La violenza dell’interpretazione. La invenzione degli oggetti. Paola Elisabetta Simeoni Le opere etnografiche si possono correttamente chiamare finzioni nel senso di “qualcosa che è stato fabbricato o modellato” il nucleo della radice latina della parola “fingere”. Ma insieme al significato di ‘fare’ ci deve essere anche quello di ‘inventare’ (J. Clifford) I più semplici resoconti culturali sono creazioni intenzionali, e proprio coloro che interpretano, mentre studiano gli altri, costruiscono se stessi (J. Clifford) Nessuna lingua è “pura”, nel senso che ogni lingua si presenta in ogni momento come una concrezione, un agglomerato geologico di elementi di origine diversa, entrati in epoca diversa” (R. Cardona) “... La queue rouge du perroquet kese, un morceau d’os de quelqu’un qui n’a jamais marché; un morceau d’os de bosse, de foudroyé, de varioleux, de noyé; un morceau d’os d’éléphant ... un oeil de léopard... un fragment d’excrément de crocodile... un peu d’écorce de l‘arbre eru... un fragment de branche calcinée et réduit en cendres de l’arbre sigo... de la craie blanche; de l’excrément du ‘serpent arc-en-ciel’... du sable de la mer, de la rivière, de la lagune... des perles rares...” (G. Maupoil)
I mercanti portoghesi, nell’incontro con le popolazioni africane, hanno coniato il termine “feticcio” e inventato così una forma di culto e una categoria di oggetti, da cui è stata elaborata la nozione di “feticismo”. Riflessioni, interpretazioni, tra-duzioni, migrazioni di senso hanno caratterizzato la nascita dei “feticci”. Il termine, già adottato dalle stesse culture africane, riempie ormai la nostra vita postmoderna. Oggi sappiamo a cosa si riferivano i pensatori del XVIII secolo e conosciamo, per lo meno in parte, gli sviluppi interpretativi, estremamente vari e complessi, di questo nuovo “oggetto” della speculazione occidentale. E’ una vicenda culturale strana ed esemplare allo stesso tempo: si tratta infatti di un caso eclatante della violenza delle interpretazioni nelle quali una cultura - in particolare una cultura dominante e universalizzante come la nostra - si può trovare invischiata, nella necessità di giustificare e creare identità diverse e per nascondere un eccesso di somiglianza, evidentemente non gradita. Allo scopo di rappresentare se stessa e di stabilire delle differenze tende a inventare delle “alterità”. i La nozione di feticcio si è colorata nei secoli di significati desunti da fondamentalismi religiosi, da passioni emotive e intellettuali, da verità inconfessabili ed è accompagnata da un alone inquietante ed enigmatico di cui stenta ancora oggi a liberarsi. Evoca infatti continuamente dimensioni diverse e 1
opposte, ambiguità coscienti e inconsce, pratiche di potere oscure e credenze magiche che affascinano, occultamenti, disconoscimenti, fraintendimenti. In questo quadro sono protagonisti i riferimenti alla magia in gran parte interni alle culture occidentali. Molti studiosi, usando il termine feticcio o feticismo, hanno riferito dell’origine etimologica riportata da de Brosses, il quale in un tentativo di comparazione religiosa, riconobbe nel termine feticcio (francese fétiche) una derivazione dal termine portoghese feitiço ii e nel feticismo “un culto diretto reso senza figure alle produzioni animali e vegetali”. iii Il termine feticcio fu infatti usato per la prima volta dai mercanti portoghesi che navigavano lungo le coste dell’Africa occidentale, nel XVI secolo, i quali di fatto ravvisarono nei fenomeni magico-religiosi che ebbero occasione di osservare delle credenze e delle pratiche simili a quelle in uso nel loro paese. Come scrisse Kingsley iv paragonarono questi oggetti di culto agli amuleti, ai talismani, che si usavano anche in Portogallo, comprendendoli in quella categoria di fenomeni che si rifacevano alla magia. Feitiço deriva infatti da feitiçaria, “maleficio, arte del maleficio, arte magica, stregoneria, sortilegio”, e, in senso figurato, “seduzione, incanto”. v La Grande Enciclopédia Portugueisa riporta dei dati storici: "La prima legge portoghese contro la feitiçaria risale ai tempi di Don Giovanni I nell'anno 1403. Questa legge fu confermata nell'Ordinamento ‘Afonsinas’; ma già molto prima le autorità ecclesiastiche avevano proibito la pratica della feitiçaria. Nel 1330, il Papa Giovanni XXII pubblicò due Bolle