno dei diversi commi della norma. Es1: in materia di stupefacenti la norma prevede la punibilità per il soggetto che importa o spaccia o detiene sostanze psicotrope. In questi casi, quando le condotte alternative o i fatti sono contenuti all’interno dello stesso comma, il soggetto non risponde di concorso materiale o formale ma risponde solo di un unico reato. Più complesso è il caso in cui la norma prevede più condotte alternative o fatti all’interno di diversi commi della norma stessa, ad esempio la legge Merlin sulla prostituzione elenca all’interno di vari commi diverse condotte o fatti. In linea generale la giurisprudenza ha ritenuto che anche in questi casi il soggetto risponda di un unico reato (il più grave) che assorbe gli altri con un aggravio di pena. Il caso della prostituzione ha però rappresentato un’eccezione, infatti, fino al 2005, la giurisprudenza riteneva che il soggetto attivo dovesse rispondere di concorso materiale o formale in più reati, solo con una sentenza della CC si è mutato l’orientamento.
REATI OMISSIVI IMPROPRI Sono disciplinati dall’art. 40 2° comma cp ma hanno una loro autonoma disciplina. “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a causarlo”. Facciamo alcuni esempi: 1) Il genitore che ha di fronte a se il figlio minorenne che compie una lesione personale ad un coetaneo senza intervenire per evitare il fatto; 2) L’imprenditore che omette di utilizzare tutti gli strumenti conosciuti e necessari per evitare lesioni personali ai lavoratori e da ciò ne scaturiscono lesioni personali o la morte di un lavoratore; 3) i membri del CDA di una azienda che, pur sapendo che l’amministratore delegato sta commettendo dei reati ( es: illegale ripartizione di utili), omettono di impedirgli di compiere tali reati. Possiamo applicare l’art. 40 purché, nei confronti del soggetto attivo (omissivo in questo caso), vi sia un obbligo giuridico di impedire l’evento. Non tutte le persone, quindi, possono rispondere di reati omissivi impropri. L’articolo amplia i casi di responsabilità anche a quei comportamenti che non sono tipici di reato e che non potrebbero essere puniti in assenza di questo articolo. L’art 40 si applica solo ai reati di evento, reati che sono sempre descritti dal legislatore come reati commissivi, questo articolo trasforma la loro previsione in omissiva e ne determina la punibilità.
REQUISITO DELL’OBBLIGO GIURIDICO Non tutti i soggetti hanno l’obbligo giuridico di impedire l’evento, si identificano 3 fonti da cui scaturiscono obblighi giuridici di impedire un evento:
1 LEGGE: La legge extra penale (cod. civile, tutela dell’ambiente ecc), leggi di diritto pubblico, alcune leggi di diritto penale.
2 CONTRATTO: Tra le parti il contratto ha valore di legge, si ritiene che i contraenti hanno raggiunto un accordo per cui una parte ha l’obbligo di proteggere da pericolo un bene ,es: il contratto di baby sitter (deve proteggere il bambino), il contratto di manutenzione (deve impedire situazioni dannose nei confronti di terzi) ecc.
3 ASSUNZIONE VOLONTARIA: si configura quando un soggetto assume volontariamente ( non per contratto o previsione di legge) l’incarico di svolgere un’attività di protezione (decisione unilaterale). L’obbligo assunto deve essere tale da non porre in pericolo un oggetto o una determinata persona, es: il soggetto che si fa carico di occuparsi di una persona anziana, deve garantirne l’incolumità e provvedere alla sua sostituzione qualora sia impossibilitato o avvisare i servizi sociali e/o sanitari in caso decida di cessare la sua assunzione volontaria nei confronti dell’anziano. Gli obblighi giuridici sono divisi in 2:
1 OBBLIGHI DI PROTEZIONE: sono doveri che hanno ad oggetto la tutela di un determinato bene o soggetto che non è in grado di proteggere se stesso. Ad esempio derivano dai rapporti di famiglia (genitori vs i figli minori, tra i coniugi obbligo di assistenza morale e materiale). L’omissione di chiamare l’assistenza sanitaria per la malattia del coniuge da cui dovesse scaturire la morte, determina la responsabilità non per omissione di soccorso ma bensì per omicidio (volontario o colposo). Il medico che omette di compiere esami ritenuti fondamentali dalla scienza medica (a protezione della salute del paziente), e da cui scaturisse la morte, tale comportamento omissivi determina responsabilità per omicidio.
2 OBBLIGHI DI CONTROLLO: Si tratta di doveri in base ai quali, determinati soggetti, hanno l’obbligo di sorvegliare che certe attività o fonti di pericolo, non determinino lesioni a terzi. Hanno obbligo di controllo i proprietari (es di immobili in rovina > devono ripristinarli o porli in sicurezza o anche abbatterli), e gli esercenti di attività pericolose (produttori di petardi, composti chimici ecc). All’interno degli obblighi di controllo possiamo individuare anche l’obbligo di impedire il reato altrui. È una previsione di derivazione dottrinale/giurisprudenziale e quindi non codificata. Si ritiene che in certi casi sussistano obblighi di impedire la commissione di reati altrui seppure trattasi di reati senza evento. In questo modo, certi soggetti, si ritiene che abbiano obblighi di sorveglianza verso terze persone al fine di non permettere a questi la commissione di reati (è evidentemente presente per gli agenti di polizia, GdF, CC ecc). Il soggetto in capo a cui sussiste tale obbligo, risponderà per omesso impedimento di reato. Ad esempi per i genitori, sussiste un obbligo di sorveglianza verso i figli minori al fine di evitare che commettano illeciti penali (previsione dell’art. 147 cc). Il soggetto deve però avere la consapevolezza del comportamento del terzo, la non consapevolezza non può essere dovuta a negligenza/ mancanza di controlli. L’omissione sarà poi valutata se dolosa o colposa. DISCIPLINA DELLE SOCIETA’ Le società, alla luce dell’art 40 sono disciplinate sotto due aspetti: 1 ambito dell’amministrazione della società: La giurisprudenza ha ritenuto che in certe situazioni è configurabile la responsabilità a titolo omissivo quando un soggetto preposto all’amministrazione, abbia omesso di impedire avvenimenti dannosi per la società o la commissione di reati. Se la commissione di reati risulta dannosa per il patrimonio societario, è
configurata la responsabilità omissiva per gli amministratori che omettono di impedire la realizzazione. Si tratta di omissione di obblighi di controllo. 2 gestione tecnica: è la responsabilità per eventi che possono prodursi nella concreta attività produttiva dell’azienda, es: la violazione delle norme antinfortunistiche da parte dell’amministratore delegato. Omissioni da cui derivano lesioni o morte di dipendenti. Il proprietario è responsabile per l’omessa applicazione delle norme di sicurezza; se l’azienda è organizzata in modo da individuare un soggetto responsabile della sicurezza (legge 626), tale soggetto è responsabile in prima persona dell’omissione delle misure di sicurezza previste dalla legge. Il proprietario ed altri amministratori, in questi casi, sono responsabili (in solido con il responsabile della sicurezza) solo qualora fossero al corrente delle violazioni commesse dal responsabile della sicurezza o avessero omesso di effettuare controlli sulla sua attività. La delegazione di funzioni, infatti, non libera completamente l’imprenditore o il delegante, essi hanno sempre e comunque un obbligo di controllo sull’attività del delegato oltre che un obbligo di impedimento degli eventi all’interno dell’azienda.
RESPONSABILITA’ OGGETTIVE Si tratta di reati fondati sulla responsabilità oggettiva del soggetto attivo e si distinguono per la forma di imputabilità. È una forma di imputabilità che è autonoma rispetto al dolo ed alla colpa. Ne esistono tre tipologie: responsabilità oggettiva per l’evento; per un elemento diverso dall’evento; per l’intero fatto. L’ART. 42 cp. Riconosce l’ammissione nel nostro sistema penale di una responsabilità per l’evento, a prescindere dal dolo o dalla colpa del soggetto attivo. Esempi: 1 OMICIDIO PRETERINTENZIONALE: un soggetto muove un braccio per colpire al volto un suo avversario il quale si sposta per evitare il colpo ma scivola battendo il capo a terra e morendo. L’evento finale “morte” va oltre l’intenzione del soggetto attivo il quale voleva solo compiere delle percosse. Non è necessario che la percossa sia stata commessa, basta che l’atto fosse diretto a percuotere, ad esempio anche solo rincorrendo l’avversario. 2 L’imprenditore che omette di posizionare gli strumenti atti a prevenire infortuni sul lavoro, un macchinario si stacca e, per la mancanza delle protezioni, finisce per cagionare lesioni ad un dipendente. Il fatto di base (già di suo reato art 437 cp) è punito con un’aggravante di pena. In questo caso la responsabilità oggettiva si configura in base al tipo di collegamento tra evento ed omissione. L’aggravante si applica a prescindere dall’accertamento della volontà dolosa o colposa dell’imprenditore, l’evento ulteriore (infortunio) è quindi attribuito ad esso a prescindere dalla sua dolosa o colposa azione. La responsabilità oggettiva è una tecnica presente in diversi tipi di reato che è ammessa esplicitamente anche dall’art 42 cp. Ha anche una sua autonoma disciplina che è diversa da dolo colpa e preterintenzione (in paesi do common law corrisponde alla strict liability). La responsabilità oggettiva dell’art 42 è di tipo “espresso” (preterintenzione e reato aggravato dall’evento). Ci sono altri tipi di responsabilità oggettiva “occulta” che derivano dalla giurisprudenza es: il dolo presunto (ritenuto configurato in certe situazioni senza appurarne la presenza in concreto). Benché presente nel codice penale del 1930, la dottrina ritiene che, alla luce dell’art 27 cost. del ’48, la previsione di responsabilità personale risolva la questione delle responsabilità oggettive nel senso di ritenerle configurate solo se presente almeno imprudenza o imperizia del soggetto attivo (poteva prevedere l’evento finale). La stessa Corte Costituzionale ha ribadito questo indirizzo, non essendo, però, state abrogate tali norme, la giurisprudenza continua ad applicarle in senso stretto.
