Lumi inquieti
Marco Cerruti è stato professore di Letteratura italiana presso l’Università di Torino; ha insegnato anche a Cagliari, a Bergamo, in Francia nelle università di Aix-Marseille e di Franche-Comté e negli Stati Uniti alla Brown University. I suoi numerosi libri, pubblicati nell’arco degli ultimi cinquant’anni, hanno impresso una svolta significativa agli studi sulla letteratura italiana del Settecento, a partire da Neoclassici e giacobini: ricerche sulla cultura letteraria del tardo Settecento (1969) fino al recente Le rose di Aglaia. Classicismo e dinamica storica fra Sette e Ottocento (2010). A lui e al suo magistero, amici, colleghi e allievi hanno voluto dedicare questo volume.
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Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
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Omaggio a Marco Cerruti
Omaggio a Marco Cerruti
Secolo della socialità e della comunicazione, della philosophie e dei salotti frequentati dai membri di un’ideale repubblica cosmopolita dei letterati, il Settecento è anche il secolo dell’introspezione e della malinconia, del rapporto conflittuale tra la patria locale e il mondo, delle grandi città occasioni di innumerevoli relazioni alle quali si oppone la ricerca di solitudine, il dialogo con pochi fidati amici, il contatto con la natura. È soprattutto a questo Settecento apparentemente defilato ma centrale per comprendere le dinamiche del secolo che Marco Cerruti ha dedicato negli ultimi decenni importanti lavori. I contributi qui raccolti mostrano diverse immagini dell’uomo e della donna di cultura, nella loro attività pubblica di scrittori e scrittrici, ma anche nella loro vita privata, colta attraverso la rete di amicizie, le relazioni personali, i carteggi, i viaggi, le pubblicazioni. Attorno a questi temi si è svolto negli ultimi decenni un dialogo aperto e stimolante, all’origine di una produzione intensa che ha effettivamente rivoluzionato il modo di intendere e di interpretare il secolo xviii. Gli autori del volume sono amici e colleghi accomunati dalla passione per il Settecento e per la letteratura; Lumi inquieti è un’occasione per portare un nuovo contributo allo studio di un periodo al quale, dalla nostra inquietudine contemporanea, continuiamo a guardare con rinnovato interesse e curiosità.
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Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
Lumi inquieti. Amicizie passioni viaggi nel Settecento
Volume pubblicato con il patrocinio della Società Italiana di Studi sul Secolo xviii e del Centro di Studi Interdisciplinare Metamorfosi dei Lumi dell’Università di Torino
Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
Omaggio a Marco Cerruti
Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
© 2012 aAccademia University Press via Carlo Alberto 55 I-10123 Torino Pubblicazione resa disponibile nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0
Possono applicarsi condizioni ulteriori contattando
[email protected] prima edizione dicembre 2012 isbn 978-88-97523-26-X ebook www.aAccademia.it/lumiinquieti book design boffetta.com
Indice
Premessa
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Stefania Buccini
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«Ha molto del poetico la Filosofia di Platone»: il Gravina di Conti Annalisa Nacinovich
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La partita di Mirandolina
Roberta Turchi
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Ricciarda Ricorda
45
Guglielmo, l’avventuriere integrato
Bianca Danna
58
Rousseau e il fantasma di Venture
Bartolo Anglani
72
Alberto Beniscelli
85
Laura Sannia Nowé
101
Ilaria Crotti
113
All’Ombra di P ope. L’amicizia fra Luigi Gonzaga e Luigi Godard Beatrice Alfonzetti
127
La sociabilité e l’immaginario nella cornice dei lumi. Le Ricerche sulla sensibilità di Francesco Zacchiroli Giovanni Pagliero
141
Giuseppina di Lorena-Carignano, ancora
Luisa Ricaldone
154
Matilde Dillon Wanke
162
Angiola Ferraris
178
Il piacere di leggere
Giustiniana Wynne in viaggio
Il funambolo e la dama. Dall’epistolario dell’abate Galiani e Madame d’Épinay Su Elisabetta Caminer traduttrice per il teatro comico1 Amico carissimo. Lettere di Carlo Gozzi a Giuseppe Baretti
I «libri di lettere» di Saverio Bettinelli Le Lagrime in morte d’un gatto di Domenico Balestrieri
«Matematici inurbani» e «fulmini tremendi»: ancora sul “melanconico Tana” (intorno al 1781) D uccio Tongiorgi 182 Aeronautica arcadica. I voli di Paolo Andreani nel «Giornale aerostatico» del marzo 1784 tra scienza, tecnica, letteratura e spettacolo L’abate Casti, Giovanni Pindemonte e la grandeur des romains in veste da camera Alfieri, l’Antidoto e dintorni Filippo Pananti, poeta di teatro e giacobino
Elvio Guagnini
195
Franco Fido
203
Enrico Mattioda
218
Silvia Tatti
227
Indice
“Mia dolce amica”: circostanze amicali (e letterarie) in alcune lettere indirizzate a Diodata Saluzzo Paola Trivero
240
Dickens, il canonico Bianchini e la nonna di Pio VI (una fonte veronese di B leak House) William Spaggiari
252
Metamorfosi dei Lumi?
