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Il laboratorio è un luogo che per la particolare attività svolta, la presenza di sostanze di diversa natura (anche volatili), la varietà delle attrezzature e degli impianti impiegati, nasconde la possibilità di numerose situazioni di pericolo. Ecco perché il rispetto assoluto di tutte le normative che garantiscono la sicurezza, per l’ambiente e per chi ci lavora, è fondamentale. Altrettanto importante è l’aspetto dell’igiene, in particolare, garantito dall’adozione di dispositivi di protezione idonei. In risposta a queste esigenze, le aziende propongono soluzioni altamente performanti e con standard qualitativi elevatissimi.
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LAB&Sicurezza Norme di comportamento per un laboratorio più sicuro Gli incidenti quasi mai sono dovuti al caso e una corretta prassi di prevenzione preliminare contro rischi inutili passa principalmente per la formalizzazione di semplici regole da osservare prima e durante le attività di laboratorio
Anche i laboratori, di ricerca, didattici o di aziende produttrici sono per gli addetti luoghi di lavoro e l'attività di prevenzione degli incidenti si attua soprattutto in loco, tramite l'uso corretto e la manutenzione appropriata di macchine e impianti, e adottando un comportamento adeguato; è quindi fondamentale informarsi preventivamente sulle corrette procedure da seguire nell'utilizzo di macchinari, apparecchiature e sostanze.
LA LEGGE (D.L GS. 626/94) STABILISCE CHE IL DATORE DI LAVORO DEVE : • informare i lavoratori sui pericoli presenti sul posto di lavoro e istruirli sulle misure di sicurezza adottate (vale anche per i lavoratori temporanei, atipici e studenti impegnati in laboratori didattici); • adottare le necessarie misure di prevenzione per ridurre il rischio di infortunio e di danni alla salute; • garantire ai lavoratori o ad un loro rappresentante eletto il diritto di consultazione in tutte le questioni concernenti la sicurezza sul lavoro; • mettere a disposizione dei lavoratori i necessari dispositivi di protezione individuale (occhiali di protezione, indumenti di protezione, ecc.). Ai fini della sicurezza anche gli addetti impegnati in attività di laboratorio hanno specifici doveri e devono in particolare: • osservare le direttive del datore di lavoro o del responsabile del laboratorio in tutte le questioni che riguardano la sicurezza sul lavoro; • tenere conto delle norme di sicurezza generali dell’azienda; • utilizzare correttamente i dispositivi di sicurezza, preservarne l’efficienza e segnalarne i guasti o le non conformità (per una loro riparazione e/o sostituzione); • eliminare un’eventuale carenza suscettibile di pregiudicare la sicurezza oppure avvisare il datore di lavoro se ciò non fosse possibile; • evitare comportamenti che possano arrecare danno alla incolumità propria o a quella altrui.
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MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE DI CARATTERE GENERALE La prima e più importante regola di comportamento generale, da applicare in qualsiasi situazione, è tenere sempre presente che ognuno di noi è il primo tutore della propria incolumità e salute e che per tutelarle entrambe abbiamo diritti e doveri che devono essere attivamente applicati in prima persona. Gli infortuni quasi mai sono dovuti al caso. Prima di iniziare un qualsiasi lavoro è buona norma verificare le condizioni di sicurezza di utensili, materiali, vie d’esodo e aree di stoccaggio. Non si devono affrontare rischi inutili ma eliminare immediatamente le situazioni di pericolo. Per questa ragione è fondamentale formalizzare una serie di regole specifiche da seguire nel proprio contesto lavorativo, ed in particolare nel caso di attività di laboratorio occorre: • tener sempre sgombre le vie di fuga. In caso di incendio, soprattutto a causa dei fumi sviluppatisi, anche un piccolo ostacolo può diventare insormontabile e risultare fatale, senza contare che le eventuali suppellettili potrebbero anche partecipare direttamente all’incendio. Per la stessa ragione è necessario non bloccare mai le uscite di emergenza, non lasciare mai ostacoli (sedie, sgabelli, tavolini, ecc.) davanti alle uscite o sulle scale di sicurezza né sulle vie di fuga; • non lasciare oggetti ad ostacolo di quadri elettrici, attrezzature di soccorso, regolatori di flusso di gas: in caso di emergenza saranno così facilmente accessibili e risulterà possibile intervenire rapidamente e, per quanto possibile, contenere i danni; • contenere il carico d'incendio evitando l’accumulo, anche temporaneo, di sostanze infiammabili e combustibili in luoghi diversi da quelli predestinati; • prestare attenzione al trasporto e travaso di sostanze infiammabili; • utilizzare i necessari (ed idonei) dispositivi di protezione individuale (DPI) che si hanno a disposizione e che, in quanto professionisti, ci si aspetta che li indossiamo e li utilizziamo in modo appropriato. Per questo è importante sostituire i DPI difettosi.
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di dr. Claudia Zucchi – Dipartimento di Chimica dell’Università di Modena e Reggio Emilia
a) le malattie cutanee sono spesso molto fastidiose tanto da arrivare, in qualche caso, a costringere le persone colpite a cambiare lavoro. Tre regole sono importanti: 1. Proteggere la pelle: evitare il contatto diretto con prodotti nocivi: utilizzare guanti, indumenti di lavoro idonei e applicare creme di protezione. 2. Pulire: ad ogni interruzione e al termine del lavoro lavarsi le mani. Non utilizzare solventi e possibilmente evitare l’impiego di prodotti abrasivi. 3. Curare: dopo il lavoro applicare uno strato di crema sulle mani. b) consumare i pasti nei luoghi adibiti a questa funzione: mai bere e/o mangiare in laboratorio.
• Eseguire “sotto cappa” le operazioni pericolose ed indossare i DPI previsti. • Quando in un laboratorio si eseguono lavorazioni pericolose è necessario: avvertire tutti coloro che ci lavorano in modo che possano prendere le necessarie precauzioni; segnalare con un avviso la pericolosità della lavorazione. Photo by Erlab
Non meno importanti sono le precauzioni igieniche:
In laboratorio bisogna: • indossare il camice, (va tolto prima di uscire, per non veicolare le sostanze pericolose con cui può essere contaminato negli altri ambienti). • tenere i capelli lunghi raccolti. • evitare l’uso di lenti a contatto (trattengono i solventi organici a cui sono permeabili). • non portare alla bocca alcun oggetto; in particolare, usare sempre le propipette per qualunque liquido si debba prelevare con pipetta. • per prevenire possibili pericoli, quando si movimentano composti chimici, spesso pericolosi occorre utilizzare appositi mezzi ausiliari e fare particolare attenzione a prevenire eventuali sversamenti. Sarebbe necessario anche accertarsi che la visibilità sia ottimale, in quanto quando si trasporta un carico ingombrante è facile inciampare.
IN LABORATORIO Per l’attività generale di laboratorio ci sono altre semplici regole di prudenza che andrebbero seguite scrupolosamente: • Non rimanere mai a lavorare da soli in laboratorio, senza che nessun altro sia presente nelle vicinanze o sia informato di tale situazione. • Non lasciare senza controllo reazioni in corso o apparecchi in funzione. • Indossare occhiali o visiere di protezione, in particolare quando si eseguono lavorazioni che possono comportare rischi di danni agli occhi e/o al viso. È necessario controllarne la disponibilità e l’efficienza nei laboratori in cui si lavora. • Non lavorare con grandi quantità di sostanze, soprattutto nel corso di esperimenti con sostanze o tecniche nuove. Fare attenzione agli scale-up, possono verificarsi incidenti inesistenti sulle piccole quantità. • Non portare in tasca forbici, tubi di vetro o oggetti taglienti o appuntiti. • Tenere pulito ed in ordine l’ambiente di lavoro, non introducendovi oggetti estranei alle attività che in esso si svolgono ed evitare un affollamento eccessivo di reagenti, apparecchi, etc. • Non usare sostanze o miscele acide per le pulizie ma usare i detergenti specifici. • Le persone che alla sera lasciano per ultime il laboratorio, sono tenute a controllare che tutto sia a posto (solventi, apparecchiature, sostanze chimiche, etc.). Nessuna strumentazione funzionante va posta, neanche provvisoriamente, in aree diverse dai laboratori. Al momento di lasciare l’ambiente, accertarsi che le luci e le apparecchiature siano spente. • Effettuare, alla fine del lavoro, uno scarico sicuro delle sostanze da smaltire secondo le modalità previste nella procedura per lo smaltimento dei rifiuti speciali: è vietato scaricarli in fogna e nei cassonetti alla stregua dei rifiuti urbani. • Leggere attentamente l’etichetta, consultare la Scheda di Sicurezza e seguire le indicazioni di utilizzo, stoccaggio e gestione di eventuali rifiuti prodotti.
