Notiziario Enti Locali della CGIL FP Piemonte M ar zo 20 13 Nume ro 1 5 - A nn o I I
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Supplemento di INFORMAcigielle Periodico della Funzione Pubblica CGIL Torino - Aut. Tribunale di Torino n. 3273 del 24/3/1983
La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti di Laura Seidita, segretaria regionale CGIL Piemonte Nel nostro paese nel 2012 le donne uccise per mano degli uomini sono state 126 e il 2013 sembra già un bollettino di guerra
IN QUESTO NUMERO interventi di Cristina Bargero Matteo Barbero Gianni Esposito Daniela Loriga Francesco Montemurro Serena Moriondo Sergio Negri Laura Onofri Giovanna Quaglia Luca Quagliotti Laura Seidita Donatella Turletti Barbara Tinello
Chi l’avrebbe detto che al flash mob planetario avrebbero aderito 189 Paesi del mondo, oltre 70 città in Italia, 13mila organizzazioni compresa la CGIL che fin dal mese di novembre ha realizzato una campagna nazionale sulla violenza contro le donne, riassunto negli striscioni che hanno campeggiato in molte delle nostre sedi con su scritto: “La violenza sulle donne è una sconfitta per tutti”. Il 14 febbraio scorso più di un miliardo di donne e uomini insieme hanno ballato nelle piazze e nelle strade del mondo contro la violenza sulle donne, la prima iniziativa mondiale per affermare il diritto alla vita e alla dignità delle donne. Ma un miliardo di donne che danzano per le strade nel mondo è una rivoluzione, dice Eve Eusler, autrice dei celeberrimi “Monologhi della vagina, Manifesto della sessualità femminile e atto di denuncia delle violenze”, tradotto in 48 paesi. Un miliardo è il numero di donne violate nel mondo: un’atrocità. Nel nostro Paese nel 2012 le donne uccise per mano degli uomini sono state 126 e il nuovo anno appena entrato sembra un bollettino di guerra. Penso che la forma scelta del flash mob - e il fatto che si sia svolto contemporaneamente in tutto il mondo - aiuti tutti coloro che vogliono fare un passo in avanti nel contrastare la violazione dei diritti fondamentali delle donne e della loro libertà e una concezione ormai intollerabile del rapporto tra i sessi. Una risposta efficace e positiva a questa giornata sarebbe il cambiamento della cultura e delle leggi.
Importante sarebbe la reiterazione della proposta di legge presentata dalla già On.le Anna Serafini “Norme la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio” che ci auguriamo e chiediamo che sia tra le priorità del Governo. Come chiediamo alla Regione Piemonte di dare attuazione alla Legge Regionale n. 16 del 29/5/2009 “Istituzione di centri antiviolenza con case rifugio” non più finanziata in questi anni. L’attacco alle donne non è più tollerabile, non si può essere uccise solo perché si vuole essere libere di decidere cosa fare della propria vita, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, marito, compagno. Per il bisogno di autodeterminazione serve oggi più che mai investire sulle donne e sulla solidarietà tra donne per costruire un’Italia migliore. Pur essendo consapevoli che le donne italiane sono quelle che pagano più duramente il prezzo della crisi, ma sono anche quelle che stanno reagendo mettendo in atto strategie nuove, stanno creando innovazioni nel lavoro, nelle aziende, nel welfare. Sono le animatrici di quel profondo motto di riscossa civica contro il degrado della politica. Le donne ci mettono ideali e passione (vedi il grande movimento “Se non ora quando” e non solo) ma esigono concretezza. Per questo il nuovo Governo deve essere all’altezza: buona e piena occupazione femminile, conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, servizi sociali. Lotta alla violenza, cittadinanza per i figli degli immigrati.
Attualità
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IL VOTO DEL 24 E 25 FEBBRAIO
E adesso ?? di Gianni Esposito, segretario generale CGIL FP Piemonte Con il voto di domenica 24 e lunedì 25 febbraio i cittadini hanno deciso di non dare un Governo al Paese. L’Italia giusta vince le elezioni politiche con pochi voti di differenza sul centro destra con una maggioranza alla Camera, ma non al Senato.Vittoria del Movimento Cinque Stelle che diventa il primo partito alla Camera, che non porta solo l’anti-politica ma anche proposte concrete, vedi quelle ambientali e i costi della politica. La parola passa ora al Presidente Napolitano: solo dopo i primi colloqui con le forze politiche sapremo se si riuscirà ad avere una maggioranza che, visto il voto, non potrà che governare per un breve periodo, il tempo necessario per cambiare la legge elettorale e dare le prime risposte alle tante domande arrivate dagli elettori. Nella situazione in cui eravamo e siamo, il Paese aveva bisogno di stabilità e governabilità, e come sempre la Cgil starà al merito dei provveddimenti. Ci aspettiamo un cambiamento, questo si, per tutto quanto abbiamo espresso in questi cinque anni attraverso proteste e proposte come quella formulata a Roma alla conferenza programmatica
della Cgil il 25 e 26 gennaio scorso per il Piano per il Lavoro. Abbiamo bisogno che nessuno venga lasciato solo, quindi si parte dal rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, dagli esodati, esonerati, dal dimostrare che i costi della politica possono scendere. Si dia una risposta alle tante imprese che aspettano i pagamenti dal governo centrale e dagli Enti locali. Poi la rivisitazione del Patto di stabilità che vede molti Comuni avere soldi senza poterli spendere, per mettere in sicurezza le scuole, gli ospedali, le città. Si rimetta al centro il lavoro. Il PDL nonostante la rimonta di Berlusconi con le sue promesse, vedi per esemprio la restituzione dell’Imu e il condono tombale, insieme alla Lega Nord, esce da queste elezioni con molti voti in meno, conseguenza delle politiche dei Governi Berlusconi Bossi e Tremonti di questi anni. Anche Monti paga per le tante tasse e per le politiche di austerità di questo ultimo anno di Governo. Ora è il momento della responsabilità. Noi non possiamo aspettare che i problemi aumentano giorno dopo giorno e per questo abbiamo deciso, prima delle scorse elezioni, due importanti iniziative. Una a livello nazionale della sola FP CGIL di sabato 23 marzo a Roma, Manifestazione Nazionale per la difesa dela sanità pubblica, per la difesa del lavoro e per i rinnovi dei contratti nazionali di lavoro pubblici e privati. Per fermare la frantumazione dei contratti e per una nuova stagione dei diritti. La seconda, a livello regionale e unitaria, nel mese di aprile, contro le politiche della Giunta Cota.
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SPECIALE FESTA DELLA DONNA “... Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex. Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore. La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda. Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia… Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti.? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.” Luciana Littizzetto - S. Remo 2013
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SPECIALE FESTA DELLA DONNA
8 marzo di speranza e di lotta di Luca Quagliotti, segretario regionale CGIL FP Piemonte Secondo l’ISTAT è sul posto di lavoro che si esercita con maggiore frequenza il ricatto sessuale. È invece la famiglia il luogo dove si registrano più soprusi, violenze e omicidi. Nel 2011 e nel 2012 sono state uccise 120 donne Lotta alla violenza sulle donne e rispetto della donna in gni momento della sua vita sociale, lavorativa, e famigliare. Questo è il tema che si sta imponendo all’attenzione dell’opinione pubblica, grazie a un vasto movimento promosso da associazioni femminili e da numerose organizzazioni politiche e sociali, tra cui il nostro sindacato. Sembra paradossale che a circa 150 anni dall’inizio della battaglia per l’emancipazione e l’uguaglianza della donna - sostenuta con forza dal Movimento Operaio dalle sue origini e dalle grandi lotte politiche e culturali della seconda metà del Novecento promosse dai movimenti femminili e femministi - si debba tornare su un punto fondamentale: il rispetto delle differenze e della persona come premessa indispensabile del vivere civile. Eppure i dati sono drammatici, tanto da far nascere dubbi sulla festa dell’8 marzo in un Paese come il nostro, dove si calcola che la metà delle donne tra i 14
e i 65 anni abbia subìto, nell’arco della propria vita, ricatti sessuali sul lavoro o molestie sotto varie forme (pedinamenti, esibizionismo, telefonate oscene, molestie verbali e fisiche). Secondo l’Istat è sul posto di lavoro che si esercita con frequenza il ricatto sessuale. Sono ben 1 milione e 224mila le donne che hanno subito molestie o ricatti, pari all’8,5% delle lavoratrici, incluse le donne in cerca di occupazione. Le più colpite dalle molestie sono le ragazze tra i 14 e i 24 anni (38,6%): per loro la probabilità di essere oggetto di molestie e ricatti è doppia rispetto alla media. Subito dopo vengono le donne comprese nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni (29,5%). È nelle famiglie che si registrano più soprusi, violenze e omicidi. Nel 2011 e nel 2012 sono state uccise 120 donne. Nella maggioranza dei casi (l’85%) per mano del proprio compagno o del proprio marito.