269
Lionello Sozzi
Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
Premessa
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Secolo della socialità e della comunicazione, della philosophie e dei salotti frequentati dai membri di un’ideale repubblica cosmopolita dei letterati, il Settecento è anche il secolo dell’introspezione e della malinconia, del rapporto conflittuale tra la patria locale e il mondo, delle grandi città occasioni di innumerevoli relazioni alle quali si oppone la ricerca di solitudine, il dialogo con pochi fidati amici, il contatto con la natura. È soprattutto a questo Settecento apparentemente defilato ma centrale per comprendere le dinamiche del secolo che Marco Cerruti ha dedicato negli ultimi decenni importanti lavori. A lui e al suo magistero è dedicato questo libro. Formatosi a Torino, allievo di Giovanni Getto, ma attratto dal metodo storico di Carlo Dionisotti e dall’insegnamento di Franco Venturi, assistente e poi professore di letteratura italiana e di letteratura italiana contemporanea inizialmente presso le università di Cagliari, Bergamo e poi a Torino – senza dimenticare i corsi di docenza svolti in Francia nelle università di Aix-Marseille e di Franche-Comté e negli Stati Uniti alla Brown University – Marco Cerruti ha impresso una svolta significativa negli studi sulla letteratura italiana del Settecento, aprendo nuovi ambiti di ricerca e privilegiando un ap-
Lumi inquieti. Amicizie. passioni. viaggi di letterati nel Settecento
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proccio teso a far emergere fra l’altro le zone d’ombra della cultura, le reti di relazioni tra gli intellettuali, i rapporti con il territorio e con la storia anche politica, e costruendo dei ritratti originali, di letterati noti e meno noti, spesso basati su documenti inediti. Tra i suoi titoli più significativi di ambito settecentesco si vogliono qui ricordare almeno alcuni volumi: Neoclassici e giacobini: ricerche sulla cultura letteraria del tardo Settecento, del 1969; La ragione felice e altri miti del Settecento, del 1973; Parini e la poesie dell’illuminismo italiano: il nuovo intellettuale borghese tra utile e canto, del 1980; L’inquieta brama dell’ottimo: pratica e critica dell’antico, 1796-1827, del 1982, Le buie tracce. Intelligenza subalpina al tramonto dei Lumi, del 1988, Introduzione a Foscolo, 1990 (e 1994), La guerra e i Lumi nel Settecento italiano e Il piacere di pensare. Solitudini, rare amicizie, corrispondenze intorno al 1800, entrambi apparsi nel 2000, e il recente Le rose di Aglaia. Classicismo e dinamica storica fra Sette e Ottocento del 2010 che sembra racchiudere sin dal titolo evocativo e insieme storico, le complesse sfaccettature del suo profilo critico. E ancora di Marco Cerruti sono fondamentali i quadri storiografici d’insieme tracciati con maestria e con una approfondita conoscenza di tutto il secolo, rivisitato e nella lettura critica dei testi (magistrali le sue analisi di Alfieri o Foscolo) e nella periodizzazione grazie a un’acuta intelligenza critica e a una raffinata sensibilità che si sono intrecciate con l’uso costante di alcune categorie (generazione, classicismo, utopia) ricondotte sempre a un confronto assiduo con la storia, praticata nella sua problematicità, con attenzione ai metodi e alle varie proposte metodologiche, ma anche con la passione del documento e del dato, persino minuto. Di questi grandi affreschi comprensivi di tutto il secolo si menzionano qui l’articolata e complessa antologia Il settecento apparsa nel 1976 per i tipi di Marietti e, a seguire, gli imponenti contributi compresi nel primo volume della Letteratura italiana Einaudi, nella Storia della cultura veneta, Neri Pozza, nella Storia della società italiana, Teti, nella Storia della civiltà letteraria italiana, Utet, nelle Lettres Européennes, nella Storia della letteratura italiana, Salerno, nella Storia di Torino, Einaudi. I contributi compresi nel volume mostrano diverse immagini dell’uomo e della donna di cultura del Settecento, nella loro attività pubblica di scrittori e scrittrici, ma anche nella loro vita privata, colta attraverso la rete di amicizie, le relazio-
Premessa
ni personali, i carteggi, i viaggi, le pubblicazioni. Attorno a questi temi si è svolto negli ultimi decenni un dialogo aperto e stimolante, sempre ricco di nuove suggestioni, all’origine di una produzione intensa che ha effettivamente rivoluzionato il modo di intendere e di interpretare il secolo xviii. Ne sono testimonianza la vivacità che accompagna gli incontri delle due Società che patrocinano il volume: la “Società italiana di studi sul secolo xviii” di cui Marco Cerruti, dopo essere stato per lungo tempo nel Consiglio scientifico, è stato nominato recentemente socio onorario, e “Metamorfosi dei lumi”, seminario dell’Università di Torino. Questo volume è nato durante l’ultimo incontro del maggio 2012 della “Società italiana di studi sul secolo xviii” tenutosi a Marina di Massa e dedicato alla “Ricerca dei giovani settecentisti”. Qui, fra le conversazioni e gli scambi che scandiscono i lavori del seminario annuale della Società, un gruppo di amici, colleghi, ex allievi hanno progettato il volume. Omaggio a Marco Cerruti, recita il sottotitolo che sta a significare il riconoscimento del suo magistero, ma che vorrebbe esprimere anche i vari sentimenti, di gratitudine, di affetto e di vicinanza, sentiti dai colleghi più giovani e meno giovani. Sono gli amici del secolo xviii, non tutti, solo i letterati purtroppo, ma questo libro nato e portato a termine in un tempo così breve forse poteva e voleva avere solo questa dimensione, quella di un dialogo fra amici con la passione dei Lumi e della letteratura. Gli amici del secolo xviii
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Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
Il piacere di leggere Stefania Buccini
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Alberto Manguel individua la piena cognizione del «rapporto assoluto»1 tra testo e lettore nel famoso passo delle Confessioni in cui Agostino rievoca il singolare modo di leggere di Ambrogio. I suoi occhi «ducebantur per paginas et cor intellectum rimabatur, vox autem et lingua quiescebant» e i visitatori, di solito non annunciati, lo trovavano «tacite et aliter numquam sedentesque in diuturno silentio»2. L’ipotiposi di Ambrogio, attento a meditare in silenzio sulla Lettera ai Romani, rappresenta il punto di svolta da una lettura ad alta voce, tipicamente pagana, a una silenziosa ed interiore, propria della tradizione cristiana. Il passo offre una precoce testimonianza della «joissance du texte», quell’estasi solitaria «in-dicible» e «inter-dit» e che, secondo Roland Barthes, comporta per l’individuo «la perte abrupte de la socialité»3. Attraverso l’immersione tacita nella lettura, prassi non del tutto ignota agli autori classici da Cicerone a Plutarco, le
1. A. Manguel, Una storia della lettura, Bologna, il Mulino, 2005, p. 60. 2. Agostino, Confessioni, VI, 3. 3. R. Barthes, Le plaisir du text, Paris, Seuil, 1973, p. 35.
