SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
LA MACCHINA DI ANTICITERA Avanguardia tecnologica del passato
La macchina di Anticitera.
RAFFAELE GARGIULO
Noi, uomini del XXI secolo, siamo abi-
tuati a pensare che la Scienza e la Tecnica siano nate ieri, prima con la rivoluzione industriale e poi con le grandi scoperte dell’Ottocento e del Novecento. Ma ci sbaglia-
Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
mo. Erone di Alessandria nel I secolo d.C., basandosi su lavori ed esperimenti noti da almeno tre secoli, era già in grado di costruire un distributore automatico: infilavi una moneta da cinque dracme, l’euro di al77
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lora, e la macchina ti consegnava una quantità stabilita di liquido. Eratostene, nel III secolo a.C., seppe calcolare la lunghezza del meridiano con un errore dell’1 per cento, un’impresa che l’umanità è stata di nuovo capace di compiere, con la stessa accuratezza, solo nel 1669 d.C.. A fine Seicento, costruire un canale fra Mediterraneo e Mar Rosso era considerato impossibile: eppure i Tolomei ci erano riusciti quasi dieci secoli prima. La Syracusia, l’enorme ammiraglia della flotta di Gerione II, tiranno della Magna Grecia, metteva a disposizione dei suoi ospiti palestra, biblioteca, giardini pensili e stalle sufficienti a contenere venti cavalli. Gli scafi di molte navi dell’epoca erano foderate di piombo e si proteggevano così dalla teredine, un mefitico mollusco contro il quale le navi inglesi e olandesi del XVII non sapevano come difendersi. Sul relitto di una di quelle antiche navi è stato trovato un oggetto talmente straordinario che qualcuno l’ha scambiato per un orologio moderno: la cosiddetta macchina di Anticitera, un calendario perpetuo con 32 raffinatissimi ingranaggi, in grado di calcolare cicli solari e fasi lunari e completo di differenziale, ovvero il meccanismo che consente alle nostre automobili di curvare in sicurezza, la cui invenzione veniva attribuita a Leonardo da Vinci (1).
La scoperta casuale
Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie
alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull’isoletta rocciosa di Cerigotto (Anticitera o Antykithera), situata tra il Peloponneso e Creta. Al largo dell’isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di un’enorme nave affondata, risalente all’87 78
a.C. e adibita al trasporto di statue in bronzo e marmo. Il 17 maggio 1902 l’archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra presentava un ingranaggio inglobato all’interno. Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori. Si trattava di un’intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, facenti parte di un elaborato meccanismo a orologeria che sarebbe presto passato alla storia come la «Macchina o il Meccanismo di Anticitera», realizzato tra il 150 e il 100 a.C.. La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell’iscrizione non è ancora stato pubblicato). Il meccanismo è attualmente esposto nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione. Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo complesso per appartenere al relitto e alcuni esperti dissero che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire a un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo ma la questione rimase irrisolta. Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono a essere svelati. Quell’anno infatti il professor Derek de Solla Price, scienziato dell’università di Tale (Stati Uniti), cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota e ogni pezzo e riuscendo, dopo circa Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
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Frammento della strumento.
vent’anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario. Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari). L’estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto veniva riprodotto tramite l’utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, in Grecia intorno all’epoca di Cristo esisteva effettivamente una tradizione di alta tecnologia; ciò è sufficiente per modificare le nostre idee sulla civiltà classica e smentire definitivamente i luoghi comuni sul disprezzo 79
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La ricostruzione del meccanismo custodita presso il Museo archeologico di Atene (fonte Wikipedia).
