Oltre il manufacturing: l’impresa diventa content provider? ALFONSO SIANO CLAUDIA MARIA GOLINELLI MADDALENA DELLA VOLPE AGOSTINO VOLLERO FRANCESCA CONTE Abstract Obiettivi. Una crescente sfida per le imprese manifatturiere è rappresentata dalla diffusione delle pratiche di autoproduzione da parte dei consumatori. A favorire tali pratiche sono le tecnologie digitali (social media, stampanti 3D, ecc.). Il lavoro esplora quale ruolo possano svolgere in futuro le imprese manifatturiere che, se da un lato vedono ridursi gli spazi per i tradizionali processi produttivi in “fabbrica”, dall’altro scoprono nuove opportunità di offerta al mercato, incentrate soprattutto sui contenuti informativi per i consumatori. Metodologia. Prendendo spunto da diversi filoni di ricerca (marketing, economia della conoscenza, service-dominant logic, corporate communication), nel paper viene svolta una ricognizione dei cambiamenti riguardanti il rapporto impresa-consumatore, a seguito delle trasformazioni innescate dalle tecnologie di comunicazione. Risultati. Il crescente ruolo attivo svolto dal consumatore e le potenzialità delle tecnologie digitali inducono un ripensamento delle logiche produttive delle imprese nel settore cosmetico, nella direzione non solo della co-creazione ma soprattutto della creazione di contenuti, in abbinamento alla tradizionale produzione in fabbrica o in sostituzione di questa, a seguito del diffondersi di processi di autoproduzione da parte dei consumatori. Limiti della ricerca. Il presente conceptual paper presenta i tipici limiti dell’approccio literature-based. Implicazioni manageriali. Nel nuovo scenario, la competitività tra le imprese si esprime nell’abilità delle stesse di fornire contenuti rilevanti, originali e specifici. La creazione di contenuti connota le imprese come organizzazioni in possesso di competenze distintive che accrescono la loro reputazione. Originalità del lavoro. Il lavoro, approfondendo le nuove tendenze nelle pratiche di produzione nel settore della cosmesi, offre spunti di riflessione sulla trasformazione del manufacturing: dallo stabilimento produttivo all’autoproduzione, con la fornitura di contenuti informativi, di software per stampanti 3D, di materie prime, di semilavorati. Parole chiave: manufacturing; autoproduzione; content provider; co-creazione; consumer empowerment
Objectives. A growing challenge for manufacturing firms is represented by the diffusion of the practices of consumer’s selfproduction, favored by digital technologies (social media, 3D printers, etc.). The paper explores what role manufacturing firms can play in the future considering that, on the one hand, they observe a reduction of possibilities for traditional production processes, on the other hand, they may discover new market opportunities, especially focusing on informational content for consumers. Methodology. The study draws from different fieldsof research (marketing, knowledge economy, service-dominant logic, corporate communication) and presents a review of the changes affecting the firm-consumer relationship as a result of the modifications triggered by digital communication technologies. Findings. The increasingly active role played by the consumer and the potential of digital technologies lead to a rethinking of production logic in cosmetic industry, not only in the direction of co-creation, but above all in terms of creation of content. Content creation may spread in combination with the traditional production processes or/and to support consumer’s self-production. Limitations. The conceptual paper presents the typical limitations of the deductive approach based on literature review. Pratical implications. In the new scenario, the competitiveness between organizations is expressed by the ability of providing relevant, original and specific content. Content creation characterizes companies as organizations with distinctive competences in order to develop their reputation. Originality of the study. By investigating new trends of production practices in cosmetic industry, the paper provides insights on the transformation of manufacturing: from the factory to self-production based on the “supply” of informational content, software for 3D printers, raw materials, semi-finished products. Key words: manufacturing; self-production; content provider; co-creation; consumer empowerment
Pur essendo il lavoro frutto di riflessioni comuni, il paragrafo 1 è da attribuire a Maddalena Della Volpe, il paragrafo 2 ad Alfonso Siano, il paragrafo 3 a Francesca Conte, il paragrafo 4 ad Agostino Vollero e il paragrafo 5 a Claudia Maria Golinelli. Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno e-mail:
[email protected] Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Roma Tor Vergata e-mail:
[email protected] Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” - Napoli e-mail:
[email protected] Assegnista di ricerca - Università degli Studi di Salerno e-mail:
[email protected] Dottore di ricerca - Università degli Studi di Salerno e-mail:
[email protected]
XXVI Convegno annuale di Sinergie Manifattura: quale futuro? 13-14 novembre 2014 – Università di Cassino e del Lazio Meridionale
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Referred Electronic Conference Proceeding ISBN 978-88-907394-4-6 DOI 10.7433/SRECP.2014.35
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1.