Stefania Buccini
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parole con ritmo lento o precipitoso, «pienamente decifrate o appena colte» possono esistere in uno spazio interiore inviolabile e personale, privo di testimoni, giudizi e censure. Sia esso una medicina animae o un rimedio preventivo riposto nel proprio intimo4, il dialogo con i libri come una filigrana composita ha, con le sue modalità e le sue ricorrenze, un corso contiguo e complementare a quello della storia della letteratura. Dal ritiro di Petrarca nell’oasi di Valchiusa al colloquio con i classici di Machiavelli nello «scrittoio» di San Casciano, la storia della lettura si dispiega attraverso i secoli come un’avventura scandita da impennate, cadute e riprese proporzionali alle esigenze e alle modalità di espressione soggettiva. Negli Essais e, in particolare, in Des trois commerces Montaigne dichiara di preferire fra i rapporti ufficiali, pubblici e civili, quelli con le donne, gli amici e i libri. Ma la conversazione con questi ultimi è da privilegiare a causa delle straordinarie proprietà curative e consolatorie: Celuy des livres, qui est le troisiesme; est bien plus seur et plus à nous. Il cede aux premiers, les autres advantages: mais il a pour sa part la constance et facilité de son service: Cettuy-cy costoye tout mon cours, et m’assiste par tout: il me console en la vieillesse et en la solitude. Il me descharge du pois d’une oisiveté ennuyeuse; et me deffaict à toute heure des compaignies qui me faschent. Il emousse les pointures de la douleur, si elle n’est du tout extreme et maistresse. Pour me distraire d’une imagination importune, il n’est que de recourir aux livres; ils me destournent facilement à eux et me la desrobent. Et si ne se mutinent point pour voir que je ne les recherche qu’au deffaut de ces autres commoditez, plus reelles, vives et naturelles; ils me reçoivent tousjours de mesme visage.5
Quella di Montaigne è una lettura discontinua e priva di regole («Là, je feuillette à cette heure un livre, à cette heure un autre, sans ordre et sans dessein, à pieces descousues») che risponde a un solo imperativo categorico: la libertà. Lo 4. «Quotiens legenti salutares se se offerunt sententie, quibus vel excitari sentis animum vel frenari, noli viribus ingenii fidere, sed illas in memorie penetralibus absconde multoque studio tibi familiars effice ut, quod experti solent medici, quocunque loco vel tempore dilationis impatiens morbus invaserit, habeas velut in animo conscripta remedia» (F. Petrarca, Il mio segreto, introduzione, traduzione e note di U. Dotti, Milano, BUR, 2000, p. 186). 5. Montaigne, Essais, in Id., Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 1962, p. 805.
Il piacere di leggere
statuto autonomo della lettura consente, dunque, di leggere per studio o per piacere, con metodo o senza criterio, per passione o semplicemente per debellare la noia. L’intesa con i libri segue, tuttavia, un cammino parallelo a quello della mutazione semantica del concetto di ozio. La contrapposizione fra “otium” e “negotium” è ben chiara agli autori classici, attenti ad allertare sui pericoli di sterili evasioni. «Otium sine litteris», scrive Seneca, «mors est et hominis vivi sepultura» (Ad Lucilium, X, 82). Ma è soprattutto Cicerone a formulare una suggestiva definizione di ozio nelle Tuscolanae disputationes (V, 36): «Quid est autem dulcius otio litterato? Is dico litteris, quibus infirmitatem rerum atque naturae et in hoc ipso mundo caelum terras maria cognoscimus». È lecito, dunque, divagare in compagnia delle humanae litterae, a patto che non venga sciolto il nesso con il mondo. Nel corso dei secoli e, in particolare, durante il periodo umanistico, l’ambivalenza insita al concetto di ozio induce i letterati a interrogarsi sull’accezione del termine e a distinguere, come Alberti e Castiglione, rispettivamente nei terzo libro Della famiglia e nel quarto del Cortegiano, l’ozio «onestissimo» dello studio da quello dannoso proprio dell’inattività che alimenta «mali costumi» negli uomini6. Nel lungo periodo della Controriforma questa immagine negativa dell’ozio ne sostituisce, salvo alcune eccezioni, la variante positiva come confermano anche i dettagli iconografici dell’allegoria di Cesare Ripa7. Nel Settecento, soprattutto a comiciare dalla seconda metà del secolo, si assiste a una revisione della nozione convenzionale di ozio delle lettere che è da rapportare alla progressiva legittimazione di un rapporto simbiotico fra libro e lettore. Come nota Rosamaria Loretelli, è proprio in questo periodo che nella storia della cultura occidentale avviene la completa diffusione della lettura silenziosa, elemento che favorisce l’affermazione del romanzo nel senso moderno del termine8. In questo periodo di «rivoluzione della lettura» in cui il libro 6. Sulla complessità del termine nel Rinascimento cfr. M. Beer, L’ozio onorato. Saggi sulla cultura letteraria italiana del Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997. 7. «Giovane grasso, in una caverna oscura, sedendosi appoggiato col gomito sinistro sopra d’un porco che stia disteso in terra, e con la medesima mano si gratti il capo; sarà tutto sonnacchioso» (C. Ripa, Iconologia, in Siena, appresso gli heredi di Matteo Florimi, 1613, p. 124). 8. Cfr. R.M. Loretelli, L’invenzione del romanzo. Dall’oralità alla lettura silenziosa, Bari, Laterza, 2011.
