PERCORSI D'ARCHITETTURA
Luoghi di culto e di spettacolo in Umbria 1815 - 1860 (Dal volume “Percorsi d’architettura in Umbria” di Francesco Quinterio e Ferruccio Canali, a cura di Raffaele Avellino. EDICIT Editrice Centro Italia, in collaborazione con il Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Perugia) Norcia, pianta prospettica della città pontificia
Con il definitivo ritorno del Governo Pontificio, nel 1815, le vecchie strutture politico-amministrative pre-napoleoniche vennero ripristinate, alla ricerca di un ‘buon tempo perduto’ che favorisse la coesione sociale e consolidasse lo status quo. Nella realtà l’area umbra era caratterizzata da un’economia in decadenza, con una struttura manifatturiera fragile, nella quale ogni dinamica rimandava all’agricoltura e non si vedevano sistemi in grado di spezzare i vecchi temi. Oltretutto mancavano certamente imprenditori e capitali in grado di favorire un processo di separazione tra agricoltura e sistema proto-industriale, tale da innescare uno sviluppo di tipo moderno. La borghesia urbana si mostrava particolarmente avversa al Governo pontificio e attraverso moti insurrezionali e società segrete fomentava la disgregazione dello Stato della Chiesa, nonostante le aperture verso la modernità che i diversi Papi avrebbero più o meno tentato. Per ovviare ad una tale situazione, l’Amministrazione pontificia cercò di imprimere alla situazione artistica e culturale un grande dinamismo, non solo promuovendo una serie di iniziative, ma anche diffondendo capillarmente l’istituto dei teatri comunali, luoghi di ritrovo borghese, di veicolo di ideali comuni, ma anche di più facile controllo sociale. A Roma come nelle province il panorama artistico venne in gran parte coordinato dal Canova, riconfermato «Commissario ai Monumenti» (fin dal 1802): anche a Perugia egli divenne arbitro dell’Accademia di Belle Arti facendone nominare Direttore un suo protetto, Tommaso 40
Minardi. Giunto in Umbria per tre anni, Minardi restò impressionato dalla pittura medievale e del Quattrocento, dando origine ad una sterzata Neo-primitivista (Purista) in senso medievale, e fece arrivare a Perugia i pittori Nazareni tedeschi, ospitati nella villa di Marianna Florenzi e a casa Zanetti. Ma Minardi fu anche un vero e proprio precursore, nello Stato della Chiesa, della perlustrazione del patrimonio artistico; il suo Purismo non solo contribuì alla rivalutazione dell’arte e dei monumenti medievali, ma ebbe anche la sensibilità, pur fino ad oggi in gran parte misconosciuta dalla Critica, di porre l’attenzione su artisti del Manierismo e del Seicento, dei quali Winckelmann e Mengs avevano decretato la condanna a causa di presunte, gravi deviazioni stilistiche e, in qualche caso, perfino etiche. L’Accademia di Belle Arti di Perugia, insomma, già negli anni Venti dell’Ottocento stava preparando nuove leve di artisti e architetti che avrebbero, nel giro di pochi decenni, profondamente trasformato il gusto e la produzione dell’Arte locale, allontanandosi sempre più dal Neoclassicismo per approdare ad un Classicismo neo-rinascimentale se non addirittura al Neo-medievalismo. Il cambiamento del gusto e dell’interesse – un importante fattore in grado di determinare nel volgere di pochi decenni la trasformazione di attenzioni e di dinamiche politiche, sociali e artistiche – viene testimoniato dalle preferenze dei viaggiatori nei confronti di città e monumenti: l’Umbria viene a lungo ignorata dai viaggiatori stranieri che sono
