Maria Teresa Rossitto
LA CASA ROSA
“La casa rosa” di Maria Teresa Rossitto
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Nell’ultimo estremo lembo di terra prima che la linea di confine tracci una netta cesura tra una terra e l’altra, tra un paese ed un altro. Proprio su questa limitata porzione di terreno, inserita in un contesto scenografico in cui nulla è artificioso ma tutto segue il principio della creazione naturale, s’innalzava un moderno complesso condominiale conosciuto nel territorio circostante come “la casa rosa ”. Alle spalle di questo condominio come una bizzarra e avvolgente coperta, sorgeva una massiccia e frastagliata roccia che sovrastava e incombeva sullo stesso. A primo avviso poteva sembrare quasi inquietante per la sua estrema imponenza, poi in realtà, osservata con maggiore attenzione, rivelava straordinarie particolarità. La roccia presentava, a chi la osservava dalla strada antistante il condominio, una serie continua di striature colorate di rosso, di grigio, di nero come a disegnare sbavature prodotte dalla mano di un artista, quando in realtà si trattava di erosioni create in buona parte dal calcare. A questi singolari tratti colorati si alternavano improvvisi antri scuri, caverne in cui nidificavano eleganti e sinuosi gabbiani. All’interno delle grotte uomini primitivi avevano lasciato l’impronta del loro passaggio attraverso graffiti e disegni. La casa rosa era stata costruita negli anni settanta secondo i dettami dell’epoca. La cosa singolare di quell’edificio era data dagli abitanti dello stesso. La maggior parte dei condomini non viveva nella casa stabilmente, ma vi passava brevi periodi di vacanza. Un giorno d’estate, di mattina molto presto, la custode del palazzo sentì come un tonfo e un grido soffocato provenire dalla strada che costeggiava la parte verso il mare. Aprì di corsa la porta e vide il cadavere di un uomo sul selciato quasi davanti alla sua guardiola. Si radunò una piccola folla vociante che rimase in attesa di notizie. Poi una volante della polizia, giunta dopo poco disperse quella folla rumorosa. L’ispettore Edoardo Vanzini cominciò subito con i primi accertamenti. L’ispettore Vanzini era un giovane poliziotto al suo secondo incarico alla omicidi. Era alto con un fisico atletico. Aveva uno sguardo luminoso, una barba incolta e due piccole cicatrici su una guancia. Lasciò alla scientifica gli esami tecnici, per concentrarsi invece sulle persone presenti nel condominio al momento del grave fatto. Risultò subito evidente che l’uomo era caduto o era stato spinto da un balcone della casa. La custode precisò che l’uomo era un affittuario stagionale e che da poco aveva preso in affitto un appartamento del terzo piano. Nulla si sapeva del suo presente e del suo passato. Vanzini si fece consegnare dalla custode un elenco di tutti i condomini presenti in quel momento nella casa. Rosa Baffi, questo era il nome della custode, era una donna prosperosa ancora giovane con una pinguedine distribuita in maniera abbondante, che la faceva sembrare quasi una donna di Botero . Le gambe e i polpacci di quella donna formavano una massa statica, senza alcuna curvatura o proporzione, come se l’armonia delle forme fosse un concetto sconosciuto per quel fisico. Aveva, d’altro canto, una pelle delicata color albicocca attraversata da una sottilissima e impercettibile venatura bluastra ed una dentatura bianchissima. L’ispettore rimase per alcuni istanti come ipnotizzato nell’osservare i suoi denti. La donna, che aveva modi spicci, prese un mozzicone di matita e fece un elenco con le generalità e il mestiere delle persone, oltre ad indicare tra parentesi l’eventuale soprannome con il quale gli stessi inquilini erano conosciuti. All’ispettore sembrò una cosa inutile e ridicola e non riuscì a trattenere una risata, ma Rosa Baffi sembrò quasi offesa.
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“Ispettore, io sono una persona precisa e mi stupisce che lei con il suo mestiere non apprezzi la mia pignoleria!!” disse la donna appoggiando le mani sui robusti fianchi tentando di assumere, con il movimento delle braccia, la forma di un’ anfora. “Signora Baffi questa è una indagine seria!! Cosa vuole che mi interessi il soprannome, per favore ma non scherziamo!!? “ “Nella vita non c’è niente di serio non l’ha ancora imparato ispettore.” pronunciò risoluta la custode. Vanzini rimase un po’ interdetto perché ritenne quest’osservazione fuori luogo, soprattutto dopo un fatto tragico. Poi prese dalle mani della custode l’elenco scritto a matita e cominciò a leggerne il contenuto. 1) Alfonso Perelli, generale (appartamento primo piano, scala A) detto “la ritirata” 2) Lucilla Bianchini, cantante lirica (appartamento secondo piano, scala B) detta “la maitresse” 3) Fausto Parodi, giardiniere ligure (appartamento terzo piano, scala D) detto “braccino corto” perché paga sempre in ritardo le spese di condominio. 4) Sergio Casiraghi, imprenditore lombardo (appartamento primo piano, scala C) detto “il trapanatore” non per abitudini sessuali, ma perché deve sempre montare mensole e quindi fare buchi nel muro. 5) Luca Mainolfi, giovane stilista nel campo della moda (appartamento primo piano, di fronte al trapanatore) detto “Testarossa” perché ha una Ferrari.( Con lui la fidanzata che non so come si chiami, detta “la cicogna” perché veste sempre di bianco e ha il collo lungo. Nella casa non c’erano altri condomini al momento del fatto, perché in questo condominio vengono solamente per le vacanze ed in periodi diversi. Firmato Rosa Baffi( la custode) L’ispettore Vanzini non riuscì a trattenere una risata ancora più sonora della precedente. Anche perché osservando la figura goffa della custode si domandava quale potesse essere il suo soprannome. Tutto sembrava prendere una piega comica, quasi assurda. La tragicità dell’evento appena accaduto strideva in maniera evidente con i personaggi che frequentavano la casa. A Vanzini vennero in mente quelle maschere tragiche che voltate appaiono comiche. Ma la sua considerazione era parziale in quanto non aveva ancora incontrato i soggetti dell’elenco. Aveva la sensazione, per la prima volta, che forse la conoscenza di tutte quelle persone non l’avrebbe condotto da alcuna parte utile alle indagini, ma l’avrebbe portato in territori sconosciuti, ai limiti del nonsense . Si congedò temporaneamente dalla curiosa custode, non prima d’averle chiesto ancora qualche ragguaglio sulle abitudini dei condomini citati nell’elenco. Avrebbe proceduto a sentirli personalmente, e se poi fosse stato necessario, a convocarli al Commissariato. La donna raccontò tutto ciò che sapeva, e poi quasi affranta si lasciò cadere rumorosamente su una poltrona, mostrando all’ispettore che il suo contributo nelle indagini era stato particolarmente stressante. Appoggiò le gambe su uno sgabello, levandosi le scarpe senza alcuna remora. Poi indicò con un cenno del capo la porta di casa e disse:
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“Mi scusi se non l’accompagno ma sono molto stanca” detto questo afferrò la boccetta dello smalto e cominciò a dipingersi le unghie delle mani, incurante della presenza dell’ispettore. L’uomo uscì continuando a sorridere. Poi prese dalla tasca l’elenco compilato dalla custode e raggiunse l’appartamento del generale Alfonso Perelli.