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Stefania Buccini
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non più recepito come un esclusivo «medium autoritario»9, leggere diviene un’esperienza privata e solitaria che, inevitabilmente, comporta la dichiarata esplorazione del proprio io. Il testo autobiografico, in tal senso, è il milieu ideale per sedimentare, rivivere e verbalizzare il rapporto privato con la lettura. Nelle autobiografie composte fra il 1720 e il 1740, in sostanza dei curricula studiorum ragionati ed edificanti da lasciare ai posteri, alla lettura intima e ai suoi effetti sono riservati solo riferimenti sporadici, ma non per questo insignificanti. Nella Vita, finita nel 1723, Vico ricorda di aver letto durante il lungo soggiorno nel castello di Vatolla un’apologia di un epigramma latino di Lorenzo Massa, incluso nella Piazza Universale di tuttte le professioni del mondo del Garzoni, e di essere stato, così, incitato allo studio dei poeti classici: Ma, vivendo egli ancora pregiudicato nel poetare, felicemente gli avvenne che in una libreria de’ padri minori osservanti di quel castello si prese tra le mani un libro, nel cui fine era una critica, non ben si ricorda, o apologia di un epigramma di un valentuomo, canonico di ordine, Massa cognominato, dove si ragionava dei numeri poetici maravigliosi, spezialmente osservati in Virgilio; e fu sorpreso da tanta ammirazione che s’invogliò di studiare sui poeti latini, da quel principe facendo capo.10
Di natura più confidenziale è, invece, il passo della Vita di Pietro Giannone, stesa fra il 1736 e il 1737, in cui lo storico rammenta di aver subito il fascino di Petrarca e dei suoi epigoni, ma di non essere mai stato in grado di scrivere versi: Al de Angelis io pur debbo non pur questi studi, ma di avermi istradato nella conoscenza de’ buoni poeti e de’ più culti scrittori toscani, onde io potessi apprendere non meno l’eloquenza, che un più culto ed elegante stile e la proprietà e sceltezza delle voci e frasi toscane. Egli fu il primo che mi scovrì le bellezze del Petrarca e degli altri nostri eminenti e rinomati poeti, dalla dolcezza de’ quali io preso, non mi 9. R. Wittmann, Una rivoluzione della lettura alla fine del xviii secolo, in Id., Una storia della lettura nel mondo occidentale, Bari, Laterza, 1995, p. 341. Riguardo al nuovo rapporto fra libri e lettori cfr. M. Infelise, L’utile e il piacevole. Alla ricerca dei lettori italiani del Secondo Settecento, in Lo spazio del libro nell’Europa del xviii secolo, Atti del Convegno di Ravenna 15-16 dicembre 1995, a cura di M. G. Tavoni - F. Waquet, Bologna, Patron, 1997, pp. 113-126. 10. G.B. Vico, Vita scritta da se medesimo, in Id., Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990, I, p. 13. Su questo passo specifico cfr. ivi, II, p. 1253.
Il piacere di leggere
stancava di spesso leggere e rileggere i loro poemi, e quanto da altri sopra il maraviglioso loro artifizio e sapienza era stato osservato. È però vero che, quantunque mi piacesser tanto e gli avessi nelle ore meridiane quasi sempre nelle mani, non mi resero mai abile di poter per me stesso comporre un solo verso.11
L’inabilità di comporre poesie non dissuade Giannone dal leggere Dante e dal prediligere canti scelti della Divina Commedia, opera che avrebbe apprezzato nella sua interezza in età matura e solo dopo aver acquisito gli strumenti per comprenderla: La Comedia di Dante, in questi princìpi, non in tutto arrivò a piacermi; ma ammirava solamente alcuni canti, come la dura morte del conte Ugolino, il racconto degli amori di Francesca per occasione della lettura di Galeotto, l’altro del re Manfredi, la proprietà ed evidenza de’ paragoni, e consimili ed altri pezzi. E gl’intendenti della lingua e del suo stile mi dicevano che dava indizio che io non ne avea ancora acquistata piena conoscenza, e [non era] giunto all’ultimo punto di perfezione, al quale ci sarei arrivato quando questo divino poeta finisse di piacermi in tutte le sue parti, sicome dapoi conobbi che dicevan vero.12
Occasionalmente, fra le letture di piacere vengono ricordate anche quelle estromesse dai protocolli didattici. Muratori nella lettera autobiografica Intorno al metodo seguito nei suoi studi composta nel 1721 su invito di Giovannartico di Porcìa per essere inclusa nel Progetto ai letterati d’Italia per scrivere le loro Vite, una delle prime sistematiche iniziative miranti a elevare a modello pedagogico le vite di uomini illustri, ricorda l’appassionata, ma insidiosa lettura dei romanzi: «Se non che ne’ miei più teneri anni mi avvenni in alcuni romanzi, i quali
11. P. Giannone, Vita di P.G., in Illuministi italiani, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli, Ricciardi, 1971, I, p. 35. 12. Ibid. A proposito della lettura dei poemi omerici Giannone scrive: «Come vago nelle scienze ed arti liberali di sapere i primi, ebbi desiderio, per la poesia, legger Omero. Ma letta l’Iliade secondo la traduzione latina di Lorenzo Valla, e l’Odissea (come ignaro, allora, della costituzione della Grecia e molto più dell’Asia, e de’ popoli che le componevano a que’ antichissimi tempi, e sprovvisto di altre conoscenze necessarie per intender bene que’ poemi), ne cavai poco profitto, ed appena mi restarono in mente i principali fatti ed i nomi di que’ più insigni eroi; sicché, nell’età avanzata, tornando a leggergli, mi sembraron nuovi e degni veramente di essere riletti ed ammirati» (ibid.)
