Maria Rosaria Pelizzari 1946-2006: appunti di storia di genere• 1. Le donne e la Resistenza Io non votai allora, perché non avevo ancora ventun‟anni e quindi non ero maggiorenne. Ma ci impegnammo molto per convincere le altre: assieme alle mie amiche andavo nelle campagne la mattina presto a parlare con le contadine e tanta era la soddisfazione nel vedere che comprendevano i nostri discorsi e li condividevano. Si avviava così il processo della partecipazione delle donne alla vita sociale e politica, alla soluzione di scottanti problemi che allora il paese doveva affrontare1.
In questo brano Tina Anselmi parla del suo ricordo personale del 2 giugno 1946 e della massiccia risposta delle donne italiane alla loro prima occasione di partecipazione democratica. Votando per il referendum istituzionale del 2 giugno e per l‟Assemblea Costituente esse avviarono il loro inserimento nella vita politica smentendo quanti erano convinti che per il diritto di voto le donne non fossero mature, né preparate e soprattutto che non sarebbero andate a votare. Il diritto di voto rappresentava una prova non solo della loro volontà di partecipazione, ma anche della capacità di impegnarsi in un momento epocale della storia nazionale: il passaggio dalla dittatura alla democrazia. Nel 1945 l‟Italia era uscita, come tutti sappiamo, da una guerra che, accanto alle rovine materiali, aveva portato con sé profonde lacerazioni interne. La Resistenza, oltre che lotta di liberazione nazionale, aveva avuto i caratteri di guerra civile2. Il fascismo era sconfitto, ma la sua ombra condizionava non poco la ripresa della vita politica. La classe dirigente di tutti gli schieramenti politici era perciò impegnata in un‟impresa su due fronti. Se, da una parte, appariva necessario uscire dal clima delle divisioni determinate dalla guerra, dall‟altro, la costruzione della nuova Italia non poteva che fondarsi sull‟antifascismo e sull‟idea di un sistema democratico che avesse in sé gli anticorpi per resistere a qualsiasi tentazione autoritaria. Già durante la guerra nelle forze dell‟antifascismo erano apparse chiare alcune questioni riguardanti la vita civile e politica ereditate dall‟Italia prefascista. Tra queste la questione femminile, che l‟attiva partecipazione delle donne alla Resistenza aveva reso urgente3. Le donne che parteciparono alla Resistenza non furono poche: senza soffermarmi sui dati e le cifre diffusi dal Comitato di Liberazione Nazionale, voglio tuttavia sottolineare che, se si pensa che il numero complessivo dei partigiani è valutato in circa 200.000 persone, le donne rappresentarono circa il 20% di essi (e la percentuale è assai più alta tra i fiancheggiatori del movimento)4. Ci si riferisce soprattutto al Nord e al Centro, la realtà del Mezzogiorno è ancora •
Si riproduce, con essenziali integrazioni bibliografiche ed alcune modifiche, il testo della relazione, presentata alla giornata di studio: “1946-2006, sessant‟anni di voto alle donne: una conquista che continua…”, organizzata dalla Commissione Pari Opportunità dell‟Università degli studi di Salerno, Fisciano, 22 novembre 2006. 1 TINA ANSELMI, C’era una grande attesa…, conversazione con Dinora Corsi, pubblicata in “Storia delle donne”, n.2/2006, pp. 283-86, il brano riportato è a p. 284. Si veda anche TINA ANSELMI con ANNA VINCI, Storia di una passione politica, Sperling & Kupfer, Milano 2006. 2 CLAUDIO PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati e Boringhieri, Torino 1991. Si veda anche SANTO PELI, La Resistenza. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004. 3 Il 25 ottobre 1944 si costituì a Roma il Comitato pro voto composto dalle rappresentanti dei movimenti femminili di tutti i partiti politici della Resistenza: partito comunista e partito socialista, democrazia cristiana, partito d‟azione, partito repubblicano e partito liberale, con la Federazione Italiana Laureate e Diplomate Istituti Superiori, e l‟Alleanza pro suffragio che sollecitò il Comitato di Liberazione Nazionale a chiedere da subito il diritto di voto alle donne. 4 Ormai è pacifico che finora non sono stati ricostruiti dati statisticamente precisi sul numero dei partecipanti alla lotta partigiana. Secondo il CNL-Alta Italia le donne aderenti alla Resistenza (ma sono dati solo indicativi) furono: 75.000 appartenenti ai Gruppi di Difesa, 35.000 partigiane, 4563 tra arrestate torturate e condannate, 623 fucilate e cadute, 2750 deportate, 512 Commissarie di guerra, 15 decorate con Medaglia d‟oro. Il numero delle donne è invece
1
