LIBRO
IN ASSAGGIO
TI RICORDI DI ME? DI SOPHIE KINSELLA
Ti ricordi di me? DI SOPHIE KINSELLA AD ATTICUS
Prologo Di tutte le serate di merda e di stramerda che ho passato nella mia vita di merda, in una scala da uno a dieci questa si piazza a... meno sei. E non è che i miei standard siano poi tanto elevati. La pioggia sgocciola dentro il colletto mentre mi sposto da un piede — coperto di vesciche — all’altro. Tengo sopra la testa a mo’ di ombrello il giubbotto di denim, ma non è esattamente impermeabile. il mio solo desiderio è trovare un taxi, tornare a casa, scalciare via questi cavolo di stivali e immergermi in un bel bagno caldo. Ma siamo qui da dieci minuti e non si vede l’ombra di un taxi. I piedi mi fanno un male cane. Non comprerò mai più le scarpe da Cut-Price Fashion, è poco ma sicuro; questi stivali li ho presi la settimana scorsa ai saldi: sono di vernice nera a tacco basso, visto che io non porto altro che tacco basso, e mezzo numero meno della mia misura, ma la commessa sosteneva che mi slanciavano molto la gamba, e che comunque avrebbero ceduto. E io ci sono cascata. Maledizione, sono la più grande credulona del mondo. In questo momento ci troviamo all’angolo di una strada sconosciuta nel sudovest di Londra. Sotto di noi rimbomba la musica martellante del club. La sorella di Carolyn organizza eventi e ci ha procurato biglietti scontati; per questo ci siamo trascinate un qui. Solo che adesso dobbiamo tornare a casa, e io sono la sola che si da dà fare per beccare un taxi. Occupato l’unico portone libero, Fi è tutta presa a ficcare la lingua in gola al tizio con cui poco fa ha attaccato discorso al bancone del bar. È un tipo carino, malgrado i baffetti un po’ strani, ed è parecchio più basso di lei; d’altra parte questo le capita spesso, visto che sfiora il metro e ottanta. Fi ha lunghi capelli neri la bocca grande, con una risata adeguata alla dimensione, tanto che riesce a zittire tutto l’ufficio quando qualcosa la diverte davvero. A pochi passi di distanza Carolyn e Debs, a braccetto, si riparano sotto un giornale mentre miagolano It’s Raining Men come se fossero ancora sul palco del karaoke. «Lexi!» strilla Debs, allungando il braccio verso di me. «Piovono uomini!» I capelli biondi bagnati dalla pioggia ricordano il pelo di un topo, ma il viso è raggiante. I suoi due hobby preferiti sono il karaoke e la creazione di gioielli, e in effetti gli orecchini che indosso li ha fatti lei con le sue mani per il mio compleanno: minuscole L d’argento con pendenti di perline. In genere anch’io adoro il karaoke, ma stasera non sono in vena di cantare.
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Sono giù di corda, e ho solo voglia di stare per conto mio. Se solo Dave lo Sfigato si fosse fatto vivo come promesso. Dopo quegli SMS “ti amo”, dopo le assicurazioni di arrivare alle dieci... Per tutto il tempo sono rimasta ad aspettarlo, a fissare l’entrata, anche quando le altre mi dicevano di lasciar perdere. Una povera scema, ecco cosa sono. Dave lo Sfigato lavora nelle televendite di auto ed è il mio ragazzo dall’estate scorsa, quando ci siamo messi insieme al barbecue dell’amico di Carolyn. Non lo chiamo Dave lo Sfigato per insultarlo: è il suo soprannome. Nessuno ricorda come gli sia stato affibbiato, e lui si guarda bene dal confessarlo, anzi, cerca sempre di scrollarselo di dosso, di spingere gli altri a chiamarlo in un modo diverso. A un certo punto ha iniziato a rivolgersi a se stesso come Butch perché pensa di assomigliare a Bruce Willis in Pulp Fiction. Certo, ha i capelli a spazzola, ma la somiglianza finisce lì. Comunque, non ha funzionato. Per i suoi colleghi lui resta Dave lo Sfigato, come io sono Dentona. Mi chiamano così dall’età di undici anni. A volte, anche Cespuglio. In effetti, i miei capelli sono molto crespi, e i denti parecchio malmessi ma, come dico sempre, danno carattere al mio viso. Non è del tutto vero. E Fi a sostenere che danno carattere al mio viso. Personalmente, io ho