Malattie allergiche in età pediatrica: aspetti diagnostici e terapeutici Rinite e rinocongiuntivite allergica La rinite allergica, una patologia della mucosa nasale indotta da un’infiammazione IgE-mediata conseguente ad esposizione allergenica, è un problema di comune riscontro in età pediatrica. In Italia, la prevalenza di questa malattia, che ha un impatto negativo sulla vita sociale e sul rendimento scolastico, risulta pari al 12.3% nei bambini di 6-7 anni ed a circa il 21% negli adolescenti (Sestini P et al., 2005). Il quadro clinico tipico della rinite allergica è caratterizzato da rinorrea acquosa, starnuti a salve, ostruzione nasale, prurito nasale e congiuntivite concomitante (cui possono associarsi irritazione faringea e tosse) reversibili spontaneamente o in seguito ad appropriato trattamento; al contrario, l’unilateralità dei sintomi, l’ostruzione nasale isolata, la rinorrea muco-purulenta, il dolore, l’anosmia e l’epistassi ricorrenti non sono manifestazioni tipiche di rinite allergica. La congiuntivite allergica è contraddistinta da lacrimazione, prurito congiuntivale ed iperemia bilaterali, nonché dalla concomitante presenza dei sintomi della rinite; viceversa, la fotofobia, il bruciore o dolore oculare, la secchezza della congiuntiva, la unilateralità dei sintomi e l’assenza di rinite sono caratteristiche non tipiche di congiuntivite allergica (Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma-ARIA-2015). L’attuale classificazione della rinite allergica tiene conto della durata e della gravità dei sintomi; pertanto, in base al criterio temporale la rinite è distinta in “intermittente” o “persistente”, mentre in funzione della entità del quadro clinico questa patologia allergica può essere classificata in “lieve” o “moderata/grave (Figura 1) (ARIA, 2015).
Intermittente
Persistente
Sintomi
Sintomi
• <4 giorni/settimana • o <4 settimane
Lieve Tutte le seguenti • Sonno conservato • Nessuna limitazione nelle attività quotidiane • Normale attività lavorativa o scolastica • Non sintomi fastidiosi
• >4 giorni/settimana • e >4 settimane
Moderata-grave uno o più dei seguenti • Alterazioni del sonno • Limitazioni delle attività quotidiane • Riduzione prestazioni lavorative/scolastiche • Sintomi gravi
Nei pazienti non trattati
FIGURA 1. Classificazione della rinite allergica (ARIA, 2015).
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La diagnosi di rinite allergica si basa sulla ricerca della familiarità allergica e sull’anamnesi personale che deve valutare la presenza delle manifestazioni cliniche tipiche (rinorrea acquosa, starnuti, naso chiuso, prurito nasale, congiuntivite con iperemia o prurito agli occhi) almeno un’ora al giorno, in molti giorni consecutivi o durante una particolare stagione dell’anno; il riscontro di rinorrea acquosa associata ad uno o più dei sintomi riportati in precedenza è fortemente indicativo di rinite allergica. La presenza, invece, di uno o più sintomi quali rinorrea purulenta, dolore facciale, epistassi ed anosmia, suggerisce una natura non allergica del quadro clinico e richiede una valutazione specialistica. Le procedure diagnostiche che è possibile utilizzare a completamento dell’anamnesi includono sia i vari test per la diagnosi di reazione IgE-mediata, tra cui il prick test (sempre di prima scelta), il dosaggio delle IgE specifiche nel siero o il test di provocazione nasale specifico (solo in casi selezionati), sia le indagini aggiuntive e/o per la diagnostica differenziale, quali ad esempio la citologia nasale e dell’escreato, la rinoscopia posteriore, l’endoscopia nasale e la tomografia computerizzata (TC) (Figura 2) (ARIA, 2015). L’approccio terapeutico della rinite allergica è fondato su quattro cardini rappresentati da: • Allontanamento dell’allergene, quando possibile; ad esempio, tra le misure di prevenzione della rinite allergica causata dagli acari della polvere si raccomanda l’uso di coprimaterassi/copricuscini e di effettuare la pulizia con aspirapolvere a filtri HEPA. • Educazione del paziente, sempre indicata, con l’obiettivo di guidare il soggetto con rinite allergica o la sua famiglia verso un cambiamento dello stile di vita, adattandolo alle esigenze richieste dalla patologia.
Può trattarsi di rinite allergica
NO
SÌ
+ Rinite allergica verosimile
Rinorrea acquosa/ starnuti/prurito Allergia poco probabile
Ostruzione Stagionalità Sintomi oculari
+
Rinite allergica
Conferma con Endoscopia o TC
–
PRICK TEST +
+
Concordante
IgE specifiche –
RAL* +
Discordante
Rinorrea posteriore/ Dolore/ ostruzione
Considera rinosinusite
Test di provocazione
(sintomi rinitici fuori dal periodo pollinico) NO Rinite allergica
– Sospettare sovrapposizione di più rinopatie (R.A.+NARES/NARESMA, ecc.)
Con neutrofili (NARNE)
CITOLOGIA NASALE (da effettuare fuori dal periodo pollinico)
Con eosinofili (NARES)
+ Con mastcellule (NARMA) Con eosinofili e mastcellule (NARESMA)
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FIGURA 2. Algoritmo diagnostico della rinite allergica.*RAL= Rinite allergica locale (ARIA, 2015).