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Sono dati gravi, ma non dicono tutto. È possibile che i femminicidi siano più di quelli rilevati: in Italia, infatti, non esiste un “Osservatorio nazionale sul femminicidio” e per questo motivo non sono stati inviati i dati 2011 al Comitato Cedaw ONU (Comitato dell’eliminazione della discriminazione nei confronti della donna). Questo disinteresse del nostro Paese e sulla violenza contro le donne la dice lunga su quanto l’Italia sia lontana dall’affrontare il problema. A questi dati, già di per se terribili, occorre aggiungere gli oltre 4800 stupri denunciati ogni anno, sottolineando che circa il 90% delle donne preferisce non denunciare la violenza subita, spesso per paura o per vergogna e per il fatto che il bastardo è membro della famiglia: in quasi il 70% dei casi lo stupratore e il violento è il partner. Dietro questi dati vi sono donne umiliate nel loro intimo e spinte, non di rado, nella disperazione più profonda. Perché tutto ciò è possibile? Perché, almeno in parte, in Italia permane una cultura maschilista idiota che concepisce la donna come una propria proprietà, e non come una persona. Non è priva di responsabilità una legislazione che considera la violenza sulla donna “un male minore”, nonostante i grandi passi in avanti compiuti negli anni più
recenti. Non è sufficiente avere buone leggi, buoni giudici e pene severe. Si tratta di un salto culturale. Come spesso capita, per invertire questo terribile trend di violenza, occorrerebbe investire nella formazione scolastica e nell’educazione permanente degli adulti. Solo partendo da una formazione culturale responsabile e in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è gravemente sbagliato, si potranno raccogliere risultati durevoli. Solo coltivando il rispetto e il valore delle differenze, riusciremo ad aumentare la consapevolezza nelle future generazioni che la violenza, le vessazioni, le umiliazioni sono sempre e comunque la risposta sbagliata a delusioni o a contrasti tra persone o, peggio ancora, per sfogare frustrazioni. Abbiamo un forte bisogno di una cultura che consideri moralmente deplorevole il comportamento di certi avvocati che, in difesa dei propri assistiti, umiliano le donne che denunciano le violenze subite. Qualche anno fa un avvocato difensore chiese a una donna che era stata violentata, se portava abitualmente le mutandine e di che tipo. Come se questo possa fare la differenza. Mio padre, quando avevo poco più di 10 anni e si stava discutendo di uno degli ennesimi atti di violenza subiti da una donna,
mi disse una frase che non ho mai dimenticato: “Una donna ha diritto a dire di no sino all’ultimo secondo. Anche se foste nudi nello stesso letto, lei ha diritto a dire di no. Il sesso deve soddisfare un desiderio reciproco e deve basarsi sul consenso esprimendo una comune volontà, se no è violenza”. La battaglia culturale deve iniziare dalla scuola, dalla formazione delle nuove generazioni. Se si insegnasse il rispetto per l’autodeterminazione degli altri forse, tra qualche anno, riusciremmo a diminuire sensibilmente la violenza contro le donne nel nostro Paese. I cambiamenti culturali richiedono tempi lunghi e per questo nel frattempo si deve lavorare su questioni concrete. Occorre investire nei centri antiviolenza, nelle case aiuto, nel supporto psicologico, nei centri anti tratta delle donne (tenendo conto che le donne straniere uccise sono tra il 15% e il 25%). Occorre porre limiti alle pubblicità che utilizzano in modo improprio il corpo delle donne. Un uso talmente improprio da costringere il presidente Napolitano a inviare, nel 2011, un messaggio alla presidente della Commissione per le pari opportunità, in cui con forza affermava: “È evidente che la comunicazione di un’immagine della donna che risponda a funzioni ornamentali o che venga offerta come bene di consumo offende profondamente la dignità delle donne italiane. Non solo: questo stile di comunicazione nei media, nelle pubblicità, nel dibattito pubblico può offrire un contesto favorevole dove attecchiscono molestie sessuali, verbali e fisiche, se non veri e propri atti di violenza anche da parte di giovanissimi. Bisogna educare i giovani al rispetto della donna.” Non è vero che non si può cambiare. Si può, se lo vogliamo. Ecco perché credo che questo 8 Marzo debba essere di speranza e di lotta. Io, nel mio piccolo, il cambiamento lo voglio ed è per questo che assieme a tanti altri, nella nostra CGIL, mi impegno da militante guardando con convinzione a un futuro migliore per le nuove generazioni. Buon 8 marzo, compagne e amiche in una comune battaglia.
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SPECIALE 8 MARZO
Stop alla violenza sulle donne di Laura Onofri, Se Non Ora Quando Torino Fra pochi giorni sarà di nuovo l’8 marzo, la giornata internazionale della donna, comunemente definita festa della donna. “Ma cosa c’è da festeggiare?” Le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne da quel lontano 1909, anno in cui si è stata celebrata per la prima volta negli Stati Uniti, sono state molte e rilevanti, ma le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono ancora fatte oggetto in Italia e nel mondo sono ancora tante e gravi ed è evidente il nesso fra la violenza e tutte le altre discriminazioni subite ancora oggi dalle donne. Come scrive Alisa Del Re: “Qualsiasi azione per combattere la violenza contro le donne non può essere efficace se non viene affrontato il problema della disuguaglianza strutturale, particolarmente per quanto riguarda la violenza domestica di cui spesso il femminicidio ne è l’estrema ratio”. Il racconto delle donne giovani e meno giovani che abbiamo incontrato in questi anni nelle molte iniziative, nelle piazze, nelle scuole, nei teatri, compongono un collage di
parole e immagini che sono tornate a riempirsi di contenuti simbolici e reali, di valori condivisi e inclusivi: un racconto a più voci, arricchito da desideri, bisogni, possibilità di scelta, libertà e diritti. Il sogno di una società diversa, costruita sulla solidarietà tra generi e generazioni, in cui convivono differenze, eguaglianze, pari opportunità: in altri termini una piena cittadinanza. Tanti ostacoli ancora si frappongono a che questo desiderio diventi realtà. Diseguaglianze, discriminazioni, privilegi, corruzione, limiti all’accesso e all’esercizio dei diritti umani fondamentali delle donne: la vita, la sicurezza, la salute, il lavoro, il benessere, il diritto alla maternità per arrivare fino ai diritti politici ed economici. Capire le ragioni profonde della costante negazione di cittadinanza, in ogni ambito della vita pubblica e privata, è il primo passo da cui partire. Individuare i nessi tra le discriminazioni che sono all’origine della violenza e la mancanza delle donne nei luoghi decisionali dell’economia, della politica, dei media e della produzione culturale anche contemporanea, è il primo passo per contrastare questo fenomeno divenuto ormai un tema ineludibile dall’agenda politica del nostro Paese. Ci è ormai chiaro ed evidente che la violenza sulle donne ha spesso un volto invisibile, nascosta perchè non denunciata; multiforme perchè si concretizza in molti modi, trasversale a ogni categoria sociale, etnia, religione e latitudine; orribile e raccapricciante per le modalità con cui e si manifesta per soffocare gli aneliti di libertà. Ma la violenza, svelando se stessa, svela tutte le discriminazioni e questa consapevolezza ormai raggiunta, ha indicato agli uomini e alle donne le ragioni più profonde della violenza e la strada per contrastarla. Il termine femminicidio, che spesso
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veniva usato per crimini commessi in terre lontane dal nostro Paese o solo da addetti ai lavori, è entrato nel linguaggio comune ed è oggi usato dai media. Questo termine così crudo ma così immediato ha risvegliato le coscienze e messo a nudo la vergogna di un’intera società che non è in grado di far fronte a un’emergenza come quella della violenza, con numeri di vittime impressionanti e di uno Stato che non ritiene di farsi carico di un problema che non è privato, ma pubblico. Anche molti uomini hanno cominciato a capire che il problema li riguardava, hanno iniziato una seria analisi sulla propria identità, sulle ragioni della violenza di genere, su modelli sociali e culturali stereotipati, sulla qualità della relazione con la donna e con il suo corpo. Hanno voluto parlare con le donne. Da parte delle istituzioni la firma della Convenzione di Istanbul è un primo passo, ma stiamo ancora aspettando la ratifica della Convezione stessa, senza la quale questo impianto normativo non diventa legge dello stato e quindi rimane lettera morta e, cosa ancor più importante non vengono assegnate le risorse economiche necessarie e continue per istituire e far funzionare una rete integrata di servizi. Per affrontare in modo concreto il fenomeno della violenza è necessario individuare, come scelta politica e organizzativa, un solido punto di riferimento a cui possano rapportarsi tutti gli interventi a sostegno e supporto delle donne maltrattate: questo punto di riferimento è senz’altro il Centro Antiviolenza. Il Centro deve gestire e organizzare i due distinti percorsi che le donne devono affronatre nel momento in cui subiscono violenza: uno in emergenza e l’altro di uscita dalla situazione di disagio con un progetto individuale multidisciplinare che accompagni la donna nel percorso faticoso e doloroso, ma necessario, di ricostruzione di una vita autonoma e indipendente. Il Centro Antiviolenza deve agire da “ponte” tra il momento sanitario e l’intervento sociale.