Introduzione
Le nuove tecnologie della comunicazione (Kaplan e Haenlein, 2010; Kietzmann et al., 2011), la globalizzazione dei mercati e delle filiere produttive, il crescente “potere” dei consumatori (Fuchs et al., 2010; Siano et al., 2011; Labrecque et al., 2013) stanno comportando rilevanti mutamenti nel sistema produttivo delle imprese tradizionalmente definite manifatturiere. In particolare, lo sviluppo delle pratiche di autoproduzione (Troye e Supphellen, 2012; Cova et al., 2013) tende a modificare i processi produttivi, rappresentando un’importante sfida per le imprese manifatturiere in specifici settori merceologici, quale ad esempio quello della cosmesi. Diventa sempre più diffuso il fenomeno del do it yourself (DIY), in cui i consumatori utilizzano le conoscenze disponibili o acquistabili in rete per auto-produrre in autonomia oggetti, delegati in passato all’impresa manifatturiera (Anderson, 2013). Grazie allo sviluppo delle stampanti 3D e alla partecipazione attiva negli spazi di aggregazione in rete (social media, online community), i consumatori tendono a diventare autoproduttori, usando la propria creatività per realizzare oggetti personalizzati (Rullani, 2014). Prendendo spunto da diversi filoni di ricerca (marketing, corporate communication, economia della conoscenza, service-dominant logic), l’obiettivo del lavoro consiste nell’esplorare quale ruolo possano svolgere in futuro le imprese manifatturiere, sempre più orientate ad agire come “fornitrici” (provider) di contenuti informativi, i quali acquistano un ruolo rilevante nel supportare i processi di autoproduzione.
2.
Dalla co-creazione all’autoproduzione
Il dibattito sul ruolo attivo del consumatore nelle diverse fasi che caratterizzano la produzione e la fruizione di beni/servizi (ideazione, progettazione, realizzazione, consumo, ecc.) ha da tempo caratterizzato gli studi di marketing, in particolare quelli relativi alla consumer culture e al consumer behaviour, e di comunicazione, soprattutto in riferimento all’impatto socio-economico dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione. Già negli anni ’80, Toffler (1980) predisse l’evoluzione del ruolo del consumatore, coniando il termine “prosumer”, per indicare un soggetto che diventa contemporaneamente consumatore e produttore. L’espressione nasceva per definire il nuovo ruolo del consumatore in un’epoca in cui le imprese abbandonavano l’idea imperante della produzione seriale di massa per passare a processi di mass customization in grado di aumentare la propria capacità competitiva1. Il consumatore-prosumer offre alle imprese l’opportunità didifferenziare (Song e Adams, 1993) e di personalizzare i beni/servizi (Wind e Rangaswamy, 2001). D’altra parte, i processi di prosumption, secondo questa definizione, sono molto più diffusi di quanto si pensi: nella preparazione dei cibi i consumatori di solito combinano più prodotti per crearne nuovi; nell’elettronica e nell’arredamento accade di frequente che si richieda l’autoassemblaggio dei prodotti (es. IKEA), ecc. Una spinta ulteriore alla prosumption è dovuta alla diffusione delle tecnologie del web 2.0, che ha contribuito a modificare il rapporto tra il sistema impresa e quello del consumo (Golinelli, 2010). Quest’ultimo è sempre più caratterizzato da flussi di comunicazione bidirezionali (conversazioni), in virtù del progressivo empowerment dei consumatori in rete (Prahalad e Ramaswamy, 2004; Cova e Pace, 2006; Pires et al., 2006; Kucuk e Krishnamurthy, 2007) che rende gli stessi non più ricettori passivi di messaggi ma soggetti attivi nella creazione e nella diffusione di informazioni. Il consumer 1
Il processo di prosumption (Xieet al., 2008) è rintracciabile in tutte le tre“ondate” di sviluppo socio-economico che hanno caratterizzato la storia dell’uomo. Nell’antichità (la prima ondata), gli individui erano prosumer per necessità in quanto solo una piccola parte di persone scambiava il surplus delle proprie produzioni (es. cibo, vestiti, armi) con beni/servizi prodotti da altri membri della comunità. Nella seconda ondata, in seguito alla Rivoluzione Industriale, la produzione (in serie e di massa) avveniva essenzialmente con l’obiettivo dello scambio. Nella terza ondata (cioè l’epoca attuale, post-industriale) si assiste ad un ritorno alle pratiche di prosumption in seguito alla disponibilità di tecnologie abilitanti e al maggior tempo a disposizione (Toffler, 1980).