poco conosciuta. Recenti studi tuttavia, analizzando nel Sud le specifiche realtà locali, insorte contro il nazi-fascismo, stanno facendo emergere l‟attiva presenza di molte donne, che in vario modo parteciparono alla lotta impegnandosi attivamente5. Va sottolineato, del resto, che solo da poco più di quindici anni gli storici della Resistenza non hanno più concentrato la loro attenzione soprattutto sull‟epopea della lotta armata e della guerra di liberazione. Rivedendo, infatti, quella esperienza alla luce di nuove tematiche e facendola oggetto di mirate analisi culturali, sono stati presi in considerazione aspetti trascurati. Si è cominciato a non vedere più il ruolo delle donne nella Resistenza soltanto in una condizione ancillare, come ausiliarie che recavano appunto aiuto, assistenza, rimanendo in una posizione del tutto secondaria rispetto a quella maschile6. Nell‟immediato dopoguerra, come è stato fatto notare da più studiosi, il lungo racconto dei partigiani, in lotta contro l‟invasore tedesco e contro il fascismo, veniva strutturato assumendo il linguaggio della retorica risorgimentale e nazionalista. Si rideclinavano immagini e simbologie religiose: il sacrificio, il sangue rigeneratore, il martirio, e così via. Appare evidente che si tratta di un linguaggio maschile, utilizzato, non a caso da una generazione che era stata educata al mito della nazione e della guerra7. E non a caso nella pedagogia dell‟amor patrio alla donna spettava fin dall‟infanzia l‟immedesimazione in un futuro ruolo di crocerossina, infermiera ausiliaria, a supporto del soldato eroe e martire. Non a caso quindi dall‟oleografia partigiana veniva esclusa la militanza armata femminile a tutto vantaggio della subalternità e sussidarietà delle donne. In perfetta linea, ci si perdoni l‟ovvia constatazione, con il ruolo di invisibilità già altre volte assegnato dalla storia alla componente femminile del genere umano. In realtà, come è stato efficacemente rilevato, se la resistenza armata era stata maschile, si poteva solo accennare di sfuggita alla promiscuità delle bande che di fatto si era pure verificata. Erano considerati tabù alcuni aspetti che, in condizioni di assoluta eccezionalità, potevano comportare mutamenti e rotture sul piano dei costumi e delle relazioni tra i sessi. Non è un caso che le sfilate dei giorni trionfali dell‟insurrezione finale, ed anche quelle che la precedettero nelle varie zone libere, riproponevano inesorabilmente l‟esclusione delle partigiane. Una esclusione che accomunava tutti i comandanti, di qualsiasi colore e credo: timori e moralismi comuni spingevano sia i filo-monarchici che i garibaldini a vietare la sfilata delle partigiane. Questi ultimi soprattutto tenevano alla loro “rispettabilità”: il partito comunista era, infatti, particolarmente impegnato ad accreditarsi come forza rispettabile8. Come hanno sottolineato Anna Bravo e Anna Maria Bruzzone, i contenuti culturali della pedagogia fascista, che enfatizzava le virtù guerriere del maschio ed esaltava la vocazione riproduttiva della femmina non erano certo crollati di botto il 25 nettamente inferiore (circa l‟1%), fra i caduti e i fucilati perché i combattimenti di prima linea, così come le fucilazioni, coinvolgevano raramente le donne, che erano in genere tenute al riparo. Cfr. ENZO COLLOTTI, RENATO SANDRI, FREDIANO SESSI (a cura), Dizionario della Resistenza, II vol. Luoghi, formazioni, protagonisti, Einaudi, Torino 2001; si veda la sezione, Appendice statistica e dati quantitativi, di Giorgio Rochat, ivi, pp. 765-73. Si veda anche Atlante storico della Resistenza italiana, a cura di Luca Baldissara, Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia, Bruno Mondadori, Milano 2000 5 GABRIELLA GRIBAUDI, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 194044, Bollati-Boringhieri, Torino 2005; EADEM, Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte meridionale, L‟Ancora, Napoli 2003; EADEM, Donne, uomini, famiglie: Napoli nel Novecento, L'ancora, Napoli 1999; si veda anche il forum Storia orale, memoria delle donne e storia nazionale, a cura di Giovanna Fiume e Elisabetta Vezzosi, in “Genesis”, I/1, 2002, numero monografico dedicato a Patrie e appartenenze, a cura di Maura Palazzi, Raffaella Sarti e Simonetta Soldani, pp. 233-60; cfr. inoltre GLORIA CHIANESE, Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra. Storie di donne, in DANIELLA GAGLIANI (a cura), Guerra resistenza politica: storie di donne, Aliberti, Reggio Emilia 2006, pp. 150157;qualche spunto in LUCIA NICODEMO, Le donne raccontano: Napoli occupata dagli alleati 1943-1944, Ferraro, Napoli 1999. 6 MARINA ADDIS SABA, Partigiane. Tutte le donne della Resistenza, Mursia, Milano 1998; EADEM, La scelta. Ragazze partigiane ragazze di Salò, Editori Riuniti, Roma 2005 7 Sulla pedagogia dell‟eroe e martire laico da fine „800 al fascismo si veda ANTONIO GIBELLI, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Einaudi, Torino 2005. 8 ANNA BRAVO- ANNA MARIA BRUZZONE, In guerra senza armi: storie di donne 1940-1945, Laterza, RomaBari 1995; MIRIAM MAFAI, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1987; SANTO PELI, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, Torino 2006, pp. 182-88.