Le norme sui Centri Antiviolenza assicurano accoglienza, sostegno, supporto alle donne e ai loro bambini: consulenza psicologica, consulenza e assistenza legale, accompagnamento, sostegno per l’elaborazione del trauma, sostegno educativo dei minori in caso di violenza assistita, sostegno alla genitorialità per il recupero del rapporto madre-bambino, supporto economico, casa, inserimento socio-lavorativo. Questi servizi devono avere due caratteristiche fondamentali: la continuità e la professionalità che si possono raggiungere solo con l’investimento di risorse economiche adeguate, certe e durevoli. L’indipendenza economica della donna è fondamentale nel processo di uscita dalla violenza. Va, quindi, affrontato con attenzione questo problema: le donne hanno una maggiore difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro sia per il contesto economico-sociale che attraversiamo sia perché i percorsi di vita hanno reso difficile l’avvio al lavoro o il suo mantenimento. Il collegamento con i Centri per l’impiego, ma anche con i servizi di orientamento al lavoro, devono entrare di diritto fra le azioni di
sistema da prevedere nei percorsi di uscita dalla violenza. E’ auspicabile che anche in Italia si possa prevedere una collaborazione con i datori di lavoro (si veda a questo proposito l’esperienza inglese di Patricia Scotland) chiedendo un impegno costante e sostanziale per assicurare il diritto al lavoro alle donne che, ridotte in soggezione per violenze, si trovano una volta di più discriminate. Ribadiamo che la violenza di genere non è un affare “femminile” né uno slogan pre-elettorale: è una questione di democrazia negata che si combatte con trasformazioni culturali e ampiamente condivise, capaci di diffondere l’affermazione della legalità, dei diritti, delle libertà e del reciproco riconoscimento dei generi. Dunque, oltre che di leggi, abbiamo bisogno di una politica nuova, fatta da uomini e da donne, e quindi di una democrazia paritaria. Il resto, ci auguriamo, seguirà grazie alla forza delle donne.
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MESTIERI DA UOMINI? Voglio diventare guardiaparco! di Elisa, guardiaparco Il segno che ci contraddistingue tutte è la forte determinazione, l’aver scelto il mestiere di guardiaparco. Nessuna casualità. E questo spesso porta a eccellere, perché se sei donna devi fare di più. Gli animali. È per loro che ho scelto di fare il guardiaparco. L’imprinting è faccenda seria, devo ringraziare i miei genitori perché hanno scelto di vivere in montagna e mi hanno dato la possibilità di vivere un’infanzia selvaggia, fuori. L’aria aperta è il mio habitat. Ma il “danno” credo l’abbiano fatto Walt Disney con Bambi e la serie tv di Wonder Woman, moderna amazzone, eroina del bene. A 3 anni giravo con la mantella cerata e gli stivali da pesca sotto la pioggia. A 10 anni mi sono iscritta al WWF, da sola, chiedendo 10 mila lire per pagare il bollettino postale. A 11, come regalo della Cresima, ho chiesto un binocolo. Niente da stupirsi quindi se alla maturità ho affermato che il mio sogno era studiare per fare il guardiaparco. La prof di italiano è inorridita e mi ha tolto il saluto per qualche mese. Anche mio papà si è preoccupato quando ho vinto il primo concorso da guardiaparco. Me lo ha lasciato fare solo perché confidava sulla scadenza del contratto a termine. “Non voglio che lavori in mezzo agli uomini!”. Quando ho passato anche il concorso per il tempo indeterminato, lui purtroppo non c’era più. Sono poche le donne che fanno il guardiaparco. Con molte di loro sono in contatto via mail o ci sentiamo per telefono. Quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa per l’8 marzo, ho chiamato la collega e amica Annalisa, perché lei ha una marcia in più rispetto a me, lei ha una figlia e volevo sentire la sua opinione. Mi ha confortato dicendo che come tutti i lavori è questione di organizzazione, giusto la distanza della trasferta, gli orari da conciliare con la scuola che possono creare qualche problema, non la divisa. La maggior parte delle colleghe invece non ha figli, come me, molte sono indipendenti, pochissime quelle sposate o “accompagnate”. Spesso l’altra metà del cielo è anche un collega. Per forza, gli orari dei turni non ti permettono di fare una vita normale e la passione per il lavoro è il denominatore comune: rimani guardiaparco anche quando arrivi a casa e ti cambi. Non tutti gli uomini sono in grado di accettarlo. Il segno che ci contraddistingue tutte è la forte determinazione, l’aver scelto il mestiere di guardiaparco. Nessuna casualità. E questo spesso porta a eccellere, perché se sei donna devi fare di più. Così ci sono quelle
che sono delle atlete, di corsa in montagna (Claudia) o di sci. Quelle che sparano come dei cecchini (Silvia,Simona), quelle che sono laureate in giurisprudenza e ti fanno dei verbali e delle denunce a prova di Ghedini (Stefania). Quelle che sono mamme e sanno accompagnare i ragazzini delle scuole e che hanno sempre pronto qualcosa di buono da mangiare dentro lo zaino anche per il collega (Annalisa). Quelle che usano la loro bella chioma bionda, gli occhioni azzurri e il loro sorriso per distrarre i soggetti sottoposti a controlli (Eleonora). La fisicità però può diventare un problema nell’ambiente di lavoro e alcune colleghe hanno preferito negli anni crearsi una cortina protettiva, trascurare la loro femminilità, presentarsi quasi spettinate, senza trucco, gioielli, per farsi accettare dai colleghi ed eliminare alla radice ogni problema di approccio sessuale. Scarponi zaino e divisa aiutano in questo. L’equilibrio è sempre difficile. Perché la discriminazione esiste. Più evidente nelle vecchie generazioni che apertamente magari ti dicono che non vogliono fare un notturno con te, perché non si sentono sicuri. Qualche cacciatore che non ti rivolge neanche la parola e se gli chiedi i documenti li consegna al collega uomo. Nel mio parco fino al 2005 si facevano gli abbattimenti selettivi della specie cervo. Accompagnavamo due cacciatori per volta e uno era costretto a seguire me. Le facce erano uno spasso. È stato questo che ha sancito l’accettazione da parte dei miei colleghi, quando al rientro anche io tornavo con un cervo abbattuto e un cacciatore distrutto dalla fatica, alle volte anche umiliato, se aveva sbagliato il primo tiro. Non mi è mai piaciuto: la caccia senza avere fame è un’idiozia umana, non esiste in natura. Ma una volta che l’animale era morto diventava per me un caso di studio, come all’università: ennesima sorpresa per il malcapitato che iniziava a preoccuparsi del mio armeggiare con il coltello per prelevare campioni biologici. Oggi a mio papà risponderei: non ti preoccupare, sono armata.