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empowerment può esprimersi su diversi livelli (Denegri-Knott et al., 2006; Kerr et al., 2012; Labrecque et al., 2013): controllo dell’informazione su internet e partecipazione attiva nelle comunità digitali e nei social media (user-generated content); opportunità di co-creazione dell’offerta; processi di autoproduzione. Nei contesti digitali, l’uso dei diversi strumenti del web 2.0 sovverte la tradizionale struttura gerarchica di potere e di controllo per la diffusione delle informazioni (Bunting e Lipski, 2000; de Chernatony, 2001). In questa prospettiva, il livello di empowerment dei consumatori si riferisce all’abilità degli stessi di discernere le informazioni potenzialmente utili (al decision-making nei processi di acquisto e consumo) relativamente alle imprese e ai loro brand. Grazie soprattutto all’utilizzo dei social media, il potere dei consumatori non si limita soltanto all’acquisizione di informazioni, ma si esprime anche attraverso la condivisione di esse e l’attività di aggregazione con altri utenti in rete (Kerr et al., 2012). Negli ambienti digitali gli empowered consumer prendono parte al processo di generazione, distribuzione e consumo delle informazioni e diventano soggetti attivi nella creazione di spazi dialettici condivisi, nella produzione di contenuti user-generated sull’impresa/brand (Kaplan e Haenlein, 2010). Oltre alla creazione di contenuti, i consumatori online possono contribuire anche al sistema di offerta dell’impresa e alla co-creazione nello sviluppo dei prodotti/servizi. Il termine “co-creazione” (Payne et al., 2008; Xie et al., 2008) può essere definito in senso lato come l’insieme di attività dei consumatori nella creazione di valore, generato sia in maniera indipendente sia per conto delle imprese (Zwass, 2010). Per co-creazione di prodotto si intende ogni azione di “creatività collettiva” che prevede una progettazione collaborativa tra l’impresa e i consumatori, definiti in termini di “cocreator” (Grönroos, 2008; Hoyeret al., 2010). Le attività di co-creazione di prodotto si esprimono come “a collaborative new product development (NPD) activity in which consumers actively contribute and select various elements of a new product offering” (O’Hern e Rindfleisch, 2009, p. 4). Il livello di partecipazione dei clienti nello sviluppo di nuovi prodotti varia a seconda del loro grado di conoscenza e competenza in un dato settore merceologico. Per tale motivo, le attività di cocreazione possono manifestarsi attraverso diverse modalità: ideazione del prodotto; attività di coprogettazione e co-produzione dell’offerta; co-creazione nelle esperienze di acquisto e/o di consumo; supporto alla creazione di messaggi pubblicitari per eventi e/o lancio di nuovi prodotti. In particolare, la co-creazione e la co-produzione costituiscono due concetti strettamente correlati: la co-produzione rappresenta un aspetto subordinato a quello della co-creazione di valore (Etgar, 2008). Le due espressioni acquistano connotazioni diverse, sebbene alcuni autori utilizzino i termini di co-creazione e co-produzione in modo intercambiabile, in quanto riferiti ad uno medesimo aspetto: il consumer engagement (Payne et al., 2009). La co-creazione viene intesa come un costrutto bidimensionale in cui il consumatore può agire sia come fonte di informazione, sia come co-producer (Zhuang, 2010). Nella prima accezione, i consumatori co-creano attraverso una “participation at the moment of idea generation” (Cross, 1972, p. 122), fornendo input di conoscenze, ovvero idee e suggerimenti nella fase di ideazione del concept del prodotto. Nella seconda, i consumatori partecipano, in termini operativi, al concreto sviluppo dei nuovi prodotti e servizi, ad esempio mediante attività di assemblaggio e co-design (Terblanche, 2014)2. La service-dominant (S-D) logic attribuisce rilevante importanza al processo di creazione di valore che coinvolge il consumatore in qualità di “co-creator” (Lusch e Vargo, 2006; Etgar, 2008; Grönroos, 2008) e resource integrator (Lusch e Vargo, 2006). Anche in questa prospettiva, vengono distinte due componenti della co-creazione (Vargo e Lusch, 2004): la co-creazione di valore creata dall’impresa e dai consumatori durante la consumption stage (si parla in tal caso di 2
