Le pubblicazioni della collana editoriale “Per saperne di più...” sono consultabili e disponibili all’indirizzo: www.uil.it/contrattazione/persapernedipiu.html a cura del Servizio Politiche Contrattuali
MARIANI FERNANDO MARTINA MARMO MATTEO DE BONIS
MARIANI FERNANDO MARTINA MARMO MATTEO DE BONIS
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INDICE I licenziamenti individuali in Italia. Settore privato
pag.5
Settore pubblico
pag.10
I licenziamenti collettivi in Italia. Premessa
pag.13
I licenziamenti collettivi del settore privato. I requisiti
pag.13
La procedura da seguire nei licenziamenti collettivi
pag.15
Le eccedenze di personale nel settore pubblico
pag.19
I licenziamenti collettivi in Europa. Premessa
pag.24
Uno sguardo ai singoli Stati membri.
Pag. 25
I licenziamenti individuali in Francia
pag.25
I licenziamenti collettivi in Francia
pag.26
I licenziamenti individuali in Germania
pag.28
I licenziamenti collettivi in Germania
pag.31
I licenziamenti individuali in Spagna
pag.32
I licenziamenti collettivi in Spagna
pag.34
I licenziamenti individuali nel Regno Unito
pag.35
I licenziamenti collettivi nel Regno Unito
pag.38
I licenziamenti individuali in Belgio
pag.39
I licenziamenti collettivi in Belgio
pag.40
I licenziamenti individuali in Austria
pag.41
I licenziamenti collettivi in Austria
pag.44
I licenziamenti individuali in Olanda
pag.44
I licenziamenti collettivi in Olanda
pag.47
I licenziamenti individuali in Slovenia
pag.48
I licenziamenti collettivi in Slovenia
pag.50
I licenziamenti collettivi in Svezia
pag.51
Conclusioni
pag.52
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I LICENZIAMENTI IN ITALIA ED IN EUROPA Settore privato La disciplina relativa alla tutela conto i licenziamenti rappresenta uno dei temi più delicati nell’ ambito del diritto del lavoro, per effetto ovviamente dei fondamentali interessi che essa si prefigge di tutelare. Lo scopo del corpus normativo in materia di licenziamenti è infatti quello di proteggere il lavoratore, parte debole del rapporto, da eventuali comportamenti abusivi del datore che, senza la tutela in questione, potrebbe disporre a proprio piacimento delle energie lavorative del prestatore senza che questi possa vantare alcuna pretesa di stabilità e continuità del rapporto. La forma più elementare di protezione del lavoratore è rappresentata dall’ art. 2118 c.c. il quale stabilisce che ciascuna della parti può recedere dal rapporto rispettando il termine di preavviso, per il quale si fa generalmente riferimento al contratto collettivo nazionale di riferimento. Si tratta del cosiddetto licenziamento ad nutum (dal latino: con un cenno) che peraltro è attualmente legittimo solo per determinate categorie, come ad esempio i dirigenti, i lavoratori in prova e coloro che hanno raggiunto l’ età pensionabile. Al di fuori di queste limitate ipotesi trova applicazione l’ importantissima legge 604/ 1966 la quale ha stabilito che il licenziamento deve essere necessariamente fondato su una giusta causa o un giustificato motivo. Una volta individuato il principio bisogna però capire cosa stiano a significare i due concetti appena citati. La fattispecie di giusta causa è disciplinata dall’ art. 2119 c.c., che la identifica in quella causa talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche temporanea, del rapporto di lavoro, che quindi si interrompe immediatamente senza neanche la necessità di far trascorrere il termine di preavviso. Come ha avuto modo di puntualizzare la Corte di Cassazione con la sentenza 11163 del 1995, la giusta causa è la più grave delle sanzioni applicabili ed in quanto tale può ritenersi legittima soltanto ove la mancanza del lavoratore sia talmente grave che qualsiasi altra sanzione risulterebbe insufficiente a tutelare l’ interesse del datore di lavoro. L’ art. 2119 è fondato sulla presunta sussistenza di un vincolo fiduciario tra il datore e il lavoratore, vincolo che può essere di varia intensità a seconda della tipologia dell’ attività svolta, ma che viene irrimediabilmente reciso in conseguenza dell’ inadempimento costituente giusta causa di recesso. Il riferimento al vincolo di fiducia ha inoltre portato la dottrina prevalente a ritenere che la fattispecie in questione possa determinarsi anche in virtù di episodi e comportamenti estranei al 5
rapporto di lavoro vero e proprio, e che quindi non costituiscono inadempimento contrattuale, ma che evidentemente così gravi da non consentire la proficua continuazione del rapporto stesso. In realtà si tratta di una materia piuttosto scivolosa e che difficilmente può essere inquadrata entro schemi rigidi ed immodificabili: per capire ciò basta far riferimento ad alcune sentenze della Cassazione che hanno statuito proprio su tale questione. Nella recente sentenza 1668 del 2007 la Suprema Corte ha stabilito che un epiteto irriguardoso (nello specifico, “delinquente”) rivolto al dirigente può essere giusta causa di licenziamento anche se pronunciato in un contesto particolarmente animoso come quello di un’ accesa assemblea sindacale. Si tratta di una pronuncia che sicuramente può prestare il fianco a critiche ma che comunque suggerisce una certa prudenza nei comportamenti. Sempre nel 2007 la Cassazione ha affermato un principio molto importante concernente la disciplina contrattuale delle ipotesi di giusta causa: anche se in sede contrattuale un determinato comportamento è ricondotto alla fattispecie della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, il giudice investito della legittimità del licenziamento deve comunque verificare l’ effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore e quindi decidere se essa sia meritevole di licenziamento oppure no. Quest’ ultima pronuncia, evidentemente più garantista rispetto alla precedente, costituisce un’ ulteriore dimostrazione di come la materia non risponda a regole dogmatiche, ma sia invece caratterizzata da una certa elasticità, anche in relazione al tipo di mansioni svolte e all’ intensità del vincolo fiduciario intercorrente tra le parti. L’ altra fattispecie legittimante il licenziamento, come già accennato in precedenza, è il giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Quest’ ultimo rappresenta in realtà figura assai vicina alla giusta causa, pur differenziandosene per la minor gravità del comportamento addebitato al lavoratore. Nella pratica, come è facile immaginare, spesso e volentieri è piuttosto difficile distinguere tra le due nozioni e quindi si dovrà ricorrere ancora una volta ad una pluralità di criteri identificativi: tipologia di mansioni svolte, intensità del vincolo fiduciario, particolari circostanze di fatto… L’ unica costante è rappresentata dall’ ampia discrezionalità di cui gode il giudice nel ricondurre l’ inadempimento ad una delle due nozioni piuttosto che all’ altra. In ogni caso va precisato che la distinzione tra i due istituti non è un mero esercizio di dottrina giuridica, ma è destinata ad avere ripercussioni tangibili sul rapporto di lavoro. Infatti qualora si ricada nell’ ambito del giustificato motivo soggettivo, essendo l’ inadempimento più lieve di quello caratterizzante la giusta causa, il lavoratore conserva il diritto al preavviso stabilito nel contratto collettivo di 6
riferimento o, in alternativa, la cosiddetta indennità di preavviso, commisurata alla retribuzione che sarebbe spettata per quel periodo. In ultima analisi abbiamo la figura del giustificato motivo oggettivo,che si distingue abbastanza nettamente da quelle finora esaminate, e che piuttosto potrebbe presentare alcune analogie con i licenziamenti collettivi. Esso infatti è indipendente dal comportamento del lavoratore e deriva invece da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro, l’ attività produttiva e il regolare funzionamento dell’ azienda. La crisi aziendale è la sicuramente fra le più ricorrenti situazioni poste alla base del giustificato motivo oggettivo: un’ azienda che si trovi in difficoltà e che magari sia prossima al fallimento ha varie ragioni per procedere a questo tipo di licenziamenti. Come già accennato in precedenza c’ è il rischio di una sovrapposizione fra l’ istituto in questione e quello dei licenziamenti collettivi: per superare questi dubbi occorre verificare se sussistano o meno i requisiti numerici, temporali e spaziali di cui alla legge 223/ 1991. Nel caso in cui questa verifica dia esito positivo si applicherà la disciplina predisposta dalla suddetta legge, in caso contrario si tratterà semplicemente di una serie di licenziamenti individuali. In base a quanto detto si può, con buona dose di certezza, condividere l’ opinione del prof. Ichino il quale ha efficacemente evidenziato che il giustificato motivo soggettivo guarda al passato, ad un inadempimento già verificatosi, mentre invece il giustificato motivo oggettivo guarda al futuro, a quelle che sono le prospettive dell’ azienda, che in quanto tali non sono suscettibili di prova ma solamente di una valutazione prognostica. A questo punto sorge un ulteriore interrogativo: quanto devono essere negative queste proiezioni per legittimare il licenziamento? E’ sufficiente il timore di un qualsiasi peggioramento della situazione aziendale oppure è necessario che si vada oltre una certa soglia? Ancora una volta non è possibile dare una risposta certa e definitiva sul tema, la giurisprudenza infatti ha manifestato orientamenti contrastanti che non consentono, finora, la formazione di un indirizzo unitario. Si può parlare di giustificato motivo oggettivo anche nel caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle mansioni per le quali era stato assunto. Originariamente l’ orientamento giurisprudenziale era assai intransigente nel consentire in ogni caso il licenziamento, senza che il datore dovesse dimostrare l’ impossibilità di impiegare il lavoratore in altre attività compatibili con le sue condizioni fisiche. Opportunamente i giudici sono tornati sui loro passi come dimostra chiaramente la sentenza 7755/ 1998 pronunciata dalla Cassazione: la Suprema Corte ha stabilito che il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore può dirsi legittimo soltanto nel caso in 7
cui non sia possibile impiegare il soggetto in altre attività professionalmente equivalenti a quella per cui fu assunto. Su questo principio la giurisprudenza ha ormai maturato un convincimento piuttosto stabile. Occorre ora soffermarsi sulla tutela riconosciuta al lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo. Le norme di riferimento sono essenzialmente due e ad esse corrispondono altrettante tipologie di protezione: l’ art. 8 della legge 604/ 1966, da cui discende la “tutela obbligatoria” e l’ art. 18 dello Statuto dei Lavoratori che ha invece provveduto all’ introduzione della “tutela reale”. La prima delle due disposizioni appena citate costituì, all’ epoca, un’ innovazione assai significativa se si pensa che fino a quel momento il datore di lavoro poteva liberamente recedere dal rapporto ai sensi dell’ art. 2118 c.c., quindi dando solamente il preavviso. Il legislatore così stabilì che nel caso di licenziamento illegittimo, cioè irrogato in assenza di giusta causa o giustificato motivo, il datore è tenuto a riassumere il lavoratore entro tre giorni dalla sentenza o, in alternativa, a risarcirgli il danno attraverso il pagamento di un’ indennità di importo compreso tra le 2,5 e le 6 mensilità dell’ ultima retribuzione globale di fatto. Nel caso di lavoratori con una certa anzianità di servizio l’ indennità è compresa fra le 10 e le 14 mensilità. Il tanto discusso art. 18 dello Statuto, fermo restando quanto previsto dalla legge 604/1966, si applica alle imprese in cui siano occupati più di 15 lavoratori nell’ unità produttiva, soglia che scende a 5 nel caso di imprenditore agricolo. Tale norma si applica anche agli imprenditori che, a prescindere dall’ organico delle singole unità produttive, occupino più di 15 (o 5) lavoratori nell’ ambito del medesimo comune o comunque abbiamo alle proprie dipendenze complessivamente più di 60 lavoratori. Una volta delimitato l’ ambito soggettivo di applicazione dell’ art. 18, occorre esaminarne il merito: è previsto infatti che nel caso di licenziamento illegittimo il giudice ordini al datore il reintegro del prestatore nel posto di lavoro nonché il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello del reintegro con il versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali. Tale indennizzo non può comunque essere inferiore alle cinque mensilità. A questo punto, per fare chiarezza, occorre innanzitutto capire in cosa il reintegro si distingua dalla riassunzione di cui alla legge 604. Essenzialmente la differenza sta nel fatto che la riassunzione presuppone un’ estinzione del precedente rapporto di lavoro, mentre invece con la reintegrazione è come se tale rapporto fosse entrato in uno stato di quiescenza, di “riposo”, fino alla pronuncia del giudice: in questo modo vengono azzerati gli effetti del recesso e si ha una semplice 8