RESPONSABILITA’ OGGETTIVA PER L’EVENTO: si divide tra reati preterintenzionali e reati aggravati dall’evento: sono reati in cui l’evento (risultato finale della condotta), è un evento richiesto dalla norma incriminatrice e viene imputato secondo il mero criterio di causalità.
PRETERINTENZIONE:
È un’ipotesi esplicitamente disciplinata anche dalla parte generale del cp. È preterintenzionale il delitto doloso quando un evento più grave di quello previsto e voluto dal soggetto attivo viene a verificarsi. È configurato dal dolo misto alla responsabilità oggettiva. Il soggetto, infatti, ha agito con l’intenzione di causare percosse o lesioni (evento minore) ma è oggettivamente responsabile per l’avvenuta morte (addebitata a prescindere dal dolo). Per Marinucci sarebbe necessario che il soggetto attivo avesse almeno potuto prevedere il realizzarsi dell’evento finale (a titolo di dolo misto a colpa quindi). Esistono solo 2 casi di preterintenzione: omicidio preterintenzionale ed aborto preterintenzionale. La preterintenzione tutela solo il bene più importante: la vita. Nell’omicidio preterintenzionale bastano atti diretti a commettere percosse o lesioni, nell’aborto preterintenzionale bastano atti diretti a ledere la donna in stato di gravidanza da cui poi scaturisca un aborto naturale (ad esempio a causa dello spavento).
REATI AGGRAVATI DALL’EVENTO:
Sono fattispecie nelle quali il legislatore descrive il fatto di reato doloso punibile già in quanto reato e, nella stessa norma, indica che se dal fatto previsto deriva un evento ulteriore, questo è addebitato al soggetto attivo che ha commesso il fatto di base. L’imputazione avviene a prescindere dalla colpa o dal dolo rispetto l’evento ulteriore, è quindi un’imputazione oggettiva. Nell’esempio fatto del datore di lavoro che omette le protezioni (cha da se costituisce già reato), se da questa omissione derivano lesioni per i dipendenti, questi eventi ulteriori prodotti, comportano un aumento di pena. Anche in questo caso non è richiesto l’accertamento del dolo o della colpa rispetto all’evento ulteriore, l’evento è imputato al soggetto attivo anche se non lo poteva prevedere. Solitamente la norma usa espressioni tipo “ se dal fatto deriva…..”. È sufficiente un rapporto di consequenzialità per la su attribuzione. In questi casi l’evento finale non deve essere stato voluto dal soggetto attivo (altrimenti risponderebbe direttamente del fatto ulteriore: di lesioni personali o della morte). In altri casi è indifferente che il soggetto attivo abbia voluto o non voluto l’evento finale. In questi casi l’evento finale è sempre un aggravante del fatto base, solitamente riguardano reati contro la giustizia ( calunnia, falsa testimonianza, falsa perizia ecc). Nell’ipotesi in cui la persona accusata (calunnia) subisse una condanna, la norma prevede una pena aggiuntiva per il calunniatore, la condanna
dell’accusato ingiustamente costituisce aggravante del reato di calunnia, sia che il calunniatore avesse voluto o no la sua condanna, risponde oggettivamente del reato aggravato. Anche in questo caso Marinucci ritiene che l’evento finale debba almeno essere stato prevedibile. RESPONSABILITA’ OGGETTIVA PER ELEMENTO DIVERSO DALL’EVENTO: Es: il mutamento del titolo di reato (reato diverso da quello voluto), reati aberranti (aberratio ictus), error aetatis. La deroga all’esigenza del dolo avviene addebitando al soggetto una circostanza particolare che però contraddistingue il reato. Mutamento del titolo: Es. appropriazione indebita che muta il titolo in peculato se uno dei concorrenti ha la caratteristica di pubblico ufficiale, tutti i concorrenti rispondono oggettivamente del reato di peculato (più grave) sebbene non fossero stati a conoscenza della qualifica di pubblico ufficiale di uno di essi. Si può applicare ad esempio nei casi di: estorsione > concussione; appropriazione indebita > peculato; contrabbando comune > contrabbando petrolifero del militare ecc. l’art. 117 cp prevede l’estensione dell’imputazione del reato qualificato anche ai concorrenti che non sono a conoscenza della qualifica di uno di essi (agiscono senza il dolo per il reato qualificato ma solo per il reato comune). Marinucci è contrario alla responsabilità oggettiva perché contraria al principio di personalità della responsabilità penale (principio di colpevolezza costituzionalmente espresso). Aberratio ictus: disciplinata dall’art. 82 cp. Riguarda la responsabilità per l’offesa a persona diversa da quella che si voleva offendere. Il soggetto attivo risponde ugualmente dell’offesa a titolo oggettivo anche se l’errore è dovuto ad errore nell’utilizzo dei mezzi di esecuzione. Si configura nei casi di mono o pluri offensività. Nella mono offensiva il soggetto attivo ha agito con il solo dolo relativo al soggetto diverso a quello in realtà leso, c’è diversità tra evento voluto ed evento realizzato, la responsabilità è quindi oggettiva. Nella pluri offensiva, il soggetto attivo, realizza lesioni oltre che alla vittima prevista anche a terzi, in questo caso con una sola azione compie più lesioni, si applica il concorso formale e quindi il cumulo giuridico finendo per essere punito per il reato più grave con la pena aumentata fino al triplo. Anche qui Marinucci ritiene che sia necessario appurare almeno la colpa dell’agente (deve almeno potuto prevedere la possibilità dell’evento ulteriore). La regola generale per la responsabilità oggettiva è che chi si pone in una situazione di pericolo, risponde oggettivamente anche di tutti i fatti ulteriori. Error aetatis: è anche questa una deroga al principio della rilevanza penale in merito ad errore sui fatti. L’errore sui fatti abbiamo già visto che fa venir meno la colpevolezza per dolo limitandola alla colpa (se prevista la punibilità a titolo colposo) o facendola cadere del tutto. Nel caso dell’error aetatis, questo errore non fa cadere la responsabilità, il soggetto attivo è comunque responsabile, anche se il minore di 14 anni ha esibito un documento falso ed egli ha fatto sesso con esso, anche se il minore è consenziente.
RESPONSABILITA’ PGGETTIVA PER L’INTERO FATTO DI REATO: Si tratta di un’altra deroga all’art. 110 cp., in questi casi si applica l’art. 116 cp. Riguarda il reato diverso da quello voluto da alcuni dei concorrenti. È il caso già visto della rapina, durante la quale, uno dei concorrenti decide di uccidere la vittima. Il dolo degli altri concorrenti era relativo alla sola rapina, non anche all’omicidio. L’art. 116 prevede la loro punibilità anche per il fatto non voluto. Tale norma è stata oggetto di valutazione della Corte Costituzionale la quale ha
stabilito che andasse interpretata nel senso che l’imputabilità ai concorrenti del reato ulteriore si potesse applicare solo qualora essi avessero potuto in concreto prevedere il fatto ulteriore. Nell’applicazione pratica, però, la giurisprudenza si è accontentata di una prevedibilità in astratto del reato ulteriore, ossia, basta che il reato ulteriore avrebbe potuto essere previsto a causa di un rapporto di omogeneità con il reato voluto. La rapina è caratterizzata dall’uso di minaccia o violenza, l’uso di violenza può prevedibilmente, in astratto, trascendere in omicidio.
RESPONSABILITA’ OGGETTIVE TRAMUTATE IN COLPOSE: Alcuni tipi di responsabilità oggettive sono state tramutate in responsabilità a titolo di colpa con la riforma dell’art. 57 cp. RESPONSABILITA’ DEL DIRETTORE DEL GIORNALE: il diretto re del giornale che omette di effettuare i controlli sul periodico risponde personalmente delle lesioni all’onore che potessero derivare dalla pubblicazione di una notizia il cui contenuto risultasse offensivo. Solo nel caso di omissione per imperizia o imprudenza configura la responsabilità a titolo colposo (con una minore pena = diminuita fino ad 1/3), se l’omissione è stata dolosa (al fine di favorire la lesione) si configura il concorso in diffamazione a mezzo stampa ad esempio. CIRCOSTANZE AGGRAVANTI: sono disciplinate dall’art 61 cp. Sono circostanze in presenza delle quali, la commissione di un reato, è punita con un aggravamento della pena prevista. Es: reato per futili motivi, reato contro un pubblico ufficiale nell’adempimento di un dovere d’ufficio ecc. in tutti questi casi un elemento accidentale del fatto comporta un trattamento sanzionatorio più grave. Ciò avviene alla luce dell’art. 59 cp. Che disciplina quando le aggravanti possono essere applicate. Prima del 1990 le aggravanti si applicavano in modo oggettivo, oggi è necessario che il soggetto attivo le conoscesse, le ignorasse per colpa sua o le ignorasse per errore determinato da sua stessa colpa. È necessario quindi un minimo di colpevolezza del soggetto attivo. Ad esempio deve sapere di agire contro un pubblico ufficiale, oppure deve ignorare per sua colpa che il soggetto contro cui agisce è un pubblico ufficiale (chiunque altro se ne sarebbe accorto) ecc. ABERRATIO DELICTII: disciplinato dall’art. 83 cp. Prevede la punibilità a titolo colposo per l’evento diverso da quello voluto. È il caso del soggetto che lancia un sasso verso una vetrina per romperla ma in realtà ferisce un passante. Il soggetto attivo risponde a titolo di colpa per il reato non voluto. A titolo di colpa perché già dal testo della norma il legislatore ha usato la formula “risponde a titolo di colpa” ed anche perché il soggetto risponde a titolo di colpa solo se il delitto è punibile anche a titolo di colpa. Nel caso di aberratio pluri lesiva, il soggetto attivo, risponde a titolo di dolo per il reato voluto (il danneggiamento della vetrina) e a titolo di colpa per le lesioni al passante (reato ulteriore non voluto). Il soggetto attivo con una sola azione produce 2 lesioni, risponderà a titolo doloso del reato voluto e a titolo colposo di quello ulteriore, si applica il cumulo giuridico per cui la pena applicata sarà quella per il reato più grave aumentata fino al triplo. LESIONI O MORTE COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO: è disciplinato dall’art. 586 cp. Ed è un tipo particolare di aberratio delictii. Il soggetto attivo produce lesioni o morte come conseguenza di altro delitto. È il caso dello spacciatore che vende della droga ad un soggetto che a causa dell’assunzione finisce per decedere o riportare lesioni. Il contenuto è diverso dalla preterintenzione, infatti, la preterintenzione prevede come reato base lesioni personali. In questo caso il reato base è diverso, è un altro delitto diverso dalle lesioni. La norma sancisce che il primo delitto deve essere doloso, rispetto all’evento ulteriore basta che non sia intenzionale. La colpa del soggetto attivo, nell’eventuale evento ulteriore, deve essere considerata nel senso di essere accertata la prevedibilità in concreto da parte del soggetto attivo della
possibilità che tale evento ulteriore possa verificarsi. Possibilità che nello spaccio di droga (finalizzata al consumo) è configurata. Diversamente sarebbe il caso dello scippo. Tecnicamente lo scippo è lo “strappo” dell’oggetto di sottrazione, nel caso lo scippato muoia per infarto a causa della paura, la prevedibilità non si configura, il soggetto attivo non risponde quindi anche della morte. Diverso è il caso in cui lo scippato resistesse allo scippo, in questo caso lo scippatore per sottrarre il bene deve usare violenza. Lo scippo si trasforma in rapina ed ecco che allora nell’uso di violenza la morte è considerata prevedibile e quindi lo scippatore risponderebbe di morte per altro delitto. Si applicherebbe il cumulo giuridico della pena. Se però nel caso di scippo vero e proprio, lo scippatore era a conoscenza dello status di cardiopatico della vittima, risponde del delitto morte in quanto poteva prevedere un infarto a causa delle condizioni di salute. Ovviamente l’evento ulteriore non è necessariamente la morte ma anche le sole lesioni personali.