2
luglio 19439. Accanto a progetti di drastico mutamento politico e sociale, continuavano le persistenze di archetipi e pregiudizi culturali che in seguito, per oltre venti anni ancora, né la lotta partigiana né la nuova Italia, ormai democratica e repubblicana, avrebbero messo in crisi. Si oscurava dunque la parte femminile della Resistenza armata10. Alla fine della guerra si fece di tutto perché si chiudesse il nuovo modo di essere donna e persona intravisto durante la Resistenza: ognuna doveva ritornare nella “vita normale” vestendo i panni di madre e di angelo del focolare, un focolare tuttavia in piena trasformazione con l‟arrivo dei prodigi della tecnologia domestica e della modernizzazione. In quegli anni, come ricorda Sandro Bellassai, nell‟Italia repubblicana i furori misogini e antifemministi dell‟era fascista si mostravano sulla difensiva: di certo non erano né minoritari né poco influenti11. E sin dall‟immediato dopoguerra gli apocalittici difensori del privilegio maschile avevano più di una occasione per preoccuparsi. Prima fra tutte, a guerra ancora in corso, la novità del diritto di voto alle donne con il decreto luogotenenziale 1° febbraio 1945 n. 23, che incominciava a sancire il voto attivo. L‟anno dopo, il 10 marzo 1946, con le norme per l‟elezione della Costituente, sarebbe stato finalmente riconosciuto anche il loro diritto ad essere elette12. Va ricordato tuttavia che talune esclusioni continuavano: pochi ricordano che il decreto escludeva dal diritto di voto (insieme a falliti, esercenti delle case di tolleranza, ubriachi abituali, accattoni, indigenti) le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio al di fuori dei locali autorizzati”. La discriminazione delle prostitute fu abolita con la legge 7 ottobre 1947, n. 1058. Non c‟è dubbio, però che, nonostante queste esclusioni, il suffragio universale approvato nel 1945 rappresenti un colpo gravissimo contro l‟esclusione delle donne dalla sfera pubblica. Né va dimenticato che l‟entrata in vigore della Costituzione, il 1° gennaio 1948, sancisce esplicitamente, nell‟art. 3, grazie ad un emendamento presentato alla Costituente dalla senatrice Lina Merlin13, la parità dei diritti politici tra uomini e donne. In questo articolo infatti si vieta, tra l‟altro, ogni discriminazione di sesso14. In quegli anni dell‟immediato dopoguerra migliaia e migliaia di donne, sia come militanti “di base” che come esponenti di associazioni collaterali ai partiti, cattoliche, socialiste o comuniste, partecipavano attivamente nell‟organizzazione di riunioni in parrocchia o nelle sezioni, raccoglievano fondi per le organizzazioni di massa e per i partiti, preparavano manifesti e riuscivano a tenere comizi. Ciò naturalmente non significa che occupassero spazi di visibilità paragonabili a quelli dei loro colleghi e compagni di partito di sesso maschile, ma il loro attivismo partecipativo è significativo. Si pensi al quadro delineato da Fiorenza Taricone sulle origini del CIF e la mobilitazione delle donne cattoliche15. Proprio a partire dagli anni Cinquanta si possono individuare le tracce di quei fermenti di rinnovamento che nel lungo periodo costituiscono il filo che porta alle profonde trasformazioni degli anni Settanta16. Si elaboravano temi che sarebbero diventati centrali negli anni Sessanta e Settanta: un graduale movimento di erosione
9
A. BRAVO- A.M. BRUZZONE, In guerra, cit., pp. 10-12. S. PELI, Storia, cit., pp. 185-187; si veda inoltre A. BRAVO- A. BRUZZONE, In guerra, cit. pp. 188-89. 11 SANDRO BELLASSAI, La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta, Carocci, Roma 2006, pp.45-51. 12 Si veda in proposito, ANNA ROSSI-DORIA, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Giunti, Firenze 1966. 13 Lina Merlin, diminutivo di Angelina Livia Merlin, ( Pozzonovo, Padova, 1887- Milano 1979) è stata membro della Assemblea Costituente e prima italiana ad essere eletta al Senato, il 18 aprile 1948. Fin dai primi giorni della sua attività perlamentare si dedicò al miglioramento della condizione femminile in Italia. Il suo nome è legato alla legge n. 75 entrata in vigore il 20 settembre 1958 (Legge Merlin) con cui fu abolita in Italia la prostituzione legalizzata. 14 Cfr. ANNA MARIA GALOPPINI, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne dall’Unità a oggi, Zanichelli, Bologna 1980, pp. 143-49. 15 Cfr. FIORENZA TARICONE, Il Centro italiano femminile. Dalle origini agli anni Settanta, Franco Angeli, Milano 2001. 16 Un utile punto di riferimento in SIMONETTA PICCONE STELLA, La prima generazione. Ragazze e ragazzi nel miracolo economico italiano, Franco Angeli, Milano 1993. Si veda anche ENRICA CAPUSSOTTI, Gioventù perduta. Gli anni Cinquanta dei giovani e del cinema in Italia, Giunti, Firenze 2004. 10
3
dell‟asimmetria giuridica tra uomini e donne procedeva grazie all‟intenso lavoro con cui la partecipazione femminile incideva sia nella società civile che nella vita politica nazionale. Ma su questo tornerò di qui a poco; nel quadro che si è delineato sarà ora utile sottolineare alcuni aspetti che riguardano, in modo più specifico, il campo della storia della mentalità e dei cambiamenti di costume.