disinteressati al suo aspetto medievale (così Stendhal, così Goethe che si reca ad Assisi per visitare il Tempio di Minerva ma osserva con «antipatia le enormi costruzioni della babelica sovrapposizione di chiese in cui riposa San Francesco»). La situazione si mostra radicalmente mutata dopo la metà del secolo (salvo qualche caso sporadico giustamente segnalato a suo tempo da Giovanni Previtali), quando ad esempio Ippolite Taine, nel 1865, dedica parole entusiastiche all’arte medievale di Assisi e al complesso francescano. È cambiata la percezione delle gerarchie e, con essa, mutano le attenzioni conservative e i modelli sui quali esemplarsi per le nuove architetture. Una grande fluidità vede, insomma, nel giro di un trentennio (tra il 1820 e il 1850), mutare la situazione, nonostante un clima politico apparentemente immobile. Già dopo la morte di Pio VII Chiaramonti il clima politico ‘conciliatorio’ era mutato radicalmente e, nel tentativo estremo di «restaurazione» e «cristianizzazione», Roma era divenuta «immobile» in una sorta di «irrigidimento sacrale» dove «niuna innovazione» doveva smuovere una situazione che si andava profilando sempre più complessa a fronte degli inevitabili processi di modernizzazione e democratizzazione. Il “Chirografo” di Leone XII del 1825, per la ricostruzione della basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, era divenuto una sorta di riferimento per l’architettura e le città dello Stato degli anni a venire: «niuna innovazione … nella forma e proporzioni … niuna negli ornamenti». I modelli architettonici dovevano essere quelli dell’Antichità e del Rinascimento maturo (entro il 1530) e da essi non ci si poteva discostare almeno nelle opere pubbliche. Dopo la breve parentesi della Repubblica Romana (1849, con Perugia “seconda capitale” dei moti), Pio IX procedeva, poi, ad un ulteriore irrigidimento «religioso e sacrale», alla luce di un “rigore controriformista” che, dal punto di vista
Luigi Poletti, "Spaccato per traverso della basilica di Santa Maria degli Angeli" Assisi 1836 (Modena, Archivio Poletti)
artistico, si voleva riconnettere all’attivismo cinquecentesco di papa Sisto V. Ma il clima si mostrava socialmente complesso e ormai la Modernizzazione, tecnica ma anche politica, andava imponendosi. Il 20 giugno 1859 una nuova grave sommossa scoppiò a Perugia dove venne instaurato un Governo provvisorio, ben presto represso dalle truppe svizzere pontificie (che saccheggiarono la città come nella calata dei Lanzichenecchi, dando così avvio ad una vera e propria epopea pre-risorgimentale fatta anche, nei decenni successivi, di celebrazioni monumentalistiche). Nuovamente, Arte e Architettura venivano chiamate a svolgere un ruolo fondamentale per il rafforzamento e la coesione sociale, sia dal punto di vista visivo e comunicativo, sia, specie per le opere architettoniche, per procurare lavoro in una situazione economicamente stagnante e volutamente conservatrice per non turbare gli antichi equilibri. Fondamentale venne dunque ritenuto promuovere una serie di iniziative di costruzione di nuovi edifici religiosi parrocchiali o di veri e propri santuari che, in clima di dilagante giacobinismo, potessero contribuire ad una nuova evangelizzazione delle campagne, specie attraverso la devozione santuariale. Il tentativo politico di consolidamento e rivitalizzazione del Potere pontificio passò attraverso il recupero delle chiese, specie di quelle più antiche legate ai primi secoli della Cristianità (in nome di una “purezza” delle Origini, che venne perseguita specie nel ventennio 1850-1870). Gli interventi si diffusero dunque nella provincia umbra con capillarità. Ad Assisi già dai primi anni venti venne messa a punto una politica, poi sistematicamente perseguita negli anni a venire, di recupero e celebrazione delle antiche origini francescane dell’Umbria, che puntava alla rivitalizzazione dell’Ordine dei Minori, “offuscato” in Italia, nei secoli precedenti, dagli ordini controriformati, e ora invece “riscoperto” nel suo valore di evangelizzazione grazie