Il co-design rappresenta uno specifico aspetto della co-produzione, volto a coinvolgere i consumatori nel processo di design di un determinato prodotto (Sanders e Stappers, 2008). Persone, dotate di passione, conoscenze, competenze in un dato campo artistico, sono invitate a partecipare attivamente al processo di design diventando “co-designer” (Buxton, 2005).
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value in use) e la co-produzione (Wikström, 1996; Benpaudi e Leone, 2003; Jacob e Rettinger, 2011) relativa alla partecipazione del consumatore all’offerta core dell’organizzazione (Lusch e Vargo, 2006). L’espressione massima di consumer empowerment si ha con l’autoproduzione: i consumatori realizzano in completa autonomia i prodotti, utilizzando mezzi propri o strumenti, servizi e sistemi forniti dall’impresa (Lovelock e Wirtz, 2007). Il rafforzamento delle capacità di “autoproduzione” (Troye e Supphellen, 2012; Cova et al., 2013), supportato dallo sviluppo di ambienti digitali (social media) e da nuove tecnologie (stampanti 3D), comporta una progressiva diffusione delle pratiche di DIY, ovvero “activities in which individuals engage raw and semi-raw materials and component parts to produce, transform, or reconstruct material possession” (Wolf e McQuitty, 2011, p. 154)3. In questa definizione possono essere incluse sia forme di autoproduzione maggiormente controllate, “accompagnate” o “facilitate” dall’impresa, sia altre in cui i consumatori tendono ad emanciparsi, effettuando in maniera indipendente le proprie attività (Cova et al., 2013).
3.
Le pratiche di autoproduzione: il ruolo dell’impresa manifatturiera
La letteratura di riferimento, brevemente sintetizzata nel paragrafo precedente, fa emergere diversi livelli di relazione tra l’impresa e il consumatore, in base ai differenti gradi di consumer empowerment (fig. 1). Fig. 1: Tipi di relazione impresa-consumatore e gradi di consumer empowerment Prospettiva dell’impresa
Prospettiva del consumatore
Produttore (product provider)
User-generated content
Co-creator e value facilitator
Co-creator
Firm-generated content (content provider)
Autoproduttore
Gradi di consumer empowerment
Fonte: ns. elaborazione
Quando l’impresa manifatturiera agisce in qualità di produttore di beni, i consumatori possono contribuire a supportare l’offerta aziendale attraverso la creazione di contenuti user-generated. Grazie all’utilizzo dei social media, gli utenti possono esprimere giudizi, opinioni, pareri sul prodotto, agendo talvolta anche in veste di “oppositori” nel manifestare la propria insoddisfazione nei confronti delle imprese (Krishnamurthy e Kucuk, 2009). Una relazione caratterizzata da attività di co-creazione dell’offerta prevede una progettazione collaborativa tra l’impresa e i consumatori (Prandelli et al., 2008). Questi ultimi co-creano l’offerta mediante input informativi al concept di prodotto e attività operative di co-produzione (assemblaggio componenti, co-design, ecc.). Le imprese agiscono come co-creator dell’offerta insieme ai consumatori e come value facilitator, in quanto forniscono ad essi la possibilità di essere coinvolti nei processi produttivi aziendali (Grönroos, 2008). 3
Tali attività richiedono l’utilizzo di “technological interfaces that enable customers to produce a service independent of direct service employee involvement” (Meuter et al., 2000, p. 50).