•
Terapia farmacologica, che deve essere caratterizzata da efficacia, sicurezza d’impiego e facilità di somministrazione; dal momento che nei pazienti con rinite vari fattori possono influire negativamente sull’aderenza terapeutica, quest’ultima dovrebbe essere periodicamente verificata. • Immunoterapia, in grado di modificare la storia naturale della malattia; tra i fattori da considerare per la prescrizione dell’immunoterapia specifica (ITS) da parte dello specialista si annoverano: il meccanismo IgE accertato; l’evidente relazione causale tra esposizione all’allergene e sintomatologia; la gravità dei sintomi, la risposta alla farmacoterapia e l’assenza di controindicazioni. Il trattamento della rinite allergica, strutturato “a gradini o step” in base alla durata ed alla gravità della malattia (Figura 3), dovrebbe essere il più semplice possibile. In generale, i principi di trattamento per i soggetti pediatrici sono gli stessi che per gli adulti, ma occorre una particolare attenzione per evitare gli effetti indesiderati dei farmaci, che sono tipici in questa fascia di età. È necessario adattare il dosaggio dei farmaci e vanno rispettate le speciali avvertenze; tuttavia, pochissimi farmaci sono testati clinicamente nei bambini di età inferiore a 2 anni (Progetto ARIA, 2015). In sintesi, gli antistaminici orali o topici di seconda generazione sono raccomandati in adulti e bambini per il trattamento della rinite e della congiuntivite e sono efficaci su rinorrea, starnuti e prurito; alcuni di essi possiedono attività antinfiammatorie e agiscono in parte anche sull’ostruzione. Gli steroidi nasali, raccomandati per il trattamento della rinite allergica in adulti e bambini, sono i farmaci più efficaci in questa patologia allergica; gli steroidi nasali agiscono efficacemente anche sull’ostruzione e quelli più recenti possono migliorare anche gli eventuali sintomi oculari concomitanti. I cromoni possono essere usati per il trattamento della rinite e della congiuntivite allergica, ma la loro efficacia è modesta. I decongestionanti topici si possono impiegare (nei soggetti di età superiore a 12 anni), solo per brevi periodi (<10 giorni), se l’ostruzione nasale è molto severa.
Lieve intermittente
Lieve persistente
Moderata-grave intermittente
Moderata-grave persistente
Antileucotrienico (se coesiste asma) Steroide nasale
Cromoni Antistaminico di II generazione orale o locale Decongestionante nasale (<10 giorni e sopra i 12 anni) (o decongestionante orale) Allontanamento di allergeni e irritanti Immunoterapia specifica
FIGURA 3. Trattamento a gradini (“stepwise”) della rinite allergica (Progetto ARIA, 2015).
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Gli antileucotrieni possono essere utilizzati nel trattamento della rinite quando coesistono i sintomi di asma bronchiale. Nella rinite gli antileucotrienici hanno efficacia inferiore agli steroidi topici. Come farmaci aggiuntivi possono incrementare il beneficio ottenuto con la terapia standard basata sull’impiego di antistaminici e/o steroidi topici. La terapia farmacologica delle congiuntiviti prevede l’utilizzo di antistaminici, vasocostrittori, FANS e steroidi topici, oltre all’impiego di antistaminici orali in presenza di rinite, ed il ricorso alla immunoterapia specifica che trova indicazione se sono presenti rinite e/o asma (Progetto ARIA, 2015).
Orticaria acuta e cronica
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L’orticaria acuta rappresenta una condizione patologica frequente in età pediatrica, che in una quota pari fino a circa un quarto dei casi (dal 10% al 23%) è di natura allergica. Viene definita “acuta” se la sua durata è inferiore a 6 settimane, mentre si definisce “cronica” quando persiste per oltre 6 settimane. La tipica lesione dell’orticaria è il pomfo, caratterizzato da rigonfiamento centrale di dimensioni variabili (quasi sempre circondato da eritema), prurito talvolta associato a sensazione di bruciore e breve durata (la cute recupera l’aspetto normale entro 1-24 ore). Le cause più comuni di orticaria acuta su base allergica sono rappresentate da farmaci, veleno di insetti (imenotteri) e contatto con allergeni (in modo particolare il latex). L’orticaria acuta, solitamente IgE-mediata, provocata da alimenti, farmaci ed agenti esterni è riconoscibile per uno stretto rapporto causa-effetto, in quanto l’insorgenza delle manifestazioni si verifica al massimo entro 2 ore dal contatto con l’allergene o dalla sua ingestione. In età pediatrica, la forma più comune di orticaria acuta è quella post- o para-infettiva che in maniera caratteristica, e contrariamente all’orticaria allergica, persiste per oltre 24 ore (Capra L et al., 2012). La diagnosi di orticaria si basa fondamentalmente sull’anamnesi e sull’esame obiettivo, cui si possono associare alcuni test utili a confermarla. Per l’inquadramento eziologico delle varie forme di orticaria risulta importante il dato clinico con particolare riferimento alla durata del pomfo ed all’età del soggetto. Per quanto riguarda il primo aspetto, una lesione che persiste per oltre 24 ore deve orientare verso quadri clinici diversi (ad esempio, orticaria vasculitica), mentre il riscontro di un pomfo di breve durata (<1 ora), induce a ritenere che probabilmente si tratta di orticaria fisica, quali il dermografismo e l’orticaria da freddo (le forme più comuni di orticaria fisica in età pediatrica). In riferimento, invece, all’età del soggetto, risulta che l’orticaria post- o para-infettiva ha una maggiore frequenza nei bambini in età prescolare, cosi come l’orticaria da allergia alimentare, di più comune riscontro nei primi 5 anni di vita. In età adolescenziale, pur diminuendo la prevalenza complessiva, diventano più frequenti le forme da puntura da imenottero o quelle associate ad attività fisica. Per la valutazione della gravità del quadro clinico nei pazienti affetti da orticaria sono disponibili vari sistemi di punteggio, tra cui quello proposto dalle linee guida dell’European Academy of Allergy and Clinical Immunology (EAACI), riportato in Tabella 1. Tra i test di laboratorio rientrano lo “skin prick test” (SPT), la ricerca delle IgE sieriche specifiche ed il test “prick by prick”, indicati come esami di conferma in caso di forte sospetto diagnostico indotto dai dati anamnestici di orticaria acuta dovuta a reazioni allergiche nei confronti di comuni allergeni (ad esempio, alimentari, latex, veleno di imenotteri e determinati antibiotici), nonché i test per le orticarie fisiche (Capra L et al., 2012; Kanani A et al., 2011). La gestione clinica dell’orticaria acuta include le misure preventive e la terapia farmacologica; più precisamente, qualora sia stata stabilita l’eziologia di questa condizione patologica, la terapia consiste nell’allontanamento dell’agente responsabile, altrimenti il trattamento è essenzialmente sintomatico. Pertanto, l’approccio iniziale consiste nell’identificazione e nell’eliminazione di eventuali fattori scatenanti (es. alimenti, farmaci, ecc.), il che può rivelarsi un’efficace modalità di intervento.