intenzione di farli aggiustare non appena troverò i soldi e il coraggio per andare in giro con l’apparecchio, cioè probabilmente mai. Avvisto un taxi e immediatamente agito il braccio, ma qualcuno davanti a me l’ha già intercettato. Ottimo. Sempre più depressa scruto la strada allagata in cerca di un’altra luce gialla. A farmi sentire bidonata non c’è solo la questione di Dave lo Sfigato, ma anche la storia del bonus. Oggi, in ufficio, c’è stata la chiusura dell’esercizio finanziario. Tutti hanno ricevuto un foglietto con la cifra a loro destinata e si sono messi a ballonzolare eccitati, perché è saltato fuori che il fatturato del 2003 -2004 è andato meglio del previsto. E stato come se Natale fosse arrivato dieci mesi in anticipo: tutti a blaterare di come avrebbero speso quei soldi. Carolyn si è messa a progettare una vacanza a New York con Matt, il suo ragazzo. Debs ha preso appuntamento da Nicky Clark per i colpi di sole: era una vita che voleva andarci. Fi ha telefonato a Harvey Nichols per prenotare una nuova borsa molto cool che si chiama “Paddington” o roba del genere. E poi c’ero io. Senza niente di niente. Non perché non abbia lavorato sodo, non perché non abbia raggiunto gli obiettivi, ma perché per avere il bonus bisogna aver lavorato nell’azienda da un anno, e a me manca una settimana. Una settimana. Che ingiustizia. Che meschinità. Dico solo che se mi chiedono cosa ne penso, io... Lasciamo perdere. Tanto Simon Johnson non la chiede certo l’opinione di una viceassistente alle vendite del reparto Pavimentazioni. Un’altra cosa, poi: ho il peggior titolo professionale che esista. Imbarazzante. Quasi non entra nel biglietto da visita. Ho deciso che più è lungo il titolo più il lavoro è di merda. Cercano di abbagliarti con il titolo perché tu non ti accorga che sei confinata in un angolo dell’ufficio a fare dei noiosissimi conti che nessun altro ha voglia di fare.
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Una macchina prende in pieno una pozzanghera vicina al marciapiede e io balzo indietro, ma non prima di essere investita da uno spruzzo in pieno viso. Dal portone sento Fi che si sta scaldando e parla all’orecchio del tipo carino. Colgo al volo qualche parola familiare e, malgrado l’umore, stringo forte le labbra per non ridere. Qualche mese fa, in occasione di una serata tra ragazze abbiamo finito per confessarci le frasi che diciamo nell’intimità. Fi ha raccontato di dire sempre la stessa frase che ogni volta fa miracoli: “Mi si stanno squagliando le mutandine”. Ma insomma! Possibile che i ragazzi ci caschino? Be’, a giudicare dai successi di Fi, si direbbe di sì. Debs ha confessato che quando fa sesso l’unica parola che riesce a usare senza scoppiare a ridere è “eccitazione”. Dice solo: “Mi sento tutta eccitata”, oppure “Come sei eccitato”, “Questo è davvero eccitante”. Ma, badate bene, una come Debs, un vero schianto, non ha bisogno di ricorrere a un repertorio. Carolyn, che sta con Matt da un milione di anni, ha dichiarato di non parlare mai a letto, se non per dire “Wow”, oppure “Più in alto”, e una volta, mentre lui stava per venire: “Oh, cavolo. Mi sono lasciata in testa i bigodini! “. Non so se parlava sul serio, perché lei, come Matt, ha uno strano senso dell’umorismo. Sono entrambi superintelligenti — quasi fuori del normale — ma non lo fanno pesare. Quando siamo tutti insieme, loro due si punzecchiano in continuazione, e non si capisce mai se fanno sul serio. Ho l’impressione che non lo sappiano neppure loro. Quando è stato il mio turno, ho detto la verità, e cioè che faccio spesso dei complimenti al mio partner. Per esempio, a Dave lo Sfigato dico sempre: “Che belle spalle”, e anche: “Hai proprio dei begli occhi”. Però mi sono ben guardata dal confessare che dico queste cose con la segreta speranza di sentirmi rispondere che anch’io sono bella. E neppure ho ammesso che per il momento non è mai capitato. Be’, lasciamo perdere. «Ehi, Lexi.» Alzo gli occhi e mi accorgo che Fi