2. Persistenze e mutamenti Nonostante la censura di genere esercitata sulla memoria resistenziale, una volta usciti dalla guerra, non si poteva certo ignorare la forte presenza e mobilitazione femminile nella lotta al nazi-fascismo17. Il periodo della resistenza al nazi-fascismo può essere considerato un momento periodizzante nella cronologia dell‟emancipazione femminile18. In quel momento storico tra i più drammatici della storia europea, le donne, attraverso varie modalità di incontro con la Resistenza (anche con quella che viene definita “passiva”, o meglio “resistenza civile”) conobbero un consapevole e condiviso cambiamento. Stanche della guerra, stanche di lutti e privazioni, volevano avere, in primo luogo, il diritto di sognare un avvenire migliore per se stesse e per i propri figli, ed aspiravano alla pace. Molte inoltre erano in grado di capire la differenza tra fascismo e democrazia e quindi lo combattevano in modo consapevole. Queste motivazioni, saldandosi in modo forte con i contenuti politici propri della Resistenza, riuscirono a creare un vincolo indissolubile tra emancipazione femminile e lotta di liberazione. Partendo da queste considerazioni, si può individuare uno dei punti chiave per una giusta interpretazione della partecipazione femminile. Il ruolo determinante delle donne italiane nella Resistenza parla di coinvolgimento di massa, spontaneo o anche organizzato, che marciava di pari passo con l'adesione al cambiamento in atto, inteso come riscatto sociale e progresso civile. Era una partecipazione unica (e perciò profondamente diversa dal passato), che attraversava la società femminile italiana in una nuova dimensione. Senza barriere sociali o politiche o religiose, senza limiti di età, le donne parteciparono alla vita pubblica in una nuova dimensione e con modalità uniche e quindi profondamente diverse dal passato. Era un fenomeno senza precedenti: si mettevano insieme, nonostante la diversità di formazione culturale, ideale e politica, casalinghe ed operaie, contadine e donne istruite. Da allora in poi la “questione femminile” diventava una questione di massa19. La costituzione dei Gruppi di difesa della donna (GDD), nell‟inverno 1943-1944, univa le donne nella direzione dell‟impegno per la costruzione di una società giusta e democratica. Ne facevano parte molte donne comuniste, ma anche socialiste, cattoliche, del partito d‟azione e tante altre senza una precisa collocazione politica. I Gruppi di difesa della donna venivano costituiti, come si legge nelle loro dichiarazioni, per partecipare alla lotta del popolo italiano per salvarsi dall‟estrema rovina, per affrontare la liberazione, per ricostruire il paese esaurito e rovinato dalla guerra fascista, per costruire una società nuova, ispirata agli ideali di libertà, amore e progresso20. La forte presenza e mobilitazione femminile nella lotta al nazi-fascismo non poteva dunque essere ignorata. Perciò l‟idea di riconoscere il diritto di voto alle donne non trovò seri ostacoli in 17
Cfr. DANIELLA GAGLIANI, ELDA GUERRA, FIORENZA TAROZZI, LAURA MARIANI (a cura), Donne guerra politica: esperienze e memorie della Resistenza, CLUEB, Bologna 2000; DANIELLA GAGLIANI (a cura), Guerra resistenza politica, cit. 18 Cfr. ELDA GUERRA, La “storia” delle donne, in “I Viaggi di Erodoto”, supplemento al n. 43/44 con gli Atti del convegno “Mappe del „900” (Rimini 22-24 novembre 2001), pp. 249-60. 19 Si veda MARIUCCIA SALVATI (a cura), La fondazione della Repubblica. Modelli e immaginario repubblicani in Emilia Romagna negli anni della Costituente, Franco Angeli, Milano 1998. 20 Si costituirono inizialmente a Milano alla fine del 1943, col nome di “Gruppi di difesa della donna e per l‟assistenza ai combattenti”. Nell‟estate del 1944 i GDD furono riconosciuti come organizzazione aderente ai CLN. Nel dopoguerra si trasformarono nell‟Unione donne italiane (UDI). Si veda in proposito UNIONE DONNE ITALIANEARCHIVIO CENTRALE,Gruppi di difesa della donna, 1943-1945, a cura di Maria Michetti, Marisa Ombra, Luciana Viviani, Unione donne italiane, Roma 1995.
4
nessuno schieramento. La sinistra, dal canto suo, non poteva che dichiararsi favorevole al voto delle donne, anche se era preoccupata per l‟influenza che la Chiesa cattolica esercitava su di loro, più che sugli uomini. Ma il 1 febbraio del 1945, fu proprio Palmiro Togliatti a presentare con Alcide De Gasperi la proposta di concedere il voto alle donne. Possiamo quindi dire che la scelta più significativa, rappresentata dal voto alle donne come crescita e garanzia di democrazia, fu fatta con il consenso delle due forze politiche e sociali più significative che allora ci fossero nel Paese 21. L‟articolo 48 della Costituzione (nel titolo IV della Parte I, sui Rapporti politici) nel prevedere che «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età», sottolinea anche che: «Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». Si concludeva, dunque, con questo articolo una storia che parte da lontano: noi ne seguiremo il filo attraverso alcune tracce, le principali, per cercare ora di capire il percorso femminile verso una specifica esperienza dell‟affermazione dell‟individualità del soggetto: la modernità, cosa diversa dalla modernizzazione, che ha riguardato le donne come genere e ha segnato le politiche a loro destinate. Ci metteremo, quindi per grandi linee generali, sulle strade storiche delle esperienze che hanno consentito il passaggio delle donne italiane dall‟«universo del destino» al «mondo della scelta»22.