Cappa mobile senza scarico per prodotti chimici
Per ragioni di sicurezza molte delle operazioni che comportano reazioni chimiche devono comportare l’utilizzo di cappe di aspirazione
Nei laboratori di ricerca e didattici spesso la stessa postazione di lavoro è utilizzata da diversi operatori. Esigenze di sicurezza richiedono che tutto sia lasciato nel modo più ordinato possibile
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• Evitate l'uso di vetreria che presenti bordi scheggiati o crepe, inoltre, è buona norma, usare guanti antitaglio a protezione delle mani quando si devono maneggiare apparecchi e tubi di vetro. Una delle cause più frequenti di infortunio è dovuta ad un comportamento sprovveduto nei confronti dell’elettricità. Ecco una serie di suggerimenti utili. • Utilizzare interruttori magnetotermici (salvavita), soprattutto negli ambienti esposti all’umidità e controllarne periodicamente l’efficienza. • Prima dell’uso verificare l’integrità di prese, cavi e apparecchiature elettriche. • Rivolgersi ad uno specialista in caso di riparazione di apparecchi difettosi. • Prima dell’uso di un qualsiasi strumento, leggerne le avvertenze generali sul relativo Manuale d’Istruzione; le apparecchiature elettriche devono essere utilizzate a distanza da vapori di solventi infiammabili, così come al riparo dall’umidità. • In caso di mal funzionamento di un apparato elettrico è necessario interrompere il collegamento con la rete, e richiedere un intervento tecnico adeguato. • Le apparecchiature con motori elettrici devono essere compatibili con il grado di protezione elettrica del locale. • Il corretto amperaggio dei fusibili è essenziale sia per la sicurezza
l’impianto o del macchinario. Serve a proteggere se stessi e gli altri. 3. Utilizzare attrezzature di lavoro idonee (servirsi anche dei DPI !). 4. Eseguire i lavori come stabilito – mai improvvisare! 5. Effettuare un controllo finale (che includa anche la verifica dell’efficienza dei dispositivi di sicurezza). Occorre documentare tutti i lavori e gli interventi effettuati. In un laboratorio si ha sempre a che fare con diverse sostanze che per altro vengono sottoposte a diverse trasformazioni: soluzioni, miscelazioni, trasformazioni chimiche ecc. è quindi fondamentale che ogni sostanza o preparato presente sia chiaramente identificabile e perciò l’etichettatura è un passaggio essenziale in ogni lavorazione, ovvero non solo bisogna prestare attenzione alle etichette apposte sui prodotti e alle schede di sicurezza corrispondenti ma è necessario etichettare tutti i contenitori di sostanze chimiche. È buona abitudine conservare i prodotti chimici nell’imballaggio originale e non fare travasi in bottiglie non conformi: quando è necessario usare bottiglie idonee e apporre sempre un’etichetta conforme. Le etichette devono indicare almeno: produttore, nome del composto, simboli di rischio, frasi R e S, massa/volume, contenuto (eventuali altre indicazioni), data di travaso/apertura del contenitore e nome dell’utilizzatore. Etichettare anche tutti i contenitori nei quali vengono riposte le varie preparazioni compresi i campioni depositati in congelatori, frigoriferi o qual-
degli operatori che per il buon utilizzo degli apparecchi. Non sostituire mai un fusibile danneggiato con uno di amperaggio superiore. Il mal funzionamento di un termostato può essere causa di incendi, prima di lasciare in funzione apparati riscaldanti è necessario controllare che la temperatura rimanga costante. • Pretendere istruzioni di lavoro precise e porre domande a tecnici competenti in caso di dubbio. Utilizzare soltanto utensili e macchine che si sanno maneggiare in modo sicuro. • Se si opera in prossimità di fiamme libere o di macchine con parti mobili o rotanti, è bene adottare una certa cautela: • indossare indumenti con maniche aderenti: no ai pullover larghi, ai camici o a foulard svolazzanti. • tenere i capelli raccolti. • no ai gioielli. • no ai guanti quando ci si trova nelle immediate vicinanze di parti mobili di macchina come frese rotanti, trapani o cilindri. • È vietato l’uso di guanti per protezione da agenti chimici se si lavora con fiamme libere. Le manutenzioni sono di fondamentale importanza: moltissimi infortuni anche con conseguenze drammatiche sono legati ai lavori di manutenzione e all’eliminazione dei guasti. Per garantire la sicurezza è sufficiente osservare 5 regole essenziali: 1. Pianificare gli interventi: studiare attentamente il manuale di manutenzione, coordinare le operazioni di manutenzione. 2. Garantire la sicurezza, ossia impedire l’avviamento accidentale del-
siasi altro posto specie se di uso o accesso comune. Ci sono poi, alcune precauzioni da prendere nell'utilizzo di sostanze pericolose: la presenza nei laboratori di sostanze pericolose va sempre segnalata con appositi cartelli. Le sostanze tossiche esercitano i loro effetti nocivi per ingestione, inalazione e per assorbimento cutaneo e, di solito, i loro effetti si evidenziano molto dopo l’esposizione, quindi fare attenzione a: • Non usare sostanze tossiche senza aver prima adottato tutte le precauzioni necessarie per svolgere il lavoro in sicurezza. • Indossare sempre guanti di qualità adeguata, che vanno sciacquati prima di essere tolti. • Togliere i guanti prima di lasciare il laboratorio per evitare la contaminazione negli altri ambienti. • Utilizzare i solventi volatili sempre sotto una cappa aspirante adeguata. • Adottare misure precauzionali nel pesare sostanze tossiche, mutagene, cancerogene o comunque nocive. Le sostanze pericolose vanno conservate in appositi armadi di sicurezza ventilati e sotto chiave. • Utilizzare contenitori specifici e le cautele necessarie, correlate alla pericolosità della sostanza. Per le misure da adottare nell'uso di sostanze altamente infiammabili bisogna far riferimento alla norma che ne prevede la detenzione nei laboratori delle sole quantità di uso quotidiano e che comunque vanno eliminate dai banconi di lavoro e riposte negli appositi depositi appena terminate le operazioni d’uso.
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Le sostanze infiammabili vanno conservate in depositi adeguatamente attrezzati o, le quantità di uso quotidiano, in appositi armadi di sicurezza. Non usare fiamme libere nelle vicinanze di sostanze infiammabili o esplosive. L'utilizzo di sostanze infiammabili va sempre segnalato con appositi cartelli. Ricordo che le sostanze infiammabili, soprattutto se bassobollenti, in alcune condizioni in cui i loro vapori sono miscelati con l’aria, possono dar luogo ad atmosfere esplosive: esempio tipico sono l’acetone ed alcuni eteri. Sono quindi d’obbligo alcune misure di sicurezza: • Ventilare artificialmente l’ambiente di lavoro (mediante aspirazione). • Evitare fonti di innesco, come fiamme libere. • Utilizzare apparecchiature elettriche di tipo antideflagrante. • In caso di travaso di liquidi facilmente infiammabili, unire tutte le parti conduttrici di elettricità e metterle a terra.
MISURE PRECAUZIONALI PER LA CONSERVAZIONE DELLE VARIE SOSTANZE Da quanto detto in precedenza risulta evidente che la quantità di sostanze chimiche da tenere in laboratorio deve essere ridotta al minimo. In particolare bisogna: • Non lasciare sostanze chimiche, acidi o solventi sui banconi di lavoro. Non tenere contenitori e bottiglie di sostanze pericolose nei ripiani di scaffali alti: risulterebbe più scomodo il loro uso aumentando la probabilità di una presa insicura e che quindi, possano cadere a terra. • Non usare la cappa aspirante come deposito di sostanze e mantenerla libera da apparati che possono causare turbolenze nel flusso dell'aria (l’aria della cappa, carica di inquinanti, deve uscire dall’aspirazione ed assolutamente non dal fronte). • Tenere solo minime quantità d’uso quotidiano delle sostanze infiammabili che saranno conservate in appositi armadi antincendio. • Fare attenzione che le bottiglie contenenti acidi minerali non siano conservate vicino a solventi organici (in caso di sversamento delle due sostanze si possono verificare reazioni chimiche esotermiche molto forti e non controllate, quindi particolarmente pericolose) • Sostanze particolarmente nocive alla salute (cancerogene, mutagene, ecc.) devono essere conservate, all'interno di un armadio ventilato, con un sistema a doppio contenitore e su entrambi i contenitori dove essere riportato il tipo e la pericolosità della sostanza. • Qualora si intendano usare sostanze radioattive bisogna contattare preventivamente l’esperto qualificato (nominato dal datore di lavoro) per predisporre le necessarie cautele operative ed avviare le procedure del caso. La materia è sottoposta a cautele e ad una normativa speciale che deve essere soddisfatta prima dell’inizio di una qualsiasi attività nel settore. Nei laboratori è abbastanza frequente anche l’uso di liquidi criogenici per gli scopi più disparati, in primo luogo mantenere a bassa temperatura alcune parti di strumenti. Bisogna tener presente, durante i travasi, che tutti i gas liquefatti (ad es. azoto liquido la cui temperatura di ebollizione è -195.8°C) qualora colpiscano la pelle causano bruciature. Non è da sottovalutare nemmeno che anche quantità molto piccole di liquido si trasformano in grandi quantità di gas (1
litro di azoto liquido sviluppa circa 640 litri di gas) con evidente rischio di sovrapressioni ed esplosioni se eventuali tubi di collegamento o valvole vengono bloccati dalla formazione di ghiaccio, causata dal congelamento dell'umidità atmosferica. Quando l’azoto liquido evapora in un ambiente chiuso riduce drasticamente la concentrazione di ossigeno nell'aria e può causare asfissia (concentrazione di ossigeno sotto il 17%). Alte concentrazioni d’ossigeno danno rischio di incendio: si ricorda che l’ossigeno viene disciolto e concentrato dall’azoto liquido e quindi va sempre chiuso con il suo tappo anche nei dewar non in pressione (il tappo non è a tenuta ed in caso di sovrapressione si solleva). Risulta fondamentale che il deposito di liquidi criogenici sia dotato di dispositivi che mettano al riparo gli operatori da questi rischi: che siano dotati di un impianto di ventilazione forzata in grado di garantire un adeguato ricambio d’aria prima che l’operatore abbia accesso alla stanza e che sia dotato di sensori per garantire la rilevazione del livello di ossigeno presente. • Maneggiare i liquidi in zone ben ventilate e non scaricare mai liquidi in zone dove possa entrare altro personale. Usare esclusivamente contenitori progettati specificamente per contenere i liquidi criogenici. Questi contenitori sopportano i rapidi sbalzi di temperatura che si verificano quando si lavora con questi liquidi. • Usare unicamente i tappi forniti insieme al contenitore. • Non chiudere ermeticamente i contenitori di liquidi criogenici se non sono dotati di valvola. • Maneggiare sempre recipienti con precauzione e lentamente onde evitare sobbalzi e schizzi. • Usare pinze per rimuovere oggetti immersi nel liquido. • Oltre al normale camice di lavoro vanno sempre indossati: guanti di protezione idonei, occhiali o visiera di protezione e calzature chiuse. Photo by Erlab
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Armadi di sistemazione dei prodotti chimici