TABELLA 1. Sistema di punteggio proposto dalle linee guida EAACI (European Academy of Allergy and Clinical Immunology) per la determinazione della severità clinica in pazienti con orticaria (Capra L et al., 2012). Punteggio
Pomfi
Prurito
1
Lieve (<20 pomfi/24 ore)
Lieve (presente ma non fastidioso)
2
Moderato (20-50 pomfi/24 ore)
Moderato (fastidioso ma non interferisce sulle attività quotidiane o sul sonno)
3
Severo (>50 pomfi/24 ore, o larghe aree di pomfi confluenti)
Severo (prurito intenso che interferisce sullo svolgimento delle attività quotidiane o sul sonno
Lo score va da 1 a 6 punti
Il trattamento farmacologico sintomatico si basa principalmente sull’impiego degli antistaminici anti-H1 di seconda generazione (quali, cetirizina, levocetirizina, loratadina, desloratadina e fexofenadina), che costituiscono l’opzione terapeutica di prima scelta. Gli antistaminici non vanno somministrati per via topica, in quanto inutili e potenzialmente dannosi per il rischio di sensibilizzazione secondaria. Gli antileucotrieni possono essere aggiunti all’antistaminico nei casi in cui l’orticaria risulta scarsamente controllata, sebbene il loro effetto sia in genere modesto. Il cortisone per via generale trova indicazione, sempre in associazione agli anti-H1, nelle forme acute gravi, generalizzate, specie se associate ad angioedema oppure in fase acuta nelle forme fortemente disturbanti. Il trattamento con steroidi topici, invece, non è indicato nell’orticaria acuta (Capra L et al., 2012). L’orticaria cronica, contraddistinta dalla presenza di pomfi o angioedema per un periodo superiore alle 6 settimane, sebbene possa essere dovuta a vari fattori eziologici, in una quota rilevante di casi risulta essere idiopatica. A tale riguardo, consultando i database EMBASE, PUBMED e COCHRANE LIBRARY, una revisione sistematica di 135 articoli scientifici riguardanti l’orticaria cronica in soggetti pediatrici (età 0-18 anni), pubblicati tra il 1966 ed il 2008, ha permesso di evidenziare che la forma idiopatica era la più frequente, mentre le cause principali di orticaria cronica in ambito pediatrico erano quelle fisiche, le infezioni, l’allergia e l’autoimmunità. In estrema sintesi, dagli studi esaminati è emerso che nei soggetti pediatrici con orticaria cronica le cause fisiche e quelle allergiche (peraltro molto rare) da alimenti o inalanti andrebbero indagate solo sulla base di uno stretto rapporto causa-effetto. Le infezioni associate ad orticaria cronica includono principalmente quelle sostenute da H. pylori, streptococco, EBV e C.pneumoniae, nonché la sinusite e l’infezione delle vie urinarie. Infine, tra le cause autoimmuni di orticaria cronica, in presenza di quadro clinico suggestivo vanno considerate le malattie del connettivo (Bernardini R et al., 2009).
Dermatite atopica e dermatite allergica da contatto La dermatite atopica, o eczema atopico, è una patologia infiammatoria della cute spesso associata ad anamnesi familiare o personale positiva per malattie allergiche (ad esempio, rinocongiuntivite ed asma). La dermatite atopica è una patologia multifattoriale che vede coinvolti quali possibili cause per la sua insorgenza la predisposizione genetica, i fattori ambientali, tra cui materiale biologico (acari della polvere, batteri, miceti), inquinanti ambientali (ad esempio, PM10 e biossido di azoto) ed agenti fisici (come radiazioni solari ed onde elettromagnetiche), nonché le alterazioni dei meccanismi difensivi, quali l’immaturità della funzione di barriera della cute, dell’immunità mucosale, dell’immunità sistemica e degli enzimi digestivi (Lee S-I et al., 2011). Nello stadio acuto, la dermatite atopica è caratterizzata dalla presenza di chiazze e placche eritematose, a contorni scarsamente definiti, vescicole ed edema (Figura 4); le lesioni, pruriginose, nella loro evoluzione vanno incontro ad essudazione, escoriazione, formazione di croste. Nello stadio cronico le lesioni consistono in placche di maggiore
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FIGURA 4. Stadio acuto della dermatite atopica caratterizzato dalla presenza di eritema intenso e vescicole (Williams HC, 2005).
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spessore, con desquamazione, che nel tempo danno luogo ad ispessimento della pelle ed accentuazione del disegno cutaneo (lichenificazione). Il prurito è costante ed a causa del conseguente grattamento/sfregamento si innesca un circolo vizioso caratterizzato da prurito – grattamento – prurito; inoltre, le escoriazioni prodotte dal grattamento possono facilitare l’insorgenza di infezioni batteriche. La localizzazione della dermatite atopica è molto caratteristica: nei lattanti sono comunemente interessati il viso, il collo, il tronco e le superfici laterali degli arti, mentre nella seconda infanzia le lesioni eritematose, lichenificate, tendono a distribuirsi alle fosse cubitali e poplitee, ai polsi ed alle caviglie. La diagnosi di dermatite atopica è essenzialmente clinica, basandosi sui dati anamnestici e sui reperti obiettivi, in quanto non sono disponibili test di laboratorio specifici e la biopsia cutanea ha scarsa utilità. I principali criteri diagnostici sono rappresentati da un’anamnesi personale e familiare positiva per malattie allergiche, dalla presenza di prurito (sintomo essenziale per porre diagnosi di dermatite atopica), nonché la morfologia e la distribuzione tipica delle lesioni cutanee. In base ai dati anamnestici ed al quadro clinico possono risultare utili il dosaggio delle IgE specifiche (mediante skin prick test o RAST) verso allergeni alimentari o ambientali, per determinare il contributo delle allergie all’espressione della malattia, ed i patch test per escludere la diagnosi di sospetta dermatite da contatto associata all’eczema atopico (Williams HC, 2005; Lee S-I et al., 2011). La gestione terapeutica della dermatite atopica mira al raggiungimento di alcuni importanti obiettivi (tra cui quelli di evitare l’irritazione della cute, controllare l’infiammazione e spezzare il circolo vizioso prurito – grattamento – lesione, che espone a rischio di infezione, attraverso un approccio sequenziale (Tabella 2) articolato nei seguenti tre step: Step 1 - è indicato in tutti i pazienti con dermatite atopica e consiste in una serie di interventi che includono: l’igiene della cute (attraverso l’impiego di saponi neutri o debolmente acidi, l’applicazione di emollienti con funzione idratante e l’allontanamento di sostanze irritanti; il ricorso a misure dietetiche appropriate; il controllo delle condizioni igieniche e microclimatiche degli ambienti in cui soggiorna il bambino (pulizia accurata, ventilazione, opportuna umidificazione) ed il sostegno psicologico. Step 2 - prevede la terapia aggiuntiva finalizzata al controllo dell’infiammazione cutanea e del prurito provocato dalle lesioni acute che non migliorano in seguito all’adozione degli interventi iniziali. I corticosteroidi topici rappresentano i principali agenti terapeutici di questa fase di intervento; è opportuno scegliere le molecole dotate di minore intensità (grado 1-2) che comportano un rischio molto basso di eventi indesiderati, utilizzando la modalità di somministrazione più sicura nelle fasi iniziali della sintomatologia acuta.
