Obiettivi, metodi e strumenti Il lavoro si propone di applicare le più consolidate analisi narratologiche all’opera La Storia Infinita di Michael Ende al fine di estrarre, se possibile, alcuni tra i più significativi meccanismi funzionali alla creazione di senso. A questo scopo ci si riferirà soprattutto al testo tradotto in italiano, nella versione riportata in “Appendice bibliografica” come Ende [1], facendo alcune incursioni quando opportuno nell’originale tedesco (Ende [2]). Ciascuna sezione è aperta da una breve sintesi delle posizioni teoriche di maggior rilievo pertinenti all’argomento trattato e le applicazioni al testo in esame sono supportate da citazioni. La trattazione non ha ambizioni di esaustività, vista l’estensione del testo esaminato e la varietà di analisi applicabili. In particolare si sono del tutto trascurate l’analisi della traduzione messa a confronto con il testo originale e le traduzioni intersemiotiche tra testo letterario, versione cinematografica e riduzione in fumetto.
Breve sintesi della trama dell’opera Bastiano, un ragazzo alle soglie dell’adolescenza e orfano di madre, soffre delle problematiche tipiche della sua età: scarsa stima di sé, non accettazione del proprio corpo, problemi relazionali verso i coetanei e verso il padre. La sua passione per i libri e per le storie lo porta a rubare un libro dal titolo “La Storia Infinita”, trovato nella bottega dell’antiquario Coriandoli in
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cui il ragazzo si imbatte per caso. Dopo il furto, Bastiano decide di rifugiarsi nella soffitta della sua scuola per nascondersi e leggere con calma il libro. La vicenda narrata in quest’ultimo tratta di un mondo immaginario abitato da creature fantastiche, la cui esistenza è minacciata dall’avanzare del Nulla. Per poter fermare la potenza distruttrice di questa entità si scopre necessario l’intervento di un essere umano, dai cui desideri far rinascere il regno di Fantàsia. Nel corso della lettura Bastiano comprende, non senza stupore, che l’essere umano destinato a tale impresa è lui stesso. Dopo varie esitazioni, decide di accettare l’incarico ed entra nel libro, salvando gli abitanti e facendo rinascere Fantàsia. Tuttavia ogni volta che Bastiano esprime un desiderio, un ricordo si cancella dalla sua mente, tanto da dimenticare il suo mondo di origine, e rischia di rimanere per sempre nel mondo fantastico. Dopo varie peripezie e grazie all’aiuto di alcuni amici, il ragazzo riesce ad uscire da Fantàsia, ritrovandosi nella soffitta della scuola. Presto Bastiano si rende conto di non essere lo stesso ragazzo di prima: ha imparato ad affrontare le sue paure e ad accettarsi per come è. Tornato a casa, racconta tutta la sua esperienza al padre, che a sua volta si rende conto dei suoi errori verso il figlio e i due iniziano a gettare le basi per un rapporto più affettuoso e complice. Infine torna nella bottega dell’antiquario per confessare il furto del libro, che nel frattempo è scomparso, aspettandosi una brusca reazione da parte del burbero signor Coriandoli, che fin dall’inizio non ha mai nascosto la sua antipatia verso i bambini. I due invece iniziano sorprendentemente a
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chiacchierare, scoprendo di avere in comune più di quanto inizialmente credessero.
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Paratesto Il paratesto è l’insieme di tutti quei segnali che stanno “intorno al testo” con la funzione di fornire al lettore un’indicazione sul come ripartire il testo stesso, e secondo quale modalità affrontarne la lettura. I titoli, le prefazioni, le copertine, gli indici, la suddivisione in capitoli sono un esempio di segni paratestuali rinvenibili nell’ambito di testi scritti. In tale ambito si riconosce all’interno del paratesto una distinzione che si articola in peritesto ed epitesto: rientra nel primo “l’insieme dei messaggi paratestuali che si ritrovano nel volume stesso del testo”1, mentre fa parte
dell’epitesto “l’insieme dei messaggi paratestuali che si ritrovano, almeno originariamente, all’esterno del libro: recensioni, corrispondenze, interviste, ecc.”2
Peritesto L’artificio grafico della scelta di due colori diversi (o di due caratteri diversi a seconda dell’edizione), costituisce forse l’aspetto più notevole del peritesto dell’opera in oggetto, e la distingue inconfondibilmente da altre opere letterarie di tipo analogo. Con altri media, artifici simili sono stati utilizzati più volte (per esempio in cinematografia l’uso del bianco e nero rispetto al colore, come in Zelig3). Ende, tuttavia, con questa scelta tipografica, istituisce un codice la
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Volli [1], pag. 74. Ibidem. Woody Allen, Zelig, Metro-Goldwyn-Mayer Pictures, 1983.