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I dispositivi di protezione per le emergenze in laboratorio Per l’attività che vi si svolge e per l’utilizzo di particolari sostanze e apparecchiature, i laboratori chimici di ricerca ed analisi vanno considerati luoghi dove sono innumerevoli le situazioni di pericolo che occorre essere sempre pronti a fronteggiare La particolare attività svolta, la presenza di sostanze di diversa natura, la varietà delle attrezzature e degli impianti impiegati fa dei laboratori chimici dei luoghi ove le situazioni di pericolo siano innumerevoli. E se in condizioni normali possiamo comunque definire il laboratorio chimico come un’attività a rischio, in caso di incidente, le conseguenze possono essere di una gravità apparentemente non giustificabile. Soprattutto in questi casi, quindi, l’intervento di emergenza deve essere visto non come una possibile eventualità ma come dovrebbe effettivamente essere: un’azione eccezionale che viene ad essere intrapresa quando tutte le misure di prevenzione adottate hanno comunque lasciato una probabilità (bassissima) di accadimento dell’incidente. L’incidente, anche banale, in un laboratorio può portare a conseguenze gravissime in ragione di un ‘effetto a cascata’ nel quale l’aspetto predominante risulta la velocità di accadimento degli eventi. In ragione di questo, le misure di protezione dovranno essere tali da minimizzare il conseguente danno e permettere l’attivazione di un’emergenza in tempi rapidi e in situazioni non estreme. La pianificazione dell’emergenza, l’individuazione degli scenari incidentali e la predisposizione delle modalità di intervento, proprio in questo caso devono anche essere occasione di approfondimento dell’analisi dei rischi, della loro valutazione e delle misure di prevenzione e protezione conseguenti per una riduzione ad un livello di accettabilità tendente a zero (al di là degli sforzi operati, vi saranno comunque cause soggettive non prevedibili e cause oggettive non eliminabili). Quanto sopra perché, purtroppo, anche questi ambienti, frequentemente, non rappresentano l’idealità, in quanto nonostante l’elevata specializzazione del personale che vi opera all’interno, la mancanza di una vera cultura della sicurezza porta alla sottovalutazione di alcuni aspetti fondamentali nella gestione del laboratorio. Nonostante lo scrupolo, l’accuratezza e la professionalità che gli
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sono indubbiamente riconosciute, anche il chimico cade generalmente nell’errore classico di ogni realtà lavorativa: associare l’aspetto del rischio all’attività principale svolta. Purtroppo, le statistiche relative agli incidenti in tutti i luoghi di lavoro confermano questa tendenza anche per i laboratori, soprattutto nelle attività di ricerca e sperimentazione. Infatti, grande attenzione viene posta al ‘momento della reazione’, ove sicuramente il rischio è più alto ma anche le cautele sono sicuramente maggiori, mentre vengono presi in minore considerazione i reagenti e la loro custodia, i residui dei prodotti di reazione, i sottoprodotti, la loro neutralizzazione, bonifica e successivo smaltimento, la presenza di gas tecnici e così via. E’ inutile predisporre una pianificazione dell’emergenza se i laboratori si trasformano in depositi di prodotti chimici e di bombole di gas compressi! Alla luce di tutto questo l’incidente in ambiente chimico prevede l’attuazione di un piano di emergenza in grado di gestire in tempi brevi e con elevata specializzazione e preparazione non solo il salvataggio e l’evacuazione dei presenti ma anche l’intervento per la messa in sicurezza delle strutture e degli impianti al fine di evitare un ‘effetto domino’ che può presentare conseguenze di tipo esponenziale. Le squadre di intervento in caso di emergenza dovranno, non solo essere ben addestrate ma dovranno disporre di tutti i dispositivi e mezzi di protezione in caso di emergenza. La dotazione deve essere prevista sulla base di uno studio approfondito di compatibilità dei prodotti utilizzati e di quelli che potrebbero scaturire in caso di incidente, con i mezzi di protezione individuale dei soccorritori e di salvataggio per gli operatori ed i presenti. Tutte le procedure previste devono essere seguite da persone di provata competenza nell’ambito dei servizi di prevenzione e protezione e di gestione dell’emergenza con la collaborazione degli organi deputati all’intervento quali i Vigili del fuoco.
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L’approccio metodologico nella valutazione e nella scelta dei dispositivi di protezione antincendio e d’emergenza Così come la scelta dei DPI in ogni lavorazione non può prescindere dalla valutazione del rischio anche i dispositivi antincendio e d’emergenza dovranno essere adottati solamente dopo un approfondito studio degli eventi avversi ragionevolmente prevedibili individuati nel piano di emergenza dell’attività. La scelta dei dispositivi antincendio e d’emergenza deve essere fatta per singolo laboratorio, tenendo comunque nella considerazione che altri laboratori presenti nello stesso edificio possano essere coinvolti nell’incidente. Sarà necessario prevedere non solo la specificità del singolo dispositivo di protezione in caso di intervento in un laboratorio ove si svolga una determinata attività (analisi o linea di ricerca) ma anche la possibilità che possano essere coinvolti altri laboratori nello stesso edificio ove si svolgono attività diverse e ad alto rischio (gas tossici, isotopi radioattivi, conduzioni di reazione in autoclave, ecc.) Inoltre i dispositivi antincendio e d’emergenza non dovranno contemplare solamente la protezione delle squadre di intervento e dei soccorritori ma anche assicurare l’esodo di tutti i presenti nell’edificio. Di seguito si propone una lista di riscontro quale approccio metodologico nella valutazione dei corretti dispositivi antincendio e d’emergenza da impiegare a seconda delle diverse situazioni che caratterizzano la singolarità di ogni laboratorio. Il metodo proposto parte dall’analisi dell’area ove ha sede l’edificio adibito a laboratori, per arrivare alla specificità di ogni singola operazione, al fine di effettuare una mappatura dell’emergenza a strati successivi.
Analisi dell’area • Attività confinanti e limitrofe • Individuazione di accessi per i mezzi di soccorso • Individuazione di luoghi sicuri e di aree di riordino in caso di evacuazione degli occupanti • Possibilità di accostamento dell’autoscala dei VVF • Presenza di una riserva d’acqua e attacco autopompa VVF
Analisi dell’edificio • Distribuzione delle aree • Individuazione dei laboratori a maggior rischio • Individuazione di depositi di infiammabili, prodotti chimici, stoccaggio rifiuti pericolosi provenienti da attività di laboratorio, gas tossici, bombole di gas compressi e disciolti, tank per gas liquefatti criogenici, vani tecnici quali centrale elettrica, centrale termica, sale compressori, u.t.a. ecc. • Analisi delle strutture e dei compartimenti antincendio (strutture portanti, separanti verticali ed orizzontali, porte con resistenza al fuoco predeterminata) • Reazione al fuoco di pavimenti, rivestimenti e arredi • Caratteristiche antincendio delle scale e degli ascensori (presenza di camini di ventilazione, tipo protetto, a prova di fumo) • Presenza e fruibilità effettiva delle vie di esodo • Possibilità di accesso a tutte le aree anche in caso di incidente alle squadre di intervento e soccorso interne ed esterne
la messa fuori servizio dell'intero sistema (utenza); - disporranno di apparecchi di manovra ubicati in posizioni "protette" e devono riportare chiare indicazioni dei circuiti cui si riferiscono. Il quadro elettrico generale sarà ubicato in posizione facilmente accessibile, segnalata e protetta dall'incendio per consentire di porre fuori tensione l'impianto elettrico dell'attività. • Impianto di aspirazione delle cappe - Verifica efficacia ed efficienza espulsione di aria dalle cappe (pulizia manutenzione periodica dei filtri, flussimetria di controllo) - Verifica che i camini siano posizionati un metro oltre la copertura - Verifica che non vi sia collettamento tra scarichi gassosi incompatibili - Verifica che gli scarichi siano convogliati direttamente all’esterno o in appositi cavedi esterni all’edificio ovvero in cavedi appositamente predisposti e con resistenza al fuoco idonea. • Impianto di condizionamento e ricambio d’aria - L’aria deve essere prelevata dall’esterno in zone ‘non inquinate’ - Deve essere a blocchi, in modo che eventuali rilasci di gas tossici (non intercettabili con serrande tagliafuoco in automatico) non possano raggiungere ambienti diversi da quello di formazione • Impianto di smaltimento e depurazione acque reflue • Impianto di recupero acque di lavaggio dei laboratori • Impianto idrico antincendio (presenza di naspi e idranti) • Impianto di rilevazione ed allarme antincendio (rilevatori ottici di fumo, ecc.) • Impianti di spegnimento automatico con eco halon o gas inerti • Verifica della presenza della segnaletica di sicurezza necessaria Laboratorio • Individuazione del laboratorio all’interno degli edifici (possibilità di accesso alle squadre di soccorso, percorsi di esodo per gli occupanti) • Analisi delle strutture e dei compartimenti antincendio (strutture portanti, separanti verticali ed orizzontali, porte con resistenza al fuoco predeterminata) • Reazione al fuoco di pavimenti, rivestimenti e arredi (cappe in classe 0 e/o 1) considerando anche l’aspetto legato alla tossicità dei prodotti di combustione • Identificazione delle sostanze - Sostanze corrosive - Sostanze tossiche (cancerogeni, teratogeni, mutageni, ecc.) - Sostanze infiammabili - Sostanze irritanti e nocive - Sostanze piroforiche - Sostanze esplosive
Identificazione di tutti gli impianti presenti • Impianti elettrici In particolare, ai fini della prevenzione degli incendi, gli impianti elettrici: - non costituiranno causa primaria di incendio o di esplosione; - non saranno alimento o via privilegiata di propagazione degli incendi. Il comportamento al fuoco della membratura deve essere compatibile con la specifica destinazione d'uso dei singoli locali; - saranno suddivisi in modo che un eventuale guasto non provochi
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- Sostanze che reagiscono violentemente con l’acqua - Sostanze che sono inclini alla formazione di perossidi - Sostanze che normalmente formano perossidi - Sostanze con il rischio da perossidi nel caso vengano concentrate - Sostanze con rischio di polimerizzazione iniziata da perossidi - Sostanze radioattive • Verifica della presenza della minima quantità necessaria • Verifica della corretta etichettatura di tutti i contenitori • Contenimento in idonei armadi di sicurezza con vasca antispanto e sistema di aspirazione dei vapori • Contenimento in frigoriferi in esecuzione AD con sistema di controllo ed allarme in caso di aumento della temperatura • Contenimento in dry box mantenuti in leggera sovrapressione con gas inerte secco • Identificazione di sostanze che non possono permanere in laboratorio al di fuori del periodo di utilizzazione • Presenza di gas liquefatti criogenici • Identificazione degli strumenti e delle apparecchiature - Autoclavi - Apparecchiature sottovuoto - Strumenti che generano radiazioni ionizzanti - Strumenti a fiamma libera (bruciatori, atomizzatori, becchi bunsen) - Strumenti con rivelatori con emissione di radiazioni - Laser - Glove box • Impianti elettrici (grado di protezione adeguato, individuazione zone AD, pulsante di sgancio esterno al laboratorio) • Cappe • Impianti di rilevazione ed allarme antincendio (rilevatori ottici di fumo, rivelatori di gas e miscele esplosive) • Impianti di spegnimento automatico con eco halon o gas inerti • Verifica dell’assenza di bombole di gas compressi, disciolti e liquefatti dal laboratorio • Presenza di raccoglitori di vetri di sicurezza • Verifica della presenza della segnaletica di sicurezza necessaria • Finestre • Lucernari • Evacuatori di fumo e calore • Presenza di ventilazione naturale permanente
Le attività: analisi ricerca e sperimentazione • Individuazione dell’attività specifica (analisi, linea di ricerca, ecc.) • Studio dell’attività e dei rischi che nello specifico comporta • Formazione di sostanze chimiche incompatibili Il termine ‘sostanze chimiche incompatibili’ si riferisce a quelle
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sostanze che possono: - reagire violentemente - reagire producendo una notevole quantità di calore - reagire determinando la formazione di prodotti infiammabili - reagire determinando la formazione di prodotti tossici • A seconda delle condizioni operative vi possono essere pericoli legati a: - Formazione di reazione fuggitive - Concentrazione di soluzioni di prodotti instabili - Polimerizzazioni violente - Decomposizione violenta - Formazione di perossidi • Presenza di tutte le schede di sicurezza dei prodotti utilizzati e di quelli che si potrebbero formare nel corso delle operazioni considerando prodotti e sottoprodotti. • Presenza di tutte le schede di sicurezza dei prodotti che si potrebbero formare in caso d’incendio.