prosecuzione del precedente rapporto, senza che il datore possa essere svincolato dagli impegni assunti con il contratto. In alternativa al reintegro lo Statuto riconosce al lavoratore illegittimamente licenziato la facoltà di chiedere al datore il risarcimento del danno subito, commisurato a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto. Per quanto riguarda invece la tutela giurisdizionale del lavoratore nel caso di recesso unilaterale del datore, va segnalato come delle importanti innovazioni siano state introdotte dalla legge n° 183 del 2010 meglio conosciuta con la definizione di “Collegato Lavoro”. Innanzitutto, coerentemente con quanto già prevista dall’ art. 6 della legge 604, è previsto che il lavoratore debba impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale o con l’ intervento del sindacato entro 60 giorni dalla relativa comunicazione scritta da parte del datore o dalla comunicazione dei motivi ove quest’ ultima non sia contestuale al recesso. A questo punto il lavoratore per non rendere inefficace la suddetta impugnazione dovrà, nel giro di 270 giorni, depositare il ricorso e quindi avviare il giudizio presso il Tribunale territorialmente competente oppure comunicare alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Nel caso in cui la conciliazione o l’ arbitrato siano rifiutati o non sia raggiunto l’ accordo per il loro espletamento, il ricorso dovrà essere depositato in cancelleria entro 60 giorni dalla data del rifiuto o del mancato accordo. Questa norma è stata aspramente criticata da più parti in quanto evidentemente richiede al lavoratore una notevole sollecitudine nell’ esperimento delle varie iniziative volte all’ impugnazione del licenziamento. Inoltre non si può fare a meno di sottolineare come in periodi come quello attuale, caratterizzato come ben sappiamo da una drammatica crisi economicosociale che non risparmia alcun settore del tessuto produttivo, spesso e volentieri accade che la scure del risanamento e dell’ equilibrio finanziario finisca inesorabilmente per abbattersi sul lavoro dipendente. A complicare ulteriormente le cose c’ è la necessità, evidentemente ineludibile, di assecondare in toto qualsiasi indicazione proveniente dalle istituzioni comunitarie che ormai tengono severamente al guinzaglio i vari Stati membri imponendo le loro politiche in barba a principi, forse passati di moda, come la sovranità nazionale. Questa sicuramente non è l’ occasione più indicata per disquisire di questi temi in modo approfondito, però ormai anche i non addetti ai lavori sanno del vivace epistolario tra la Comunità ed il Governo. La nostra attenzione non può non soffermarsi sugli input che l’ Europa impone al nostro Paese in tema di licenziamenti: si sollecita infatti una riforma del mercato del lavoro nel senso di realizzare una maggiore flessibilità del medesimo, come se quella attuale 9
non fosse ancora sufficiente. In particolare l’ auspicio proveniente da Bruxelles è quello di alzare ulteriormente l’ età pensionabile (idea che, per una serie di ragioni, non può certo considerarsi folle) e di rendere più agevoli i licenziamenti in modo tale da favorire, a loro avviso, la propensione delle aziende all’ assunzione. Tale modello, della cosiddetta flexicurity, non rappresenta di certo una novità visto che da diversi anni viene applicato anche con buoni risultati in alcuni Paesi del Nord Europa, come Olanda e Danimarca. Il problema è che un simile modello non necessariamente è esportabile in altri contesti, dove ovviamente possono esserci situazioni socio economiche anche piuttosto distanti da quelle del Paese d’ origine: adottare ex novo questo sistema in un periodo di depressione economica come quello attuale, con mercati finanziari assolutamente imprevedibili, banche sempre più restie a concedere credito alle aziende e con governi instabili e comunque non sufficientemente autorevoli da confrontarsi con le sfide che li attendono, rischia seriamente di rivelarsi un’ iniziativa troppo spregiudicata se non addirittura controproducente, potenzialmente letale per quella che probabilmente rappresenta la vera risorsa da cui ripartire, ossia il lavoro. Non si vuole condannare a priori un qualcosa che ancora non c’è e quindi non si può giudicare, però occorre ponderare con molta attenzione le diverse soluzioni disponibili e fra esse scegliere (sempre che sia possibile) quella meno dolorosa. Settore pubblico Il pubblico impiego, negli ultimi venti anni, è stato interessato da un fenomeno di progressiva privatizzazione del rapporto di lavoro che infatti è attualmente soggetto a gran parte delle norme vigenti nel settore privato. L’ art. 2, c.2, d. lgs. 165/ 2001 stabilisce che i rapporti di pubblico impiego sono disciplinati dal capo I, titolo II del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’ impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto stesso, che costituiscono norme a carattere imperativo. Altrettanto importante è l’ art. 51 c.2 il quale prevede l’ applicabilità espressa dello Statuto dei Lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti. La privatizzazione ha inoltre comportato che le materie relative al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali siano disciplinate contrattualmente e non più per il tramite di atti pubblicistici quali leggi e regolamenti. Inoltre sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Le uniche categorie nei cui confronti non trova applicazione questa nuova disciplina 10
sono : magistrati ordinari, contabili e amministrativi; avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e di polizia, personale della carriera diplomatica e prefettizia, professori e ricercatori universitari e i dipendenti di Camera, Senato e Corte Costituzionale. In base a quanto detto i dipendenti pubblici sono soggetti alla normativa privatistica anche in materia di licenziamenti, e quindi trovano applicazione sia la legge 604/1966, sia lo Statuto dei Lavoratori e di conseguenza hanno rilievo quelle stesse fattispecie da cui può derivare il licenziamento nel settore privato. Nello specifico, la riforma del pubblico impiego intervenuta con il d. lgs. 150/2009 fa salva la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo e le ipotesi previste dal contratto collettivo, ma definisce espressamente alcune tipologie di infrazioni che per la loro gravità comportano il cosiddetto licenziamento disciplinare. Alcuni esempi: falsa attestazione della presenza in servizio o giustificazione dell’ assenza con certificazione medica falsa, assenza ingiustificata per più di tre giorni anche non continuativi nell’ arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni, ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’ amministrazione per motivate esigenze di servizio, reiterazione nell’ ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive, moleste o minacciose, condanna penale definitiva che preveda anche l’ interdizione dai pubblici uffici. Un’ altra significativa ipotesi di licenziamento disciplinare, in linea con il principio della massima efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, si ha nel caso di valutazione insufficiente del rendimento del lavoratore nell’ arco di un biennio, valutazione che deve essere condotta secondo le relative disposizioni legislative e contrattuali. Anche il medico competente di una struttura sanitaria pubblica è passibile di licenziamento nel caso di emanazione di sentenza definitiva che lo condanni per certificazioni mediche false o falsamente attestanti uno stato di malattia e nel caso di reiterato mancato invio all’ INPS della certificazione di malattia del lavoratore. Si può avere il licenziamento del dipendente pubblico anche per giustificato motivo oggettivo. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nell’ impiego privato, le esigenze organizzative del datore danno luogo all’ istituto dell’ eccedenza di personale e del collocamento in disponibilità. Di conseguenza il giustificato motivo oggettivo nel pubblico impiego si riferisce esclusivamente a circostanze inerenti al lavoratore stesso: - l’ interdizione dai pubblici uffici, di cui si è parlato in precedenza e che può derivare da una sentenza penale di condanna 11
- la sopravvenuta inidoneità fisica, purchè non sia possibile inquadrare il lavoratore in livelli equivalenti o anche inferiori. Un’ ultima fattispecie di licenziamento del dipendente pubblico è costituita dal superamento del periodo di comporto per malattia o infortunio, ai sensi dell’ art. 2110 c.c. I contratti collettivi individuano un periodo di tempo durante il quale il lavoratore, in caso di malattia, gravidanza, infortunio o puerperio ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e alla corresponsione della retribuzione o di un’ indennità: in questo lasso di tempo il lavoratore non può essere licenziato. Una volta scaduto il termine di comporto il datore può recedere ai sensi dell’ art. 2118 c.c. quindi dando il preavviso oppure attraverso il versamento di un’ indennità sostitutiva del preavviso. Generalmente i contratti collettivi stabiliscono due termini: - il comporto secco, riferito ad un’ unica malattia di lunga durata - il comporto per sommatoria, che trova applicazione nell’ ipotesi in cui il lavoratore sia colpito da più malattie. Il lavoratore rimane evidentemente privo di protezione nel caso in cui sia affetto da una malattia talmente grave da protrarsi oltre il termine di comporto. Proprio per scongiurare il verificarsi di simili inconvenienti spesso accade che i contratti collettivi prevedano un’ aspettativa non retribuita che si estende oltre il termine di comporto e che consente al lavoratore la conservazione del posto di lavoro, pur in assenza di retribuzione.
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I LICENZIAMENTI COLLETTIVI IN ITALIA Premessa L’estinzione del rapporto di lavoro è un fenomeno che riguarda direttamente il singolo lavoratore, il quale vede terminare così quel rapporto giuridico per cui egli presta la propria attività lavorativa dietro una retribuzione. È importante rilevare che quando questo fenomeno riguarda allo stesso tempo più lavoratori in una stessa impresa, l’attenzione del legislatore si fa più forte e si prevede una procedura particolare che va sotto il nome di “licenziamento collettivo”. Si tratta di una procedura volta a tutelare i lavoratori da facili discriminazioni che, specialmente in tempi di crisi, possono esser perpetrate dal datore di lavoro: con la scusa di esigenze obiettive dell’impresa, il datore potrebbe, ove sprovvisto di obblighi precisi, intimare più licenziamenti in modo arbitrario su vari profili, primo tra tutti la scelta del chi licenziare.
I licenziamenti collettivi del settore privato I requisiti dei licenziamenti collettivi La disciplina della materia è ancora oggi contenuta nella legge 223/1991, come modificata negli ultimi decenni, in particolare dal d. lgs. 110/2004. Gli articoli di riferimento sono il 24 e il 4 e 5, dal primo richiamati. Essa si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori e norme speciali valgono per i dirigenti. Inoltre, la disciplina opera anche in caso di procedure concorsuali. Tale legge, peraltro attuazione della direttiva comunitaria 75/129, prevede come requisiti di applicabilità: - una minima dimensione occupazionale dell'impresa (che occupa più di 15 dipendenti); - un numero minimo di licenziamenti (che coinvolgono almeno 5 dipendenti); - un arco temporale, di regola di 120 giorni prolungabili solo in sede di consultazione sindacale, entro cui sono effettuati i licenziamenti stessi. Circa il requisito occupazionale, i 15 dipendenti in questione devono essere occupati nella stessa unità produttiva oppure in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia. Inoltre, la valutazione della sussistenza del requisito è fatta non al momento del licenziamento e dunque dell’inizio della procedura, bensì si guarda all’occupazione aziendale nel normale organigramma produttivo. Ove questo manchi, fa fede l’occupazione media dell’ultimo semestre, considerando 13
anche gli apprendisti e gli assunti con contratto di formazione-lavoro, ormai sostituito dal contratto di inserimento. Sono questi gli elementi che distinguono la fattispecie dei licenziamenti collettivi da quella dei licenziamenti individuali plurimi intimati per giustificato motivo oggettivo, dove pure necessita la valutazione delle ragioni produttive e organizzative dedotte dall'imprenditore. Infatti, i licenziamenti collettivi possono seguire un’intimazione in conseguenza di: - una riduzione del personale; - una trasformazione di attività o di lavoro; - una cessazione dell’attività aziendale. Queste tre situazioni sono tipizzate dal legislatore all’interno dell’art 24 e richiede una spiegazione maggiore almeno il caso della riduzione del personale. Sono contemplate due diverse ipotesi di riduzione del personale, la prima interessa le imprese che occupano più di 15 dipendenti (art 24), mentre la seconda (art 4) riguarda l’eventualità in cui il recesso dal rapporto di lavoro derivi dall’ impossibilità di reimpiegare i lavoratori sospesi nelle imprese ammesse alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria e dunque riguarda solo tale tipologia di imprese. Ad ogni modo, alla diversa causa di fatto che origina il recesso, fa fronte in entrambi i casi la stessa procedura di mobilità. Per la dimensione anche molto estesa che possono assumere i licenziamenti collettivi è questo un istituto del diritto del lavoro volto a placare il grande allarme sociale che suscitano accadimenti del genere. La disciplina è perciò costruita seguendo tale linea ispiratrice, tanto che sebbene, dando per verificati gli altri requisiti, basti che il licenziamento venga intimato a cinque lavoratori per considerarlo collettivo, all’esito della procedura potrebbe darsi - o meglio, sarebbe altamente auspicabile – che si arrivi a licenziare magari un solo soggetto. Le eccedenze di manodopera sono un problema spinoso e ad alto tasso di conflittualità sociale perciò la normativa cerca di promuovere la collaborazione tra le parti sociali, che possono proporre soluzioni alternative ai licenziamenti e tutta una serie di misure di sostegno dei licenziati a seguito di un esito delle consultazioni sindacali negativo o comunque non tale da evitare i licenziamenti. Alla luce di quanto detto è bene vedere nel dettaglio le caratteristiche della procedura prevista per i licenziamenti collettivi.