PUNIBILITA’ Secondo Marinucci (idea non condivisa dal resto della dottrina e dalla giurisprudenza) la punibilità è un elemento del reato. In effetti, dal disposto delle norme, la punibilità, si applica quando un reato è già stato commesso. La punibilità è quindi evidentemente estranea agli elementi costitutivi del reato. La punibilità rappresenta la sottoponibilità del colpevole alla sanzione penale per il reato commesso. È relativa all’opportunità valutata dal legislatore di punire o no un fatto di reato od un soggetto. Abbiamo una prima macro distinzione tra condizioni obiettive di punibilità e condizioni di esclusione della punibilità. CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA’: tali cause sono condizioni di punibilità, sono richieste dalle stesse norme incriminatrici e fondano la punibilità del soggetto attivo. Sono condizioni che, se presenti, permettono la punibilità. Es: l’imprenditore che effettua spese personali o familiari superiori alla sua capacità di reddito e poi risulti insolvente verso i suoi creditori, se viene dichiarato fallito si configura la bancarotta semplice, in questo caso la condizioni di punibilità obiettiva è la dichiarazione di “fallito”. Nel caso di abuso di mezzi di correzione, il fatto consiste nell’abusare di mezzi di disciplina, questa condotta non è di suo punibile, è punibile solo se dal fatto deriva una malattia, il sorgere di una malattia è condizione di punibilità. Non è necessario che il soggetto attivo abbia potuto prevedere la realizzazione della condizione di punibilità, è un elemento oggettivo esterno del reato. A loro volta si distinguono in: OBIETTIVE INTRINSECHE:
approfondiscono l’offesa nei confronti del bene o di beni simili a quelli protetti dalla norma. La norma sull’abuso di mezzi di correzione tutela l’integrità fisica, la condizione obiettiva tutela in modo più approfondito la stessa integrità fisica.
OBIETTIVE ESTRINSECHE:
fuoriescono totalmente dalla tutela del bene protetto dalla norma. Nel caso della bancarotta, si vuole tutelare il patrimonio da garanzia dei creditori, la dichiarazione di fallimento non tutela lo stesso bene “patrimonio” ma rappresenta una mera condizione esterna, estrinseca che determina la punibilità.
La ratio sottostante è che il legislatore ha ritenuto che la stessa condotta da sola non sia sufficientemente grave e meritevole di pena ma necessitasse di porre ulteriormente in pericolo (o ledere) il bene protetto.
CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITA’: perché un reato sia punibile è necessario che queste cause non siano presenti. CAUSE PERSONALI DI ESCLUSIONE:
sono condizioni legate ad un determinato soggetto, le più importanti sono le immunità e le relazioni familiari nei reati patrimoniali.
IMMUNITA’
Sono condizioni relative a norme di diritto interno o internazionale, rendono non punibile per un fatto di reato alcuni soggetti esplicitamente indicati dalla norma. §
Interne: Presidente della Repubblica è immune per tutti i reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni ad eccezione dei delitti di alto tradimento e attentato alla costituzione (immunità funzionale). I parlamentari, i giudici della corte costituzionale e i consiglieri regionali sono immuni per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni ma limitatamente all’esercizio del diritto di voto e per le opinioni espresse, diverse sono le loro immunità processuali.
§
Internazionali: sono immunità assolute quelle verso i capi di stato ed il pontefice. Parlamentati europei, agenti consolari ed ambasciatori hanno immunità parziale, solo per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (in questo caso la manualistica penale diverge enormemente da quella internazionalistica che prevede immunità personali assolute.
RELAZIONI FAMILIARI NEI REATI PATRIMONIALI: Non è punibile chi ha commesso reati contro il patrimonio del coniuge non legalmente separato, di un ascendente o di un affine in linea retta (fino ai cugini), nei confronti dell’adottante o dell’adottato. Questi fatti sono penalmente punibili solo a querela di parte della persona offesa nei casi indicati dalla legge. Queste esclusioni non sono quindi assolute. CAUSE SOPRAVVENUTE DI NON PUNIBILITA’: sono cause previste esplicitamente dal legislatore il quale le autorizza o perché avviene un comportamento da parte del soggetto che elimina il pericolo di lesione che era stato creato verso il bene giuridico protetto dalla norma (prima ipotesi) o perché il soggetto attivo reintegra l’offesa al bene giuridico (seconda ipotesi). Sono cause che hanno caratteristica comportamentale, sono realizzate direttamente dal soggetto attivo, es: delitto di falsa testimonianza o falso giuramento in processo civile, chi giura il falso commette un delitto mettendo in pericolo il bene giuridico del corretto accertamento della verità. Se poi il soggetto muta opinione e decide di ritrattare la sua deposizione affermando il vero, si configura la “ritrattazione” che è causa sopravvenuta di non punibilità, serve a permettere di non aggravare l’offesa o il pericolo di offesa precedentemente commessa verso il bene giuridico protetto. Esempio 2: l’adempimento dell’obbligazione nel reato di insolvenza fraudolenta. Se il soggetto decide di adempiere l’obbligazione che con la su a condotta si era prefisso di non adempiere, egli non è punibile.
La seconda ipotesi è quella in cui il soggetto attivo reintegri il danno commesso al bene giuridico, es: condono edilizio. La legge specificata permette di condonare gli abusi edilizi in ambito urbanistico. Tali leggi identificano i tempi entro cui il soggetto deve reintegrare le lesioni commesse, siamo in presenza di una base normativa su cui si innesta un comportamento del soggetto attivo. Altro tipo di queste cause è rappresentato dalle sanatorie in materia tributaria, si tratta sempre di provvedimenti su base normativa a cui il soggetto attivo decide di aderire in conformità al disposto, sanando l’illecito da lui precedentemente commesso. Sono provvedimenti ad Hoc non disciplinati dal codice ma da provvedimenti specifici adottati dal legislatore. Altro esempio, nei reati associativi (banda armata, associazione a delinquere ecc) il soggetto che ha commesso uni di questi reati non è punibile se scioglie la banda armata o l’associazione da lui costituita. I soggetti associati non saranno punibili se decidono di recedere dall’associazione (opera nei soli confronti del reato associativo, non verso eventuali altri reati commessi). Si tratta sempre di cause personali (soggettive) e sottoposte a regime particolare, non sono, infatti, applicabili ai concorrenti nei casi di concorso di persone. CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO: Sono il gruppo più importante. Si tratta sempre di cause sopravvenute, ciò che conta è che sono esplicitamente indicate dall’art. 150 cp. Si sostanziano in situazioni disciplinate dal punto di vista giuridico al punto di definire in dettaglio come queste cause intervengano. Fino al 2005, nei confronti di tutta la massa di reati commessi in Italia, solo il 25% di questi giungeva a sentenza definitiva, per il resto dei delitti per cui era iniziato un procedimento giudiziario finivano per decorrere i termini di prescrizione finendo per incidere fortemente sul tema della certezza della pena. A questo pro si evidenziano due casi distinti: 1- cause di estinzione del reato che intervengono prima della condanna definitiva del soggetto attivo. 2- cause di estinzione della pena che intervengono dopo la condanna definitiva. Per quanto riguarda gli effetti di queste cause di estinzione, viene meno la punibilità del soggetto non potendogli essere applicate né le pene principali, né le pene accessorie es: interdizione dai pubblici uffici) né l’applicazione delle misure di sicurezza (es: la colonia agricola, casa di lavoro ecc). Queste cause di estinzione fanno venire meno le sanzioni penali ma restano applicabili le sanzioni (obbligazioni) civili quali il risarcimento del danno e la restituzione. Sotto il profilo dell’imputazione sono anche queste cause di non punibilità personali, si applicano al soggetto attivo anche se non ne è a conoscenza (applicazione oggettiva) e non si applicano ai concorrenti. Sono di verso tipo:
LA MORTE DEL REO:
L’art. 150 cp sancisce che la morte del reo avvenuta prima della condanna, estingue il reato. Ne scaturisce solo la non punibilità penale ma restano le conseguenze civili del risarcimento e della restituzione che quindi graveranno sul patrimonio del reo ormai defunto.