3. Le lotte per il suffragio All‟alba del Regno d‟Italia, finito il movimento risorgimentale, durante il quale non indifferente fu la presenza femminile23, furono poste le basi – grazie alla critica di Anna Maria Mozzoni al codice Pisanelli24 e in seguito ai tre disegni di legge di Salvatore Morelli – per la questione dei diritti politici delle donne25. Morelli propose, infatti, per la prima volta il 18 giugno 1867, di modificare la legge elettorale che escludeva dal voto politico e amministrativo le donne, e di concedere loro tutti i diritti riconosciuti ai cittadini, ma la sua proposta fu respinta dalla Camera dei Deputati 26. In seguito, tra gli anni Ottanta dell‟Ottocento e il primo decennio del Novecento, si accese una stagione caratterizzata da un dibattito molto vivo e aperto anche al dialogo tra le associazioni laiche e quelle cattoliche27. Dopo la proposta del deputato Roberto Mirabelli di introdurre il suffragio universale maschile e femminile, a partire dal 1905 furono creati i Comitati pro suffragio che nel marzo del 1906 indirizzarono al Parlamento la petizione per il voto28. Nello 21
Si veda quanto dice in proposito Tina Anselmi nella citata conversazione con Dionira Corsi, p. 283. In proposito costituiscono un interessante punto di riferimento le ipotesi di periodizzazione proposte da Elda GUERRA, La “storia”, cit., p. 250. Guerra fa riferimento al rapporto tra modernizzazione, modernità, modernità radicale o condizione postmoderna. Si veda inoltre GABRIELLA BONACCHI- ANGELA GROPPI (a cura), Il dilemma della cittadinanza: diritti e doveri delle donne, Laterza, Roma-Bari 1993. 23 Nel Risorgimento la presenza femminile fu molto più numerosa ed in prima linea di quanto la storiografia risorgimentale abbia tramandato. Su questi aspetti, che esulano da queste pagine, si veda almeno LAURA GUIDI, Il Risorgimento invisibile delle donne del Sud, in “Genesis”, I/1, 2002. Patrie e appartenenze, cit. pp. 266-71. 24 I principali scritti di Anna Maria Mozzoni sono stati pubblicati da Francesca Pieroni Bortolotti in La liberazione della donna, Mazzotta, Roma 1975. Sulla figura della Mazzoni si veda della stessa Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia 1848-1892, Einaudi, Torino 1963. 25 Va ricordato che la legge del 1866 per l‟unificazione della legislazione della nuova Italia aveva privato del diritto di voto (solo amministrativo) le donne della Toscana e del Lombardo Veneto che lo avevano sino ad allora esercitato, in quanto erano state sotto il dominio austriaco. 26 Sulla figura di Morelli, si veda GINEVRA CONTI ODORISIO, Salvatore Morelli (1824-1880). Emancipazionismo e democrazia nell’Ottocento europeo, ESI, Napoli 1992. 27 Nel 1897 sorse il movimento femminile socialista per iniziativa di Anna Kulishoff e Argentina Altobelli. Nel 1906 con il I° Congresso Femminile Socialista si decise di sostenere con forza la battaglia per l‟allargamento del suffragio elettorale anche alle donne. 28 Per una preziosa selezione dei progetti di legge e di altri documenti di natura giuridica riguardanti i diritti delle donne, si veda AGATA A. CAPPIELLO- ELENA MARINUCCI- GIACOMO F. REICH- LAURA REMIDDI (a 22
5
stesso anno, dalle pagine de “La Vita”, Maria Montessori si appellò alle donne italiane affinché si iscrivessero alle liste elettorali. L‟appello fu affisso da un gruppo di studentesse sui muri e molte donne tentarono perciò di iscriversi alle liste elettorali, così come era stato fatto con successo negli Stati Uniti. Sulla stampa si scatenò un dibattito fra i fautori del voto alle donne e i contrari. Le corti di appello delle varie città respinsero però le iscrizioni; unica eccezione la corte di Ancona, dove era presidente Ludovico Mortara, ma anche questa sentenza fu annullata dalla Corte di Cassazione. In questo quadro va sottolineata la posizione indecisa, se non del tutto ostile dei socialisti sulla questione del suffragio femminile. Nel 1910 Filippo Turati si pronunciò espressamente contro il voto alle donne nel timore