Testimonianze
DONNE Mistero senza fine. Bello...!
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di Daniela Loriga, precaria Regione Piemonte Meglio essere precaria che essere disoccupata ma, a lungo andare, anche la precarietà logora. Ogni giorno prima di uscire da casa saluto mio figlio e lui puntualmente mi chiede: “Mamma dove vai tu? Al lavoro?”. Gli rispondo: “Sì amore, come tutte le mattine”. Dentro di me, però, penso “Sì come tutte le mattine e, ancora, per circa 190 giorni!! Esattamente fino al 31.12.2013”. Ebbene sì, questa è la nuova scadenza del mio contratto a tempo determinato! Sono donna, sono moglie, sono mamma e sono precaria, una delle tante precarie nella pubblica amministrazione… e va già bene di questi tempi essere precaria. Meglio essere precaria che essere disoccupata ma, a lungo andare, anche la precarietà logora ed essere precari quando si è tra i 30 e i 40 destabilizza ugualmente. La mia storia precaria inizia 9 anni fa con una serie di co.co.pro. nel settore della formazione, per poi passare da praticante a collaboratore negli studi legali e approdare, per guadagnare due soldi, in un call center. Tante notti insonni a studiare per i concorsi e per poi essere - finalmente - assunta in una pubblica amministrazione per fare il lavoro che mi piace, il sogno di una vita! Che gioia! Però a tempo determinato, accidenti! Cosa succederà a gennaio del 2014? Cosa ne sarà del mio numero di matricola, della mia postazione, del mio ufficio, dei miei colleghi, del mio lavoro, dei miei progetti che avevo per l’ennesima volta
messo in moto? Mi chiedo quali sono lo scopo e l’utilità del lavoro precario? La precarietà del lavoro è precarietà di vita, ruba il tempo, impedisce alla mia generazione anche di fare i progetti più importanti per lo sviluppo della società: avere una casa, metter su famiglia, avere dei figli e vivere serenamente. Che tristezza, che ansia, che rabbia stooop!… Torno indietro con la mente a quella dolce sera d’estate in cui mio figlio è venuto al mondo, il ricordo dei suoi occhi che mi guardano sereni e fiduciosi mi placa l’animo. Al di là di tutte le logiche di mercato, economiche, politiche, sociali imposte oggi come tre anni fa, nel roteare caotico di incertezze in cui mi trovo, l’unica cosa di cui sono fiera è di non essermi fatta portare via da nessuno e per nessuna ragione il tempo per diventare madre. Quando cammino per strada mi rende forte sentire la mano di mio figlio stretta alla mia e attraverso i suoi occhi posso avere ancora fiducia nel domani…”E dammi ancora la mano, anche se quello stringerla è solo un pretesto per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto; vola tu, dov’ io vorrei volare verso un mondo dove è ancora tutto da fare e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da provare…”. Auguri a tutte le donne!
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SPECIALE FESTA DELLA DONNA
La conquista delle 8 ore in risaia di Sergio Negri, responsabile cultura CGIL Piemonte Appena composta la commissione le manifestanti si riversano nella piazza del palazzo municipale verso il quale dirigono a lungo l’invocazione “Vogliamo le otto ore”. 1° giugno 1906. La giornata è pulita. Un sole accecante inonda la città e la campagna circostante. Le risaie rilasciano piccoli nembi di acqua vaporizzata che si smarriscono sfavillando nell’atmosfera. Fin dalle prime luci dell’alba un folto gruppo di mondariso si è radunato spontaneamente nella piazza principale della città. Qualche ora dopo, più di novemila persone, in maggioranza donne, giovani e belle, raccolte nelle loro semplici vesti, offerte con decoro all’ispezione dei passanti, e sprofondate nei loro copricapo di paglia, invadono le vie della città, intonano l’inno dei lavoratori e la canzone delle 8 ore e invitano la popolazione a manifestare con loro. La città risponde con sollecitudine al loro appello. I negozi chiudono i battenti, gli operai delle fabbriche metallurgiche, in sciopero da parecchie settimane, si uniscono alle mondariso e i bambini si raccolgono davanti al corteo e lo accompagnano per tutto il tragitto con allegre danze propiziatorie. Dopo aver percorso le vie principali della città la fiumana si raccoglie in Piazza Cavour per ascoltare i comizi dei rappresentanti della Camera del Lavoro e della Lega dei contadini. Non è un giorno di festa eppure i volti delle donne, già combusti dal
sole, svelano un’espressione allegra, quasi giocosa. “La piazza è gremita di gente, rigurgitanti i portici, piene le vie laterali”, racconta un premuroso cronista testimone degli avvenimenti. “Sale pel primo sul palco Angelo Fietti, - in rappresentanza della Lega dei contadini - il quale a grandi tratti fa la storia delle recenti agitazioni”. A questo primo intervento segue quello del rappresentante della locale Camera del Lavoro, Lorenzo Somaglino che: “ricorda in quali misere condizioni si trovino le donne dei metallurgici dopo otto settimane di sciopero. Descrive il loro stato d’animo, quando scoprono dell’ingiusto rifiuto degli agricoltori fatto alle richieste delle mondariso di Vercelli fra le quali figurano molte donne degli scioperanti. Termina raccomandando la calma che è virtù dei forti. Una lunga ovazione accoglie la chiusa del discorso dell’oratore il quale invita poscia i presenti a nominarsi una commissione che si rechi dal sindaco ad esporre le richieste degli scioperanti”. Appena composta la commissione le manifestanti si riversano nella piazza del palazzo municipale verso il quale dirigono a lungo l’invocazione “Vogliamo le otto
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ore”. Il mattino trascorre senza altre novità degne di annotazione. Il pomeriggio i dimostranti si radunano nel cortile di S. Andrea dove “pare sia convenuta tutta la città di Vercelli”. Il tipografo Lorenzo Somaglino e l’avvocato Modesto Cugnolio, prima di recarsi ancora in municipio per proseguire l’incontro del mattino con i rappresentanti degli agrari, intervengono per invitare i dimostranti a pazientare ancora per qualche tempo. “Nel frattempo Angelo Fietti - racconta ancora il cronista – intrattiene per più di un’ora gli scioperanti con una conferenza incitante i presenti a volersi organizzare. Poi, a gruppi di quattrocento si recano cantando in municipio ad aspettare”. “Ma mentre aspettano, non si sa perché, sono caricati dai soldati e dai carabinieri”. Seguono momenti di forte tensione e di violenti scontri. Ritornata la calma, alle 17, da una finestra del Palazzo Municipale, si affacciano due mondariso che con gesti espressivi fanno comprendere ai manifestanti che è stato raggiunto l’accordo con gli agrari per le otto ore di lavoro e 25 centesimi di aumento. “La folla enorme che ondeggia nella piazza come
mare in burrasca – riferisce ancora l’attento testimone – scoppia in un interminabile applauso. Gli scioperanti sono esultanti di gioia per la vittoria raggiunta”. Una gioia inarrestabile che si accresce quando dal balcone si affacciano i sindacalisti Somaglino e Cugnolio e comunicano che il sottoprefetto si è impegnato a risolvere anche la lunga controversia dei metallurgici. “Invano tentiamo di descrivere l’entusiasmo che ha portato questa clamorosa vittoria. Speriamo – termina il redattore – che questa vittoria operaia sia di ammaestramento a quei padroni medioevali che sdegnano di trattare coi loro operai e ai lavoratori ancora una volta insegni che solo coll’unione esiste la forza”. Questa è la cronaca di una giornata storica. E’ l’approdo, ancora incerto, di un lungo viaggio che ha avuto al suo seguito un bagaglio di fatiche, di sofferenze, di rinunce.