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ALFONSO PERELLI (La ritirata) Mentre l’ispettore Edoardo Vanzini raggiungeva l’appartamento del primo piano scala A abitato dal generale Perelli, continuava a pensare a quale incontro prepararsi. Il soprannome (la ritirata) non aveva attinenza con la persona, quanto piuttosto con la sua attività. Una leggera apprensione s’impadronì di lui poco prima di suonare il campanello, ma fu solo causata dal timore che l’ambiente militare aveva sempre suscitato in lui. Più che timore si trattava di una forma d’insofferenza verso le gerarchie militari, ma era lavoro e quindi era necessario muoversi anche velocemente. Suonò al campanello e attese. Dopo aver sentito abbaiare alcuni cani all’interno dell’alloggio, si presentò alla porta un uomo di circa 80 anni, alto, con una folta chioma bianca, munito di due piccoli occhi azzurri pungenti che scrutavano l’ospite. L’uomo si appoggiava ad un bastone di legno con una decorazione nell’impugnatura. Vestiva una giacca da camera, di tipo scozzese, con le iniziali cucite a caratteri d’oro sul petto. La luce proveniva unicamente dalla figura dell’uomo, in quanto la stanza era completamente all’oscuro. Sembrava che la figura irradiasse strani raggi. Poi improvvisamente accese la luce e nell’ingresso anche abbastanza ampio, l’ispettore poté vedere che ogni segmento del muro era stato completamente riempito di fotografie, di medaglie e altri cimeli. Poi notò una serie di libri rilegati disposti sopra una libreria sul fondo, su cui a caratteri d’oro spiccava la scritta “codice penale militare”. Dietro all’uomo quattro piccoli cani di razza carlina, scodinzolavano. “Vedo che sta osservando con interesse i miei cimeli. Ho partecipato a molte spedizioni del contingente italiano su fronti di guerra. L’ultima missione è stata in Libano. Poi ho chiuso. Ma torniamo a noi. Mi scusi ispettore ma la custode mi ha avvertito solo pochi minuti fa della sua visita, mi stavo preparando una spremuta. Si accomodi, venga in cucina con me non le dispiace vero?” “No affatto. So che è un’ora insolita per presentarsi, ma è accaduto un fatto grave.” “Insolita? Sono un militare e mi alzo alle sei del mattino tutti i giorni, per cui una visita alle nove e mezzo è assolutamente nella norma.” “Vede questa mattina, di fronte alla guardiola della custode, è precipitato un uomo dal terzo piano, un nuovo affittuario. Non sappiamo ancora se sia trattato di suicidio o di omicidio. Lei l’ha mai visto in questi giorni? Sa dirmi qualcosa in merito a questa persona?” “No. Sono arrivato da una settimana e l’ho incontrato ieri ma non saprei dirle neppure quali siano i suoi tratti somatici. E’ un ragazzo giovane con una macchina sportiva, non so dirle altro. Non ho avuto modo di scambiare alcuna parola con lui. Posso offrirle un caffè ispettore, nel frattempo?” “Grazie. Volentieri. Ne approfitto per chiederle anche qualche notizia sugli altri condomini. Ha notato qualcosa di strano nella casa, qualche episodio particolare, movimenti imprevisti di persone o altro?” “Immagino che la custode l’avrà ampiamente informata sugli abitanti di questa casa. Quanto al Parodi, il giardiniere, le posso dire in tutta sincerità che è la persona
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più sgradevole che io abbia mai incontrato. Gretto, pusillanime, e soprattutto maleducato. Non mi faccia dire altro perché parlare di quel soggetto è tempo sprecato. Lucilla, la cantante, è un capitolo a parte. Qualche anno fa ho avuto un debole per quella donna. Io sono vedovo e lei è divorziata da tanti anni. Si lo so, è molto appariscente, stravagante, ma immaginavo che oltre all’aspetto ci fosse della sostanza. Mi sono sbagliato in pieno. Mi permetta questa breve parentesi, ispettore. “ I due uomini si sedettero sul divano del soggiorno, e il generale appoggiò il suo bastone al tavolo per raccontare all’ispettore Vanzini la sua breve storia. “Qualche anno fa ebbi modo di conoscere, sebbene in maniera approssimativa, la Lucilla Bianchini. Rimasi quasi folgorato dalla sua avvenenza. Una donna statuaria, sempre avvolta in luminosi e vaporosi vestiti colorati di sapore orientale. Una cornice di capelli biondi e una dentatura ancora splendida. Cosa vuole forse mi sopravvalutai, ma decisi di tentare un corteggiamento. Ogni mattina le facevo trovare una rosa rossa appoggiata sullo zerbino di casa con un biglietto profumato, sul quale scrivevo una poesia di mia personale composizione. Tutto ciò per circa una settimana, poi una mattina mi presentai per invitarla a colazione. Erano circa le otto e trenta. Suonai al suo campanello. Non ebbi alcuna risposta. Poi riprovai e finalmente una voce roca dall’altra parte mi rispose che era impossibilitata ad aprire perché ancora in desabillé . Le chiesi se era possibile vedersi più tardi, e lei rispose in maniera categorica ed inequivocabile con un perentorio no. Avevo per l’occasione comprato un mazzo di rose bianche che poi gettai nei rifiuti senza alcuna remora. Vuole sapere la morale di questa storia?” “Beh generale devo dire che a questo punto mi ha incuriosito molto.” “Diffidi sistematicamente delle donne troppo appariscenti. Spesso tanti lustrini, veli e stravaganti vestiti non nascondono nulla. Pura evanescenza!!” “Si ma forse generale avrebbe dovuto invitarla a cena non a colazione. L’ha presa troppo alla sorpresa, non crede. Si tratta di un’ora un po’ insolita per invitare una donna.” “Ma io non ho tempo da perdere!!!! Diamine ragazzo!! Mi scusi. Lei è sposato?” “Non ancora.” “Ecco molto bene.” “Perché scusi?” “Perché le donne sono spesso volubili e si fa tanta fatica per conquistarle per poi ritrovarsi per casa una donna che non è più quella che tu pensavi di avere trovato. Una femmina nevrotica e dispotica che ti occupa tutti gli spazi e di cui dopo un po’ non ti importa più nulla!! La condizione migliore per un uomo è la solitudine, se lo ricordi.” Edoardo si rese conto in quel momento che se ne stava tranquillamente affondato nel divano del generale, e con fare sornione ascoltava quell’uomo così affascinante senza rendersi conto che stava volutamente trascurando la sua indagine. I due uomini rimasero in silenzio per alcuni istanti, poi il generale riprese la parola. “Mi scusi ispettore stavo dimenticando il motivo della sua visita. In questi ultimi giorni non ho notato nulla di strano o di diverso. Non ho incontrato quasi nessuno, a dir la verità. Sa i miei orari non sono così comuni, se ne sarà già reso conto.”