alla sua presa popolare. Nonostante le ricerche delle spoglie mortali del Santo fossero durate secoli, soltanto nel 1818 il pontefice Pio VII dette l’annuncio dell’avvenuto ritrovamento, richiamando così ad Assisi folle numerose. Si decise allora di scavare la terza chiesa, che non era mai stata realizzata, per adibirla a cripta del complesso. Vennero chiamati ad elaborare una loro proposta sia l’architetto assisiate Giuseppe Brizi, sia il romano Pasquale Belli: con un verdetto salomonico fu scelta l’idea di Belli, ma a Brizi venne dato l’incarico di realizzarla. Nel 1824 la nuova cripta venne inaugurata, dopo che per il ritrovamento della salma di San Francesco, sei anni prima, si era scavato ininterrottamente per più di cinquanta giorni, ma il risultato non venne ritenuto soddisfacente per il contrasto stridente tra il gusto neoclassico che era stato adottato nel nuovo invaso e le chiese superiori romanicogotiche. Anni dopo veniva rinvenuta anche la salma di Santa Chiara, dando così rinnovato impulso alla devozione verso entrambi i Santi assisani. 41
ANNO II
| n. 11 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2010
Analogamente, a partire dal 1831 veniva realizzata la sistemazione della basilica di Santa Maria degli Angeli a cura di Luigi Poletti, progettista e Direttore dei Lavori (1831-1841), con il rifacimento delle volte e della facciata che erano state ulteriormente demolite dal sisma del 1832. Certamente l’intervento più aulico e importante del periodo per l’attualizzazione e il recupero degli antichi luoghi di culto che versavano in pessime condizioni conservative. Il recupero degli antichi complessi andava però realizzato con sistematicità e a tale scopo si operò a Trevi dove, a seguito della soppressione napoleonica dei conventi del 1810, i frati francescani avevano lasciato l’antica struttura del loro monastero, in pochi decenni divenuta fatiscente. Nel 1833 il complesso venne acquistato dal cardinale Emanuele de Gregorio, a sue spese, per trasferirvi il collegio Lucarini di cui era protettore. Della ristrutturazione venne incaricato Giuseppe Valadier che «con eleganza e magnificenza di
Orvieto, chiesa dei Servi di Maria, planimetria della sistemazione di Vespignani
42
disegno» neoclassico lo rese agibile in soli diciotto mesi. Della chiesa rimane ancora oggi parte della facciata ovest, inglobata nella costruzione dell’attuale parete di fondo progettata dal Valadier, il quale fornì anche all’antica fabbrica un nuovo scalone, ampio e disteso, pieno di luce e spazioso. Nel chiostro l’architetto volle una fronte ritmata da una serrata fuga di finestre, mentre un forte spirito decorativo pervade la volta del corridoio del secondo piano, sul quale si aprono alcune celle cinquecentesche, conservate invece nella loro essenziale struttura originale. Come ad Assisi e a Trevi si puntava al recupero dei luoghi francescani, all’insegna di un loro aggiornamento neoclassico, così anche a Perugia Giovanni Santini scandiva, alla luce dello stesso gusto corrente, la neoclassica chiesa di Sant’Anna (già monastero di Santa Maria degli Angeli e poi Educatorio femminile). A Castiglione del Lago, sempre in forme neoclassiche, venne ricostruita la parrocchiale di
Luigi Poletti "Progetto del nuovo cimitero di Terni", planimetria 1840 (Modena, Archivio Poletti)