dei Greci per la tecnologia e sull’insuperabile solco che l’istituzione della schiavitù avrebbe creato tra la teoria e le scienze sperimentali e applicative. Da recenti studi è emerso, inoltre, che la macchina era un’elaborata calcolatrice temporale, in grado di tenere insieme i più complessi sistemi di misurazione astronomica con il più popolare sistema legato alle Olimpiadi. Le Olimpiadi antiche si svolgevano ogni quattro anni e l’inaugurazione dei Giochi avveniva sempre in concomitanza della lu80
na piena più vicina al solstizio d’estate. La Macchina di Anticitera veniva quindi utilizzata per fissare le date dei Giochi. Grazie alle analisi con i raggi X i ricercatori hanno ottenuto una rappresentazione tridimensionale del dispositivo riuscendo così a decifrare le iscrizioni nascoste all’interno di alcune componenti dello strumento, che metterebbero in luce i collegamenti con le Olimpiadi; l’analisi, inoltre, fu così accurata che si potè stabilire che lo strumento si era rotto ed era stato riparato, probabilmente due anni dopo la sua costruzione. I ricercatori hanno trovato la parola Nemea incisa vicino a una piccola ruota che compone lo strumento e che costituirebbe un riferimento al sito di una delle discipline più importanti nel ciclo olimpico, Olimpia. I nomi usati per indicare i mesi lasciano intravedere un’origine corinzia, il che fa pensare che la macchina provenga da un’altra zona della Grecia: quella nord-occidentale o da Corfù o dalla Sicilia. Il Meccanismo di Antikythera, nonostante non trovi pari sino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050 d.C., rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili a occhio nudo e il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Si ipotizza anche che la Macchina sia stata realizzata sulla base delle complesse teorie astronomiche di Archimede (287 a.C.-212 a.C.) Ipparco ed Erone di Alessandria, tra i maggiori astronomi dell’epoca. È probabile che il modello di calcolatore ricostruito da Price sia stato preceduto da altri analoghi (non ancora scientificamente provato), ma con funzioni più semplici ed elementari. Tra l’altro questa scoperta dà la prova inconfutabile della conoscenza degli ingranaggi dentati da parte dei Greci. Prima si aveva solo la descrizione, Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
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fatta da Aristotele, nel 330 a.C., di congegni a ruote, o a barre dentate ingranate tra di loro che giravano in varie direzioni. Gli ingranaggi descritti da Aristotele servivano per la costruzione di orologi ad acqua, anche abbastanza complessi, che riportavano lo scorrere delle ore su quadranti o tavole graduate. Gli orologi ad acqua, assai rari e costosi, venivano utilizzati dai Greci e da altri popoli antichi insieme alle clessidre, nei periodi di brutto tempo o di notte, quando le meridiane solari, molto meno costose e per questo comunemente diffuse, non potevano funzionare. Ad Alessandria d’Egitto, infatti, durante l’ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di Erone. A Siracusa, infine, già dal 213 a.C. Cicerone cita la presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della Luna, nonchè delle sue fasi e delle eclissi. Tale citazione fa supporre che la costruzione dello strumento sia opera degli artigiani di Rodi famosi per la precisione e perfezioni dei loro prodotti, attività confermata dall’oratore e filosofo durante il periodo di studi trascorso appunto a Rodi tra il 79 e il 77 a.C. (2).