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A questo punto l’ispettore decise di congedarsi dal generale perché aveva un compito preciso, cioè continuare l‘indagine. Si alzò in piedi quasi di scatto anche perché un fastidioso formicolio gli stava tormentando la gamba destra. Si avviò verso la porta non prima di avergli domandato un ultima cosa. “Lei cosa pensa possa essere successo a quell’uomo?” “Per me si è trattato di suicidio. Ma la mia è solamente una sensazione. Qui ogni condomino è un universo a sé. Non vi sono mai state frequentazioni cordiali. In caso contrario é più probabile che questo ragazzo sia stato raggiunto qui da qualcuno col quale ci sia poi stato uno screzio che sia degenerato, lei mi capisce………” “Va bene per ora la ringrazio. “ “Sempre a disposizione ispettore.” Quando Vanzini uscì dall’appartamento del generale si rese conto di quanto le persone possano essere affascinanti. Ogni segmento di vita altrui è un pezzo di storia unica ed irripetibile. Come non perdersi nei meandri dell’animo umano, come non desiderare altro che ascoltare quello che ciascun uomo ha da raccontare. Uno sguardo distratto all’orologio e si accorse di come il tempo fosse volato via e c’erano ancora molte altre persone da ascoltare. Ma la curiosità di conoscere la cantante Lucilla Bianchini era troppo forte, e quindi quasi senza accorgersene si ritrovò salendo le scale a due scalini per volta, proprio dinnanzi alla porta della Bianchini.
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LUCILLA BIANCHINI (La maitresse) Accanto alla porta della cantante un enorme vaso di ceramica blu cobalto tratteneva al suo interno una pianta grassa munita di piccole foglie amaranto, arrotondate sulla punta e piuttosto ispessite. Mentre l’ispettore Vanzini cercava, inutilmente, nei pochi recessi della sua memoria, di ricordare il nome di quella pianta, la porta si aprì improvvisamente. Lo sguardo dell’ispettore rimase catturato dalla figura che si stagliò davanti a lui. Era preparato a trovarsi di fronte ad una donna eccentrica, ma l’impatto fu in ogni caso piuttosto sconcertante. Porse macchinalmente la mano alla donna e rimase un po’ con lo sguardo fisso come abbacinato da una luce sorprendente. Più l’indagine proseguiva, più le figure che popolavano quella casa sembravano personaggi disegnati dalla mano di un fumettista. Caricature eccessive, archetipi di un immaginario creato dalla mano di un artista. Il giovane poliziotto si trovava, suo malgrado, come trascinato nei meandri di un universo popolato di creature che sembravano portarlo lontano dalla sua indagine, come trascinato da una forza sconosciuta. Quello che più lo sconcertava era il contemporaneo disinteresse, quasi palese, che aveva preso il sopravvento in lui rispetto alla conclusione delle sue investigazioni. Voleva soltanto conoscere la vita degli abitanti della “casa rosa”, rimanere inghiottito dalle loro storie, come un piccolo insetto rimane intrappolato da un geco, o un animale della foresta catturato da un predatore. Lucilla Bianchini fu per Vanzini come un’apparizione. La donna era alta e formosa e portava capelli biondo ramato, raccolti lateralmente e trattenuti da due vistosi fermagli di madreperla. Il viso regolare e due occhi verdi luminosi osservavano l’uomo con diffidenza. Attorno agli occhi piccole rughette simmetriche dichiaravano fin troppo bene l’età della donna, tuttavia le donavano uno sguardo più accattivante. Un’ampia tunica turchese nascondeva un fisico abbondante, e la scollatura profonda esaltava il solco fra i seni, evidenziato ancor di più da un’abbronzatura recente. Portava al polso destro un bracciale di tipo etnico, ai lobi delle orecchie due orecchini d’acquamarina a forma di conchiglia. Dopo alcuni istanti l’uomo riprese il dominio della situazione, e si presentò alla cantante specificando il motivo della visita. La donna all’inizio sembrò irrigidirsi per poi sciogliersi facendolo accomodare in un’ampia stanza le cui finestre si affacciavano sul mare in tempesta. “Posso offrirle qualcosa ispettore?” “No grazie. Mi scusi ma vorrei sapere se lei ha conosciuto l’uomo che è stato trovato cadavere stamattina ” “L’ho visto solo una volta qualche giorno fa, mi sembrava molto giovane. Stava entrando in garage con la sua macchina. Poi la custode, che si trovava lì vicino ad innaffiare i fiori, mi ha avvertito che si trattava del nuovo affittuario. Tutto qui. Non l’ho più incontrato.” A questo punto l’ispettore Vanzini ricevette una telefonata al cellulare. Mentre conversava il suo viso assumeva le espressioni più diverse, sembrava ad un certo punto sconcertato. Poi si passò una mano sui capelli e coprendosi il volto, richiuse il
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telefono. Come se parlasse ad un altro se stesso, fissò un punto vago dell’orizzonte e disse: “Mi hanno chiamato quelli della scientifica. Il cadavere dell’uomo precipitato è scomparso. Qualcuno ha lasciato incustodita per qualche minuto l’ambulanza che lo stava trasportando agli ambulatori, per gli esami scientifici, e al ritorno non è stato più trovato il cadavere. Semplicemente assurdo. Non è mai accaduta una cosa di questo genere”. Detto questo Vanzini cadde come un peso morto sul divano di velluto verde. Per alcuni istanti nella stanza ci fu solamente un silenzio greve. Giungeva da lontano come attutito, il rumore delle onde che si infrangevano sulla costa. Poi la donna si sedette a fianco dell’ispettore e iniziò una strana conversazione. “Qual è il suo nome ispettore?” “Edoardo Vanzini