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cui interpretazione richiede un’analisi più approfondita di quanto si possa presupporre in prima lettura. Infatti, inizialmente il lettore è indotto a ritenere che quanto è scritto nel primo colore sia la relazione degli eventi che Bastiano sta vivendo, e quanto è scritto nel secondo colore sia la relazione degli eventi che Bastiano sta leggendo nel libro “rubato”. Successivamente, con l’evolversi della narrazione, la situazione si complica: l’ingresso di Bastiano nel libro, e quindi nel mondo di Fantàsia, è preceduto da un frenetico rincorrersi dei due colori, per terminare nell’utilizzo stabile del secondo fino all’ultimo capitolo che segna l’uscita del protagonista da Fantàsia e il suo ritorno nel mondo “reale”. Solo dopo questi eventi, il lettore è costretto a rivedere la sua illazione iniziale: il primo carattere identifica in realtà il mondo in cui convivevano Bastiano, suo padre, i compagni di classe e il signor Coriandoli, mentre il secondo colore è Fantàsia, dove vivono Atreiu e Fùcur e dove l’Infanta Imperatrice, il Vecchio della Montagna e Mork esplicano le loro funzioni. In base alle caratteristiche del significante recepiamo un nuovo significato: in questo caso il rosso o l’italico ci segnalano che siamo nel mondo supposto reale, mentre il verde/blu o il carattere normale ci informano che siamo nel mondo fittizio narrato dal secondo libro, interno alla diegesi. Questo è possibile grazie alla coerenza del testo, che sistematicamente muta la forma della sua espressione in relazione al mutamento di scenario o di mondo possibile; in altre parole nel testo è presente un’isotopia.
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Tuttavia, anche questa apparentemente solida ipotesi è messa in discussione fin dall’inizio dell’opera. Sfogliando il libro che ha attirato la sua attenzione, Bastiano nota che “i fogli erano stampati in due colori diversi.”4
È esattamente quanto noterebbe un acquirente del nostro mondo che in libreria sfogliasse La storia infinita prima di comprarla. Evidentemente l’autore implicito non trascura alcuno sforzo per far immedesimare il lettore implicito nella storia, ma così facendo apre un interessante interrogativo: nel libro che Bastiano ruberà, quali potrebbero essere le parti scritte nel primo colore? Egli non sta leggendo la storia di un personaggio che a sua volta legge, quindi l’isotopia, istituita tra il livello del significante nel libro che possediamo e il livello di significato nel libro in possesso di Bastiano, resta priva di giustificazione logica (non sono certamente i pochi paragrafi riportati al Capitolo L5 che possono dar conto della stampa in due colori rilevata da Bastiano); l’isotopia si rivela quindi funzionale, oltre che all’immedesimazione, anche alla creazione di una delle tante immagini riflesse a specchio che costituiscono, come vedremo, uno dei leit motiv della narrazione. Infine, la metaletterarietà è implementata a livello di paratesto dalla scelta di iniziare i capitoli con lettere in sequenza alfabetica, evidenziate da
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Ende [1], pag. 10.
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Ende [1], Cap. L, pag. 191: “in quel momento il bagliore di luce che emanava dalle pagine del libro cambiò colore. Diventò rossiccio [...].”
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elaborati capilettera. È anche una delle prime caratteristiche che colpiscono Bastiano nel libro, insieme alla stampa in due colori: “Illustrazioni pareva non ce ne fossero, ma in compenso vi erano meravigliosi capilettera figurati.”6
Quindi il paratesto si riflette nel testo, suggerendo una delle isotopie centrali dell’opera, una metatestualità esasperata per cui, parafrasando Metz, il libro nel libro è il libro stesso. Un ultimo appunto merita la curiosa (e forse voluta) coincidenza tra il cognome dell’autore reale, ovviamente riportato con la consueta enfasi in copertina, e il titolo dell’opera. L’ossimoro può essere colto solo con una almeno minima conoscenza del tedesco (Michael Ende, Die unendliche Geschichte, in tedesco Ende significa per l’appunto “fine”!). Nella versione inglese viene conservata almeno l’assonanza grazie alla scelta traduttiva never-ending invece del più generico infinite, che però non suggerisce con immediatezza la molteplicità di piani di infinito di cui parleremo in chiusura di questo lavoro. Nella traduzione italiana, l’isotopia si perde completamente sia sul piano del significante che sul piano del significato.