contro la feitiçaria, equiparandola a un atto diabolico e a un crimine di eresia. Sotto l'influenza del Diritto Romano, si applicava la tortura nei processi di stregoneria, poi furono istituite le pene di morte per gli eretici e gli stregoni. Vi è soprattutto da sottolineare che, proprio nel secolo XVI, quando i navigatori portoghesi osservarono in Africa gli oggetti che chiamarono feticci, la magia aveva avuto in Portogallo un incremento prodigioso. Nel capitolo XXV della Costituzione dell’Arcivescovado di Evora, stampata a Lisbona nel 1534, si trova una descrizione delle credenze popolari relative alla feitiçaria, che si possono riassumere nel modo seguente: “tomar pedra de ara ou corporais, em lugar sagrado ou nao; invocar espiritos diabolicos, em circulos, fora dêles ou encruzilhades; dar de comer ou de beber a alguèm para fazer mal a outrém; lançar sortes para adivinhar . . .; ver em agua, cristal, espada, qualquer cosa luzente ou espadua de carneiro; fazer figuras para adivinhar. ...; ligar homen ou mulher; ... ter mandragoras en casa...”. Il termine francese fétiche fu in realtà utilizzato per la prima volta in modo filosofico e scientifico dallo stesso de Brosses, che lo distinse dalla magia vi , senza però spiegare la differenza semantica tra i due termini. Il termine fetishism era già usato in Inghilterra nel 1613, secondo il Grande Dizionario della Lingua Inglese di Oxford, che lo riporta come derivato dal francese, e che, sostiene, a sua volta lo aveva adottato dal portoghese. Anche Tylor vii rileva questo passaggio dal termine portoghese a quello francese e poi all'inglese. Sebbene feitiço avesse il senso di “incantesimo, 2
amuleto”, stranamente, egli nota, ambedue le lingue utilizzarono questo termine per secoli con un significato diverso: per il francese antico faitis voleva dire “ben fatto, bello” e l'inglese lo prese in prestito come fetys, “ben fatto, grazioso”. Secondo il Dizionario dell'antica lingua francese viii , faitis, feitis, fetiz, faittis (agg.) significa “bien fait, bien faconné, joli, élégant” (parlando di cose), e riporta l’esempio seguente: “avoir des souliers faitis sur le pied”. Viene dal latino factitius (faittis), “qui est fait de main, non de nature” ix . Può essere usato anche con nome di persona o di essere animato, l’esempio riportato è “une demoiselle belle et fétisse”. E ancora vi è il termine faitissement, esempio riportato “une chose faitissement travaillée, des dames faitissement parées”. In quanto all'etimologia latina di faitis, factitius in realtà non esiste, per lo meno nel latino classico x ; si trova invece l'aggettivo facticius, a, um con il senso di “artificiale, formato per onomatopea, da factus, a, um (facere), “lavorato con arte, preparato artisticamente; elaborato in modo conforme alle regole dell'arte; istruito, educato, ammaestrato”. In Portoghese xi , il termine feitiço è anzitutto un aggettivo, che significa “falso, finto, artificiale, fittizio”; in secondo luogo è un sostantivo con senso di “incantesimo, sortilegio, stregoneria, magia” e poi ancora “oggetto da cui si suppone poter trarre oracoli; amuleto, talismano; ma anche oggetto che incanta, che affascina”. Intanto si nota uno iato semantico tra il significato dell'aggettivo e quello del sostantivo: l'uno sembra derivare effettivamente, come sostiene la Grande Enciclopédia Portuguesa e Brasileira, da feito (latino factu, participio fazer), “fatto, eseguito, concluso, terminato”, e forse come dicevamo prima, dal latino facticius (“artificiale”) e da factus “lavorato con arte”, ma l'altro, il sostantivo, sembra semanticamente legato ad altro termine, o ad altra radice. E d'altra parte vi è, tra i significati dell'aggettivo, il senso di “fittizio” che sembra ricomporre la differenza. Ficticio in portoghese significa “immaginario, favoloso, che non esiste se non nell'immaginazione, illusorio, apparente”. Inoltre il portoghese feitiçaria ha il senso di “maleficio, arte del maleficio, arte magica, stregoneria, sortilegio” e in senso figurato “seduzione, incanto”. Ritroviamo il senso di artificiale, fatto ad arte, secondo la regola di un arte (factus), peraltro presente nell'etimo francese antico faitis “bello, ben fatto”, cioè fabbricato dall'uomo a regola d'arte, ma non troviamo il senso di incantesimo, di oracolo, di portafortuna (amuleto e