si è sganciata dal tipo carino. Viene a ripararsi sotto il mio giubbotto di denim e recupera il rossetto. «Ciao» dico, battendo le palpebre per liberare le ciglia dalla pioggia. «Dov’è andato il bel figo?» «Ad avvertire la ragazza con cui è venuto che lui va via.» «Fi!» «Cosa?» Sembra priva di scrupoli. «Non sono una coppia. Non proprio.» Si rifà le labbra color rosso cassetta della posta. «Ho deciso che mi ricompro tutti i trucchi» dice, aggrottando la fronte mentre guarda il rossetto quasi finito. «La serie completa di Christian Dior. Posso permettermelo, ora!» «Certo!» Annuisco con finto entusiasmo. Un attimo dopo, nel rendersi conto della gaffe, Fi cambia espressione. «Oh, cavoli. Scusa tanto, Lexi.» Mi circonda le spalle con il braccio per stringermi a sé. «Avrebbero dovuto darlo anche a te il bonus. Non è giusto.» «Non c’è problema.» Abbozzo un sorriso stentato. «L’anno prossimo.» «Tutto bene?» Mi studia con attenzione. «Vuoi andare a bere qualcosa?»
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«No, devo correre a letto. Domattina mi alzo presto.» Appare turbata da quell’accenno. Si morde il labbro. «Oddio. Avevo dimenticato anche questo. Sai, con la storia del bonus e il resto... Lexi, mi dispiace. È proprio un periodo di merda per te.» «Pazienza!» mi affretto a ribattere. «Sai, cerco di non drammatizzare.» A nessuno piacciono le lagne, quindi mi sforzo di sorridere, tanto per mostrare che reggo bene il fatto di essere una con i denti malmessi, bidonata dal suo ragazzo, senza bonus, a cui è appena morto il padre. Fi resta in silenzio per un momento. Gli occhi verdi si illuminano colpiti dai fari delle auto di passaggio. «Le cose cambieranno» dice. «Credi?» «Uh-uh.» Annuisce con maggiore energia. «Devi esserne convinta, però. Dài.» Mi strizza. «Cosa sei, una donna o un tricheco?» Questa espressione, che Fi usa da quando avevamo entrambe quindici anni, mi fa ridere ogni volta. «E la sai una cosa? Sono convinta che a tuo padre avrebbe fatto piacere che tu ti presentassi al suo funerale con i postumi di una sbronza.» Ha incontrato mio padre in un paio di occasioni, e probabilmente ha ragione. «Ehi, Lexi.» Il tono di Fi si addolcisce, e io entro in tensione. Sono già abbastanza nervosa, e se mi dice qualcosa di carino su mio padre potrei scoppiare a piangere. Insomma, non lo frequentavo molto, d’accordo, ma di papà ce n’è uno solo... «Non è che ti avanza un preservativo?» La sua voce irrompe nei miei pensieri. Bene. Non devo preoccuparmi di un sovraccarico di compassione. «Tanto per andare sul sicuro» aggiunge con un sorriso malizioso. «Anche se probabilmente ci limiteremo a parlare di politica internazionale o roba del genere.» «Sì, come no.» Scavo nella borsa verde Accessorize, regalo di compleanno, in cerca del portamonete coordinato ed estraggo un Durex che le porgo con discrezione. «Grazie, tesoro.» Mi bacia sulla guancia. «Senti, perché non vieni da me domani sera, quando è tutto finito? Ti preparo gli spaghetti alla carbonara.» «Sì, mi farebbe piacere. Ti chiamo.» Già non vedo l’ora. Un piatto di pasta deliziosa, un bicchiere di vino, e io che le racconto tutti i particolari del funerale. Fi ha la capacità di cogliere il lato divertente anche nelle cose più tristi, e so già che finiremo per spanciarci dalle risate... «Ehi, ecco un taxi! Taxiiii!» Corro verso il bordo del marciapiede mentre l’auto accosta. Faccio segno a Debs e Carolyn, tutte prese a berciare Dancing Queen. Carolyn ha gli occhiali bagnati di pioggia ed è avanti a Debs di almeno cinque note. «Salve! » Mi chino verso il finestrino del tassista con i capelli sgocciolanti sul viso. «Ci può portare prima da Balham, e po.. .» «Mi spiace, cara, ma niente karaoke» taglia corto lui, con un’occhiata ostile a Carolyn e Debs. Lo guardo perplessa. «Che intende con niente karaoke?» «Quelle li non ce le voglio a trapanarmi il cervello con le loro canzonette del cavolo.» Probabilmente scherza. Mica si possono bandire le persone che cantano.