AMNISTIA PROPRIA:
È la seconda causa estintiva, si definisce propria in quanto interviene prima della condanna definitiva ( diversa da quella impropria che interviene dopo la sentenza di condanna). Prima del 1992 ne venivano adottate molte creando malumori e portando così ad una riforma che ne ha aggravato notevolmente l’iter di approvazione riducendone significativamente il numero. Rappresenta un atto di clemenza del parlamento nei confronti di determinati reati, è quindi necessaria una legge autonoma in materia che cancelli la punibilità. Per Marinucci dovrebbe essere utilizzata solo in particolari momenti storici, per
esempio in presenza di periodi di riappacificazione sociale cancellando la rilevanza di reati commessi durante gli scontri tra fazioni opposte (es: dopo la liberazione del ’45). Oggi l’iter di approvazione dell’amnistia prevede l’approvazione di ogni singolo articolo della legge e poi della legge nella sua interezza ad opera dei 2/3 di ogni singola camera. La legge deve essere redatta indicando chiaramente quali tipi di reato beneficiano del provvedimento di amnistia. La modalità più usata è quella di indicare i limiti di pena (es: amnistiati tutti i reati puniti entro il limite massimo di 3 anni di pena), oppure indicando il nome dei reati che si vuole amnistiare. Termini del provvedimento: esso produce effetti solo per i reati commessi dopo la data di presentazione del disegno di legge che propone il provvedimento ( se fossero amnistiati reati commessi dopo, avrebbe effetti criminogeni). Il soggetto non deve però essere ancora stato condannato in via definitiva. Effetti dell’amnistia: interviene solo rispetto alla punibilità penale restando applicate comunque le sanzioni civili. Il giudice, in caso di approvazione dell’amnistia non è tenuto all’accertamento del reato contestato all’imputato. Il soggetto attivo può, però. Rinunciare all’amnistia in quanto potrebbe voler dimostrare la sua innocenza mirando ad ottenere una sentenza di assoluzione piena. Anche l’amnistia è causa soggettiva di estinzione, si applica solo al soggetto che ha commesso il reato e non si estende ai complici.
PRESCRIZIONE:
Prescrizione o decorrenza dei termini: passato un certo lasso di tempo dalla commissione del fatto, il legislatore, ritiene che il fatto di reato non sia più meritevole di punizione. La ratio è insita nell’effetto general preventivo della minaccia della pena, passato un certo tempo, la collettività sente meno l’allarme sociale provocato dal reato, la punizione del fatto non svolge più il suo effetto deterrente sulla collettività. Nel 2005 questo istituto è stato modificato. Le lungaggini dei procedimenti giudiziari ha portato ad un allungamento dei termini di prescrizione. Prima del 2005 per i reati per cui era prevista una pena fino a 5 anni di reclusione, il termine di prescrizione era pari a 5 anni dalla commissione del fatto. Per i reati più gravi il termine era inferiore al massimo edittale previsto. Con la riforma il termine di prescrizione per la maggioranza dei reati è stato elevato al massimo edittale mentre per alcuni altri reati (es: associativi in materia di criminalità organizzata, omicidi colposi in ambito lavorativo ed in violazione delle norme del codice stradale) il termine di prescrizione è stato elevato al doppio della pena massima prevista per il reato stesso. Sono stati introdotti anche dei limiti minimi, ad esempio per i delitti devono essere trascorsi almeno 6 anni dal fatto per poter procedere alla
dichiarazione di prescrizione del reato, se poi il delitto è più grave si applicano i termini visti sopra. Per le contravvenzioni devono passare almeno 4 anni dal fatto. Per i reati continuati (puniti con il cumulo giuridico) si calcola il termine di prescrizione al pari dell’ipotetico cumulo materiale delle pene previste per ogni singolo reato.
DIES A QUO
(TERMINE DI DECORRENZA) è identificato alla luce dei diversi tipi di reato: per il tentativo il termine decorre dalla realizzazione degli atti idonei ed univoci; reato consumato > il giorno in cui è ultimata la condotta (per i reati di condotta) o il giorno in cui è stato prodotto l’evento (reati di evento); reati permanenti > il giorno in cui finisce la permanenza del reato (es: sequestro di persona > data del rilascio del sequestrato).
SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE in presenza di certe situazioni il calcolo del tempo per la prescrizione si sospende per poi essere ripreso successivamente dal punto in cui era stato interrotto. In quel periodo, normalmente, si compiono degli atti giudiziari. Questi casi sono molteplici: l’udienza preliminare, l’autorizzazione a procedere (per i parlamentari viene sospeso fino a quando non viene concessa o rifiutata dal parlamento), la sospensione prodotta su richiesta dei difensori dell’imputato a causa di impedimenti delle parti a partecipare al processo (il difensore chiede la sospensione del processo).
INTERRUZIONE DEL TERMINE
ipotesi che si configura quando compaiono delle nuove situazioni aventi rilievo giudiziario. Nell’interruzione del termine il decorso del tempo viene fermato e ripartirà poi dall’inizio purché il periodo complessivo pur ripartendo da zero non superi di ¼ il termine che era stato previsto in origine. L’interruzione è prodotta quando (art. 160 cp.): in presenza della sentenza di condanna non definitiva es in 1° grado (per alcuni soggetti l’aumento complessivo del termine sarà della metà di quello previsto (recidiva aggravata) o dei 2/3 (recidiva reiterata) e fino al doppio per i delinquenti abituali e professionali); in presenza di ordinanza che applica misure cautelari; ordine di convalida del fermo; interrogatorio davanti al PM; provvedimento del giudice per la fissazione dell’udienza preliminare; richiesta di rinvio a giudizio.
OBLAZIONE GIUDIZIALE
E’ una causa estintiva disciplinata dall’art. 162 cp. In relazione alle sole contravvenzioni. È il pagamento di una somma di denaro allo stato per ottenere la non punibilità penale (ammenda e multa) dei reati bagatellari. Le ragioni sono di economia processuale e speditezza. Vi sono 2 tipi di oblazioni giudiziali: §
Obbligatoria o comune: il soggetto attivo ha diritto in modo assoluto all’estinzione del reato con il pagamento (per contravvenzioni punite solo con l’ammenda) di 1/3 della somma pecuniaria prevista per il reato contestatogli. Pagamento che deve
avvenire prima del dibattimento processuale, non verrà così né punito né risulterà nel suo certificato penale. §
Discrezionale: in questo caso si applica alle contravvenzioni punite alternativamente con arresto o ammenda. In questo caso sarà il giudice a decidere se riconoscerla al soggetto o meno; in questa ipotesi il soggetto presenta istanza al giudice prima del processo o comunque entro la discussione finale del dibattimento e dovrà versare una somma pari alla metà della pena prevista per il reato contestatogli. L’art. 162 bis specifica i criteri con cui il giudice effettua la sua decisione discrezionale. Non potrà essere concessa nel caso in cui: ritenga che il soggetto abbia commesso un fatto di una certa gravità; il soggetto ha commesso un fatto le cui conseguenze dannose alla vittima siano ancora presenti; il soggetto è recidivo rispetto al reato commesso.
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA Viene applicata quando il giudizio non è ancora arrivato a sentenza definitiva, si considera quindi come causa di estinzione del reato e non della pena. È un istituto molto ricorrente per cui viene interrotta l’esecuzione della pena (dopo una sentenza di condanna non definitiva) permettendo al condannato di beneficiare della libertà. Se poi il soggetto entro un certo periodo (5 anni per i delitti e 2 anni per le contravvenzioni) non commette altri nuovi reati della stessa indole, egli non viene sottoposto all’applicazione della pena che era comunque già stata individuata dal giudice ma poi sospesa. È una sorta di “messa in prova”. La condanna viene quindi cancellata. In origine le pene sospendibili erano solo quelle fino ad un massimo di 6 mesi, oggi è applicata a tutte le pene fino ad un massimo di 2 anni. La sospensione è riconoscibile dal giudice a fronte di alcuni requisiti e possibilità di subordinazione ad alcune attività a carico del condannato: §
Il giudice deve effettuare una valutazione di capacità a delinquere (non deve commettere in futuro altri reati).
§
Il beneficiario non deve essere stato dichiarato in precedenza soggetto socialmente pericoloso ossia delinquente abituale, professionale o tendenziale per cui sarebbe sottoposto a misure di sicurezza.
§
Il giudice può ampliare l’intervento della sospensione anche verso una 2^ condanna purché la somma complessiva delle pene previste per i due reati non superi i 2 anni, se li supera si applica solo la pena eccedente.
§
Il giudice riconoscendo la sospensione può imporre dei doveri condizionanti ulteriori che se non rispettati comportano la revoca della sospensione (es: restituzione della refurtiva, eliminazione dei danni prodotti ecc). Dal 2004 è stata introdotta la possibilità per
cui il giudice obblighi il condannato ai lavori socialmente utili a favore della collettività. §
Il provvedimento deve essere revocato se il soggetto commette un altro reato della stessa indole o se condannato ad altro reato per cui supera i 2 anni complessivi di pena.
PERDONO GIUDIZIALE
È un istituto previsto verso i reati commessi dai minorenni compresi tra i 14 ed i 18 anni. Se tali minori compiono un fatto di reato, il giudice, prima di richiedere il rinvio a giudizio o anche con la sentenza (di proscioglimento), perdona il minorenne. In questa ipotesi non vi è una condizione temporale, il minore non è messo in prova, il perdono ha efficacia immediata, ciò al fine di evitare al minore l’incarcerazione. Il perdono potrà essere concesso quando: §
Il reato commesso sarebbe punibile solo con una pena inferiore ai 2 anni (ciò vale anche per una 2^condanna purché il cumulo delle pene previste sia inferiore ai 2 anni.)
§
Il giudice deve effettuare una valutazione sulla possibile astensione futura dal commettere altri reati ed il minore non deve essere stato precedentemente dichiarato socialmente pericoloso.
§
Se la pena prevista è solo pecuniaria, il perdono è applicabile solo per pene non superiori a 1549€.