che «la pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili» finisse con il rafforzare le forze conservatrici29. E la stessa Anna Kuliscioff, pur difendendo dalle pagine di "Critica Sociale" il suffragio femminile, al Congresso socialista del 1910 finì con il sostenere che il proletariato femminile non poteva schierarsi col femminismo delle donne borghesi. La Kuliscioff avvertiva, in realtà, il disagio della sua posizione; ne è una testimonianza quanto scriveva su "Critica Sociale", rivelando di non riuscire a spiegarsi la rigidità dei socialisti nei confronti del movimento femminile non proletario, dal momento che nei rapporti con i partiti politici borghesi, essi avevano ormai smussato «così generosamente gli spigoli della loro intransigenza»30. Nel 1912 durante la ricchissima discussione intorno al disegno di legge sulla Riforma elettorale politica, che avrebbe istituito il suffragio universale maschile, Ernesto Mirabelli, Claudio Treves, Filippo Turati e Sidney Sonnino proposero un emendamento per concedere il voto anche alle donne ma Giolitti si oppose definendolo “un salto nel buio”. Egli riteneva, infatti, che il suffragio alle donne doveva essere concesso gradualmente, a partire dalle elezioni amministrative: le donne avrebbero potuto esercitare i diritti politici solo quando avessero esercitato effettivamente i diritti civili. Con la nomina quindi di un‟apposita commissione per la riforma giuridica del Codice Civile, la questione fu in pratica rimandata sine die31. Gli anni della Prima Guerra Mondiale vengono in genere considerati una tappa nella storia dei mutamenti dell‟universo femminile32. I posti di lavoro lasciati dagli uomini, richiamati al fronte, furono occupati dalle donne, nei campi e soprattutto nelle fabbriche. Apposite circolari ministeriali avevano, infatti, permesso l‟impiego di manodopera femminile fino all‟80% del personale nell‟industria meccanica e in quella bellica, dalla quale per legge le donne erano state escluse nel 1902. Posti di lavoro che, con la fine della guerra, sarebbero stati però tolti alle donne, accusate di rubare lavoro ai reduci. È comunque ormai riconosciuta la funzione degli anni della Grande guerra come momento importante nella storia della costruzione di un‟identità collettiva di genere diversa da quella codificata dalla cultura maschile. Gli anni della guerra avevano visto le donne protagoniste nella dimensione familiare e sul posto di lavoro, mentre mariti, figli, padri,
cura), Donne e diritto. Due secoli di legislazione. 1796-1986, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1988. Per una utile raccolta tematica dei principali documenti che raccontano la lunga storia della battaglia per la conquista femminile del voto, si veda MARINA d‟AMELIA (a cura), Donne alle urne. La conquista del voto. Documenti 18641946, Biblink editori, Roma 2006. 29 In merito ai dissensi tra fronte emancipazionista e Partito socialista si veda FRANCA PIERONI BORTOLOTTI, Socialismo e questione femminile in Italia. 1892-1922, Mazzotta, Milano 1976, EADEM, Femminismo e partiti politici in Italia . 1919- 1922, Editori Riuniti, Roma 1978; e CLAUDIA GORI, Crisalidi. Emancipazioniste liberali in età giolittiana, Franco Angeli, Milano 2003. 30 Sulla figura di Anna Kuliscioff si veda MARIA CASALINI, La signora del socialismo italiano. Vita di Anna Kuliscioff, Editori Riuniti, Roma 1987; e MARINA ADDIS SABA, Anna Kuliscioff. Vita privata e passione politica, Mondadori, Milano 1993. 31 Sui dibattiti parlamentari si veda MARIA PIA BIGARAN, Progetti e dibattiti parlamentari sul suffragio femminile: da Peruzzi a Giolitti, in “Rivista di Storia Contemporanea”, n. 1, 1985, pp. 50-82. 32 Dalla Grande Guerra, come è noto, ormai si fa partire la “storia contemporanea”. Il secolo breve prende avvio sempre di più anche nei manuali scolastici da questo evento. Per una sintesi del dibattito storiografico sul Novecento si veda MARIUCCIA SALVATI, Il Novecento. Interpretazioni e bilanci, Laterza, Roma-Bari 2001.