L’evoluzione del calcolo
I
l problema del calcolo ha afflitto l’uomo sin dall’antichità; come dice la parola stessa, esso è stato inizialmente praticato con la mano e successivamente attraverso piccoli oggetti come bastoncini o sassolini (calculum in latino), i cui spostamenti su una tavoletta o in un telaio visualizzavano le quantità da aggiungere o sottrarre. Quando l’uomo primitivo incominciò a indicare il totale degli animali abbattuti duRivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
rante la caccia per mezzo di un insieme di «tacche», aveva praticamente imparato a fare piccole somme. Risalente al 30.000 a.C., fu trovato su un osso di lupo un piano di calcolo; vi erano tracciate 55 tacche a gruppi di cinque, forse per una transazione o un baratto. Quando l’uomo cominciò a praticare l’agricoltura, si trovò nella necessità di segnare i confini e di misurarli. Al principio la lunghezza veniva misurata col piede. Per necessità l’uomo cercò una unità standard e la trovò con gli Egizi con una serie di nodi su una fune, posti alla medesima distanza. Gli Egizi con questa tecnica sapevano che se, con una fune divisa in dodici segmenti, si delineava un triangolo, i cui lati misurassero 3, 4 e 5 unità di misura i due lati minori definivano un triangolo retto. Gli abitanti delle prime civiltà di Sumeri tengono già traccia di operazioni commerciali utilizzando apposite tavolette. La più antica tavola di conteggio fu ritrovata nell’isola di Salamis, risale a quest’epoca e appartenne ai babilonesi. Risale al II secolo d.C. l’invenzione dell’abaco, strumento di calcolo costituito da un telaio su cui scorrono file di palline che costituiscono le unità, le decine, le centinaia, ma i primi abachi di cui abbiamo notizia, costituiti da tavolette ricoperte di polvere o sabbia su cui si tracciavano dei segni, risalgono al V millennio a.C. e sono originari della valle dell’Eufrate. Possiamo considerare l’abaco come il progenitore del moderno pallottoliere e l’etimologia della parola abaco ci porta alla parola semita abq cioè sabbia. Non si sa con precisione esatta quale popolo abbia inventato questa macchina per calcoli che noi tutti conosciamo oggi con la parola pallottoliere. Gli strumenti meccanici di calcolo ebbero ampia diffusione soprattutto nel settore 81
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dell’astronomia ed erano destinati al calcolo delle ore, delle posizioni degli astri, delle stagioni, delle fasi lunari, delle eclissi. La differenza sostanziale con l’abaco era che questi ultimi non procedevano per somme o sottrazioni ma mediante ingranaggi o allineamenti. Un esempio monumentale è il complesso megalitico di Stonehenge, situato nella piana nei pressi di Salisbury in Inghilterra: la disposizione attenta degli enormi blocchi di pietra e la particolare sistemazione del terreno, permettevano di studiare attentamente il cielo attraverso un sistema che da alcuni studiosi viene definito «un computer dell’età della pietra». La «macchina di Anticitera» rappresenta il primo esempio di calcolatore astronomico azionato meccanicamente. Molto meno complesso dal punto di vista ingegneristico, ma non meno ingegnoso per il suo disegno è un altro classico computer astronomico: l’astrolabio. Il funzionamento in questo caso è manuale e consiste nel far coincidere delle tacche disposte su dischi rotanti; questo strumento serviva a determinare l’ora in base all’altezza dei corpi celesti ma è stato il prototipo per una serie di strumenti per la navigazione. Il principio dell’astrolabio, cioè la corrispondenza di punti situati su scale diverse che scorrono a contatto si ritrova sostanzialmente nel regolo calcolatore, inventato nel 1632 dal matematico inglese William Oughtred. Il regolo calcolatore basa il proprio funzionamento sull’importante conquista teorica del matematico scozzese John Napier of Merchiston (Nepero), e sostanzialmente riduce operazioni complesse, come la moltiplicazione o la divisione, a somma o sottrazione di segmenti la cui lunghezza è appunto uguale al logaritmo dei numeri considerati. Per avere la prima macchina capace di eseguire calcoli senza sforzo mentale da parte dell’uomo dobbiamo arrivare alla pri82
