Progetto di formazione dei giudici nazionali
L’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione Europea nelle corti nazionali (AN – HT.4107/SI2.669503)
Conferenza inaugurale
“La cooperazione tra i giudici nazionali, le autorità di concorrenza e la Commissione Europea nell’applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione”
Corte Suprema di Cassazione Roma, 6 maggio 2014
Sessione 2 - Presiede:
Pres. Riccardo Virgilio
Presidente Aggiunto del Consiglio di Stato
L’accesso e la valutazione della prova nelle controversie in materia antitrust. Gli obblighi di ostensione nel diritto nazionale e comunitario Dott.ssa Gabriella Muscolo Componente, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
SOMMARIO: 1. Introduzione: il diritto delle prove nell’ enforcement delle regole antitrust. 2. La disclosure della prova nella proposta di direttiva: a) I principi e i criteri direttivi sull’ onere della prova; b) Il Capo II della direttiva e le norme sulla divulgazione della prova; c) Cenni
allo
standard
di
prova.
3.
Conclusioni:
prova
e
complementarietà tra public e private enforcement.
1.
Introduzione: il diritto delle prove nell’ enforcement delle regole
antitrust. La proposta di direttiva sulle azioni di risarcimento del danno antitrust, approvata dal Parlamento europeo il 17 aprile us, si fonda sulla premessarichiamata nei considerandum 12 e 13 e illustrata nella relazione –che il diritto
delle parti alla prova costituisca un profilo del loro diritto di azione,
il
processo in materia sia caratterizzato dalla asimmetria informativa delle parti e ciò costituisca uno dei principali ostacoli all’ effettivo private enforcement delle regole di concorrenza. Nel dettare, al Capitolo II intitolato alla “Ostensione della prova”, ma anche in altre disposizioni, norme dirette a superare questo ostacolo, la proposta di direttiva delinea un microsistema di diritto delle prove con elementi di netta specialità rispetto al sistema generale, atto a costituire un paradigma piuttosto avanzato in argomento. Questo sottosistema di norme è retto da alcuni principi generali, alla luce dei quali dovrà essere interpretato e applicato: il primo è quello della centralità del ruolo del giudice nel garantire la tutela del diritto alla prova delle parti, giacchè il modello di processo scelto è quello della maggioranza degli Stati Membri, di diritto continentale, ed è un modello Court centered e non adversarial. Il secondo principio però è quello per cui la tutela di tale diritto in sede di private enforcement non deve compromettere il public enforcement delle regole antitrust, che se da un lato può concorrere ad accrescere l’ effettività del diritto delle parti alla prova, dall’ altro può giustificarne alcuni limiti. Il mio contributo esamina le norme sulla raccolta e la valutazione della prova nel processo antitrust e la sua tesi critica è nel senso della opportunità di una
ricostruzione del sistema tale da garantire la massima complementarietà tra public e private enforcement delle regole di concorrenza.
2. La disclosure della prova nella proposta di direttiva. a) I principi e criteri direttivi sull’ onere della prova. La regola generale dell’ art. 2 del Regolamento 1/2003, di allocazione dell’ onere della prova dei fatti costitutivi della domanda alla parte attrice nel processo- propria di quasi tutti i sistemi europei- resta ferma. Due disposizioni però debbono essere esaminate a questo proposito e cioè gli articoli 12 e 16 nel testo approvato dal Parlamento Europeo: la prima norma, scegliendo tra le opzioni del Libro Verde, come già anticipato nel Libro Bianco, qualifica espressamente il passing on come una “ difesa” e per l’ effetto pone l’ onere della prova a carico della parte convenuta, che può “ ragionevolmente” chiedere la disclosure. Preso atto della scelta legislativa espressa circa la qualificazione del pass on non può quindi parlarsi in questa fattispecie di una inversione dell’ onere della prova o di una presunzione ancorchè relativa. Il richiamo del diritto alla discovery “ ragionevole” appare poi pleonastico, non potendosi dubitare della applicabilità degli articoli 5 s.s. anche alla prova del trasferimento del sovraprezzo.
La seconda disposizione, sulla quantificazione del danno, al pa 1 afferma il principio direttivo secondo cui onere e standard della prova del quantum del danno non debbono rendere l’ esercizio del diritto alla azione di risarcimento “ praticamente impossibile o eccessivamente difficile”. Al di là del favore espresso per il private enforcement non è chiaro quale sia l’ effetto sul regime dell’ onere della prova, salvo quanto in appresso. Il pa 2 infatti porta il criterio per cui si presume che i cartelli causino danni, salva prova contraria della impresa convenuta; il testo presenta una certa qual ambiguità, e si presta a due interpretazioni: per la prima esso prevede una presunzione relativa della mera idoneità dannosa in astratto del cartello, fermo restando l’ onere della prova dell’ esistenza e dell’ ammontare del danno in concreto per il singolo attore. Tale opzione ermeneutica si fonda sulla natura della norma, derogatoria dell’ onere della prova, e quindi eccezionale e di stretta interpretazione, nonché, per quanto possa rilevare, sulla introduzione alla direttiva, che esclude la “doppia presunzione” e precisa che il singolo attore ha comunque l’ onere di provare il danno causatogli. La seconda interpretazione estende la presunzione anche al’ esistenza e all’ ammontare del danno in concreto, e si fonda su un criterio sistematico, essendo la norma intitolata e tutta dedicata alla quantificazione del danno, ipotizzabile soltanto in concreto.