6
fratelli erano al fronte. A guerra finita, il movimento delle donne, una sorta di Quinto Stato, minaccioso per il genere maschile (ormai da tempo sulle difensive), riprendeva le sue battaglie33. Nel dopoguerra riprese, infatti, il dibattito sul voto alle donne. Il neonato Partito Popolare appoggiava il suffragio femminile. Del resto, dal partito di don Luigi Sturzo ai Fasci di combattimento di Benito Mussolini, nei programmi delle nuove forze politiche era presente la promessa dell‟estensione al voto34. Lo scenario era radicalmente cambiato rispetto al periodo precedente alla guerra, ne è un esempio l‟abolizione nel 1919, anche se con notevoli limitazioni, dell‟autorizzazione maritale, con la quale si concedeva alle donne almeno l‟emancipazione giuridica; contestualmente, seppure limitato ad alcuni ambiti, fu consentito l‟ingresso delle donne nei pubblici uffici. Erano maturi i tempi per l‟approvazione del suffragio femminile: il 6 settembre del 1919 la Camera l‟approvò, con 174 voti favorevoli e 55 contrari. Ma, prima che anche il Senato potesse approvarlo, le camere vennero sciolte. L‟anno successivo di nuovo la legge fu approvata alla Camera, ma non fece in tempo ad essere approvata al Senato perché vennero convocate le elezioni. Nel marzo del 1922, fu presentata una semplice proposta di legge dal deputato socialista Giuseppe Emanuele Modigliani, con un articolo unico che recitava: «le leggi vigenti sull‟elettorato politico e amministrativo sono estese alle donne». Anche questa proposta, ancora una volta, non poté essere discussa. Ormai per ottobre si preparava la Marcia su Roma. Il fascismo avrebbe concesso il diritto di voto passivo ad alcune categorie di donne per le sole elezioni amministrative. Mussolini stesso, intervenendo a Roma al IX Congresso dell‟Alleanza internazionale Pro-Suffragio aveva detto che il governo da lui presieduto aveva intenzione di concedere il voto amministrativo alle donne. Dopo non molto, il 9 giugno del 1923, fu presentato alle camere il progetto di legge di cui era relatore il deputato Giacomo Acerbo che concedeva il voto alle donne sopra i 25 anni (contro il limite dei 21 fissato per gli uomini), e solo ad alcune categorie: le decorate al valore militare e civile, le madri di caduti in guerra, le vedove di caduti (non risposate o concubine), quelle che esercitavano la patria potestà, quelle che avevano conseguito il diploma del corso elementare obbligatorio o superato un esame corrispondente, quelle, infine, che sapevano leggere e scrivere ed erano contribuenti di tasse comunali non inferiori alle 40 lire annue35. Nel 1925 fu, infine, concesso il voto amministrativo, ma la legge non entrò mai in vigore: le leggi fascistissime degli anni 1925 – 26 introducevano ormai donne e uomini agli anni della dittatura36. Finito il ventennio fascista, finita la guerra, la Costituzione avrebbe dunque riconosciuto l‟uguaglianza formale fra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti durante il periodo precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e anche il Codice Penale. Ma su questi punti mi soffermerò, di qui a poco, nelle riflessioni conclusive.
4. Una ”conquista” che continua… Il peso del voto femminile fu determinante: non a caso a svolgere un ruolo maggioritario nella storia repubblicana sono stati la DC e il PCI, ovvero i due partiti che avevano favorito organizzazioni proprie delle donne, e portato alla Costituente un nuovo ceto dirigente femminile37. L'impegno militante delle donne di tutte le parti politiche (molte erano mobilitate proprio per 33
Sul concetto di „mascolinità‟ e per alcuni spunti sulla crisi del maschio contemporaneo si veda SANDRO BELLASSAI, La mascolinità contemporanea, Carocci, Roma 2004. 34 Si veda, in proposito, FRANCA PIERONI BORTOLOTTI, Femminismo e partiti politici in Italia. 1919-1926, Editori Riuniti, Roma 1978. 35 Su 12 milioni di donne solo un milione avrebbe potuto votare. 36 Si veda MARINA ADDIS SABA (a cura), La corporazione delle donne. Ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio, Vallecchi, Firenze 1988; e GIULIA GALEOTTI, Storia del voto alle donne in Italia: alle radici del difficile rapporto tra donne e politica, Biblink, Roma 2006. 37 Il 18 aprile del „48 furono elette 45 donne alla Camera e 4 al Senato. Appena aperta la legislatura furono presentati due progetti di legge per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri: il primo da Teresa Noce del PCI e il secondo da Amintore Fanfani, ministro del lavoro, esponente della sinistra democristiana.
7
convincere, accompagnare, far andare a votare) ebbe, inoltre, una funzione decisiva nel radicare, a livello popolare, il valore del voto, il valore della scelta del cittadino, in poche parole, il valore della democrazia. In seguito, la presenza femminile negli spazi pubblici e nella sfera pubblica avrebbe accompagnato nel nostro Paese il passaggio da una società, con tratti premoderni ancora forti, ad una società modernizzata. Anni segnati dallo “scoppio” dei consumi, da un vertiginoso sviluppo dell‟economia, dall‟affermarsi di garanzie collettive, da un‟epoca di mobilità sociale, forse unica nella nostra storia nazionale, anni del miracolo economico e della golden age38. Che presentavano, in realtà, accanto allo sviluppo anche non poche contraddizioni: in entrambi gli aspetti le donne maturarono esperienze di partecipazione. Soffermiamoci solo su alcuni punti. Nel dopoguerra rimaneva in vigore il codice penale del '31, il codice Rocco, che ribadiva la subalternità della donna nei confronti dell'uomo, riconoscendo il delitto d‟onore, la potestà