talismano), di qualcosa che incanta, che seduce, che affascina, e ancora cosa illusoria, frutto dell'immaginazione. Secondo il Littré xii , il portoghese fetisso, da cui deriva fétiche, significa “objet fée, enchanté”, che è anche il senso attribuitogli da de Brosses. E se è vero che il portoghese feitiço e lo spagnolo hechizo non fanno risalire a fada (“fée”), ma a factum, factitium da cui deriva la parola francese antica faitis, osserva ancora Littré, in portoghese, il sostantivo feitiço ha preso il senso di “charme, sortilège, sorcier”, per ciò la sua derivazione da fada, (“fée”); da questo significato, prosegue, proviene fétiche, “oggetto adorato dai negri”. Sempre secondo il Littré, fée (sostantivo femminile), “fata”, è un essere fantastico al quale si attribuiva un potere soprannaturale, il dono della 3
divinazione, e una grande influenza sul destino e che ci si raffigurava con una bacchetta, segno di potenza. In senso figurato, si usa la parola per indicare qualcosa alla quale le fate abbiano messo mano (la fata è una donna che si distingue per la sua grazia e la sua abilità; “opera di fata”, un’opera delicata fatta con grande perfezione, ecc.). Come aggettivo, ha il significato di “incantato”; come participio passato, significa “prodotto dell'arte magica”; come verbo, féer (“dotare di proprietà magiche”), in italiano fatare. Il termine deriva, scrive Littré, da fatum, i (neutro) xiii , “profezia, vaticinio, oracolo, predizione”, e ancora l'ordine dell'universo (stabilito irrevocabilmente) dall'eterna legge della natura, ciò che è predestinato dall’immutabile ordine dell'universo, sorte, destino (degli uomini), fato, fatalità; da cui fata (le divinità fatali), le Parche; ma significa anche “disgrazia, calamità, rovina, morte (violenta); flagello di persone che sono causa di rovina, di sventura”. I significati di fatum possono richiamare il concetto di feticcio, ma il termine fatum ha una radice for-, fari-, che difficilmente gli si può accostare. Mentre molto più facile, sia dal punto di vista etimologico che semantico, la derivazione da una radice fe-, che potrebbe essere comune a fetus, us, (fetus, us, possiede un ablativo plurale arcaico fetis ), “il generare, il parto” e anche “feto, prole, frutto” di fetus, a, um, nel suo senso di “fecondato, gravido, fertile, produttivo, pieno di, ricco di”, e poi femina, ae (donna) e fecundus, a, um, (fecondo), e infine a felix, licis, “favorito dalla fortuna, quindi ricco - nel suo primo significato -, poi fertile, ferace, fecondo”, ma anche “che porta fortuna, favorevole”. Da ricordare a questo punto, l'aggettivo “bello”, degli antichi faitis e fetys, cioè “ricco, ben fatto, fecondo, favorevole”, e far notare gli esempi riportati dal Dizionario dell'Antica Lingua Francese: il primo “avere delle belle scarpe (benfatte) sul piede”, l'altra “una giovane ragazza (signorina non sposata), bella e ben fatta”. Forse nello stesso senso è da collegare l’interpretazione di Littré da fée,(fata), “donna che affascina”, che, nella versione francese, potrebbe non derivare da fatum, ma da femina, comunque sempre dalla radice fe-. Il participio fée, ée (Littré) significa “prodotto dell'arte magica”. Sono le due "anime" semantiche di feitiço, come aggettivo "falso, finto, artificiale", e come sostantivo "incantesimo, stregoneria, magia, oggetto che affascina". In questi due diversi significati vi è quindi probabilmente una origine etimologica che collega le due diverse radici di factus e di fetus, femina, felix. Per i Portoghesi che solcavano le rotte marittime sulle coste dell’Africa, il feticcio non era altro, che un oggetto magico, anche se diverso, sia nella forma che nel culto, dagli oggetti da essi stessi usati. Il termine inventato non era un vocabolo “pidgin”, come sostiene La Cecla xiv , ma un termine coniato a partire dal proprio vocabolario e per somiglianza con qualcosa a loro noto. Questa denominazione voleva individuare un oggetto o inventare una categoria di oggetti fabbricati e usati nell’ambito della feitiçaria, cioè della magia. Questa attribuzione di senso, elaborata dalla pratica mercantile a partire dallo stesso immaginario portoghese del tempo, diede però il via in ambito occidentale a innumerevoli dibattiti speculativi spesso molto distanti sia dalla realtà africana, che dalla stessa realtà europea diffusa.