ma metà del 1600 quando Blaise Pascal per aiutare il padre, funzionario governativo incaricato della riscossione delle tasse in Normandia, inventa la prima macchina calcolatrice, la «pascalina». Questa prima calcolatrice era in grado di effettuare solo addizioni e sottrazioni e funzionava attraverso un sistema di ruote dentate divise in 10 settori corrispondenti alle cifre del sistema decimale: alla rotazione completa di una ruota corrispondeva l’avanzamento di un decimo di quella successiva. Alla pascalina fecero seguito altri analoghi tentativi, ma solo nel 1673 si arrivò alla prima macchina calcolatrice a opera di Gottfried Wilhhelm Leibniz: a differenza della macchina di Pascal, la calcolatrice di Leibniz, era in grado di eseguire anche le moltiplicazioni e le divisioni. Uno dei maggiori ostacoli alla diffusione su larga scala di queste prime calcolatrici era la tecnologia meccanica di base che li rendeva piuttosto delicati e costosi. Le prime macchine calcolatrici prodotte industrialmente comparvero nel 1820 con l’«Aritmetometro» dell’industriale Charles Xavier Thomas de Colmar, che rimase in produzione fino al 1930 circa: seguirono, nel 1885 la prima calcolatrice a tastiera dell’americano Dorr Eugene Felt, detta «scatola di maccheroni» dal telaio con cui era stato realizzato il prototipo; nel 1889 la macchina moltiplicatrice del francese Léon Bollée; nel 1893 la «millionaire» dello svizzero Otto Steiger, che fra il 1894 e il 1935 vendette più di 4.500 esemplari e che divenne disponibile nel 1910 nella versione elettrica. L’idea di una codifica meccanica di un linguaggio si trova racchiusa in alcuni semplici dispositivi ideati nell’800: dalle scatole musicali, nelle quali l’informazione è tradotta in sequenze di «0» e «1», attraverso l’invenzione delle schede perforate utilizzate nel telaio Jacquard, fino alla tabulatrice Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
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Il complesso megalitico di Stonehenge.
di Hollerith, si è giunti alla moderna elaborazione dei dati. Le prime scatole musicali o carillon risalgono all’800: il funzionamento avveniva attraverso un rullo con aghi e alla rotazione del rullo ogni ago produceva l’attivazione di una nota. Una versione più sofisticata del carillon erano le pianole, dove però il rullo è sostituito da un cartoncino forato che trasmette la sequenza di «0» e «1» alle parti meccaniche dello strumento, i martelletti. L’idea del rotolo di cartoncino forato fu di fondamentale importanza per l’invenzione delle schede perforate che vennero introdotte dal francese Joseph-Marie Jacquard a partire dal 1801, per automatizzare la tessitura di stoffe a disegno complesso. Con il telaio a schede perforate, chiamato Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
in onore del suo inventore «telaio Jacquard», l’inserimento automatico di istruzioni fa il suo ingresso nella storia della produzione industriale. Come per il carillon, il funzionamento avveniva attraverso il codice binario che permetteva di regolare un sistema di aghi che avrebbe attraversato la stoffa solo ed esclusivamente in corrispondenza del foro della scheda perforata e quindi dove c’era l’1. Molti elementi relativi al funzionamento del moderno computer erano già pronti per essere sfruttati e attraverso questi il matematico inglese Charles Babbage, creò intorno al 1840, la «macchina analitica» che è il prototipo dell’attuale elaboratore. Ritroviamo nella macchina analitica l’idea di esecuzione automatica delle istruzioni affidata al83
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le schede perforate, proprio come nel telaio Jacquard: la macchina consisteva in due parti fondamentali che erano la memoria (store) e l’unità di calcolo (mill). Nella memoria erano contenute le schede dei dati da calcolare, le schede con i dati tabellati (tavole logaritmiche) e il vero programma cioè le schede operative. A seconda del compito da svolgere l’operatore avrebbe inserito la scheda operativa e poi la macchina mediante le 5.000 ruote e i 1.000 assi dell’unità di calcolo avrebbe fornito i risultati. Nel 1880 John Shaw Billings, amministratore dell’ufficio anagrafico americano, ebbe l’idea di utilizzare le schede perforate per il censimento del 1890 e ne parlò con Herman Hollerith, un ingegnere che dopo quattro anni aveva già preparato numerosi brevetti relativi a una macchina tabulatrice che sfruttava il principio delle schede perforate. La tabulatrice di Hollerith fu, tra i numerosi brevetti depositati, quella scelta per la prova del censimento del 1890: Hollerith riceveva le schede relative agli abitanti su schede del formato di un dollaro che si adattavano agli standard esistenti del Dipartimento americano degli Interni e su ciascuna di esse erano disposte 288 caselle su cui erano praticati fori a seconda dei dati dell’individuo. Le schede venivano fatte passare in una selezionatrice che con apposite spazzole provocava la chiusura di un circuito elettrico in corrispondenza dei fori e i dati acquisiti venivano successivamente trasferiti in un’altra macchina che con appositi contatori sommava i dati delle varie categorie. L’analisi della popolazione fu completata in due anni e mezzo contro i sette del precedente censimento nonostante la popolazione fosse salita di 13 milioni di unità. Il successo procurò onori e ricchezza e Hollerith nel 1896 fondò la Tabulating Machine Company che nel 1924, fusa con altre società, divenne l’IBM (Inter84