b)Il Capo II della direttiva e le norme sulla divulgazione della prova. Le nuove norme del Capo II della proposta di direttiva (artt. 5/8) sono di diritto processuale e regolano l’ accesso delle parti alla prova, e perciò, in quanto dirette al giudice, la raccolta della prova stessa nella fase istruttoria. Esse introducono per tutti i sistemi, anche di civil law, la discovery, con una fattispecie diversa però da quella dei sistemi di common law e adversarial . L’ art. 5.8, che permette agli Stati membri di ampliarne la portata è infatti destinato in particolare a UK e Irlanda. Il modello della nuova misura è la discovery già introdotta dalla direttiva CE 48/2004 sull’ enforcement dei diritti di proprietà industriale e il suo carattere principale è la applicazione sotto il controllo del giudice. Le condizioni prescritte per la discovery sono quattro: a) la semiplena probatio dei fatti; b) la rilevanza dei fatti e delle prove da acquisire; c) la prova che le informazioni sono nella sfera della controparte o di un terzo; d) la specificazione “ ragionevole” delle informazioni richieste. Tutto il sottosistema di norme sulla disclosure è retto dal principio di proporzionalità,
già affermato dall’ art. 3 della direttiva enforcement);
in
aggiunta l’ art. 5 para 3 porta una definizione della proporzionalità come bilanciamento tra “ gli interessi legittimi di tutte le parti”, rafforzando il ruolo del giudice di cui detto bilanciamento è compito.
La proposta di direttiva non si limita alla definizione-senza precedenti nel sistema di diritto positivo- della proporzionalità, ma codifica anche gli standards di riempimento della clausola in bianco: a) il fumus di fondatezza della pretesa; b) la ampiezza e il costo della ostensione delle informazioni, allo scopo espresso di evitare le c.d. fishing expeditions; c) la riservatezza delle informazioni e i mezzi di protezione delle informazioni riservate. Su tale ultimo punto, il ruolo attribuito alle Corti nel bilanciamento degli interessi confliggenti all’ accesso alla prova, profilo del diritto di azione, da un lato, e alla riservatezza dall’ altro, pare riprendere il principio affermato dalla Corte di Giustizia nel caso Pfleiderer. Nell’ ultimo paragrafo del testo approvato dal Parlamento Europeo è stato introdotto
espressamente
il
principio
del
contraddittorio
nel sub-
procedimento di adozione della misura di discovery, come diritto dei destinatari dell’ ordine a essere sentiti. Gli articoli 6 e 7 dettano norme speciali per la divulgazione delle informazioni contenute nel fascicolo di una Autorità Nazionale della Concorrenza: il para 4 fissa il criterio di residualità della discovery diretta alla AN, rispetto a quella che ha per destinatari le parti e i terzi. Il para 3 contiene la norma generale del microsistema di divulgazione delle prove in possesso della AN: è una norma di permesso che prevede la c.d. white
list , definita però per esclusione, come includente tutte le informazioni escluse dalla grey e dalla black list . Il para 2 contiene la grey list, cioè l’ elenco di informazioni di cui è permesso chiedere la divulgazione unicamente dopo la chiusura del procedimento davanti alla AN: a) le informazioni preparate da terzi specificamente per il procedimento; b) le informazioni predisposte dalla AN nel corso del procedimento e comunicate alle parti; c) le informazioni relative a proposte di transazione con impegni non perfezionatesi. Il para 2a detta invece la black list e cioè l’ elenco di informazioni ( o parti di esse) per cui vi è divieto di ostensione: a) le informazioni relative a programmi di clemenza; b) le informazioni relative a decisioni con impegni. Il para 1 c specifica il test di proporzionalità in relazione alla divulgazione di prove in possesso della AN: a) in particolare il criterio della specificità della richiesta è dettagliato in rapporto alla natura, oggetto e contenuto delle informazioni; b) è aggiunto il criterio della destinazione della prova al processo avanti alle Corti nazionali; c) la necessità di salvaguardia dell’ effettività del public enforcement. Quest’ ultimo, indicato dalla proposta di direttiva come uno degli standards con cui il giudice, con la partecipazione della AN che lo ritenga, ai sensi del para 5, deve riempire la clausola di proporzionalità, costituisce in verità la ratio della norma in esame e uno dei principi guida di tutta la direttiva.