4
Infatti ben oltre alla prima osservazione e relativa interpretazione andarono le successive speculazioni dei filosofi dal ‘700 in poi, che tesero ad attribuire a questa nozione e a questa pratica un ambito universale caratterizzante un periodo dell’umanità, il “feticismo”, legato, sin dai suoi primo passi, come sappiamo, all’evoluzionismo sociale e culturale. Ma prima ancora del ‘700, molti studiosi si erano cimentati nell’elaborare interpretazioni di quello che consideravano un fenomeno di confine culturale e di civiltà. Anzitutto va ricordato che nel Settecento, quando questa nozione fu utilizzata in ambito deistico e teologico e poi da de Brosses, fu distinta dai termini di magia e di stregoneria, fenomeni ben presenti nelle nostre culture. Si evitò di nominare ciò che l'Inquisizione, da secoli, aveva censurato, credenze e pratiche, che erano ancora vive, anzi sempre più vive, anche in Europa. Secondo Alfonso Jacono, sin dal 1590, il gesuita Acosta pose la “mimesi diabolica” all’origine dell’idolatria. Ma nell’evolversi delle interpretazioni che si susseguirono nella storia del pensiero, si andarono sistematizzando alcuni aspetti che caratterizzano il feticcio: quello della “esteriorità”, per esempio Spinoza, ma anche più tardi Kant (1793), che definisce anche la sua primitività; la “falsità”, il feticcio è oggetto legato alla mensogna (anche se il falso è mescolato al vero), per esempio Fontenelle (1686), Leclerc (1704); l’“arbitrarietà” nella scelta degli stessi oggetti-feticcio. xv Quest’ultimo aspetto connota, secondo Jacono, l’incapacità degli europei di capire i processi mentali e simbolici “altri”; i pensatori dell’epoca in sostanza attribuivano all’arbitrarietà ciò che essi stessi non capivano dei mondi che cercavano di conoscere e che volevano sfruttare. Già Spinoza peraltro individua nell’elaborazione dell’interpretazione di queste forme di religione un modo di giustificare la colonizzazione e il potere sul popolo. xvi Dunque l’intenzione più o meno conscia o velata di dimostrare la primordialità, la grossolanità delle pratiche indigene mira anche a stabilire un rapporto di potere, che si giustifica sulla base di “malintesi e incomprensioni”, fino all’intervento di Mauss, che mette fine a questa “querelle”. A seguito di questo suo intervento, la nozione di feticcio è stata messa all’indice e abbandonata dall’etnoantropologia agli inizi del ‘900, dopo l’intervento dello stesso Mauss che dichiarò che questi oggetti dipendevano dal codice della magia e della religione e del valore simbolico che acquistano in questo codice. Scrisse “la notion de fétiche doit disparaître définitivement de la science puisqu’elle ne correspond a rien de défini” e questa nozione “ne correspond qu’à un immense malentendu entre deux civilisations, l’africaine et l’européenne” e “quand on écrira l’histoire de la science des religions et de l’ethnographie, on sera étonné du rôle indu et fortuit qu’une notion di genre de celle de fétiche a joué dans les travaux théoriques et descriptifs” . xvii Ciò malgrado la concezione di feticcio e la teoria relativa al feticismo sono migrate da una capo all’altro della scienza occidentale, attraversando vari itinerari interpretativi, e il loro uso ha avuto echi in varie discipline. Ancora oggi molte nozioni che da esse derivano esprimono interpretazioni inquietanti, diaboliche, legate a una nozione di “degenerazione” e di “perversione” xviii , che è stata ed è ancora per molti studiosi, la chiave euristica delle proprie costruzioni intellettuali. Tra le più famose vi è quella psicoanalitica di feticismo come patologia sessuale xix , perversione legata a una degenerazione 5