national Business Machines). Le macchine prodotte da Hollerith trovarono larga diffusione presso le aziende e le industrie di dimensioni maggiori che necessitavano di verificare una grande quantità di dati. Fu così che tra le prime strutture che utilizzarono le macchine di Hollerith troviamo le ferrovie, le compagnie telefoniche e le società di assicurazioni. Il primo passo verso il computer fu fatto tra il 1939 e il 1944 con l’ASCC (Automatic Sequence Controlled Calculator), detto anche «Mark I». Si trattava di un calcolatore elettromeccanico a relè costruito presso l’università di Harvard sotto la guida di Howard M. Aiken e con la collaborazione dell’IBM: la macchina misurava 17 metri di lunghezza, 1 metro e 80 di altezza e conteneva 800.000 componenti e 80 km di fili. Il funzionamento era automatico ma la macchina era ancora lenta poiché funzionava coi relè in uso nelle centrali telefoniche. Nel 1943 l’Esercito degli Stati Uniti affida all’università della Pennsylvania la realizzazione di un calcolatore digitale che verrà ultimato nel 1946 presso la Moore School of Electrical Engineering: l’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer), proponeva innovazioni di hardware con l’uso delle valvole al posto dei relè, ma soprattutto l’innovazione nel funzionamento portata dal software. L’uso delle valvole produsse un incremento della velocità fra le 500 e le 1.000 unità rispetto al «Mark I», ma le dimensioni erano ancora mastodontiche: 30 tonnellate di peso su una superficie di 150 mq e 18.000 valvole all’interno con altissimi consumi (150 kilowatt) e dispersioni di calore. L’aspetto fondamentale comunque era il software e infatti l’ENIAC fu uno dei primi computer programmabili, predisposto di volta in volta a differenti funzioni. La programmazione avveniva attraverso la sostituzione di cavi e per questo Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
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serviva personale altamente specializzato. L’ENIAC venne utilizzato presso il centro di ricerche balistiche di Aberdeen per calcoli di previsioni metereologiche, progettazione di gallerie del vento, studio dei raggi cosmici ed elaborazione di tavole balistiche. I progettisti furono l’ingegnere John Prespert Eckert e il fisico John William Mauchly, con la collaborazione del matematico Herman H. Goldstine. Ma è solo con l’idea del programma memorizzato che nasce il computer moderno: il programma memorizzato è un complesso di istruzioni operative immagazzinate sotto forma di impulsi elettronici che possono essere modificate senza dover agire sui cavi. L’idea del programma memorizzato nasce dal matematico ungherese John Von Neumann e viene sviluppato nell’omonima machina, la «macchina di von Neumann». Le principali novità introdotte sono, oltre alla memoria (o programma memorizzato), una unità di organizzazione del traffico di dati detta «unità di controllo centrale», che organizza il traffico dei dati e le operazioni pianificate dal programma memorizzato. Nella macchina sono inoltre presenti organi di input e output per il trasferimento dati e una centrale aritmetica che poteva eseguire ripetutamente funzioni elementari. Contributi ugualmente importanti furono quelli di Konrad Zuse, che nel 1939 costruì una serie di prototipi a funzionamento elettromeccanico in cui i relè erano ordinati in circuiti logici sostanzialmente uguali a quelli dei moderni computer (le famose Z1, Z2, Z3 e Z4), e John Vincent Atanasoff, fisico americano di origine bulgara, che nel 1939 e nel 1942 mette a punto due protitipi con memoria rigenerativa, capace cioè di ospitare istruzioni che potevano essere modificate o cancellate, che sono pilastri per la costruzione della macchina di von Neumann. Nel 1951 nasce il primo elaboratore eletRivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