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Con lo sviluppo delle pratiche di autoproduzione, svolte in modo indipendente da parte dei consumatori, muta il ruolo dell’impresa che diventa, oltre che fornitrice di materie prime e semilavorati, content provider, generatrice di software e contenuti informativi (firm-generated content). Nell’ambito della prototipazione rapida, grazie all’evoluzione tecnologica di alcune modalità di produzione, si stanno infatti sempre più affermando le cosiddette “tecniche additive” che supportano processi di fabbricazione capaci di generare prodotti finiti a partire da un modello digitale predefinito (Bocola, 2011)4. Una delle tecnologie additive in grado di trasformare ogni utente in produttore è la stampante 3D che consente la riproduzione di prototipi o oggetti tridimensionali, ovvero assemblati di diversi materiali (plastica, metallo, ceramica o sabbia) con differenti proprietà fisiche e meccaniche. Le stampanti 3D, oltre ad essere adottate in diversi settori, quali la progettazione industriale, la gioielleria, l’architettura, ecc., iniziano ad essere utilizzate anche dai consumatori nell’uso domestico. Le pratiche di autoproduzione rivalutano, infatti, la dimensione artigianale come attività in grado di aprirsi alle nuove forme di espressione creativa supportate dalle moderne innovazioni tecnologiche (Micelli, 2011). I consumatori possono decidere di intraprendere tali attività per diverse ragioni. Innanzitutto, l’impegno nelle operazioni “fai da te” dipende da quanto è complesso il compito di autoproduzione da eseguire e dai benefici economici e funzionali correlati alla realizzazione del prodotto. I bisogni dei consumatori, sempre più sofisticati e individualizzati, possono essere infatti soddisfatti da piccoli laboratori più o meno casalinghi in grado di produrre oggetti realistici a basso costo. I consumatori si mostrano attivamente impegnati anche per la soddisfazione e il piacere di portare a termine attività di autoproduzione. Inoltre, il do it yourself consente agli utenti di personalizzare il prodotto secondo le proprie esigenze e i propri gusti personali (Williams, 2004; Hoftjizer, 2009). In questo contesto, la diffusione dei processi di autoproduzione tende a modificare il “tradizionale” ruolo delle imprese manifatturiere. Al fine di essere più competitive, queste ultime devono svolgere un impegno attivo nelle attività relative sia alla connection e community, ovvero alla presenza online sui social media, sia alla diffusione di “contenuto” (informazioni, esperienze, consigli, conoscenze, servizi, ecc.) (Lee et al., 2013)5. La “proposizione di valore” fornita dalle imprese si sostanzia nella generazione di contenuti (firm-generated content), servizi e software da condividere con i consumatori al fine di agevolare le attività di autoproduzione (Ballantyne e Varey, 2006). I contenuti informativi, ad esempio guide, white paper, storie, ecc., facilitano la capacità del consumatore di capire come scegliere i migliori prodotti e come creare/assemblare i materiali. Tali attività di content marketing (Pulizzi e Barrett, 2009) sono particolarmente favorite dallo sviluppo di ambienti digitali, social media e online community, dove i contenuti sono creati e condivisi dagli utenti e dalle imprese (Bruns, 2008). Oltre ai compiti tradizionalmente svolti, le imprese sono chiamate a motivare e fornire ai pubblici la giusta autonomia e capacità di autocontrollo affinché esprimano al meglio il