dell’individuo e quella elaborata nella critica dell’economia politica da Marx su una qualità alienante della merce. Atteggiamento patologico e individuale per Freud, per Marx è una tendenza normale e generale della società capitalistica; per Freud il feticcio è un sostituto del fallo della donna e nega un’“assenza”. Per Marx invece nega una realtà, quello di un rapporto formale che viene reificato, mascherandolo per sottrarlo a contestazioni e di nuovo consiste nell’attribuire uno status di “cosa” a ciò che “cosa” non è. Appena la cosa si presenta come merce, si trasforma in una cosa “sensibilmente sovrasensibile”. L’arcano della forma di merce consiste nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro. Mediante questo qui pro quo i prodotti del lavoro diventano merci e assumono per gli uomini una forma “fantasmagorica”, analogamente, dice Marx, a quello che succede nella regione nebulosa del mondo religioso. Ricorre il problema dell’immenso malinteso sorto da una interpretazione che ha violentato la realtà ‘altra’ e il concetto di dissimulazione permane nel concetto di Verleugnung (rinnegamento, disconoscimento) nella psicanalisi di Freud, per il quale il feticcio, elaborato dal paziente, è la negazione di un’assenza reale e la creazione di una presenza illusoria. La situazione patologica che si viene a creare è che sia stata intrapresa un’azione al fine di istituire e conservare il suo rinnegamento: il bambino ha conservato, ma nello stesso tempo abbandonato, il convincimento nell’esistenza del fallo della madre. xx Jean Pouillon xxi , riferendosi a Mauss, scrive: “Il est clair que l’histoire de cette notion est celle de malentendus, d’oublis et de glissement de sens, mais les glissements de sens ont aussi un sens”. Nei secoli comunque, è un “disconoscimento” che si trova alla base della maggior parte delle interpretazioni: disconoscimento religioso, psichico, economico intellettuale, che sembra accompagnare quanto gli europei nascondono a se stessi, come un leit-motiv, cioè la somiglianza con fenomeni culturali simili presenti nelle stesse culture occidentali. Le interpretazioni legate alle nozioni di feticcio e di feticismo sono tentativi di traduzioni, di con-prensione da una parte e di distinzione dall’altra e di speculazioni secolari che hanno segnato i primi passi della storia delle religioni e dell’etnologia. Hanno spesso riflettuto i disagi della civiltà nel perseguimento degli obiettivi universali del progresso dell’economia occidentale, e molte volte non hanno inteso quanto osservavano. In molti casi hanno dovuto, con violenza, sistematizzare la teoria di una evoluzione etnocentrica dello sviluppo dell’umanità, per dimostrare la superiorità della cultura occidentale sulle altre e avallare uno sfruttamento. Le violenze interpretative, le forzate attribuzioni di senso, si sono succedute in un vortice di interpretazioni, di angosce filosofiche ed esistenziali, creazioni e rifiuti dell’‘altro’, crisi di identità culturali e asserzioni di universalismi scientifici, illuminismo e oscurantismo, volontà di potenza e curiosità morbose, purezze e impurità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aston W.G., “Fetishism”, in Enciclopaedia of Religion and Ethics, vol. V, Edimburgo 1908-2, pp.984-898 6
Bianchi U. (a cura di), “Feticismo”, Enciclopedia Cattolica, 1951, pp.1216-18 Calepini Dictionnaire, Bâle 1584. Canguilhem G. (ed.or.1968), Etudes d’histoire et de philosophie des sciences, Paris 1983 Ciattini e S. Garroni (a cura di), Sul culto degli Dei feticci o parallelo dell’antica religione attuale della Nigrizia, Roma 2000 de Brosses, Du culte des Dieux fétiches. Du parallèle de l’ancienne religion de l’Egypte avec la religion actuelle de la Nigritie, 1760 Dictionnaire de l’Ancienne Langue Francaise (et de tous ses dialectes) du IX au XV siècle, Paris 1884 Freud S., “Feticismo (1927)”, in Opere, vol. X, Torino 1972, pp.491-97 Georges-Calonghi F., Dizionario latino-italiano, Torino 1950 -III ed. Grande Enciclopédia Portuguesa e Brasileira, vol. Xl, Lisboa-Rio de Janeiro 1940. Jacono A. M., Teorie del feticismo. Il problema filosofico e storico di un “immenso malinteso”, Milano 1985 M.H. Kingsley, West African Studies, Londra 1899 La Cecla F., Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti, Milano 1998 Littré E. (ed. or. 1874 -77), Dictionnaire de la langue francaise, Paris 1967 Mauss M., “L’art et le mythe d’après W. Wundt (1908)”, in Oeuvres, Paris 1969 Pouillon J., “Fétiches sans fétichisme”, in Objets du fétichisme, Nouvelle Revue de Psychanalyse, 2, 1970, pp.137-38 Tylor E.P., Primitive culture, vol. I e II, London 1903