tronico digitale programmabile prodotto su scala industriale: l’UNIVAC I. Fu prodotto dai laboratori della Remington Rand Corporation e fu acquistato dall’ufficio anagrafico federale per l’elaborazione dei dati del censimento del‘50. Gli organi dell’UNIVAC I erano costituiti ancora da valvole che, seppur presentando incrementi di velocità nell’elaborazione, erano soggette a surriscaldamento e necessitavano di continue manutenzioni e grandi spazi di istallazione poichè dovevano essere poste a una certa distanza tra loro. Lo standard dell’UNIVAC I fissa le regole di produzione dei cosiddetti «computer di prima generazione», fino al 1958. Nel 1947 tre fisici dei laboratori Bell, il più grande nel mondo in campo di telecomunicazioni, mettono a punto il transistore: William Shockley, Walter Brattain e James Bardeen, inventano un dispositivo a stato solido composto da un materiale semiconduttore (il germanio che poi fu sostituito con il silicio), che funge da rettificatore e amplificatore per la corrente e che sostituisce presto le fragili e ingombranti valvole. L’introduzione dei transistori al posto delle valvole, all’interno del computer, aumenta notevolmente la velocità di elaborazione dei dati e permette di ridurre notevolmente le dimensioni, nonché i guasti. Inizia il periodo dei computer di «seconda generazione»: nel 1957 il modello 2002 della Siemens, il primo in Europa, nel 1958 il sistema 7070 dell’IBM, e nel 1959 l’italiano ELEA 9003 della Olivetti. Nel 1958 nei laboratori della Texas Instruments di Dallas, l’ingegnere Jack S. Kilby riusciva per la prima volta a combinare in una sola unità monolitica compatta, le funzioni di bobine, transistori, condensatori e resistori, il tutto a partire da un solo materiale, il germanio (sostituito successivamente con il silicio): nasce il circuito in85
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tegrato. Dobbiamo aspettare il 1964 per vedere il primo computer a circuiti integrati, l’IBM modello 360 che segna l’avvento del computer di «terza generazione». Si passava dalle 2.200 moltiplicazioni al secondo del computer di prima generazione, alle 38.000 della seconda, ai due milioni della terza, con costi che erano scesi di oltre cento volte: e pensare che l’ENIAC impiegava tre secondi per moltiplicare due numeri di 23 cifre e un minuto e mezzo per calcolare un logaritmo fino alla ventesima cifra decimale! Nel 1964 l’industria americana Fairchild, una delle maggiori produttrici americane di circuiti integrati, decide di ridurre drasticamente i prezzi e di immettere sul mercato i suoi prodotti che fino ad allora erano riservati alle aziende che lavoravano per la Difesa: è così che il computer di terza generazione si impone sul mercato. Una successiva miniaturizzazione del circuito integrato porta successivamente, senza grandi modifiche alla tecnica, alla nascita del microprocessore e del chip, e quindi del computer di «quarta generazione». Nel 1976 in un garage di Los Altos, nella valle del silicio, nasceva il primo personal computer: l’Apple. Gli ideatori erano Steven Jobs che aveva lavorato l’anno precedente presso l’Atari (una delle prime case produttrici di giochi elettronici) e Stephen Wozniak, uno dei più brillanti talenti elettronici della valle del silicio (il nome Apple fu dato da Jobs che era appassionato di filosofie orientali e diete vegetariane). Precedente all’Apple è l’Altair 8800 del 1975 che per le sue caratteristiche volte soprattutto all’esecuzione di giochi elettronici, non può essere inserito nella categoria del vero e proprio personal computer: un primo antenato dell’Apple, analogo per configurazione ma non per prezzo, poteva essere semmai il programma 101 dell’Olivetti uscito sul mercato nel 1965, che fu 86
lanciato nel settore dell’ufficio e dell’azienda come «computer da tavolo» (desktop computer). La vera novità dell’Apple fu quella di realizzare una sapiente sintesi fra cultura progressista e giovanile e mondo dell’efficienza informatica e del lavoro: all’immagine dei colletti bianchi legata all’ambiente informatico dell’IBM, si contrappone un immagine di imprenditori e intellettuali in jeans che lavora nell’informale disordine del proprio soggiorno che coincide con la filosofia del lavoro dei primi anni Ottanta e che fa la fortuna del personal computer. Al primo Apple seguì nel 1977 l’Apple II che fissò il prototipo di personal computer, modello a cui si riallacceranno decine di costruttori, tra cui la stessa IBM. La storia recente con il vertiginoso sviluppo di internet e delle nano tecnologie è noto a tutti.