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La procedura da seguire nei licenziamenti collettivi L’articolazione della procedura, delineata dagli artt. 4 e 5 l.223/1991, è bifasica e segnatamente è il risultato di una fase sindacale ed una amministrativa, legate da una forte interdipendenza. La prima è la fase sindacale. L’apertura di una procedura di mobilità è necessariamente preceduta da una comunicazione scritta da parte del datore che intende avviarla, direttamente o per tramite dell’associazione datoriale cui aderisce o conferisce mandato, alle r.s.a. e alle rispettive associazioni di categoria. Ove manchino le rappresentanze sindacali destinatari della comunicazione sono le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Questa comunicazione deve contenere informazioni puntualmente elencate al comma 3 dell’articolo 4 della legge 223/1991 relative ai motivi che hanno determinato gli esuberi, ai motivi tecnici ed organizzativi in base ai quali si ritiene di non poter evitare la riduzione del personale; va indicato il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali della manodopera eccedente, nonché i tempi di attuazione del programma di mobilità e le misure ritenute necessarie per fronteggiare le conseguenze, sul piano sociale, dell'attuazione del piano. Se il datore non rispetta questi vincoli contenutistici, sia nella forma che nella sostanza, ad esempio inviando una informazione incompleta, risponderà di condotta antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori. Del resto le scelte organizzative del datore non sono sindacabili nel merito perché opera la tutela dell’iniziativa economica privata posta dall’art. 14 della Costituzione. Il giudice in sede di un’eventuale controversia e ancor prima le parti sociali possono solo verificare la sussistenza di un nesso causale tra tali scelte organizzative e gli intimati licenziamenti. I dati richiesti dalla legge sono dunque fondamentali per costruire un dialogo tra le parti sociali che sia serio e non fittizio. Questa funzione svolta dalla comunicazione scritta da parte del datore è sottolineata anche dall’obbligo di invio contestuale di essa anche all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, che provvede a controllarne la conformità alle richieste della legge. In allegato va inviata copia della ricevuta di versamento all’Inps di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale per ogni lavoratore ritenuto eccedente, a garanzia dell’adempimento dell’obbligo di versamento gravante sul datore ai sensi dell’art 5 comma 4, laddove il lavoratore sia poi effettivamente licenziato e dunque titolare dell’indennità prescritta dalla legge 223/1991. 15
Il legislatore pone come secondo step del procedimento un esame congiunto che le r.s.a hanno la facoltà di chiedere entro 7 giorni dalla ricezione della comunicazione. Si cerca così di trovare una soluzione condivisa, in un’ottica che vede nel licenziamento l’extrema ratio da adottare residualmente, quando altre vie non siano percorribili. Le vie tracciate dalla normativa vigente prevedono che le parti si consultino sulle cause dell'eccedenza e le possibilità di riassorbire in tutto o in parte il personale anche facendo ricorso ai contratti di solidarietà o a forme di flessibilità per la gestione del tempo di lavoro. Si vede bene come la preoccupazione sia quella di evitare in tutti i modi di ridurre il personale e quand’anche ciò non sia possibile si prevede l’esame della fattibilità di misure sociali di accompagnamento per i licenziati. Tanto è il favor che il legislatore ha verso la risoluzione sindacale della vicenda che permette che in tali accordi si possano assegnare ai lavoratori mansioni diverse ed anche inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte (in deroga all’art. 2103 c.c.); si possa convertire in part-time il tempo di lavoro dei lavoratori full-time ormai prossimi al pensionamento. La data del ricevimento della comunicazione dell’impresa è anche il dies a quo per misurare la durata massima delle consultazioni, che non può eccedere i 45 giorni (30 gg in caso di procedure concorsuali; i termini sono dimezzati se i lavoratori coinvolti siano meno di 10). Durante le trattative i rappresentanti sindacali possono anche farsi assistere da esperti. L’imprenditore deve comunicare per iscritto all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione anche il risultato dell’esame congiunto ed il suo eventuale esito negativo. Inizia quindi la fase amministrativa e a questo punto la situazione può prendere due direzioni parallele a seconda dell’esito delle consultazioni: - se l’accordo è raggiunto, le parti seguono quanto convenuto e la procedura si chiude; - se l’accordo non si raggiunge, si ha un nuovo esame congiunto convocato dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, che può anche formulare proposte. Le nuove negoziazioni durano al massimo 30gg (15 se i lavoratori coinvolti sono meno di 10) dalla data del ricevimento della seconda comunicazione. In caso di accordo sindacale o di fallimento delle nuove negoziazioni, l’impresa può licenziare i lavoratori, ma ancora non può dirsi scevra da vincoli. 16
Operano infatti delle limitazioni legali che riguardano sia le modalità del recesso, sia i criteri di scelta del personale da mobilitare. Ai fini di un recesso che sia legittimo è necessario che esso sia comunicato per iscritto a ciascuno dei lavoratori nel rispetto dei termini di preavviso. A causa della differente tipologia del contratto con cui sono stati assunti, l’articolo 4 specifica di non essere applicabile ai lavoratori eccedenti per fine lavoro nelle imprese edili e nelle attività stagionali o saltuarie e ai lavoratori con contratto a termine. Manca un obbligo di specifica motivazione, nel senso che è sufficiente richiamare la natura collettiva del recesso e la procedura svolta. Il datore di lavoro può inoltre procedere ai licenziamenti solo se individua i lavoratori da collocare in mobilità secondo criteri obiettivi definiti negozialmente in sede di consultazione sindacale o astrattamente determinati dai contratti collettivi nazionali. Solo in via sussidiaria valgono tre criteri legali tra loro concorrenti, stabiliti dall'art.5 legge 223/91: - carichi di famiglia; - anzianità di servizio presso l’azienda; - esigenze tecnico-produttive e organizzative. Anche al momento del recesso vero e proprio sorge un obbligo di comunicazione in capo al datore non solo verso i suoi dipendenti in esubero; deve inviare per iscritto - contestualmente alla comunicazione scritta del recesso a ciascun lavoratore eccedente – all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con annesse informazioni anagrafiche e professionali, con la puntuale indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta. L’onere della prova del corretto utilizzo dei criteri grava sul datore. È possibile impugnare i licenziamenti collettivi per vari vizi, a cui si collegano diverse sanzioni: - mancanza della forma scritta >> inefficacia del licenziamento; - non rispetto delle procedure indicate >> inefficacia del licenziamento e repressione della condotta antisindacale ex art. 28 l.300/1970; - violazione dei criteri scelta >> annullabilità del licenziamento. Le diverse situazioni hanno scarso rilievo pratico, poiché in tutte vale sempre la tutela approntata dall’articolo 18 dello Statuto. Vale sottolineare che nel caso di uso scorretto dei criteri di scelta esiste un meccanismo di sostituzione di essi stabilito 17
dall’art. 7 della l.223/1991, per cui una volta reintegrati nel posto i lavoratori illegittimamente licenziati, il datore può licenziare un numero di lavoratori pari a quello di quanti ne ha effettivamente reintegrati senza dover esperire una nuova procedura. Salvo il caso della mancata comunicazione, il lavoratore ha 60 giorni da essa per impugnare il recesso per mezzo di qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale (ed anche attraverso l’intervento delle organizzazioni sindacali). A questi recessi inefficaci o invalidi si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per espresso richiamo di legge contenuto nel comma 3 dell’articolo 5. Se in possesso dei requisiti oggettivi indicati dall'art.16, comma 1 , i lavoratori1 vengono iscritti in apposite liste di mobilità. Questa iscrizione nelle liste di mobilità vorrebbe agevolare il reinserimento nel mercato di lavoro e costituisce presupposto per l'erogazione dall'INPS dell'indennità di mobilità per un periodo determinato in base all'età del lavoratore alla data del licenziamento e all'ubicazione dell'unità produttiva di appartenenza. In sintesi possiamo dire che la normativa sui licenziamenti collettivi appronta una tutela abbastanza chiara e certamente sufficiente a garantire almeno un dialogo tra parti sociali in casi in cui il numero delle eccedenze sia fuori dalla fisiologia aziendale. Non a caso poi il legislatore, novellando l’art 5 comma 2, ha specificato che la manodopera femminile in esubero non può essere una percentuale maggiore di quella che resta occupata, dando così un attenzione alla tutela del lavoro femminile anche nel contesto dei licenziamenti collettivi. Ma quali sono i limiti e le possibile elusioni di tale organica disciplina? Si pensi a titolo esemplificativo al trasferimento di ramo d’azienda e alla turbolenta e vorticosa evoluzione della sua disciplina, che vede ora la possibilità da parte del cedente di identificare il ramo d’azienda al momento della cessione; è chiaro come questo strumento possa servire come grimaldello per evitare l’attivazione della procedura ex l. 223/1991 e liberarsi più facilmente di un gruppo di lavoratori magari non più graditi al datore. Veniamo ora a qualche dato di attualità.
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Possono iscriversi nella lista di mobilità, senza diritto alla relativa indennità, anche lavoratori dipendenti di imprese artigiane o cooperative che occupano meno di 15 dipendenti (art.4 L.236/93).
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In Italia licenziamenti collettivi di recente hanno interessato molte imprese a causa della crisi galoppante che interessa i mercati di tutto il mondo. Proprio nella capitale ad esempio possiamo citare la vicenda dei lavori in corso per la costruzione della metropolitana, linee B1 e C. Per dare un po’ di concretezza alla normativa esaminata e toccare con mano quanto la norma giuridica si attua ogni giorno, basti ora sapere che negli scorsi mesi i sindacati territoriali di categoria Feneal Uil, Filca Cisl, Fillea Cgil hanno denunciato fortemente l’emergenza occupazionale romana, che sta portando oggi al licenziamento di 90 lavoratori occupati per la metro C e di altri 40 per la B1, peggiorando ancora la situazione della mobilità capitolina. Questi avvenimenti ci consentono di passare agilmente dall’analisi della disciplina del settore privato a quella prevista per il pubblico impiego. Le eccedenze di personale del settore pubblico Che il settore pubblico abbia da sempre avuto tratti peculiari rispetto a quello privato è cosa nota. Molto spesso in diritto è il linguaggio del legislatore a fornirci i primi indizi di alcune diversità, talvolta sottili, che rendono l’idea di cosa è dietro la previsione di certe normative. La più grande considerazione sistematica da fare per ricostruire un quadro ordinato del diritto del lavoro pubblico sta nel fatto che qui bisogna bilanciare tante esigenze con l’articolo 97 della Costituzione e dunque se il diritto del lavoro privato è occasionato dalla tutela del lavoratore in quanto soggetto debole del rapporto, nel pubblico le norme mirano piuttosto a proteggere l’organizzazione della pubblica amministrazione. Questa diversa ispirazione è ben visibile proprio nella regolamentazione prevista per le cosiddette eccedenze di personale. Infatti, in linea di massima si richiama la disciplina della legge 223/1991 ma questa è applicabile solo nei limiti in cui non sia diversamente previsto dal d.lgs. 165/2001, cioè il cosiddetto testo unico in materia di pubblico impiego, o in ogni caso solo nei limiti della compatibilità con i principi generali del sistema pubblicistico. Le norme di riferimento sono gli artt. 33, 34 e 34-bis del t.u. sulla fattispecie appunto della ricollocazione dei dipendenti eccedentari. L’articolo 33 in particolare è stato oggetto di modifica con la legge di stabilità, che ne ha riscritto il testo (la versione previgente resterà transitoriamente in vigore fino al 31-12 di quest’anno) ed ha riaumentato la distanza tra lavoro pubblico e privato. 19
Vediamo quali sono i profili di differenziazione delle discipline nel settore pubblico e privato, partendo dalla disciplina vigente finora. Innanzitutto dobbiamo analizzare la dizione di “eccedenza di personale”, come già accennato, e non di “messa in mobilità” o “licenziamento collettivo, in quanto la messa in mobilità preceduta da cassa integrazione non ha ragioni qui per differenziarsi dalla riduzione del personale, data l’estraneità dello stesso istituto della Cassa integrazione guadagni al pubblico impiego. Si ha un’eccedenza quando essa è rilevata dalla pubblica amministrazione e riguarda almeno 10 dipendenti, interessati anche tramite distinte dichiarazioni di eccedenza lungo l’arco temporale di un anno. Tali dichiarazioni vengono effettuate di regola in sede di programmazione triennale dell’organizzazione degli uffici e delle dotazioni organiche ex art 6 del t.u. mentre nel settore privato alla base dell’eccedenza vi deve essere un giustificato motivo oggettivo, nel pubblico questa non ha qualifiche qualitativo-causali ma attiene in generale alla sfera di autodeterminazione autoritativa degli interessi dell’amministrazione, circa il proprio fabbisogno di personale2. Peraltro la dichiarazione di eccedenza è tale anche quando nell’amministrazione sono occupati meno di 16 dipendenti, a differenza di quanto richiesto ai fini della definizione di licenziamento collettivo nel privato. Altra grande divergenza sta nelle conseguenze che seguono un’eventuale eccedenza: per il lavoratore vi è un collocamento in disponibilità per un periodo massimo di due anni con conservazione del rapporto. Manca qui la risoluzione del rapporto precedente del settore privato. Infatti l’art. 9 comma 25 della l.122/2010 deroga all’art. 33 del t.u. e dispone che gli eventuali eccedenti all’esito delle riduzioni restano temporaneamente in posizione soprannumeraria nei contingenti di ciascuna area o qualifica dirigenziale. Ove vi siano soprannumerari in un’area, nelle aree della stessa amministrazione con vacanze in organico diventa indisponibile un numero di posti corrispondente; alternativamente si ricorre ad accordi di mobilità, anche intercompartimentale. È vietato assumere personale a qualunque titolo e con qualsiasi contratto per tutte le p.a. coinvolte, nelle aree che abbiano un soprannumero e per i posti comunque resi indisponibili nelle altre aree. 2
Ad ogni modo si ritiene che in virtù del richiamo generale alla normativa del settore privato, i motivi per cui le eccedenze si qualificano come tali sono quelli che, ai sensi dell’art. 24 L. n. 223/1991, derivino da riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, considerata come ragione neutra di applicazione della procedura, a prescindere dalle cause intrinseche che l’hanno determinata. In alcun modo quindi potrebbe trattarsi di ragioni attinenti alla persona del lavoratore.
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La procedura per il collocamento in disponibilità delle eccedenze è simile a quella bifasica prevista per i licenziamenti collettivi del settore privato ed è nelle procedure di informazione e di consultazione tra pubbliche amministrazioni e organizzazioni sindacali e nell’applicazione dei criteri di scelta si rinviene sostanzialmente il reale momento di omogeneizzazione della disciplina dei licenziamenti collettivi nell’impresa. Anche la p.a. deve preventivamente informare per iscritto – e con dati molto dettagliati prescritti dal legislatore - circa la rilevazione di un’eccedenza: - le r.s.u. del personale; - le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di comparto o di area. Come nel privato, i dati sono molto importanti ai fini della partecipazione del fattore lavoro nella gestione dell’eccedenza, data la facoltà delle r.s.u. di chiedere un esame congiunto entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione. L’intera fase sindacale deve concludersi al massimo entro 45 giorni dalla solita comunicazione e solo eventualmente si passa alla fase amministrativa, presso il Dipartimento della Funzione pubblica. Va sottolineato che nel pubblico anche la fase amministrativa va richiesta dai sindacati ed essa si conclude entro un massimo di 60 giorni dalla comunicazione dell’eccedenza. I criteri di scelta dei lavoratori da mettere in disponibilità sono rimessi alla contrattazione collettiva e in via suppletiva operano quelli dell’art. 5 della legge 223/1991. Le sanzioni per violazioni procedurali e dei criteri di scelta cambiano nel pubblico, perché qui il lavoratore ha diritto solo ad un risarcimento danni, pari alla differenza tra l’indennità goduta durante il periodo di mobilità e il trattamento di cui avrebbe goduto se il suo rapporto lavorativo non fosse stato sospeso. Senza scendere ora nel dettaglio di quanto avviene una volta che il lavoratore è posto in disponibilità, evidenziamo che il collocamento in disponibilità è ciò che corrisponde alla mobilità privata e alla CIGS soprattutto, dato che per tutta la durata della disponibilità il rapporto di lavoro con la p.a. è solo sospeso e non risolto. Veniamo ora alle modifiche - di un certo rilievo – operate dalla legge di Stabilità. Innanzitutto è previsto che le amministrazioni debbano effettuare annualmente una ricognizione volta ad individuare eventuali eccedenze di personale e darne 21
prontamente comunicazione al Dipartimento per la Funzione Pubblica.. Le amministrazioni che non si adeguino a tale prescrizione non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro di qualunque tipo, pena la nullità di tali atti. Inoltre il dirigente va incontro a responsabilità disciplinare. Qualora vengano rilevate delle eccedenze il dirigente deve dare un' informativa preventiva alle rappresentanze sindacali unitarie alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area; questo è tratto molto diverso rispetto al passato, in cui – come abbiamo visto - quando il personale in eccesso era pari almeno a dieci dipendenti, la pubblica amministrazione doveva motivare nel dettaglio gli esuberi e che doveva essere aperta, su richiesta delle rappresentanze sindacali, una fase dedicata all’ esame congiunto delle cause degli esuberi e alla verifica della possibilità di giungere a un eventuale accordo per la ricollocazione dei lavoratori in esubero. Insomma, si elimina la fase sindacale, che resta nei soli limiti della comunicazione. Attualmente è invece previsto che, una volta trascorsi dieci giorni dalla suddetta comunicazione, la P.A. possa procedere con la risoluzione del rapporto dei dipendenti che abbiano un’ anzianità contributiva di almeno 40 anni (coerentemente con quanto già previsto dalla legge 133/ 2008) oppure verificare la possibilità di una ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o di eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell'ambito della regione. La legge prevede anche che i contratti nazionali possano stabilire criteri generali e procedure per consentire la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali Dopo 90 giorni dalla comunicazione ai sindacati, per i dipendenti che non sono stati ricollocati, scatta la messa in disponibilità, che prevede la cessazione di tutti gli obblighi inerenti al rapporto di lavoro, e per il dipendente un'indennità pari all'80% dello stipendio e l'indennità integrativa speciale per un massimo di 24 mesi, due anni. Questo periodo è riconosciuto ai fini del raggiungimento dei requisiti per accedere alla pensione e del calcolo della pensione stessa. E' riconosciuto il diritto all'assegno per il nucleo familiare secondo le precedenti normative. Quest’ ultima 22
parte della nuova disciplina è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla precedente.