loro potenziale e creatività. Le imprese devono, infatti, essere in grado di raccogliere e utilizzare gli input dei clienti nello sviluppo dei propri prodotti, oltre che favorire pratiche di autoproduzione complementari alla propria offerta. In questa prospettiva, la competitività tra imprese manifatturiere si esprime anche nella loro abilità di fornire contenuti rilevanti, originali e specifici, utili al raggiungimento degli obiettivi di autoproduzione dei consumatori. L’impresa con una leadership forte in termini di skill e competenze in un dato settore diviene in grado di agire con una connotazione “editoriale” nella creazione e nella diffusione di contenuti credibili (Brito, 2014). Infatti, nel processo di raccolta delle informazioni utili al processo di autoproduzione, i consumatori tendono a rivolgersi soprattutto alle aziende che godono di una reputazione positiva nel settore specifico. In tal senso, la reputazione 4
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Le tecniche denominate “additive manufacturing”, espressione tecnica per definire i processi produttivi consentiti dalle stampanti 3D, comprendono diverse tecnologie mediante cui un oggetto viene prodotto nella sua forma definitiva per accumulo progressivo di materiale, ovvero attraverso la sovrapposizione di sottilissimi strati. Diversamente, le metodologie sottrattive prevedono la creazione di oggetti eliminando materiale da un blocco di partenza (Pignatelli, 2013). Con lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, acquistano sempre più rilevanza le “infrastrutture a forte contenuto cognitivo” (servizi, applicazioni e contenuti). Pertanto, assumono un ruolo critico i creatori di contenuto (editori, sviluppatori di software) e i distributori di contenuto (servizi online, broadcaster, provider di telecommunication) (Pilotti e Ganzaroli, 2006).
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aziendale (Fombrun, 1996; Fombrun e van Riel, 1997; Mahon e Wartick, 2003) agisce come “asset”, garanzia delle competenze specialistiche possedute dall’impresa. Una reputazione positiva presuppone, infatti, una migliore capacità da parte dell’impresa di candidarsi a soggetto in grado di diffondere contenuti rilevanti. Ad esempio, un consumatore che intenda realizzare in piena autonomia un imballaggio personalizzato potrebbe essere portato a cercare informazioni e contenuti pertinenti sul sito web di un’impresa leader nella produzione di packaging come Tetra Pak. Fig. 2: Elementi chiave nelle pratiche di autoproduzione
Social media Consumer empowerment
Consumer skill
Autoproduzione Tecnologie abilitanti (es. stampanti 3D)
Firm-generated content
Fonte: ns. elaborazione
In sintesi, i fattori chiave che determinano lo sviluppo delle pratiche di autoproduzione sono: il crescente consumer empowerment online, l’acquisizione da parte dei consumatori di competenze specifiche in determinati settori, la diffusione per uso domestico di tecnologie abilitanti (quali le stampanti 3D) e il supporto fornito dall’impresa in termini di firm-generated content (fig. 2). Tali fattori trovano linfa vitale nel contesto delle comunità di aggregazione online, i social media (Csordàs e Gàti, 2014). La possibilità di ambienti collaborativi in rete ha motivato ulteriormente le imprese a favorire le pratiche di auto-produzione, almeno fino al livello desiderato di prosumption (Xie et al., 2008), vale a dire fin quando tali attività non sono in contrasto con l’offerta core dell’impresa.
4.