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tanto mi solleticarono il gusto, che quanti ne potei mai ottenere, tutti con incredibile avidità divorai, fino a portarli meco alla mensa, pascendo di più sapore allora di quelle favole la mia curiosità, che il corpo de’ cibi»13. Ma la deviazione giovanile è prontamente schermata dal monito dell’educatore: S’io dirò che questa lettura servì non poco a svegliarmi l’ingegno, a facilitarmi lo stile e ad invogliarmi sempre più di leggere, forse dirò il vero. Ma debbo nello stesso tempo intimare massimamente ai giovanetti che non venisse lor mai talento d’imitare un sì pericoloso esempio; perciocché quand’anche potessero qualche cosa guadagnare dalla parte dell’ingegno, potrebbono perder molto da quella de’ costumi; e quando ancora s’abattessero in que’ soli, ch’io ebbi alla mano, cioè nell’opera dell’ingegnosa e savia Madama di Scudery e in altri simili non disonesti romanzi, pure non è si facile l’impedire che da libri tali non vengano ispirate delle massime vane del mondo, le quali s’abbarbicano presto delle menti tenere e producono poscia il lor frutto a suo tempo.14
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La premura per la corretta formazione delle nuove generazioni, quelle stesse che anni dopo avrebbero tradotto in riforme concrete lo spirito revisionista del secondo Settecento, induce Muratori a diffidare di quelle letture che con seduzioni ingannevoli potrebbero compromettere il “genio” e traviare la naturale inclinazione dei fanciulli. Anche Genovesi nella seconda redazione della Vita, scritta fra il 1755 e il 1756 e purtroppo interrotta, ricorda l’inquietitudine suscitata dalla lettura dei romanzi del Seicento, alla quale viene iniziato dal precettore Saverio Parilli: Egli mi dié a leggere il piccolo romanzo del teatro dell’amicizia. Il divorai: piansi amaramente alla sventurata morte di Floridadura. Mi dié il Colloandro. Mi fece perdere il sonno. La Cleopatra, la Cassandra, ed alcuni romanzacci spagnoli furono in poco tempo letti. Quanto più leggeva di queste inette favole tanto piú ne diveniva voglioso […]. Io correva alla mia ruina. I studi filosofici mi pareano insipidi. Io mi ero rallentato nello studio. Mio padre che se n’era ac-
13. L.A. Muratori, Intorno al metodo seguito nei suoi studi. Lettera all’Illustrissimo Signore Giovanni Artico Conte di Porcìa, in Id., Opere, a cura di G. Falco - F. Forti, MilanoNapoli, Ricciardi, 1964, I, p. 6. 14. Ivi, pp. 6-7.
Il piacere di leggere
corto, spiò la cagione e la ritrovò. Egli era severissimo e me ne castigò forse più di quello che io meritava. M’interdisse ogni pratica con il mio direttore di romanzi.15
Le intimazioni paterne non sono, tuttavia, sufficienti a dissuadere il giovanissimo Genovesi da letture divergenti dai canoni educativi dell’epoca: «Con tutte le proibizioni di mio padre, io avea trovata l’arte di leggere, a certe ore l’Ariosto, il Tasso, il Petrarca, ma per quest’ultimo, come per Dante, io ebbi singolare piacere»16. L’incontro diretto o mediato con i libri, guidato dalla desolazione come per Giannone17 o dal caso come per Lorenzo Da Ponte18, legittima anche per altri autori del Settecento l’infrazione alla regola, consistente nella lettura discontinua di opere che deviano dall’orientamento didattico o nell’approfondimento sistematico di testi intenzionalmente estromessi19. Il libro proibito, costante autobiografica pertinente ai «topoi del soggetto» illustrati
15. A. Genovesi, Vita di A.G., in Id., Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 9-10. 16. Ivi, p. 10. Anche Lorenzo Da Ponte anni dopo avrebbe ricordato di aver letto avidamente romanzi e opere teatrali nel solaio della casa paterna: «Montato un dì a caso nel soffitto della casa, dove mio padre era solito gettare le carte inutili, vi trovai alcuni libri, che formavano, credo, la biblioteca della famiglia. V’era tra questi il Buovo d’Antona, il Fuggilozio, il Guerino detto il meschino, la Storia di Barlaam e di Giosafatt, la Cassandra e il Bertoldo e qualche volume di Metastasio. Li lessi tutti con un’incredibile avidità, ma non rilessi che il poeta cesareo, i cui versi producevano nella mia anima la sensazione stessa che produce la musica» (L. Da Ponte, Memorie, a cura di G. Gambarin - F. Nicolini, Bari, Laterza, 1918, p. 5). 17. Nelle ultime pagine della Vita Giannone rievoca il tragico isolamento della prigionia e la consolazione ricevuta dalla lettura di Livio: «Così, come a naufrago, vidi sparpagliate di qua e di là quelle poche reliquie de’ miei stracci, in gran parte rimase a Venezia, altre forse in Milano o pur disperse, altre in Ginevra, ed altre a Champéry. Niente mi curava di non avermi mandati gli avanzi delle mie scritture, né delle altre robe; ma affliggevami di non avere que’ pochi libretti, i quali, nel disperato ozio nel quale era ed in quella solitudine, mi avrebbero alleggerita la noia ed il tedio. Pure io, ciò prevedendo, nel partir da Champéry, nel miglior modo che potei mi provvidi d’un Livio, comprato ivi da un libraro, che fu pur miracolo di trovarlo, ancorché l’edizione fosse cattiva e scorretta. Non posso negare che fummi di gran sollievo, consumando più ore del giorno in leggerlo e rileggerlo, e così rendere meno noiosa la mia solitudine» (P. Giannone, Vita di P.G. cit., p. 339). 18. Su questo punto cfr. F. Fido, Da Ponte dei libri o dei libretti?, in Id., La serietà del gioco. Svaghi letterari e teatrali nel Settecento, Lucca, Pacini-Fazzi, 1998, pp. 203-221. 19. Sulla ricorrenza degli accenni ai rigidi modelli pedagogici e alle pratiche educative nell’autobiografia del secolo xviii cfr. G. Gronda, «Lehrjahre» nelle autobiografie settecentesche, in «Quaderni di retorica e poetica», I (1986), Il vissuto e il narrato, pp. 87-96.