Santa Maria Maddalena da Giovanni Caproni, cui venne aggiunto il pronao nel 1867; a Sanfatucchio sul Trasimeno sempre Caproni elevò, nel 1850, la parrocchiale di Santa Maria delle Grazie, sua opera; a Panicarola, il santuario della Madonna della Carraia edificato nel 1686 ebbe la sua cupola completata, sempre da Caproni, nel 1857; il santuario della Madonna del Busso, sempre presso Panicarola, venne eretto nel 1842 e poi ampliato nel 1885 su disegno di Carlo Baiocchi; su progetto di Giovanni Santini venne rifatto il campanile della parrocchiale di Marsciano e la parrocchiale di Fratta Todina. Anche a Orvieto, a causa dell’abbandono conseguente alla soppressione napoleonica, si decise la ricostruzione della medievale chiesa dei Servi di Maria, dopo che nel 1830 era crollata la parete sinistra presso l’altare maggiore, insieme a due capriate del tetto. Il degrado venne però accentuandosi negli anni seguenti tanto che nel 1854 e poi nel 1857 la completa ricostruzione, secondo il moderno gusto neoclassico, veniva affidata all’architetto romano Virginio Vespignani (la chiesa venne poi consacrata solo nel 1875). La facciata risulta scandita da classicistiche paraste, da nicchie e da una cornice marcapiano che ripartisce il prospetto in due registri; in basso spicca il portale d’ingresso. Internamente la nuova chiesa, più articolata della precedente nonostante ne riprendesse la perimetrazione dei muri, si struttura su tre navate, con quella centrale coperta da volta a botte mentre le due laterali,
molto ristrette, presentano otto cappelle collegate tra loro da un corridoio, scandito da quattro colonne, da cui si accede alla tribuna, antico coro adattato a sagrestia. Vespignani riprendeva, dunque, la tipologia del Templum controriformato vignolesco sulla base di un gusto di attenzione storicista, anche per il Manierismo che, in contemporanea, vedeva realizzare dal pittore Angelini, reduce dalla decorazione del vespignaneo Teatro Nuovo, affreschi neo-manieristi e neobarocchi per le sale di Palazzo Pandolfi. A Giovanni Santini va invece riferito il progetto del santuario di Santa Maria della Stella presso Montefalco iniziato nel 1862 e terminato nel 1881 a seguito di un evento ritenuto miracoloso. Si tratta di un ampio complesso costituito dalla chiesa e dall’annesso convento, ispirato a forme rinascimentali quattrocentesche (brunelleschiane) e dunque perfettamente inserito nel recupero Neo-primitivista, che ormai andava sempre più affermandosi nella cultura accademica umbra della metà del secolo («l’architettura neo-rinascimentale costituisce una testimonianza unitaria e certo la più significativa della salda fortuna del Purismo in Umbria»). Un altro importante santuario, iniziato durante il periodo della Restaurazione e poi terminato successivamente al 1860, fu anche quello di Canoscio, non lontano da Città di Castello, sorto a partire da una pieve romanica e poi ricostruito dal fiorentino Emilio De Fabris tra il 1855 e il 43
ANNO II
| n. 11 |
SETTEMBRE - OTTOBRE 2010
1878, a tre navate, utilizzando, come Vespignani a Orvieto, forme neo-cinquecentesche e anticipando l’entrata con un porticato dorico-toscano con fregi in terracotta. Il riferimento non era casuale e senza dubbio, rispetto ai “modelli romani” diffusi nella parte meridionale dell’Umbria, occhieggiava alla storia “tutta fiorentina” di Città di Castello, alla sua corte filo-medicea e ad una collocazione “in Tuscis” che rimontava all’Antichità. A Foligno la settecentesca chiesa del Suffragio venne dotata, nel 1826, della facciata su progetto di Vincenzo Vitali, a costituire una quinta che facesse da fondale per chi proviene dalla porta di San Felicianetto (via Umberto I). Del resto, in quegli stessi anni, venne ampliato anche l’Oratorio della Nunziatella, a pianta rettangolare; oltre alla ricostruzione della chiesa di San Francesco e a quella di Santa Maria in Campis, dopo il terremoto del 1832, come del resto avvenne anche per la chiesa di San Francesco di Monte Ripido, imponente convento fortificato, dell’Osservanza francescana, risalente al 1290 circa. Frattanto erano rimasti sulla carta alcuni progetti di uno dei più importanti architetti della Restaurazione pontificia, Luigi Poletti, che in Umbria