APPLICAZIONE DELLE SANZIONI
Una volta individuata la colpevolezza si passa alla fase della comminazione della pena. La pena maggiormente utilizzata nel nostro sistema penale è la pena detentiva la cui commisurazione risulta parametro con cui viene misurata la gravità del reato commesso. Con il codice Rocco si introduce il sistema del doppio binario, coesistono pene e misure di sicurezza. Le prime che secondo Rocco avrebbero dovuto essere destinate ai delinquenti occasionali, le seconde ai criminali socialmente pericolosi o ai minori socialmente pericolosi ma non imputabili. La PENA è generalmente identificata come pena detentiva ma si divide innanzitutto in due macro famiglie: pene principali e pene accessorie che, a loro volta, si dividono in pene detentive (limitazione della libertà personale), pecuniarie (pagamento di somme di denaro)e sostitutive ( applicabili in sostituzione della pena detentiva se è inferiore a 6 mesi: trasformazione in pecuniaria, libertà vigilata ecc). PENE DETENTIVE: trovano legittimazione nei principi general e special preventivi, nonché nel principio retributivo. Nel nostro ordinamento la pena deve tendere a rieducare il condannato, è quindi informata al principio special preventivo. Rieducazione intesa quale rieducazione alla legalità ed al reinserimento sociale attraverso il lavoro rimettendo in libertà un soggetto che non dovrebbe più commettere reati. Trattamento che non può essere imposto ma solo offerto al condannato. Principio rieducativo previsto dall’art. 27 Cost. e dalla legge di riforma dell’ordinamento penitenziario. Il condannato dovrebbe essere sottoposto all’osservazione di psicologi e poi sottoposto a trattamento psicosociale rieducativo. Purtroppo questo sistema non è stato applicato in quanto si è scontrato con la carenza di risorse economiche necessarie.
PENE PRINCIPALI: detentive e pecuniarie: ergastolo, arresto, detenzione, multa e ammenda. PENE ACCESSORIE: sono ipotesi di interdizione dai pubblici uffici, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o imprese, decadenza o sospensione dell’esercizio della patria potestà ecc.
DELITTI: ergastolo, reclusione, multa CONTRAVVENZIONI: arresto e ammenda ERGASTOLO:
È la sanzione più grave, rappresenta la privazione della libertà per tutta la vita. È disciplinato dall’art. 22 cp. Sono previsti il lavoro obbligatorio diurno e l’isolamento notturno. Con leggi speciali si è indirettamente fatto venir meno l’isolamento notturno permettendo ai detenuti di condividere gli spazi. Anche l’obbligo di lavoro è stato derogato, principalmente a causa delle condizioni del mercato del lavoro in Italia che non ha permesso di inserire i detenuti in attività lavorative. Si è sollevata anche la questione di incostituzionalità dell’ergastolo (confligge con il principio di rieducazione della pena). Conflitto risolto alla luce della riforma del 1975 che ammette anche gli ergastolani alla possibilità di usufruire della semilibertà dopo 15 anni di pena in presenza di buona condotta. Una volta ammesso anche per i minori imputabili (14-18 anni), oggi non più. Ha sostituito la pena capitale ove prima era prevista.
RECLUSIONE:
IN CARCERE. È la pena più diffusa. Consiste nella privazione della libertà personale, va da un minimo di 15gg ad un massimo di 24 anni (anche se ci sono reati gravi per cui arriva ad un massimo di 30 anni come per il sequestro di persona a scopo si estorsione). Ogni singolo reato ha poi una sua forbice minima e massima che non possono eccedere i limiti massimi generali sopra descritti.
ARRESTO:
consiste sempre nella privazione della libertà personale. Si intende arresto penale a seguiti di sentenza di condanna (diverso dall’arresto processuale effettuato dalla polizia). Disciplinato dall’art. 25 cp. Va da un minimo di 5gg ad un massimo di 3 anni. Andrebbe scontato in apposite strutture diverse dal carcere detentivo. Oggi si sconta negli stessi carceri detentivi ma in appositi settori dedicati. Sono previste apposite sanzioni alternative all’arresto penale quali sanzioni pecuniarie, subito dopo la sentenza il giudice decide se commutare l’arresto in sanzione pecuniaria senza far scontare nemmeno un giorno di arresto.
MULTA E AMMENDA:
Sono pene pecuniarie da versare allo stato. La multa è prevista per i delitti (da minimo 1500€ a massimo 5164€), l’ammenda per le contravvenzioni (minimo 2€ massimo 1032€).
PENE SOSTITUTIVE: il giudice di cognizione che decide sulla responsabilità, deve definire anche la sanzione da applicare al reo. In quella sede dovrebbe rispettare i limiti di pena previsti dalla norma incriminatrice e poi a tale pena deve essere data esecuzione. Dal 1981 sono state introdotte nel nostro sistema penale le pene sostitutive, nuove sanzioni come la semidentenzione, libertà controllata e pena pecuniaria sostitutiva. Il motivo dell’intervento è stato causato dall’eccessiva applicazione della sospensione condizionale della pena, si è voluto quindi introdurre sanzioni che
avessero il ruolo di mediare tra l’applicazione della pena e la sospensione condizionale. L’intento era quello di sostituire la sospensione della pena.
SEMIDETENZIONE:
allorquando il giudice decide di punire il soggetto con una pena detentiva fino a 2 anni, egli, può trasformarla (sostituirla) con la semidentenzione. Il condannato deve trascorrere almeno 10 ore al giorno in carcere mentre le restanti ore può trascorrerle all’esterno svolgendo attività lavorativa o di studio. Ad 1giorno di pena detentiva corrisponde 1 giorno di semidetenzione.
LIBERTA’ CONTROLLATA: È rappresentata dal conseguimento della libertà totale del condannato benché sia sottoposto ad alcuni obblighi quali: firma giornaliera c/o commissariati, questure o caserme dei CC. Ad 1 giorno di reclusione corrispondono 2 giorni di libertà controllata, applicabile solo per pene detentive fino ad un massimo di 6 mesi (la libertà controllata non può superare il limite di 1 anno).
PECUNIARIA SOSTITUTIVA: La sanzione detentiva per pene fino ad un massimo di 6 mesi di reclusione si trasformano nel pagamento di una somma di denaro. Ad 1 giorno di reclusione corrisponde una somma di 38€. Per adeguare tale provvedimento alle disponibilità economiche del condannato, la legge, consente al giudice di applicare un moltiplicatore aumentando fino al triplo la somma (se soggetto abbiente) o riducendola sino ad 1/3 (per soggetti meno abbienti). Nella realtà le pene sostitutive non hanno sostituito la sospensione della pena come auspicato dal legislatore ma, in concreto, sono risultate applicabile in aggiunta alla sospensione della pena. Il soggetto condannato più volte che ha usufruito della sospensione della pena può usufruire anche della pena sostitutiva per un eventuale reato ulteriore ad eccezione di alcune ipotesi indicate nel codice penale (N.d.R. sta parte l’ha spiegata malissimo….)
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE: Sono applicabili dal giudice di sorveglianza, intervengono in una fase posteriore alla condanna. Nel 1975 sono state introdotte nel nostro ordinamento modificando l’ordinamento penitenziario. Col tempo sono intervenute modificazioni che hanno reso ancor più favorevole per i detenuti tale regime. La ragione è insita nella volontà di agevolare la risocializzazione del condannato, facilitando il passaggio dalla vita carceraria alla vita esterna al carcere.
AFFIDAMENTO IN PROVA AI SERVIZI SOCIALI: Il detenuto viene rimesso in libertà ma è sottoposto al controllo ed alla guida degli operatori del servizio sociale. Il condannato deve espiare ancora meno di 3 anni di carcere. Il servizio sociale verifica il rispetto delle disposizioni dettate dal provvedimento a cui l’affidato deve attenersi (es. non rientrare nella propria abitazione dopo una certa ora, divieto di frequentare certi locali o soggetti ecc). Il centro sociale svolge attività di reinserimento lavorativo fornendo se necessario un luogo di dimora ed altri servizi. Una nuova ipotesi riguarda l’affidamento per i detenuti
tossicodipendenti che abbiano deciso di intraprendere un percorso di disintossicazione e recupero. In questo caso l’affido avviene in comunità terapeutica ed il limite di pena ancora da scontare è esteso fino a 4 anni.
DETENZIONE DOMICILIARE: È stata introdotta nel 1988. Al detenuto è concesso dal giudice di sorveglianza di scontare la detenzione in un luogo di privata dimora, propria abitazione od istituto di cura. Nel provvedimento sono indicate le prescrizioni a cui il beneficiario del provvedimento deve attenersi (es: non ricevere altri soggetti se non propri famigliari, divieto di tenere corrispondenza o telefonate ecc). Oggi la detenzione domiciliare è concessa a chiunque sia detenuto ed abbia da scontare ancora meno di 2 anni di reclusione. Vi sono altri casi in cui può essere riconosciuta con pena da scontare residua entro 4 anni: soggetti in stato di gravidanza, detenuto ultra 60enne (per motivi di salute), detenuto >18<21 anni se presenti esigenze di studio o inizio di attività lavorativa. Tutte le misure alternative alla detenzione sono applicabili anche da subito se la pena massima inflitta è nei limiti di pena residua prevista per l’applicazione a soggetti che hanno già scontato una parte di pena.
SEMILIBERTA’
È molto simile alla semidetenzione. Il soggetto (autorizzato dal giudice di sorveglianza) è libero di uscire dal carcere per lavoro o studio ma ha l’obbligo di rientrare in carcere la sera. Il limite temporale di applicazione è per 6 mesi di pena detentiva residua.
LIBERTA’ ANTICIPATA: Non si tratta di una vera misura alternativa anche se alcuni autori la considerano tale. Un condannato, se durante la detenzione ha tenuto una buona condotta (una fattiva collaborazione con l’autorità penitenziaria), usufruisce di una liberazione anticipata pari a 45 giorni per ogni 6 mesi di reclusione scontati. Per un anno di pena inflitta, il soggetto a cui viene concessa, sarebbe liberato dopo 9 mesi. Tutte le misure alternative alla pena sono sottoponibili a revoca del provvedimento. Ciò accade quando il soggetto non rispetta le prescrizioni indicate nel provvedimento. La revoca riporta il soggetto in carcere.
MISURE DI SICUREZZA: queste misure si muovono sul secondo binario. Svolgendo una finzione di cura e rieducazione avrebbero dovuto essere applicate a tutti i soggetti considerati socialmente pericolosi. Sono considerati socialmente pericolosi i soggetti che hanno la probabilità di commettere altri reati futuri (recidivi). Nella prassi giudiziaria solo pochi soggetti vi sono sottoposti e la metà di essi sono malati di mente. Altre misure di sicurezza sono rappresentate da misure di sicurezza patrimoniali quali la confisca. Sono disciplinati dall’art. 215 e ss del cp. Le misure di sicurezza sono applicabili nei confronti di un soggetto condannato per un reato. Il giudice di cognizione effettua una valutazione sulla pericolosità sociale e decide se applicare una delle misure di sicurezza. In seguito ad una sentenza della C.Cost. la pericolosità sociale deve essere sempre accertata dal giudice (prima vi erano casi di pericolosità oggettiva).