Epitesto Non è questa la sede per poter trattare approfonditamente l’immensa varietà di materiale che fa da epitesto all’opera in esame, pertanto ci limiteremo, senza alcuna pretesa di esaustività, ad indicarne i punti che a
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Ende [1], pag. 10.
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nostro parere rivestono maggior interesse per i fini che ci siamo posti all’inizio della ricerca. La versione cinematografica dell’opera, La Storia Infinita di Wolfgang Petersen del 1984, ha ottenuto notevole successo ed è grazie al film che l’opera è stata conosciuta dal grande pubblico, almeno in Italia. La trasposizione cinematografica presenta una trama notevolmente più semplice e breve rispetto all’originale, e termina a lieto fine poco dopo l’ingresso di Bastiano in Fantàsia. La complessità strutturale del testo è appena accennata nella scena in cui Bastiano viene convinto dall’Infanta Imperatrice che è proprio lui il terrestre che deve salvare Fantàsia inventando per l’Infanta un nuovo nome; il rimando al gioco di specchi che domina nel testo letterario è ottenuto, con metodi tipici della traduzione intersemiotica, per mezzo di tecniche collaudate, dal montaggio alternato allo sguardo in macchina. Secondo Dusi, infatti, la trasposizione cinematografica attua “una scelta di pertinenza interpretativa incessante. Essa permette e anzi auspica, a causa della taglia standard relativamente fissa di un film, di effettuare a livello narrativo soppressioni e condensazioni. Spesso però l’interpretazione porta all’espansione di alcuni particolari per renderli isotopicamente rilevanti nell’insieme del film, oppure all’aggiunzione e creazione di nuove configurazioni, con attori, situazioni e percorsi narrativi che servono al testo di arrivo per ancorare la propria coerenza discorsiva e interpretativa.”7
L’operazione di attivazione o anestetizzazione dei dispositivi isotopici compiuta dal testo filmico sul testo letterario può essere colta osservando
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Dusi [1], pag. 137.
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alcune scene del film. Ad esempio, nella sequenza finale, Bastiano esprime il suo desiderio e si ritrova a volare sul Drago della Fortuna nel suo mondo di appartenenza, con grande spavento dei suoi compagni di scuola, sui quali il ragazzo si prende una piccola rivincita dopo i torti subiti all’inizio del film. La voce over di un narratore condensa tutta la vicenda di Bastiano in Fantàsia dicendo semplicemente “Bastian espresse molti altri desideri, ed ebbe molte altre strabilianti avventure, prima di tornare nel mondo della realtà. Ma questa è un’altra storia”: la conclusione costituisce in parte un richiamo alla formula
ricorrente nel testo letterario “Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta”, in parte apre la strada ai seguiti del film.
La densità di richiami intertestuali di cui è fitta l’opera letteraria è ripresa dal film secondo una libera decisione interpretativa, che porta Bastiano, durante l’incontro con il signor Coriandoli, a citare alcune tra le sue opere narrative più amate: “L’isola del tesoro, L’ultimo dei Mohicani, 20000 leghe sotto i mari, Il mago di Oz, Il signore degli anelli, Tarzan”. Citiamo infine l’isotopia che accomuna l’Infanta Imperatrice alla figura della madre di Bastiano. Mentre nel testo letterario essa viene soltanto accennata, in un passo che presenta le caratteristiche del personaggio e Bastiano improvvisamente si ritrova a pensare alla morte della mamma: “L’Infanta Imperatrice era considerata in effetti, come già dice il titolo, sovrana assoluta di tutte le innumerevoli Terre [...] I pensieri di Bastiano divagarono.
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Improvvisamente nel ricordo rivide il lungo corridoio della clinica dove era stata operata la mamma.”8
nel film è sottolineata e confermata esplicitamente, al punto da suggerire che il nome scelto da Bastiano per l’Infanta Imperatrice sia proprio il nome di sua madre. Quando il ragazzo decide di gridare il nome dell’Infanta Imperatrice durante la scena del temporale, lampi e tuoni coprono lo spazio sonoro nel momento in cui egli grida il nome e lo spettatore può solo esser certo che quel nome è anche quello della mamma di Bastiano: “Mamma si chiamava...”
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Ende [1], Cap. B, pagg.37-38.
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