TABELLA 2. Schema generale di trattamento a step della dermatite atopica in base alle linee guida Atopic Dermatitis Organizer (ADO) che prevedono tre livelli di approccio terapeutico: trattamento di base, terapia antinfiammatoria per via topica e terapia antinfiammatoria per via sistemica. IVIG: immunoglobuline per via endovenosa (Lee S-I et al., 2011). Farmaci per l’infiammazione cutanea Altri trattamenti antiinfiammatori e terapie sperimentali
Farmaci per il prurito e le complicanze
Step
Corticosteroidi (CS)
Step 1
No
No
No
Step 2
CS topici
Inibitori topici della calcineurina
Step 3
CS sistemici
Ciclosporina A, iniezione di interferone gamma, azatioprina, fototerapia, trattamenti sperimentali (IVIG, omalizumab, desensibilizzazione agli allergeni, fitoterapici)
Antistaminici Antibiotici Cheratolitici per uso topico
Trattamento di base Igiene della cute Misure dietetiche Controllo delle condizioni degli ambienti interni Sostegno psicologico
Nei bambini con più di 2 anni di età è possibile utilizzare anche gli inibitori topici della calcineurina. Gli antistaminici sono i farmaci ampiamente utilizzati per il controllo del prurito. Per il trattamento delle infezioni batteriche della cute è preferibile utilizzare gli antibiotici per via sistemica. Infine, l’ispessimento cutaneo nella fase cronica della malattia riduce l’assorbimento dei corticosteroidi topici e dei prodotti idratanti, rendendo più difficile il trattamento; in questi casi è possibile ricorrere all’applicazione di agenti cheratolitici, avendo cura di evitare il loro contatto con gli occhi. Step 3 - va attuato nei casi refrattari ai trattamenti previsti dagli step precedenti e prevede la somministrazione di corticosteroidi per via orale o endovenosa. L’impiego della ciclosporina A, l’iniezione di interferone gamma, la terapia con luce ultravioletta (UV) ed i trattamenti sperimentali mediante somministrazione endovenosa di immunoglobuline e con prodotti fitoterapici possono essere inclusi in questo step (Lee S-I et al., 2011). La dermatite allergica da contatto (DAC) è una patologia cutanea infiammatoria che si verifica per sensibilizzazione ritardata cellulo-mediata in seguito a contatto con agenti esogeni ed all’intervento di cofattori patogenetici di tipo immunologico. L’eziopatogenesi della dermatite allergica da contatto è caratterizzata da due fasi. Nella prima fase detta di sensibilizzazione, asintomatica, della durata di 5-7 giorni, molecole chimiche semplici penetrano a livello dell’epidermide dove si legano a proteine di trasporto (carrier), per cui da antigeni incompleti (apteni) si trasformano in antigeni completi immunogeni; in seguito gli antigeni, captati e processati dalle cellule di Langherans dell’epidermide, vengono presentati ai linfociti T della zona paracorticale del linfonodo regionale, il che comporta la loro trasformazione in linfociti T memoria. Nella seconda fase, che si verifica solo nei soggetti sensibilizzati, ha una latenza di 12-48 ore dall’esposizione all’antigene e si associa alle lesioni cutanee, l’antigene viene presentato ai linfociti T memoria migrati nella cute, cui consegue la loro attivazione, il rilascio di citochine e l’innesco dell’infiammazione cutanea (Trevisan V, Ferrucci S, 2011). Il riscontro in ambito pediatrico della dermatite allergica da contatto è in aumento e la sensibilizzazione ad allergeni da contatto può cominciare già nei bambini molto piccoli. I fattori che possono influire sullo sviluppo della sensibilizzazione sono la dermatite atopica, il contatto intenso e ripetuto con allergeni ed i difetti della barriera cutanea. In relazione a quest’ultimo aspetto, negli ultimi anni è stato evidenziato il ruolo essenziale della proteina filaggrina (FLG) nel mantenimento di un’efficace barriera cutanea. Le mutazioni con perdita
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di funzione del gene della filaggrina sono risultate fortemente associate con la dermatite atopica; inoltre, la mancata espressione di FLG può predisporre ad alcune forme di DAC, in quanto permette un più agevole contatto degli apteni con le cellule dell’epidermide che presentano l’antigene (de Waard-van der Spek FB, 2013). Le lesioni della dermatite allergica da contatto più frequenti nelle forme acute sono l’eritema, l’edema e le vescicole a contenuto sieroso, che possono dare luogo ad ampie erosioni superficiali essudanti. Nella DAC subacuta la desquamazione e le lesioni squamo-crostose superficiali sono predominanti rispetto all’eritema ed alle vescicole; infine, il quadro delle forme croniche è caratterizzato principalmente da placche infiltrate, ipercheratosiche e lichenificate. Il sintomo prevalente è rappresentato dal prurito. Una delle complicanze più comuni è rappresentata dalla sovrainfezione batterica. La diagnosi di DAC si avvale in prima istanza dell’anamnesi, finalizzata a verificare il contatto con possibili allergeni. In età pediatrica, i tessuti, i pannolini ed i giocattoli sono potenziali fonti di esposizioni ad apteni. L’identificazione di lesioni tipiche della DAC mediante l’esame obiettivo può orientare ulteriormente nella diagnosi, che trova successiva conferma nei risultati delle indagini allergologiche mirate, tra cui quelle con patch test (effettuati applicando gli allergeni con medicazione occlusiva sulla parte superiore del dorso o alla superficie volare dell’avambraccio) e con open test (in questo caso l’allergene viene applicato senza occlusione direttamente sulla cute volare dell’avambraccio). La DAC deve essere distinta dalla dermatite irritativa da contatto (DIC), una patologia infiammatoria cutanea causata da agenti esogeni (chimici, fisici o biologici), che tuttavia svolgono un’azione tossica diretta senza intervento di meccanismi immunologici. I principali criteri sulla base dei quali è possibile effettuare la diagnosi differenziale tra i due tipi di dermatite sono riportati schematicamente in Tabella 3. La prima misura da attuare nelle dermatiti da contatto consiste nell’allontanamento dell’agente causale. Gli steroidi topici rappresentano l’opzione terapeutica di prima scelta nelle forme di dermatite da contatto acuta; in presenza di una componente essudativa o vescico-bollosa è possibile associare antisettici locali o paste all’ossido di zinco. Nelle forme croniche in genere si utilizzano cortisonici topici associati ad emollienti/idratanti, mentre per quelle scarsamente responsive si sono dimostrati efficaci anche gli inibitori della calcineurina (tacrolimus e primecrolimus) che, essendo privi degli effetti collaterali a lungo termine tipici degli steroidi locali, come l’atrofia cutanea, si prestano anche ad un uso prolungato. Infine, gli antistaminici sistemici sono utili nel controllo del prurito (Trevisan V, Ferrucci S, 2011). TABELLA 3. Criteri per la diagnosi differenziale tra dermatite irritativa da contatto e dermatite allergica da contatto (Trevisan V, Ferrucci S, 2011). Dermatite irritativa da contatto (DIC) Localizzazione lesioni iniziali