I LICENZIAMENTI IN EUROPA Premessa Mai come in questo momento storico è necessario volgere lo sguardo a cosa succede nelle fabbriche e nelle imprese d’oltralpe. E tutto fa pensare che tale necessità non possa fare altro che continuare a crescere. Nel momento in cui esistono delle istituzioni europee, alle quali fa capo anche l’Italia, e laddove esse impongono delle condizioni normative minime e comuni, la legislazione nazionale deve fare i conti con lo spazio europeo. Senza considerare che i diritti dei lavoratori sono spesso soggetti a variazioni dovute alle oscillazioni dei mercati, oggi ad altissimo grado di instabilità. Per avere un quadro effettivamente chiaro di quelli che sono i nostri diritti in caso di licenziamento, in modo da poter formulare un critico giudizio di valore, è utile confrontarli con quelli che hanno i lavoratori nel resto dell’Unione Europea, confrontando anche la legislazione comunitaria. La Direttiva 98/59/CEE Il Consiglio Europeo, il 20 luglio 1998, ha adottato una direttiva riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai licenziamenti collettivi; si tratta di una versione codificata delle precedenti direttive 75/129/CEE e 92/56/CEE, che sono state abrogate. Gli Stati membri possono applicare o introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori e ad oggi possiamo dire che le discipline dei singoli Stati sono abbastanza armoniche, data l’implementazione della direttiva, cambiando perlopiù nei soli requisiti di soglia della dimensione collettiva del licenziamento. Chiariamo per prima cosa che dall’ambito di applicazione della direttiva sono esclusi: - i licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro stipulati per una durata o per un'attività determinate, a meno che non intervengano prima del termine ovvero della conclusione di tali contratti; - i lavoratori delle amministrazioni pubbliche o degli organismi di diritto pubblico; 23
- gli equipaggi delle navi. Il datore di lavoro che prevede di effettuare licenziamenti collettivi deve procedere allo svolgimento di consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori ai fini di raggiungere un accordo. Si parla almeno delle possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti e di limitarne le conseguenze, in particolare ricorrendo a provvedimenti sociali di accompagnamento riguardanti la riclassificazione o la riconversione dei lavoratori licenziati. I rappresentanti dei lavoratori possano ricorrere ad esperti in conformità delle misure nazionali. Il datore è tenuto a fornire tutte le informazioni necessarie ai rappresentanti dei lavoratori, nel corso delle consultazioni, e comunica a questi in ogni caso e in forma scritta: - i motivi; - il periodo durante il quale è stato previsto di effettuare licenziamenti; - il numero e la categoria di lavoratori abitualmente impiegati; - il numero di quelli da licenziare; - secondo quali criteri sono stati scelti i lavoratori da licenziare; - il metodo di calcolo di eventuali indennità. Il datore notifica in forma scritta all'autorità pubblica competente ogni progetto di licenziamento e tutte le informazioni utili su di esso e le consultazioni, ad eccezione del metodo di calcolo delle indennità. I licenziamenti collettivi hanno effetto non prima che dalla notifica del progetto siano trascorsi 30 giorni (prorogabili fino a 60 in alcuni stati membri), perché nel mentre la competente autorità pubblica cerca delle alternative. Della proroga e dei motivi di questa va informato a sua volta il datore, prima della scadenza del termine iniziale. Particolari previsioni valgono per i licenziamenti collettivi che avvengono come conseguenza di una cessazione di attività risultante da una decisione giudiziaria.
Uno sguardo ai singoli Stati membri: 24
FRANCIA Licenziamenti individuali In Francia la principale fonti regolatrice del rapporto di lavoro è il Code du Travaille, emanato nel 1973 e quindi coevo dello Statuto dei Lavoratori italiano. Tale fonte stabilisce che il licenziamento deve essere bastato su fondate e valide ragioni e che quindi il datore può recedere dal rapporto solo nel caso di colpa grave del lavoratore o in caso di forza maggiore. La legislazione francese, come accade ormai in molti Paesi (e coerentemente con l' orientamento dell' Unione Europea) contempla anche la figura del licenziamento per motivi economici: esso ha luogo laddove l' interruzione del rapporto non sia dovuta a ragioni inerenti la figura del lavoratore bensì all' eliminazione o trasformazione del lavoro o ad una sostanziale modifica del contratto, magari in periodi di difficoltà economica oppure in ragione di consistenti innovazioni tecnologiche. E' illegittimo il licenziamento della donna incinta, che infatti ha diritto alla conservazione del posto di lavoro durante l' eventuale periodo di congedo e nelle quattro settimane successive alla sua scadenza. Allo stesso modo ha diritto alla conservazione del posto anche il lavoratore che abbia subito un infortunio sul lavoro o abbia contratto una malattia professionale, salvo che il datore dimostri che la sua condotta è stata gravemente colposa o che sia impossibile, per motivi estranei alla "disavventura" del lavoratore, la prosecuzione del rapporto. Ovviamente è invalido anche il licenziamento discriminatorio per motivi etnici, religiosi, sessuali. Dal punto di vista procedurale è previsto che il datore di lavoro debba innanzitutto convocare il lavoratore da licenziare indicando le ragioni dell' incontro. Il dipendente può farsi accompagnare da un consulente di sua fiducia e, dopo aver ascoltato le ragioni dell' imprenditore, ha diritto ad illustrare la propria posizione. Il licenziamento, che va comunicato per iscritto, deve essere preceduto dal preavviso, che ammonta ad un mese se il lavoratore è in servizio da un periodo compreso fra i sei mesi e i due anni, due mesi se invece si trova in servizio da più di due anni. Qualora l' anzianità di servizio del dipendente sia inferiore a quelle appena citate il preavviso è regolato dagli usi locali. Resta ferma la possibilità che la contrattazione collettiva stabilisca condizioni più favorevoli in proposito. In merito alla tutela risarcitoria, vale quanto segue. Se un rapporto di lavoro a tempo determinato non prosegue fino alla scadenza del termine il lavoratore ha diritto ad un' indennità di fine rapporto che è calcolata in base alla retribuzione percepita e 25
alla durata del rapporto, pur non potendo scendere al di sotto di un ammontare minimo stabilito per decreto. Tale indennità non è dovuta nel caso di forza maggiore o colpa grave del lavoratore. Il dipendente che sia titolare di un rapporto a tempo indeterminato e che venga licenziato dopo due anni di servizio continuativo ha diritto, salvo che si sia macchiato di colpa grave, all' indennità di licenziamento il cui ammontare minimo viene stabilito dalla legge anche se spesso accade che in sede contrattuale vengano definiti criteri più "generosi". L' indennità legale è stabilita nella misura di 20 ore di salario o del 10% della retribuzione mensile, da moltiplicare per gli anni di servizio fino ad un massimo di dieci anni; per ogni anno oltre i dieci viene aggiunto un quindicesimo del salario. In Francia sta inoltre aumentando sempre di più il fenomeno dei licenziamenti negoziati accompagnati da un' indennità concordata dalle parti, sebbene tali accordi siano soggetti alla revisione dei giudici in caso di contestazione. Una volta che il datore abbia intrapreso la strada del licenziamento è compito del giudice anche stabilire se sia stata osservata la corretta procedura e se le motivazioni addotte siano adeguate. Se il licenziamento non avviene secondo le procedure previste ma è comunque fondato su valide ragioni, il giudice invita il datore ad ottemperare a tutte le formalità del caso e riconosce al lavoratore un indennizzo che non può superare una mensilità. Se invece neanche le motivazioni sono legittime il giudice può proporre il reintegro del lavoratore in azienda, ma qualora entrambe le parti rigettino tale soluzione la corte può riconoscergli un risarcimento non inferiore alle retribuzioni percepite nei sei mesi anteriori al licenziamento.
Licenziamenti collettivi Arrivare a prescrizioni minime valevoli per tutti gli Stati membri è il traguardo e possiamo affermare che le direttive strutturali circa i licenziamenti collettivi lo hanno praticamente raggiunto per le disposizioni nazionali relative alla procedura, dunque all'informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, nonostante le esperienze diversissime dei sistemi di relazioni sindacali dei singoli Stati. Oltre alle strutture sindacali, a variare di Stato in Stato è anche la configurazione dello stesso panorama industriale e ciò è ben visibile dalle disposizioni che, in ogni Stato, definiscono un licenziamento come collettivo. La
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nozione stessa, pur rimanendo nei limiti della direttiva, vede una diversa ampiezza ed anche su altri profili le normative cambiano muovendosi da un paese all’altro. Infatti in Italia, dove a dominare è la piccola e media impresa, troviamo una tutela particolarmente estesa dal punto di vista della soglia, a ben vedere la più estesa tra i paesi europei: fermi restando gli altri requisiti, basta intimare il licenziamento a sole 5 unità di personale per avviare la procedura ex l. 223/1991 e in un periodo lungo ben 120 giorni! È evidente che la previsione di tali numeri nasce dal dato di realtà che attesta la mancanza in Italia della grande industria, per la quale forse cinque licenziamenti non sarebbero un’effettiva spia di un’esigenza di tutela davvero collettiva o di un allarme generalizzato circa la sicurezza dei posti di lavoro in quella data impresa. Già nella vicina Francia ad esempio, la disciplina prevista dal Code du Travaille è più stringente da questo punto di vista: si aumenta sia il numero minimo dei potenziali licenziati e sia si stringe l’arco temporale per intimare un licenziamento che sia collettivo. Questo si fonda su un motivo esclusivamente economico e riguarda 10 salariati o più in un arco temporale di 30 giorni. In caso di licenziamento collettivo il datore di lavoro convoca i rappresentanti del personale e consegna loro un documento scritto che precisa l’effettivo totale dell’impresa, i motivi del licenziamento, il numero, i criteri di scelta dei salariati suscettibili di essere licenziati e la data dei licenziamenti; riunisce poi rappresentanti del personale, chiamati a giudicare il progetto di licenziamento e altre misure con esso adottabili. L’esame congiunto può avvenire due volte, ad intervalli di tempo diversi a seconda del numero dei lavoratori toccati dal licenziamento. Analogamente a quanto avviene nel nostro paese quindi, si segue una procedura di consultazione dei rappresentanti del personale, d’informazione dell’amministrazione ed elaborazione delle misure alternative al licenziamento o di sostegno dei potenziali licenziati, diversa a seconda nel numero di occupati nell’impresa interessata. Una volta arrivati al momento finale in cui si può licenziare, la disciplina francese prevede dei termini precisi di preavviso per l’intimazione, che, essendo una peculiarità del modello, vale la pena elencare: - almeno 30 giorni se si vuole licenziare meno di 100 persone; - almeno 45 giorni, licenziando dai 100 ai 250 lavoratori; - almeno 60 giorni se I licenziati sono 250 o più. 27
GERMANIA Licenziamenti individuali In Germania il sistema delle fonti relative alla tutela del lavoratore nei confronti del licenziamento presenta delle evidenti analogie con l’ ordinamento italiano. Infatti oltre alla Costituzione tedesca, è presente una legge fondamentale e dal nome piuttosto complesso (Kündigungsschutzgesetz) introdotta nel 1969 (lo stesso periodo della nostra legge 604/1966) e più volte rimaneggiata fino alla sua versione attuale, vigente dal 2008. Infine ci sono le disposizioni del codice civile, che si occupano soprattutto dei licenziamenti per motivi straordinari, mentre invece l’ altra suddetta legge (che per motivi di praticità indicheremo con la sigla inglese PADA) disciplina quelli per motivi ordinari. Soffermandoci innanzitutto su questa seconda categoria occorre dire che il legislatore tedesco, come è ovvio che sia, ha stabilito dei requisiti a cui il datore deve necessariamente attenersi affinché il recesso possa considera legittimo. Così come avviene nel nostro Paese, anche in Germania le regole cambiano a seconda della consistenza numerica dell’ organico impiegato nell’ impresa: infatti le regole in questione non si applicano nelle imprese che impiegano stabilmente meno di 5 dipendenti e si applica solo parzialmente in quelle che ne occupano meno di 10. Ai fini di tale computo sono conteggiati come 0,5 i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale il cui orario settimanale non ecceda le 20 ore, mentre invece sono calcolati come 0,75 quelli il cui orario non ecceda le 30 ore. È importante sottolineare che la tutela della PADA non si applica a quei rapporti di lavoro che abbiano durata inferiore a sei mesi. Una volta delimitata la sfera soggettiva di applicazione di questa protezione occorre capire in quali circostanze la legge ritiene il recesso del datore socialmente giustificato e giuridicamente legittimo: è necessario che vi siano ragioni inerenti alla persona o alla condotta del lavoratore oppure, in alternativa, urgenti esigenze economiche dell’ impresa che non siano compatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro. Chiaramente l’ onere di provare la sussistenza di questa situazione grava sulle spalle del datore, il quale dovrà dimostrare l’ effettiva incidenza di quel rapporto di lavoro sull’ apparato produttivo dell’ impresa e quindi l’ impossibilità di conservare il lavoratore in organico. Si tratta in buona sostanza di mettere sul piatto della bilancia i due contrapposti interessi in gioco e di accertare se quello dell’ azienda sia preminente rispetto all’ altro. Il legislatore tedesco ha inoltre previsto che nel caso in cui l’ intenzione di licenziare il proprio dipendente si fondi su una condotta ascrivibile al medesimo, il licenziamento debba essere preceduto da un’ avvertimento che va dato entro le due 28