perché?” “Edoardo mi permette di darle del tu?. Lei è molto giovane”. “Va bene, mi dica” “Ti vedo perso. Il tuo sguardo è pieno d’angoscia.” “Mi scusi ma si metta nei miei panni. Sto conducendo un’indagine per la morte improvvisa di un uomo che nessuno conosce, e che per di più scompare improvvisamente nel nulla, prima ancora che gli sia effettuata l’autopsia. Che tipo di reazione dovrei avere secondo lei?” “Vedi, io ho vissuto un po’ più di te e mi sono resa conto che nella vita di ognuno di noi accadono ogni tanto fatti ed eventi ai limiti dell’assurdo. Dobbiamo solo prenderne atto.” “Mi scusi ma non sono d’accordo. Non è assolutamente possibile che un cadavere scompaia così, senza che nessuno se ne sia accorto. Senza che nessuno abbia visto un qualsiasi individuo sottrarre il cadavere. Non ha alcun senso.” Mentre parlava con la Bianchini, Edoardo si sentiva strano. Tutta questa storia non aveva alcuna ragione. Il fatto in sé, i personaggi di quella casa, la confidenza che quella donna si stava prendendo con lui, e adesso la sottrazione del cadavere. Improvvisamente si sentì come se il suo corpo non fosse sulla terraferma ma su una barca e che stesse paurosamente ondeggiando. Poi avvertì una vertigine, come i prodromi di uno svenimento. Ma non svenne, perché i contorni celesti della tunica della Bianchini e la massa bionda dei suoi capelli si piegarono su di lui, e un oggetto dapprima sconosciuto prese poi una forma rassicurante. Si trattava di un bicchiere con una sostanza scura dentro. “Prendi, butta giù. È cognac, tesorino.” Edoardo bevve tutto d’un fiato e riprese un po’ del suo colore e anche della sua sicurezza. “Grazie. Scusi, ma “tesorino” mi sembra un po’ troppo. Non crede?” “Non mi pare che tu sia tanto adatto a questo mestiere. Sembra che non ti sia mai scontrato con la realtà dura della vita. Sei un ispettore che si spaventa perché non trova più un cadavere. Ma di cosa ti sei occupato fino ad ora? Di ladri di polli o della sottrazione di figurine Panini? La mia età e la mia esperienza mi suggeriscono che forse dovresti valutare se sei in grado di continuare quest’indagine. Non ti offendere, ma per me dovresti farti sostituire…..” La Bianchini non aveva ancora completato il
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suo pensiero che giunse la reazione violenta ed aggressiva di Edoardo, che recuperò un po’ della sua dignità. “Innanzitutto questa confidenza mi pare inopportuna e non è gradita. Poi, se devo essere sincero, questa casa mi sembra un’accozzaglia di vecchie glorie, presuntuose e supponenti, governate da una custode che sembra uscita da un fumetto grottesco. Se vuole saperlo, non è mai accaduto a mia memoria che un cadavere già in mano alla polizia sia “scomparso”. E poi la mia giovane età non deve permetterle di fare certe affermazioni offensive nei miei riguardi.” Detto questo Edoardo si alzò in maniera un po’ scomposta dal divano della cantante e si avviò con passo deciso verso la porta. In quel momento era veramente sicuro che non avrebbe cavato nulla d’importante neanche dagli altri condomini. La Bianchini invece aveva capito perfettamente che nel riferimento alle “vecchie glorie ” c’era un preciso tentativo di ferirla nella sua femminilità, considerata da molti, fino a poco tempo prima, indiscussa e indiscutibile. Improvvisamente, pochi istanti prima, quel giovane poliziotto le era sembrato una possibile conquista, e quella frase così crudele la fece sentire ancora più in collera. La conseguenza patetica ed infantile fu un estremo tentativo di seduzione. Si avvicinò ad Edoardo fissandolo e camminando con uno strano ondeggiamento mentre scioglieva la massa copiosa dei capelli. Lui la guardò con un sorriso ironico e poi le fermò la mano mentre cercava di accarezzargli i capelli spettinati. “Sig.ra Bianchini ma cosa le prende? Si sta rendendo ridicola non se ne accorge?” “E così io sarei per te una vecchia gloria? Ma lo sai che quando cantavo il mio camerino era pieno di fiori, e avevo molti giovani corteggiatori che mi seguivano nelle mie turné. Ma forse tu hai paura, non è così?” Edoardo scoppiò in una risata rumorosa e poi le disse: “Vede, se non fosse che sto conducendo un’indagine, la più assurda che io abbia mai seguito, penso che forse potrei anche cercare di conoscerla, anche se lei ha qualche anno più di me. Ma non bisogna mai essere così sicuri del proprio fascino. Non sono io che glielo devo insegnare, signora, non crede anche lei che sia così?” La Bianchini stremata e affranta dall’insuccesso si buttò sul divano, poi gettò con stizza le scarpe coi tacchi a spillo contro la porta. Ma invece di invitare Edoardo ad uscire gli chiese aiuto e tornò a dargli del lei come pentita della confidenza che si era presa. “Ispettore, mi scusi non so cosa mi sia successo. Mi verserebbe un po’ di cognac per favore?” “Ma signora sono le dieci del mattino!!” “Lo so, ma ne ho bisogno.” Edoardo andò verso la vetrinetta dei liquori, prese la bottiglia ne versò un po’ in un piccolo bicchiere, e se ne versò un po’ anche per lui. Mentre prendeva la bottiglia si sentì ridicolo. Si muoveva in quella casa con una confidenza che lo faceva sembrare quasi un amico di famiglia. Invece quella donna fino a mezz’ora prima era una perfetta sconosciuta. Porgendole il bicchiere si sedette a fianco, in fondo non aveva più fretta. Aspettava notizie da quelli della scientifica sul cadavere scomparso, e mentalmente si domandava se era veramente inadatto a continuare quell’indagine come sosteneva la Bianchini. Ma chi era la Bianchini?