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SPECIALE 8 MARZO
How to be a woman di Serena Moriondo, segretaria generale FP CGIL Asti “Possiamo votare, abortire e non veniamo più bruciate come streghe. Eppure c’è ancora qualcosa che non va: i nostri tacchi sono sempre più alti, le scollature sempre più basse, la biancheria intima si è ristretta e i reggiseni (come le labbra) sono sempre più imbottiti. Guadagniamo meno, lavoriamo di più, siamo vittime di violenze impunite”. Caitlin Moran, opinionista del Times. I dati sono eloquenti: la presenza delle donne produce dei cambiamenti, o meglio, fa la differenza ma nonostante le donne stiano riuscendo a ritagliarsi importanti spazi di responsabilità all’interno del sistema politico, economico e sociale, il loro ruolo è ancora, per molti versi, una forma di concessione, non una piena affermazione. La CGIL, nel 2007, poteva vantare il migliore risultato rispetto agli altri sindacati e un buon andamento nel contesto europeo per la presenza di donne negli organismi dirigenti (+40% a fronte di una presenza media del 12%) e, nel 2010, la prima Segretaria generale. Ora, alle soglie di un Congresso, ci stiamo apprestando a cambiare il nostro modello organizzativo per
far fronte a un calo del tasso di sindacalizzazione, un cambiamento radicale nelle forme di adesione rispetto ai canali tradizionali, una riduzione delle risorse e delle agibilità sindacali, un mercato del lavoro sempre più povero di posti e professionalità. Dovremo misurarci con le nostre forze e con le nostre contraddizioni, con la necessità di cambiamento e con le nostre resistenze. Non sarà facile perché se la società italiana è ancora eccessivamente declinata al maschile, il sindacato, pur con delle apprezzabili differenze, non fa eccezione. La cultura sindacale, come d’altronde la cultura politica, è ancorata a standard maschili. In questo contesto le donne nella CGIL hanno raggiunto una presenza consistente, soprattutto grazie all’introduzione di misure che hanno avuto un forte impatto sulla rappresentanza: il coordinamento donne, la norma antidiscriminatoria, il dipartimento Pari opportunità, il forum, l’attivo delle delegate e i seminari tematici. Non senza un confronto talvolta spinoso sulla necessità o meno della loro efficacia e utilità. Personalmente, penso che il tempo di tutto ciò sia concluso e che la conquista
E’ un dato oggettivo: il 52% della popolazione mondiale è composto da donne. Ma secondo voi, dove sono finite?
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della parità formale non accompagnata automaticamente a un’uguaglianza di tipo sostanziale debba necessariamente essere una riflessione comune che ci conduca alla scelta del 50&50. E’ insensato continuare a offrire un alibi a chi vuole sottrarsi al confronto sulla cittadinanza duale, sul riconoscimento delle differenze, sulla necessità di politiche non neutrali rispetto al genere, in grado di evidenziare le disparità esistenti e a promuovere interventi per rimuoverle insieme. Come i diritti umani non sono i diritti dell’uomo, così le discriminazioni non sono un problema delle donne, anche se siamo le prime a subirle. Molte donne nella CGIL non solo hanno raggiunto delle posizioni elevate, ma hanno deleghe importanti: dalle politiche economiche alle politiche previdenziali, all’organizzazione e nei servizi. E’ dunque possibile dire che la presenza di più donne ai vertici ha determinato un sostanziale cambiamento nella rappresentanza delle donne all’interno della CGIL? La diversità di esperienze incide sullo stile di gestione del potere, quindi ciò è in parte avvenuto. Ma vi sono testimonianze e studi che fanno emergere in modo chiaro che persistono tre principali impedimenti che condizionano l’ascesa ai vertici sindacali: problemi di conciliazione tra lavoro e vita familiare; problemi nell’esercizio del ruolo (minor riconoscimento del proprio talento e della propria funzione); problemi nell’essere donne (pregiudizi che possono inficiare l’autostima). Impedimenti determinati non necessariamente solo da uomini, ma anche da altre donne. Perché la presenza delle donne non basta, da sola, a garantire equità e pari opportunità. Per questo, avanzo cinque proposte: 1) portiamo avanti, in coerenza con la Confederazione europea dei sindacati, il programma d’azione per combattere gli stereotipi di genere; affrontare il tema della conciliazione; ridurre il gap salariale e aumentare il ruolo delle donne negli organismi decisionali; 2) superiamo la delega alle pari opportunità, prendendo in esame il percorso programmatico
che assumerà la CGIL (a partire dal Piano del Lavoro e dalla Riforma organizzativa) misuriamoci con il mainstreaming, senza escludere nessuno; 3) nel 2013, anno del Congresso, predisponiamo il primo Bilancio di genere; 4) creiamo le condizioni per una maggiore rappresentanza dei generi, attraverso una serie di strategie di sostegno finalizzate ad aiutare le donne a essere ascoltate, stimate, formate sul posto di lavoro in modo da poter intervenire sulle politiche di selezione degli organismi dirigenti e coinvolgere un maggior numero di donne nei ruoli di responsabilità; 5) smettiamo di avere pregiudizi, che spesso si traducono in tentativi di emarginazione o ridimensionamento degli spazi e dell’autorevolezza femminile, cessiamo di confondere la capacità di essere bravi/brave e competenti nel lavoro con la disponibilità ad adattarsi, ad essere presenti alle riunioni sindacali sino a tardi, partecipare a tutte le manifestazioni o a qualsiasi dibattito politico o sindacale. Rispettiamo le differenze riscoprendo il valore della solidarietà tra di noi, ricordando, come sosteneva Rosa Luxemburg, che chiamare le cose con il loro nome è il primo gesto rivoluzionario.