COLONIA AGRICOLA O CASA DI LAVORO: Sono applicabili in presenza di una condanna per reato, a soggetto imputabile e socialmente pericoloso. Il codice prevede alcuni casi tipici di pericolosità quali l’abitualità o professionalità del delinquente (abituale quando compie abitualmente reati; professionale quando dai reati trae la sua fonte di sostentamento). Questi istituti sono delimitati con un limite minimo di durata ma illimitati nel massimo in quanto perdurano finché il giudice di sorveglianza non valuta il venir meno della pericolosità. Nella colonia agricola il soggetto svolgerà attività lavorativa in ambito agricolo, in casa di lavoro si svolge solitamente attività di tipo artigianale.
OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO: I soggetti sottoposti sono condannati per reati ma non risultano imputabili perché affetti da vizio di mente. Si vuol cercare di ridurre la pericolosità sociale attraverso la cura dei malati di mente.
RIFORMATORIO GIUDIZIARIO: Si applica ai minori non imputabili e socialmente pericolosi condannati per reati. Oggi consiste in una comunità e non più nel carcere minorile, la finalità è quella di rieducazione del minore. Il minore è considerato pericoloso se ha commesso reato con l’uso di violenza o armi. Se commessi altri reati non violenti e sia incapace di intendere e di volere ma il giudice lo ritenga capace di commettere altri reati, ilo minore viene sottoposto a libertà vigilata rispettando indicazioni contenute nel provvedimento.
CASA DI CURA E CUSTODIA: Mai state costituite in Italia, i soggetti sono sottoposti in alcune aree degli opg. Consisterebbe nello svolgimento di alcune attività di cura nei confronti di soggetti semi imputabili (es. vizio parziale di mente ecc..) Esistono alcune misure di prevenzione ante delictum che si applicano a soggetti anche solo sospettati di compiere reati, anche senza accertarne il compimento. L’autorità può richiedere l’applicazione di misure preventive quali ad esempio la sorveglianza speciale.
PARTE SPECIALE La parte speciale del codice penale esamina principalmente i reati contro la PA, il patrimonio, l’economia pubblica e contro la persona, costituisce il libro II del codice penale e descrive i delitti. Le norme incriminatrici vanno lette analizzando subito se si tratta di reato proprio (qualificato) o meno, quale è la condotta, quale il bene protetto, quale è il tipo di reato (omissivo o commissivo) e quale è la responsabilità necessaria per la costituzione del reato descritto.
DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE È necessario innanzitutto distinguere tra delitti dei pubblici ufficiali contro la PA e delitti dei privati contro la PA. Le violazioni più gravi sono evidentemente quelle commesse dai pubblici ufficiali. La PA è costituita da un insieme dei beni oggi identificati in: imparzialità, buon andamento della PA, probità e patrimonio della PA. Imparzialità:
si sostanzia nel diritto dei cittadini affinché la PA mantenga un comportamento che rispetti i reali valori in campo e tale da non essere influenzato da interessi volti a favorire una certa parte piuttosto che un’altra. Le regole devono essere rispettate dai pubblici ufficiali senza favorire nessuno.
Buon andamento:
L’attività della PA deve svolgersi rispettando principi di efficienza in modo da garantire il conseguimento degli obiettivi da raggiungere garantendo quindi il buon funzionamento.
Probità:
la PA (specialmente coloro i quali la rappresentano) deve svolgere la sua attività in maniera onesta, senza quindi mettere “in vendita) le proprie funzioni ed i propri atti (corruzioneconcussione).
Patrimonio pubblico:
ci sono delle previsioni di reato che proteggono le risorse che la PA ha a disposizione per lo svolgimento delle sue funzioni (peculato).
Già l’art. 54 cp. Indica i principi a cui la PA deve ispirarsi nello svolgimento delle sue funzioni. Nel concetto di PA viene inserita sia l’attività amministrativa in senso stretto sia l’attività giudiziaria e quella legislativa. REATI COMMESSI DAI PUBBLICI UFFICIALI. Perché si configurino i reati ricompresi in questo sottogruppo è necessaria la qualifica di pubblico ufficiale del soggetto attivo. Con l’articolo 357 cp si disciplina la qualifica di pubblico ufficiale. Il concetto di pubblico ufficiale è oggettivo, identificandolo in relazione all’attività da lui svolta, a prescindere dall’essere un dipendente pubblico (ufficiale di fatto). Il pubblico ufficiale è colui che svolge alcune attività e precisamente sono 3: Deliberatoria:
il soggetto ha la rappresentanza di un organo/ufficio pubblico avendo partecipato ad una decisione dell’organo. Il pubblico ufficiale è in questo modo il soggetto che decide a nome del suo ufficio e ne manifesta all’esterno la volontà (rappresentativa della sua decisione). È pubblico ufficiale colui che è anche solo investito di questi poteri, non è necessario che li eserciti in concreto.
Autoritativa:
il soggetto ha in dotazione la possibilità di imporre ad altri soggetti (privati o pubblici) determinati provvedimenti (è la legge che gli conferisce tale dotazione) (esempio: limitazione della libertà personale; eseguire un arresto è atto autoritativo; comminare una sanzione amministrativa – anche il controllore del pullman è pubblico ufficiale).
Certificativa:
il soggetto è dotato del potere di attestare la veridicità dei determinati fatti, notizie, circostanze che riguardano comportamenti accaduti dinnanzi a lui o qualità/caratteristiche possedute da persone (es: ufficiale di stato civile, notaio).
Oltre alla qualifica di pubblico ufficiale vi sono dei casi in cui alcuni soggetti sono assimilabili al pubblico ufficiale: Incaricato di pubblico servizio: disciplinato dall’art. 358 cp, il contenuto è molto generico ed avviene in via residuale. È incaricato di pubblico servizio il soggetto che non è pubblico ufficiale ma svolge mansioni che non sono di semplice
prestazione di opera meramente materiale o di mansioni d’ordine. Ha incarico di natura pubblicistica ma non è pubblico ufficiale. È una figura intermedia tra il privato ed il pubblico ufficiale, non possiede poteri autoritativi, deliberatori o certificativi es: i bidelli, in alcuni casi il capo stazione. Incaricato di pubblica utilità: questi soggetti sono i privati che esercitano la professione forense o sanitaria (avvocato, medico di famiglia- svolgono la professione come lavoratori autonomi e non dipendenti pubblici), medici ospedalieri o guardia medica sono però pubblici ufficiali. Anche i privati che non prestano pubblico servizio vi rientrano allorquando esercitano un’attività mediante un atto della PA ( è necessario un provvedimento di autorizzazione o concessione es: taxi, titolari di autolinee). Non tutti i reati commessi da pubblici ufficiali possono essere attribuiti a tali soggetti.
PECULATO:
si distinguono tre tipi di peculato: semplice, peculato d’uso e mediante profitto dell’errore altrui.
Semplice
consiste in un’appropriazione commessa dal pubblico ufficiale nei confronti di una cosa mobile o somma di denaro altrui di cui egli ha il possesso per ragioni d’ufficio. Il soggetto attivo può essere solo il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio. Il bene protetto consiste nel buon andamento della PA, nella probità e nel patrimonio pubblico o privato. La condotta è descritta, dopo la riforma del 1990, utilizzando l’espressione “ se ne appropria”, deve quindi esserci il possesso o la disponibilità del denaro o del bene mobile altrui, in secondo luogo deve impossessarsene. Il possesso o la disponibilità del bene in dotazione del pubblico ufficiale può essere sia materiale (in concreto) sia potenziale (materiale = somma di denaro presente nel suo ufficio; potenziale = possibilità di operare su un conto corrente dell’ufficio). Si è voluto colpire, quindi, anche l’appropriazione di beni che il pubblico ufficiale non deteneva direttamente ad esempio perché detenuti dal collega. L’appropriazione si configura quando il soggetto può compiere sulla cosa atti tipici del proprietario ( cederlo, distruggerlo, venderlo utilizzarlo), il compimento di uno di questi atti determina l’appropriazione. Anche beni di privati sono coperti da questa previsione di reato qualora fossero stati consegnati al pubblico ufficiale ad esempio per custodia momentanea. Occorre a questo punto verificare che la condotta non sia stata compiuta in presenza di scriminanti. Se il fatto risulta quindi anche antigiuridico, occorre verificare se il fatto è stato commesso con la consapevolezza richiesta dalla norma. Siccome la norma nulla dice in merito a colpa, si ritiene configurato il reato solo per dolo (almeno il dolo eventuale), il pubblico ufficiale deve aver la consapevolezza di essere un pubblico ufficiale o almeno la consapevolezza di svolgere un’attività di tipo pubblicistico, deve avere la consapevolezza di disporre del bene e di appropriarsene. Il reato di peculato è poi configurabile anche a titolo di tentativo qualora siano presenti atti idonei e diretti all’appropriazione di tali beni. Per il peculato è configurabile il concorso in reato per i complici solo se sono a conoscenza della caratteristica di pubblico ufficiale del soggetto attivo, altrimenti rispondono di concorso in peculato per mutamento del titolo.
D’uso:
il pubblico ufficiale ha compiuto l’appropriazione allo scopo di utilizzare momentaneamente la cosa/denaro e poi la restituisce immediatamente dopo l’uso. È fattispecie meno grave, il bene è leso solo momentaneamente. Nonostante la norma faccia riferimento ai soli beni mobili, la giurisprudenza, ha ricompreso anche il denaro. Se il soggetto trattiene il bene
anche solo per un certo tempo o non ne voleva fare un uso momentaneo, si configura il peculato semplice. Mediante profitto Dell’errore altrui:
disciplinato dall’art. 316 cp. Il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio commette una condotta particolare che non è specificamente un’appropriazione, il soggetto approfitta di un errore altrui e riceve o trattiene indebitamente denaro o altra utilità. L’elemento caratterizzante è che il soggetto sfrutta un errore altrui, la dazione o possesso, sono avvenuti a causa di un errore di un terzo. Es: un pubblico ufficiale riceve una somma di denaro versata per errore da un privato che pensava di pagare una sanzione amministrativa ma la versa all’ufficio sbagliato. La sola accettazione della somma di denaro, sotto il profilo materiale, configura il reato, poi si valuterà se è anche antigiuridico e se vi è il dolo del pubblico ufficiale (il soggetto deve sapere che riceve una somma di denaro versata per errore). Reato realizzabile anche in forma tentata.