settimane successive al verificarsi del fatto, salvo che il comportamento del lavoratore sia stato tale da non consentire ragionevolmente neanche la provvisoria prosecuzione del rapporto avendo determinato un’ irreversibile rottura del rapporto di fiducia tra le parti. Le cose cambiano sensibilmente quando il recesso dipenda da ragioni operative, connesse cioè alla gestione dell’ attività economica: in questi casi le scelte dell’ imprenditore sono sindacabili solo parzialmente dal giudice, ad esempio nel caso in cui siano manifestamente arbitrarie. Inoltre l’ esame del giudice non può spingersi fino al merito della decisone del datore, ma può soltanto verificare se si tratti di esigenze che debbano essere soddisfatte in via urgente e se vi sia stata una qualche innovazione nel processo produttivo che abbia reso obsoleta o comunque superflua quell’ occupazione. Di fronte alla necessità di procedere a licenziamenti per questo tipo di ragioni il datore dovrà effettuare una valutazione fra tutti i dipendenti addetti alle medesime funzioni e fra di essi dovrà individuare quelli da estromettere tenendo conto di una pluralità di fattori, come ad esempio l’ età o la situazione familiare, in modo tale da tutelare il più possibile quei soggetti che più difficilmente potrebbero trovare un nuovo impiego. Come accennato in precedenza il cosiddetto licenziamento per motivi straordinari è disciplinato dal codice civile tedesco, art. 626. Questa figura ricorre in presenza di ragioni particolarmente importanti che giustifichino un licenziamento sommario, cioè quando non ci si può ragionevolmente aspettare che il datore rispetti il contratto fino alla sua scadenza predefinita oppure che lasci regolarmente trascorrere il periodo di preavviso. Questa situazione deve essere valutata alla luce di tutte le circostanze del caso e ancora una volta si richiede un bilanciamento fra i contrapposti interessi in gioco. Entrando più nel dettaglio, questo esame si compone essenzialmente di due passaggi: bisogna stabilire se quella ragione integri in astratto gli estremi di un licenziamento straordinario e se possa farlo anche in concreto. Episodi che possono legittimare questa tipologia di recesso sono, ad esempio, i gravi inadempimenti contrattuali, l’ aver apostrofato il datore in termini piuttosto pesanti oppure la prolungata violazione di regole di lavoro. Inoltre è bene evidenziare che nonostante l’ art. 626 sia rubricato come “licenziamento senza preavviso” è possibile anche che il preavviso stesso debba essere comunque dato, in alcune ipotesi previste dalla legge. Il datore al momento di comunicare il licenziamento deve indicare se intenda procedere ai sensi della tipologia ordinaria oppure straordinaria, ferma
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restando la possibilità che in sede giudiziale quest’ ultima venga riconvertita nell’ altra. In ogni caso, qualora entro tre settimane il licenziamento non venga impugnato, scatta automaticamente la presunzione legale della sua legittimità. Al di fuori dei confini segnati dalla PADA e dall’ art. 626 c.c. il licenziamento è considerato invalido ai sensi degli art. 138 e 242 c.c. per arbitrarietà e irragionevolezza della decisione dell’ imprenditore. Riassumendo, il licenziamento cosiddetto ordinario è quello in cui il lavoratore conserva il diritto di preavviso, mentre invece quello straordinario si ha quando questo diritto non spetta, anche se talvolta esso è comunque previsto. Il trascorrere del periodo di preavviso, laddove prescritto, rappresenta una imprescindibile condizione di efficacia del licenziamento; la legge ne determina la misura minima in relazione all’ anzianità di servizio ma in sede contrattuale è possibile che tale arco temporale venga ulteriormente esteso. La legge prevede inoltre l’ espletamento di una particolare procedura in presenza del consiglio di fabbrica. In questo caso il datore deve informare il consiglio circa gli elementi di cui è in possesso e su cui intende fondare in licenziamento, specificando la tipologia del medesimo (ordinario o straordinario). Nonostante il mancato rispetto di questa procedura determini l’ invalidità del recesso, il parere del consiglio non è vincolante e quindi l’ imprenditore potrà comunque procedervi, anche se chiaramente la posizione espressa da tale organo potrà costituire per il lavoratore un efficace punto di partenza in sede giurisdizionale. Il legislatore tedesco ha stabilito che nel caso di mancato rispetto delle procedure legali il datore è tenuto a corrispondere al lavoratore un risarcimento che è calcolato nella misura di metà salario mensile per ogni anno di lavoro. Nell’ eventualità che il licenziamento sia invalido ma la prosecuzione del rapporto sia ritenuta impossibile da entrambe le parti, si può pervenire allo scioglimento consensuale del medesimo se c’è una comune volontà in tal senso; il datore è comunque tenuto al pagamento di una somma pari a 12 mensilità. Molto importante è anche la disciplina relativa all’ impugnazione del licenziamento. Laddove trovi applicazione la PADA e il lavoratore ritenga per qualsiasi motivo illegittimo il licenziamento, egli dovrà impugnarlo innanzi alla Corte del Lavoro competente territorialmente entro le tre settimane successive alla ricezione del preavviso in forma scritta. Una volta spirato inutilmente il suddetto termine il licenziamento si considererà irrevocabile, salvo che ricorrano alcune 30
particolari condizioni richiamate dalla stessa PADA. Nell’ ottica di intervenire il meno possibile sulla regolazione del rapporto di lavoro, questa corte svolge un ruolo di mediazione per tentare di raggiungere una composizione amichevole della vertenza. Soltanto una volta accertata l’ impossibilità di procedere su questa strada si apre il vero e proprio contenzioso giudiziale, che tra l’ altro viene celebrato con priorità quando si tratta di controversie che hanno ad oggetto l’ interruzione del rapporto di lavoro. Il datore, finche la causa non è decisa, può sempre riconoscere il diritto del lavoratore alla continuazione del rapporto, perché magari il consiglio di fabbrica si era espresso in tal senso oppure perché riconosce che il licenziamento è effettivamente illegittimo. Se il giudizio si protrae fino alla fine e il giudice ritiene illegittima la risoluzione potrà ordinare la prosecuzione del rapporto di lavoro oppure condannare il datore al pagamento dell’ indennità di licenziamento (di cui si è parlato in precedenza). Licenziamenti collettivi Nel diritto del lavoro tedesco, preliminarmente è d’obbligo fare una distinzione: in Germania esiste una doppia articolazione dello stesso diritto del lavoro: - individuale, che disciplina il rapporto tra datore e lavoratore; - collettivo, che regolamenta i rapporti giuridici tra i lavoratori, i datori di lavoro e le loro rappresentanze e determina in modo puntuale le condizioni di lavoro. Circa le fonti del diritto del lavoro, sono falliti i tentativi tedeschi di elaborare un codice unitario ed anzi attualmente ci sono vari codici, di cui trenta riservati esclusivamente al diritto dei contratti di lavoro. Concentrando l’attenzione sul momento estintivo del rapporto, rilevano in particolare il codice civile tedesco (CC, Bürgerliches Gesetzbuch, in particolare §§ 611-630) e la legge di tutela dai licenziamenti (Kündigungsschutzgesetz). Riguardo i licenziamenti collettivi, quest’ultima prevede urgenti requisiti operativi per mitigare gli effetti della chiusura di uno stabilimento, la sua riduzione o razionalizzazione, in termini di costi e di personale. Queste scelte sono solo parzialmente soggette alla valutazione del giudice, che non può mettere in discussione il merito delle scelte imprenditoriali; egli può solo enfatizzare i requisiti di urgenza e la connessione tra la perdita o abolizione di un posto di lavoro e il fatto che l’occupazione di date persone sia ormai da considerarsi superflua.
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Il legislatore tedesco, entro un arco temporale di 30 giorni, richiede le seguenti soglie quantitative: - almeno 5 lavoratori nelle aziende che occupano dai 21 ai 59 dipendenti; - almeno il 10% o più di 25 lavoratori per le imprese che occupano tra i 60 e i 500 dipendenti; - almeno 30 lavoratori, per le imprese con oltre 500 dipendenti. In questi casi, oltre alle consultazioni, il datore deve attuare un procedura di selezione dei lavoratori in base alla durata del rapporto di lavoro, all’età, ai carichi di famiglia e ad un’eventuale seria disabilità del lavoratore (§ 1 (3) Kündigungsschutzgesetz) per offrire una tutela in più a coloro che più difficilmente sarebbero riassunti altrove o che abbiano obblighi sociali cui adempiere. Fuori dalla selezione resta quella parte di personale considerata “cruciale per il funzionamento dell’impresa”. L’onere di provare la conformità della procedura alla legge è a carico del datore di lavoro.
SPAGNA Licenziamenti individuali La legislazione giuslavoristica spagnola si basa sulla Carta dei Lavoratori (assimilabile al nostro Statuto), su una serie di decreti reali che disciplinano specifiche materie come ad esempio gli aspetti più strettamente procedurali, e sull’ importante legge 35/ 2010 che contiene una riforma complessiva del mercato del lavoro e che comunque ha riguardato parzialmente anche la disciplina dei licenziamenti. L’ art. 52 della carta contiene un’ elencazione di quelle che sono considerate valide cause di licenziamento: inattitudine del lavoratore conosciuta o dimostrata dopo il suo effettivo impiego in azienda. Un’ eventuale inattitudine manifestata durante il periodo di prova non può essere denunciata dopo tale periodo. l’ incapacità del lavoratore di adattarsi alle modifiche tecniche del suo lavoro, purchè queste siano ragionevoli e siano trascorsi almeno due mesi dalla loro introduzione. L’ esistenza di un’ oggettivo bisogno di coprire posti per uno dei motivi di cui all’ art. 51 .
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assenza dal lavoro, anche giustificata ma intermittente, che ammonti al 20% dei giorni di lavoro in un bimestre, o il 25% in quattro mesi anche non consecutivi nell’ arco di 12 mesi, qualora il livello di assenteismo dell’ intera forza lavoratrice sia superiore al 5% negli stessi periodi. Non sono comunque classificati come episodi di assenteismo: scioperi legali, periodi di maternità, vacanze, assenza dovuta ad incidenti sul lavoro e altre ipotesi indicate dalla legge. Quando, in contratti a tempo indeterminato stipulati da enti pubblici o no- profit per l’ implementazione di piani e programmi pubblici, il progetto non può più essere portato avanti a causa di insufficienti stanziamenti di bilancio. La legislazione spagnola contempla anche il licenziamento disciplinare, che ha luogo quando il datore decide di interrompere il rapporto di lavoro a causa di seri e colpevoli inadempimenti da parte del lavoratore, che anche in questo caso la legge provvede ad elencare: ripetute e ingiustificati ritardi o assenze dal posto di lavoro indisciplina o disobbedienza al lavoro aggressioni fisiche o verbali contro il datore o altri lavoratori violazione della buona fede contrattuale e abuso della fiducia del datore nello svolgimento delle mansioni riduzione continua e volontaria della produzione normale o concordata ubriachezza abituale o tossicodipendenza, quando pregiudichino lo svolgimento dell’ attività lavorativa vessazioni basate su ragioni etniche, razziali, religiose, sessuali, per età o disabilità, nei confronti del datore o di altre persone che lavorano nell’ azienda. In presenza di una causa legittimante il recesso si deve comunque rispettare una certa procedura affinché il licenziamento possa considerarsi valido: in primo luogo il datore dovrà darne comunicazione per iscritto al lavoratore indicandogli anche le cause del recesso; deve poi pagargli un’ indennità corrispondente a 20 giorni lavorativi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 12 mensilità; è poi necessario un periodo di preavviso pari ad almeno 30 giorni. Nel caso in cui il lavoratore da licenziare sia il rappresentante di un’ organizzazione sindacale o ne faccia comunque parte, si dovrà svolgere una formale procedura nel cui ambito anche il sindacato potrà essere ascoltato. Detto dell’ indennità che spetta al lavoratore nel caso di licenziamento legittimo, bisogna dire che nel caso opposto il lavoratore ha diritto ad una somma pari a ben 45 giorni lavorativi per ogni anno di lavoro, fino ad un massimo di 42 33
mensilità. Devono poi aggiungersi le retribuzioni arretrate spettanti dalla data del licenziamento fino alla notifica della decisione giudiziale o comunque fino a che il lavoratore non abbia trovato un impiego alternativo, se ciò è avvenuto prima. Se il datore riconosce che il licenziamento è illegittimo e deposita presso la corte competente una somma pari all’ indennità legale e agli stipendi dovuti, la somma a suo carico sarà calcolata sul periodo che va dal licenziamento stesso fino all’ avvenuto deposito, purchè ne sia stato informato il lavoratore. Se il deposito avviene entro 48 ore non maturerà alcun salario nel corso del procedimento. Nel caso in cui la Corte impieghi più di sessanta giorni per prendere la sua decisione il datore di lavoro potrà pretendere dallo Stato il pagamento dell’ indennità dovuta al lavoratore, nella parte eccedente i sessanta giorni lavorativi. I salari dovuti durante il periodo della deliberazione non possono essere dedotti dalle somme corrispondenti al periodo di preavviso. Le possibili vie di ricorso che il dipendente può esperire prima di adire la Corte del Lavoro sono: Appello, Cassazione e revisione. Il tempo limite per proporre l’ appello è di 20 giorni sia nel caso di licenziamento disciplinare che nel caso di licenziamento per ragioni obiettive. Come abbiamo visto le sanzioni economiche sono piuttosto pesanti per il datore, che comunque ha modo di evitarle perché, entro cinque giorni dalla notifica della decisione del giudice con cui viene dichiarata l’ illegittimità del licenziamento, egli può scegliere tra il reintegro e il pagamento delle somme dovute secondo i criteri già illustrati. Nel caso in cui si tratti di un rappresentante sindacale e il datore non effettui la suddetta scelta, si avrà l’ automatico reintegro sul posto di lavoro come se il datore avesse optato per questa soluzione sin dall’ inizio. A prescindere dal modo in cui si arriva al reintegro, questo è giuridicamente vincolante una volta verificatosi. Qualora il licenziamento non rispetti le regole di procedura viene dichiarato nullo e la decisione è in favore dell’ immediato reintegro con il pagamento delle retribuzioni arretrate. Licenziamenti collettivi In Spagna si prevede un licenziamento collettivo per cause economiche, tecniche, organizzative o della produzione, giustificato solo se contribuisce alla continuità futura e alla migliore organizzazione delle sue risorse. Sembra proprio la Spagna il paese che ha attuato la direttiva nel modo più fedele al testo comunitario, in quanto l’art 51 E.T. (Estatudo de los Trabajadores) 34
prevede – come nella 98/59/CEE - soglie numeriche diverse per definire il licenziamento “collettivo” in ragione della dimensione dell’impresa. Il licenziamento è collettivo se, in 90 giorni, è intimato: ad almeno 10 lavoratori per le imprese che occupano fino a 100 dipendenti; al 10% dei lavoratori nelle imprese che occupano da 100 a 300 dipendenti; a 30 lavoratori nelle imprese più grandi. Inoltre, il licenziamento deve riguardare la totalità dell'organico dell'impresa, sempre che il numero dei licenziati sia superiore a 5, quando sia conseguenza della cessazione totale dell'attività dell'impresa sempre per le stesse cause previste per il licenziamento collettivo