CONFRONTO TRA I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE DA UTILIZZARE IN CONDIZIONI NORMALI E I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE D’EMERGENZA In condizioni normali • Il DPI rappresenta la soluzione per abbattere il rischio residuo cui è soggetto l’operatore dopo l’attuazione di misure organizzative, di azioni di prevenzione e dei mezzi di protezione collettiva. • Per rischi di natura igienica ambientale il DPI può non essere decisivo per un danno immediato all’operatore • L’operatore ha il tempo necessario per verificare l’efficienza e l’efficacia del DPI • Qualora il DPI sia non idoneo per una serie di motivi l’operatore non effettua l’attività prevista senza alcun danno per la sicurezza
In caso di emergenza • È l’unico strumento a disposizione dell’operatore per la sua sicurezza • Data la natura stessa dell’emergenza e l’imprevedibilità di taluni effetti che ne potrebbero scaturire, il DPI è necessariamente collegato a un danno diretto • Le operazioni e la tempistica per il controllo dell’efficienza e dell’efficacia del DPI, sono ridotte al minimo (i controlli accurati devono essere effettuati all’origine). • Qualora un dispositivo non funzioni, e questo avvenga durante la verifica prima di indossarlo in caso di emergenza, si hanno ritardi gravissimi per le operazioni, la non funzionalità del piano con conseguenze che potrebbero essere fatali
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Gli aspetti fondamentali: la formazione e l’addestramento Qualsiasi dispositivo da utilizzare in caso di emergenza, soprattutto in ambiente chimico, deve prevedere idonee azioni di informazione, formazione ed addestramento. In questo caso ci si deve svincolare dall’obbligo formale di fornire una formazione sul corretto utilizzo dei DPI di III categoria (e degli otoprotettori) come stabilito dalla normativa cogente, in quanto l’addestramento ai dispositivi di protezione in caso di emergenza nei laboratori chimici deve intendersi quale parte fondamentale dell’addestramento all’intervento di emergenza in attuazione al piano appositamente predisposto. A dimostrazione di questo si pensi ai vari tipi di occhiali e visiere di protezione degli occhi da eventuali radiazioni non ionizzanti alle quali potrebbero essere soggetti gli addetti delle squadre di emergenza nei laboratori in caso di intervento o alle diverse varietà di guanti per la manipolazione di prodotti chimici con una specificità tale da poter essere permeabili a talune sostanze presenti nel laboratorio, per non parlare poi delle condizioni più disparate che possono scaturire in seguito ad incidente quali la temperatura, le concentrazioni in gioco, la compatibilità chimica dei materiali, gli effetti combinati, ecc. Un aspetto quasi unico, spesso trascurato e di estrema importanza è quello della decontaminazione del dispositivo prima che venga tolto. I sistemi di decontaminazione saranno di tipo diverso a seconda della tipologia dell’esposizione: da semplici docce, a servizi bianco/nero con sistemi di raccolta del dispositivo e di bonifica dell’inquinante, a veri e propri locali di decontaminazione per materiali radioattivi. I sistemi devono puntare alla tutela della salute dell’operatore, alla tutela della popolazione dell’ambiente. Data la particolare importanza, gli interventi formativi dovranno essere effettuati da professionisti di provata capacità in grado di fornire non solo informazioni di carattere teorico ma anche, interventi di carattere pratico e simulazioni tramite esercitazioni appropriate al fine di verificare l’effettivo stato di padronanza nell’utilizzo del dispositivo di protezione anche in caso di malfunzionamento o di problemi di varia natura connessi alla particolare caratteristica dell’incidente. Un siffatto addestramento dovrà quindi prevedere almeno i seguenti argomenti: • Natura dei rischi dai quali il dispositivo protegge • Caratteristiche tecniche e prestazioni del dispositivo • Uso corretto ed utilizzo pratico del dispositivo • Incompatibilità in determinate situazioni • Utilizzo esclusivo per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante • Corretta pulizia e manutenzione • Mantenimento in condizioni igieniche appropriate • Individuazione di malfunzionamenti, anomalie e difformità • Tecniche e sistemi di decontaminazione dei dispositivi • Esercitazioni pratiche • Test di verifica sull’effettivo apprendimento anche attraverso simulazioni L’addestramento dovrà prevedere livelli crescenti di approfondimento e periodiche esercitazioni. In caso di emergenza si affrontano situazioni eccezionali con carico di stress fisico e psicologico per l’operatore e difficoltà nelle operazioni per cui il dispositivo di protezione non solo non deve essere causa di eventuali ulteriori fonti di rischio ma deve anche essere assolutamente ergonomico e garantire un adeguato comfort (dovranno essere considerate taglie corrette, caratteristiche dei materiali, libertà di movimento, presenza di occhiali, per concludere l’adattabilità di ogni dispositivo alla singola persona).
I DISPOSITIVI D’EMERGENZA PER L’EVACUAZIONE Considerato che l’obiettivo principale di un piano di emergenza è la tutela dei presenti e dei soccorritori, qualsiasi azione può essere vana in questo senso se non sono messi a disposizione degli occupanti dell’edificio dispositivi di protezione individuale che permettano l’evacuazione ed il raggiungimento di un luogo sicuro. Anche in questo caso gli argomenti relativi all’effettiva necessità di tali dispositivi, al loro numero nonché alle loro caratteristiche devono necessariamente essere affrontati con un approccio metodologico che porta alla scelta del dispositivo corretto in base alle situazioni operative.
CONCLUSIONI L’individuazione dei dispositivi di protezione in caso di intervento di emergenza nei laboratori chimici di ricerca ed analisi richiede un approccio metodologico che coinvolga i ricercatori, i tecnici, gli analisti, i servizi di prevenzione e protezione e di gestione dell’emergenza nonché i fabbricanti. Risulta quindi necessario che tutte le fasi che compongono la dotazione e il mantenimento dei dispositivi di protezione individuale di questo tipo non possano essere demandate a servizi quali uffici tecnici, acquisti ed economato in quanto mancanti degli elementi di valutazione e della professionalità necessari per gestire acquisti di detta tipologia. La scelta dei dispositivi antincendio e d’emergenza (dai guanti agli autoprotettori) non deve essere pertanto dettata da motivazioni di ordine diverso da quella dell’effettiva sicurezza ed ergonomia di chi li indossa, e tantomeno di ordine economico, in quanto dovranno comunque essere ricercati i migliori a disposizioni sul mercato, relativamente alle caratteristiche prestazionali richieste ed alla garanzia di affidabilità che deve essere totale.