L’approfond i m e n t o
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PENSIONI
Chi dice donna... di Donatella Turletti, segr. regionale CGIL FP Piemonte I danni della riforma Fornero sulle pensioni delle lavoratrici del pubblico impiego. Che cosa costringeva la sig.ra Fornero - e già prima il sig. Berlusconi - a correre tanto per elevare l’età della pensione di vecchiaia delle donne a 66 anni in un attimo e senza alcuna gradualità? Ci dissero che era l’Europa che lo richiedeva! Una bella bugia, l’Europa chiedeva uniformità di trattamento pensionistico fra dipendenti pubblici dell’Unione. Ma negli Stati europei che posseggono un sistema assistenziale migliore del nostro si fa comunque differenza fra uomini e donne. Cosa voglio dire? Che in Italia il sistema assistenziale è ancora appoggiato sul sostegno delle “famiglie” (= donne), quindi in cambio di questo sostegno sociale bisogna riconoscere alla donna un beneficio. Invece, in particolare per le donne che lavorano nelle Amministrazioni pubbliche, hanno aggiunto per la pensione di vecchiaia 5 anni e perciò uomini e donne hanno le stesse scadenze; e per la pensione contributiva, hanno aggiunto 1 anno e 3 mesi. Ma come già sapete non basta, perché invecchiare, da
oggi, costa! e i due soggetti politici di cui sopra si sono inventati la revisione delle speranze di vita ogni 2/3 anni. Le calcolerà l’Istat e verranno immediatamente applicate a tutti i tipi di pensioni. Man mano che passano gli anni dovremo superare gli ostacoli che si frappongono tra noi e la nostra meta pensionistica, e non c’è più una data certa, non c’è più modo di fare programmi. E allora?? Si salvi chi può!! Rimane solo una piccola scappatoia valida anche per le dipendenti pubbliche: è la vecchia regola dei 57 anni di vita e 35 anni di contributi ai quali si deve aggiungere 1 anno di finestra mobile. Vale solo fino alla fine del 2015, ma richiede un sacrificio economico, bisogna optare per il calcolo del valore della pensione in regime contributivo. Prima di fare questa scelta è auspicabile rivolgersi al patronato per farsi calcolare il valore della pensione con questo sistema. Come vedete non ci sono grandi fughe possibili. Ormai si è delineato sempre di più il sistema di calcolo contributivo, per il quale si incassa un valore di pensione proporzionale a quello che si ha contribuito ed è un calcolo che da’ risultati più bassi del calcolo retributivo al quale eravamo abituate: prima le pensioni si attestavano sull’80% del valore dell’ultimo stipendio, ora scendono già verso il 70% e nel tempo minimo di 20 anni si avvicineranno al 50%. Diventa però naturale pensare che dato un tempo di contribuzione obbligatorio (oggi sono 20 anni) le persone possano lasciare il lavoro quando ritengono che il reddito da pensione sia a loro sufficiente. Questo sistema ipotizzato e richiesto da anni dalla CGIL è il sistema a uscita flessibile. Sperando nella sua applicazione.
L’ i nizi ativa
FUNZIONE PUBBLICA DI ASTI
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Apre lo sportello Nuovi Diritti
di Barbara Tinello - Patrizio Onori, responsabili Sportello Nuovi Diritti A gennaio 2013 ha aperto ad Asti l’ufficio Nuovi Diritti, perché crediamo come sottolinea Rodotà che : "La crisi non può legittimare una sospensione dei diritti, questi ci vengono presentati come un insostenibile lusso quando in realtà sono bisogni da soddisfare. L’Unione Europea in cerca di una legittimazione l’ha trovata, grazie alla crisi, nel Mercato ma l’atto simbolico della Proclamazione della Carta dei Diritti Fondamentali ci dice che questa legittimazione può e deve passare attraverso i diritti considerati patrimonio inalienabile della persona". Alle famiglie gay è precluso ciò che per le famiglie eterosessuali che contraggono matrimonio è diritto o dovere acquisito e cioè: il riconoscimento pubblico della dignità dell’affettività, assenza di regime patrimoniale di coppia concordato, eredità, previdenza sociale e reversibilità della pensione, tutele e garanzie per il partner debole in caso di separazione, permesso di soggiorno per il partner extracomunitario, parità con le altre coppie nelle graduatorie occupazionali e nei concorsi pubblici, diritti sul lavoro come congedi lavorativi, costituzione di imprese familiari, assistenza ospedaliera e penitenziaria; decisioni relative alla salute in caso di incapacità, successione nel contratto d’affitto e diritto di permanenza dell’abitazione comune nel caso di morte del partner contraente, sconti famiglia e così via. La disparità che molti Paesi hanno appianato con leggi e regolamenti anche molto diversi, lascia gay, lesbiche e transessuali italiani in un limbo legislativo privo di tutele e diritti. L’ufficio Nuovi Diritti ha chiesto all’Amministrazione di Asti il Registro delle unioni civili perché il regolamento per il loro riconoscimento impegna a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione. L’uffico Nuovi Diritti vuole contrastare anche ad Asti l’omofobia. Definita come una paura e un’avversione irrazionale nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), trova terreno fertile nel pregiudizio e può manifestarsi in modi molto diversificati: dalle offese verbali, alle minacce fino alle aggressioni fisiche. Essere bersaglio di un odio ingiustificato produce delle conseguenze negative sulla persona: malessere, esclusione, disagio. La discriminazione si esplica come ogni azione di esclusione di omosessuali, lesbiche e transessuali e investe più ambiti dalla scuola, al mondo dello sport e del lavoro. L’ufficio Nuovi Diritti ha chiesto che il Comune si faccia promotore dell’Osservatorio permanente su tale fenomeno così come avviene in tante città e province italiane.
L’ufficio Nuovi Diritti ha un progetto Scuola con finalità educativo/formative, come: destrutturazione degli stereotipi e superamento dei pre-giugizi; prevenzione e contrasto al bullismo e alle discriminazioni socio-culturali derivanti da alterità di genere, etnia, religione, orientamento, classe, disabilità; contenuti cognitivi e modalità interpretative su identità sessuale, benessere socio-relazionale, inclusione dell’altro. I destinatari sono gli adolescenti, i giovani, gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, i gruppi di aggregazione giovanile (scout, parrocchie, circoli...), gli adulti, il personale scolastico, gli operatori socio-sanitari e operatori ASL, i professionisti a contatto con il pubblico, gli sportellisti, gli operatori pubblici. È prevista la formazione anche all’interno della CGIL: base dell’azione della nostra Organizzazione con la volontà di creare uno spazio di confronto per tutti e tutte sul concetto di cultura e identità gay e lesbica. Info:
[email protected]
Pa r i oppor tunità
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REGIONE PIEMONTE
Insieme a papà di Giovanna Quaglia, assessore Regione Piemonte Visto il successo ottenuto nella nostra Regione, con oltre 130 domande presentate, il progetto “Insieme a papà” è stato di recente prorogato al 31 marzo 2014, per dare la possibilità ad altri padri di “sostituirsi” alle mamme nei primi mesi di vita del proprio figlio e di consentire alle donne di ritornare al lavoro. E’ questo infatti l’obiettivo del progetto dell’Assessorato alle Pari Opportunità della Regione Piemonte, finanziato con le risorse del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con l’Inps. Prevede un contributo aggiuntivo di 400 euro mensili ai papà che scelgono il congedo parentale entro il primo anno di vita del figlio o della figlia. Aggiuntivi perché si sommano all’indennità prevista dalla legge nazionale che riconosce ai genitori che scelgono il congedo il 30% del loro stipendio per sei mesi. Con questo progetto il Piemonte si distingue nel panorama nazionale dove i congedi parentali, a differenza di molti altri stati europei, stentano ancora a decollare. Grazie agli incentivi messi in campo, i padri “full time” hanno una soddisfazione economica maggiore e l’occasione unica di creare fin dai primi mesi di vita un legame molto speciale con i figli, condividendo al meglio le responsabilità genitoriali. Dunque quella che a molti potrebbe sembrare una missione impossibile, ovvero mamme in ufficio e papà alle prese con biberon e passeggino, in realtà non è cosi. Almeno in Piemonte, dove molti neo papà hanno coraggiosamente sfidato il cliché che li vuole impacciati tra pappe e pannolini. Per occuparsi a tempo pieno dei bebè. Nella nostra Regione, circa 1300 donne all’anno smettono di lavorare dopo la nascita di un figlio. Ecco perché iniziative come “Insieme a papà” assumono molteplici significati, impedendo di mettere le donne di fronte a una scelta tra famiglia e lavoro. In Italia, il carico di lavoro tra donne e uomini è ancora troppo sbilanciato: la capacità di prendersi cura della famiglia resta decisamente in capo