REGNO UNITO Licenziamenti individuali Nel Regno Unito il diritto del lavoro, come qualsiasi altro ramo del diritto, è governato dalla legge ma anche dal cosiddetto common law (casi pratici, giurisprudenza) che nei Paesi anglosassoni gioca un ruolo molto più importante che altrove. Stando al common law qualsiasi contratto può sciogliersi su iniziativa di entrambe le parti dando il preavviso. Chiaramente il contratto di lavoro merita una regolazione diversa e soprattutto più protettiva per la parte debole del rapporto, ossia il lavoratore. E così per evitare che ci siano licenziamenti senza adeguate ragioni è intervenuta la legge (Employment Relation Act) prevedendo il licenziamento sia da considerare legittimo quando: riguarda l’ adeguatezza o la capacità del lavoratore di svolgere quelle mansioni il lavoratore è in esubero è dovuto alla condotta del lavoratore è dovuto al fatto che la prosecuzione del rapporto avrebbe determinato una violazione di entrambe le parti ad un dovere legale. Sul lavoratore grava l’ onere iniziale di dimostrare che il licenziamento ha avuto luogo, poi invece sarà il datore a dover dimostrare la sussistenza di una giusta causa. Una volta che l’ imprenditore abbia soddisfatto tale requisito sarà il giudice a valutare se egli abbia agito in modo responsabile nell’ adottare quella decisione. 35
Se anche il licenziamento avviene al di fuori dei casi citati dall’ ERA, esso può comunque considerarsi legittimo quando: il lavoratore ha preso parte ad un’ azione illegale nell’ ambito dell’ azienda, a condizione che tutti gli altri lavoratori che vi hanno preso parte siano stati licenziati senza discriminazioni e non riassunti entro tre mesi, a meno che il lavoratore abbia interrotto la propria partecipazione prima del licenziamento o il datore abbia preso l’ iniziativa per dirimere il conflitto prima del licenziamento stesso il datore ha altre ragioni sostanziali per volere l’ interruzione del rapporto Inoltre il licenziamento si considera automaticamente illegittimo quando: riguarda l’ adesione o meno ad una determinata organizzazione sindacale o dipende comunque da ragioni connesse all’ attività sindacale (essendo state abrogate dal governo Tatcher le cosiddette clausole di closet shop) non rispetta le procedure stabilite o concorde per la selezione del personale in esubero si basa su discriminazioni a sfondo sessuale o razziale è dovuto al trasferimento d’ azienda. A queste ipotesi se ne affiancano almeno altrettante indicate specificamente dalla legge. Anche nel Regno Unito il licenziamento deve essere preceduto dal preavviso, la cui lunghezza dipende dal periodo in cui il lavoratore ha prestato la propria attività senza interruzioni. In particolare l’ ERA prevede che il preavviso sia di una settimana sei il lavoratore ha prestato (continuativamente) la propria attività per meno di due anni, una settimana per ogni anno di lavoro se egli è stato impiegato da due a 12 anni, 12 settimane se lavora da più di 12 anni. Il datore di lavoro che non dovesse rispettare questa regole sarebbe condannato al pagamento della consueta indennità sostitutiva. Dal momento che la legge britannica non prevede nulla di particolare in merito alla procedura da seguire nel licenziamento, il datore deve attenersi alle istruzioni impartite dal giudice (le cosiddette guidelines): secondo il common law il mancato rispetto di queste procedure può da solo determinare l’ illegittimità del licenziamento, anche nel caso in cui siano presenti adeguati elementi sostanziali per procedervi. Dal 2004 è in vigore comunque una procedura, che si articola in tre fasi, a cui il datore deve attenersi per i licenziamenti disciplinari. Innanzitutto deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore, indicando anche i motivi posti alla base della sua decisione; deve poi invitare il lavoratore a partecipare ad un incontro per 36
discutere la situazione; ed infine si svolge il suddetto incontro qualora il dipendente abbia intenzione di opporsi al licenziamento. Per quanto riguarda la tutela risarcitoria va detto che niente è dovuto al lavoratore nel caso in cui l’ interruzione del rapporto sia dovuta alla sua condotta, mentre invece qualora egli sia in esubero ha diritto ad un’ indennità calcolata sul periodo ininterrotto di lavoro presso quell’ azienda. È previsto inoltre che siano legittimati a ricorrere contro l’ interruzione del rapporto ritenuta illegittima soltanto i dipendenti che prestino ininterrottamente la loro attività da un anno in quell’ azienda; questo limite non trova però applicazione se il licenziamento è dovuto a motivi sindacali, familiari, di salute o maternità. Coloro che rientrano nelle categorie ammesse all’ impugnazione possono rivolgersi al tribunale del lavoro o ai tribunali civili. Mentre il tribunale decide se il ricorso è fondato, il lavoratore può nominare un rappresentante in sede d’ udienza; invece il datore deve dimostrare che la ragioni del licenziamento sono idonee a giustificare la cessazione del rapporto di lavoro. Se il tribunale ritiene invalido il licenziamento può ordinare all’ imprenditore o il reintegro o la riassunzione. Nel primo caso egli dovrà non solo pagare una somma di denaro, ma anche ripristinare alcuni diritti e privilegi a partire da una certa data. Se invece viene ordinata la riassunzione il tribunale ne deve specificare i termini, compresa la somma che il datore deve pagare e i diritti e privilegi che il lavoratore deve riguadagnare. Se l’ imprenditore si rende inottemperante a tali prescrizioni viene condannato al pagamento di una somma compresa fra le 25 e le 52 settimane di retribuzione. Va detto comunque che nonostante il reintegro e la riassunzione siano, almeno a livello teorico, il rimedio da percorrere in via prioritaria, molto spesso accade che i giudici preferiscano condannare al pagamento di una somma di denaro piuttosto alta e che viene ulteriormente incrementata qualora il datore non abbia rispettato la procedura prescritta dal giudice. Il lavoratore, oltre a rivolgersi normalmente ai tribunali civili può anche richiedere un' ingiunzione provvisoria. In determinate e molto limitate circostanze egli può domandare al giudice anche un' ingiunzione permanente contro il suo licenziamento sostenendo una violazione del contratto secondo il common law. Un dipendente può chiedere il risarcimento del danno per la perdita del lavoro purchè abbia almeno un anno di servizio ininterrotto: la misura dell' indennizzo varierà a seconda della lunghezza del periodo di lavoro compreso fra l' età di 20 e 65 anni. Nel caso di licenziamento ingiustificato il riconoscimento economico ha dei limiti minimi e comunque, ancora una volta, varia 37
a seconda dell' età e dell' anzianità di servizio. Se il lavoratore chiede senza successo il reintegro o la riassunzione ha diritto ad una maggiorazione della somma che gli sarebbe comunque dovuta. Licenziamenti collettivi Sottolineiamo come sia unica la soglia che avvia la procedura collettiva in Regno Unito: ad un’eccedenza di almeno 10 lavoratori scattano gli obblighi di informazione e consultazione sindacale. Tra i motivi per un licenziamento lecito da parte del datore di lavoro vi è anche l’eventualità che il lavoratore sia in esubero, ma nel testo normativo manca la dizione di “licenziamento collettivo”. Ciononostante sono imposti obblighi di consultazione e notificazione entro termini dovuti sul datore. L’esubero deriva, secondo la sezione 139(1) dell’ Employment Rights Act: - dalla cessazione o dell’intento dell’imprenditore di far cessare l’attività aziendale in cui il lavoratore è occupato; - dalla trasformazione dell’attività, per cui il particolare lavoro portato avanti da un dato soggetto verrà eliminato o ridotto. La procedura è invece regolata dal Trade Union and Labour Relation Consolidation Act. Le notificazioni vanno fatte per iscritto in primis al Segretario di Stato, a pena di una sanzione pecuniaria; copia di esse va inoltrata a tutti i rappresentanti dei lavoratori, che vanno sentiti in ordine al licenziamento collettivo. Questi soggetti corrispondono ai rappresentanti di un sindacato autonomo oppure (se manca un sindacato riconosciuto sul posto di lavoro) si eleggono dei rappresentanti speciali, ad hoc per le consultazioni circa il licenziamento e questo è un tratto tutto britannico del meccanismo, rispetto a quanto vediamo accadere negli altri Paesi. La consultazione deve avvenire alla prima opportunità possibile secondo la norma, ma nel caso di licenziamento che in un arco di 90 giorni coinvolga dai 100 lavoratori in su, è fissato un termine per intraprenderla di 90 giorni prima che il primo licenziamento intimato diventi efficace. Se da 10 a 99 lavoratori sono invece licenziati entro 30 giorni perché in esubero, la consultazione deve iniziare almeno 30 giorni prima della attesa per i licenziamenti. L’obiettivo delle consultazioni è il solito, cioè quello di trovare alternative per evitare, ridurre o calmierare le conseguenze dei licenziamenti. La violazione degli obblighi di informazione e consultazione giustifica un ricorso davanti al tribunale del lavoro, che può concedere al lavoratore un assegno temporaneo di tutela che mantiene la busta paga. La durata è decisa dal tribunale secondo equità, rispetto alla serietà o meno della violazione da parte del datore. 38
BELGIO Licenziamenti individuali Il Belgio ha una legislazione in tema di licenziamenti che si discosta in modo abbastanza netto dagli altri Paesi europei in genere: in linea di massima il datore può licenziare senza dare alcuna giustificazione, purchè rispetti il termine di preavviso o paghi la relativa indennità sostitutiva. Durante il periodo di prova il preavviso di licenziamento agli operai può essere dato in qualsiasi momento dopo l’ ottavo giorno fino alla fine della prova. Ai “colletti bianchi” il preavviso può essere dato con sette giorni d’ anticipo o con il pagamento della retribuzione corrispondente ai quei sette giorni. Nel caso in cui ricorra una giusta causa il contratto non può essere interrotto senza preavviso o prima dello spirare di tale termine, se l’ evento che giustificherebbe il recesso è conosciuto da almeno tre giorni dalla parte che chiede la risoluzione. Il “licenziamento improprio” è il licenziamento dell’ operaio senza alcuna correlazione con le sue competenze, con la sua condotta o che comunque non si basa su esigenza di funzionamento dell’ impresa. Il datore, come detto, non è obbligato a dare giustificazioni per il licenziamento (ad eccezione dell’ ipotesi di giusta causa e di alcune categorie protette di lavoratori), tuttavia non può neanche agire in modo arbitrario: nel caso di contestazione grava proprio sull’ imprenditore l’ onere di provare la liceità del suo comportamento. La legge non dice nulla sul concetto di “licenziamento improprio” per i colletti bianchi quindi occorre far riferimento alla giurisprudenza, secondo cui deve trattarsi di licenziamenti maliziosi, posti in essere con l’ intento di nuocere al dipendente, oppure occorre che siano effettuati in modo talmente avventato da non lasciare dubbi sull’ esistenza di malafede. In ogni caso il calcolo del periodo di preavviso viene effettuato sulla base di criteri diversi per ciascuna categoria di lavoratori e dipende da fattori quali ad esempio l’ anzianità di servizio e, talvolta, anche la retribuzione. Una forma di tutela più intensa è prevista soltanto per alcune categorie protette di lavoratori,come ad esempio gli over 60, i delegati sindacali e i componenti del consiglio di fabbrica. In questi casi il licenziamento deve essere necessariamente preceduto dalla consultazione delle organizzazioni sindacali, del consiglio di fabbrica stesso e di un’ apposita commissione mista, cosa che invece non accade per le categorie non protette. Per l’ impugnazione del licenziamento è possibile rivolgersi alla Corte del Lavoro, composta di tre soggetti: un magistrato professionale, un rappresentate degli imprenditori e uno dei lavoratori. Nel recesso per giusta causa il datore ha l’ onere di 39
dimostrare gli elementi sulla cui base intende interrompere il rapporto, mentre invece il lavoratore che pretenda il risarcimento deve dimostrare l’ inesistenza di valide ragioni. Laddove l’ operaio riesca a dimostrare la fondatezza delle proprie pretese ha diritto al pagamento di un’ indennità pari a sei mesi di retribuzione a cui si aggiunge l’ indennità per il mancato preavviso. I colletti bianchi hanno invece diritto alla medesima indennità più i danni. Se il licenziamento senza giusta causa riguarda un lavoratore assunto a tempo determinato, ad esso spetta una somma pari alle retribuzioni che avrebbe percepito fino alla scadenza del termine ma comunque non superiore al doppio dell’ indennità di mancato preavviso che avrebbe trovato applicazione se il contratto fosse stato a tempo indeterminato. Non è contemplata la figura del reintegro, salvo che per i componenti del consiglio di fabbrica e della commissione per la salute e la sicurezza. Costoro hanno diritto ad un ulteriore indennizzo qualora il datore rifiuti il reintegro. Licenziamenti collettivi Nel paese che ospita il nostro Parlamento europeo, la definizione di licenziamento collettivo è assai simile a quella spagnola e ci si riferisce a licenziamenti motivati da ragioni non attribuibili ad un singolo lavoratore e che coinvolgono in 60 giorni (Royal Order 24 Maggio 1976, Royal Order 26 Marzo 1984, Royal Order 11 Giugno 1986, Collective Labour Agreement 10/1973, Collective Labour Agreement. 24/1975, Collective Labour Agreement 24quater/1993): - almeno 10 lavoratori in un impresa che ne occupa tra i 20 e i 100; - almeno il 10% degli occupati in un impresa che ne occupa in media tra i 100 e i 300; - almeno 30 lavoratori in un impresa che ne occupa in media almeno 300. Contestualmente alla notifica scritta dei licenziamenti ai rappresentanti dei lavoratori, il datore deve informarne con raccomandata anche il direttore del dipartimento regionale dell’Ufficio Nazionale per il Lavoro (sezz. 6 e 7, Royal Order 24 Maggio 1976), dando una serie di dettagliate informazioni (nome e indirizzo dell’impresa, natura e attività dell’impresa; consiglio di fabbrica competente per l’impresa competente per ; numero degli occupati; ragioni del licenziamento; numero dei lavoratori da licenziare, classificati per età, sesso, categoria e dipartimento occupazionale, periodo dal quale decorre l’efficacia del recesso, risultati delle consultazioni avute con i rappresentanti dei lavoratori). I rappresentanti dei lavoratori possono esprimere valutazioni direttamente al direttore del dipartimento regionale dell’Ufficio Nazionale per il Lavoro (sez. 8, 40
Royal Order 24 Maggio 1976). Almeno 30 giorni dalla data di notifica dell’intimazione dei licenziamenti devono passare affinché essi siano efficaci. La disciplina è mutata in parte dopo il caso Renault, con l’emanazione dell’Employment Act nel 1998, che ha chiarito l’obbligo di consultazione dei rappresentanti sindacali gravante sui e che gli ha imposto di dover analizzare e rispondere formalmente alle proposte da questi avanzate. Inoltre la violazione di tali prescrizioni è sanzionata anche dall’obbligo del datore di rimborsare qualunque sussidio o finanziamento pagatogli dal Governo federale per la promozione dell’occupazione.