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DPI: la dotazione minima per essere più sicuri Devono essere conformi alla normativa vigente e devono essere adeguati ai rischi da prevenire e alla loro entità senza comportare di per sé un rischio aggiuntivo. Per dispositivo di protezione individuale (DPI) si intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi presenti nell'attività lavorativa, suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo I DPI devono essere prescritti solo quando non sia possibile attuare misure di prevenzione dei rischi (riduzione dei rischi alla fonte, sostituzione di agenti pericolosi con altri meno pericolosi, utilizzo limitato degli stessi), adottare mezzi di protezione collettiva, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro. Il lavoratore è obbligato a utilizzare correttamente tali dispositivi, ad averne cura e a non apportarvi modifiche, segnalando difetti o inconvenienti specifici. Per alcuni DPI è fatto obbligo di sottoporsi a programmi di formazione e di addestramento. L'art. 42 del D.Lgs. n. 626/94 indica le caratteristiche che devono avere i DPI per poter essere utilizzati: • devono essere adeguati ai rischi da prevenire e alla loro entità senza comportare di per sé un rischio aggiuntivo • devono essere rispondenti alle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore
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• devono essere adattabili all'utilizzatore secondo le sue necessità • devono essere in possesso dei requisiti essenziali intrinseci di sicurezza, cioè essere conformi alle norme di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 (marcatura CE) I DPI sono classificati in base alle parti del corpo che devono proteggere (allegato IV del D.Lgs. n. 626/94): • dispositivi di protezione della testa • dispositivi di protezione dell'udito • dispositivi di protezione degli occhi e del viso • dispositivi di protezione delle vie respiratorie • dispositivi di protezione delle mani e delle braccia • dispositivi di protezione dei piedi e delle gambe • dispositivi di protezione della pelle • dispositivi di protezione del tronco e dell'addome • dispositivi di protezione dell'intero corpo •indumenti di protezione
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Dr.a Maria Letizia Gabriele - Responsabile Ufficio Sicurezza e dr. Raffaele Polato - Universita' degli Studi di Padova (C.I.S. "A. Vallisneri")
DOTAZIONE MINIMA DI DPI NEI LABORATORI (da adottare a seconda delle esigenze specifiche)
1. Occhiali: • • • • • • •
a stanghetta con ripari laterali a mascherina con valvole per protezione chimica per protezione alle alte/basse temperature per raggi UV per raggi laser per raggi X
2. Visiera, maschera facciale • per la protezione da schizzi e areosol
3. Maschere protettive: • mascherine igieniche per polveri innocue di >=5 micron • FFP1 per la protezione da polveri nocive, aerosol a base acquosa di materiale particellare (>=0,02 micron) quando la concentrazione di contaminante è al massimo 4,5 volte il corrispondente TLV (valore limite di soglia) •FFP1 per la protezione da vapori organici e vapori acidi per concentrazione di contaminante inferiore al rispettivo TLV •FFP2 per la protezione da polveri a media tossicità, fibre e areosol a base acquosa di materiale particellare (>= 0,02 micron), fumi metallici per concentrazioni di contaminante fino a 10 volte il valore limite (buona efficienza di filtrazione) • FFP3 per la protezione da polveri tossiche, fumi aerosol a base acquosa di materiale particellare tossico con granulometria >=0,02 micron per concentrazioni di contaminante fino a 50 volte il TLV (ottima efficienza di filtrazione) • maschere con filtri antigas di classe 1, 2, 3, rispettivamente con piccola, media e grande capacità di assorbimento e con colorazioni distinte dei filtri: • marrone per gas e vapori organici • grigio per gas e vapori inorganici • giallo per anidride solforosa, altri gas e vapori acidi • verde per ammoniaca e suoi derivati organici • blu/bianco per ossidi di azoto • rosso/bianco per mercurio • maschere combinate con filtri in grado di trattenere sia particelle in sospensione solide e/o liquide che gas e vapori • respiratori isolanti.
4. Guanti: •monouso di materiale compatibile con le sostanze manipolate e di materiale anallergico • guanti in cotone (sottoguanti) • per alte temperature • per azoto liquido
5. Grembiule • per azoto liquido • visiera per criogeni
6. Copriscarpe e calzature da lavoro In ogni caso in laboratorio si deve sempre operare con indumenti protettivi (camici) e deve essere valutata la necessità di provvedere a spogliatoi con armadietti doppi per ogni persona.
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LAB & Sicurezza La risposta individuale all’esposizione lavorativa ad agenti tossici Il ruolo dei polimorfismi genetici di predisposizione e nuove tecniche di approccio
L’uomo interagisce continuamente con una serie quasi infinita di sostanze estranee al proprio corpo (xenobiotici), ognuna delle quali può essere, nei suoi confronti, neutra oppure potenzialmente in grado di provocare effetti biologici indesiderati. La possibilità e/o la probabilità che tali effetti si possano verificare dipendono fondamentalmente dall’interazione di due fattori: le caratteristiche intrinseche della sostanza (stato fisico, caratteristiche chimiche ecc.) e le caratteristiche dell’organismo (tipi, modi e intensità delle risposte attuabili nelle varie fasi: ingresso, diffusione, eventuale biotrasformazione, eliminazione definitiva). In questo percorso, e nelle sue diramazioni, sono chiamati a svolgere un ruolo decisivo peculiari sistemi enzimatici, ciascuno con la propria definita funzione e potenzialità, che, di volta in volta, a seguito della adeguatezza della risposta, determinano il mantenimento del precedente stato di salute oppure l’inizio della malattia. Per questo la maggior parte delle patologie, soprattutto croniche, pur se innescate da fattori ambientali, nella loro manifestazione sono fortemente influenzate da fattori individuali come genotipo, sesso, età, alimentazione ecc. In altri termini, possiamo dire che esiste una suscettibilità variabile tra i
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diversi individui che, a parità di esposizione ad un agente tossico, ne modula il rischio di contrarre una patologia. Tipico esempio è il fumo di sigaretta che, pur essendo in generale sempre dannoso, provoca il cancro solo in una minoranza di soggetti esposti. Queste differenze nelle risposte agli agenti tossici trovano origine soprattutto nelle differenze quali-quantitative dei sistemi enzimatici presenti in ciascun individuo, causate a volte da mutazioni casuali e sporadiche nei relativi geni, oppure, più frequentemente, da veri e propri polimorfismi genetici. Non è mai opportuno, quindi, dare per scontata una "omogeneità biologica" dei soggetti esposti, poiché ciò può portare ad una pesante sottostima del rischio per la popolazione. Attualmente, nell’ambito della Medicina Ambientale e del Lavoro, vi è un grande interesse sui polimorfismi genetici di suscettibilità, soprattutto per quanto riguarda il loro ruolo nel modulare la risposta individuale all’esposizione ai cancerogeni genotossici. L’epidemiologia convenzionale ha sempre lavorato utilizzando strumenti semplici quali analisi statistiche, osservazioni sul campo, questionari e interviste. Nonostante questo tipo di approccio abbia finora fornito notevoli risultati, permettendo di evidenziare molteplici rapporti di causa-effetto tra agenti di rischio e patologie correlate (Amianto-mesotelioma, fumo-cancro polmonare, silicesilicosi, ecc.), si è comunque limitato (e non avrebbe potuto fare altrimenti) all’osservazione e alla correlazione dei due termini esterni (le cause e gli effetti), senza poter far luce su cosa accada nel cosiddetto “black box”, cioè la fase intermedia, quella che va dal momento dell’esposizione all’inizio della patologia. L’epidemiologia molecolare cerca di colmare questo vuoto informativo proponendosi di esplorare proprio questa zona d’ombra, dove si situano i meccanismi molecolari di patogenesi, per evidenziarne tipologie e dinamiche, affinarne i metodi di indagine individuando biomarcatori specifici e, come nel presente lavoro, indagare sulle cause che determinano differenze, anche sostanziali, nella varietà di risposte individuali ad un agente di rischio con particolare riguardo allo studio dei polimorfismi genici. Gli strumenti dell’epidemiologia molecolare prevedono in aggiunta l’uso di tecniche molecolari finalizzate a indagare i polimorfismi genetici responsabili della suscettibilità individuale ai fattori di rischio Il lavoro effettuato durante lo svolgimento della tesi pone le basi metodologiche per lo sviluppo di un ambito progettuale, di più ampio respiro, frutto della collaborazione tra la Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell’INAIL e il Laboratorio di Igiene Industriale della ASL di Viterbo. Tale collaborazione è appunto incentrata sull’analisi dell’eventuale incidenza di fattori genetici sul grado di severità di sviluppo della silicosi, grave patologia infiammatoria degli alveoli polmonari che viene contratta in seguito all’inalazione di silice cristallina. Lo studio viene condotto su lavoratori del comparto ceramiche di Civita Castellana e consiste nell’analisi dei pattern polimorfici di alcuni dei geni che la letteratura scientifica associa alla diversa suscettibilità individuale a svariati fattori di rischio. Tali geni sono rappresentati da GSTM1, GSTT1, GSTP1 (della famiglia Glutatione-S-Transferasi) e da TNF-1· e IL-1‚ (della
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a cura di Angela Cianfrino, ricercatrice associata A.N.T.E.L.
Il gene GSTP1 è stato testato per le mutazioni A313G e C341T, verificando la possibilità di assegnare i differenti campioni a 6 differenti classi (Omozigoti AA, BB, CC ed Eterozigoti AB, AC, BC).
famiglia delle citochine). L’ipotesi è che la suscettibilità individuale determinata geneticamente, contribuisca in modo sostanziale a modificare, a parità di livelli di esposizione, la velocità di aggravamento di tale patologia. Il lavoro svolto durante la tesi è rappresentato dalla messa a punto delle procedure e dei protocolli di laboratorio necessari per lo studio dei suddetti polimorfismi; propedeutico a questa attività è stato un periodo di apprendimento delle tecniche molecolari più direttamente implicate in tale analisi, e più precisamente: purificazione di DNA genomico da sangue umano, reazione a catena della Polimerasi (PCR), restrizione del DNA utilizzando endonucleasi di classe II, elettroforesi di acidi nucleici su supporto di agarosio e analisi dei frammenti.