INDEBITA PERCEZIONE AI DANNI DELLO STATO: L’art 316 ter è una disposizione recente (è stata introdotta nel codice solo nel 2000) allo scopo di rispettare indicazioni formulate dalla Comunità Europea. Venivano realizzate delle piccole frodi nei confronti della CE e vi era un vuoto normativo, un’assenza di una norma specifica che potesse andare a punire queste piccole frodi. Risultava che il delitto di truffa o truffa aggravante o truffa in erogazioni pubbliche (art. 640 e 640 bis) non potevano essere configurati, in quanto per realizzare questi reati è necessario che la condotta sia particolarmente ingannevole (con modalità particolarmente fraudolente). Queste piccole frodi erano, invece, realizzate semplicemente con la presentazione di documenti non veritieri: condotta non sufficiente per configurare il delitto di truffa. Per risolvere questo problema è stato introdotto il delitto di indebita percezione a danno dello Stato (art. 316 ter). E’ una forma minore del delitto di truffa. La fattispecie è stata inserita nei delitti contro la P.A. e non nei delitti contro il patrimonio, in quanto l’oggetto della tutela è il patrimonio pubblico. Consiste nel fatto del soggetto che ottiene erogazioni pubbliche, contributi, agevolazioni mediante la presentazione di documenti falsi e dichiarazioni false o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute. Si tratta di modalità comportamentali che si distinguono in due gruppi: commissive ed omissive (a differenza del delitto di truffa che chiaramente non si può realizzare con un comportamento omissivo). La clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis si applica l’art. 316 ter” significa, quindi, che l’art 316 si applica purché la condotta non consista in un artificio o in un raggiro (in quest’ultimo caso si applica l’art. 640 bis – truffa ai danni dello stato). Il reato prevede una condotta attiva: utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti attestanti cose non vere. Esibire inviare e utilizzare dei documenti, degli atti, delle scritture private, dei contratti attestanti cose non vere. Es. esibizione di un contratto di compravendita di un mezzo agricolo con prezzo superiore a quello pagato, oppure il caso di un contratto per un acquisto mai avvenuto). In alcune aree la CE aiuta i cittadini ad acquistare i mezzi agricoli. La mera esibizione, il semplice utilizzo del documento dà vita alla condotta illecita; poi sarà necessario ottenere il contributo o il finanziamento. La condotta si conclude con l’ingiusto
vantaggio: il contributo (evento). Se l’evento non si realizza, ma il soggetto ha compiuto una condotta idonea e univoca, il soggetto potrà essere punito per il tentativo. L’art. 640 bis prevede anche la condotta omissiva; assume tipicità e punibilità quando si tratti di un’omissione di informazioni dovute: quando il soggetto è obbligato per legge a comunicare determinate notizie o informazioni ed omette di comunicarle all’ufficio che ha già erogato il contributo e pertanto continua a percepire il contributo (es. mancata comunicazione della cessazione di vita di un soggetto). La norma prevede anche un limite di punibilità. Quando il soggetto percepisca una somma pari o inferiore a 3.999,00 euro si applica solo la sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una “somma”. In questa norma sono presenti due tipi di illecito: un illecito penale e un illecito amministrativo. La somma di denaro è la pena pecuniaria prevista da un illecito amministrativo (quindi non di competenza dell’autorità giudiziaria), mentre l’ammenda e la multa sono le pene pecuniarie previste per l’illecito penale (di competenza dell’autorità giudiziaria). L’art. prevede l’illecito amministrativo per punire meno pesantemente delle indebite percezioni di minore gravità. Art. 317 e seguenti. La concussione e i delitti di corruzione rappresentano i reati più gravi realizzati dai pubblici ufficiali in generale rispetto alla qualifica e alla posizione che essi posseggono. . CONCUSSIONE:
L’art. 317 del c.p. disciplina il delitto di concussione. Come il peculato ha subìto una modifica nel 1990: il soggetto attivo può essere il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (prima l’incaricato di un pubblico servizio non era soggetto attivo). Il fatto tipico lo si identifica nella condotta di chi (P.U. o incarico pubblico servizio) abusa della propria qualifica e dei propri poteri e costringe e induce taluno a dare o promettere a lui o a un terzo denaro o altre utilità. Condotta: abuso, poi costrizione o induzione e infine in un evento di tipo comportamentale: la vittima deve promettere o dare denaro o altre utilità. L’abuso della qualifica: il soggetto attivo deve strumentalizzare la posizione che egli riveste facendo pesare nei confronti della vittima il fatto di essere P.U. anche al di fuori della realizzazione di atti di propria competenza. Il P.U. non compiendo un’attività della quale egli è competente mette in evidenza la sua qualifica per influenzare la vittima (es. l’agente di polizia volendo entrare gratuitamente in un locale pubblico esibisce il suo tesserino). L’abuso di poteri si configura quando il soggetto attivo, nello svolgimento di una sua attività funzionale produce l’evento finale. Es. L’impiegato della P.A. che dietro lo sportello chiede del denaro per far andare avanti una pratica di concessione che un privato ha richiesto (abuso di poteri perché è un’attività di propria competenza). E’ necessaria anche una condotta supplementare: la costrizione e l’induzione. La costrizione consiste in un comportamento di sopraffazione con il quale il soggetto coarta la volontà della vittima. La costrizione è una minaccia di un male ingiusto e futuro che la vittima potrà subire. La minaccia è una sorta di violenza psichica e non fisica. L’induzione è qualsiasi tipo di comportamento che ha influenzato la volontà della vittima e ha condotto quest’ultima a dare o promettere. Sul concetto di induzione e condotta induttiva ci sono diverse interpretazioni. Il concetto di induzione è inteso dal nostro
manuale come induzione in errore o in inganno. Giurisprudenza e dottrina non seguono questa interpretazione: hanno una visione più ampia: qualsiasi tipo di attività che spinge la vittima a dare o promettere. La forma più blanda è l’ostruzionismo: induzione realizzata mediante una condotta volta ad ostacolare ad esempio l’emissione di un provvedimento. Il P.U. che invita il cittadino costantemente a tornare per ottenere un documento di competenza dell’ufficio. Induzione mediante ostruzionismo: il P.U. dopo la richiesta di un provvedimento da parte di un privato utilizza delle parole allusive, non esplicite (il P.U. dice “io ho una famiglia numerosa” e il richiedente deve capire “qualcosa”; sono allusioni realizzare nella prospettiva di ottenere denaro). Le allusioni sono una forma di induzione. La condotta deve produrre un evento tipico di risultato: il soggetto passivo promette denaro o altra attività. L’evento consiste nella promessa o nella dazione di denaro o altra utilità. La promessa consiste nella manifestazione di svolgere una prestazione futura nei confronti del P.U. o di un terzo. La ricezione consiste nell’accettazione di denaro o altra utilità effettivamente trasferita a favore del P.U. Denaro come già detto è carta moneta e moneta metallica, altra utilità è qualsiasi altro vantaggio che abbia valore patrimoniale o morale (es. prestazioni d’opera – la vittima svolge attività di giardinaggio nella villa del PU).
CORRUZIONE:
L’art 318 interviene in materia di corruzione propria che punisce il PU o l’incaricato di un pubblico servizio che riceve per sé o per un terzo in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa. L’art. 318 e seguenti prevedono diversi tipi di corruzione alla luce di diversi parametri. In tutti i casi vi è un accordo tra le parti. Il corruttore si impegna a dare o fare qualcosa e il corrotto omette e compie un’attività o ha già compiuto un atto d’ufficio. Il privato agisce possedendo una posizione paritaria del PU.
La corruzione impropria è disciplinata dall’art 318 che punisce il PU o l’incaricato di un pubblico servizio che per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa. Il risultato finale che il privato si propone di ottenere è un risultato conforme all’attività del PU. L’atto è compatibile, legittimo dal punto di vista funzionale. La corruzione impropria può essere compiuta prima del compimento dell’atto d’ufficio se l’accordo è effettuato prima (antecedente). Accordo susseguente: il privato per riconoscenza lo fa dopo che l’atto d’ufficio sia stato compiuto. L’accordo susseguente non viola il regolare funzionamento della P.A. ma il principio della probità (l’onesta del PU che agisca senza dover essere pagato). La corruzione propria è disciplinata dall’art. 319. E’ un atto contrario ai doveri d’ufficio. Vi è un accordo tra le parti ma l’oggetto dell’accordo non riguarda più il compimento di un atto conforme ai doveri d’ufficio, ma si tratta di compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio ed omettere o ritardare un atto del proprio ufficio. Il PU mantiene un comportamento in contrasto con i doveri d’ufficio. Nella corruzione propria antecedente l’accordo è realizzato prima. La dazione o la promessa sono effettuate dopo che il PU ha tenuto la sua condotta illegittima.
Nella corruzione propria susseguente: il PU compie un comportamento, una violazione e poi successivamente il privato decide di ricompensarlo. Con l’art 321 si sancisce che le pene previste per il pubblico ufficiale si applicano anche al corruttore. Solo nel caso di corruzione impropria susseguente il corruttore non è punibile, ma viene punito solo il PU. Corruzione in atti giudiziari. Il legislatore punisce più gravemente le ipotesi in cui la dazione o la promessa di denaro sono effettuate per favorire o danneggiare una parte di un processo civile o amministrativo. L’oggetto è un atto pubblico particolare: una sentenza, ovvero un atto giudiziario. I soggetti sono rappresentati innanzitutto da un privato che deve essere interessato a favorire o danneggiare una parte in un processo; il secondo contraente dell’accordo non necessariamente deve essere un giudice. L’accordo del privato può essere realizzato anche con un soggetto diverso, purché si tratti di PU o incaricato di pubblico servizio (es. il cancelliere, un impiegato del tribunale). La norma prevede inoltre un aggravamento di pena quando dal fatto di corruzione deriva un’ingiusta condanna di taluno alla reclusione.