AUSTRIA Licenziamenti individuali Nell’ ordinamento austriaco la materia del licenziamento è disciplinata soprattutto dall’ art. 1162 del Codice Civile e da un’ apposita legge sull’ organizzazione del lavoro. Innanzitutto è previsto che l’ interruzione del rapporto di lavoro, oltre che per iniziativa del datore, possa avvenire anche: su accordo delle parti su iniziativa del dipendente, con preavviso per dimissioni del dipendente per ragioni serie, senza preavviso su richiesta, durante il periodo di prova allo spirare del termine, nei rapporti a tempo determinato. La legge distingue inoltre fa il licenziamento sommario, che interrompe immediatamente il rapporto senza neanche il preavviso, e il licenziamento ordinario che, al contrario, ha effetto alla scadenza del termine di preavviso. Iniziamo parlando del licenziamento sommario. Esso presuppone l’ oggettiva impossibilita che il lavoratore prosegua, anche provvisoriamente, nello svolgimento della sua attività; ha bisogno di prova ma non è contemplato il rimedio della reintegrazione. In particolare l’ art. 1162 c.c. prevede che il contratto di lavoro possa essere sciolto per importanti ragioni, senza preavviso. La legislazione giuslavoristica ha poi provveduto ad esplicitare alcune di queste ipotesi: incapacità di attendere alle proprie mansioni inganno da parte del lavoratore al momento di stipulare il contratto ubriachezza nonostante ripetuti avvertimenti
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rivelazione di segreti professionali e alcuni comportamenti criminali persistente trascuratezza dei doveri e uscite dal lavoro senza permesso Licenziamento ordinario. Generalmente non è richiesta nessuna prova per il licenziamento di questo tipo, tuttavia esso può essere impugnato se si fonda su determinate attività del lavoratore come ad esempio: appartenenza ad organizzazioni sindacali svolgimento di attività come rappresentante in materia di salute e sicurezza richiamo al servizio militare o ad un servizio alternativo nel caso di obiettori di coscienza pretese del lavoratore chiaramente legittime derivanti dal contratto ma contestate dal datore. Il licenziamento ordinario può essere impugnato anche quando sia socialmente ingiustificato, ossia quando attenti a interessi fondamentali dell’ individuo, oltre ovviamente ai casi di discriminazione a sfondo etnico, razziale, sessuale, religioso e politico. Una particolare protezione è accordata ad alcune categorie di lavoratori protetti: si tratta di rappresentanti sindacali, persone disabili, donne in stato di gravidanza e lavoratori richiamati al servizio militare. Costoro hanno diritto che il preavviso venga dato soltanto dopo un’ apposita autorizzazione del giudice o di un’ apposita autorità amministrativa. L’ eventuale preavviso dato senza rispettare tale condizione è da ritenersi invalido. Il preavviso, che può essere dato in forma orale, scritta o per fatti concludenti è valido soltanto se anche la controparte ne è venuta effettivamente a conoscenza. La sua durata in genere dipende dall’ anzianità di servizio del dipendente e comunque varia a seconda che si tratti di operai o colletti bianchi. I primi hanno una tutela molto ridotta da questo punto di vista: il contratto collettivo prevede generalmente un termine di due settimane ma, nel caso di lavoratori assunti a giornata o a cottimo, esso è di un solo giorno. I colletti bianchi godono di un trattamento molto più protettivo, perché il termine di preavviso è di due mesi per coloro che abbiano più di due anni di lavoro e cresce ulteriormente in proporzione all’ età di servizio. È possibile che termini più lunghi rispetto a quelli appena illustrati in via generale siano previsti da specifici contratti o accordi collettivi. Nella prassi giudiziaria ogni periodo di preavviso che è inferiore a quello 42
prefissato o che comunque è impostato per cadere in una data anteriore viene considerato come illegittimo licenziamento prematuro. La procedura prevede che il datore informi il consiglio di fabbrica circa l’ intenzione di licenziare. Il modo in cui il consiglio risponde a tale comunicazione è molto importante poichè influenza il futuro, eventuale procedimento d’ impugnazione, e comunque una volta che siano stati soddisfatti i criteri d’ informazione e consultazione il licenziamento può andare avanti. Se il datore comunica il preavviso dopo la comunicazione al consiglio ma prima che scada il periodo di cinque giorni che esso ha a disposizione per rispondere (o comunque prima che il consiglio si sia pronunciato), il recesso è invalido. Il licenziamento sommario dovrebbe essere dichiarato immediatamente se colui che prende l’ iniziativa in tal senso ha valide prove. Se ritarda perde tale diritto, e a quel punto non ha l’ obbligo di informazione e consultazione prima del licenziamento, ma deve farlo nei tre giorni successivi. La materia dell’ indennità di licenziamento è stata riformata nel 2002 con un apposito provvedimento normativo. Innanzitutto il datore è tenuto a versare un contributo pari all’ 1,53% della retribuzione in un fondo per il sostegno del reddito dei lavoratori dipendenti. Una volta verificatasi la risoluzione del contratto il lavoratore ha diritto di ottenere dal suddetto fondo un’ indennità calcolata sui contributi versati e sugli interessi nel frattempo maturati. Il pagamento in contanti può aver luogo solo se il lavoratore ha accumulato un minimo di 36 mesi di contribuzione (non importa da quali e quanti datori di lavoro), purchè l’ interruzione del rapporto non sia dovuta a sue dimissioni o a licenziamento sommario. In ogni caso le somme accumulate si trasferiscono al rapporto successivo. Le stesse regole valgono anche per i rapporti che si siano conclusi prima dell’ entrata in vigore della nuova disciplina, anzi i contratti collettivi possono prevedere anche trattamenti di maggior favore. La competenza per le controversie in materia di licenziamenti spetta ai tribunali del lavoro. Se il consiglio di fabbrica concede la sua approvazione non ci può essere impugnazione neanche contro il licenziamento ingiustificato. Altrimenti è proprio il Consiglio che può impugnare in via prioritaria il licenziamento entro una settimana dalla ricezione della notifica. Lo stesso termine va osservato anche qualora il lavoratore, contrariamente al consiglio, voglia impugnare. Sono due le principali vie di impugnazione del licenziamento ingiusto. Si può sostenere che esso sia socialmente ingiustificato (purchè il lavoratore abbia un’ anzianità di servizio di almeno sei mesi) oppure che costituisca una rappresaglia del datore in risposta ad azioni legittime del lavoratore, come ad esempio lo svolgimento di attività sindacale. 43
Nel primo caso il datore può opporsi sostenendo che quella sua determinazione sia dovuta al soddisfacimento di indifferibili necessità funzionali dell’ impresa, mentre nel secondo caso è il dipendente a dover dimostrare che lo scioglimento del rapporto è dovuto proprio a quelle ragioni. L’ indennità spettante per il licenziamento irregolare è limitata alle retribuzioni che sarebbero spettate tra l‘ interruzione del rapporto e la sentenza che in teoria, quando dichiara invalido il licenziamento, dovrebbe determinare la prosecuzione del vecchio rapporto. Licenziamenti collettivi L’Austria prevede procedure di informazione e consultazione sindacale anche per i licenziamenti individuali; dunque, sia in caso di licenziamento del singolo sia di più lavoratori, il consiglio di fabbrica deve esser informato emesso nella posizione di discutere con il datore ogni possibile alterazione dell’impiego nell’impresa, ai sensi del Works Constitution Act, sezione 109 (1), (2). Il consiglio può proporre misure per prevenirne, evitarne o mitigarne le conseguenze dannose per i lavoratori, tenendo però in conto le caratteristiche e la situazione economica dell’impresa (sez. 109 (3), WCA). Queste misure possono esser raggiunte anche tramite accordi collettivi nelle imprese che occupano permanentemente almeno 20 lavoratori. Laddove non si trovi un accordo circa la modifica o revoca delle intimazioni di licenziamento e nessun’altra soluzione sia prevista già dai contratti collettivi vigenti, la decisione sul da farsi è presa, se entrambe le parti (datore e consiglio di fabbrica) lo richiedono, da un consiglio per le vertenze. Infatti, al locale ufficio per l’impiego vanno notificate per iscritto tutta una serie di informazioni riguardanti le persone in esubero, almeno 30 giorni prima dell’intimazione del recesso da parte del datore, a pena di nullità di quest’ultima (sez. 45a, Labour Market Support Act) i periodi di preavviso per intimare i licenziamenti collettivi coincidono con quelli prescritti per i licenziamenti individuali.
OLANDA Licenziamenti individuali Il Codice Civile olandese, che insieme al Decreto straordinario sulle Relazioni Industriali rappresenta la più importante fonte per il diritto del lavoro, stabilisce che il rapporto può interrompersi in tre ipotesi: per mutuo consenso, per legge o per licenziamento. Le conseguenze giuridiche in caso di scioglimento del rapporto per 44
mutuo consenso sono rappresentate dall’ impossibilità, per entrambe le parti, di invocare la nullità del licenziamento e di chiedere il relativo risarcimento danni. Per ovvie ragioni sono da ritenersi invalidi i patti che prevedano lo scioglimento del rapporto in caso di gravidanza o matrimonio del lavoratore. La legge prevede come cause di scioglimento del rapporto la scadenza del termine apposto al contratto e la morte del lavoratore. Quanto alla prima ipotesi va detto che anche in caso di scadenza del contratto a tempo determinato deve essere dato il preavviso se ciò è previsto dal regolamento, dalle consuetudini (se non in violazione del contratto) o se è stato concordato per iscritto. La conclusione anticipata del rapporto è possibile solo se ciò è stato concordato dalle parti. In caso contrario è richiesta una preventiva autorizzazione come se si trattasse di un licenziamento. Il contratto rinnovato tacitamente alla scadenza si considera esteso per lo stesso periodo, non superiore a dodici mesi, alle stesse condizioni di prima. In relazione alla morte del lavoratore, il datore deve pagare ai parenti superstiti una somma pari alla retribuzione dal giorno della morte all’ ultimo giorno del mese successivo. Tuttavia il contratto non si scioglie per effetto della legge quando si verifica la morte del datore: i suoi eredi e il lavoratore potranno recedere da un rapporto a tempo determinato come se fosse permanente. Per quanto riguarda invece il licenziamento vero e proprio la legge olandese tutela la posizione del lavoratore attraverso un meccanismo che agisce a priori. Infatti per interrompere il rapporto di lavoro è necessario che il giudice abbia già rescisso il contratto e che sia stato dato il preavviso secondo una ben precisa procedura. La rescissione può aver luogo solo di fronte a ragioni sostanziali, come possono essere, ad esempio, radicali cambiamenti tecnologici che giustifichino l’ interruzione del rapporto di lavoro. La strada della rescissione giudiziale del contratto è quella utilizzata più frequentemente dai datori in quanto assicura una rapida soluzione . Il preavviso che deve dare il giudice è molto breve ed un altro vantaggio, per il datore, è rappresentato dal fatto che questo strumento è utilizzabile anche nei casi in cui il preavviso non può essere dato. Contro queste decisioni del giudice non è ammesso appello ad una corte superiore. Fino a poco tempo fa anche i lavoratori preferivano la via della rescissione piuttosto che il mutuo consenso, perché così potevano salvare l’ indennità di disoccupazione. Infatti poteva accadere che, di fronte ad un mutuo accordo, il giudice attribuisse la risoluzione al lavoratore che così avrebbe perso l’ indennità. Tuttavia accadeva che anche nel caso in cui le parti avessero raggiunto un accordo, potesse essere comunque ottenuto dal giudice un
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provvedimento di rescissione, cosiddetto “pro forma”: l’ abolizione di questa formalità è uno degli obiettivi della nuova legislazione. Un principio generale del Codice Civile olandese è che il contratto di lavoro può essere risolto sia dal datore che dal dipendente dando il preavviso, anche se poi ci sono specifiche norme di legge che rafforzano ulteriormente la tutela contro il licenziamento. Il Decreto Straordinario sulle Relazioni industriali prevede infatti che il datore non possa risolvere il contratto di lavoro dando il semplice preavviso senza il preventivo assenso del competente Ufficio per il Lavoro, salvo che la risoluzione avvenga durante il periodo di prova o a causa del fallimento dell’ impresa o del fallimento personale dell’ imprenditore. Passiamo ora ad analizzare gli aspetti procedurali. Le ragioni del licenziamento devono essere specificate per iscritto e devono essere suffragate da validi elementi di prova affinché possa essere ottenuto il consenso dell’ Ufficio del lavoro, il quale a sua volta adotterà una decisione solo dopo avere ascoltato le parti coinvolte e dopo aver ottenuto il parere de di un apposito comitato chiamato a pronunciarsi proprio in materia di esuberi. Il licenziamento potrà essere considerato valido quando sia fondato su un’ eccedenza di personale, sulla condotta non conforme del lavoratore, sull’ incapacità del lavoratore di attendere alle proprie mansioni. In questi casi l’ Ufficio può concedere il permesso per il licenziamento, che però ha un’ efficacia limitata nel tempo e quindi deve necessariamente avvenire prima della scadenza di un determinato termine. Tale assenso può essere sottoposto anche a condizioni, come ad esempio l’ onere di assumere altri lavoratori per adibirli alle medesime mansioni, verificando al contempo se sia possibile ricollocare all’ interno dell’ azienda il lavoratore da licenziare. La risoluzione del contratto senza il consenso dell’ Ufficio del lavoro deve ritenersi invalida e il dipendente potrà chiederne l’ annullamento entro sei mesi. Le decisioni dell’ Ufficio non sono suscettibili di impugnazioni. Sono poi previste ulteriori restrizioni circa la possibilità di licenziare, ad esempio sono protetti in tal senso: - i lavoratori che siano assenti a causa di malattia, purchè questa non si protragga da oltre due anni - le lavoratrici durante il periodo di gravidanza e nelle sei settimane successive - i lavoratori impegnati nel servizio militare - i lavoratori che siano anche membri del consiglio di fabbrica
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- i lavoratori che abbiamo presentato un reclamo lamentando discriminazioni sul luogo di lavoro. Le stesse disposizioni si applicano anche ai lavoratori chiamati ad occuparsi della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: supervisori, medici e membri dei comitati di salute e sicurezza. Sono invece esclusi da questa protezione i lavoratori in prova e quelli che siano oggetto di licenziamenti sommari. La violazione di queste regole legittima chiaramente il lavoratore a chiedere la cancellazione del licenziamento, come anche nel caso in cui non siano rispettati i termini legali per il preavviso. Questo viene stabilito dalla legge nel suo ammontare minimo, poi è possibile che intervenga la contrattazione collettiva che però può apportare modifiche soltanto in senso migliorativo. I termini legali di preavviso dipendono esclusivamente dall’ anzianità di servizio e variano dai trenta giorni, per chi sia impiegato da meno di cinque anni, a 4 mesi per coloro che abbiano una militanza aziendale superiore ai 15 anni. Nel caso di risoluzione del contratto per ragioni urgenti è sufficiente che una delle due parti notifichi all’ altra la natura di tali ragioni, che sono definite dalla legge come le qualità, i comportamenti o gli atti di una parte che non rendano ragionevolmente possibile la prosecuzione del rapporto per l’ altra. Per quanto riguarda l’ aspetto risarcitorio va detto che, sebbene la legge non stabilisca nulla in proposito, i tribunali hanno provveduto all’ elaborazione di una serie di “raccomandazioni” al fine di garantire un’ adeguata protezione al lavoratore e scongiurare il pericolo di iniquità. In linea di massima si è stabilito che si debba tener conto innanzitutto del reddito mensile lordo, aumentato di una serie di prerequisiti e diminuito delle detrazioni come contributi pensionistici. Il risultato è moltiplicato per gli anni di servizio e per un ulteriore coefficiente. Licenziamenti collettivi Uno dei paesi che più si distingue nella normativa sui licenziamenti collettivi è proprio l’Olanda. I lavoratori olandesi sono protetti dal licenziamento, sia individuale che collettivo, addirittura da un sistema di controllo che opera a priori rispetto al licenziamento stesso. Infatti, il datore di lavoro, prima di poter licenziare, deve regolarmente ottenere: - la rescissione giudiziale del contratto; oppure - il permesso del CWI - Centrum voor Werk & Inkomen – che è l’equivalente pubblico dei nostri pubblici uffici del lavoro.