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“Un mese fa ho compiuto sessantacinque anni, e non è che sia cambiato molto nella mia vita. Continuo a vestirmi come se avessi quindici anni di meno. Indosso abiti fascianti e porto scarpe alte costringendomi a camminare come se avessi delle noci nelle scarpe. Sono stata abituata a non essere respinta, quasi mai. Ho cantato in molti teatri italiani e non solo. Ho avuto due mariti e non sono quasi mai stata sola nella mia vita. Ma non riesco ad adattarmi all’età che passa. Lei cosa ne pensa?” “Perché chiede proprio a me queste cose? “Non lo so, lei mi sembra un uomo comprensivo.” “Posso dirle che è difficile adattarsi all’età che passa, signora. Ma è ancora più difficile nascondersi. E più onesto che lei accetti la realtà. Lei è una bella donna, ma l’ostinazione con la quale vuole sedurre è fastidiosa. Per esempio è più seducente così, senza scarpe, sincera e genuina.” Poi Edoardò si alzò in piedi di colpo ricordandosi che doveva tornare in commissariato per avere notizie. “Non si offenda ora, ma devo proprio andare. Se dovesse notare qualcosa mi faccia sapere al più presto.” La donna raccolse le scarpe, si ricompose e porse la mano ad Edoardo che la strinse con un sorriso. “Arrivederci ispettore e mi scusi per prima.” “Tutto a posto, non si preoccupi.” Quando la porta si chiuse alla sue spalle, Edoardò si domandò cosa doveva ancora accadere in quella strana casa. Pensò ai soprannomi che la custode aveva attribuito ai vari condomini, e si rese conto che riassumevano il primo impatto che se ne aveva incontrandoli. Poi giunto al commissariato nei due giorni successivi ebbe modo di stupirsi ancora di più. Era stato rintracciato l’amministratore del condominio, il quale diede le generalità dell’uomo trovato cadavere. Si chiamava Carlo Torresi, abitava stabilmente a Milano ed era scapolo. Questi dati erano stati recuperati successivamente, in quanto al momento del decesso l’uomo non aveva alcun documento con sé. La notizia era stata data nel frattempo anche alla stampa, ma nessun parente si era fatto vivo. Il giorno successivo telefonò al Commissariato una donna dicendo di essere la sorella di Carlo Torresi. Ma precisò che il fratello, secondo le sue informazioni, avrebbe dovuto trovarsi in Indonesia, in quanto si occupava per lavoro di vendere artigianato etnico a Bali. Alla sorella non era noto che egli avesse affittato un alloggio alla frontiera italo-francese. La stampa cominciò un battage assillante contro la polizia locale che perdeva i cadaveri così, con una leggerezza disarmante. Una totale mancanza di responsabilità. Come se tutto ciò non bastasse un ulteriore accertamento stabilì che l’uomo che aveva affittato l’alloggio nella “casa rosa” a nome Carlo Torresi, aveva dato false generalità perché il vero Carlo Torresi, rintracciato dalla sorella, telefonò dall’Indonesia. Il mistero diventò per Edoardo ancora più fitto. Un assurdo rompicapo. Eppure, senza alcun motivo preciso, Edoardo era convinto che la risoluzione dell’enigma era strettamente connessa a quel luogo. Il luogo in cui il cadavere era stato rinvenuto. Non vi erano elementi al momento per credere ad un fatto del genere, ma la sensazione che ne aveva il giovane poliziotto al suo secondo incarico importante, era concreta nonostante tutto. Ma allora chi poteva avere interesse a sottrarre un cadavere, nei
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pochi secondi in cui è rimasto incustodito nell’ambulanza, di fronte al portone dell’istituto di medicina legale?
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LE INDAGINI CONTINUANO Edoardo Vanzini era ad un punto morto. Le uniche certezze avevano il sapore amaro della sconfitta, prima ancora che una qualsiasi ipotesi sullo svolgimento del fatto potesse prendere una forma. Un cadavere sul selciato antistante il condominio senza un nome, senza un’identità precisa. Uno straniero, forse un clandestino, un uomo qualunque stava compromettendo la carriera incipiente di Edoardo. Certo non era colpa sua se la polizia scientifica si era fatta sottrarre il cadavere. L’uomo aveva affittato l’alloggio dando delle false generalità. I primi condomini interrogati, quelli presenti nei giorni del fatto, sembravano non averlo quasi mai incontrato se non fuggevolmente. La sottrazione del cadavere dimostra, in maniera inconfutabile, che chi ha agito doveva sicuramente sapere che l’analisi sui resti avrebbe portato la polizia ad avvicinarsi alla verità. Chi era quell’uomo? Chi lo ha seguito fino alla casa delle vacanze per eliminarlo? Veramente nessuno tra i condomini lo conosceva? Edoardo doveva ancora sentire il giardiniere Parodi, l’imprenditore Casiraghi e lo stilista Mainolfi. Chissà forse potevano avere visto qualcuno o avere conosciuto la vittima in chissà quali circostanze. Una cosa sola a questo punto diventava certezza: non si era trattato di suicidio. Perché se così fosse stato, non vi sarebbe stata alcuna ragione di sottrarre il cadavere. Edoardo riprese la strada verso la frontiera. Era una splendida giornata di fine estate, il sole stava tramontando all’orizzonte. Il mare pian piano inghiottiva il disco infuocato e in lontananza una leggera foschia avvolgeva le colline circostanti. Ad Edoardo vennero in mente le sue vacanze al mare. Gli sembrò quasi di sentire il profumo dei gelsomini che crescevano rigogliosi intorno ad un muretto in calce, che percorreva con la mamma quando era molto piccolo, sulla strada che li conduceva verso il mare. Gli venne da pensare che quando passano molti anni rimangono impressi nella mente certi profumi. Sembra impossibile che il tempo li possa restituire. Invece ritornano come una brezza estiva, come un refolo improvviso, come un vecchio amico che non incontri più da anni e che ti riporta ad un altro te stesso. Anche con i profumi è lo stesso, pensò Edoardo. Parcheggiò la macchina nel piazzale vicino al condominio, e mentre camminava si avvide della presenza della custode che stava parlando con un uomo con una tuta blu. Poi la donna lo salutò e si avvicinò. “Allora ispettore cosa le avevo detto? Non c’è niente di serio nella vita e neanche in questo dannato condominio.” “A cosa si riferisce adesso signora?” “A tutto.” “Per lei la morte di un uomo non è un fatto serio?” “Per me non è serio che ve lo siate fatto soffiare sotto il naso. Avrei pronto anche il soprannome per la polizia locale, se vuole…….” “Signora.. per favore. Mi dica piuttosto se trovo il Parodi a casa?” “E che ne so? Sono quattro le scale e io ho anche qualcos’altro da fare oltre a controllare i condomini, non crede?” “Va bene, va bene. Vado a suonare al citofono. Grazie per il solito cinismo.”