ABSTRACT ITALIANO LA VIOLENZA DELLA INTERPRETAZIONE La invenzione degli oggetti Paola Elisabetta Simeoni Nel XIV secolo, in un periodo in cui l’inquisizione incomincia a imperversare in Europa, i mercanti portoghesi che solcano le rotte marittime sulle coste dell’Africa osservano degli oggetti usati dagli africani che denominano feticci. Il termine inventato è un termine coniato a partire dal proprio vocabolario, in particolare da feitiçaria (magia), e evidentemente somigliante a qualcosa a loro noto anche se diverso, sia nella forma che nel culto, dagli oggetti da essi stessi usati. Inquisitori, prima, poi studiosi, uomini di lettere, filosofi, più tardi psicanalisti, sociologi ed economisti, si appropriarono dell’“invenzione” di questo “oggetto” e della nozione che da essa si sviluppò, la nozione di feticismo, che si colorò nei secoli di un alone inquietante ed enigmatico di cui stenta ancora oggi a liberarsi. Il saggio cerca di mostrare come questo caso illustri in maniera eclatante la violenza della interpretazione, tramite la quale le culture – qui la religione cattolica e la cultura occidentale dominante e universalizzante – interpretando l’altro, ‘inventano’ identità ‘forti’, nascondono eccessi di somiglianza non gradita, instaurano poteri di sfruttamento e disuguaglianza culturale ed economica. Di fatto l’analisi etimologica del termine feticcio, intrapresa dall’autrice, nelle lingue portoghese, inglese, francese, latino, permette di individuare invece antiche origini del termine nelle culture europee, che riportano a significati legati da una parte al senso di “falso, finto, artificiale” - dal termine latino factus (radice for-, fari-), dall’altro a quello di "incantesimo, stregoneria, magia, oggetto che affascina", fino a scoprire una origine etimologica che collega il 7
termine fetticcio ai termini latini fetus, femina, felix (radice fe-), che esprimono il senso di fortuna, nascita, fertilità, concetti fondamentali alle visioni religiose e alle culture popolari contadine e pastorali occidentali volti alla difesa della ‘vita’. Sorto da una interpretazione arbitraria che ha violentato culture ‘altre’, un immenso malinteso (Mauss, XX sec.) ha così segnato il pensiero occidentale, che ha interpretato gli oggetti di culto africano in senso diabolico (Acosta, XVI sec.), di esteriorità (Spinoza, XVII sec.), di falsità o menzogna (Fontenelle, XVII sec.), di primitività (Kant, XVIII sec.), di religiosità pre-civile (Comte, XIX sec.), di degenerazione o perversione patologica frutto di rinnegamento o disconoscimento (Freud), di dissimulazione illusoria (Marx). Abstract français La violence de l’interprétation. L’invention des objets. Paola Elisabetta Simeoni Au cours du XIV siècle, dans une période où l’Inquisition commençait à faire des ravages en Europe, les marchands portugais qui naviguaient sur les côtes de l’Afrique observaient des objets utilisés par les populations locales qu’ils appelèrent fétiches. Le terme inventé est un terme forgé à partir de leur propre langue, en particulier du terme feitiçaria (en portugais, magie), pour indiquer quelque chose qui était évidemment très semblable, aussi bien dans la forme que dans l’usage cultuel, d’objets dont ils se servaient eux-mêmes. Les inquisiteurs d’abord, puis les intellectuels, hommes de lettres, philosophes, plus tard les psychanalystes, sociologues et économistes, s’approprièrent l’invention de cet “objet” et élaborèrent la notion de fétichisme, qui le colora au long des siècles d’un halo inquiétant et énigmatique, dont il ne s’est pas encore dégagé aujourd’hui. L’essai tente de démontrer comment ce cas illustre de manière éclatante la violence de l’interprétation avec laquelle les cultures – ici la religion catholique et la culture occidentale dominante et universalisante – interprètent l’”autre”, ‘inventent’ des identités ‘fortes’, cachent les excès de similitudes non souhaitables, instaurent des forces d’exploitation génératrices d’inégalités culturelles et économiques. En