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Per avere quest’ultima approvazione, esistono tutta una serie di regole procedurali che il datore deve attendere, sia per i licenziamenti individuali che collettivi, regolati dal CRNA, Collective Redundancy (Notification) Act. Parliamo di licenziamento collettivo quando il contratto di 20 o più lavoratori, occupati nella stessa regione, viene fatto terminare nel giro di 3 mesi. In questo caso il datore deve notificare al CWI e a tutte le organizzazioni sindacali coinvolte (per il solo scopo della consultazione) le date proposte per il recesso, vari dettagli sui lavoratori in esubero e la data in cui è stato consultato il consiglio di fabbrica. Il CWI non valuta la richiesta di approvazione finchè non sia passato un mese dalla ricevuta notificazione. Il requisito della consultazione del consiglio di fabbrica è meno stringente quando l’impresa o il datore sono in crisi e ciò vale anche per il posticipo della valutazione del CWI. Senza il consenso di tale organo pubblico, eventuali licenziamenti comunque intimati sono o dovrebbero essere dichiarati nulli e invalidi, e sia i datori che i lavoratori possono chiederne la cancellazione entro 6 mesi dal recesso. Non è previsto alcun appello contro la decisione del WCI. Anche se manca la previsione legislativa del calcolo dell’indennità in caso di licenziamento collettivo, in alcuni settori dell’industria sono i contratti collettivi a fornire le linee guida per i casi di fusione, trasformazione e riorganizzazione dell’impresa. Solitamente è stilato un “piano sociale”, un accordo collettivo tra datore e sindacati, contenente uno schema dell’esubero e specifiche norme e procedure da seguire per assistere i potenziali licenziati ed aiutarli nel trovare un nuovo lavoro. In genere questo schema prevede anche un supplemento dell’ordinaria indennità di disoccupazione per un certo periodo di tempo, pagato spesso in un’unica rata contante.
SLOVENIA Licenziamenti individuali Per i licenziamenti in Slovenia occorre far riferimento alla riforma avvenuta nel 2003. La legge distingue fra cessazione ordinaria e straordinaria del rapporto di lavoro, che può essere su iniziativa di entrambe le parti. Dal momento che il lavoratore è la parte debole del rapporto e il recesso comporta una perdita di occupazione e di reddito, il legislatore restringe le possibilità di licenziamento attraverso una serie di regole protettive, che si riferiscono soprattutto alle ragioni e 48
alle procedure da seguire. Innanzitutto vengono individuate tre tipologie di situazioni che possono giustificare l’ ordinaria risoluzione del rapporto di lavoro su iniziativa dell’ imprenditore: -quando ci sono ragioni di tipo economico In presenza di un’ incapacità del lavoratore In ipotesi di colpa del lavoratore. Allo stesso tempo la legge si preoccupa anche di indicare espressamente alcune circostanze che non possono in alcun caso giustificare il licenziamento ordinario: assenza dal lavoro per infortunio o malattia, congedo parentale, svolgimento di attività sindacale, sciopero e discriminazioni varie. Soffermandoci sulle ragioni di tipo economico che possono determinare il recesso da parte del datore, può accadere che la necessità di estromettere il dipendente dal ciclo produttivo dipenda da esigenze di carattere organizzativo, tecnico, strutturale, e altri motivi simili. Si tratta evidentemente molto simile al nostri giustificato motivo oggettivo. L’ incapacità del lavoratore legittimante il licenziamento può essere di due tipi: di natura soggettiva se non vengono raggiunti determinati risultati (per motivi di tempo, di qualità…), e di natura oggettiva se il lavoratore non possiede i requisiti per lo svolgimento delle mansioni che gli sono affidate. Il licenziamento per colpa si ha quando il lavoratore si rende inadempiente nei confronti di obbligazioni contrattuali o di altro tipo. Passando all’ altra macrocategoria, quella del licenziamento straordinario, occorre preliminarmente precisare che esso può scaturire da motivazioni imputabili ad entrambe le parti. In alcuni casi, di fronte a ripetute violazioni provenienti da una delle parti, tali da non consentire la prosecuzione del rapporto, l’ altra può recedere dal contratto senza neanche dare il preavviso. Ragioni di questo tipo sono previste tassativamente dalla legge. Il procedimento da seguire in queste ipotesi è sostanzialmente lo stesso che trova applicazione a fronte di una risoluzione del contratto dovuta a “normali” violazioni degli obblighi contrattuali: necessità di forma scritta, informazione ai sindacati se il lavoratore lo richiede, possibilità di posticipare la data della conclusione del rapporto. Una volta che il datore abbia illustrato per iscritto le ragioni del licenziamento, il lavoratore ha diritto di replicare e di argomentare la propria difesa. Se ad essere interessato è un rappresentante sindacale bisogna che l’ imprenditore ne informi 49
anche l’ organizzazione di appartenenza, che a sua volta potrà opporsi in forma scritta, magari ritenendo non integrati i requisiti sostanziali o violate le norme procedurali. Se invece il sindacato riconosce le ragioni del datore, il dipendente può chiedere di posticipare la data della risoluzione. I lavoratori che non svolgano attività sindacale possono ottenere quest’ ultimo effetto soltanto rivolgendosi all’ ispettorato del lavoro, che potrà accogliere la loro richiesta qualora accerti che l’ imprenditore ha agito in modo arbitrario. In ogni caso il licenziamento non produce effetti finche non si sia conclusa la controversia giudiziale o l’ arbitrato. L’ onere di provare l’ esistenza di ragioni talmente gravi non consentire la permanenza del lavoratore, grava sull’ imprenditore. Il dipendente ha comunque diritto ad un periodo di preavviso, il cui ammontare dipende dalla natura delle ragioni per le quali viene estromesso dall’ impresa e dalla sua permanenza presso la stessa. Secondo criterio più o meno analoghi viene calcolata l’ indennità spettante nei casi di licenziamento per ragioni economiche o per incapacità: si può arrivare fino ad un massimo di un terzo dello stipendio medio mensile negli ultimi tre mesi moltiplicato per gli anni di servizio in azienda (per coloro che si lavorino per lo stesso datore da più di 15 anni.). Egli ha diritto anche ad un’ indennità di disoccupazione per i due anni successivi alla perdita del posto, che ammonta al 70% della retribuzione precedentemente goduta. Queste forme di protezione non spetta a coloro che siano stati licenziati per colpa. Il licenziamento va impugnato entro 30 giorni dalla notifica e la controversia può essere risolta o dal competente giudice del lavoro oppure da un collegio arbitrale appositamente costituito, se ciò è previsto dal contratto collettivo e le parti sono d’ accordo per una soluzione del genere. È previsto inoltre che nonostante l’ affermazione dell’ illegittimità del licenziamento e l’ ordine di proseguire nel rapporto di lavoro, il lavoratore può ugualmente agire per il risarcimento del danno nei confronti del datore, se riesce a dimostrarne i profili di responsabilità Licenziamenti collettivi Anche nei paesi dell’Est Europeo entrati in Europa più recentemente, le regole sono simili a quelle caratterizzanti gli altri Paesi europei In Slovenia è prevista l’estinzione del rapporto di lavoro per cause economiche legate all’intero business aziendale, nel cui ambito collochiamo le procedure di licenziamento collettivo. La soglia temporale è di 30 giorni, mentre il numero minimo dei soggetti coinvolti in un licenziamento che sia collettivo varia a seconda della dimensione dell’impresa. Il datore deve elaborare un programma dell’eccedenza che ne indichi i motivi; le misure per prevenire o limitare al massimo una riduzione di 50
personale, anche considerando di mutare le condizioni di lavoro dei dipendenti; l’elenco dei lavoratori in eccesso; i criteri di scelta di essi e dei mezzi di limitazione dei licenziamenti (come l’offerta di altro post di lavoro, un’assistenza economica, etc). Valgono le norme sull’informazione e consultazione dei sindacati e dell’agenzia del lavoro.
SVEZIA Licenziamenti collettivi Imprescindibile è accennare a quanto avviene in caso di licenziamenti collettivi nel Nord Europa. La Svezia, il paese che ha imposto il mobile low cost nel mondo e che vanta un modello di welfare considerato da molti tra i migliori (come del resto vale per tutti i paesi scandinavi), prevede una serie di restrizioni del potere del datore di licenziare causa esubero. Egli è tenuto a considerare se il lavoratore in eccedenza possa esser assegnato ad alta posizione ed anche la possibilità di intraprendere misure strutturali diverse, che non creino esuberi. Ad ogni modo, il bisogno di riduzione dei costi e l’effetto delle decisioni sulla forza lavoro sono gli elementi che guidano la scelta finale dell’imprenditore. Nonostante il potere di determinare un licenziamento basato sull’eccedenza di personale, il datore manca di quello di scegliere anche chi sia il soggetto specifico da mandare a casa per primo. I lavoratori coinvolti nella procedura sono assegnati alle cosiddette “unità d’anzianità”, dove, per ogni unità, i lavoratori assunti più di recente sono i prima a venir meno. Inoltre, l’effettiva operatività dell’organizzazione aziendale è considerata solo nella misura in cui i restanti lavoratori siano in grado e qualificati per gestire gli obiettivi necessari dell’impresa, dopo un periodo di prova. Se un datore occupa 10 o meno persone, egli può decidere di esentare dal licenziamento un massimo di due lavoratori che ritiene particolarmente validi e importanti per il suo gruppo. Se il licenziamento coinvolge 5 o più impiegati, oppure 20 o più entro 90 giorni, l’ Act on Various Employment Promotion Measures del 1974 obbliga il datore a notificare al territoriale ufficio del lavoro le informazioni sulla procedura pendente. 51
Nei casi di estinzione del rapporto di lavoro dovuti ad un’eccedenza, il datore che pianifichi il recesso per 5 o più dipendenti ha l’obbligo di notificarlo all’autorità distrettuale per l’occupazione tra i 2 e i 6 mesi di anticipo, in base al numero di persone che si vuole licenziare. Quando è molto probabile che un esubero conduca al licenziamento, il datore deve rispettare un termine di preavviso di un mese. È tratto particolare che nella scelta dei lavoratori da licenziare è specificatamente tutelato il rappresentante sindacale, cui è data priorità nella continuazione dell’impiego laddove ciò sia determinante per la gestione dell’attività sindacale sul posto di lavoro. Attualmente mancano indennità di disoccupazione di fonte legale, ma in caso di perdita del lavoro per ragioni economiche spesso suppliscono previsioni dei contratti collettivi. Dal punto di vista rimediale, quando un lavoratore affiliato ad un sindacato riceve una notifica di licenziamento (ciò vale per qualsiasi licenziamento, non solo per quelli causa esubero), egli e il sindacato sono abilitati a discuterne con il datore. Questa consultazione può esser richiesta solo entro una settimana dal preavviso del recesso e quando è richiesta, il licenziamento non può proseguire, cioè non può divenire efficace, prima del confronto tra le parti. Allo stesso modo, qualora nasca una disputa sulla validità del preavviso del licenziamento, né il rapporto di lavoro non si risolve fino all’esito della controversia né il lavoratore viene sospeso solo in ragione del preavviso Conclusioni Il quadro di insieme circa la disciplina dei licenziamenti è stato delineato in modo abbastanza completo. È noto a tutti quanto questo fenomeno sia oggi attuale e quanto dunque sia utile per chi lavora e per chi rappresenta i lavoratori avere ben chiare prerogative e diritti. Benché si auspica sempre di non usare quegli strumenti giuridici che operano nelle patologie – è sempre più bello parlare di assunzione invece di licenziamento ad ogni modo bisogna considerare che meglio è strutturata la normativa che regola la patologia, migliore è la garanzia della fisiologia del sistema. E ancora, più la patologia è estesa e generalizzata, più la cura deve esser uniforme per tutti e se non in grado di guarire, almeno utile per alleviare le sofferenze.
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Fuor di metafora, riteniamo che una buona ed uniforme regolazione dei licenziamenti, sia un ingrediente fondamentale per lo sviluppo di un mercato del lavoro sano, non solo all’entrata ma anche all’uscita.
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Le pubblicazioni della collana editoriale “Per saperne di più...” sono consultabili e disponibili all’indirizzo: www.uil.it/contrattazione/persapernedipiu.html a cura del Servizio Politiche Contrattuali
MARIANI FERNANDO MARTINA MARMO MATTEO DE BONIS