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da Franco Fido20, rappresenta un rito di passaggio da una primordiale opacità a una aurorale trasparenza e, allo stesso tempo, la piena cognizione dell’interdipendenza fra testo e lettore. È il caso della Mandragola «rilegata in cartapecora» che l’ipocondriaco abate Gennari («mon pere l’avoit guéri de tous les maux qu’il avoit et qu’il n’avoit pas»)21, lo stesso che aveva disapprovato il teatro drammatico perché «les comédies qu’on donnoit alors, étoient dangereuses pour les jeunes gens»22, consegna al giovanissimo Goldoni senza essersi curato di leggerla. Nelle Prefazioni Pasquali, a differenza dei Mémoires in cui si accenna sbrigativamente alla riprensione paterna23 e alla condiscendenza materna, il contesto della lettura clandestina e l’accezione moralistica sono più espliciti. Al ritorno a Chioggia per le vacanze estive, piuttosto che ripassare le lezioni di legge come avrebbero auspicato i genitori, Goldoni approfitta del tempo libero per dedicarsi allo «studio delle Commedie» e alla lettura folgorante della Mandragola: Rilessi tutto il mio Cicognini, e cominciai a conoscere le bellezze e i difetti di quell’Autore, che se nato fosse nel nostro secolo, avrebbe avuto il talento di far delle cose buone. Lessi il Fagiuoli: vi trovai la verità, la semplicità, la natura, ma poco interesse e pochissima arte, e i suoi riboboli fiorentini m’incomodavano infinitamente. Mi capitò alla mano la Mandragora di Niccolò Machiavelli. Oh, quella sì che mi piacque. La divorai la prima volta, la rilessi più volte, e non poteva saziarmi di leggerla. Non era certamente che mi allettasse nè l’argomento lubrico, né le frasi amorose, nè le licenziose parole, ma mi parea di riconoscere in quella Commedia maravigliosa quell’arte, quella critica, quel sapore ch’io non
20. Cfr. F. Fido, I topoi del soggetto: alle origini dell’autobiografia moderna, in Id., Le muse perdute e ritrovate. Il divenire dei generi fra Sette e Ottocento, Firenze, Vallecchi, 1989, pp. 161-178. 21. C. Goldoni, Mémoires, in Id., Tutte le opere, a cura di G. Ortolani, Milano, Mondadori, 1935-56, I, p. 44. 22. Ivi, p. 28. 23. «Ma mere ne faisoit pas attention au livre que je lisois, car c’étoit un ecclésiastique qui me l’avoit donné; mais mon pere me surprit un jour dans ma chambre, pendant que je faisos des notes et des remarquers sur la Mandragore. Il la connoisoit: il savoit combien cette piece étoit dangereuse pour un jeune homme de dixsepts ans; il voulut savoir de qui je la tenois, je le lui dis; il me gronda amarement, et se brouilla avec ce pauvre Chanoine qui n’avoit péche que par nonchalance» (C. Goldoni, Mémoires cit., p. 44).
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aveva gustato nell’altre. Mio Padre mi trovò sul fatto ch’io la leggeva, me la strappò dalle mani, volea abbruciarla, e l’avrebbe fatto se non fosse arrivata a tempo mia Madre per impedirlo. Ella che amava tutto quello che mi piaceva, e che credeva ben fatto tutto quel ch’io faceva, prese talmente a difendermi che ne successe un dialogo riscaldato fra Marito e Moglie. Disse finalmente mio Padre, che il libro era scandaloso e proibito, che trattava d’amori illeciti e di abuso di confessione. […] La Commedia non fu abbruciata, vollero sapere da chi io l’aveva avuta, e stupirono, sentendo la persona rispettabile che me l’aveva data. Per poco mia Madre non mi diede la permissione di leggerla.24
La lettura e rilettura costruttiva della commedia di Machiavelli marca un punto critico nel percorso della formazione comica goldoniana, riaffermando da un lato la passione per il teatro, prefigurando dall’altro la successiva scoperta di Molière e il sistematico programma di riforma teatrale25. Il giovane lettore è ormai in grado di discriminare, di riconoscere i pregi e i difetti del Fagiuoli e del Cicognini, autori comici letti nel passato, e la Mandragola gli rivela, nella sua unicità, quelli che saranno i fondamenti della sua missione di riformatore. Implicitamente l’autore si scagiona dall’accusa di aver commesso una trasgressione non soltanto per non essere stato responsabile della scelta del libro, ma soprattutto per l’originale angolazione di lettura che lo induce a definire la Mandragola una commedia non di oscenità, ma di «carattere». Nel caso di Goldoni e di altri autobiografi sono proprio le letture avvenute ai margini dei canoni pedagogici o, addirittura, le letture interdette e non quelle legittimate come imprese educative, a consentire un’inversione chiasmica attraverso cui è il lettore a essere letto e il libro a specchiarne la vocazione e a pronosticarne l’avvenire. «In qualsiasi maniera i lettori si appropriino dei libri – scrive Alberto Manguel – il risultato finale è che libro e lettore diventano una sola cosa. Il mondo che è un libro viene divorato da un lettore che è una
24. Id., Memorie italiane, a cura di R. Turchi, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 134-135. 25. A proposito di Molière, l’autore ricorda (cfr. ivi, p. 45): «Je ne connoissois pas encore ce grand homme, car je n’ettendois pas le François; je me proposois de l’apprendre, et en ettendant je pris l’habitude des regarder les hommes de prés, et de ne pas échapper les originaux».