Differenze tra delitto di concussione e corruzione. La concussione è un reato plurisoggettivo (intervengono due persone) però solo il PU è punibile. L’attività compiuta dal privato è coartata, cioè è un comportamento non libero o viziato: questo particolare è il dato che distingue il delitto di concussione da delitto di corruzione. Nel delitto di corruzione è punito tanto il PU quanto il privato. Il privato compie la sua attività in maniera libera, realizza un accordo con PU senza essere sottoposto a un condizionamento psicologico (l’aspetto psicologico del privato determina la differenza tra concussione e corruzione). Il fatto non deve essere compiuto in presenza di cause di giustificazione. L’unico criterio della colpevolezza è il dolo. Il soggetto deve avere agito con la consapevolezza di ottenere un illegittimo vantaggio. Nella norma compare anche il termine “indebitamente”: indica che il soggetto non deve essere legittimato a ricevere la somma di denaro a nessun titolo. Potrebbe accadere che il PU induce o minaccia un privato a versare una somma di denaro (è una somma che quel determinato privato era tenuto a versare a quell’ufficio e non l’ha fatto: in questo caso il comportamento non è compiuto “indebitamente” perché si tratta di un versamento che il privato era tenuto ad effettuare). REATI DEI PUBBLICI UFFICIALI ABUSO D’UFFICIO:
disciplinato dall’art. 323 cp tutela il buon andamento della PA e la trasparenza della PA. In alcune ipotesi la fattispecie risulta idonea anche a proteggere il patrimonio ad esempio quando l’evento può consistere in un danno patrimoniale. Numerosi interventi della magistratura nell’ambito della PA hanno portato nel tempo a modifiche in merito alla disciplina di questa fattispecie. Il legislatore incrimina il fatto compiuto dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle sue funzioni ed in violazione di norme di legge ovvero non astenendosi in presenza di un interesse personale o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a se o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arreca ad altri un danno ingiusto. Il fatto tipico identifica 2 tipi di condotta: 1 – la violazione di legge o regolamento; 2 – omissione do astenersi.
Il PU pone in essere un atto d’ufficio in contrasto con norme presenti in disposizioni legislative oppure non rispettoso di norme emanate dall’esecutivo o dalla PA stessa. Allorquando il PU commette questa attività e successivamente consegue un ingiusto profitto o arreca un danno a terzi, il fatto tipico di reato si configura (condotta + evento). L’evento previsto dalla norma si concretizza in due eventi tra loro alternativi (o ingiusto vantaggio patrimoniale per se o per altri oppure un ingiusto danno prodotto ad altri). Vantaggio patrimoniale = soluzione economicamente vantaggiosa. Danno ingiusto a terzi = qualsiasi danno, sia economico sia morale o psicologico. Es: il vigile che ferma per eccesso di velocità tizio e Caio ma eleva la contravvenzione solo verso tizio e non verso Caio. Il PU commette abuso d’ufficio perché non elevando il verbale a Caio commette un atto contrario ad una disposizione di legge e fa conseguire a Caio un vantaggio economico nei confronti di tizio. Il concetto di omissione previsto per questo reato è particolare, riguarda l’omessa astensione dal compiere degli atti in presenza di un conflitto d’interessi (interessi personali o di prossimi congiunti in merito all’atto). In questi casi il PU dovrebbe astenersi dal compiere quell’atto e affidare la pratico ad altro PU, se omette dall’astenersi e da ciò deriva un ingiusto profitto per sé o per un prossimo congiunto ovvero un danno ingiusto a terzi, ecco che il reato di abuso d’ufficio si configura. A questo punto sarà poi necessario verificare se presenti gli altri elementi del reato quali colpevolezza ed antigiuridicità. In merito alla colpevolezza questo reato è punibile solo a titolo di “dolo intenzionale”, questo perché nulla è detto in merito a colpa ed è utilizzato l’avverbio “intenzionalmente”. Se l’evento non si realizza è possibile che si configuri comunque il tentativo.
RIFIUTO ED OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO: Reato disciplinato dall’art. 328 cp. Con la riforma del 1990 viene scisso in due, da una parte la disciplina del rifiuto, dall’altra la disciplina dell’omissione. BENI PROTETTI:
buon andamento della PA e protezione di interessi generali dei
cittadini, è un reato proprio (solo il PU o l’incaricato di pubblico servizio possono compierlo). Rifiuto:
il fatto consiste nel rifiutare indebitamente di compiere un atto del proprio ufficio che per ragioni di giustizia, sicurezza, ordine pubblico ed igiene o sanità deve essere compiuto senza ritardo. L’atto deve essere richiesto al PU da un altro PU o da un cittadino. Il rifiuto può essere espresso (manifesta la volontà di non volervi adempiere) o implicito (semplicemente non realizzando l’atto). Il rifiuto è relativo ad atti qualificati (giustizia, sicurezza, ordine pubblico ….). Si tratterà poi di verificare colpevolezza ed antigiuridicità. Questo reato è punibile a solo titolo di dolo, l’uso dell’avverbio “indebitamente” nel disposto normativo indica la necessaria presenza della consapevolezza del soggetto attivo in merito alla violazione delle norme che impongono il compimento di quell’atto d’ufficio.
Omissione:
questa parte si collega alla modifica della regolamentazione del procedimento amministrativo. La norma punisce il PU che entro 30gg dalla data della richiesta, non compie l’atto d’ufficio richiesto e non esponga le ragioni del ritardo o non adempimento. La richiesta scritta con cui il privato richiede al PU di adempiere, risponde alla “ messa in mora” o diffida
ad adempiere verso il PU. Si rende necessaria innanzitutto una richiesta scritta da parte di un privato o altro PU. Il termine dei 30gg non decorre dalla data della richiesta ma decorre dal termine ultimo entro cui il PU deve compiere l’atto. La PA ha una propria regolamentazione che disciplina le tempistiche entro cui gli atti devono essere compiuti, in presenza di messa in mora, il termine dei 30gg, decorre dallo scadere del termine ultimo previsto dal regolamento della PA per l’adempimento di quell’atto. Se non si adempie entro quegli ulteriori 30gg si configura il fatto tipico di reato. L’esposizione delle ragioni del mancato o ritardato adempimento devono essere ragioni valide e sufficienti altrimenti si configura la violazione di norma di legge per mancanza od insufficiente motivazione al provvedimento. Si dovrà poi valutare antigiuridicità e colpevolezza, anche questo reato è punibile a solo titolo doloso.
REATI CONTRO IL PATRIMONIO
Nella tutela del patrimonio il diritto penale rappresenta al massimo la sua frammentarietà colpendo, infatti, solo le lesioni più gravi, lasciando al solo ambito civilistico la disciplina delle lesioni minori. REATI CONTRO IL PATRIMONIO MEDIANTE L’USO DI VIOLENZA Innanzitutto la violenza non è solo fisica ma anche psicologica o mediante minaccia. FURTO:
Esistono diversi tipi di furto: semplice, con strappo ed in abitazione. Il furto è un reato comune che consiste nella sottrazione di un bene mobile altrui, seguita dall’impossessamento del bene (sottrazione = far uscire il bene dalla sfera di potere o di disponibilità del detentore) il furto tutela quindi il possesso e non la proprietà. Per la dottrina fino all’avvenuto impossessamento si configura il solo tentativo ed è possibile esercitare la legittima difesa, per la giurisprudenza il reato sarebbe configurato già con la sola fuga del ladro con il bene sottratto. Il furto è punito al solo titolo di dolo specifico (la norma recita “ al fine di trarne profitto”). Il profitto inteso dalla norma non è il solo profitto economico ma anche qualsiasi altro vantaggio morale o psicologico. Nella nozione di cosa mobile è stata recentemente introdotta anche l’energia elettrica. Il fatto è punibile a sola querela di parte ad eccezione della presenza di aggravanti.
In abitazione:
art 624 bis prevede un trattamento sanzionatorio più grave rispetto al furto semplice, si applica ai furti commessi negli edifici o pertinenze di essi, destinati in tutto o in parte a privata dimora.
Con strappo:
si sottrae il bene mobile altrui strappandolo di mano o di dosso al detentore. Lo strappo deve avvenire solo verso il bene, se si ripercuote sul soggetto il fatto si trasforma in rapina per effetto della violenza esercitata sul detentore.
FURTO D’USO:
Assomiglia al peculato d’uso sotto il profilo temporale, disciplinato dall’art 626 cp. Prevede la sottrazione e l’impossessamento del bene mobile altrui allo scopo di farne uso temporaneo e
di restituirlo immediatamente dopo l’uso momentaneo. È punito meno severamente del furto semplice.
AGGRAVANTI:
previste pene da 1 a 6 anni di reclusione.
Si configurano se il colpevole si avvale nella commissione del furto di qualsiasi mezzo fraudolento es:
-
Rubare la benzina con un tubo di gomma da un’auto.
-
Portando in dosso armi senza esibirle ( se esibite si configura violenza e quindi la rapina.)
-
Semplice possesso di narcotici (uso = rapina)
-
Fatto commesso con destrezza (modalità di furto connotate da particolare abilità es il borseggiatore.)
-
Commettere il fatto in 3 o più persone
-
Utilizzare maschere, passamontagna ecc
-
Commettere il furto sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicolo, alberghi, stazioni, scali o altri esercizi in cui si somministrano cibi o bevande.
RAPINA:
Esistono 2 tipi di rapina entrambe disciplinate dall’art. 628 cp. Propria:
modellata sull’esempio del furto ma con l’aggiunta dell’elemento di violenza o minaccia alla vittima.
Impropria:
quando il soggetto attivo adopera violenza o minaccia dopo la sottrazione al fine di procurare a se o ad altri il possesso del bene sottratto o garantirsi l’impunità. Il reato è punibile a solo titolo di dolo specifico in quanto il dolo è finalizzato ad ottenere appunto l’impunità o a garantirsi il possesso del bene. (a questo punto è giunto il terremoto e ci
siamo tutti un po’ cacati sotto..)