In sede di contatto con sostanze irritanti Localizzazione lesioni secondarie Assenza di lesioni o lesioni discrete in sedi vicine al focolaio primario Sintomi soggettivi Bruciore, raro prurito Clinica Lesioni eritematose, eritemato-vescico-bollose, desquamative ed erosive in genere circoscritte alle sedi di insulto o nelle sedi vicine Test allergologici
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Negativi
Dermatite allergica da contatto (DAC) In sede di contatto con sensibilizzanti Presenti dopo un tempo variabile, anche in sedi apparentemente non esposte all’allergene Prurito variabile Lesioni eritemato-edemato-vescicolari polimorfe squamo-crostose o desquamative diffuse, con tendenza evolutivo-estensiva anche in sedi apparentemente non interessate dal contatto con gli agenti causali Positivi con possibilità di polisensibilizzazione e sensibilizzazione crociata
Asma pediatrico Aspetti generali e classificazione dei fattori di rischio L’asma è la più frequente patologia cronica delle vie aeree in età pediatrica, la cui prevalenza risulta in crescita. Nella maggioranza dei casi la malattia riconosce una predisposizione individuale legata alla condizione di atopia e può associarsi ad altre condizioni allergiche. In effetti, l’asma sarebbe parte integrante della cosiddetta “marcia atopica o allergica”, vale a dire lo sviluppo progressivo delle malattie allergiche durante l’infanzia, dalla dermatite atopica, alla rinite allergica, fino all’asma bronchiale; inoltre, l’asma e la rinite risultano comunemente associate (comorbilità) e la rinite rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di asma. Tale osservazione ha suggerito il concetto di “una via aerea, una malattia”, secondo cui l’asma e la rinite allergica sarebbero espressione di un’unica malattia infiammatoria delle alte e basse vie respiratorie (Progetto-ARIA, 2015). L’asma presenta due caratteristiche specifiche rappresentate da una sintomatologia tipica e da un’ostruzione ampiamente variabile al flusso espiratorio. In particolare, dal punto di vista clinico, l’asma è una malattia caratterizzata da episodi ricorrenti di dispnea, respiro sibilante (wheezing, il sintomo più comunemente associato a questa patologia respiratoria), tosse e senso di costrizione toracica. Sia le manifestazioni cliniche, sia la limitazione al flusso espiratorio fanno registrare significative modificazioni nel tempo ed in termini di intensità, che spesso sono indotte da diversi fattori, quali esposizione ad allergeni o irritanti, attività fisica, variazioni climatiche o infezioni virali respiratorie (Global Initiative for Asthma, 2015). L’asma è una malattia eterogenea, oltre che in relazione ai livelli di gravità, anche dal punto di vista dei meccanismi fisiopatologici, che includono l’infiammazione delle vie aeree, la disfunzione della muscolatura liscia, il rimodellamento strutturale e l’interazione vie aeree – parenchima polmonare. L’asma è una patologia infiammatoria delle vie aeree in cui sono coinvolti diversi elementi cellulari e numerosi mediatori da cui dipendono le caratteristiche fisiopatologiche di tale malattia. Per quanto riguarda i fattori di rischio dell’asma, secondo una classificazione schematica possono essere distinti in fattori individuali, che predispongono l’individuo alla malattia, e fattori ambientali, che influenzano la possibilità di insorgenza della malattia nei soggetti predisposti o che scatenano le riacutizzazioni e/o determinano la persistenza dei sintomi. Nell’ambito dei fattori individuali maggiori, diversi polimorfismi genetici si associano alla comparsa dell’asma, mentre l’atopia costituisce un fattore di rischio importante per l’asma ad insorgenza precoce (prima dei 12 anni di età). Tra i fattori individuali minori si segnalano il sesso (nei soggetti pediatrici l’asma è più frequente nel sesso maschile) e l’obesità che comporta una maggiore prevalenza ed un peggiore controllo dell’asma. Tra i fattori di rischio ambientali maggiori il principale è rappresentato dalla sensibilizzazione ad allergeni domestici (ad esempio acari, pelo di animali, miceti) e quelli degli ambienti esterni (tra cui piante erbacee ed arboree); la polisensibilizzazione aumenta il rischio di sviluppare l’asma e la sua gravità. Altri fattori ambientali maggiori sono rappresentati dal fumo di tabacco attivo e passivo, dall’inquinamento esterno (inquinanti gassosi e particolato) ed interno (fumi di cucina, spray domestici), nonché dalle infezioni delle vie respiratorie (ad esempio, da virus respiratorio sinciziale) nella prima infanzia. L’esposizione passiva al fumo di tabacco si associa ad un aumento del rischio di sviluppo di alterazioni respiratorie “in utero”, nel periodo neonatale o nel corso dell’infanzia; inoltre, il fumo aumenta il rischio di asma nei soggetti con rinite. L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di insorgenza dell’asma. Gli inquinanti ambientali possono scatenare riacutizzazioni asmatiche, incrementare transitoriamente
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l’iperresponsività bronchiale ed intensificare le risposte allergiche. Allo stesso modo, l’inquinamento (dovuto ad allergeni, fumi di cucina, spray domestici, ecc.) costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza dell’asma e può avere un ruolo importante, considerato che i bambini trascorrono molto tempo al chiuso. Nella primissima infanzia, le infezioni virali (da rinovirus e da virus respiratorio sinciziale) risultano associate ad un aumentato rischio di sviluppo di asma e di respiro sibilante; inoltre, le infezioni respiratorie rappresentano i principali fattori in grado di determinare riacutizzazioni asmatiche e/o la persistenza dei sintomi. Infine, è stato evidenziato che l’impiego di antibiotici ed antipiretici in età infantile si associa ad un aumento del rischio di asma ed atopia (Global Initiative for Asthma, 2015).