aveva progettato l’ampliamento della chiesa abbaziale della Magione a Perugia (nel 1836), e probabilmente anche la cappella del casino Manasei in Piedimonti a Terni, oltre che la cappella di San Benedetto a Gualdo Tadino. Ma il sisma del 1832 aveva duramente colpito anche la chiesa di Santa Maria di Rivotorto presso Assisi. A fronte di numerosi dubbi gli eruditi assisiati ribadirono come il sito francescano si trovasse dove sorge oggi questo santuario, per cui con la ricostruzione nel 1853, avanzata da fra’ Bernardo Tini, si vuole riproporre l’aspetto dei principali edifici religiosi dell’Assisi del Duecento e, in particolare, per la fronte principale la strutturazione della cattedrale di San Rufino, mentre per il lato quella della basilica di Santa Chiara con i suoi contrafforti (si noti l’erto frontone triangolare in alto, con al centro l’arcone; poi la suddivisione in due registri orizzontali con la precisa gerarchia tra i rosoni e le lesene verticali, che denunciano all’esterno la scansione dello spazio interno). Il Purismo aveva ormai segnato l’immaginario collettivo e il gusto neo-medievale poteva ergersi a linguaggio per quel ripristino dei luoghi francescani che avrebbe avuto tanta fortuna fino alla prima metà del secolo a venire. Durante la restaurazione pontificia, però, anche gli edifici teatrali risultavano di primaria importanza nei confronti della politica di promozione e di coinvolgimento borghese: così nel 1827 veniva realizzato a Foligno il «Teatro Apollo» (ne resta la facciata e parte del foyer essendo stato distrutto da un bombardamento nel 1944). Nel 1836 Luigi Poletti progettava il nuovo teatro di Terni, che doveva occupare lo spazio lasciato dal vecchio Palazzo dei Priori. Venne indetto un Concorso al quale presentò un proprio progetto anche 44
Luigi Santini, appoggiato dall’Accademia di Belle Arti di Perugia, ma il verdetto del 1839, favorevole a Poletti, scatenò in città una serie di polemiche che solo il Governo pontificio riuscì a sedare. Quello che doveva essere un omaggio alla borghesia cittadina, si era trasformato in un boomerang per l’Amministrazione pontificia. I lavori presero avvio nel 1840 e nel 1844 si poté procedere al collaudo dell’opera che, rispetto al progetto iniziale, aveva comunque visto la soppressione della “Sala dei Pittori” e la riduzione dell’altezza del quarto ordine, mentre gli originari capitelli tuscanici erano stati sostituiti dai più ricchi ionici. Il 12 agosto 1849 l’edificio poté essere inaugurato. Nel 1838 intanto Poletti aveva proceduto anche al progetto per il teatro di Todi (1838), ma l’operazione non andò in porto. Ancora nel 1856 veniva realizzato da Giovanni Santini il teatro comunale di Narni, mentre nel 1844 ebbe la prima commissione del teatro di Orvieto. La promozione di architetture teatrali si diffuse comunque in tutta l’area regionale: a Orvieto il teatro comunale di gusto neoclassico, iniziato nel 1844 e completato nel 1866, venne progettato dall’architetto romano Virginio Vespignani (fu decorato all’interno da pregevoli stucchi dorati, oltre ad ospitare dipinti di Cesare Fracassini e di Annibale Angelini). Verso il 1850 era quindi la volta dei restauri del Teatro Comunale di Gubbio (costruito e decorato già nel 1713-1736); a Spoleto, nel Teatro Nuovo o Massimo (1854-1864), realizzato con l’abbattimento dell’antico monastero di Sant’Andrea, Ireneo Aleandri proponeva un linguaggio classicistico, «stemperato però nel gusto Purista della Scuola Romana», con l’ampia sala scandita da cinque ordini di palchi (decorata da Giuseppe Masella e Vincenzo Galassi); nel 1858 da Giovanni Caproni veniva rifatto, con tre ordini di palchi, il teatro «C. Caporali» di Panicale, già elevato nel XVII secolo.
Spoleto, teatro Nuovo, la sala (Ireneo Aleardi, 1853)