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Edoardo si diresse spedito verso la scala D all’appartamento del terzo piano, e suonò al citofono del Parodi. Aprì la porta la moglie che era a conoscenza delle indagini in corso. Era una signora piccola, bassa, con un leggero strabismo dall’occhio destro. Si muoveva a piccoli passi, simulando una piccola corsetta per fare anche minimi tragitti da una stanza all’altra, tradendo un’agitazione eccessiva, come se avesse paura di qualcosa o si sentisse molto a disagio. La donna fece accomodare Edoardo in una stanza con due grandi vetrate. La prima impressione che ebbe entrando nell’appartamento, fu la tristezza e la pochezza dell’arredamento. Vecchi mobili tarlati e ogni tanto, qua e là, sedie di plastica da giardino, usate come arredamento posticcio d’interni. Come chi non avesse né buon gusto, né desiderio di spendere per abbellire la propria casa. Sistemati agli angoli della stanza vi erano due gruppi compositi di piante. La particolarità era data dal fatto che su un lato, quello destro, erano sistemate piante da appartamento alte, di specie diverse, con un fogliame denso e sano. Sul lato opposto vi era una collezione di piante bonsai, allo stesso modo curate. L’insieme risultava abbastanza curioso. Quando entrò il Parodi, Edoardo si rese conto di un pensiero piuttosto buffo che stava attraversando la sua mente, mentre si trovava piegato ad osservare quel giardino casalingo. Tanto bassa la donna e simile ai bonsai. Tanto alte le altre piante e simili al giardiniere. Il giardiniere era un uomo molto alto, allampanato, con un portamento distinto. Inforcava un paio d’occhiali che gli ricadevano sempre sulla punta del naso. Portava una camicia di cotone con il collo consunto in maniera evidente e le maniche molto corte. In quella casa solo le piante esprimevano eleganza e ricchezza. I coniugi Parodi, due individui che sembravano due ombre grigie sullo sfondo. Poi il Parodi prese la parola in maniera decisamente aggressiva: “Scusi ha finito di guardare ogni angolo della mia casa? Guardi che io con quello lì, il morto, non c’entro proprio nulla.” “Mi stavo domandando come mai questo strano accostamento tra piante così alte e bonsai.” “Preferisco i contrasti forti, anche nelle piante. Non mi piacciono le vie di mezzo. Ma immagino lei vorrà sapere se ho conosciuto l’uomo che è stato trovato cadavere l’altro giorno?” “Beh sono qui per questo. Ha qualcosa da dirmi in merito?” “Ho incontrato due volte quell’uomo la prima settimana che è arrivato. La prima volta stava parcheggiando la macchina in garage e si è presentato dicendomi di chiamarsi “Carlo Torresi” e di essere il nuovo affittuario. La seconda volta mi ha chiesto l’indirizzo della mia serra perché voleva venire ad acquistare alcune piante per il terrazzo. Poi ricordo che aggiunse una frase:” Sa, anche se per poco tempo, ma un bel terrazzo si merita di essere abbellito”. Tutto subito non feci caso a queste parole, poi quando seppi che era stato trovato morto così tragicamente quelle parole mi sembrarono inquietanti… Non so, come se lui sapesse che si sarebbe fermato poco.” “Capisco. E’ molto utile quello che lei mi sta dicendo. Ma non ricorda di averlo visto in compagnia di altre persone della casa o di uno sconosciuto in quei giorni?” “La seconda volta che l’ho visto era in compagnia di un altro uomo, ma non so dirle chi fosse, mi spiace ispettore.”
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“Va bene. La ringrazio comunque.” Le parole di quell’uomo non portavano però ad alcun passo avanti nelle indagini. Anzi, Edoardo pensava seriamente che dal giorno del ritrovamento del cadavere erano stati fatti molti passi indietro. Normalmente nella fase delle indagini, nella ricostruzione, emergono sempre nuovi tasselli che assemblati conducono a chiarire e non a complicare il quadro probatorio. Invece si presentava solo un buio sempre più fitto.
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SERGIO CASIRAGHI (Trapanatore) Edoardo Vanzini, mentre raggiungeva l’appartamento del Casiraghi, aveva lo sguardo cupo e l’espressione rassegnata che anche un bambino, privo di qualsiasi spirito d’osservazione, avrebbe potuto cogliere. Si sentiva totalmente annientato da una continua e inconcludente sequela di fatti ed accadimenti, che inanellandosi uno all’altro lo conducevano inesorabilmente ad arretrare. Quale uomo e quale vicenda umana si celava dietro quell’assurda ed inspiegabile morte? Ed ancora come quella storia potesse farlo sentire completamente impotente, incapace di coordinare le idee. Da sempre la sua attenzione alle dinamiche dell’agire umano l’avevano profondamente interessato e coinvolto, ed è anche per ciò che gli abitanti di quella casa lo attraevano in maniera prepotente. Edoardo non era tanto interessato alla morte di quell’uomo misterioso, ma quanto all’agire umano in sé. Immaginava la mente di quegli uomini e di quelle donne come un percorso, come un rettilineo disseminato di curiose e pericolose deviazioni, come un insieme d’oggetti distribuiti qua e là, ciascuno portatore di un contenuto straordinario, un segno, un simbolo del futuro sviluppo, della futura direzione che la vita avrebbe loro riservato. Lui stesso aveva capito quale sarebbe stato il suo futuro, emozionandosi alle storie che il nonno gli raccontava da piccolo. Piccoli fatti di cronaca, sparizioni improvvise, trame di paese. Una piccola traccia, un seme era già presente allora di quello che sarebbe stato il suo futuro. Forse stava accadendo qualcosa in lui che non riusciva ancora ad individuare, ma sicuramente non era la morte di quell’uomo ad interessarlo, quanto la vita degli altri che, anche senza alcuna attinenza con il fatto, ruotavano attorno a lui. Quello che stava accadendo in lui, presto lo avrebbe portato a dover rendere conto ai suoi superiori sullo stato dell’indagine: non progrediva. Una cameriera filippina con un sorriso stampato sulle labbra lo introdusse nel soggiorno del Casiraghi. Edoardo rimase qualche momento solo in attesa, e si guardò attorno come un bambino che entra in una chiesa e in silenzio osserva tutto ciò che lo circonda. Sentiva dietro la porta un fitto parlottare ma non distingueva le voci. Sembravano le voci di un uomo e di una donna, o forse no. Le pareti erano interamente coperte di quadri con disegni astratti, su un tavolo molte fotografie riprendevano membri della famiglia o amici. Su una teca molto grande ricoperta da uno spesso vetro erano state accuratamente assemblate e fissate con un chiodino delle lettere, sistemate una accanto all’altra, ogni plico probabilmente proveniva da una persona diversa perché la scrittura era diversa. Che cosa strana e curiosa, pensò Edoardo. E lo pronunciò ad alta voce. “Perché pensa che sia una cosa strana?” disse il Casiraghi varcando la soglia del soggiorno. Edoardo si voltò di scatto e vide un uomo su una carrozzella. Aveva i capelli bianchi e una barba coltivata perfettamente e radente l’ovale del viso. “Non ho mai visto una collezione di lettere esposte. Tutto qui. Mi scusi, mi presento sono l’ispettore Edoardo Vanzini.” “So tutto, non si preoccupi. La custode mi ha raccontato.” “Perché una collezione di lettere?”