Conclusioni
L
a prima grande rivoluzione scientifica della storia dell’umanità risale a oltre 2.300 anni fa, all’epoca che gli storici chiamano ellenistica, durante la quale un sapere in alcuni casi anche ben più antico si accese e letteralmente esplose. Il suo centro fu Alessandria d’Egitto, i suoi eroi Archimede — che ad Alessandria studiò — Euclide, i cui Elementi sono stati la base dell’insegnamento della geometria dal 300 a.C. al 1872 dopo Cristo, Filone, Ctesibio di Alessandria, Apollonio, Ipparco di Nicea, Diofanto di Alessandria e altri ancora. Autentici geni vivevano e inventavano a Rodi, Alessandria, Siracusa e Marsiglia. Un’epoca dei lumi nata sulle ceneri dell’impero sconfinato di Alessandro il Grande, che però per anni è stata rimossa, negata. Una rivoluzione dimenticata, cancellata persino dai documenti storici. Di quello che accadde fra il 301 e Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
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EVOLUZIONE DEI METODI DI CALCOLO
Calcolo con la mano Tavola dei Sumeri Tavola dei Babilonesi Abaco Macchina di Anticitera Individuazione dello Zero Leonardo da Vinci G.Galilei «Compasso geometrico et militare» Bastoncini di Nepero W. Schickard «l’orologio calcolatore» B. Pascal «Pascaline» G. Leibniz «calcolatrice a scatti» G. Poleni «macchina aritmetica» J. Leupold «calcolatrice» J. Jacquard «telaio a schede» C. Babbage «macchina per differenze» C. Thomas «aritmometro» C. Babbage «macchina analitica» C. Wheatstone «il relè» G. Boole «la sua logica» G. Scheutz «tabulatrice» F. Baldwin «tamburo a denti variabili» H. Hollerit «macchina per il censimento» D. Felt «comptometer» O. Steiger «Millionaire» Fleming «invenzione della valvola» V. Bush «analizzatore differenziale» A. Turing «macchina universale» K.Zuse «Z1, Z2, Z3» A. Darmstadt «regolo calcolatore» ENIAC Laboratorio ricerche balistiche US Army ……………………………………….. Intel lancia il Pentium D
il 221 avanti Cristo non ci sono praticamente rimaste testimonianze dirette. Le vicende geo-politiche e culturali che scossero i decenni seguenti, le guerre fra Roma e Cartagine, la distruzione delle biblioteche, le persecuzioni delle comunità greche ed Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010
1200 a.C. 300 a.C. 200 a.C. 87 a.C. 1500 d.C. 1500 1597 1617 1623 1642 1674 1709 1727 1770 1816 1820 1833 1837 1847 1853 1873 1884 1887 1892 1904 1930 1936 1936 1940 1944 ……… 2005
ebree di Alessandria, il saccheggio di Siracusa e l’uccisione di Archimede seppellirono per secoli un tesoro di conoscenza e di tecnologia che i Romani solo in parte furono in grado di sfruttare. L’imperatrice e matematica Ipazia, nel 415 d.C., venne lin87
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ciata da un gruppo di fanatici religiosi: l’ultimo sinistro bagliore in cui si spense una stagione aurea. L’Europa e il Mediterraneo hanno dovuto aspettare il XII secolo, e soprattutto il Rinascimento e il Seicento, per riappropriarsi di un livello tecnologico che oggi ci pare irreale e che addirittura ha spinto qualcuno a spiegare con improbabili eredità «aliene» i capolavori della scienza antica. La tecnologia con cui furono costruite le Piramidi, a base di terrazze e di scivoli, è invece umanissima, anche se