alle donne, che svolgono lavoro familiare in media per oltre cinque ore al giorno rispetto alle due ore e mezza degli uomini, un dato che pregiudica il contributo delle donne nel lavoro e nella società. Ma qualcosa si sta muovendo, e lo dimostra il fatto che il mercato del lavoro della nostra Regione si caratterizza per un elevato tasso di attività femminile, attestato al 64,6%: da parte delle donne piemontesi c’è un desiderio di partecipazione alla vita lavorativa e pubblica, che deve essere valorizzato. Chi può presentare domanda? Hanno diritto al contributo i lavoratori dipendenti del settore privato che fruiscono del congedo parentale (astensione facoltativa dal lavoro ai sensi del d.lgs 151/2001 al posto della madre lavoratrice dipendente nel primo anno di vita del loro bambino, oppure nel caso di affidamento o adozione nel primo anno di ingresso in famiglia). Cosa fare per ottenere il contributo? Dopo aver inoltrato domanda all’Inps per la fruizione del congedo parentale, il padre può presentare domanda alla Regione Piemonte per ottenere il contributo. Il modulo di domanda è scaricabile dal sito www.regione.piemonte.it/ pariopportunita oppure è disponibile presso gli Uffici relazioni con il pubblico della Regione Piemonte. Qual è il valore del contributo? Il contributo della Regione Piemonte è pari a 400 euro mensili per ogni mese solare di congedo parentale fruito. Sale a 450 euro mensili se il congedo parentale supera i 3 mesi. Scadenza: per presentare le domande c’è tempo fino al 31 marzo 2014. Info: www.regione.piemonte.it/ pariopportunita
I ser vizi
CONSIGLIERA DI PARITA’
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Chi è ? Cosa fa? La Consigliera di parità (art. 15, d.lgs. 198/2006) è titolare di funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni di genere nel lavoro anche mediante rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, evidenziate dai rapporti ex art. 46; promozione di progetti di azioni positive volte a compensare gli svantaggi legati al genere e verifica dei risultati; promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale (Programma Operativo Regionale) rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità; sostegno delle politiche attive del lavoro sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunità; promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro con azioni rivolte a favorire la conciliazione della vita lavorativa con la vita extraprofessionale; collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni; diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni; collegamento e collaborazione con le altre istituzioni, promozione di studi e analisi relativi alla presenza femminile nel Mercato del Lavoro. Il destinatario della sua consulenza può essere qualsiasi persona abbia riscontrato problemi sul luogo di lavoro subendo discriminazioni o molestie, causate dal fatto di esser donna/uomo oppure che voglia approfondire i temi concernenti le pari opportunità oppure possono essere imprese private che vogliano contrastare le discriminazioni in base al sesso ed, eventualmente, valorizzare la presenza femminile nell’azienda. Inoltre può essere chiesta consulenza riguardo alla compilazione del Rapporto biennale sulla situazione del personale (art. 46, Dlgs 198/06), accedere ai finanziamenti previsti dalla normativa nazionale e dai bandi regionali ed europei. Gli Enti pubblici
che vogliano contrastare in modo efficace le discriminazioni in base al sesso, integrare le pari opportunità nelle politiche dell’Ente, presentare il piano triennale di Azioni Positive, accedere ai finanziamenti di cui all’art. 45 del D. Lgs. 198/06; così come possono rivolgersi alla Consigliera altri target specifici di donne in stato di difficoltà occupazionali o con problemi di reinserimento nel Mercato del Lavoro. La Consigliera di Parità è nominata – ai sensi dell’art. 12 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 - con decreto del Ministro del Lavoro di concerto con il Ministro per le Pari Opportunità. Dura in carica 4 anni e il suo mandato è rinnovabile per non più di due volte. Le Consigliere di Parità regionali, l’avv. Alida Vitale e l’avv. Franca Turco, sono al secondo incarico, affidato loro con decreto ministeriale del 3 maggio 2010. In Piemonte, nel 2012, i casi trattati sono stati 223 (entro marzo sarà pubblicato il rapporto comprensivo dei dati scorporati in base al genere per l’anno 2012). Dall’inizio dell’attività, ovvero dal 23 gennaio 2006, sono stati trattati 974 casi di cui 61 maschi e 662 femmine. Il dato relativo al genere femminile include i casi collettivi.
La ricerca
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DISOCCUPAZIONE FEMMINILE Il lavoro che resta una chimera di Cristina Bargero, ricercatrice IRES Piemonte La disoccupazione, calcolata secondo standard internazionali, considerando cioè solo le persone immediatamente disponibili a lavorare con azioni concrete di ricerca negli ultimi 30 giorni mostra una distribuzione diversa tra i due sessi. La disoccupazione ufficiale, come prima definita, non tiene conto totalmente delle persone che dichiarano di essere in cerca di lavoro, cioè dell’offerta di lavoro esplicita o potenziale presente sul mercato del lavoro piemontese e, quindi, rischia di fornire una visione sottostimata del fenomeno. La crisi occupazionale che sta colpendo duramente il nostro paese si mostra particolarmente dura nella nostra Regione per entrambi i sessi e in particolare per quello femminile. Il livello di disoccupazione femminile in Piemonte, al terzo trimestre 2012, raggiunge quasi il 10%, con valori sotto la media nazionale, ma ben superiori a quelli del Nord e del Nord-Ovest.
livello di scolarizzazione, il sesso femminile risulta maggiormente svantaggiato. Ma sono soprattutto le donne con una bassa scolarità ad avere una difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.
Fig. 2 Tasso di disoccupazione per genere e per titolo di studio (%) in Piemonte
Esaminando i dati a livello territoriale, le province a tradizione prevalentemente manifatturiera, ossia Torino, Biella e Novara registrano un tasso di disoccupazione femminile maggiore, a conferma del fatto che i servizi rappresentano sempre di più l’area di assorbimento principale della manodopera femminile. Il differenziale tra disoccupazione maschile e femminile è particolarmente elevato nel Verbano Cusio Ossola.
Fig. 1 Tasso di disoccupazione femminile e maschile (%): il Piemonte nel contesto nazionale
In Piemonte la dinamica della disoccupazione femminile, a partire del 2007, anno pre-crisi, registra un’impennata: le donne in cerca di occupazione nel 2007 sono 38.000 per arrivare a 84.000 nel 2012. La Figura 2 mostra un buon rendimento del titolo di studio per le donne: i livelli di disoccupazione femminile diminuiscono sensibilmente al crescere del grado di istruzione, anche per la presenza di numerose donne adulte a bassa qualifica: tuttavia, anche a parità di
Fig. 3 Tasso di disoccupazione per genere e provincia (%)
Tabelle: Fonte Istat 2011
L’ a n a l i s i
TASSE Il ritorno della monnezza
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di Matteo Barbero, funzionario Regione Piemonte Dal 1 gennaio 2013 si applica il nuovo tributo comunale su rifiuti e servizi (Tres). Questo, oltre a sostituire i preesistenti prelievi sui rifiuti (Tarsu, Tia 1 e Tia 2), prevede una componente aggiuntiva (c.d. maggiorazione) per il finanziamento dei servizi comunali indivisibili (come illuminazione pubblica, pulizia strade, sicurezza ecc.). Le tariffe del Tres devono essere approvate dai Comuni entro il termine previsto per l’approvazione del bilancio di previsione (per l’esercizio finanziario in corso, al momento, entro il 30 giugno 2013), in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani (redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso e approvato dall’autorità competente) e in modo da garantire la copertura integrale dei relativi costi. Proprio tale obbligo, unito all’incidenza della maggiorazione, è destinato a determinare un incremento degli oneri a carico dei contribuenti, specialmente nei Comuni che in precedenza applicavano la Tarsu. Per il pagamento, la legge prevede 4 rate trimestrali (con scadenza nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre) lasciando però ai Comuni la possibilità di stabilire una tempistica diversa. Tuttavia, l’ultima legge di stabilità (L 228/2012) ha imposto, per il solo 2013, che il pagamento della prima rata sia posticipato a luglio, con possibilità per i Comuni di differire ulteriormente il termine (ma non di anticiparlo).