fait l’analyse étymologique du terme fétiche entreprise par l’auteur dans les langues portugaise, anglaise, française, latine, permet de découvrir au contraire d’anciennes origines du terme dans les cultures européennes, qui reconduisent à des significations liées d’une part au sens de “faux, simulé (feint), artificiel” – du terme latin factus (racine for-, fari-) ; d’autre part au notions d’”enchantement, sorcellerie, magie, objet qui fascine” ; et finit par découvrir une probable origine étymologique qui lie le terme fétiche aux termes latins de fetus, femina, felix (racine fe-), qui expriment le sens de bonne fortune, naissance, fertilité, concepts fondamentaux aux visions religieuses et aux cultures populaires pastorales et paysannes occidentales destinées à la défense de la vie. Né d’une interprétation arbitraire qui a fait violence aux cultures “autres”, un immense malentendu (Mauss, XX siècle) a influencé la pensée occidentale, qui a interprété les objets du culte africain dans un sens diabolique (Acosta, XVI siècle), extérieur (Spinoza, XVII siècle), de mensonge (Fontenelle, XVII sec.), 8
de primitivité (Kant, XVIII siècle), de religiosité pré-civile (Comte, XIX siècle), de dégénération ou de perversion pathologique, fruit de déni et de méconnaissance (Freud), de dissimulation illusoire (Marx).
Abstract español La violencia de la interpretación. La invención de los objetos. Paola Elisabetta Semeoni En el siglo XIV, en un período en el que la inquisición comienza a desolar Europa, los mercantes portugueses que surcan las rutas marítimas de las costas de África conservan objetos usados por los africanos a los cuales dan el nombre de fetiches. El término inventado es un vocablo acuñado a partir del propio vocabulario, en particular desde la feitiçaria (magia), y evidentemente parecido a alguna cosa que a ellos les es conocida, aunque diferente de los objetos usados por ellos mismos, sea en la forma que en el culto. Primero los inquisidores, después los estudiosos, los hombres de letras, los filósofos y más tarde los psicoanalistas, los sociólogos y los economistas, se apropiaron de la “invención” de este “objeto” y de la noción que a partir de ese se desarrolló, es decir, la noción de “fetichismo”, la cual se coloreó durante los siglos de un matiz inquietante y enigmático del cual todavía no logra liberarse. El ensayo busca de demostrar cómo este caso ilustra de un modo sorprendente la violencia de la interpretación, a través de la cual las culturas, en este caso la religión católica y la cultura occidental dominante y universalizante, interpretando al otro, “inventan” identidades “fuertes”, esconden excesos de semejanza no grata e instauran poderes de explotación y de desigualdad económica y cultural. De hecho, el análisis etimológico del término fetiche, emprendido por la autora en las lenguas portuguesa, inglesa, francesa y latina, permite, en cambio, individuar el origen del vocablo en las lenguas europeas, las cuales conducen a significados ligados, por una parte, al sentido de algo “falso, ficticio, artificial” del término latino factus (raíz for-, fari-); y por otra parte, a aquél de “encantamiento, hechicería, magia, objeto fascinante”, hasta descubrir un origen etimológico que relaciona el término fetiche con los términos fetus, femina, felix (raíz fe-), los cuales expresan un sentido de fortuna, nacimiento, fertilidad; conceptos que son fundamentales en las visiones religiosas y en las culturas populares campesinas y pastorales de Occidente, las cuales están preocupadas por la defensa de la “vida”. Surgida de una interpretación arbitraria la cual ha violentado las “otras” culturas, un inmenso malentendido (Mauss, s. xx), ha marcado el pensamiento occidental, el cual ha interpretado los objetos del culto africano en un sentido diabólico (Acosta, s. XVI), de exterioridad (Espinoza), de primitividad (Kant), de falsedad o mentira (Fontenelle, S. XVII), de religiosidad pre-civilizada (Comte, s. XIX), de degeneración o perversión patológica, producto de reniego y desconocimiento (Freud) y de disimulación ilusoria (Marx).