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lettera del testo del mondo; metafora circolare che rende infinita la lettura. Noi siamo ciò che leggiamo»26. Come intuisce William Warner27, riesaminando l’ipotesi di Ian Watt28, il consolidarsi della lettura intima coincide con una coscienza moderna e secolare di evasione che, soprattutto nel Settecento, si afferma come diritto. «Leggere bene è uno dei grandi piaceri che la solitudine può concederci […] perché è il piú terapeutico dei piaceri» scrive Harold Bloom29 formalizzando un’intuizione che, da Petrarca ai nostri giorni, non presenta una sostanziale evoluzione. Il meccanismo di autoproiezione, attivato dallo streto rapporto con il testo, si complica quando è rivisitato e innestato nel complesso itinerario della memoria che guida ogni progetto autobiografico. Il lettore maturo del presente dialoga attraverso le emozioni delle letture con quello ancora sprovveduto del passato, commentandone l’innocenza, l’errore o la continuità. Gli incontri casuali con i libri, le letture impetuose e frammentarie, l’appropriazione clandestina di libri rubati o barattati, cadenzano fasi precise di un processo di analisi interiore. Rousseau, per esempio, fa risalire i sintomi della coscienza di sé alle «émotions confuses»30 delle prime letture, e Chateaubriand, a proposito della scoperta giovanile di Tibullo, scrive: «Ces sentiments de volupté et de mélancolie semblèrent me révéler ma propre nature»31. Anche se non se ne intende il significato, il ricordo di una lettura può avere una sua coerenza e una sua linearità per rappresentare, come l’«Ariostino» di Alfieri32, sequestrato e poi recuperato, la rispettosa e durevole estraneità nei confronti di un autore: Io aveva l’avvertenza di ben restringere i tomi vicini, tosto che ne avea levato uno; e cosí mi riuscí in quattro giorni consecutivi di riavere i miei quattro tometti, dei quali feci gran 26. A. Manguel, Una storia della lettura cit., p. 182. 27. W. Warner, Licencing entertainment. The Elevation of Novel Reading in Britain, 1684-1750, Berkeley, University of California Press, 1998. 28. I. Watt, The Rise of the Novel. Studies in Defoe, Richardson and Fielding, Berkeley, University of California Press, 1957. 29. H. Bloom, Come si legge un libro e (perché), Milano, Rizzoli, 2000, p. 14. 30. J.J. Rousseau, Les Confessions et autres textes autobiographiques, in Id., Œuvres completes, a cura di B. Gagnebin - M. Raymond, Paris, Gallimard, 1959, I, p. 8. 31. F.R. de Chateaubriand, Mémoires d’outre-tombe, a cura di M. Levaillant - G. Moulinie Paris, Gallimard, 1958, I, p. 58. 32. Cfr. V. Alfieri, Vita, a cura di L. Fassò, Asti, Casa d’Alfieri, 1951, I, pp. 32-33.
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festa in me stesso, ma non lo dissi a chi che si fosse. Ma trovo pure, riandando quei tempi fra me, che da quella ricuperazione in poi, non lo lessi quasi piú niente; e le due ragioni (oltre forse quella della poca salute che era la principale) per cui mi pare che lo trascurassi, erano la difficoltà dell’intenderlo piuttosto accresciuta che scemata (vedi rettorico!) e l’altra era quella continua spezzatura delle storie ariostesche, che nel meglio del fatto ti pianta lí con un palmo di naso; cosa che me ne dispiace anco adesso, perché contraria al vero, e distruggitrice dell’effetto prodotto innanzi. E siccome io non sapeva dove andarmi a raccapezzare il seguito del fatto, finiva col lasciarlo stare.33
In altri passi della Vita l’intensità della lettura solitaria e, allo stesso tempo, il bisogno di superare il limite della pagina scritta per mitigare l’isolamento, inducono Alfieri a consolidare profondi sodalizi immaginari con alcuni autori34, come Plutarco e Montaigne. La reazione teatrale causata dal «libro dei libri», Le vite parallele, lette e rilette «con un tale trasporto di grida e di pianti» che chiunque lo avesse ascoltato lo avrebbe «certamente tenuto per impazzato», non è solo la rivelazione di un temperamento appassionato, ma anche di un mancato senso di appartenenza: «Spessissimo io balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano dal vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna altra cosa non si poteva né fare né dire, ed inultimente appena forse ella si poteva sentire e pensare». � Ma sono soprattutto gli Essais del «familiarissimo Montaigne» a scortare Alfieri sulla pista dell’autoconoscenza e a condurlo, attraverso «una malinconia riflessiva e dolcissima», al confronto con se stesso: Mi dilettavano ed instruivano, e non poco lusingavano anche la mia ignoranza e pigrizia, perché aperti cosí a caso, qual che si fosse il volume, lettane una pagina o due, lo richiudeva, ed assai ore poi su quelle due pagine sue io andava fantasticando del mio.35 33. Ivi, pp. 36-37. 34. Su questo punto cfr. R. Wittmann, Una rivoluzione della lettura alla fine del xviii secolo cit., p. 350. 35. Vita (epoca III,12) cit., III, 7, p. 93. Sui rapporti tra Alfieri e l’autore degli Essais cfr. A. Fabrizi, Montaigne, in Id., Le scintille del vulcano (Ricerche sull’Alfieri), Modena, Mucchi, 1993, pp. 145-194; B. Anglani, L’altro io: Alfieri e Montaigne, in Alfieri beyond Italy, Atti del convegno internazionale di studi (Madison, Wisconsin,
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Attraversando la Spagna, Alfieri trova ancora conforto nella lettura frammentaria degli Essais che, come un breviario esistenziale, gli consentono di ritrovarsi in un milieu completamente ignoto: In tutto questo lungo tratto di viaggio non facendo per lo piú altro che piangere tra me e me soletto in carrozza, ovvero a cavallo, di quando in quando andava pur ripigliando alcun tometto del mio Montaigne, il quale da piú di un anno non avea riguardato in viso. Questa lettura spezzata mi andava restituendo un pocolino di senno e di coraggio, ed una qualche consolazione me la dava.36
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Come ha osservato Anne Vincent-Buffault, la lettura intima e individuale, abbinata all’esplorazione di sé e al piacere di raccontarsi, raggiunge nel Settecento la sua maggiore capacità espressiva: senza remore se ne manifestano gli effetti come le lacrime, i sospiri e tutte quelle sensazioni che riflettono l’universo introspettivo del lettore37. Questo singolare mutamento di sensibilità, configurato in un nuovo modo di leggere, è prossimo alla ricerca costruttiva della solitudine che caratterizza il complesso turbamento del tournant des Lumières, studiato con acribia da Marco Cerruti38. Fra i due secoli, il piacere di leggere e il “piacer di pensare” coesistono con le loro trasparenze, ma anche con i loro ostacoli nello spazio inviolabile della solitudine.