Linee guida di diagnosi e trattamento
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L’iter diagnostico dell’asma include l’anamnesi, l’esame obiettivo, i test di funzionalità respiratoria e l’esecuzione di ulteriori indagini, tra cui quelle allergologiche. La raccolta dei dati anamnestici ha come principale finalità quella di evidenziare la presenza dei fattori di rischio (atopia e familiarità e dei sintomi asmatici tipici, quali il respiro sibilante, la tosse, la dispnea accessionale e/o variabile e la sensazione di costrizione toracica in rapporto a fattori scatenanti noti). All’anamnesi deve seguire l’esame obiettivo, che però potrebbe non evidenziare reperti patologici, in quanto la sintomatologia asmatica varia nel corso della giornata. Ciò che più comunemente viene evidenziato dall’auscultazione del torace è il respiro sibilante, indicativo della limitazione al flusso aereo. Tuttavia, la sola auscultazione, oltre ad essere poco sensibile, è scarsamente specifica nel rilevare l’ostruzione delle vie aeree e non consente di stabilirne l’entità. A tale scopo si rivela utile la spirometria, che può essere eseguita dai bambini di età superiore a 5-6 anni collaboranti. Qualora l’esame spirometrico evidenzi la presenza di ostruzione al flusso aereo, si effettua il test di reversibilità che prevede la somministrazione di un broncodilatatore (salbutamolo per via inalatoria in 4 dosi successive da 100 mcg mediante aerosol predosato in bombolette pressurizzate [MDI] con camera di espansione) e la ripetizione della spirometria dopo 20 minuti. Un aumento del FEV1 (volume espiratorio forzato in un secondo) >12% del valore predetto rispetto al basale rappresenta una risposta positiva. La misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF) può rivelarsi anch’essa utile alla diagnosi ed al monitoraggio dell’asma. Se l’esame spirometrico non evidenzia ostruzione al flusso aereo, la fase successiva dell’iter diagnostico prevede la ripetizione dell’esame in altra occasione o l’esecuzione di ulteriori indagini, quali il test di provocazione bronchiale, la prova da sforzo e la misurazione dell’ossido nitrico esalato (Global Initiative for Asthma, 2015) (Figura 5). Nei bambini con età ≤5 anni, la diagnosi di asma è essenzialmente clinica, data l’impossibilità di effettuare di routine le prove di funzionalità respiratoria ed i test di provocazione in tale popolazione pediatrica. Peraltro, in questa fascia d’età, la diagnosi è resa più difficile dal fatto che i sintomi episodici di wheezing e tosse sono comuni anche nei bambini non asmatici, soprattutto nei primi due anni di vita, per cui è consigliabile ricorrere ad un approccio di tipo probabilistico, basato sulle caratteristiche dei sintomi durante e dopo le infezioni virali delle vie respiratorie. La valutazione allergologica approfondita mediante skin prick test ed il dosaggio delle IgE specifiche sieriche da effettuare come esami, rispettivamente, di primo e di secondo livello, rientra tra le indagini finalizzate alla identificazione dei fattori di rischio per asma; inoltre, nei bambini asmatici deve essere indagata la coesistenza di rinite allergica. Infine, la diagnosi di asma richiede l’esclusione di altre patologie caratterizzate da una sintomatologia simile. Va però sottolineato che la diagnosi differenziale nel paziente con sospetta diagnosi di asma varia con l’età del bambino (Global Initiative for Asthma, 2015). Gli obiettivi a lungo termine del trattamento dell’asma includono, oltre al controllo dei sintomi, anche la riduzione al minimo dell’impatto negativo della malattia sul paziente, del
Paziente con sintomi respiratori Sono sintomi tipici dell’asma? No Sì
Anamnesi accurata ed esame obiettivo approfondito L’esame obiettivo e l’anamnesi supportano la diagnosi di asma? Urgenza clinica e altre diagnosi poco probabili
No Sì
Ulteriore anamnesi ed esami per diagnosi alternative Le diagnosi alternative vengono confermate?
Fare la spirometria o il PEF con test di reversibilità I risultati supportano la diagnosi di asma?
No Sì Trattamento empirico con ICS e SABA al bisogno. Controllare esito. Test diagnostico entro 1-3 mesi
Sì
Ripetere in altre occasioni o fare un altro test Conferma la diagnosi di asma? No
No
Sì
Considerare trial di trattamento per la diagnosi più probabile o indirizzare verso altre indagini Cura per l’ASMA
Test per diagnosi alternativa
FIGURA 5. Algoritmo diagnostico per la pratica clinica (Global Initiative for Asthma, 2015).