Di fatto, quindi, per quest’anno la scadenza della prima rata coincide con quella della seconda, concentrando nei primi mesi dell’estate diverse scadenze pesanti: prima di pagare la Tres, infatti, occorrerà procedere ai versamenti dell’acconto dell’Imu (che quest’anno dovrà essere calcolato conto delle aliquote decise dai Comuni e non più, come l’anno scorso, applicando quelle standard, quasi sempre più basse) e dell’Irpef (saldo 2012 + acconto 2013): in entrambi i casi, la scadenza è il 16 giugno. Un simile calendario rischia di essere insostenibile per i redditi più bassi. Lo slittamento a luglio della prima rata della Tres, inoltre, è destinato a provocare seri problemi di liquidità sia ai Comuni che alle aziende del settore, con probabili disagi nell’erogazione dei servizi e difficoltà nel pagamento degli stipendi agli addetti. Sarà uno dei primi problemi di cui il nuovo Governo dovrà occuparsi, possibilmente nel quadro di una revisione profonda della disciplina del Tres, che attualmente determina un ulteriore incremento della pressione fiscale locale senza alcun significativo beneficio per l’efficienza dei servizi locali, dal momento che il gettito della maggiorazione (circa 1 miliardo all’anno) è di fatto devoluto allo Stato.
La denuncia
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SERVIZI IN PIEMONTE
Sempre meno asili nido
di Francesco Montemurro, direttore IRES CGIL Lucia Morosini I servizi all’infanzia piemontesi sono tra i più scarsi del Nord Italia Il livello di presa in carico dei servizi all’infanzia per la popolazione 0-3 anni risulta notevolmente al di sotto di quella delle regioni più virtuose attestandosi attorno al 15% (Emilia Romagna 29%, Umbria 27%) e tra i più scarsi rispetto ai risultati raggiunti in tutto il Nord Italia. A livello provinciale la situazione migliore è presente nel cuneese con il 36% di copertura, unica provincia che soddisfa il target del 33% richiesto dall’Unione Europea, mentre in ultima posizione troviamo quella di Asti con il 15%. Ma, soprattutto, la crescita dei posti disponibili nei servizi all’infanzia è rallentata vistosamente e in alcuni capoluoghi tale tendenza è sfociata in una contrazione significativa di tali posti, come a Verbania (-8%) e Biella (-3%). Il generale, il rallentamento e la contrazione avvenuta in queste zone in cui i servizi all’infanzia sono già contenuti è un campanello d’allarme che anticipa un’inversione di tendenza sul territorio piemontese che registra a inizio 2012 ben 220 posti in meno rispetto all’anno precedente. Questi i risultati principali dell’indagine sui servizi all’infanzia realizzata dall’Ires Lucia Morosini per conto di CGIL e Funzione pubblica Piemonte. Il sistema dell’offerta vede ormai da tempo integrarsi diverse forme di titolarità e gestione: in Piemonte è evidente la proliferazione di iniziative private che raggiungono il 64% del totale, comprendenti non solo asili nido ma anche micronidi, baby parking, nidi famiglia e aziendali. I servizi a gestione pubblica diretta rappresentano il 27%, quelli in convenzione il 29%, mentre il 12% è rappresentato da una gestione affidata o esternalizzata. Le ragioni di tale tendenza sono da ricercare nella carenza di strutture pubbliche e nella mancanza di un progetto specifico delle istituzioni: la possibilità di questi soggetti privati di ottenere finanziamenti pubblici deriva dalla volontà di ridurre la stretta e la pressione realizzata sui servizi
pubblici stessi. Nonostante i risultati poco soddisfacenti, le tariffe complessive dal 2003 al 2011 non fanno altro che aumentare (+23%), provocando l’incremento della spesa a carico degli utenti. Nei servizi privati gli importi richiesti non tengono conto del reddito della famiglia o di particolari necessità e dunque l’accesso non viene regolato attraverso una graduatoria basata sull’esigenza ma dalla mera disponibilità economica. Rispetto all’offerta privata è possibile porsi alcuni interrogativi riguardanti la qualità del servizio. La spesa impiegata per il personale (e dunque anche per le retribuzioni) presenta differenze notevoli in base al tipo di gestione e risulta nettamente inferiore nel privato rispetto al pubblico. Inoltre i titoli di studio ammessi per ricoprire il ruolo di educatori nei servizi all’infanzia sono vari e di diverso livello: occorre essere in possesso di una laurea, o di un diploma o di una qualifica professionale riconducibili alle discipline psicopedagogiche. L’ipotesi è che - alla luce della tendenza al contenimento delle spese per il personale - nei servizi privati vengano reclutati per lo più educatori con un titolo professionale, anziché laureati, con una professionalità e una competenza differenti che potrebbero incidere anche sulla qualità.
Precariamente
RIFORMA FORNERO
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La sorte dei contratti precari Oltre 500 sono i precari che hanno risposto al sondaggio online dei Giovani Non Più della CGIL. Questi i risultati Solo il 5% dei precari è stato stabilizzato dopo la Riforma Fornero, il 27% ha visto il proprio contratto non rinnovato, il 22% è scivolato verso un contratto precario peggiore, solo il 4% è passato a un contratto precario con maggiori tutele. Il restante, poco meno della metà dei partecipanti al sondaggio, non ha visto ancora alcun cambiamento (al 25% non è accaduto nulla e al 17% è stato rinnovato il contratto precario senza cambiamenti).
stato adeguato il compenso secondo quanto previsto dalla legge Fornero. Per il 14% di lavoratori a progetto c’è stata una “trasformazione” in incarico a partita iva, che con la riforma Fornero diviene più facile da utilizzare al di sopra della misera cifra di 18.000 euro annui. Una quota meno rilevante invece è transitata dal contratto a progetto al lavoro dipendente a tempo determinato (5%) o alla somministrazione (2%).
Sulla base di questi dati si può sintetizzare che con la Riforma Fornero la situazione dei precari è peggiorata o, nel migliore dei casi, è rimasta invariata.
Solo il 3% dei lavoratori a progetto è transitato verso il contratto di apprendistato, il cui utilizzo si rivela ancora in calo, così come risulta anche dai dati delle comunicazioni obbligatorie sulle nuove attivazioni (-13,7% nei mesi luglio/settembre rispetto agli stessi del 2011, fonte Ministero del Lavoro).
Questo è quanto emerge da un sondaggio online diffuso dai giovani della CGIL nei social network e rilanciato dall’inchiesta di repubblica.it “precari dopo Fornero”, a cui hanno partecipato oltre 500 persone. Oltre a un sondaggio rivolto ai precari con tutti i tipi di contratti, sono stati effettuati sondaggi specifici per singola tipologia che mostrano ulteriori tendenze: per coloro che hanno un contratto a tempo determinato il non rinnovo alla scadenza sale al 38%, per i lavoratori a progetto si attesta al 23%, per gli incarichi a partita iva al 22%. Per quanto riguarda i contratti a progetto nel 19% dei casi c’è stato un rinnovo senza cambiamenti e solo nel 4% è
Questi dati confermano purtroppo quanto avevamo già da tempo segnalato. In una fase di recessione la riforma del mercato del lavoro non può avere di per sé effetti positivi sulla qualità dei rapporti di lavoro, in particolare se non accompagnata da incentivi alla stabilizzazione o da politiche di sostegno allo sviluppo. Inoltre la riforma Fornero, lasciando intatto il supermarket delle tante tipologie contrattuali, ha favorito l’utilizzo di contratti meno tutelanti. Ricordiamo infine che i tanti lavoratori a progetto che hanno visto il loro contratto non rinnovato (ne abbiamo calcolati 150.000 negli ultimi 3 anni) non possono accedere all’ASPI e alla MINIASPI, risultando così penalizzati anche sul fronte degli ammortizzatori sociali ben lontani dall’essere universali. Tutti i problemi che vivono i lavoratori precari rimangono a oggi irrisolti. Fonte: http://www.nonpiu.it
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Donne a colori Assemblea regionale delle donne giovedì 7 marzo 2013 - ore 9.30 /13.00 Sala Incontri Regione Piemonte via Avogadro 30 - Torino #parchibellaimpresa Convegno sulle Aree protette giovedì 28 marzo 2013 - ore 9.30 /16.30 Museo Regionale di Scienze Naturali via Giolitti 36 - Torino
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