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«Ma...» «il taxi è mio e le regole le stabilisco io. Niente ubriachi, niente droga, niente karaoke.» Senza aspettare la mia risposta, ingrana la marcia e parte a tutto gas. «Non può avere la regola “niente karaoke”» gli urlo dietro, infuriata. «E una... discriminazione! E contro la legge! E...» La voce viene meno e mi guardo intorno. Fi è scomparsa di nuovo tra le braccia di Mister Belloccio. Debs e Carolyn continuano a storpiare Dancing Queen in modo orripilante, e in fin dei conti non me la sento di dare torto al tassista. Le macchine ci sfilano accanto veloci, inzaccherandoci di fanghiglia, e la pioggia tamburella sul giubbotto di denim ormai fradicio colandomi in testa. I pensieri continuano a girarmi per la mente come calzini in una centrifuga. Non lo troveremo mai un taxi. Passeremo la notte qui, bloccate sotto la pioggia. Quei cocktail alla banana erano tossici: avrei dovuto fermarmi al quarto. Domani c’è il funerale di papà, e io non sono mai stata a un funerale. E se scoppio in singhiozzi e tutti mi fissano? Probabilmente Dave lo Sfigato in questo secondo è a letto con un’altra, e le dice che è bella mentre lei mugola “Butch! Butch! “. Io ho i piedi gelati e pieni di vesciche... «Taxi!» grido d’istinto, quasi prima di aver registrato la luce gialla in lontananza. Sta risalendo la strada con la freccia a sinistra. «Non svoltare!» Gli faccio segnali frenetici con il braccio. «Qui! Qui!» Devo prendere assolutamente questo taxi. Devo. Con il giubbotto sopra la testa, corro lungo il marciapiede, scivolando spesso, e intanto grido fino a diventare rauca. «Taxi! Taxi! » Arrivata all’angolo, mi imbatto in un capannello di persone. Le aggiro e salgo i gradini di un maestoso palazzo municipale. C’è una balaustra con le scale ai due lati. Faccio segno al taxi da lassù, poi mi precipito in basso per infilarmi dentro. «TAXI! TAAA-XIII !» Sì, sta accostando! Grazie a Dio! Finalmente posso andare a casa, farmi un bagno e dimenticare questa orribile giornata. «Qui!» grido. «Arrivo subito, un sec...» Con grande costernazione noto sul marciapiede sottostante un tizio in giacca e cravatta che si dirige verso il taxi. «È nostro! » grido e mi scaravento giù per la scalinata. «È nostro Sono stata io a fermano! Non le venga in mente... Aaaagh! Aaaahi!» Mentre il piede slitta sul gradino bagnato, non capisco bene cosa stia succedendo. Poi comincio a cadere, e il cervello è investito da un’ondata di incredulità. Sono scivolata sulla suola liscia di questo cavolo di stivale da due soldi. Capitombolo giù per i gradini come una bambinetta di tre anni. Mi aggrappo come una disperata alla ringhiera graffiandomi, storcendo le dita, e molo la borsa Accessorize nel tentativo di trovare un appiglio. Ma non riesco a fermarmi. Oh, merda. L’asfalto viene dritto verso di me e non posso fare proprio niente; sono sicura, sicurissima, che la botta sarà tremenda e...
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Aggiornata il giovedì 15 maggio 2008 Edizione Mondolibri S.p.A., Milano www.mondolibri.it
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