9
i
Una delle voci che più chiaramente ha sottolineato tale somiglianza è stata quella dello stesso Charles de Brosses che nel suo famoso, Du culte des Dieux fétiches. Du parallèle de l’ancienne religion de l’Egypte avec la religion actuelle de la Nigritie,1760, di cui vi è ora un’ottima traduzione con interessante introduzione a cura di A. Ciattini e S. Garroni, Sul culto degli Dei feticci o parallelo dell’antica religione attuale della Nigrizia, Roma 2000. Nell’introduzione, si sottolinea giustamente come sia meglio evitare “una generalizzazione entificante [quella di “pensiero occidentale”], che occulta l’esistenza di impostazioni assai differenti e tra loro addirittura contradditorie” (ibidem, Introduzione, p.33). ii Il termine feticcio era già usato da tempo negli studi occidentali come pratica religiosa africana e “come punto di riferimento comparativo per le indagini” (in A. M. Jacono, Teorie del feticismo. Il problema filosofico e storico di un “immenso malinteso”, Milano 1985, p.4). iii Ch. de Brosses, op.cit., 1760, p.182. Charles de Brosses “è il primo studioso che abbia prima di Comte, tentato di dimostrare la primitività del feticismo, la sua anteriorità logica, sul politeismo e sul monoteismo” (in G. Canguilhem (ed.or.1968), Etudes d’histoire et de philosophie des sciences, Paris 1983, p.84). iv M.H. Kingsley, West African Studies, Londra 1899, p. 44, riportato da W.G. Aston), alla voce “Fetishism”, p.894, in Enciclopaedia of Religion and Ethics, vol. V, Edimburgo 1908-21, pp.894-898. v Grande Enciclopédia Portuguesa e Brasileira, vol. Xl, Lisboa-Rio de Janeiro 1940, p.71. vi
Ch.de Brosses, op.cit., 1760, pp. 72 e 78, p. 186. F.P. Tylor, Primitive culture, vol.II, London 1903, pp.143-44. viii Dictionnaire de l’Ancienne Langue Francaise (et de tous ses dialectes) du IX au XV siècle, Paris 1884, p. 73 ix Secondo il Calepini Dictionnaire, Bâle1584. x F.Georges-Calonghi, Dizionario latino-italiano, Torino 1950 (III ed.). xi Grande Enciclopédia Portuguesa, op.cit., p. 74. xii E. Littré (ed. or. 1874 -77)., Dictionnaire de la langue francaise, Paris 1967 xiii F.Georges-Calonghi, op.cit., voce “fatum”, p. 76. xiv F. La Cecla, Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti, Milano 1998, pp.49-50. xv A. M. Jacono, op.cit., Milano 1985. xvi Ibidem, nota 9, p.8. xvii M.Mauss, “L’art et le mythe d’après W. Wundt (1908)”, in Oeuvres, Paris 1969, p.217. xviii Ancora nel 1951, nell’Enciclopedia cattolica, a cura di U. Bianchi, pp.1216-18, alla voce “Feticismo” si legge “...si tratta di un fenomeno secondario ...chiaramente degenerativo” (la sottolineatura è mia). xix Oggi si preferisce parlare di “devianza”. xx S. Freud, “Feticismo (1927)”, in Opere, vol. X, Torino 1972 , pp.491-97. Il feticcio, rappresentando simbolicamente tale fallo, costituisce per il soggetto una “difesa” da una tremenda angoscia di punizione (di castrazione). xxi J. Pouillon, “Fétiches sans fétichisme”, in Objets du fétichisme, Nouvelle Revue de Psychanalyse, 2, 1970, pp.137-38. vii
10