maritale, la patria potestà. Ugualmente rimaneva in vigore lo jus corrigendi maritale, cioè il potere correttivo che comprendeva anche la "coazione fisica", da parte del marito, abolito solo nel 1956. Erano tuttavia anni segnati – sul piano simbolico – da faticose conquiste legislative. Le associazioni femminili e le donne parlamentari, si impegnarono con tenacia per un adeguamento legislativo, che, pur fra resistenze e ritardi, avrebbe in seguito consentito di raggiungere, dopo circa venti anni, almeno una parità giuridica formale, sulle questioni proprie della vita femminile: dalla legge di tutela della lavoratrice madre (1950) al divieto di licenziamento a causa di matrimonio (1962), dall‟ingresso delle donne nelle giurie popolari e nei Tribunali dei minorenni (1956) alla costituzione della polizia femminile (1959). Negli anni Cinquanta nelle organizzazioni femminili, col lungo dibattito a cui le donne sono state costrette dai ritardi della cultura politica, sono circolate idee e critiche nei confronti della tradizione e del costume che hanno oltrepassato l'obiettivo legislativo in senso stretto e hanno preparato la legislazione paritaria degli anni sessanta, dalla parità di salario alla parità di lavoro, legata al Trattato di fondazione della CEE, fino all'accesso delle donne a tutte le professioni e soprattutto ai concorsi per entrare in magistratura (1963). A questi obiettivi si sarebbero aggiunti, negli anni Settanta, una nuova legge di tutela della donna lavoratrice (1971), l'istituzione degli Asili nido (1971), quella dei Consultori familiari (1975), oltre alla riforma del diritto di famiglia (1975) con il riconoscimento della parità dei coniugi, e alla legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (1977). Tuttavia, come ricorda Elda Guerra, le culture politiche dei partiti, fino alla fine degli anni Sessanta, non sembrano interpretare fino in fondo i mutamenti. Nei grandi partiti di massa le donne erano allora presenti come in una sorta di cittadinanza asimmetrica per cui il “lavoro fra le donne” rappresentava un‟articolazione specifica dell‟elaborazione e dell‟intervento politico generale. L‟associazionismo femminile, nonostante i momenti importanti e significativi di presenza sulla scena pubblica, era sempre legato a quelle culture politiche dominanti e che possiamo definire fortemente caratterizzate dalla visione maschile: appare assai debole una tradizione autonoma delle donne italiane. Dal secondo dopoguerra in poi, come ho già accennato, nel parlare di partecipazione politica occorre fare riferimento in Italia al modello consociativo, caratterizzato da una profonda frattura ideologico-politica e da una società fortemente divisa sul piano dei valori e della cultura politica. Fino a quando è durato tale modello, la storia della partecipazione politica femminile si è intrecciata alla storia dei due maggiori partiti politici italiani, DC e PCI, principali fautori dell‟accesso delle donne alle istituzioni politiche39. Differenti sono invece i cambiamenti in atto nel costume e nei comportamenti che nel vissuto quotidiano si verificavano in quegli anni, e che traspaiono dal cinema, dai consumi, dalla letteratura, dalla musica giovanile40.
38
ERIC J. HOBSBAWM, Il secolo breve, tr. it. di Brunello Lotti, Rizzoli, Milano 1995. ALESSIA DONÀ, Le pari opportunità. Condizione femminile in Italia e integrazione europea, Laterza, Roma-Bari 2006. 40 E. GUERRA, La “storia”, cit., pp. 252-3. 39
8
Cambiamenti che matureranno ed avranno forte visibilità alla fine degli anni Sessanta. In questo quadro, come momento epocale di cambiamento, può essere considerata la riflessione che, a partire dall‟esperienza del Sessantotto, porterà le donne a considerare l‟alterità e la differenza dei sessi41. E proprio nell‟elaborazione della differenza il movimento delle donne si distinse dal movimento del Sessantotto. La presenza oggi, nei linguaggi delle tematiche di genere, di concetti così diversi, come “parità” e “differenza” stanno in fondo a testimoniare come il movimento delle donne produce o rielabora la cultura politica, propria dei femminismi che, pur rimandando ad una vicenda di lungo periodo, allo stesso tempo ha le sue radici nella crisi degli anni Settanta. In questi anni l‟esperienza femminile si intrecciava con altri movimenti legati all‟appartenenza di diverse identità razziali e culturali. Da questo intreccio nascono termini come „genere‟, „differenza‟, „differenze‟, ovvero questioni essenziali che hanno traghettato le donne nel nuovo millennio42. Non a caso, la Società Italiana delle Storiche nel 2005 con il convegno “Nuovi femminismi, nuove ricerche”, ha avviato una riflessione sul femminismo “storico” favorendo una valutazione storica, e cercando, allo stesso tempo, di seguire un pensiero che non si è fermato agli anni Settanta, ma ha attraversato percorsi, suggestioni, in alcuni casi binari o convergenti o diversi, ma comunque tutti da esplorare. Del resto è il presente che può fornire alle storiche categorie e domande con cui interrogare in modo nuovo il passato43.
41
Cfr. TERESA BERTILOTTI- ANNA SCATTIGNO (a cura), Il femminismo degli anni Settanta, Viella, Roma 2005. Cfr. PEPPINO ORTOLEVA, I movimenti del ’68 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma 1988; LUISA PASSERINI, Storie di donne e femministe, Rosenberg & Sellier, Torino 1991. 43 TERESA BERTILOTTI, CRISTINA GALASSO, ALESSANDRA GISSI, FRANCESCA LAGORIO (a cura), Altri femminismi. Corpi culture lavoro, Manifestolibri, Società Italiana delle Storiche, Roma 2006, Introduzione, pp. 7-18, e precisamente p. 7. 42
9