Le tecniche Le tecniche di biologia molecolare usate per questo lavoro sono state le seguenti: Estrazione e purificazione del DNA La purificazione del DNA è una procedura di laboratorio fondamentale, che rende l’acido desossiribonucleico utilizzabile per qualsiasi esperimento. In seguito alla lisi cellulare, il DNA viene purificato e risospeso in una soluzione acquosa libera da tutte le molecole (proteine, polisaccaridi, sali, composti organici) che potrebbero impedire il corretto svolgimento delle successive tecniche molecolari. Nella classica procedura, le cellule sono lisate per mezzo di un detergente e sottoposte a trattamento proteolitico con proteinasi k; successivamente le proteine vengono eliminate con estrazioni fenoliche. Le tracce di fenolo vengono poi rimosse tramite estrazione con cloroformio-alcool isoamilico, mentre il DNA purificato precipita, dopo l’aggiunta di etanolo, come un flocculato visibile ad occhio nudo sul fondo della provetta. Reazione a catena della polimerasi (PCR) La reazione a catena della polimerasi (PCR) è una reazione di amplificazione in vitro di un
Il gene GSTM1 è stato testato per la sua mutazione nulla (polimorfismo che si presenta sotto forma di delezione del gene: allele nullo), verificando la possibilità di assegnare i differenti campioni a 2 differenti classi (Soggetti AA ed AN con presenza di almeno una copia del gene, e soggetti NN in cui sono deleti entrambi i geni).
segmento specifico di DNA per mezzo di una DNA polimerasi. Non viene amplificato tutto il DNA, ma solo un segmento target che deve appartenere ad una regione poco variabile e deve avere una lunghezza ottimale (fino a 1000 bp). L’amplificazione si verifica in seguito allo svolgimento ciclico (per un totale di 30-40 cicli) di tre diverse fasi. 1.Denaturazione al calore dello stampo di DNA che deve essere copiato (94–99 °C) 2.Appaiamento (Innesco) di coppie di oligonucleotidi, (30–65 °C) 3.Estensione da parte di DNApol termoresistente a partire dai primer. (65–72 °C) Digestione con endonucleasi di restrizione Le endonucleasi di restrizione sono enzimi di origine batterica capaci di legare il DNA a doppia elica estraneo e di tagliarlo all’interno di sequenze specifiche dette “siti di riconoscimento” Elettroforesi su gel di agarosio L’elettroforesi è una tecnica di separazione di molecole elettricamente cariche che, sospese in un mezzo conduttore, vengono fatte migrare in campo elettrico verso il polo di segno opposto. La velocità di migrazione dipende dalla mobilità elettroforetica che è in funzione della massa, delle dimensioni e della carica. La corsa elettroforetica è eseguita su supporti solidi imbevuti di una soluzione elettrolitica che permette il passaggio di corrente elettrica. I frammenti di DNA, per la presenza di gruppi fosfato carichi negativamente migrano verso il catodo a velocità diversa in base alla loro lunghezza e quindi al loro peso molecolare: quelli di più grandi dimensioni, maggiormente ostacolati dalla matrice del supporto, rimangono in prossimità dei pozzetti di caricamento, mentre quelli più piccoli hanno una maggiore motilità. Concentrazioni elevate di agarosio si usano per separare le molecole più piccole mentre concentrazioni più basse sono più adatte a separare frammenti più grandi.
Il gene TNF· è stato testato per la mutazione G238A, verificando la possibilità di assegnare i differenti campioni a 3 differenti classi (Omozigoti AA e BB ed Eterozigoti AB).
Il gene GSTT1 (come il GSTM1) è stato testato per la sua mutazione nulla (polimorfismo che si presenta sotto forma di delezione del gene: allele nullo), verificando la possibilità di assegnare i differenti campioni a 2 differenti classi (Soggetti BB ed BN con presenza di almeno una copia del gene, e soggetti NN in cui sono deleti entrambi i geni).
Il gene IL-1‚ è stato testato per la mutazione C395T, verificando la possibilità di assegnare i differenti campioni a 3 differenti classi (Omozigoti AA e BB ed Eterozigoti AB). La messa a punto di tali protocolli consente ora di iniziare lo studio sui soggetti silicotici, raffrontando le frequenze dei singoli polimorfismi presenti nei casi con quelle presenti nei controlli
I risultati Mediante l’uso integrato delle tecniche sopra descritte, sono stati messi a punto i protocolli molecolari per l’analisi di cinque geni polimorfici (GSTM1, GSTT1, GSTP1, TNF · e IL-1b). Il tutto è stato eseguito su DNA purificato da buffy coats arricchiti in leucociti di alcuni campioni di controllo provenienti dal Centro Trasfusionale di Viterbo. Tutti i campioni di sangue appartenevano a donatori anonimi ed erano stati testati sierologicamente.
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SidePak am510
STRUMENTI PER L’IGIENE INDUSTRIALE TCR Tecora, azienda leader nel settore del campionamento alle emissioni e alle immissioni, propone, in rappresentanza della TSI Inc., una vasta gamma di strumenti per l’igiene industriale Il Sidepak am510 di TCR Tecora è un monitor personale in grado di visualizzare in tempo reale sul display la concentrazione del particolato aerodisperso, in funzione dell’impattore installato (PM10, PM2.5, PM1 e ciclone per la frazione respirabile). Robusto, compatto e silenzioso, questo strumento può essere fissato sulla cintura del lavoratore e operare anche in ambienti severi: infatti, possiede il certificato per la sicurezza intrinseca (ATEX) che ne consente l’utilizzo in ambienti a rischio esplosione. La possibilità di memorizzare i dati e la forte autonomia delle batterie, il cui stato è controllato costantemente dal sistema Smart Battery, lo rendono ideale anche per i monitoraggi di lunga durata. L’ampio display LCD mostra il valore istantaneo della concentrazione di massa del particolato e la media ponderata sulle 8 ore (TWA). I dati acquisiti possono essere gestiti con estrema facilità dal software TrakPro per creare rapporti di misura e grafici. Le principali caratteristiche sono la piccola dimensione,
AeroTrak 9000
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leggerezza e silenziosità per minimizzare il disturbo sull’operatore, è semplice da usare grazie alla tastiera con soli 4 tasti, portata regolabile dall’operatore, costanti di calibrazione multiple e definibili, attacco filettato per montaggio su treppiede per monitoraggi di area. Il Dusttrak 8520 è un analizzatore in tempo reale che permette di rilevare, attraverso un sensore a diffusione laser, il particolato aerodisperso in differenti ambienti, tra cui uffici e luoghi di lavoro industriali, cantieri edili, ambienti esterni. È dotato di pompa di aspirazione, lo strumento può essere utilizzato sia come monitor ambientale che personale per differenti applicazioni, quali l’igiene industriale, la ricerca di sorgenti di polveri, la valutazione dell’efficienza dei sistemi filtranti. Lo strumento fornisce, inoltre, una sicura determinazione dell’esposizione al particolato, misurando con precisione la concentrazione corrispondente alla frazione PM10, PM2.5, PM1 e alla frazione respirabile. È portatile funzionante a batteria,
DustTrak 8520
dotato di data-logger interno che consente di memorizzare i dati. Semplice da usare, consente di eseguire controlli rapidi oppure di programmare campionamenti di lunga durata, anche in continuo e senza necessità di sorveglianza da parte di un operatore. Le applicazioni includono il monitoraggio perimetrale in ambienti esterni, grazie al dispositivo d’alloggiamento dedicato che fornisce la protezione necessaria allo strumento e all’alimentazione estesa. Il Dusttrak 8520 viene fornito con il software TrakPro, il quale permette sia il trasferimento a computer dei dati memorizzati che la programmazione stessa dello strumento. Aerotrak 9000, invece, è uno strumento unico nel suo genere, poiché in grado di misurare la superficie d’area delle nanoparticelle depositate nelle aree alveolari e tracheobronchiali dei polmoni. Data l’impossibilità di misurarne la massa, gli esperti del settore hanno identificato la superficie d’area delle nanoparticelle come parametro di riferimento per
AeroTrak 8220
esprimerne la tossicità. Studi recenti hanno dimostrato che particelle simili per composizione chimica, ma di dimensioni differenti, differiscono: infatti, la loro capacità di danneggiare i polmoni aumenta con il diminuire del diametro aerodinamico. Esso costituisce una semplice e veloce soluzione per indicare la superficie d’area equivalente a particelle di grandezza da 10 a 100 nanometri. È uno strumento adatto alle seguenti applicazioni: monitoraggio degli ambienti di lavoro, studi di ricerca sulla tossicità da inalazioni, studi di ricerca epidemiologici, monitoraggio del materiale scientifico e del processo di produzione, re-engineering di impianti per nanotecnologie. E ancora, Aeroqual serie 500 è un palmare di facile impiego, in grado di visualizzare in tempo reale la concentrazione del gas in ppm o in mg/m3. Lo
strumento utilizza il metodo di misura a semiconduttore e può essere corredato di un sensore a scelta presente dalla vasta gamma ‘Aeroqual’. In funzione del sensore installato, viene fornita la concentrazione dell’inquinante oggetto di analisi. Lo strumento può essere collegato al PC tramite cavo seriale RS232, facilitando così la gestione dei dati acquisiti durante la misura. L’Aeroqual 500 trova numerose applicazioni nei casi in cui è necessaria una misura immediata della concentrazione di gas, sia per valutare la sicurezza negli ambienti di lavoro che, più in generale, per il controllo della qualità dell’aria. Le industrie nelle quali questo strumento trova maggiore applicazione sono quelle alimentari, chimiche, depositi di rifiuti e stoccaggio di gas. Lo strumento viene corredato di un sensore di misura richiesto dal cliente. Altri sensori possono essere acquistati separatamente e la loro intercambiabilità rende possibile l’utilizzo di un analizzatore con più sensori, installati in momenti diversi. Infine,
AeroQual 500
l’azienda propone Aerotrak 8220, un contatore ottico di particelle in tempo reale. È un modello palmare leggero (1 kg), in grado di operare sia a corrente AC che a batterie agli ioni di litio. Può memorizzare fino a 100.000 dati, questi possono essere gestiti con estrema facilità dal software TrakPro (in dotazione) per creare rapporti di misura e grafici. Lo strumento ha una portata di 2,8 l/min e offre la possibilità di separare fino a 6 classi granulometriche a scelta dell’operatore. Si tratta di uno strumento versatile, in grado di misurare parametri diversi. Le sue principali applicazioni sono: controllo ambienti confinati, ricerche in ambienti chiusi, test sull’efficienza dei filtri nelle camere bianche e operatorie, studi di igiene occupazionale, controllo qualità degli ambienti di lavoro, studi sulla migrazione dei contaminanti.