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“Vedo che la cosa l’interessa molto. Quelle lettere rappresentano le stagioni della mia vita. Ogni plico è una parte di me. Volevo assolutamente che fossero sempre visibili per ricordarmi come ero prima dell’incidente che ha investito la mia vita prima ancora di me. Ma non è la sola collezione che ho, mi segua.” L’uomo accompagnò Edoardo verso una stanza sul retro. Varcata la soglia Edoardo si rese conto del perché il Casiraghi avesse quel preciso soprannome: ”il trapanatore”. Non vi era una singola porzione di muro che non contenesse una teca con una serie incredibile d’oggetti, anche di uso quotidiano. Una serie di collezioni numerate e datate. Alcune contenevano fotografie, altre biglietti di treno, o d’aereo, altre ancora scontrini fiscali di ristoranti o d’alberghi. Un museo d’oggetti e di carte infinito. Poi il Casiraghi prese la parola. “Si sta domandando il perché di tutto questo, non è così ispettore?” “Beh sono un po’ sconcertato, devo ammetterlo.” “Cinque anni fa l’incidente che le citavo prima, mi ha costretto a rivedere completamente la mia vita. La mia compagna non è riuscita a restarmi accanto. Ha deciso che non poteva accettare la mia condizione. Questo è stato un colpo ancora più forte della menomazione. Da allora ho deciso che ogni segmento della mia vita passato con quella donna avrebbe dovuto avere una collocazione precisa. Ogni giorno, ogni viaggio, ogni istante della mia vita precedente doveva sempre essere davanti ai miei occhi. Fissato e catalogato perché altrimenti l’oblio avrebbe potuto cancellare gli anni passati assieme e rendermi ancora più rancoroso.” “Ma perché non ha cercato nuovi stimoli, nuovi incontri. Insomma una nuova vita?” “Perché non ho mai accettato quello che mi è successo. Semplice. Lo so che esiste un mondo di persone in carrozzella che vivono e gioiscono come tutti. Ma la mia vita si è fermata a quel tempo e io sono testimone perenne dell’aver vissuto la vita che volevo vivere e basta. Noi abbiamo la possibilità di scegliere la vita che vorremmo fare e abbiamo anche la possibilità di negarla a noi stessi, nel momento in cui quella vita non ci appartiene più e di rinchiuderci nel nostro mondo segreto.” “Ma scusi vuole dire che, in qualche modo, lei ha agito su se stesso con una forma di suicidio mentale?” “Cosa le sembra a lei?” “Proprio questo.” “Infatti il mio obbiettivo non è stato altro finora che condurre una vita quasi vegetativa e permettere ai miei ricordi di osservarmi e di testimoniare ogni giorno quello che ero.” Edoardo dovette sedersi. In realtà non sapeva più che dire. La sua indagine stava rovinosamente sullo sfondo. Dalla finestra del soggiorno osservava il mare che assumeva sempre colori diversi, poi la spuma bianca e i riccioli delle onde. Sembrò quasi assente per alcuni istanti, poi riprese il controllo di sé. “Devo chiederle se ha conosciuto il Sig.Torresi. O meglio il nuovo affittuario visto che di lui nulla sappiamo.” “Esco raramente da questa casa. Per i motivi che lei immagina. Un giorno l’ho visto dalla finestra. Stava mettendo una valigia nel portabagagli della macchina. Ho
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visto che ha aperto e chiuso più volte il bagagliaio e poi è partito. Ma non so dirle altro” “La ringrazio Sig. Casiraghi. Non ho altro da chiederle. Lei è una persona veramente singolare. Ora devo salutarla.” “Le auguro buona fortuna per la sua indagine e anche per la sua vita.” “Grazie.” I due uomini davanti alla porta si strinsero la mano. Poi Edoardo scese le scale e suoi occhi erano diventati umidi. Il trillo del cellulare lo riportò alla dura realtà. Il commissario capo lo convocò per un primo bilancio delle indagini, o forse per accertarsi delle voci che giungevano sul giovane ispettore.
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IL CONFRONTO INEVITABILE Erano passati tre giorni dal delitto alla frontiera e la polizia non aveva in mano alcun elemento certo né sulla vittima, né sul possibile indiziato, né sulla dinamica del fatto. Un delitto inspiegabile. Una situazione ai limiti dell’assurdo. Il commissario capo, Mario Palumbo, aveva convocato l’ispettore Vanzini per capire se, nonostante il fallimento totale delle indagini fino a quel momento, la sua fiducia potesse ancora essere riposta in questo giovane poliziotto, o come invece riteneva, era necessario revocargli l’incarico per affidarlo ad un altro collega più esperto. Il commissario capo era un uomo molto alto con una corporatura massiccia e una pinguedine esagerata. Era inoltre una persona facilmente irritabile. Nella sua lunga carriera in polizia mai gli era capitato un caso così oscuro e privo di tracce. Tuttavia gli sembrava che anche l’ispettore procedesse come in trance . Come se quel luogo avesse prodotto in lui una sorta di strano sortilegio. Nell’ambiente della polizia, e soprattutto di quella di frontiera, si era abituati a contesti diversi. Clandestini recuperati al confine, piccoli spacciatori o marsigliesi che transitavano in territorio italiano trasportando partite di cocaina. Edoardo giunse trafelato al commissariato. Sapeva che sarebbe stato un confronto difficile e una parte di sé voleva fortemente che gli fosse revocato l’incarico. Conosceva il Palumbo e anche i suoi scatti d’ira e immaginava come si sarebbe svolto il confronto. Ma non temeva quell’uomo, quanto le risposte che lui gli avrebbe dato. “Buongiorno Vanzini, si accomodi” “Grazie. Scusi sono un po’ in ritardo, la mia macchina non partiva” “Va bene, va bene. Passiamo al dunque. L’ho convocata oggi perché, ne conviene anche lei, ho bisogno di capire a che punto sono le indagini e poi……… in realtà volevo scambiare anche qualche idea con lei.” “Si ma lei ha già un mio primo rapporto…” “Lei sta parlando di questo foglio di esattamente dieci righe dove mi si dice che non ci sono indiziati. Non ci sono tracce sui terrazzi. Il cadavere è scomparso davanti all’istituto di medicina legale. Le generalità rilasciate all’amministratrice del condominio sono false, e nessun familiare si è presentato a fornire informazioni. Allora, lei mi dica che cosa devo fare? Lei non ha alcuna traccia anche attraverso i colloqui con gli altri condomini? Per favore dica qualcosa a sua discolpa.” “Ma scusi commissario io non ho colpa se quelli della scientifica si sono fatti sottrarre il cadavere!!” “E poi… “ “Beh lei non ha idea delle persone che vivono in quel condominio.” “Ah si mi dica, mi dica…..la ascolto Vanzini.” Il Palumbo accavallò le gambe e si spinse un po’ indietro con la poltrona, per osservare e ascoltare quello che l’ispettore voleva riferirgli. In realtà aveva già deciso del futuro del suo giovane ispettore, ma voleva accertarsi delle sue convinzioni fingendo un qualche interesse.