siamo riusciti a comprenderla solo da pochissimo. Gli Alessandrini erano in grado di costruire macchine a vapore — come dopo di loro riuscì per la prima volta nel 1601 a Salomon de Caus, che si ispirava alla Pneumatica di Erone e di Ctesibio — e acquedotti a pressione in grado di superare dislivelli notevolissimi. Artemidoro aveva già capito, ben prima del dottor Freud, che gli uomini sognano i propri desideri e che l’attività onirica è spesso una rielaborazione criptata di ciò che viviamo nella realtà. Seleuco di Babilonia, un astronomo del II secolo a.C., aveva provato che è la Terra a ruotare attorno al Sole, e non il contrario, e
intuìto che l’universo è infinito. Per ritrovare una tecnologia in grado di costruire un Faro come quello di Alessandria o come il Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo, alto 95 metri, la cui lanterna nel 280 a.C. ruotava su se stessa e mandava luce fino a 45 chilometri di distanza utilizzando specchi parabolici e applicando la teoria matematica delle coniche, occorre attendere il XII secolo. Galileo e Newton, coscientemente, ripresero proprio dall’epoca ellenistica il metodo sperimentale, sul quale è basata la scienza moderna. Sapevano, quei saggi, che ogni volta che si perde contatto con il passato, lo si nega o lo si falsifica, nascono oscurantismo e irrazionalismo, violenza e ignoranza. Un po’ come sta succedendo oggi, con la svalutazione e il ridursi del sapere scientifico a puro consumo, con il nuovo successo di maghi e astrologi, con l’impoverirsi dell’insegnamento e l’avvento del nozionismo. Sempre più, ci riduciamo ad applicare malamente teorie che fatichiamo a comprendere, ma delle quali pensiamo di essere gli scopritori, dimenticando facilmente una storia antica di millenni. n
NOTE (1) Un differenziale analogo era stato brevettato nel 1828 da O. Pecquer, che se ne era ufficialmente attribuita l’invenzione. (2) Il Calcolatore di Antikythera è l’unico planetario giunto fino a noi, ma la letteratura latina cita un altro planetario ben più antico, costruito da Archimede nel III secolo a.C., anch’esso presumibilmente con meccanismi a ingranaggi. Cicerone (106-43 a.C., contemporaneo all’affondamento del Calcolatore di Antikythera) cita nel De Re Publica (I, 14-21 e 22) e nel Tusculanae disputationes (I,63) che, dopo la conquista di Siracusa nel 212 a.C., il console romano Marcello aveva portato a Roma un globo celeste e un planetario costruiti da Archimede (287-212 a.C.). Questo planetario è menzionato anche da Ovidio (I secolo a.C.) nei Fasti (VI, 263-283), da Lattanzio (IV sec. d.C.) nelle Divinae institutiones (II, 5, 18) e in un epigramma di Claudiano (IV secolo d.C.) intitolato In sphaeram Archimedis. In particolare, Claudiano aggiunge che lo strumento era racchiuso in una sfera stellata di vetro. Purtroppo non è rimasta alcuna descrizione dettagliata dei meccanismi che animavano il planetario in quanto l’opera di Archimede Sulla costruzione della Sfera, in cui descriveva i principi seguiti nella costruzione, è andata perduta. Tali citazioni letterarie comunque provano che la costruzione di questi meccanismi è stata molto diffusa per alcuni secoli.
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Rivista Marittima-Agosto/Settembre 2010