L’ art. 7, che regola i limiti all’ uso delle evidenze acquisite dalla AN, ad opera unicamente delle parti interessate e nei processi per cui sono state acquisite, ha lo scopo di prevenire abusi del diritto di accesso alle prove. Infine l’ art. 8 prevede sanzioni per l’ ipotesi di violazione o abuso del diritto alla discovery, e in particolare: a) per l’ inottemperanza dell’ ordine di discovery
e
di protezione delle informazioni riservate; b) per la distruzione di prove rilevanti; c) per l’ abuso del diritto di ostensione o della prova ottenuta mediante discovery. Le norme sulle sanzioni sono a loro volta rette dai tre principi: a) effettività; b) proporzionalità; c) deterrenza. c) Cenni allo standard della prova. Le norme della proposta di direttiva che regolano la valutazione della prova da parte del giudice in fase di decisione non sono numerose: la prima è quella dell’ art. 16 sulla quantificazione del danno, già citata, che afferma il criterio di non eccessivo innalzamento dello standard di evidenza dell’ ammontare del pregiudizio. Questo criterio è espresso dalla norma anche con la previsione della liquidazione equitativa del quantum di cui non può essere altrimenti data la prova, liquidazione prevista da tutti i sistemi degli Stati membri e che risponde a uno standard probatorio minimo.
Tuttavia la proposta di direttiva, al para 2b della stessa disposizione sembra invece promuovere un innalzamento dello standard probatorio in sede di liquidazione del danno, prevedendo la assistenza delle AN alle Corti nella fase di determinazione del suo ammontare. Cioè è coerente con la pubblicazione del Documento di orientamento e la sua Guida pratica sulla quantificazione del danno, una raccomandazione non vincolante diretta alle Corti, che fornendo appunto criteri di orientamento tra i diversi modelli econometrici. Questa, al di la delle intenzioni del legislatore europeo, non può non costituire incentivo all’ uso della prova tecnico economica, che, pur nella complessità del dibattito a proposito, costituisce lo strumento probatorio che permettere di raggiungere il più elevato standard di evidenza dei fatti economici. Una seconda norma sullo standard probatorio è quella dell’ art. 9 sull’ effetto delle decisioni delle AN, con particolare riferimento al para 2 per l’ effetto probatorio cross border , che qualifica la decisione della AN straniera come elemento di prova da valutarsi nel contesto dell’ ulteriore materiale probatorio.
2. Conclusioni: prova e complementarietà tra public e private
enforcement. Il sistema proposto è stato conclamato come a “due pilastri”, fondato cioè sia sul public enforcement sia sul private enforcement, esso resta pur sempre centrato sul
primo : le norme cruciali a proposito sono quelle sull’ accesso alle informazioni in possesso delle AN e sull’ effetto vincolante delle decisioni di queste per le Corti. Questa opzione appare ragionevole in una fase di transizione, in cui il private enforcement non ha ancora avuto una piena evoluzione in tutti gli Stati Membri; ma l’ interprete dovrebbe evitare una ricostruzione del sistema come fondato su un mero parallelismo di public e private enforcement, che operano come due linee rette destinate a incontrasi soltanto eccezionalmente, con il conseguente indebolimento di entrambi i profili di tutela. Per contro la ricostruzione ottimale del sistema dovrebbe fondarsi sul principio di coordinamento tra Corti e Autorità Nazionali della Concorrenza, già affermato implicitamente dal regolamento 1/2003, in un contesto di complementarietà tra public e private enforcement che solo può rafforzare la attuazione del diritto antitrust. Nel sottosistema di diritto delle prove nel processo antitrust sono identificabili almeno tre norme in cui si invera il principio di cooperazione: la prima è quella dell’ art. 6 pa 2 b, che prevede la assistenza della AN alle Corti nell’ accertamento della natura delle informazioni di cui al para 2b come effettivamente attinenti a programma di clemenza e a impegni e quindi inclusi nella black list.
La seconda norma rilevante a proposito è quella del medesimo art. 6 para 5, per cui la AN può di propria iniziativa presentare osservazioni alla Corte in punto test di proporzionalità della discovery. La terza norma in cui si invera il principio di cooperazione è quella dell’ art. 16 para 2b già citato, sulla assistenza della AN alle Corti nella determinazione dell’ ammontare del danno. Il miglior modo per rendere effettiva la complementarietà tra private e public enforcement è la rapida attuazione di queste norme con la instaurazione di buone prassi di coordinamento tra AN e Corti nazionali: potremmo darvi avvio con la costituzione di un osservatorio di monitoraggio sulla adozione e applicazione della direttiva, a cui partecipino insieme rappresentanti delle diverse magistrature e delle AN.