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“Ma, come dire, non avevo mai incontrato persone così sorprendenti, fuori dal comune. Lo so che un poliziotto deve seguire delle tracce, incalzare, sospettare. Ma ho scoperto un’umanità dalla quale non riesco a separarmi.” “Ispettore, torniamo alle indagini, per favore siamo seri.” “Lei mi deve dare ancora qualche giorno, commissario.” “Ma Lei lo sa o no che stiamo facendo la figura dei cretini totali davanti alla stampa, alla polizia francese, all’interpol e poi anche al nostro paese. E lei mi dice che ha incontrato delle persone sorprendenti, che ha scoperto un’umanità sconosciuta!?! Guardi mi sto commuovendo!! “Queste parole il Palumbo le pronunziò in piedi e con il viso alterato per la collera. “Cosa le è successo ispettore? Adesso mi deve spiegare, perché se non mi dà una spiegazione valida, lei torna immediatamente ad occuparsi di verbalizzare furti e scippi, mi ha capito bene?” “In qualsivoglia indagine l’ispettore incaricato ha a disposizione un tempo nel quale poter svolgere delle indagini serie. Se lei la mette in questo modo, io le dico che lei è un volgare burocrate che vuole fare bella figura davanti ai colleghi francesi e continuare con la sua rapida ascesa. Quest’indagine non è una banale investigazione, troppi elementi sfuggono ed il tempo è fondamentale. Non abbiamo elementi. Sto cercando di capire se i condomini sono, in qualche modo, coinvolti. Queste persone non sono volgari scippatori ma individui singolari, come le ho detto prima. Se anche sono implicati, non è attraverso i metodi tradizionali che possiamo raggiungere un risultato.” “Allora dopo avere ascoltato quelli che si trovano nel condominio si è fatto almeno un’idea?” “No.” “Vede, purtroppo troppe circostanze hanno portato questa indagine ad una empasse, e temo che lei da domani dovrà tornare ad occuparsi di furti e scippi. Questo che vede è il suo documento di trasferimento con effetto immediato.” “Perché non mi ha detto che aveva già deciso ancora prima di convocarmi?” “Perché sono un burocrate, come dice lei. In questo ha ragione. Ma sono io il suo superiore e quindi dovevo per lo meno ascoltarla.” Edoardo Vanzini si alzò, uscì dalla stanza senza salutare e sbattendo violentemente la porta.
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IL RISVEGLIO DI EDOARDO Dalla camera buia filtrava soltanto la luce attraverso le fessure simmetriche delle persiane. Edoardo continuava a dimenarsi nel sonno, la bocca impastata ed un sudore eccessivo. Quella notte si era addormentato tardi, molto tardi. Aveva bevuto un paio di bicchieri di whisky. Nella sua stanza un disordine assoluto, il disordine di una lunga solitudine. Una solitudine per certi versi ricercata e voluta per dimenticare lunghi rancori familiari. Dopo una notte agitata in preda agli incubi peggiori, Edoardo si svegliò lanciando un urlo. La respirazione era affannata e lui si sedette sul letto con le mani fra i capelli, stropicciandosi gli occhi e tentando di riconoscere accanto a sé qualcosa di familiare. Aveva fatto un sogno incredibile, come un lungo e assurdo racconto nel quale lui era un ispettore che non riusciva a risolvere un caso, completamente oscuro. Un caso dal quale emergevano singolari personaggi. Si alzò ed andò ad aprire le finestre. Poi tornò verso il letto. Sul comodino c’erano molte cose nel disordine generale. Un fazzoletto, un portafotografie rovesciato, il libro che stava leggendo in quei giorni: “Il grande sonno ” di Chandler e poi vide qualcosa che non gli sembrò per nulla familiare. C’era una scatola di legno chiaro, di quelle di tipo etnico. Edoardo pensò e ripensò ma non ricordava di avere mai avuto, né comprato una scatola simile. Poi la voltò e sul retro lesse ad alta voce la scritta. “Importato da Torresi e C.” Nonostante la sbronza della sera precedente si ricordò dove aveva sentito quel nome. La maledetta indagine senza indizi del sogno della notte. Ma come era possibile una cosa del genere. Dovette sedersi per superare lo stupore. Ma non era ancora finita. Continuava ad osservare la scatola e a domandarsi come fosse arrivata fino a lì. Apparentemente inspiegabile. La girava e la rigirava tra le mani. Poi improvvisamente la aprì per osservarne il contenuto e trovò una fotografia, di quelle con effetto seppiato. Nella fotografia c’erano due uomini, e dietro di loro troneggiava una Ferrari testarossa. Riconobbe il viso dell’uomo trovato cadavere nel condominio al confine, per come l’aveva sognato quella notte, e l’altro doveva essere sicuramente il Mainolfi, lo stilista che non era ancora riuscito ad interrogare, sempre nel sogno. Ma stava vivendo un sogno o la realtà? Gli ritornavano come echi le parole della custode, o dell’uomo in carrozzella. Quale realtà e quale sogno? Chi aveva portato quella scatola nella sua casa? Lui Edoardo Vanzini nato a Genova il 9 settembre 1971, di professione impiegato, celibe, per una notte era stato ispettore di polizia. Scese per andare al lavoro e quella mattina comprò il giornale, cosa che faceva raramente, e nella cronaca della regione Liguria lesse questo articolo: Titolo: “Omicidio al confine tra Italia e Francia”. Sottotitolo:” La polizia scientifica beffata da uno sconosciuto che ha sottratto il cadavere”. Occhiello: “La polizia indaga tra gli inquilini della casa rosa, ultimo avamposto in terra italiana”. Edoardo Vanzini di professione impiegato, ma in sogno ispettore di polizia in forza al Commissariato di Ventimiglia, decise di portare al Commissariato quella famosa scatola con la foto compromettente, in attesa forse, di possibili sviluppi.
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