L’autoproduzione nel settore della cosmesi
La diffusione delle pratiche di autoproduzione, in virtù dello sviluppo delle tecnologie abilitanti e di ambienti online dedicati alla discussione su temi specifici, sembra sempre più condizionare il ruolo dell’impresa manifatturiera. Queste due tendenze possono comportare per le imprese una “compressione” dello spazio di mercato per la tradizionale produzione manifatturiera. In questo paragrafo, sulla base di alcune brevi esemplificazioni, si cercherà di sottolineare i possibili rischi e le opportunità derivanti dalla diffusione dell’autoproduzione nel settore cosmetico. Nel maggio 2014, nel corso della conferenza sulle nuove start-up tecnologiche Disrupt, svolta a New York, è stata presentata e brevettata da una studentessa della Harvard Business School la prima stampante 3D, denominata “Mink” e destinata alla produzione di cosmetici. Il funzionamento prevede un procedimento molto semplice: dopo essersi dotati degli “ingredienti” necessari, bisogna selezionare il colore desiderato mediante il caricamento di una foto, volto a individuare il codice esadecimale della sfumatura scelta. La nascita della stampante Mink pone le basi per lo sviluppo delle pratiche di DIY nel settore della cosmesi: in tale contesto, si realizza il massimo grado di consumer empowerment, in quanto i consumatori creano prodotti differenziati in modo indipendente ed autonomo. I vantaggi per i consumatori nell’utilizzo della stampante 3D possono essere individuati soprattutto nella possibile riduzione dei costi di acquisto e nella grande varietà di colori 556
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dei cosmetici che si possono realizzare, circostanza questa che consente di avere una significativa personalizzazione del prodotto. Oltre alle tecnologie di produzione, sempre più disponibili per l’uso domestico, gli stessi social media possono fornire i contenuti necessari a favorire le pratiche di auto-produzione, seppur spinte da motivazioni del tutto differenti. Ad esempio, in rete sono frequenti i forum dedicati alla biocosmetica, in cui i consumatori cercano “risposte” per soddisfare la propria sensibilità verso l’acquisto di prodotti eco-sostenibili e salutari. A conferma di ciò, un’analisi etnografica (Vollero et al., 2014) ha previsto l’osservazione (nel periodo gennaio-luglio 2013) dei post (in oltre 500 thread selezionati) di tre tra i principali forum online del settore della biocosmetica in Italia - “Sai Cosa Ti Spalmi”, “l’Angolo di Lola” e “Promiseland” (sezione “cosmesi naturale”). Tale studio ha consentito l’esplorazione del fenomeno dell’autoproduzione all’interno del più ampio processo di valutazione e comparazione dei prodotti da parte dei consumatori di tale settore. L’indagine ha evidenziato come nella pratica dell’autoproduzione di cosmetici i membri delle neo-tribù online facciano riferimento al termine “spignattare”, che in alcuni casi si riferisce a semplici ricette home-made (miscele di oli, scrub, ecc.), in altri casi consiste, invece, nella realizzazione di vere e proprie formulazioni cosmetiche che prevedono l’utilizzo di “ingredienti” spesso di difficile reperibilità. Quest’ultimo aspetto spiega la “caccia alle materie prime” da parte degli utenti, che si scambiano informazioni sui siti internet dove effettuare gli acquisti e/o sulla localizzazione dei punti vendita in cui è possibile reperire determinati ingredienti. Le formulazioni cosmetiche realizzate dagli utenti coinvolgono l’autoproduzione di ogni tipo di prodotto cosmetico dai semplici idratanti per le labbra, ai deodoranti, alle creme anti-età, agli shampoo, ecc.- posto che i prodotti branded non sempre soddisfano appieno esigenze e “sensibilità” emergenti. Le pratiche di autoproduzione, come rilevato nello studio, si fondano su un processo “formativo” degli utenti, che prevede l’acquisizione di informazioni e lo sviluppo di competenze specifiche. Al riguardo, l’INCI e il connesso strumento del Biodizionario6 assumono un ruolo significativo per i membri “spignattatori” delle community, in quanto consentono una rapida valutazione dei componenti presenti nei singoli prodotti. Oltre alla rilevanza attribuita dai consumatori agli strumenti di comprensione della qualità dei prodotti cosmetici, la pratica consolidata e diffusa del DIY pare rivelatrice di un elevato grado di competenza dei consumatori di cosmetici naturali. La diffusione dell’autoproduzione da parte degli appassionati di biocosmetica appare, infatti, sempre più associata alla