rischio di riacutizzazioni, dei danni alle vie aeree e degli effetti indesiderati dovuti all’assunzione di farmaci. La gestione clinica dell’asma prevede una regolazione continua della terapia attraverso un ciclo di valutazione dell’efficacia del trattamento, di un suo eventuale aggiustamento e di una nuova verifica della risposta terapeutica (Tabella 4). Per ottenere i massimi risultati è necessario instaurare quanto prima possibile il trattamento una volta formulata la diagnosi di certezza dell’asma. Infatti, la somministrazione precoce di corticosteroidi inalatori (ICS) a bassa dose si associa ad una migliore funzionalità polmonare rispetto a quando i sintomi sono presenti da più di 2-4 anni. L’assunzione regolare ed a bassi dosaggi di ICS è consigliabile nei pazienti: 1) con sintomi di asma più di due volte al mese; 2) che vanno incontro a risvegli dovuti all’asma più di una volte al mese; 3) con manifestazioni cliniche della malattia associate a fattori di rischio responsabili di riacutizzazioni. La terapia dell’asma prevede un approccio progressivo a “step”, in cui i ICS hanno un ruolo fondamentale nel controllo della malattia. Entro 1-3 mesi dall’inizio del trattamento bisogna valutare la risposta terapeutica e stabilire se è necessario modificare il trattamento. L’asma è una patologia variabile che può rendere necessario un adattamento periodico dello schema terapeutico; ad esempio, un incremento (step up) sostenuto (per almeno 2-3 mesi) è indicato qualora i sintomi o le riacutizzazioni persistano nonostante un trattamento di controllo in atto da 2-3 mesi, così come lo step up a breve termine (per 1-2 settimane)
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TABELLA 4. Valutazione dell’asma basata sul controllo e sui fattori di rischio per l’asma (Global Initiative for Asthma, 2015). A. Controllo dei sintomi dell’asma Nelle ultime 4 settimane il paziente ha asma
Livello di controllo Ben Parzialmente Non controllati controllati controllati
• I sintomi appaiono più di 2 volte/settimana? SI No 1-2 di 3-4 • Episodi di risvegli notturni a causa dell’asma? SI No Nessuno questi di questi • Farmaci al bisogno* necessari più di 2 volte/settimana? SI No • Esiste limitazione di attività dovuta ad asma? SI No B. Fattori di rischio per l’asma che causano risultati insoddisfacenti • Valutare i fattori di rischio alla diagnosi e farlo periodicamente, specialmente per i pazienti affetti da riacutizzazioni. • Misurare FEV1 all’inizio del trattamento, dopo 3-6 mesi di trattamento di controllo per asma per registrare la migliore funzione polmonare, infine misurarla periodicamente per la valutazione del rischio corrente. VALUTARE IL RISCHIO DEL PAZIENTE PER: • Riacutizzazioni • Limitazione costante del flusso aereo • Effetti indesiderati *Escluso farmaci somministrati prima dell’esercizio fisico, perché molte persone li prendono di routine.
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può essere richiesto durante infezioni virali o esposizione ad allergeni. Al contrario, se si riesce a conseguire e mantenere un buon controllo dell’asma per 3 mesi, è possibile considerare la riduzione del regime terapeutico (step down) in modo da individuare il più basso livello di trattamento che permetta di controllare i sintomi e ridurre il rischio di riacutizzazioni con i minimi effetti indesiderati. Le opzioni terapeutiche con un approccio graduale a step (Figura 6) per i diversi livelli di gravità dell’asma nei bambini di età superiore a 5 anni sono simili a quelle previste per l’adulto: Step 1 Beta2 agonisti a breve durata d’azione (SABA) al bisogno senza farmaci di controllo (se i sintomi sono rari, l’asma non provoca risvegli notturni, non si sono verificate riacutizzazioni nel’ultimo anno ed il FEV1 è normale). Nei pazienti con rischio di riacutizzazioni ICS a basso dosaggio. Step 2 Dosaggio regolare di ICS a basso dosaggio più SABA al bisogno. In ambito pediatrico, come altra opzione terapeutica è indicata solo la somministrazione di antileucotrieni (LTRA), che sono comunque meno efficaci rispetto agli ICS. Step 3 Terapia con ICS/beta2 agonisti a lunga durata d’azione (LABA) come terapia di mantenimento più SABA al bisogno. Nei pazienti con una o più riacutizzazioni nell’ultimo anno, l’impiego di beclometasone dipropionato (BDP)/formoterolo a basso dosaggio o di budesonide (BUD)/formoterolo come terapia di mantenimento ed al bisogno è più efficace della terapia di mantenimento con ICS/LABA e SABA al bisogno. Step 4 Dosaggio basso di ICS/formoterolo come terapia di mantenimento ed al bisogno oppure dosaggio medio di ICS/LABA come terapia di mantenimento più SABA al bisogno. Le altre opzioni includono il dosaggio alto di ICS/LABA (pochi benefici ulteriori e più effetti indesiderati) o un farmaco di controllo aggiuntivo come LTRA o teofillina a lento rilascio (negli adulti). Per i pazienti pediatrici (6 -11 anni) rivolgersi alla gestione ed alle indicazioni di uno specialista. Step 5 Associare trattamento aggiuntivo (add-on) con anti-IgE e rivolgersi ad indagini di uno specialista. Alcuni pazienti possono ottenere beneficio da basse dosi di corticosteroidi orali (OCS), ma si osservano effetti indesiderati sistemici a lungo termine. Nei bambini di età inferiore o uguale ai 5 anni la gestione dell’asma è ugualmente basata su un approccio a step (Figura 7), con aggiustamento del trattamento che anche in questo caso mira ad ottenere un buon controllo dei sintomi, nonché a ridurre al minimo il rischio di riacutizzazioni, di alterato sviluppo polmonare e di effetti collaterali dei farmaci. Il raggiungimento degli obiettivi della gestione clinica dell’asma nel paziente pediatrico si ottiene attraverso una stretta collaborazione tra il personale sanitario ed i genitori o coloro che si prendono cura del bambino (Global Initiative for Asthma, 2015).