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SISTEMA D’ARREDO PER LABORATORI La linea d’arredo, denominata OR-21, è frutto dell’interazione con i molteplici clienti con i quali Burdinola collabora abitualmente da anni e che appartengono ai principali segmenti di mercato (laboratori privati, industria, università ed enti pubblici). Le caratteristiche dell’arredo sono: alta qualità dei materiali, flessibilità, sicurezza, cura dell’aspetto estetico e delle finiture. La struttura portante è realizzata in acciaio di qualità al carbonio ed è disponibile in due configurazioni: con cavalletti a ‘U’ rovesciata e con cavalletti a ‘C’. Al posto dei semplici traversi, per entrambe le configurazioni, la giunzione fra i cavalletti è ottenuta con due anelli di struttura, realizzati in un solo pezzo, e il numero complessivo di punti di contatto con il suolo è cinque anziché quattro. Il risultato è una maggiore rigidità e stabilità strutturale. Tutti i profilati sono protetti tramite verniciatura, per l’aggio sono utilizzate unicamente viti passanti con bullone che non rimuovono lo strato di vernice protettiva durante l’installazione. Anche la stabilità dei piani di lavoro è eccellente poiché appoggiano sulla struttura portante lungo tutto il perimetro dell’anello superiore. Le lunghezze dei piani di lavoro standard sono tre: rispettivamente di 1200, 1500 e 1800 mm. (possono essere prodotti piani di lavoro su misura da un min. di 600 a un max di 1180 mm.) mentre le altezze disponibili dei banchi sono tre: 900 (banchi da lavoro), 720 (banchi di scrittura) e 500 (banchi per installazioni). Sotto i
piani di lavoro possono essere alloggiati mobiletti ‘underbench’ fissi, su ruote o sospesi scorrevoli, con cassetti e/o ante. L’angolo di apertura delle ante è di 270° per una massima sicurezza in caso di pericolo, il perimetro è protetto con profilo in PVC e le cerniere sono in acciaio coperto con resina epossidica. La zona di passaggio dei servizi è indipendente dai piani di lavoro e dotata di una propria struttura portante interna, caratterizzata da colonne circolari in alluminio naturale su cui sono concentrate tutte le utenze. Questo nuovo tipo di approccio, a differenza delle configurazioni classiche che utilizzano pareti divisorie attrezzate, lascia lo spazio sopra la galleria dei servizi completamente libero estendendo sensibilmente la superficie dei piani di lavoro. Questo significa più spazio utile allo stesso prezzo. Le colonne circolari garantiscono anche una grande flessibilità: in qualsiasi momento il numero delle utenze può essere aumentato aggiungendo moduli di sup-
porto; mensole e mobiletti sospesi possono essere regolati in altezza e le colonne stesse possono fare da supporto a elementi come reattori per sintesi e pareti divisorie. In alternativa ai servizi su colonna verticale, Burdinola propone anche i servizi su modulo aereo che non richiedendo nessuna struttura a pavimento e rendono massima la flessibilità nei cambi di configurazione del laboratorio. Ampia la scelta di piani di lavoro tra cui spiccano il laminato ‘Chemtop’ ad alta resistenza chimica superificiale ed il vetro bilaminare adatto per l’impiego di reattivi (ad esclusione solo dell’acido fluoridrico). La cura dell’estetica è una prerogativa di Burdinola. L’aspetto degli arredi tecnici, basato sulle colonne verticali dove sono concentrate le utenze, stravolge lo schema classico basato su elementi squadrati con servizi posti su pareti modulari; queste soluzioni tradizionali penalizzano l’estetica del laboratorio oltre a ridurne la luminosità e le possibilità di comunicazione fra gli operatori. Le cappe chimiche Burdinola propone anche modelli di cappe chimiche che soddisfano pienamente i requisiti della nuova normativa europea EN 14175-3 nata con l’obiettivo di unificare tutte le norme preesistenti. L’azienda è, inoltre, membro del comitato deputato alla stesura della nuova norma europea e il suo reparto di ricerca e sviluppo è dotato di una sala di test certificata secondo la EN 14175-3 che permette di certificare autonomamente i suoi prodotti e quelli di altri fabbricanti secondo la nuova norma sopra citata. Riguardo alle caratteristiche costruttive spicca la particolare struttura portante che avvolge la cappa per tutta la sua altezza e la assoluta assenza di materiali a base di legno per gli elementi che costituiscono la cabina interna (in molti casi le pareti della cabina sono realizzate con laminati con supporto interno ligneo). La gamma proposta da Burdinola comprende ben 9 modelli: 3 per l’impiego generico da laboratorio (standard, walk in e per installazioni), 1 per l’impie-
go di acidi concentrati (ad esclusione dell’acido fluoridrico), 1 per l’impiego di acido fluoridrico, 1 per l’impiego di solventi, 1 per la manipolazione di radionuclidi alfa, 1 per la manipolazione di radionuclidi beta e 1 semplice per appoggio diretto sul piano di lavoro. Tutte le cappe, infine, possono essere dotate di sistema di estrazione con volume d’aria variabile con sensore di presenza dell’operatore e chiusura automatica del saliscendi.
SCARICATORE DI CORRENTE UNIVERSALE La protezione per i sistemi informatici utilizzati in laboratorio è un aspetto delicato e importante da non trascurare. Dehn Italia provvede al problema, proponendo il modulo Blitz Ductor CT LifeCheck. Si tratta di uno scaricatore per corrente di fulmine e limitatore di sovratensioni bipolare, componibile e universale, per la protezione dei sistemi informatici. La funzione di questo strumento, integrata nei moduli di protezione per corrente di fulmine, consentono una prova dello scaricatore stesso facile e immediata. Le scariche multiple oltre i valori di specifica possono causare danni alle strumentazioni. Per assicurare, quindi, le corrette prestazioni dei sistemi, la norma IEC 62305-3 e 1.0 definisce i test di mantenimento oltre agli intervalli di test per i sistemi di protezione dai fulmini.
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LAB&Igiene+Sicurezza Labosystem vanta oltre venticinque anni di esperienza nell’arredo da laboratorio, a cui si sommano le conoscenze pluriennali dei suoi soci fondatori, ai quali va il merito di aver materializzato in forma sinergica un’idea che oggi è una realtà consolidata su tutto il territorio nazionale. La gamma offerta comprende banchi e cappe chimiche realizzate in una fabbrica attrezzata con le più moderne attrezzature a controllo numerico e consegnate e installate con mezzi e personale interno. I banchi da laboratorio serie WS3 sono realizzati secondo multipli standard con passo 300 mm, completamente indipendenti tra di loro, e sono disponibili con alzata tecnica a un livello (banchi a parete) o a vano passante (banchi centrali), attrezzati con utenze inserite nei pannelli tecnologici modulari ‘i-panel’. Questi arredi sono stati recentemente aggior-
COLORE, ELEGANZA E TECNOLOGIA
nati per rispondere alle nuove normative EN 13150 e hanno ottenuto le attestazioni relative da ben due Enti accreditati in sede europea: CATAS e TUV Rheinland. Presentano, inoltre, la certificazione di prodotto che permette ai banchi da laborato-
SICUREZZA E CONTENIMENTO NELLE SITUAZIONI ‘A RISCHIO’ Plas-Labs è un’azienda americana che produce apparecchiature d’elevata qualità per la ricerca scientifica sin dal 1967. Tra i prodotti di punta Plas-Labs, commercializzati da Analytical Control De Mori, si trova la linea di ‘glove box compatte Plas-Labs 830’. Le ‘Compact Glove Box’ di Plas-Labs sono appositamente progettate per garantire sicurezza, contenimento e un’area di lavoro priva di perdite.
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Tali unità sono, infatti, concepite per essere utilizzate in tutte quelle situazioni rischiose in cui i materiali da pesare debbano essere isolati dall’ambiente esterno e mantenuti in un’atmosfera controllata. Sono l’ideale, per esempio, per determinare il peso secco o il contenuto in umidità di soluzioni acquose, sostanze chimiche tossiche, farmaci. Realizzate in policarbonato, le glove box compatte Plas-Labs sono costi-
rio di fregiarsi del prestigioso marchio GS. Sono, invece, certificate EN 14175:2003 parte 2-3-6 in tutte le dimensioni a catalogo (12001500-1800-2100) le cappe chimiche Typhoon a espulsione esterna. Considerata la rilevanza
in termini di tutela della sicurezza, Labosystem ha scelto di proporre una tipologia di cappe di ultima generazione, realizzata internamente e dotata dei più moderni ritrovati tecnologici per la totale protezione dell’operatore, sia dal punto di vista della sicurezza (cristalblock), sia da quello dell’igiene, del microclima, e del risparmio energetico. Infine, in Labosystem particolare attenzione viene posta alla preparazione, qualità e capacità delle risorse umane che lavorano costantemente da ormai dieci anni secondo i requisiti UNI EN ISO 9001:2000 migliorando costantemente il team tecnico in grado di sviluppare prodotti, tecnologie e servizi per soddisfare esigenze dei moderni laboratori. La sede operativa è stata ristrutturata e ampliata recentemente e conta oggi venticinque addetti che si occupano di tutto il processo gestionale e produttivo.
tuite da una camera di lavoro dotata di una coppia di guanti in Hypalon, per una migliore resistenza ad agenti chimici e radiazioni U.V., e da una camera di trasferimento. La sezione superiore della camera di lavoro è completamente rimuovibile, per semplificare l’eventuale installazione di strumenti all’interno dell’area di lavoro. Sono presenti 4 attacchi per l’ingresso e l’uscita dei gas (due nella camera di lavoro, due nella camera di trasferimento). La camera di
lavoro è fornita completa di valvola di depressurizzazione, filtri H.E.P.A. e per vapori organici; al suo interno è presente una presa elettrica multipla. La camera di trasferimento è dotata di un indicatore analogico di pressione e provvista di una base d’appoggio per facilitare il trasferimento di liquidi nella camera di lavoro. La linea di glove box compatte Plas-Labs 830 è costituita dai tre modelli riportati di seguito, che si differenziano unicamente per le dimensioni.