27-28 settembre 2002), a cura di S. Buccini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004, pp. 83-94. 36. Ivi (epoca III, 8), p. 96. 37. Ivi (epoca III, 12), p. 126. 38. Cfr. A. Vincent-Buffault, Histoire des larmes. xviiie-xixe siècles, Paris, Rivages, 1986. Cfr. M. Cerruti, Il piacer di pensare. Solitudini, rare amicizie, corrispondenze intorno al 1800, Modena, Mucchi, 2000.
Lumi inquieti. Amicizie, passioni, viaggi di letterati nel Settecento
«Ha molto del poetico la Filosofia di Platone»: il Gravina di Conti Annalisa Nacinovich
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L’abate Conti […] confessava che come dalla Ricerca della verità aveva imparato l’uso che nella filosofia può farsi delle Matematiche, così dal Gravina appreso avea il metodo filosofico di ragionare in queste materie [cioè le teorie poetiche], e l’uso che della Poesia fecero gli Antichi Filosofi, particolarmente Platone.1
Così Toaldo presentava, nella premessa generale alla sezione del II libro delle Prose e poesie dedicata ai ragguagli delle opere da Conti mai pubblicate, la riflessione sulla graviniana Ragion poetica, cui era riservato il decimo paragrafo, quello immediatamente successivo al resoconto dell’«Illustrazione del dialogo di Fracastoro intitolato Il Navagero ossia della poesia». Poche parole, ma assai significative per definire il contesto e, per così dire, il tramite dell’interesse di Conti per la riflessione di Gravina, collocata fra Malebranche e Platone. Infatti, la citazione della Recherche de la verité rimandava al primo soggiorno francese, quando il padre Raineau, cui era stato indirizzato, aveva introdotto Conti presso il Malebranche, e 1. A. Conti, Prose e poesie, t. II, Venezia, Pasquali, 1756, p. 80.
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gli amici parigini dell’«Académie Royale des Inscriptions et des belles lettres» lo avevano iniziato alle letture platoniche2. Un’anticipazione che illustra alcuni aspetti della contiana lettura di Gravina, situata, ancora da Toaldo, all’altezza del secondo soggiorno francese, quando egli, tornato a Parigi dopo il viaggio in Inghilterra del 1717-18, «trovò […] vive le dispute sopra Omero»3 e, in funzione di esse, si mise a studiare quanto in Italia si era in proposito prodotto: Ora, pel diletto che avea preso delle belle lettere in Inghilterra, vi [nella disputa omerica] s’internò davantaggio, e per questa occasione, affine di poter meglio intendere e giudicare, intraprese uno studio serio della lingua greca. […] Studiava le teorie poetiche, leggeva i maestri dell’arte, soprattutto i nostri italiani che in ogni genere furono sempre i primi e i più giudiziosi. Fra questi meditava assai il Gravina, di cui fu sempre grande ammiratore; sebbene non approvasse in tutto il suo metodo, riconosceva però i suoi principi, e scrisse non poco per illustrarli […]. Leggeva il Gravina, e credendo che su quello si potessero decider tutte le quistioni poetiche d’allora, lo proponeva da leggere ai Signori francesi.4
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Conti si situava, così, nella ripresa della disputa fra antichi e moderni, in una posizione eccentrica rispetto a quella che, pochi anni prima, i letterati rimasti in patria avevano assunto schierandosi fra i sostenitori di Orsi contro Bouhours; una prospettiva in cui lo collocava, essenzialmente, il ruolo attribuito a Gravina: quest’ultimo era, infatti, rimasto apparentemente estraneo al rinnovarsi della polemica franco-italiana5 che aveva aggregato intorno al letterato modenese un gruppo di intellettuali legati a vario titolo all’Arcadia di Crescimbeni6. Il riferimento alla divulgazione francese delle teorie 2. Così Conti nella prefazione al primo tomo: «Sin da quando io era in Francia sollicitato dall’esempio e dai consigli del sig. abate Fraguier, e dal sig. Remond dottissimi delle cose platoniche, m’applicai alla lettura di Platone» (ivi, t. I, Venezia, Pasquali, 1739, Prefazione, priva di nn. di pagina). 3. Ivi, II, p. 45. 4. Ibid. Il corsivo è mio. 5. Una ricostruzione puntuale della polemica che contrappose Orsi a Bouhours è offerta da C. Viola, Tradizioni letterarie a confronto. Italia e Francia nella polemica OrsiBouhours, Verona, Fiorini, 2001. Sulle articolazioni precedenti del dibattito e sulla ricezione italiana della polemica francese fra gesuiti e portorealisti di fine Seicento mi sia concesso rimandare a A. Nacinovich, «Nel laberinto delle idee confuse». La riforma letteraria di Gianvincenzo Gravina, Pisa, Ets, 2012. 6. Manca ancora un’analisi convincente delle caratteristiche che accomunano le