valutazione “puntuale” e critica dei prodotti branded e all’acquisizione di conoscenze che servono a sviluppare capacità per l’autoproduzione. Tali pratiche sembrano essere favorite dagli ambienti digitali in cui le conversazioni tra utenti, incentrate su valori e linguaggi condivisi, rafforzano la “rappresentazione del Sé” del consumatore etico e lo sviluppo di atteggiamenti e comportamenti conformi a tale autopercezione. Accanto ai rischi insiti nella diffusione di tali fenomeni (riduzione del potere contrattuale, scarsa capacità di previsione del mercato, ecc.), può essere utile chiedersi quali opportunità possano schiudersi dall’accelerazione di tali pratiche in termini di possibili cambiamenti nelle politiche di marketing e di comunicazione nel settore della cosmesi. Innanzitutto, le imprese possono agire per cercare di orientare l’autoproduzione, svolgendo attività di content marketing (firm-generated content). L’obiettivo potrebbe essere quello di facilitare alcuni processi di DIY, ponendosi come thought leader, ovvero organizzazioni in possesso di competenze distintive nel proprio settore. Le imprese, fornendo contenuti informativi pertinenti, quali suggerimenti circa l’acquisto degli “ingredienti”, guide, esperienze, aggiornamenti sulle tendenze del momento, consigli, ecc., possono valorizzare la propria offerta, o creare nuove linee di prodotto (ad es. polvere di colori di base, componenti essenziali, ecc.), specificamente rivolte a tali gruppi di consumatori. 6
L’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients) è una nomenclatura internazionale - obbligatoria dal 1997 - per indicare in etichetta i diversi ingredienti del prodotto cosmetico. Il Biodizionario (www.biodizionario.it) è una guida online gratuita che consente agli utenti una valutazione di eco-compatibilità dei componenti INCI presenti nella lista degli ingredienti dei cosmetici.
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Tra le opportunità che si aprono per le imprese di questo settore occorre, infine, evidenziare come la diffusione di valutazioni “esperte” da parte dei consumatori (es. sostituzione di ingredienti non apprezzati, proposte di usi alternativi) possa servire a guidare le fasi di R&S svolte dalle imprese, fornendo utili indicazioni su come coinvolgere i consumatori anche nei processi di cocreazione e co-produzione.
5.
Conclusioni
La manifattura, nel contesto attuale, deve dare sempre più spazio all’ “intelligenza generativa” (Rullani, 2014), ovvero deve essere in grado di condividere e supportare i diversi contributi dei consumatori relativamente all’ideazione, al design, alla modellizzazione e all’autoproduzione di prodotti. La diffusione delle stampanti 3D e le funzioni svolte dalle tecnologie digitali (social media, online community) nelle nuove filiere globali implicano una crescente smaterializzazione dei processi produttivi tradizionali in cui l’impresa manifatturiera, oltre ad agire in qualità di fornitrice di materie prime e semilavorati, può assumere il ruolo di content provider. La creazione di contenuti informativi sembra acquisire un ruolo rilevante nelle attività di autoproduzione (Troye e Supphellen, 2012; Cova et al., 2013), soprattutto in riferimento a specifici contesti settoriali, in quanto è volta a guidare i consumatori che, in veste di neo-artigiani, sono coinvolti nelle diverse fasi di realizzazione del prodotto. Il nostro tempo appare dominato, infatti, dalla riscoperta dei servizi e dei contenuti in chiave innovativa; ciò cambia radicalmente la contrapposizione tradizionale che, in passato, considerava i servizi e la manifattura come due polarità opposte, anche se complementari. I contenuti creati dall’impresa, sia offline che online, in maniera autonoma o in collaborazione con i propri clienti, sono finalizzati a dare credibilità all’impresa, a farle riconoscere competenze specifiche (thought leader) nel settore di appartenenza e, in senso lato, a rafforzare la preferenza dei consumatori nell’acquisto oltre che dei propri prodotti e servizi, dei software, delle materie prime e dei semilavorati per l’autoproduzione da parte dei consumatori. In specifici ambiti settoriali, come ad esempio nel settore della cosmesi, l’impresa manifatturiera sembra, dunque, orientata a transitare verso un ruolo di content provider, perdendo progressivamente la connotazione di organizzazione che si occupa del tangibile, a favore di un crescente grado di immaterialità della sua offerta.
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