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LAVAGGIO E STERILIZZAZIONE
Lavatrice per laboratorio Basic Line GW1050
L’azienda Smeg, affermato produttore italiano di autoclavi e lavavetreria da laboratorio, risponde appieno alle esigenze di lavaggio e sterilizzazione del laboratorio più evoluto. La gamma delle macchine professionali per il lavaggio e la disinfezione è realizzata esclusivamente attraverso progetti specifici con materiali professionali e componenti speciali per ottenere i migliori risultati dal punto di vista tecnologico. I particolari materiali plastici utilizzati, termoresistenti e inerti, resistenti alle sostanze corrosive e a solventi organici selezionati, sono il frutto di oltre 10 anni di prove e di esperienze dirette nei campi di applicazione più disparati.
L’importanza di un efficiente processo di sterilizzazione è, oggi, prerogativa indispensabile per un moderno laboratorio di microbiologia. Con le autoclavi d’ultima generazione Smeg è possibile soddisfare tutte le esigenze di sterilizzazione richieste sia dal piccolo laboratorio che dalla grande industria. Accanto alla linea tradizionale di lavavetrerie, dunque, sempre distinta d’affidabilità e qualità, convalidata da vent’anni di test e prove sul campo, l’azienda affianca la nuova serie ‘Basic Line’ con le funzionalità di base a programmazione fissa, funzioni di lavaggio chimico di base e termodisinfezione, neutralizzazione e risciacqui in acqua demineralizzata, appositamente studiata per i laboratori con specifiche esigenze di lavaggi di routine. La gamma è disponibile sia con camera tradizionale da 60 cm. (GW 1050), compatibile con i carrelli e gli accessori della linea standard, sia nella nuova versione a ingombro ridotto da 45 cm. (GW2050). Nella linea di sterilizzazione, accanto alle autoclavi verticali a vapore della serie AVS, con differenti volumi (25, 50, 85, e 110), l’azienda propone le autoclavi AV-MAT contraddistinte da design compatto, apertura motorizzata, raffreddamento rapido e RS-232 di serie.
CAMPIONATORE D’ARIA ‘Sampl’air’ di Aes Chemunex è un campionatore d’aria basato sul principio dell’impatto per il monitoraggio dei contaminanti aerei. Le sue prestazioni sono state valutate secondo lo standard Iso (Regno Unito). L’Istituto ha concluso che questo strumento fornisce risultati estremamente riproducibile e ha un’efficienza di raccolta di particelle
contenenti cellule batteriche di dimensioni comprese tra 2,5 e 12,5 micron, paragonabile a quella delle membrane filtranti. L’efficienza del Sampl’air per particelle di dimensioni più piccole è risultata eccellente. Questi risultati suggeriscono che il d50, il diametro particellare a cui l’efficienza scende sotto il 50%, è circa 0,5 micron poiché la percentuale di particelle microbiche di tali dimensioni riscontrata in ambienti chiusi è molto bassa, il Sampl’air è il grado di raccogliere più del 99% di particelle presenti in Italia. I prodotti AES Chemunex vengono commercializzati nel nostro paese da AES Labo-ratoire Italia.
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LAB&Igiene+Sicurezza
Lavello serie L10
IL GRÉS ANTIACIDO IN LABORATORIO L’azienda è specializzata nella realizzazione di piani monolitici e banchi da lavoro che assicurano un ottima resistenza agli acidi, grande pulizia e sterilizzazione. Si è affermata a livello internazionale per la produzione di lavelli, vasche e vaschette, specializzandosi nello studio e nella realizzazione di piani per cappe chimiche a elevati standard di qualità All’inizio degli anni 70’ in Italia nasce Keramos, azienda produttrice di piastrelle in grès anti-acido specifiche per la creazione di piani e banchi da lavoro per laboratori e industrie chimiche/farmaceutiche. Keraplan, grazie alla profonda esperienza maturata in oltre un decennio, è stata in grado non solo di seguire, ma di partecipare attivamente al processo evolutivo dell’arredamento specifico da laboratorio, evolvendosi ed adattando i propri processi produttivi alle esigenze degli arredatori e degli utilizzatori finali dei prodotti realizzati. Il mercato dei laboratori, infatti, si era sempre basato sull’utilizzo di piccole piastrelle per la composizione di grandi banchi da lavoro, con enormi problematiche dovute alle tempistiche d’installazione, pulizia e sterilizzazione. Dopo lunghi ed approfonditi studi in questo campo specifico ed in parallelo con l’evoluzione del mercato, negli anni 80’ Keramos diventa Keraplan e comincia, prima in Italia, la realizzazione di superfici monolitiche in grès anti-acido di grandi dimensioni, rivoluzionando totalmente il proprio mercato di riferimento. Questa radicale innovazione ha portato un importante valore aggiunto che ha coinvolto tutta la catena di produzione. Ora, a quasi quarant’anni dalla sua nascita, Keraplan riveste un ruolo importantissimo nel mercato nazionale ed internazionale per l’arredamento da laboratorio, esportando attorno al 75% della propria pro-
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duzione in tutti i continenti. L’azienda, ora tra i leader europei del settore, oltre alla vasta gamma di superfici anti-acido per banchi, lavelli, vasche e vaschette, si specializza nello studio e realizzazione di piani per cappe chimiche (Serie N10), raggiungendo altissimi standard qualitativi e cooperando con i principali produttori di cappe chimiche in Italia, Germania, Francia, Giappone, Cina, Turchia, Argentina,
zione. Questi due ‘step’ iniziali hanno portato Keraplan ad intervenire attivamente anche su tutti gli altri reparti, introducendo nuovi macchinari automatizzati per la gestione e movimentazione degli stampi, nuovi sistemi di spruzzatura automatici utilizzabili per tutte le tipologie di piani, e a ricavare una nuova barbottina che permette e garantisce la massima resistenza all’attacco di agenti chimici. L’azienda suddivide la propria produzione in serie specifiche secondo l’ambito applicativo a cui i prodotti sono destinati. Le principali vanno dalla Serie K10, riferita a tutta la categoria di piani per banchi da lavoro con bordi perimetrali di contenimento, alla Serie L10, specifica per grandi gruppi di lavaggio (lavelli), dalla Serie M30, piani da lavoro senza bordi di contenimento, indicata per la realizzazione di banchi per università e centri di studio, alla più grande Serie V10, che comprende vasche e vaschette per l’applicazione ai piani (VS Type) e da incastrare su piani piastrellati (VI Type). D’importanza primaria è la Serie N10, che comprende tutte le superfici specifiche per cappe chimiche e cappe d’aspirazione. Con la Serie N10 Keraplan offre la possibilità di utilizzare un prodotto appositamente studiato per applicazioni ad alto livello, fornendo
Piano per cappa d’aspirazione serie N10
Svezia, Polonia, Regno Unito, Spagna. L’evoluzione del materiale e dei sistemi di produzione a esso legati ha dato luogo ad un profondo processo di rinnovamento che ha come punto d’inizio la realizzazione di un laboratorio interno per il controllo costante ed attivo di tutte le materie prime utilizzate per la composizione della barbottina (miscela di materie prime), e alla realizzazione di un nuovo reparto interno all’azienda volto alla creazione degli stampi dai quali si ricavano tutti i prodotti oggi in produ-
una infinità di differenti peculiarità e specifiche come il profilo frontale, molto importante per un corretto deflusso di eventuali gas o per l’afflusso di aria nel circuito interno della cappa, oppure la possibilità di avere superfici con vaschette di scarico rialzate e poste sul bordo di contenimento, per evitare la contaminazione degli scarichi. I piani per cappe della Serie N10, così come tutti gli altri articoli disponibili, possono essere realizzati nei differenti colori che resi disponibili, tra cui il bianco, il grigio
chiaro, il grigio scuro, il blu, il vaniglia. Oltre ai colori neutri l’azienda offre la possibilità di realizzare i propri prodotti con colori composti come il grigio chiaro puntinato e il grigio scuro, sempre puntinato. Per la composizione della propria barbottina (miscela di materie prime) Keraplan si avvale dell’utilizzo esclusivo di materie prime estratte e distribuite da compagnie europee di primissimo livello. Tutte le materie prime, infatti, vengono estratte da cave situate lungo tutto il territorio europeo, in zone minerarie di lunga tradizione e qualità. Per garantire una costante omogeneità del supporto, la società si avvale esclusivamente di argille inglesi (Ball Clays) estratte nelle zone del Devonshire e del Dorset, argille bianche francesi estratte nella zona di Charente, feldspati tedeschi dalla Bavaria e nefeline norvegesi da Capo Nord. Nell’industria ceramica e, in particolar modo, nella produzione di ceramiche tecniche, la qualità e le proprietà fisico-chimiche delle argille e degli altri componenti utilizzati è molto importante ed essenziale mantenere tutte le caratteristiche costanti nel tempo. Per questo motivo, tutti i lotti di materie prime in arrivo dalle varie aree geografiche di riferimento vengono accuratamente
Piano per banco serie K10
controllati e verificati internamente. Keraplan, sulla base di una politica della qualità ad alto livello, realizza i suoi prodotti seguendo le norme europee più severe, con particolare attenzione alla Norma DIN 12916 (piani e vasche in materiale antiacido da laboratorio). Nonstante il mercato di riferimento non lo necessiti, inoltre, nell’anno 2006, l’azienda ha iniziato una ristrutturazione procedurale di tutti i reparti finalizzata al conseguimento, nel gennaio 2007, la certificazione Uni En Iso 9001:2000.