◗ Diagnosi ◗ Controllo dei sintomi e fattori di rischio (incluso la funzionalità respiratoria) ◗ Tecnica inalatoria e aderenza terapeutica ◗ Preferenze del paziente
Re sp vis onso ita
◗ ◗ ◗ ◗
Sintomi Riacutizzazioni Effetti collaterali Soddisfazione del paziente ◗ Funzionalità respiratoria
zione Valuta
◗ Farmaci per asma ◗ Strategie non farmacologiche ◗ Trattamento dei fattori di rischio modificabili
STEP 5
Aggiustamento trattamento
Farmaci di controllo di prima scelta Altre opzioni terapeutiche di controllo
Farmaci al bisogno
STEP 1
STEP 2 Bassa dose di ICS
Considerare bassa dose di ICS
Antagonista del recettore dei leucotrieni (LTRA) Bassa dose di teofillina*
SABA secondo necessità
STEP 4 STEP 3
Bassa dose ICS/LABA*
Dose medio/alta ICS/LABA
Ricorrere ad un trattamento aggiuntivo per es: anti-Ige
Dose medio-alta di ICS Aggiungere Bassa dose di tiotropio# ICS+LTRA Altra dose di ICS (o + teofillina*) + LTRA (o + teofillina*)
Aggiungere tiotropio# Aggiungere bassa dose di OCS
SABA secondo necessità o bassa dose di ICS/Formoterolo**
* Nei bambini da 6 a 11 anni non è raccomandata la teofillina e il farmaco di prima scelta allo «step 3» è la dose media di ICS - ** Nei pazienti in terapia di controllo con budesonide/formoterolo o beclometasone formoterolo è raccomandato come farmaco al bisogno ICS/formoterolo a basso dosaggio - # Tiotropio somministrato con inalatore soft-mist, è raccomandato come trattamento aggiuntivo nei pazienti adulti con storia di riacutizzazioni.
FIGURA 6. Gestione graduale dell’asma basata sul controllo nei bambini con più di 6 anni, negli adolescenti e negli adulti (Global Initiative for Asthma, 2015).
Possibile ruolo delle infezioni respiratorie nello sviluppo e nel mantenimento dell’asma La correlazione tra asma ed infezioni respiratorie, in particolare da virus e da batteri atipici è importante in quanto tali processi infettivi possono predisporre allo sviluppo della patologia asmatica svolgendo un ruolo importante nella sua patogenesi. In particolare, è stato dimostrato che i virus sono associati epidemiologicamente all’asma in molti modi. Innanzitutto, è stato ipotizzato che particolari virus associati a respiro sibilante durante l’infanzia condurrebbero all’esordio del fenotipo asmatico; secondariamente, i bambini che vanno incontro in tenera età ad infezioni respiratorie virali hanno una maggiore probabilità di sviluppare successivamente l’asma durante l’infanzia. Inoltre, nei bambini e negli adulti affetti da asma, le infezioni virali delle vie aeree superiori svolgono un ruolo chiave nel causare riesacerbazioni acute che possono richiedere l’impiego di risorse sanitarie. Diversi studi prospettici di ampie dimensioni, relativi a soggetti pediatrici, hanno dimostrato che la bronchiolite da virus respiratorio sinciziale (RSV) costituisce un importante fattore di rischio per wheezing ricorrente ed asma nel corso della prima decade di vita. I fattori legati all’ospite, quali la sensibilizzazione allergica e la ridotta funzione polmonare nell’infanzia, possono influire anche essi sullo sviluppo di respiro sibilante ricorrente e/o asma. I soggetti pediatrici con alterata funzionalità polmonare sono ad aumentato rischio di sviluppare sequele croniche a carico del tratto respiratorio inferiore dopo infezioni virali ed un pattern ostruttivo della funzione polmonare in età adulta. Nei bambini con sensibilizzazione allergica precoce (prima dei due anni di età) è più elevata la probabilità che venga posta diagnosi di wheeze o asma se essi hanno avuto un’infezione delle basse vie aeree
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ni Revisio he periodic
◗ ◗ ◗ ◗
◗ ◗ ◗ ◗
Sintomi Riacutizzazioni Effetti collaterali Soddisfazione dei genitori to en m to sta en giu tam Ag trat
Valu tazio ne
Diagnosi Controllo dei sintomi e fattori di rischio Tecnica inalatoria e aderenza Preferenza dei genitori
◗ Farmaci per asma ◗ Strategie non farmacologiche ◗ Trattamento dei fattori di rischio modificabili
STEP 4 Scelta del farmaco di controllo preferito
STEP 3
STEP 1
ICS a bassa dose quotidiana
LTRA ICS intermittente
Altre opzioni terapeutiche di controllo
Terapia al bisogno Considerare questo step nei bambini con:
Punti chiave
STEP 2
Continuare la terapia di controllo e Raddoppio della dose di ICS inviare per una valutazione precedentemente a bassa dose specialistica ICS a bassa dose + LTRA
Aggiungere LTRA Aumentare la frequenza di ICS Aggiungere ICS intermittente
β2-agonista a breve durata d’azione al bisogno (in tutti i bambini) Wheezing virale infrequente e nessun sintomo o pochi sintomi nei periodi intervallari
Quadro sintomatologico compatibile con asma e sintomi di asma non adeguatamente controllati, o ≥3 riacutizzazioni l’anno Quadro sintomatologico non compatibile con asma, ma frequente insorgenza di episodi di wheezing, ogni 6-8 settimane. Effettuare un trial diagnostico per 3 mesi
Diagnosi di asma e non adeguatamente controllato con ICS a bassa dose
Non adeguatamente controllato con ICS a dose doppia
Verificare in primo luogo la diagnosi, la tecnica di inalazione, l’aderenza e le esposizioni
In tutti i bambini: ◗ Valutare controllo dei sintomi, rischio futuro, comorbilità ◗ Auto-gestione: educazione, tecnica di inalazione, piano terapeutico scritto per asma, aderenza ◗ Revisione regolare: valutare risposta, eventi avversi, stabilire trattamento minimo efficace ◗ (Se necessario): controllo ambientale per fumo, allergeni, inquinamento atmosferico interno/esterno ICS: corticosteroide inalatorio; LTRA: antileucotrieni.
FIGURA 7. Approccio graduale al trattamento dell’asma nei bambini di età inferiore o uguale ai 5 anni (Global Initiative for Asthma, 2015).
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sostenuta da RSV o rhinovirus umani (HRVs) durante l’infanzia. Pertanto, le infezioni virali agiscono sinergicamente con la sensibilizzazione allergica e la ridotta funzione polmonare nel corso dell’infanzia, portando allo sviluppo dell’asma nelle fasi successive della vita. Per quanto riguarda le infezioni sostenute da altri microrganismi, l’attenzione è stata focalizzata sui batteri atipici Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia pneumoniae quali possibili agenti in grado di contribuire all’insorgenza delle riacutizzazioni ed alla gravità dell’asma. Infine, è stato dimostrato che la colonizzazione delle alte vie aeree durante l’infanzia da parte dei comuni agenti batterici aumenta il rischio di sviluppare successivamente la patologia asmatica (Guilbert TW, MD, Denlinger LC, 2010).